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Linguaggio e sessismo. La comunicazione "neutra" e gli stereotipi nei luoghi di lavoro

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Abstract

Gender studies has produced various analyses around issues such as social “roles,”coexistence and power relations; seeing language as a central aspect, especially since the development of performativity theory produced by philosopher Judith Butler. In this paper, so, I would like to focus on the existing relationship between language and gender relations, particularly in the workplace; pointing out how some possibilities and structures are dense with unequal and sexist modalities. The analysis will consist of a first theoretical section, in which the specific relationship between the gendered “male”subject and language will be emphasized, and a second in which these considerations will be portrayed in the corporate context. The purpose is to show how specific aspects of masculinity have generated specific power relations, delineating, and defining stereotypes and categorizing views. Attributes that have then flowed into the different social dynamics of our society, establishing different job roles and possibilities. To give more profundity, I adopted a methodology that fuses the logical-linguistic theoretical perspective, to the analysis of empirical data collected through interviews, questionnaires, and training meetings at two partner companies.
E|C Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici, anno XVIII, n. 41, 2024 Mimesis Edizioni, Milano-Udine
ISSN (on line): 1970-7452, ISSN (print): 1973-2716, ISBN: 9791222314440 © 2024 – MIM EDIZIONI SRL
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Linguaggio e sessismo.
La comunicazione neutrae gli stereotipi nei luoghi di lavoro
Alberto Grandi
Abstract. Gender studies has produced various analyses around issues such as social roles, coexistence and
power relations; seeing language as a central aspect, especially since the development of performativity theory
produced by philosopher Judith Butler. In this paper, so, I would like to focus on the existing relationship between
language and gender relations, particularly in the workplace; pointing out how some possibilities and structures
are dense with unequal and sexist modalities. The analysis will consist of a first theoretical section, in which the
specific relationship between the gendered malesubject and language will be emphasized, and a second in which
these considerations will be portrayed in the corporate context. The purpose is to show how specific aspects of
masculinity have generated specific power relations, delineating, and defining stereotypes and categorizing views.
Attributes that have then flowed into the different social dynamics of our society, establishing different job roles
and possibilities. To give more profundity, I adopted a methodology that fuses the logical-linguistic theoretical
perspective, to the analysis of empirical data collected through interviews, questionnaires, and training meetings at
two partner companies.
1. Introduzione e premesse metodologiche
Gli studi di genere hanno prodotto diverse analisi critiche attorno a temi quali l’identità, i ruolisociali
e i rapporti di potere, vedendo nel linguaggio un aspetto centrale, in particolar modo dopo lo sviluppo
della teoria della performatività prodotta dalla filosofa Judith Butler.
In questo lavoro vorrei pertanto porre al centro dell’attenzione il rapporto presente tra il linguaggio e le
relazioni tra generi, in particolare in ambito lavorativo; marcando come alcune possibilità e strutture
siano dense di modalità impari e sessiste.
L’analisi verterà in una prima sezione teorica, in cui si sottolineerà il rapporto specifico tra il soggetto
sessuato maschioe il linguaggio, e una seconda parte in cui si ritradurranno queste considerazioni in
ambito aziendalistico. Lo scopo è quello di mostrare come determinati aspetti della mascolinità,
invisibilizzati nel corso della storia, abbiano generato specifiche relazioni di potere, delineando e
definendo stereotipi e visioni categorizzanti. Attributi che sono poi fluiti nelle diverse dinamiche sociali
della nostra società, stabilendo differenti ruoli e possibilità lavorative a partire da categorizzazioni
stereotipiche che hanno saldato problematiche strutturali, come ad esempio il cosiddetto soffitto di
cristallo(che verrà analizzato in seguito).
Per dare maggiore profondità, ho adottato una metodologia che fonde la prospettiva logico-linguistica
teoretica, all’analisi di dati empirici raccolti tramite interviste, questionari e incontri formativi
1
presso
due aziende partner con cui collaboro direttamente: Leader Confcooperative Puglia, in ambito della
formazione, e Node Roma, che si occupa di innovazione digitale. I questionari sono stati somministrati
in forma anonima, strutturandoli in due sezioni. La prima contenente domande per filtrare
intersezionalmente i risultati, ad esempio tramite l’identificazione di genere, la fascia d’età e/o la
percezione di discriminazione subita in ambito lavorativo. La seconda sezione, invece, contenenti quesiti
1
I dati riportati sono stati raccolti in un periodo di tempo che intercorre tra gennaio 2023 e aprile 2024
527
inerenti a specifiche tematiche proposte nei corsi formativi. In questo modo è stato possibile avere un
riscontro sia a livello di apprezzamento metodologico, che di acquisizione di consapevolezza degli
argomenti. Per quanto concerne i corsi formativi, infine, essi sono stati organizzati in modo tale da
affrontare tre momenti. Il primo prevedeva la discussione del tema preso in esame. Il secondo lasciava
uno spazio per il dibattito, in particolare tra dipendenti, così da far affiorare posizionamenti e criticità
relazionali interne. Infine, un momento laboratoriale, in cui si proponevano esercitazioni come, per
esempio, l’individuazione del carattere paternalista all’interno di testi o la riscrittura di documenti.
Nel corso del lavoro, dunque, verranno riportate alcune statistiche e considerazioni emerse dai contatti
con queste realtà, applicando dove occorre diversi filtri utili per setacciare i dati, così da far affiorare con
maggiore intensità alcune criticità interessanti, altrimenti schiacciate dalla totalità.
2. Linguaggio sessuato e maschile sovraesteso. Una riflessione sul concetto di neutro
per una comunicazione inclusiva
La diversità dei corpi anatomici ha prodotto, nella storia, una rigida e netta separazione dualistica. Tale
dicotomia ha poi concepito una serie di opportunità e gerarchie che non riguardano solamente
differenze corporee, bensì una serie di elementi retoricamente sviluppati e attribuiti attraverso il
linguaggio
2
. Gerarchie che si reiterano e celano dietro concetti e visioni continuamente utilizzati nella
nostra quotidianità come, in italiano ad esempio, forme grammaticali considerate neutreo espressioni
che richiamano modelli sociali discriminanti, stereotipici e sessisti.
Proprio a partire dalla relazione tra corpi anatomici, attribuzioni categoriali e linguaggio, vorrei iniziare
questo capitolo con alcuni interrogativi: nella relazione tra significante e significato, tra corpo e categoria
sessuata, dov’è finito il corponel linguaggio? Il significante, il corpo sessuato, sembra apparire solo nel
caso particolare, escluso dall’Io neutro universale, eppure nella nostra lingua una declinazione di genere
quell’Io sembra averla; dunque, l’elevazione del maschile sia in senso concettuale, che grammaticale
come Io a-sessuato, de-corporizzato e universale è realmente neutro? In altre parole, come ipotizza la
semiologa Patrizia Violi (1986, p. 40), è possibile pensare la lingua come una struttura non neutra ma,
al contrario, già iscritta e simbolizzata in forme gerarchicamente orientate?
Nella civiltà occidentale l’uomo (inteso come soggetto sessuato) è il canone su cui si fondano intere
società. In questo modo la supremazia maschile sembra rientrare nell’ordine naturale delle cose. Tale
naturalità, discorsivamente prodotta e performata ogni giorno (Butler 1990), è ciò che ha reso il maschile
invisibile e universale. Inseriti in tale modello, i vari pensatori della storia hanno considerato il maschile
come genere umano universale, perciò senza il bisogno di pensare, e pensarsi, in termini di genere
particolare. In questo modo l’uomo si è autoconvinto di non essere influenzato dalla propria mascolinità
e poter parlare per tutta l’umanità, diventando così il logos attraverso cui declina il resto. L’uomo, in
sintesi, diviene il possessore del linguaggio, identificandosiin esso: ζῷον λόγον χον
3
. Proprio a partire da
tale condizione e invisibilizzazione della mascolinità, nel tempo ci si è infatti interrogati sul rapporto del
soggetto parlante con la natura, con Dio, con gli altri esseri viventi, ma non si è mai messo in discussione
che tali analisi fossero sempre l’esito di un mondo dell’uomo prodotto e universalizzato dalla propria
lingua; mai considerata l’esito di un essere sessuato (Irigaray 1987, p. 279).
Per entrare più in profondi è interessante l’analisi della filosofa e femminista italiana Adriana
Cavarero, in Il pensiero della differenza sessuale, dove scrive;
2
Sulla relazione tra corpo come categoria biologica e luogo di sovrapposizione simbolica cfr. Violi (1992, pp. 99-113).
3
Dal grecoZoon logon echontradotto in l’uomo è un animale razionale” è la celebre frase usata da Aristotele per
sottolineare la capacità dell’uomo di ragionare ed esprimersi razionalmente, come tratto caratteristico che lo
distingue dagli animali. Importante è specificare che per Aristotele solo l’uomo, inteso come maschio, è un essere
umano completo, mentre la donna è imperfetta”, da ciò possiamo dedurre che il vero e completo animale
razionale è l’uomo, gerarchicamente superiore alla donna e quindi possessore, in senso più elevato, della ragione
e del linguaggio.
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All’iodel discorso, quello stesso discorso che ora (io) sto pensando e dicendo in lingua italiana,
accade che il suo essere maschile o femminile non lo riguardi. Il soggetto ioè di genere maschile
ma non gli compete una sessuazione. Così quando si dice io sono donnao io sono uomo, l’io
sopporta e accoglie indifferentemente la sessuazione, essendo di per sé neutrale. In questo modo il
discorso filosofico può legittimare e affermare l’io pensoe fare di questo soggetto neutrale un
universale. E può anche eliminare il pensoe dire semplicemente Iopoiché è appunto in esso
che l’universale si presenta (1991, p. 43).
Eppure, quel genere grammaticale maschile che l’Io porta in sé, in qualche modo fa traballare questa
rappresentazione di universalità. Infatti, come sostiene la filosofa sopracitata, nel dire io sono donna
o io sono uomosembra che l’io sia più completo e corretto nel secondo caso. Dire ioin un certo
qual modo è già dire io sono uomo, la specifica serve solo per esprimere di essere la sua estensione,
ovvero, se non mi identifico come tale (Cavarero 1991, p. 44). Pertanto, quando si utilizzata una forma
grammaticale neutra, quando l’Io-neutro viene richiamato, che corposi evoca nelle menti?
Come sottolineato da molte pensatrici e pensatori, da Butler alla psicologa Chiara Volpato, porre ad
esempio la domanda: qual è il vostro scrittore preferito?, darà risultati incisivamente diversi rispetto a
qual è il vostro scrittore o scrittrice preferita?. Ciò accade poiché il maschile che eleviamo a neutro e
universale evoca nel nostro pensiero, come dice Cavarero (1991, p. 45), il segno del suo soggetto.
Dunque, rimanderà prevalentemente a un pensiero, e quindi a una visione del mondo, in linea con il
modello dominante, quello maschile.
A questo proposito, durante il questionario somministrato alle aziende partner è stato domandato
quanto il maschile sovraesteso possa essere percepito impattante nelle relazioni di genere e, perciò,
discriminante ed escludente, riportando dati interessanti. Se infatti nella totalità la risposta per niente
o pocoimpattante fosse circa il 60%, ponendo un filtro di genere i risultati sono cambiati in modo
notevole. Infatti, per chi si identifica uomo, il per niente e poco impattante è aumentato,
raggiungendo circa l’81%; mentre per chi si identifica donna la percezione si è ribaltata, circa il 70%
sostiene che è impattante e discriminante.
Ciò rimarca che in quel contesto la percezione di neutralitàè estremamente presente in chi si identifica
uomo, vivendo quelle strutture grammaticali, in accordo con Cavarero, attraverso il proprio essere;
aderendo quindi a quelle forme di maschile-neutro che evocano il loro stesso corpo sessuato. Al
contrario invece di tutte le persone che non si considerano tali (donne in questo caso), che avvertono in
quell’uso, in diverse misure, una forma escludente o discriminante nelle relazioni.
Come conseguenza a queste riflessioni si potrebbe ipotizzare, quindi, che l’Io è maschile, non neutro,
nonostante sia pronto ad accogliere la sessuazione. Una sessuazione che si specifica, tuttavia, proprio
nella declinazione al femminile (restando temporaneamente nella dimensione binaria), poiché al
maschile esprime semplicemente qualcosa che il suo genere già annunciava. Come scrive Cavarero
(1991, p. 44), quell’annuncio io sono uomo è un avvertimento, un segno del maschile celato nel
neutro-universale. Lo stesso termine uomo, in italiano, è pregno di avvertimenti. In prima istanza
difatti le coppie oppositive uomo/donna o maschio/femmina paiono tranquille ed equilibrate. Ma
nell’espressione, presa ad esempio, l’uomo è mortale, il termine uomo include la donna, pretendendo
di essere un universale neutro (Cavarero 1991, p. 45).
Il termine uomo, pertanto, da un lato indica un essere finito, ma con una straordinaria parabola logica,
in un movimento ascendente, assolutizza tale finitezza, facendola assurgere a universale. In modo tale che
questa universalità, attraverso poi una dinamica discendente, possa comprendere e specificarsi sia in quel
maschile finito che lo ha generato, sia in tutto il resto, quest’ultimo inglobato dal processo logico. Perciò
è presente una circolarità tra uomo e universale, dove uomo è sia universale che particolare, mentre
donna, così come non binario e via dicendo, è solo particolare. I due particolari poi, in una logica
binaria
4
, sono uno l’altro dell’altra. L’alterità dell’uomo, infatti, si fonda nell’uomo stesso, in quanto si
pone in precedenza come l’universale e definisce poi i limiti e gli attributi della dicotomia. L’alterità della
4
Cavarero effettua questo ragionamento partendo dalla dicotomia uomo/donna. Lo stesso procedimento può
essere intersezionalmente esteso, a mio avviso, a tutte le visioni binarie gerarchiche che vedono un’assolutizzazione
dell’uomo: riassumibili in uomo/non-uomo.
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donna viene invece a fondarsi in negativo: l’universale-neutro uomo, particolarizzandosi come uomo
sessuato al maschile, si trova di fronte all’uomo sessuato al femminilee lo dice appunto altro da sé.
In quanto simultaneamente particolare e universale, l’uomo ha potuto pensare sé e delineare tutto il resto,
stabilendo i rapporti di potere a partire dalla dicotomia uomo/non-uomo. Tutto ciò che non è uomo dovrà
pertanto dirsi e pensarsi a partire da un linguaggio neutro, che lo ha già pensato. Chi è non-uomo, in
sintesi, non è soggetto del proprio linguaggio, ma si dice e rappresenta attraverso categorie del linguaggio
dell’altro-uomo. Cristina Demaria sostiene che il linguaggio dà voce a un solo soggetto, apparentemente
universale e neutro, in realmaschile, all’interno del quale viene ricondotta ogni differenza(2019, p.
229). Dunque, i non-uomo parlano e pensano, ma non a partire da loro, bensì grazie all’eredità di una
lingua straniera. Lingua densa, genealogicamente in senso foucaultiano di potere e dominio. Tutto ciò
che non è uomo si pensa pensato, il proprio pensarsi è un pensarsi nella lingua di un altro che già li ha
pensati, rinchiudendoli in concetti estranei e permissioni prestabilite. Come scrive Butler in Corpi che
Contano, la costruzione del genere opera attraverso l’esclusione, cosicché l’umano non è prodotto solo in
sostituzione e opposizione all’inumano, ma attraverso una serie di forclusioni, di cancellature radicali, alle
quali è negata la possibilità di articolazione culturale(1993, p. 26).
Il linguaggio diventa quindi un’eredità estranea. Assumendo il linguaggio e divenendone il detentore
mostruoso (Io neutro-maschile), l’uomo ha prodotto la sua essenza che individua nel linguaggio stesso
definendosi e pensando, quindi stabilendo, tutto il resto nonché producendo i grandi binarismi
stereotipici e categorizzanti. Binarismi che escludono a priori tutto ciò che non rientra nel modello;
quindi, non lasciando spazio a pensieri omosessuali, transessuali, fluidi, se non come anomalie o
patologie della naturale e normale realtà binaria e solida. Il fluido difatti, come individuato da
Irigaray
5
, e da me riletto in chiave intersezionale e queer, mette in questione la stabilità solida e
categoriale binaria:
La logica occidentale si rifarà e sosterrà a una meccanica dei solidi. Il fluido sempre farà traboccare
la ragione, la ratio, oltrepasserà la misura, si ritufferà nell’indifferenziato. Dimenticando che senza
il fluido, questo non avrebbe alcuna unità, essendo il fluido sempre presente tra le sostanze solide
per unirle, ri-unirle: senza l’intervento dei fluidi non si terrebbe nessun discorso. Ma l’operazione
dei fluidi non viene enunciata come condizione di verità, di coerenza del logos. Vorrebbe dire
svelarne la costruzione instabile, il suolo mobile (Irigaray 1987, p. 287).
Il neutro, dal latino neuter
6
, dovrebbe porsi come uno, né l’altrodi due elementi antitetici, ma in
quanto prodotto dall’universalizzazione del maschile, ciò non può realmente avvenire; producendo così
strutture stereotipiche solide e non percorsi fluidi. Il maschile-neutro, difatti, è ciò che permette la
circolarità dell’uomo tra universale e particolare, acquisendo il potere regolatore del linguaggio:
l’immortalità dell’uomo che, nell’universalizzare la finitezza della sua sessuazione, la travalica e si pone
come un’essenza che appartiene necessariamente all’‘oggettività’ del discorso.(Cavarero 1991, p. 45).
Ricapitolando, sembra quindi che l’uomo si sia reso neutro e non-sessuato assumendo il controllo del
linguaggio. Con esso ordina e costituisce il mondo, sviluppando le difformità e le dicotomie. Dove la
differenza non riguarda esclusivamente l’aspetto anatomico, quanto il detenere il linguaggio con cui si
crea la differenza
7
, significando i corpi e inchiodando destini carichi di possibilità. Allargando il discorso
a una prospettiva non binaria, è lecito sostenere che l’Io neutro e universale, fin qui discusso, non è in
realtà solo maschile, ma anche eterosessuale, cisgender, bianco, borghese, quindi allo stesso modo si
sviluppano le altre relazioni, in quanto il soggetto neutro evocherà, appunto, tutta una serie di
caratteristiche, elevandole così a universali. È importante sottolineare questo aspetto per
problematizzare la molteplicità di strade applicative di queste visioni, soprattutto nel momento in cui
vengono tradotte in ambito quotidiano o lavorativo. Ad esempio, nelle forme di comunicazione inclusive
aziendali, in base al contesto specifico, non basta una duplicazione binaria del genere grammaticale,
5
Per approfondire il tema del fluido in Irigaray (1980, pp. 7-62).
6
Sulla riflessione attorno al neuter cfr. Derrida (1987, pp. 21-22), Tommasi (1991, p. 88).
7
Per un approfondimento sulla relazione tra differenza sessuale e categorie linguistiche cfr. Violi (1986, p. 57),
Demaria (2019, pp. 228-230).
530
poiché si reitererebbe il modello dicotomico classico. Un modello inevitabilmente escludente e
discriminante verso tutte le identità non in linea con l’eterosessualità cisgender binaria. La conoscenza
del contesto e degli interlocutori è fondamentale per l’adozione di strategie comunicative adeguate, ad
oggi infatti stiamo discutendo con le aziende di riferimento, Leader e Node, sull’inserimento e uso di
simboli grafici neutri, come la schwa.
3. Linguaggio, genere e lavoro. Sessismo e stereotipi a partire da un linguaggio sessuato
Le considerazioni fino a qui effettuate sottolineano come l’uso del linguaggio sia direttamente connesso
allo sviluppo di modelli sociali e relative relazioni tra individui. Modelli che con il tempo sono stati
universalizzati e retroattivamente assunti come naturali e normali, venendo poi reiterati
quotidianamente attraverso parole e corpi. In essi si sono andati a sviluppare relazioni impari e
discriminanti, formando pregiudizi, stereotipi, permissioni, relazioni di dominio, che si articolano in ogni
aspetto della vita. Intervenire sul linguaggio significa agire sulla realtà e, nello specifico in ambito
aziendale, lavorare sulle forme di comunicazione significa sviluppare climi aziendali più inclusivi, liberi
e antidiscriminatori. Aspetto, quest’ultimo, rilevato anche nelle interviste fatte nelle aziende partner.
Abbiamo chiesto, infatti, quanto il linguaggio usato nei contesti aziendali possa essere impattante nella
vita privata, nella performatività lavorativa e sullo sviluppo del clima aziendale, ottenendo una tendenza
di oltre il 90% che lo ritiene impattante e considera, quindi, fondamentale una riflessione sul suo uso;
sia per quanto riguarda il benessere dell’individuo, sia per la creazione generica di un ambiente
lavorativo sano.
La parità di genere richiesta alle aziende dal nuovo Certificato di GenereEuropeo (UNI/PdR 125), che
mira a costruire un futuro insieme paritario e antidiscriminatorio, deve pertanto passare anche attraverso
una paritàlinguistica che annichilisca la reiterazione di modelli sociali sessisti. Ovviamente non si fa
riferimento qui solo a casi estremi di comunicazione discriminante, come forme di sessismo ostile o hate
speech, seppur ancora molto presenti, ma altresì a tipologie di interpellazioni più comunicome battute,
frasi ironiche, modalità relazionali differenti, ma anche documentazioni, e-mail e via dicendo che
perpetuano quegli stessi modelli sessisti nonostante lo facciano con meno evidenza. Ad esempio, nel
questionario abbiamo domandato se generalmente capita di essere nominate o nominati soltanto con il
nome, quindi senza titolo professionale, in contesti che al contrario lo richiederebbero. Filtrando le risposte
in chi, precedentemente, aveva sostenuto di essersi sentito/a discriminato/a (uso qui un linguaggio binario
in quanto nessuna persona si è identificata come non-binaria o altro), è emerso che esattamente il 90% è
stato/a chiamato/a senza titolo, avvertendo questo fatto come discriminante in quanto produttore di una
sensazione d’infantilizzazione e, di conseguenza, attribuzione di minor competenza.
Per quanto possa sembrare superfluo, in verità, il nominare per nome o come generica signore/a
ragazzo/a e via dicendo invece che con il titolo previsto, rimanda a una visione stereotipica e spesso
paternalistica, tipica del sessismo. Chiaramente il contesto in cui avvengono tali interpellazioni è
decisivo; tuttavia, situazioni come queste producono e reiterano modelli sessisti in modalità sempre
nuove. Un sessismo che Volpato (2013, p. 60) definisce come benevolo, che nasconde rapporti di
dominazione e subalternità dietro dinamiche specifiche, solitamente legate ad attribuzioni e
caratteristiche naturalidell’essere uomo e donna
8
. Sessismo, come evidenziato dalla psicologa, che
non solo genera subdolamente sconforto emotivo nella persona che lo subisce, ma incide su valutazioni
di competenze, abilità e prestazioni lavorative, portando a tutta una serie di condizioni e criticità
strutturali fondate su stereotipi di genere: come il soffitto di cristallo(l’impossibilità di avanzamento di
carriera delle donne) o il pavimento appiccicoso(l’aderenza delle donne a ruoli o lavori specifici, in
particolare nell’ambito della cura).
Aspetto emerso anche nelle interviste effettuate all’interno delle aziende. Infatti, alla domanda che
chiedeva se nell’ambito lavorativo uomini e donne avessero le stesse opportunità e possibilità di
realizzarsi, le donne hanno indicato al 71% no; contro il 71% di degli uomini. Percentuale che aumenta
8
Vedi paragrafo 2.1.
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nel momento in cui si applica, oltre al filtro di genere, il filtro che setaccia chi si è sentita discriminata in
azienda, arrivando all’88% di risposte no.
A causa di visioni sessiste e stereotipiche presenti nella nostra società, dunque, la percezione di valore e
competenza tra uomini e donne è spesso molto marcata; spingendo statisticamente a portare le donne a
desiderare o essere più attratte verso discipline o lavori più consonial loro genere, creando così un
pericoloso circolo vizioso. Analizzare le diverse forme di sessismo è un lavoro importante per aumentare
la consapevolezza e la portata di questi modelli, soprattutto poiché le forme più simbolichee dolci
del dominio e della violenza, direbbe Bourdieu, passano subdolamente inosservate.
4. Sessismo ostile e benevolo. Visioni paternaliste in ambito lavorativo
Come anticipato nel paragrafo precedente, è possibile ad oggi definire diverse forme di violenza e
dominio (come nel caso del sessismo benevolo e ostile), che hanno portato il genere maschile a sopraffare
tutto il resto attraverso strade sempre nuove. Il sociologo Bourdieu in Il dominio maschile sostiene infatti
come la forza sia alla base del potere androcentrico, ma non solamente attraverso atti di forza fisica,
bensì alla sua capacità di mutare e insinuarsi sottoforma di violenza e forza simbolica:
La forza simbolica è una forma di potere che si esercita sui corpi, direttamente, e come per magia,
in assenza di ogni costrizione fisica; ma questa magia opera solo poggiandosi su disposizioni
depositate, vere e proprie molle, nel più profondo dei corpi. […] La forza simbolica trova le sue
condizioni di possibilità e la sua contropartita economica nell’immenso lavoro preliminare
necessario per operare una trasformazione durevole dei corpi e produrre le disposizioni permanenti
che essa scatena e risveglia (Bourdieu 1998, p. 48).
La forza simbolica agisce dunque come dispositivo di controllo interno ai corpi stessi. Dove il complesso
di norme e categorie che servono a sostenere, tra le altre, la gerarchia tra i generi viene interiorizzato e
naturalizzato tramite una forma di educazione comportamentale e posturale che diviene habitus,
abitudini incarnate, ripetute e riattualizzate in ogni azione, in ogni contesto, in ogni corpo e tra i corpi;
potremmo dire, usando la terminologia butleriana, performata quotidianamente fino a penetrare nella
nostra pelle e insinuarsi nella psyché (Butler 1997a). In questo modo, ogni cultura crea e modella corpi
differenti, li instrada verso alcune possibilità e impedisce che si sviluppino lungo altre direttrici, in
conformità ai valori e alle strutture di potere che regolano ciascuna società. Continua Bourdieu:
L’effetto del dominio simbolico si esercita non nella logica pura delle coscienze coscienti, ma
attraverso schemi di percezione, di valutazione e di azione che sono costitutivi degli habitus e
fondano, al di qua delle decisioni della coscienza e dei controlli della volontà, un rapporto di
conoscenza profondamente oscuro a se stesso (1998, pp. 48-49).
Proprio in quanto azioni simboliche, l’aspetto comunicativo diviene centrale nel mantenimento e
perpetuazioni di tali modelli discriminanti e habitus
9
, vedendo nel sessismo uno dei casi principali
all’interno dei posti di lavoro. Usare espressioni sessiste, infatti, non solo produce effetti a livello
perlocutorio, sviluppando ad esempio percezioni di discriminazione, ma reitera, illocutoriamente, il
modello stereotipico e educante basato su un binarismo gerarchico di genere. Usare il linguaggio, inoltre,
produce l’illusione di de-responsabilizzazione e minore influenza, portando spesso a non valutare
determinate espressioni come sessiste, vedendo quest’ultimo come qualcosa di legato a un patriarcato
ormai superato e oggi inesistente. Infatti, come fa notare Volpato, con il cosiddetto sessismo moderno o
neosessismo si porta avanti una relazione impari non più di aperto disprezzo, bensì di dominazione
sofisticata ed elaborata, rendendo le persone neosessiste spesso inconsapevoli di perpetuare politiche di
ineguaglianza, nonché di instaurare relazioni a partire da stereotipi fondati sulla differenza sessuale
(2013, p. 58).
9
In riferimento a una lettura semiotica dell’abitocfr. Demaria (2019, pp. 234-240).
532
A ogni modo, ancora oggi la supremazia maschile si basa sulla credenza di un equilibrio fondato nel
binarismo a partire dalla complementarità delle dueparti (uomo e donna) e non dall’uguaglianza (non
solo intesa nel senso di diritti politici, ma di possibilità e propensioni); perciò, per mantenere tale dominio
senza intaccare l’equilibrio, serve sviluppare un articolato sistema di credenze che, in base al contesto e
alla situazione, si articola in due forme diverse di sessismo:
- Il sessismo ostile: si basa sulla naturale inferiorità della donna e, automaticamente, sull’inevitabile
sopraffazione dell’uomo; considerato non solo più forte a livello fisico ma, come visto
precedentemente, superiore a livello di ragione, di logos. Visione che troviamo radicata nel corso
della storia, da Aristotele fino al fascismo, dal cristianesimo alla cosiddetta epoca berlusconiana.
Sia in ambito quotidiano che lavorativo questo si ritraduce in un’assegnazione rigida di stereotipi e
attribuzioni che vincolano o limitano possibilità e ruoli: come la propensione naturaledelle donne
per i ruoli di cura.
- Il sessismo benevolo: riconosce invece alle donne una serie di qualità positive (anch’esse stereotipiche
e delineate dall’uomo-logos), arrivando a definirle creature preziose da proteggere, adorare e
adulare. Una forma di sessismo ovviamente molto più insidiosa e subdola poiché meno evidente e,
quindi, più accettata; permettendo così di mantenere l’ineguaglianza e sopire le resistenze
femminile. Nei gruppi sociali e nei contesti lavorativi questa visione assume la forma del paternalismo
benevolo. Perciò, così come il fardello dell’uomo bianco
10
serviva a giustificare il colonialismo e lo
sfruttamento, il paternalismo sessista serve a giustificare lo status di superiorità dell’uomo sulla
donna in nome della funzione di protettore o procacciatore di risorse (dal ‘cibo’ nel passato, allo
‘stipendio’ nel presente). La struttura del sessismo benevolo e del paternalismo, in sintesi, si basano
sull’idea di incapacità dell’altra. Ciò ha delle influenze indubbie su chi si sente vittima di tali
relazioni, sia a livello familiare che quotidiano e lavorativo. La ripetizione di atti linguistici
paternalisti, porta a una maggiore difficoltà di acquisizione delle competenze, interiorizzando,
come una profezia autoavverante, la visione perpetuata dal paternalismo stesso. La forza del
paternalismo, inoltre, risiede nella promessa di impiegare il potere a vantaggio delle vittime, potere
che resta però in mano agli uomini.
Entrambe queste modalità, seppur radicalmente diverse, portano comunque allo stesso fine: la
reiterazione e il mantenimento del modello patriarcale. La doppia morale sulla sessualità è uno degli
esempi che permette di cogliere questo aspetto. La donna che ha tante relazioni viene infatti bersagliata
dal sessismo ostile, discriminandola e cercando di re-immetterla nella strada consona; quella che
rispetta la moralecomune, al contrario, viene colpita dal sessismo benevolo con lo scopo di mantenerla
nel suo ruolo elogiando la sua purezza. In entrambi in casi, dunque, il fine è inchiodare a quel corpo
sessuato il ruolo stabilito.
È importante sottolineare, però, che non c’è volontà di colpevolizzare uomini e donne immerse in questa
prassi. Tutte le persone infatti sono vittimedel sistema patriarcale che produce queste modalità
sessiste, portando dei riscontri negativi anche agli uomini stessi. La percentuale maggiore di suicidi
11
degli uomini nei posti di lavoro, o causati delle pressioni sociali insinuate nella mascolinità, ne sono
alcuni esempi. Riflettere su queste tematiche significa creare condizioni migliori per tutte le persone.
A ogni modo, procedendo nell’analisi, oltre alla distinzione tra ostile e benevolo, Volpato individua una
scala del sessismo basta su tre aspetti, declinabili in modo differente in base alla modalità (2013, p. 65):
(1) le relazioni di potere; (2) i ruoli e gli stereotipi; (3) le relazioni intime eterosessuali. Per quanto riguarda
la visione ostile, alcuni esempi possono essere espressioni come: le femministe vogliono che le donne
abbiano più potere degli uomini (1); è tipico delle donne lamentarsi di essere state discriminate se
perdono in competizioni contro gli uomini (2); le donne provano piacere a mostrarsi sessualmente
disponibili agli uomini e rifiutando poi i loro approcci (3). In quella benevola invece: nelle calamità
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Espressione con cui Kipling, scrittore britannico, vuole indicare il grave compito morale che spetta ai
colonizzatori, mossi, secondo lui dal dovere di civilizzare le popolazioni arretrate anche a costo di affrontare mille
pericoli e mille insidie.
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https://www.epicentro.iss.it/mentale/giornata-suicidi-2020-fenomeno-suicidario-italia
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donne devono essere salvate prima degli uomini (1); molte donne hanno doti di purezza che pochi
uomini posseggono (2); ogni uomo dovrebbe avere una donna da adorare (3)”.
In sintesi, il sessismo benevolo viene usato per premiare le donne che stanno al loro posto, quello ostile
per punirle. Un gioco di premi e punizioni che permettono lo sviluppo della subordinazione. Un
procedimento identico a quello sottolineato da Butler in molti dei suoi testi, dove sostiene come il genere
stesso sia il prodotto di possibilità e punizioni in caso di tentativo di sovversione; vedendo nell’hate speech
proprio una modalità di quelle punizioni (Butler 1997a, pp. 61-68).
In ambito lavorativo il sessismo è molto insinuato, sia nella forma benevola che ostile. La prima si
percepisce da una prospettiva paternalistica; la seconda in visioni stereotipiche dure. Chiaramente
l’ideologia sessista incide su valutazioni di competenze, abilità e prestazioni femminili, rivelandosi, per
esempio, nella percezione di valore che si a uomini e donne quando lavorano assieme, dove
genericamente le seconde si sentono invisibili e meno ascoltate dei primi. Dal questionario
somministrato alle aziende, quest’ultimo dato emerge fortemente; infatti, l’80% di chi si identifica donna
sente che le proprie idee, nonostante la competenza, non vengano tenute in considerazione. Avvertendo
ovviamente queste situazioni come discriminatorie e impari.
Formare sulle diverse forme di sessismo e cercare di mettere in luce le sue possibili concretizzazioni è un
passo decisivo per sviluppare ambienti collettivi antidiscriminatori. Questo può passare attraverso più
strade, dalla duplicazione dei nomi di specifici lavori (come avvocato/avvocata), a forme di
comunicazioni e relazioni meno stereotipiche, vedendo quindi ogni persona come soggetto/a
specifico/a e non come insieme di stereotipi prescritti e inevitabili.
Visto che entrambe le forme di sessismo fondano loro stesse su stereotipi nonché attribuzioni prodotte
dal linguaggio e inchiodate a corpi anatomici, è ora necessaria una breve disamina degli stereotipi e delle
loro funzioni.
5. Stereotipi e discriminazioni linguistiche. Delineare strade attraverso visioni
descrittive e prescrittive
Etimologicamente la parola stereotipo deriva dalla composizione di due termini greci, stereos (solido) e
typos (modello), indicando quindi un modello solido, difficile da cambiare e che si poggia su due attributi:
replicabilità e rigidità. Da questa definizione Volpato caratterizza lo stereotipo come una rappresentazione
mentale che collega determinate categorie sociali a specifici attributi tramite associazioni di tipo probabilistico
(2013, p. 28). In quanto immagini mentali, la forza dello stereotipo riguarda il fatto che influenza il
pensiero e le relazioni di ogni persona, orientando le relazioni a partire da attributi socialmente condivisi
che producono di conseguenza aspettative specifiche; ad esempio, una maggiore propensione per le
materie STEM
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da parte degli uomini e facoltà umanistiche per le donne. A livello funzionale, pertanto,
gli stereotipi indicano come le persone agiscono o come dovrebbero agire in relazione allo stereotipo
assegnato, a partire da due funzioni connesse tra loro:
1. La funzione descrittiva: dunque dire come le persone sono rispetto allo stereotipo stesso. Ovvero l’elenco
di caratteristiche, imparate nel corso della vita e ripetute quotidianamente, legate alla categoria:
l’elemento rigido dello stereotipo. Ad esempio, l’uomo è competitivo; la donna è collaborativa.
2. La funzione prescrittiva: quindi come le persone dovrebbero essere a partire dalle descrizioni: elemento
della replicabilità. Questa funzione arriva ancora prima della persona stessa e porta a casi di
autostereotipizzazione (Volpato 2013, p. 30). Implica dunque una strada prestabilitache condiziona
ogni essere umano in modo tale da farlo conformare ai ruoli sociali; che, in quanto assunti fin dalla
nascita, vengono confusi poi come tratti naturali e inevitabili.
Ricapitolando, gli stereotipi hanno due funzioni interconnesse, descrittiva e prescrittiva, e si declinano
in base alla categoria verso cui lo stereotipo si rifà, come l’orientamento sessuale, la religione, il pensiero
12
Con STEM si indicano le discipline scientifico tecnologiche. La parola si forma dalla prima lettera di science,
technology, engineering and mathematics.
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politico o il genere. Essi riguardano ovviamente anche le visioni e possibilità in ambito lavorativo. Per
quanto riguarda gli stereotipi di genere connessi alla leadership, ad esempio, tendenzialmente si vede
nel maschio l’agency, ovvero l’essere autocentrati, orientati al compito, impegnati nel raggiungimento dei
propri obbiettivi, mentre nella femmina la communality, dunque pensare agli altri, essere attente alle
relazioni, provare empatia e comprensione. Le qualità femminili portano quindi ad essere più amate,
mentre le maschili più rispettati. Il rispetto però è fondamentale per il potere, ciò deduce, sempre
stereotipicamente, che gli uomini siano più propensi al potere e alla leadership; tant’è che le donne
devono assumere i tratti maschili per divenire buone leader, trasformandosi in donne con le palleo
uomini dell’anno
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così da mantenere vivi e replicabili gli stereotipi.
In tutto questo discorso il linguaggio gioca un ruolo decisivo, poiché quotidianamente vita,
replicando, il modello sessista e stereotipico. Ciò avviene non solo con atti linguistici apertamente in
linea con il modello, ma anche attraverso espressioni differenti; quest’ultime spesso percepite o
considerate in particolare da chi produce e usa tali espressioni non discriminanti.
Riflettere sulle varie forme con cui noi assumiamo e tramandiamo strutture prescrittive e descrittive è
necessario per poter pensare a strategie comunicative efficaci, utili a produrre climi aziendali inclusivi,
come attestato da alcuni dati emersi dal questionario. Alle persone intervistate infatti era stato
domandato se frasi ironiche, scherno o battute potessero risultare discriminanti. Nella generalità, si
considerano tali espressioni al 49% per nienteo pocoinfluenti. Al contrario, invece, chi si è sentita/o
discriminata/o ha indicato al 67% abbastanzaimpattanti, sottolineando una percezione maggiore e,
di conseguenza, una necessità di sensibilizzazione su quest’uso del linguaggio.
Lorenzo Gasparrini (2019), filosofo femminista, nel suo saggio, Non sono sessista ma…, schematizza le varie
possibilità di reiterazione attraverso il linguaggio, suddividendole in:
1. Proverbi: brevi frasi che esprimono conoscenze o supposte verità basate sull’esperienza. Il numero di
proverbi sessisti è immenso. Pensiamo al celebre mogli e buoi dei paesi tuoiche, in sei parole
condensa tre razzismi: sessismo, specismo e geografico. Non si contano i proverbi che mettono in
guardia dalle presunte qualità negative della donna: astuzia, malizia, malignità, goffaggine, illogica,
sventatezza, sbadataggine, etc. Importante è sottolineare che anche i proverbi che inchiodano qualità
stereotipiche sono sessisti, ricadendo nella visione benevolaprecedentemente discussa: altruismo,
carità, disinteresse, cura, sensibilità e via dicendo. In più, proprio perché si presume che i proverbi
siano tratti da esperienze di vita, molti sono indicatori di condotte apertamente sessiste.
2. Modi di dire: o più tecnicamente espressione idiomatica, è un’espressione che assume un significato
specifico, a volte non legato dalle singole parole che lo compongono. In ambito sessista troviamo:
essere come la moglie di Cesare”.
3. Luogo comune: è un’espressione che originariamente aveva un significato preciso e circostanziato,
nonché dettato da osservazioni realistiche, ma che con il tempo ha perso completamente capacità
oggettiva o descrittiva, diventando qualcosa di generico. Nessuno verifica in fatti se non ci sono
più le mezze stagionio se una volta qui fosse tutta campagna. In ambito sessista: le donne del
sud sono passionali, del nord fredde e dell’est puttaneanzi le donne sono tutte puttane in fondo.
Un luogo comune è quindi una formula linguistica la cui diffusione, ricorrenza o familiarità ne
determinano l’ovvietà o l’immediata riconoscibilità, attribuendone così autorevolezza. È l’ascolto
che fonda il luogo comune, in comunità che non comprenderanno più il luogo comune, esso non
esisterà più. In breve, ogni generalizzazione di caratteristiche stereotipiche dei generi è un luogo
comune: l’uomo è cacciatore e la donna è preda”.
4. Pregiudizio: è una deduzione prematura, un ragionamento fatto in assenza di alcuni elementi e che,
quindi, ne presuppone altri. Ad esempio, che la donna dica noper dire ; che una donna debba
sempre gradire un complimento sul suo aspetto fisico; che sia meno propensa a determinati lavori
e via dicendo. Ci sono anche forme di pregiudizi più complessi, come tutte quelle retoriche che
descrivono per esempio femminicidi in modo da far passare una corresponsabilità della donna: si
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Titolo usato dal giornale Libero nel 2023 per indicare Giorgia Meloni:
https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/37969005/giorgia-meloni-uomo-anno-2023-mario-sechi-
cancellato-guerra-sessi.html
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è sottratta a un abbraccio, si vestiva con la minigonna, voleva lasciare il compagnoe così via.
Tutte espressioni che spesso ritroviamo in articoli di giornale o sentiamo dire nei talk show.
(Gasparrini 2019, pp. 40-45).
Analizzate le varie forme, resta fondamentale sottolineare l’aspetto dell’intenzionalità. Infatti, seppur i
propositi possono essere ironici e scherzosi, o posso rifarsi a espressioni o frasi tradizionalmente
tramandate e/o condivise, ciò che dà loro senso è il modello sociale di fondo, in questo caso il sessismo.
Modello che, proprio per dare senso a quelle espressioni, verrà reiterato nel loro uso, sviluppando, in
ambiti lavorativi e collettivi, ambienti o climi impari e discriminanti. Questo aspetto sottolinea una
duplice dimensionalità nella comunicazione, quella diretta e legata al contesto, e quella indiretta e legata
all’ambiente o clima. Avere consapevolezza, da parte di lavoratori e lavoratrici, che le loro espressioni
linguistiche possono comunque produrre climi discriminanti, anche se rivolte a persone che non
patiscono con la loro specifica sensibilità l’espressione stessa, è un passo importante per riflettere su forme
interne ed esterne di comunicazione aziendale. Ciò è stato uno degli obiettivi posti nel primo incontro
formativo avvenuto nelle aziende partner, riportando, almeno secondo i dati emersi da un questionario
valutativo successivo, risultati positivi, indicando prevalentemente una crescita di coscienza personale.
Si chiese infatti se l’incontro avesse accresciuto la loro sensibilità sulle tematiche di genere, vedendo un
al 74,2%. È inoltre interessante sottolineare che, applicando un filtro di genere, chi si identifica come
Donnaha risposto al 100%.
Approfondire i meccanismi profondi del linguaggio e dei modelli che reiterano, sembra dunque una
modalità efficace di intervento in ambito lavorativo; ritengo sia infatti poco incisivo illustrare solamente
come usareun linguaggio inclusivo senza la consapevolezza del perché è necessario e della portata,
nonché responsabilità, che la comunicazione ha a tutto tondo. Ciò rischierebbe infatti di portare a una
banalizzazione del tema.
6. Conclusione
In conclusione, il linguaggio è insito di potere relazionale e costituente, denso di falsa neutralità che
reitera modelli di dominio. Ogni dato, da quello biologico a quello filosofico, non è mai neutro ma, come
individuato da Foucault, carico genealogicamente di sapere-potere. Potere dettato sia dalla diretta
relazione tra linguaggio e pensiero, che dalla capacità del linguaggio di significare ogni aspetto della
realtà, producendo modelli di dominio a partire da categorizzazioni che retroattivamente assumiamo
come naturali. Modelli e concetti che, elevati a universali e neutri, utilizziamo poi per instaurare
rapporti, stabilire significati, definire ruoli sociali, creare strutture lavorative e via dicendo. Ripensare
tali modelli significa mettere in luce il maschile-mostruoso nascosto dietro il neutro. Per questo,
secondo Cavarero, per combattere il dominio maschile patriarcale bisogna diffidare della neutralità del
linguaggio, della sua oggettività scientifica(Cavarero 1991, p. 50). Parlare, infatti, non è mai neutro.
Una lingua non solo è antropologica, bensì anche andrologica; ovvero quella di un soggetto sessuato che
impone i suoi imperativi come universalmente validi.
Sostenere che il linguaggio è sessuato e, in particolare, andrologico, implica, seguendo Demaria (2019,
p. 230), pensare il genere non solo come una categoria grammaticale, ma anche come una categoria
semantica in grado di manifestare un simbolismo legato al corpo. Un simbolismo che impregna ogni
parola di dominio, di discriminazione e d’odio, penetrando nella carne e nel corpo di chi usa e riceve
tale linguaggio. Reiterando stereotipi, possibilità, atteggiamenti che entrano in noi fino a modellare e
influenzare i nostri desideri e le nostre pulsioni (Butler 1997b). Analizzare le strutture sessiste e
androcentriche che si celano dietro la falsa neutralità di alcune strutture grammaticali e concetti
filosofici, è un passo decisivo per poter pensare a un linguaggio realmente neutro e inclusivo. Un
linguaggio che possa permettere una riscrittura dei modelli dominanti: è precisamente l’espropriazione
del discorso dominante ‘autorizzato’, che costituisce un sito potenziale della sua risignificazione
sovversiva(Butler 1997a, p. 157).
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Lavorare sul linguaggio, sul neutro e sulla mascolinità in relazione ad esso, è ciò che può permettere
dunque una riscrittura dei modelli stereotipici e categorizzanti, purificandoli e risignificandoli. Un
linguaggio neutro, perciò, non può fondarsi su un particolare resosi universale, ma deve basarsi
sull’accogliere il fluido che c’è tra le molteplici particolarità; abbattendo così i rigidi attributi assegnati a
ogni persona a partire da specificità anatomiche. Simboli come la schwa o l’asterisco hanno proprio il
compito di indicare quel vuoto che può essere riempito e particolarizzato in modo specifico, così come
restare fluido. Un linguaggio neutro deve, quindi, reggersi sul vuoto, sulla spaziatura che c’è tra ogni
specificità, potendo diventare, di volta in volta, quella specificità che ogni persona è in quel preciso
momento del suo esistere.
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Bibliografia
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