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A QUATTRO ANNI DA 'LA LEGGENDA CTONIA': RILEVANZA, ESITI, INTEGRAZIONI E CONSIDERAZIONI (PERSONALI) MISCELLANEE

Authors:
  • Independent Researcher

Abstract

Michele Sanvico, attualmente il maggiore esperto al mondo della tradizione leggendaria relativa al Monte Sibilla e al Lago di Pilato, in Italia, ripercorre i passi che condussero alla pubblicazione dell'innovativo articolo 'La leggenda ctonia' il 25 marzo 2020, un contributo fondamentale relativamente allo studio dell'eredità leggendaria dei Monti Sibillini. 'La leggenda ctonia' ha aperto prospettive di ricerca inedite stabilendo un originale collegamento tra i due rinomati racconti leggendari, relativi a una Sibilla Appenninica e a un prefetto romano, e la peculiare sismicità di questo territorio, situato nell'Italia centrale: un aspetto fondamentale che è stato del tutto trascurato in tutti gli studi precedenti. Nel presente articolo Michele Sanvico analizza, a quattro anni di distanza, il significato e gli esiti della ricerca proposta in 'La leggenda ctonia', fornendo anche nuovi riferimenti e integrazioni. Vengono inoltre proposte considerazioni (personali) miscellanee, stabilendo anche una connessione tra l'articolo scientifico pubblicato nel 2020 e il romanzo 'L'undicesima Sibilla - Abyssus Sibyllae' edito dieci anni prima: un approccio letterario e poetico che ha permesso all'Autore di pensare 'fuori dagli schemi', preparando la strada all'ottenimento di nuovi risultati, mai in precedenza raggiunti, in relazione alle leggende sibilline.
MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
A QUATTRO ANNI DA LA LEGGENDA CTONIA:
RILEVANZA, ESITI, INTEGRAZIONI E CONSIDERAZIONI
(PERSONALI) MISCELLANEE1
1. Otto secoli di mistero e poi una svolta
Ottocento anni. Quantomeno. Assai probabilmente, molti di più. Lungo
tutto questo lunghissimo abisso di tempo l'enigma dei Monti Sibillini ha
vissuto la propria vita segreta, occultato da un elusivo, incomprensibile
velo di oscurità, riserbo e mascheramento.
1 Articolo pubblicato il 09/08/2024 su https://www.researchgate.net/ e https://www.academia.edu/
1
Poi, quasi inaspettatamente, quattro anni fa quel velo è improvvisamente
caduto.
Il 25 marzo 2020 l'articolo Monti Sibillini, la leggenda ctonia di Michele
Sanvico appare a conclusione di una lunga serie di articoli successivi e
interconnessi, finalmente illuminando di una luce brillante un enigma che
era stato oggetto di perplessa attenzione da parte di illustri studiosi, sia in
Europa che nel mondo, per secoli e secoli.
Una Grotta abitata da una Sibilla Appenninica e un Lago di Ponzio Pilato,
situati tra gli Appennini, nell'Italia centrale. Due affascinanti leggende, due
illustri personaggi - una leggendaria profetessa oracolare e un antico
prefetto romano, storicamente esistito - due punti di riferimento geografico
che segnavano i luoghi nei quali le due leggende avevano esplicato il loro
significativo, pluricentenario potenziale: una Grotta e un Lago, distanti
solamente 8,3 chilometri l'una dall'altro, posti all'interno dello stesso
massiccio montuoso, denominato “Sibillini” proprio in connessione con
une delle due leggende.
Nei secoli passati, l'attrazione fatale che promanava dai due racconti
leggendari aveva attirato verso questa remota porzione d'Italia viaggiatori
europei appartenenti a categorie differenti: nobili, cavalieri, maghi, eruditi,
cacciatori di tesori, poeti e scienziati, in cerca di un magico regno nascosto
oltre l'ingresso della grotta situata sulla vetta del Monte Sibilla, oppure alla
ricerca di un sito adatto ove effettuare la consacrazione di libri magici ai
demoni. Riferimenti letterari a proposito di queste visite sono rinvenibili a
partire dal quattordicesimo secolo - con la menzione del lago così come
riportata da Petrus Berchorius - per proseguire poi nel quindicesimo - con
le fondamentali opere vergate da Andrea da Barberino e Antoine de la Sale
- e arrivare fino al mondo moderno, transitando per i secoli sedicesimo e
diciassettesimo, in relazione ai quali è possibile reperire numerosissime
menzioni.
Ma perché queste leggende si sono radicate, con tutta la propria peculiare
fascinazione, esattamente qui?
Sin dalla prima menzione che di queste narrazioni è possibile rinvenire,
fornitaci da Berchorius, nessuno è stato in grado di risolvere questo enigma
così sconcertante, proponendo una motivazione ragionevole che potesse
2
spiegare la nascita (o lo stabilirsi) di tali leggende in questa specifica area
geografica.
Gli autori storici, dal medioevo fino all'Età dei Lumi, non hanno potuto fare
altro che notare come entrambe le leggende debbano essere considerate
come inspiegabili, e anche del tutto prive di mutua correlazione: il compito
impossibile di identificare una qualsivoglia origine o fonte per i due
racconti leggendari, che parevano non avere neppure nulla in comune,
aveva condotto molti studiosi a negare, semplicemente, che potesse
sussistere la benché minima possibilità di potere mai rinvenire una
spiegazione credibile per i due racconti, derubricando quindi l'intera
materia a chiacchiere propagandate dalla popolazione locale, utili
solamente come soggetto di discussione per i numerosi sempliciotti attirati
presso questi luoghi da ogni angolo d'Europa.
Gli studi moderni, che hanno avuto inizio nella seconda metà del
diciannovesimo secolo con Alfred von Reumont, Arturo Graf, Gaston Paris,
Pio Rajna e altri, hanno subìto il medesimo destino di inesplicabilità:
l'innegabile richiamo seduttivo elevantesi dalla Grotta della Sibilla e dal
Lago di Pilato non ha potuto che scontrarsi inesorabilmente con una sorta
di muro di cemento, in grado di impedire ogni ulteriore investigazione in
merito all'origine delle due enigmatiche storie. Nessuna menzione a
proposito di quella specifica Sibilla o relativa alla presenza negli Appennini
di quell'illustre prefetto romano è rinvenibile nella letteratura classica e
medievale anteriormente al secolo quattordicesimo. Una totale oscurità ha
da sempre accompagnato ogni tentativo di illuminare il passato, in modo
tale che gli studiosi non hanno potuto che concludere come l'intera
problematica fosse destinata a rimanere immersa, assai probabilmente, nel
dubbio più totale.
Poi è arrivato l'articolo di ricerca Monti Sibillini, la leggenda ctonia,
elemento finale di una serie di pubblicazioni già in precedenza rilasciate sul
medesimo argomento. E ottocento anni di sconcerto, nonché
centocinquanta anni di moderni dubbi interpretativi, sono stati dissipati.
Perché la chiave per risolvere l'intera questione era nascosta all'interno di
una singola parola. E la parola era 'terremoti'.
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Per la prima volta in assoluto, una correlazione veniva stabilita tra l'origine
del complesso leggendario che abita i Monti Sibillini e la peculiare
sismicità di quella stessa regione montuosa.
Fig. 1 - L'articolo originale Monti Sibillini, la leggenda ctonia, pubblicato il 25 marzo 2020
Perché le narrazioni relative a una Sibilla e a un prefetto romano non sono
originali. Esse giungono da altri luoghi (la Materia di Bretagna per la
Sibilla, gli scritti apocrifi protocristiani per Pilato), e si sono stabilite in
quest'area presso punti di riferimento geografici che erano già pre-esistenti:
una Grotta e un Lago.
Questi punti di riferimento ospitavano forse, ipoteticamente e su base
congetturale, un culto risalente all'Età del Ferro dedicato ai terremoti e ai
correlati demoni sotterranei.
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Ma come è stato possibile elaborare questa congettura? E perché tutto
questo è potuto accadere solamente nell'anno 2020, dopo secoli di
perplessa, inefficace trattazione dell'intera materia?
Il presente articolo intende costituire una sorta di prosecuzione di
quell'innovativa pubblicazione, proponendo risposte alle problematiche
sopra delineate, illustrando alcuni ulteriori aspetti significativi relativi alla
ricerca del 2020 e descrivendo una serie di risultanze e implicazioni
derivanti dalla pubblicazione di quella stessa ricerca.
Saranno anche incluse una serie di considerazioni miscellanee, molte delle
quali marcate da un tratto più particolarmente personale, in modo da
preservare la memoria di alcuni momenti significativi relativi a un
appassionante processo di elaborazione durato diversi anni.
2. La metodologia e il contesto scientifico
2.1 Centinaia di anni senza una risposta, ecco perché
2.1.1 Il problema metodologico
Come è stato possibile che una formale, esplicita connessione tra i
terremoti e l'eredità leggendaria localmente viva tra i Monti Sibillini non
sia stata mai affermata prima dell'anno 2020, e ciò benché così tanti
studiosi ed eruditi si siano soffermati, nel corso di vari secoli, sulle strane
storie che riguardavano una grotta della Sibilla e un lago di Ponzio Pilato,
situati al centro dell'Italia?
Dopotutto, lo specifico comportamento sismico dei Monti Sibillini non
costituisce affatto un aspetto sconosciuto (con significativi terremoti
occorsi in antico e poi nel 1328, 1703, 1730, 1859, 1979 e 2016), in modo
tale che nel corso dei secoli uno o più ricercatori ben avrebbero potuto
avere la possibilità di stabilire una potenziale connessione tra due idee
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apparentemente così dissimili: sismi ricorrenti e devastanti, e presenza
negli stessi territori di insoliti racconti leggendari.
Assai paradossalmente, una grande conferenza scientifica internazionale è
stata tenuta in due sessioni (Cascia 2019 e Le Mans 2021) proprio nelle
terre della Sibilla Appenninica: Living with seismic phenomena in the
Mediterranean and beyond between Antiquity and the Middle Ages
intendeva confrontarsi con questi medesimi argomenti, includendo anche
l'analisi delle relazioni tra miti e terremoti. La sede della conferenza in
Cascia, situata a pochi chilometri di distanza da Norcia, nell'Appennino
centrale, era stata esplicitamente selezionata perché quella terra - la terra
della Sibilla Appenninica, del suo mito e del suo legame con le scosse
sismiche - era stata colpita da devastanti terremoti nel 2016 e 2017. Eppure,
nessuno, tra quei ricercatori, ha pensato, prima durante e dopo la
conferenza, che forse la Sibilla avrebbe potuto essere, in quell'occasione, la
regina di tutti gli ospiti. Nessuno, proprio come negli anni e nei secoli
precedenti, ha stabilito nel corso di quell'evento alcuna connessione tra le
tradizioni leggendarie che abitano presso i Monti Sibillini e i terremoti.
Ripetiamolo ancora: nessun autore, nessuno studioso ha mai sollevato la
questione o stabilito una tale connessione. Nessuno ci aveva mai pensato
prima. Nessuno è stato mai cosciente di questa possibilità. La ricerca è
semplicemente rimasta immobile per secoli, quasi attonita. Nemmeno una
prestigiosa conferenza scientifica dedicata a quegli stessi argomenti e
tenutasi presso i luoghi stessi del mito è risultata di alcun ausilio ai fini
della risoluzione dell'enigma.
Ma perché questa idea non è mai venuta in mente a nessuno?
Le ragioni sono molteplici. E sono tutte connesse a cruciali problematiche
metodologiche.
Sia gli autori antichi che i moderni ricercatori hanno fallito
nell'applicazione dell'opportuno approccio metodologico alla complessa,
problematica, pluristratificata questione rappresentata dalla tradizione
leggendaria dei Monti Sibillini.
La corretta metodologia è stata finalmente applicata dall'Autore del
presente articolo a partire dall'anno 2018, con il raggiungimento delle
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innovative risultanze pubblicate nell'ambito della serie di articoli Sibilla
Appenninica - Il Mistero e la Leggenda.
Andiamo allora a vedere come metodi errati abbiano fuorviato i ricercatori
per secoli. E come, invece, la metodologia corretta abbia potuto recare
buon frutto nell'anno 2020.
2.1.2 'Trattarle come un'unica leggenda': l'approccio che nessuno ha
seguito
Il primo fondamentale errore nella trattazione dell'eredità leggendaria che
vive tra i Monti Sibillini è la duplicazione: i racconti leggendari narrati a
proposito della Grotta della Sibilla e del Lago di Pilato sono stati sempre
trattati come due narrazioni separate e indipendenti.
Ma esse non lo sono.
Da Petrus Berchorius ad Antoine de la Sale, da Flavio Biondo a Leandro
Alberti, dal sedicesimo al diciassettesimo secolo, e poi dai filologi del
secolo diciannovesimo fino ai ricercatori del ventesimo, tutti gli studiosi si
sono confrontati con il misterioso Lago e l'enigmatica Grotta con il
medesimo approccio errato: nella loro visione, le due leggende non
avevano nulla a che fare l'una con l'altra, e i riferimenti ad esse venivano
redatti nella forma di una mera giustapposizione dei due racconti,
menzionati l'uno accanto all'altro senza alcuna reciproca connessione.
A titolo di esempio tra i tanti, nel 1550 Leandro Alberti scrive che «vedesi
alla parte de quest'altissimo monte, (che riguarda all'oriente) quel tanto
famoso Lago de'l quale se dice che vi appareno i demoni costretti dagli
incantatori, & che qui vi parlano con essi», con una annotazione successiva
nella quale egli segnala che «è vicina (però in detto Apennino) la larga,
horrenda & spaventevole spelunca nominata Caverna della Sibilla...». Due
racconti, nessuna relazione reciproca.
Questo genere di errore interpretativo persiste anche in tempi assai più
tardi, se nel 1903 il grande filologo francese Gaston Paris scrive che «non
lontano da lì [dal Monte Sibilla] si trova anche il 'lago di Pilato'... Non
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parlerò però della tradizione, di antica data, secondo la quale i negromanti
si recavano a far consacrare i propri libri magici in un'isoletta situata in
mezzo al lago. Né Pilato, né i negromanti hanno nulla a che fare con la loro
vicina Sibilla. È solo di quest'ultima che voglio ora parlare...».
Eppure l'unità è uno degli elementi chiave nella risoluzione dell'enigma. La
Grotta e il Lago devono essere trattati come una singola eredità
leggendaria. Separare la Sibilla e Pilato significa solamente che le
caratteristiche comuni le quali segnano le due leggende vengono a perdersi
nell'analisi, e l'investigatore è lasciato solo a confrontarsi con uno
sconcertante oracolo mai attestato nell'antichità e un prefetto romano del
tutto fuori contesto.
Fig. 2 - Il Lago di Pilato e la Grotta della Sibilla nei Monti Sibillini: un singolo complesso leggendario
che rende necessario un approccio di ricerca integrato
Oggi sappiamo che le due figure non sono che mere parvenze, essendo
state oggetto di un trasferimento da altri luoghi e provenendo da tradizioni
leggendarie estranee e specifiche: non vi è alcuna utilità nel soffermarsi su
di esse, se non per identificare e rimuovere i livelli leggendari aggiuntivi ad
esse associati, livelli che schermano il mito sottostante.
E dunque, mutua correlazione e unità sostanziale segnano il percorso
corretto da seguire, mentre la duplicazione costituisce un errore. Un errore
persistente, fino all'anno 2020.
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2.1.3 L'approccio filologico in precedenza mancante
Un altro errore metodologico è connesso a una sorta di approccio 'cieco',
'fideistico', carente di ogni reale approfondimento. Un approfondimento che
non può che essere basato su solide fondamenta filologiche.
Per centinaia di anni gli autori letterari e gli eruditi - da Antoine de la Sale
in poi - si sono confrontati con l'elusiva sembianza di una Sibilla degli
Appennini, meravigliandosi di fronte al curioso fatto che nessuna fonte
antica abbia mai menzionato questo oracolo, né nei cataloghi classici in
quelli medievali; e lo stesso è accaduto in riferimento a Ponzio Pilato e ai
demoni che asseritamente avrebbero abitato le acque del lago,
un'occorrenza alquanto enigmatica in quanto nessuna relazione è stata mai
rinvenuta tra questa porzione d'Italia e il famoso prefetto della Giudea,
vissuto nel primo secolo, in modo tale che quella demoniaca presenza è
stata considerata da tutti i ricercatori come una mera favola, apprezzata
solamente dai viaggiatori più stolti.
Nessuno aveva mai tentato di scavare al di sotto di questa sibillina
parvenza, così singolare, mai attestata in precedenza, e dietro questo
ufficiale romano, così estraneo a questi luoghi, l'uomo che aveva
condannato Gesù Cristo alla morte in una lontana provincia dell'impero.
Nessuno aveva mai cercato di investigare la vera provenienza di questi
racconti così curiosi, prendendo invece ciecamente per buono il fatto che
entrambi i racconti fossero nati, in qualche modo e in qualche preciso
momento della storia, esattamente lì, tra quegli stessi Monti Sibillini: un
vuoto salto di fede, del tutto non provato e, alla fine dei conti, facilmente
confutabile.
E infatti tutto ciò non era affatto vero. E una semplice analisi condotta sulla
base di coerenti criteri filologici avrebbe facilmente rivelato un fatto che
appare essere assolutamente palese: quando cessiamo di pensare alla Sibilla
Appenninica e a Ponzio Pilato come a racconti nativi di queste zone,
iniziamo anche ad apprezzare l'evidenza della loro origine estranea e non
autoctona. I due racconti sono nati altrove e hanno subìto successivamente
un processo di trasferimento proprio al centro dei Monti Sibillini.
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Da un punto di vista filologico, il reperire le vere origini delle due
narrazioni non è stato affatto un compito difficile (e - tra una moltitudine di
studiosi - solamente un giovane Luigi Paolucci, nel 1947, aveva indicato
esattamente la giusta direzione che i ricercatori avrebbero dovuto seguire):
l'ascendenza medievale del racconto sibillino era facilmente rintracciabile
attraverso i molti testi che sono parte della Materia di Bretagna (' Sebile' è
una compagna e alter-ego di Morgana la Fata); inoltre, una simile
ascendenza poteva essere di fatto rilevata anche per Ponzio Pilato, con
un'estesa collezione di testi protocristiani e altomedievali che narrano le
leggende a proposito del destino funesto del cadavere del prefetto romano.
Dunque la filologia avrebbe potuto e dovuto costituire un pilastro
fondamentale a supporto della via verso la verità: un pilastro che, invece, è
stato incredibilmente eluso dai più illustri filologi (Gaston Paris, Pio Rajna,
Fernand Desonay e altri). Ad esempio, Gaston Paris sembra non avere mai
posto in evidenza il manifesto collegamento filologico che può essere
palesemente stabilito tra le porte di metallo «che battono giorno e notte
incessantemente, chiudendosi e riaprendosi», descritte da Antoine de la
Sale come un punto di accesso al regno sotterraneo della Sibilla
Appenninica, e l'analogo punto di accesso presente nel poema duecentesco
Huon di Bordeaux, con le sue statue «fatte tutte di bronzo ben rifinito,
Ognuna di esse impugna un doppio flagello, tutto di metallo, paurosi a
vedersi. Essi battono continuamente, sia d'estate che d'inverno»: un colpo
mancato incredibilmente, se pensiamo che quegli stessi uomini di bronzo
armati dei loro flagelli sono ritratti in una illustrazione dell'edizione, curata
proprio da Gaston Paris, dell'Huon di Bordeaux, pubblicata nel 1898.
E così, la filologia è il primo pilastro. Ma c'è anche un ulteriore pilastro,
anch'esso fondamentale, e di un genere tale che nessun filologo sarebbe
mai stato capace di prenderlo in considerazione.
Questo ulteriore pilastro è il pensare 'fuori dagli schemi', o anche (in
inglese) 'outside-the-box'.
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Fig. 3 - Un disegno tratto da Huon da Bordeaux, edizione curata da Gaston Paris nel 1898, raffigurante
Huon che supera le due statue di bronzo dotate di flagelli roteanti
2.1.4 Pensare 'fuori dagli schemi': l'approccio che gli studiosi
professionali non riescono a seguire
La filologia non è sufficiente, benché certamente questa illustre disciplina
sia in grado di condurre il ricercatore nella giusta direzione.
Perché una volta eliminate le narrazioni non autoctone relative a una Sibilla
e a un prefetto romano, si rimane apparentemente senza nulla tra le mani.
Cosa c'era prima che i due racconti estranei giungessero in questo
territorio? La filologia non fornisce alcuna risposta a questa domanda:
nessuna opera più antica contiene alcuna menzione a proposito del Monte
Sibilla o del Lago di Pilato, dunque perché questi punti di riferimento
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geografico hanno attirato a racconti così potenti e famosi? E cosa si
trovava prima che quelle storie, relativa alla Sibilla Appenninica e a
Ponzio Pilato, vi prendessero dimora?
È proprio qui che la ricerca giunge a un punto di arresto. Ogni
investigazione si blocca. Le mani restano vuote, e la missione pare
assumere il carattere dell'impossibilità.
L'unica possibilità consiste allora nel pensare 'fuori dagli schemi': 'think out
the box', direbbero gli anglosassoni.
È necessario utilizzare il pensiero creativo al fine di stabilire nuove,
innovative connessioni: una fusione tra idee estratte da fonti e ambiti
differenti, da unificare all'interno di una visione singola e originale, in
grado di rendere disponibile un nuovo sistema di riferimento nel quale
l'intera questione, assai problematica e stratificata, possa finalmente entrare
a regime, assumendo un significato totalmente nuovo, e assolutamente
rivoluzionario.
E, nei Monti Sibillini, se si vuole pensare 'fuori dagli schemi', occorre
sicuramente considerare i terremoti.
Ma pensare 'outside the box', e pensare ai terremoti, non è materia per
filologi, i quali hanno sviluppato la propria carriera professionale lavorando
per decenni sugli stessi elementi (testi, manoscritti, ecc.) e con le medesime
metodologie (analisi testuale, studi comparativi, ecc.), spesso concentrando
i propri sforzi di ricerca su minimi dettagli testuali, un approfondimento
'verticale' che impedisce quasi del tutto il perseguimento di una visione
laterale e 'fuori dagli schemi'.
Oltre a ciò, queste persone non hanno mai vissuto nella zona dei Monti
Sibillini, e dunque non hanno mai esperimentato il significato e la potenza
mitica, di notte, della terrificante scossa - sia fisica che spirituale -
provocata dall'improvviso, divino giungere delle onde sismiche.
Ecco perché nessuno studioso - a partire da Arturo Graf nel tardo
diciannovesimo secolo - ha mai fermato il proprio pensiero sui terremoti e
sulla loro connessione con la leggendaria tradizione dei Monti Sibillini.
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Era necessario che intervenisse una figura di confine, una che provenisse
da ambiti differenti, in grado di colmare il divario sussistente tra settori
della conoscenza normalmente separati e non comunicanti.
Fig. 4 - È stato necessario utilizzare il pensiero creativo per affrontare efficacemente la tradizione
leggendaria dei Monti Sibillini
L'Autore del presente articolo costituisce la figura giusta, all'opera al
momento giusto: un fisico; un ricercatore scientifico all'inizio del proprio
percorso professionale; una lunga esperienza presso aziende multinazionali;
un interesse verso le indagini di impostazione giornalistica su temi di
pubblico interesse spesso trattati in modo uniforme dal mondo
dell'informazione; una fascinazione nei confronti della Terra e delle sue
potenti manifestazioni geologiche. E, da ultimo, ma non meno importante,
una presenza personale a Norcia, la città centroitaliana che è storicamente
correlata al racconto della Sibilla Appenninica, e che ha vissuto l'esperienza
di un devastante terremoto proprio nel 2016.
Tutte le connessioni erano lì. Si trattava solamente di collegarle le une alle
altre. E questo è ciò che è effettivamente successo tra il 2018 e il 2020.
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2.1.5 La falsa pista della 'buona Sibilla'
Nel presente articolo voglio dedicare uno spazio ulteriore, seppure breve,
alla falsa pista della 'buona Sibilla', da me già menzionata nell'articolo
Monti Sibillini, la leggenda ctonia.
Molto tempo si è perduto e molto ritardo si è accumulato nel reperimento
della soluzione all'enigma dei Monti Sibillini a causa della diffusione,
quantomeno tra la pubblica opinione, dell'infondato modello relativo a una
'Buona Sibilla Appenninica': una sorta di oracolo protettivo, positivo,
femminista, descritto come un personaggio benigno capace di stabilire una
stretta relazione con le locali comunità di donne, insegnando le arti e le
tecniche artigianali alle contadine e promuovendo una cultura di pace come
memoria di ancestrali società matriarcali, governate da donne e contrarie
alla guerra. Una visione che è stata principalmente promossa dalla
scrittrice, poeta e attivista Joyce Lussu.
Questo modello, del tutto infondato, ha contribuito a confondere il
complessivo scenario, spingendo il sentimento popolare a considerare la
leggenda sibillina come 'buona' e positiva, in contrasto con una leggenda di
Pilato 'cattiva' e oscura. Di nuovo, si è inteso scavare un fossato tra le due
leggende, cosa che ne ha amplificato la duplicità, assieme al relativo carico
di errori interpretativi.
Perché non esiste nulla di simile a una 'buona' Sibilla: le due leggende sono
entrambe oscure e paurose e 'cattive', come viene dimostrato chiaramente
dagli approfondimenti filologici. E il motivo scaturisce dal fatto che
entrambe le leggende trovano probabilmente origine in uno stesso
spaventoso fenomeno, che non lascia spazio alcuno alla gentilezza, alle
brave donne e alla buona manualità artigianale: i terremoti costituiscono
infatti una manifestazione del tutto terrificante e, in quanto tali, essi non
hanno nulla a che vedere con tutto questo.
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2.2 Convivere con i terremoti nei Monti Sibillini (oggi e in antico)
Come avremo modo di vedere in un successivo paragrafo, il verificarsi di
una serie di disastrosi terremoti nell'area dei Monti Sibillini tra il 2016 e il
2017 ha costituito un evento scatenante e un potente propulsore ai fini
dell'elaborazione e dello sviluppo di un modello congetturale concernente
l'origine delle leggende sibilline.
I terremoti, tra queste montagne dell'Italia centrale, rappresentano un
compagno di vita permanente e terrificante, non solo in età antica (come
abbiamo già illustrato nell'articolo Monti Sibillini, la leggenda ctonia), ma
anche oggi.
L'edizione aggiornata (2023) della Mappa di Classificazione Sismica
elaborata dal Dipartimento della Protezione Civile mostra in modo efficace
ciò che avevamo già delineato ne La leggenda ctonia: l'area nella quale si
innalzano i Monti Sibillini si trova ai vertici del rischio sismico in Italia,
risaltando nella mappa come una sorta di isola in perenne allarme rosso nel
mezzo di territori che risultano essere meno soggetti ai terremoti. Una vera
e propria zona attiva, all'interno della quale onde sismiche di grande
intensità possono propagarsi all'improvviso, e con effetti letali.
In questi ultimi anni, gli uomini e le donne della nostra contemporaneità
hanno purtroppo fatto esperienza di una grande terremoto, che ha colpito
questi luoghi con la sua potenza quasi divina. Oltre alle testimonianze già
riportate nell'articolo La leggenda ctonia, riferiamo in questa sede ulteriori
racconti, narrati da persone che si trovavano presso il lato umbro o
marchigiano di quelle montagne in quella giornata maledetta, il 30 ottobre
2016, quando un terremoto di magnitudo 6.5 ha colpito quelle terre, alle
07:40 del mattino.
Una residente di Norcia ricorda che «la notte precedente la terra aveva
rimbombato e borbottato per ore dalle profondità, come se negli abissi che
giacevano sotto di noi una gigantesca pentola stesse ribollendo,
preparandosi a esplodere; tutti ci trovavamo in uno stato di angosciata
aspettazione, eravamo sicuri che qualcosa di terribile stesse per accadere,
certamente ora sarebbe toccato a noi, dopo i precedenti terremoti che si
erano già verificati il 24 agosto e il 26 ottobre». Un altro residente, che
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viveva a Montegallo, un piccolo insediamento posto sul lato orientale delle
montagne, riferisce che «il palazzo del Comune di Montegallo oscillava
pericolosamente: e quella fu una scena assolutamente indimenticabile. Tutti
quanti credevamo che non avrebbe retto e che sarebbe crollato davanti ai
nostri occhi. [...] Tutti noi sapevamo bene che cosa significasse quella cosa.
La scossa era stata veramente forte. [...] I rumori della terra erano
impressionanti. Sembrava che il suolo si alzasse e si abbassasse come se
stessimo attraversando delle onde in piedi su una zattera. [...] Riuscimmo
ad aggrapparci alla nostra macchina per non cadere a terra e le urla di paura
dei nostri amici intorno “vomitavano” il loro terrore. [...] Appena la terra si
fermò [...] il suo grande urlo terminò».
Fig. 5 - Mappa di Classificazione Sismica elaborata dal Dipartimento della Protezione Civile italiana
(marzo 2023)
Queste parole sono state pronunciate da persone che vivono, oggi, nell'area
dei Monti Sibillini: persone che sanno perfettamente cosa sia un terremoto
e cosa sia da porsi all'origine di questi eventi naturali.
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Eppure, un comune sentimento di paura, un pensiero irrazionale collega gli
uomini di oggi agli antichi abitanti dell'Italia centrale, se consideriamo che
quelle stesse persone, nel 2016, hanno inteso esprimere tutte le proprie
emozionate sensazioni nei confronti del carattere insopprimibilmente
agghiacciante dei terremoti, per quanto 'civilizzati' si possa essere: «queste
paure sono profondamente radicate nei cuori delle persone», ha spiegato la
stessa residente di Norcia, «a dispetto di ogni moderna consapevolezza
scientifica; una paura che è ancestrale, primordiale e incontrollabile, oggi
come in età preistorica [...] È questo il motivo legato allo svilupparsi, tra gli
abitanti di oggi, di ingenue teorie esplicative, che travolgono ogni pensiero
razionale e ogni conoscenza scientifica, eprimendo la disperata urgenza di
'placare' il terremoto. Riemergono quei medesimi impulsi che un tempo
sconvolgevano gli antichi abitanti di queste terre. [...] Inoltre, anche nella
nostra contemporaneità riaffiorano dei processi di 'personificazione': 'oggi
LUI è arrabbiato', 'ecco che LUI torna di nuovo', 'oggi LUI vuole proprio
vendicarsi di noi': con queste parole le persone esprimono inconsciamente
idee di colpa ed espiazione, di ingraziamento e disperata richiesta di essere
risparmiati».
Queste parole acquistano un carattere quasi tangibile quando ci si rechi a
visitare il lato occidentale del Monte Vettore, la vetta più elevata dell'intero
massiccio dei Monti Sibillini.
È lì che la potenza dei terremoti diventa visibile e reale, come un colpo allo
stomaco.
Lassù, a un'altitudine di circa 2000 metri, proprio al di sotto della grande
formazione rocciosa denominata 'Scoglio dell'Aquila', la sequenza sismica
del 2016 ha fratturato la montagna per tutta la sua lunghezza, creando una
linea di faglia lunga molti chilometri: una superficie verticale, bianca,
levigata, simile al marmo, alta due metri, molata in pochi secondi da quelle
stesse rocce mentre esse scorrevano le une sulle altre, come abbiamo già
avuto modo di descrivere nell'articolo La leggenda ctonia, nel 2020, prima
di recarci realmente sul posto.
17
Fig. 6 - Il lato occidentale del Monte Vettore, con lo Scoglio dell'Aquila sulla destra e la striscia bianca
della faglia prodotta dal terremoto che corre lungo il versante
Ma - quando abbiamo potuto visitare quel luogo di persona, un anno dopo -
l'impatto emotivo sulla mente e nell'animo è stato assolutamente
drammatico: di fronte ai nostri occhi, la soprannaturale potenza dei
terremoti riluceva nel sole, fredda e liscia sotto le nostre mani, come se
fosse stata intagliata nella roccia dalla titanica spada di un dio.
È all'interno di questa sorta di quadro psicologico che possiamo collocare la
nostra nuova congettura che pone in relazione i terremoti con l'elaborazione
e lo sviluppo, in antico, di miti concernenti l'origine dei terremoti stessi: un
senso di terrore che inonda il cuore, la mente e l'anima, oggi come
nell'antichità. Un senso di terrore che rende necessaria l'introduzione di
opportune narrazioni, allo scopo di potersi confrontare con il mostro ctonio
e trovare il modo per placarne la collera.
18
Fig. 7 - L'effetto sovrumano dei terremoti del 2016 sul versante del Monte Vettore
2.3. Quei venti che ci indirizzano verso i terremoti
Uno degli elementi più interessanti da noi reperiti nel corso
dell'elaborazione del nostro modello congetturale è costituito dalla
19
presenza, tra le leggende che vivono presso i Monti Sibillini, di venti
sovrannaturali che accompagnano le narrazioni relative al Lago di Pilato e
alla Grotta della Sibilla, in special modo quando rituali negromantici sono
compiuti in prossimità dei due punti di riferimento geografico.
Come abbiamo avuto modo di illustrare nell'articolo La leggenda ctonia,
questi venti rappresentano un aspetto significativo che pare alludere alla
rilevanza dell'elemento sismico: nella cultura classica (greca e romana), si
riteneva che i terremoti potessero essere generati da venti sotterranei,
circolanti nelle vaste cavità che sono occultate al di sotto della superficie
terrestre, così come delineato nelle opere scritte da Aristotele, Tito Lucrezio
Caro, Lucio Anneo Seneca e Plinio il Vecchio.
In questo paragrafo vogliamo porre in evidenza il fatto che i venti
sotterranei sono presenti non solo ne Il paradiso della Regina Sibilla di
Antoine de la Sale e in altre opere, ma anche nell'altra principale narrazione
relativa all'eredità leggendaria dei Monti Sibillini, vale a dire il Guerrin
Meschino di Andrea da Barberino: una presenza che avevamo omesso di
citare nell'articolo La leggenda ctonia, ed è dunque giunto il momento di
colmare questa lacuna.
Nell'edizione del 1480 del romanzo, a Guerrino viene offerto il seguente
racconto in merito alla dimora sotterranea della Sibilla e alla visita un
tempo effettuata in quei luoghi da un cavaliere di nome Lionello:
«[...] ma non era intrato dentro perché de la boca de la intrata disse che
usciva si grande el vento che le pietre de la propria montagna non li poteva
stare».
Dunque questo vento sotterraneo, curioso e sconcertante come sempre (ma
non alla luce della nostra congettura), è presente anche nel Guerrin
Meschino: un chiaro segno del fatto che i terremoti devono essere presi in
considerazione, perché non vi è alcun senso nella menzione di sotterranee
correnti d'aria, in apparenza del tutto fuori contesto, se non in connessione
con la ben nota teoria prescientifica classica a proposito di venti e
terremoti.
20
Fig. 8 - I venti ctonii così come appaiono nel Guerrin Meschino di Andrea da Barberino (Capitolo
CXXXIX nell'edizione stampata a Venezia nel 1480)
Di nuovo, sorge spontanea una domanda: come mai nessuno aveva mai
preso in considerazione la presenza, nella tradizione letteraria, di questi
venti, così strani e bizzarri? Perché tali venti sono stati completamente
ignorati, mentre gli studiosi hanno preferito concentrare la propria
attenzione sulle fantasmatiche figure di una Sibilla o di un prefetto
romano? Per quale ragione questa sorta di 'pistola fumante' è rimasta del
tutto trascurata fino alla pubblicazione dell'articolo di ricerca Monti
Sibillini, la leggenda ctonia?
Una risposta a questa domanda è stata già proposta nei precedenti paragrafi
del presente articolo: un fondamentale problema metodologico ha viziato
per secoli l'approccio di ricerca alle due leggende, trattate separatamente e
in assenza di qualsivoglia pensiero che fosse situato 'fuori dagli schemi'.
E questi venti così significativi hanno soffiato forte e chiaro nell'area dei
Monti Sibillini non solo all'interno delle opere di Antoine de la Sale e di
Andrea da Barberino, ma anche in ulteriori fonti letterarie, ben conosciute
da parte degli studiosi.
Francesco Stabili, il poeta, filosofo e astrologo italiano noto con il nome di
Cecco d'Ascoli, nato nella seconda metà del tredicesimo secolo non lontano
dal Monte Sibilla, accoglie apertamente la visione classica relativa ai venti
sotterranei e ai terremoti nel suo poema L'Acerba, scritto nel 1327:
«Trema la terra per l'inclusi fiati,
L'aire e l'acqua lor moti perversi [...]
L'inclusi venti che non pon uscire
For de la terra, moti da Saturno,
Fano li terimoti a noi sentire [...]
21
Ma vien nel dolce tempo el gran tremore
Et non se cessa fin che le coretta
La dura terra per cotal valore.
Questo non sempre adviene ché dico vento,
Movendose cum ira lì desotto,
La soa potentia perde poi che iuncto.
Sì che li monti li colli et li abissi
Sono formati da l'inclusi venti,
Che spiran soto terra duri e spissi.»
Fig. 9 - Venti sotterranei e terremoti nell'Acerba di Cecco d'Ascoli (dall'edizione stampata a Venezia,
1476), folia b6r-b6v
Quindi, nell'area dei Monti Sibillini, poeti ed eruditi erano pienamente a
conoscenza della congettura prescientifica che collegava i venti degli abissi
ai terremoti, questi ultimi spesso percepiti proprio dagli abitanti di quelle
terre, se solo rammentiamo come un potente terremoto abbia colpito questi
medesimi territori il dicembre 1328, con la perdita di migliaia di vite,
così come riportato nell'articolo La leggenda ctonia.
Strani venti e tempeste appaiono anche nel famoso brano tratto dal De
Nobilitate et Rusticitate Dialogus di Felix Hemmerlin, scritto nel 1444. In
questo passaggio, nel quale il chierico svizzero stabilisce una fondamentale
connessione tra il Monte Sibilla in Italia e il Venusberg tedesco, Hemmerlin
riferisce che «a proposito del Monte Sibilla, posto vicino alla città di
Norcia e al castello di Montefortino [...] si dice che grandi oltraggi di venti,
tempeste e grandini si scatenino nelle vicinanze» [nel testo originale latino:
22
«Et dicit communiter mons Sibille coniunctus civitati Nursie et castello
montifortino [...] grandinum ventorum et tempestatutm insultus nimium
vicinis locis importunus»].
Ancora una volta vediamo rappresentati i venti in connessione con il Monte
Sibilla, un ulteriore significativo segnale del fatto che i terremoti stanno
forse giocando un ruolo importante nelle leggende sibilline che abitano
queste terre, caratterizzate da un peculiare comportamento sismico.
Fig. 10 - Venti e tempeste presso il Monte Sibilla così come menzionati da Felix Hemmerlin nel suo De
nobilitate et rusticitate dialogus et alia opuscula (dall'edizione stampata a Strasburgo, 1500), capitolo
XCIV
E, come dato di fatto, il modello classico venti-terremoti si propaga
attraverso la storia fino a tempi molto recenti, immediatamente precedenti
l'introduzione della teoria sulla deriva dei continenti di Alfred Wegener
negli anni 1920.
Ad esempio, ritroviamo il modello prescientifico insinuarsi in un'opera il
cui significativo titolo è La meteorologia endogena, scritto nel 1879 da
Michele Stefano de Rossi, un geofisico italiano che ha contribuito in modo
importante allo studio dei terremoti nella seconda metà del diciannovesimo
secolo:
«Basta uno sguardo sopra queste tavole [terremoti e curve barometriche
ndr] per vedere come ciascuna depressione atmosferica sia accompagnata
da un aumento nei terremoti, e come i massimi sismici coincidano
esattamente colle diminuzioni della pressione. [...] Un altro fatto parlante
nel medesimo senso è il frequente avvenire i terremoti più sensibili
23
all'occasione dei rapidi salti della pressione atmosferica sia nell'ascendere,
sia nel discendere. Ed è in questo stesso ordine di fatti e vieppiù eloquente
poi ciò che già più volte si è avverato in Italia, del correre cioè che fa il
terremoto dietro il centro della depressione nelle burrasche atmosferiche.
Più volte io ho constatato il fatto di periodi sismici localizzati da più o
meno tempo, che col loro massimo sfuggono dalla sede prescelta per
isfogarsi dove in quel di massima forza impulsiva endogena la minima
pressione barometrica permetteva lo sfogo più facile e pronto, perché meno
impedito dal peso dell'aria».
Fig. 11 - La relazione tra terremoti e pressione barometrica nell'opera di Michele Stefano de Rossi La
meteorologia endogena (Milano, 1879), p. 160 e 161
Benché de Rossi ormai non si spinga più fino ad identificare l'origine dei
terremoti nell'azione di improbabili venti sotterranei, egli mantiene ancora
alcuni aspetti di quell'antica credenza sostenendo un flebile ma chiara
connessione tra gli accadimenti che hanno luogo tra le rocce sottoterra e
quelli che si verificano nell'aria superiore, con un ruolo ancora persistente
assegnato a venti e tempeste.
E così terremoti e venti risultano essere collegati tra di loro, per mezzo di
una stretta - e mitica - relazione, e questo sin dall'antichità, giungendo quasi
fino alla nostra epoca presente. E non c'è da sorprendersi se ritroviamo una
debole eco di tutto ciò nelle stesse parole pronunciate dagli uomini e dalle
donne di oggi, i quali hanno avuto la terrificante possibilità di vivere
personalmente l'esperienza del terremoto del 30 ottobre 2016, nel territorio
24
dei Monti Sibillini. Per quanto possa sembrare incredibile, i venti fanno
ancora la loro comparsa nelle descrizioni da essi fornite, come se il modello
di Aristotele fosse ancora in essere e largamente accettato al fine di
spiegare lo strano, spaventoso, distruttivo fenomeno che riguarda la
propagazione delle onde sismiche:
«Vedemmo le case vicine muoversi e ondeggiare e pensammo che non ce
l’avrebbero fatta a reggere a questa ulteriore scossa ma, per fortuna, non fu
così. Io percepii un leggero vento di aria calda. Non so se fosse dovuto
all’agitazione, all’adrenalina o se fosse una diretta conseguenza del
terremoto… Non sono mai riuscito a comprenderlo».
«Quando a Norcia ci sono raffiche improvvise di vento, la gente si
preoccupa e pensa che possano portare il terremoto, che siano un annuncio
infausto».
Questi venti provengono da epoche ormai lontane, quando la gente piagata
dai terremoti cercava freneticamente di trovare motivazioni per spiegare gli
spaventosi movimenti del suolo, nella speranza di riuscire a cogliere un
indizio che potesse aiutarli a prevedere, e a sfuggire, la potenza del colpo:
una necessità che risulta essere ancora oggi del tutto attuale, proprio come
in un passato ormai assai distante.
2.4. Ancora sull'estremo sacrificio
Nell'articolo La leggenda ctonia abbiamo dedicato un paragrafo a una parte
della nostra congettura marcata da un carattere particolarmente odioso: la
possibilità, seppure remota, che nel corso dell'Età del Ferro possano essere
stati effettuati sacrifici umani presso la Grotta della Sibilla e/o il Lago di
Pilato con l'obiettivo di placare i demoni ctonii che presiedevano ai
terremoti, come parte di un culto rituale eseguito in quei luoghi durante le
manifestazioni maggiormente parossistiche degli eventi sismici.
Naturalmente non si tratta che di un'ipotesi speculativa; nondimeno,
abbiamo avuto occasione di citare alcuni accenni letterari che sembravano
indicare proprio verso questa particolare direzione.
25
Il primo accenno, particolarmente autoesplicativo, è costituito dal famoso
brano rinvenibile nel Reductorium Morale di Petrus Berchorius (Pierre
Bersuire), scritto nel quattordicesimo secolo:
«E questa è la cosa sommamente terribile di quel luogo: che quella città
[Norcia], ogni anno, invia un singolo uomo, vivo, oltre le mura che
circondano il lago, a modo di tributo per i dèmoni, i quali subito e
visibilmente lo smembrano e lo divorano; e dicono che se la cit non
facesse questo, il suo territorio sarebbe devastato dalle tempeste».
Un secondo accenno può essere reperito nell'opera di Pierre Crespet, noto
anche come 'Crespetus', un monaco celestiniano francese (1543 - 1594).
Nel suo trattato De la hayne de Satan et malins esprist contro l'homme,
pubblicato a Parigi nel 1590, egli racconta di due negromanti che si
sarebbero recati in visita presso il Monte Sibilla e che erano stati
successivamente posti in stato di arresto:
«Per tutti i servizi richiesti, essi si obbligavano nei confronti delle predette
Sibille, che essi onoravano con il titolo di Dame e Principesse, di offrire
loro un'anima ogni anno, nello stesso giorno in cui i predetti libri sarebbero
stati consacrati, per tutto il tempo della loro vita».
Nel presente articolo, vogliamo aggiungere un ulteriore accenno da noi
colpevolmente omesso ne La leggenda ctonia. Si tratta di un altro
passaggio, ben noto, tratto da Il Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de
la Sale e riguardante il Lago di Pilato:
«Non è passato molto tempo da quando vi furono presi due uomini, di cui
uno era un prete. Il prete fu condotto alla detta città di Norcia e fu
torturato e arso vivo. L'altro fu fatto a pezzi e poi gettato nel lago dagli
stessi uomini che lo avevano catturato».
[Nel testo originale francese: «Navoit pas long temps quel y fut prins deux
hommes dont lun estoit prestre ce preste fut admene a la dicte cite de norce
et la fut martire et ars. Lautre fut taille a pieces et puis boute dedens le lac
par ceulz qui les avoient prins»].
26
Fig. 12 - L'uccisione di presunti negromanti in visita al Lago di Pilato da Il Paradiso della Regina Sibilla
di Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly,
folium 5r)
Tutti questi esempi sembrano suggerire come vite umane possano essere
state prese e offerte ai demoniaci abitatori dei due punti di riferimento
geografici (la Sibilla per la Grotta, i demoni per il Lago). E la menzione più
antica, quella tratta da Berchorius - che forse mantiene una più stretta
connessione con il mito più originale e più vero nascosto al di sotto dei più
tardi livelli leggendari relativi a una Sibilla e a Ponzio Pilato - fornisce un
esplicito rifermento al carattere di quei sacrifici, considerati come un
tentativo, promosso dalla popolazione locale, di evitare la distruzione delle
terre circostanti: un potenziale riferimento ai terremoti.
Può tutto questo rappresentare un'ipotesi valida e ragionevolmente
consistente? Oppure, si tratta solamente di una mera, fantasiosa teoria,
senza fondamento alcuno?
Certamente, nell'articolo La leggenda ctonia abbiamo tentato di ricostruire
il probabile atteggiamento psicologico, il possibile stato mentale con il
quale gli antichi abitanti dei Monti Sibillini possono essersi confrontati con
i più devastanti terremoti verificatisi nel loro territorio: assoluto terrore,
necessità di una rassicurazione, disponibilità a ricorrere a ogni sorta di
pratica rituale nel disperato tentativo di fermare il movimento impazzito
della terra.
27
Fig. 13 - The sacred landscape of Picenum 900-100 B.C. di Eleanor Betts, in Inhabiting Symbols -
Symbol and image in the ancient Mediterranean (Londra, 2003), p. 106-107
Le suggestioni qui proposte sono simili ad altre indicazioni elaborate
dall'archeologa Rust Whitehouse nel suo volume Underground Religion:
Cult and Culture in Prehistoric Italy (1992), e successivamente menzionate
da Eleanor Betts (The sacred landscape of Picenum 900-100 B.C., 2003) in
riferimento alla Grotta Sant'Angelo, una caverna situata in prossimità di
Civitella del Tronto, un borgo non distante dai Monti Sibillini: in essa, «gli
scavi dei livelli risalenti all'Età del bronzo hanno rivelato dodici piccole
buche poste all'interno di una cavità ellittica nella roccia della grotta,
ognuna grossolanamente circolare, alcune contenenti ossa umane», in un
potenziale scenario nel quale «resti umani fortemente carbonizzati
provenienti dai pozzi del livello Neolitico» potrebbero rappresentare
«sacrifici umani o resti di festini cannibaleschi».
28
Questa interpretazione è stata però in seguito rigettata da altri studiosi, e
così al momento non disponiamo di alcuna evidenza archologica che sia
relativa ad antichi rituali, praticati dai Piceni o dai Sabini nel corso dell'Età
del Ferro, che possano avere coinvolto il sacrificio di esseri umani.
Tutto ciò rimane dunque solamente una mera congettura, per quanto
interessante essa possa risultare nel contesto della tradizione leggendaria
che vive tra i Monti Sibillini, con i potenti terremoti che ivi si verificano e
il terrore che, certamente, si diffondeva, allora come oggi, tra la
popolazione locale.
2.5. Terremoti, miti e l'attuale contesto scientifico
In anni recenti il mondo della ricerca scientifica ha a mano a mano
raggiunto una crescente consapevolezza a proposito della relazione
sussistente tra eventi naturali, specialmente quelli aventi carattere
catastrofico, e la nascita di miti nelle culture antiche: un approccio di
ricerca in trasformazione, che segna un'evoluzione sia rispetto alla 'scuola
psicologica' (che collegava miti e psicologia dell'inconscio, seguendo un
percorso interpretativo inizialmente delineato da Freud e Jung), sia rispetto
allo 'strutturalismo' (l'interpretazione sostenuta da Lévi-Strauss fondata
sulle strutture universali e immutabili della mente umana), due metodologie
che fondamentalmente non tengono in alcuna considerazione i particolari
eventi narrati nell'ambito dello specifico mito. A differenza di ciò, oggi il
contenuto di quei miti, potenzialmente connessi a eventi reali, viene posto
finalmente al centro dell'investigazione scientifica.
Nel 1973 fu la geologa Dorothy B. Vitaliano, nel fondamentale saggio
Legends of the Earth: Their Geologic Origins, a coniare il termine
'geomitologia': «lo studio dell'effettiva origine geologica di fenomeni
naturali per lungo tempo spiegati in termini di miti e folklore», spesso
«associati a terremoti, grandi inondazioni, incendi naturali ed eruzioni
vulcaniche, epidemie e altre catastrofi naturali». È stata dunque Vitaliano
ad aprire la strada, con determinazione, in direzione di un affascinante
viaggio attraverso la storia antica e i miti tradizionali; un viaggio che è
ancora in corso, e che oggi annovera, tra le sue tappe più recenti, anche la
tradizione leggendaria dei Monti Sibillini.
29
Fig. 14 - Dorothy B. Vitaliano, Legends of the Earth - Their geologic origin, Bloomington, 1973
A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, questo viaggio ha
coinvolto un numero sempre crescente di ricercatori, attivi in vari settori e
discipline. A titolo di esempio, assai interessante, possiamo citare l'articolo
Exploring the nature of myth and its role in science (Masse, Barber,
Piccardi e Barber, 2007), nel quale vengono compiuti ulteriori passi in
direzione di un approccio geomitologico. In questo articolo gli autori hanno
inteso «delineare in qualche modo una concezione differente di quei miti le
cui radici sembrano poggiare sull'osservazione di eventi e fenomeni
naturali». Gli autori dell'articolo notano che «in apparenza, rituali e culti
non erano rivolti tanto alle sfere superiori, ai cieli, quanto piuttosto a ciò
che era in basso, alla 'Madre Terra'. [...] Molta attenzione sarebbe stata
rivolta ai fenomeni di tipo geologico, e in particolare a quelli
maggiormente legati al mondo sotterraneo, come vulcani e terremoti».
Ed ecco dunque che si arriva alla geologia, e agli eventi catastrofici
prodotti da fenomeni geologici, con il ruolo di catalizzatori assai efficaci
nel promuovere il processo di generazione di miti. Non più - o non solo - i
fattori connessi alla psicologia umana, non solo l'influenza delle strutture
30
profonde della mente; e - inoltre - un ruolo meno incisivo per il sole, la
luna, le stelle e i vari fenomeni celesti. In questa nuova visione, la
geomitologia conferisce un ruolo primario a eventi reali che si scatenarono
in passato dalle profondità della terra, come le eruzioni vulcaniche e i più
potenti terremoti: «il nostro centro di attenzione qui», scrivono nel 2007, «è
il mito nella geologia, altrimenti detta geomitologia [...], che noi definiamo
come 'lo studio dell'origine geologica di miti e leggende'». E «questo
richiederà l'utilizzo di una serie di strumenti geologici, astronomici e
archeologici, nonché l'applicazione delle scienze cognitive, storiche e
umane»: si tratta esattamente di quel pensiero 'fuori dagli schemi' da noi
menzionato in uno dei precedenti paragrafi del presente articolo.
Proseguendo in questo lungo viaggio, la geomitologia è oggi entrata a
pieno diritto nell'arena del dibattito scientifico. Attualmente è disponibile
una vasta collezione di articoli che presentano studi, analisi e congetture sul
tema; incontri internazionali di ricerca vengono organizzati per affrontare
tematiche appartenenti a questa promettente area di investigazione.
Come già da noi illustrato, nel 2019 e 2021 due sessioni di una stessa
grande conferenza sono state tenute a Cascia, in Umbria, e Le Mans
(Francia), con il titolo Living with seismic phenomena in the
Mediterranean and beyond between Antiquity and the Middle Ages (atti
editi da Compatangelo-Soussignan, Diosono, Le Blay - Oxford, 2022).
Una delle due sedi della conferenza - Cascia, ai piedi dei Monti Sibillini, a
pochi chilometri da Norcia, e non lontano dal Monte Sibilla - non era stata
scelta a caso: come sappiamo, un grande terremoto aveva colpito la stessa
regione nel 2016, e i promotori del convegno intendevano «contribuire alla
protezione dell'eredità architettonica e culturale in aree caratterizzate da un
elevato rischio sismico, nonché promuovere una cultura della gestione del
rischio tra le popolazioni considerando l'impatto di fenomeni naturali
distruttivi», in un territorio che aveva da poco subìto il verificarsi di un
sisma particolarmente intenso.
La geomitologia ha costituito uno dei principali argomenti affrontati dai
relatori, i cui interventi sono stati in seguito raccolti nella Parte I degli atti
del convegno (Interpreting and living with seismic phenomena in antiquity:
myth, religion and science).
31
Un articolo particolarmente interessante è stato presentato da Kevin
Bouillot (Earthquakes, divination and rationalities in ancient Greece: the
Greek oracle as a way of understanding the seismic phenomenon), il quale
ha espresso con particolare efficacia la connessione esistente tra terremoti,
siti oracolari e culti rituali, in accordo con la medesima visione che anche
noi abbiamo avuto modo di applicare, in modo indipendente, nel nostro
articolo La leggenda ctonia relativamente alla Sibilla Appenninica:
«I santuari oracolari venivano più frequentemente consultati
successivamente al verificarsi di un sisma, o nel timore del prossimo.
Questo comportamento implicava la convinzione, condivisa tra gli
interroganti, a proposito della responsabilità degli dèi nei fenomeni sismici,
e dunque una fede nella loro capacità di impedire, respingere, attenuare il
prossimo sisma, o quanto meno di risparmiare i fedeli che rivolgessero loro
preghiere, sacrifici e culti adeguati » [tradotto dal testo originale francese].
Fig. 15 - Atti del convegno Living with seismic phenomena in the Mediterranean and beyond between
Antiquity and the Middle Ages, Oxford, 2022
Timore per la propria vita. Timore per il destino dei propri familiari.
Timore per la rovina della propria terra. E l'ascesa di un culto ctonio al fine
32
di pacificare i demoni dei terremoti. Questo è ciò che abbiamo scritto
nell'articolo di ricerca La leggenda ctonia. E qui Bouillot spiega in modo
potente come culti e rituali abbiano potuto contribuire, in antico, alla
gestione e alla mitigazione delle paure:
«Prima che l'oracolo venga consultato, il terremoto è, dal punto di vista
degli antichi Greci, un fenomeno violento, letale, improvviso,
imprevedibile, inesplicabile e, soprattutto, al di fuori della portata
dell'azione umana sulla natura, perché connesso all'azione degli dèi. Dopo
il consulto, quello stesso terremoto è divenuto comprensibile, è stato
attribuito alla collera e/o all'azione di un'entità certamente divina, ma
conosciuta e familiare. Soprattutto, è entrato nel campo dell'azione umana:
quello della religione, dei culti resi agli dèi dagli uomini» [tradotto dal testo
originale francese].
In questo senso, l'oracolo opera come una «terapia dell'angoscia», scrive
Bouillot; e riteniamo che questa locuzione possa essere pienamente
applicabile anche alla nostra congettura relativa alla Sibilla Appenninica e
al Lago di Pilato.
Come abbiamo avuto modo anche noi di affermare nei nostri articoli sulla
Sibilla Appenninica, Bouillot rimarca particolarmente il fatto che «questa
funzione psicologica dell'oracolo potrebbe forse sembrare poca cosa agli
occhi degli storici contemporanei, che ben conoscono la tettonica delle
placche [...] Ma ciò vorrebbe dire dimenticare che gli antichi Greci non
disponevano di nulla di tutto ciò. Ad eccezione degli strati sociali più
elevati, i quali potevano avere familiarità con le teorie 'sismologiche' di
Aristotele, Lucrezio, Seneca o Plinio il Vecchio, la popolazione colpita non
aveva che gli dèi per dare un senso alla catastrofe che l'aveva devastata, e
non disponeva che dell'oracolo per spiegare la loro passata collera, per
assicurarsi del loro attuale volere e soprattutto della loro futura
benevolenza» [tradotto dal testo originale francese].
Terremoti, generazione di miti, funzioni psicologiche e sociali del mito
nelle culture antiche. Vediamo dunque come l'attuale ricerca scientifica si
stia oggi concentrando su questi aspetti dei miti, e i risultati da noi
specificatamente raggiunti a proposito delle leggende dei Monti Sibillini si
inseriscono perfettamente in questo schema generale, oggi in costruzione
33
grazie alle ricerche condotte da un grande numero di studiosi attivi, nel
mondo, su questi temi.
Nel corso della stessa conferenza di Cascia / Le Mans, Loredana Lancini,
con l'articolo Shaped by Fire: Memories of Volcanic Activity in
Mythological Accounts, ha illustrato il ruolo dei miti nelle società
tradizionali, esprimendo concetti che sono facilmente applicabili anche alla
Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato:
«I miti hanno costituito gli strumenti, utilizzati nel corso di tutta la storia,
per preservare e trasmettere conoscenza a proposito di pericolosi fenomeni
geologici, permettendo alle antiche popolazioni di concettualizzare e in
qualche modo analizzare gli eventi catastrofici».
Lancini descrive una serie di antichi miti greci, ognuno legato a un luogo
specifico e geologicamente rilevante. Tra di essi, la leggenda del santuario
di Paliké (nella Sicilia meridionale, dove un tempo si trovava un lago
contenente acque sulfuree) sembra fornire un esempio di processi
mitopoietici che potrebbe essersi verificati, in modo analogo, anche presso
il Monte Vettore e il Monte Sibilla:
«Paliké, localizzato presso una zona dal particolare profilo geologico, ci
sembra un eccellente caso di studio per investigare l'approccio
geomitologico applicato a un culto. [...] Il luogo è caratterizzato da una
natura pericolosa. [...] Il culto qui è strettamente dipendente dal particolare
contesto fisico che lo ospita [...] una pratica divinatoria che evoca
l'intervento divino, il quale non può prodursi se non in un luogo speciale,
straordinario, presso il quale il divino manifesta la propria presenza e la
propria potenza. Il lago di Paliké rappresenta allora un 'locus inferus': i
crateri, le aperture molto profonde, portano con l'idea di comunicazione
e di passaggio verso il mondo sotterraneo. Si tratta dunque di un luogo di
frontiera, di un luogo instabile, un luogo che sfugge alla regolarizzazione,
che affascina e attira, perché è che il contatto e la mediazione con la
divinità il mondo dell'aldilà diventano possibili.» [tradotto dal testo
originale francese].
Un luogo geomitologico, un culto particolare: «riteniamo che sia
precisamente la scelta del luogo», nota Lancini, «ad avere determinato, di
conseguenza, le pratiche scelte al fine di entrare in contatto con la divinità.
34
[...] Si crea dunque un rituale specifico che non potrà essere riprodotto
altrove e che determina il fascino del lago e del culto nel lungo periodo»:
perché il segno distintivo dei geo-culti è «una relazione di stretta
dipendenza del culto dalla specificità della geologia locale».
Come possiamo vedere, ci troviamo esattamente nel medesimo contesto
concettuale relativo alla generazione di miti che abbiamo avuto modo di
delineare quando abbiamo pubblicato la nostra congettura a proposito della
tradizione leggendaria dei Monti Sibillini: ci troviamo in luoghi che
possono essere considerati come 'hot spot' (come abbiamo avuto occasione
di definirli nel nostro articolo Monti Sibillini, un lago e una grotta come
accesso oltremondano), presso cui l'Aldilà apriva le proprie terrificanti
fauci agli essere mortali, e attraverso i quali i viventi sono potenzialmente
in grado di comunicare con entità leggendarie e sovrannaturali; spaccature,
che interrompono la continuità del nostro mondo fisico e rendono possibile
l'ingresso dei mortali in regni spaventosi e proibiti.
Nondimeno, un paradosso evidente appare chiaramente visibile.
Come è stato possibile che nessuno, nell'ambito di questa conferenza così
specialistica - tenutasi ai piedi dell'Appennino centrale, e specificatamente
dopo il verificarsi di un grande terremoto - nessuno abbia mai considerato
la Sibilla di Norcia come un soggetto primario nell'ambito della ricerca
geomitologica?
Questo paradosso è così apparentemente assurdo, e così strettamente
collegato alla stessa indifferenza da noi già rilevata ed evidenziata in
relazione agli ultimi 150 anni di ricerca scientifica a proposito delle
leggende dei Monti Sibillini, che dedicheremo alla questione un ulteriore
spazio nel prossimo paragrafo.
2.6. La Sibilla Appenninica dimenticata dai geomitologi (ma pienamente
recuperata nell'articolo 'La leggenda ctonia')
Gli anni sono il 2019 e il 2021. Il tema è costituito dai terremoti nella
regione del Mediterraneo, in età antica. Gli intervenuti sono accademici di
grande prestigio, i cui studi sono focalizzati sulla storia, sui miti e sulla
35
geologia. E la geomitologia, con i suoi miti prodottisi a seguito di
distruttivi accadimenti geologici, è parte degli argomenti trattati nel corso
della conferenza, la cui sede è Cascia, nell'Appennino centrale,
esplicitamente selezionata dopo che un grande terremoto aveva colpito la
regione alcuni anni prima.
Un contesto perfettamente adatto per ospitare anche la tradizione
leggendaria dei Monti Sibillini e la stessa Sibilla Appenninica. Proprio lei
avrebbe dovuto essere la regina della conferenza - «top of the list, king of
the hill, a number one», come cantava Frank Sinatra in New York, New
York.
Ma la Sibilla non è stata invitata.
Il curioso paradosso è segnato dal fatto che la Sibilla degli Appennini - un
personaggio primario in geomitologia, con il suo emozionante legame con
quegli stessi terremoti che, in modo ricorrente, colpiscono l'Appennino
centrale - era in effetti lì, a soli 27 chilometri di distanza: ma, in
quell'occasione, nessuno in quella conferenza la vide. Nessuno 'percepì' il
suo potere mitopoietico. Essa non è stata mai menzionata dai partecipanti e
non è mai entrata in alcuna delle sessioni tenutesi nel corso del convegno
(l'articolo La leggenda ctonia era stato appena pubblicato nel 2020, ma
ancora, a quell'epoca, senza alcun particolare riscontro). Il suo tempo -
assieme a quello del suo geomitologico collega Ponzio Pilato - doveva
ancora arrivare.
Come è stato possibile che una grande conferenza sulla geomitologia
ospitata a Cascia abbia semplicemente mancato l'occasione di riconoscere
la leggendaria tradizione che vive tra i Monti Sibillini come un'importante
esempio - seppure solamente in via congetturale - di un mito insorgente da
quegli stessi terremoti che la conferenza medesima ben conosceva?
La risposta a questa domanda è la stessa da noi già fornita nei precedenti
paragrafi.
Per secoli, e specialmente nel corso degli ultimi centocinquanta anni,
studiosi e letterati non sono riusciti a spiegarsi in alcun modo la nascita, o
l'insediamento, di queste leggende nell'area del Monti Sibillini. Nessuno
aveva mai rilevato, se non di sfuggita, la discendenza di quella Sibilla dalla
36
Materia di Bretagna, né il legame sussistente tra le narrazioni altomedievali
relative a Ponzio Pilato e i demoni attribuiti all'omonimo lago. Oltre a ciò,
nessuno aveva mai ipotizzato l'esistenza di alcuna correlazione tra la
tradizione leggendaria dei Sibillini e i terremoti.
Questa traiettoria di eventi ha semplicemente proseguito il proprio corso,
placido e lineare come sempre, all'interno della conferenza Living with
seismic phenomena in the Mediterranean and beyond between Antiquity
and the Middle Ages.
La verità era lì, di fronte ai loro occhi. Ma essi, banalmente, non l'hanno
vista.
A tutti gli effetti pratici, le leggende relative alla Sibilla Appenninica e a
Ponzio Pilato sembrano essere, a prima vista, meri racconti di origine
medievale. romani, greci, dunque. E, come tali, essi non sono mai
stati oggetto di grande considerazione da parte degli accademici, in quanto
queste narrazioni non paiono essere né così antiche, né così illustri.
Ma la realtà sembrerebbe essere assai differente, con la tradizione
leggendaria dei Monti Sibillini che trova potenzialmente la propria origine
in miti assai antichi relativi ai terremoti e risalenti forse all'Età del Ferro:
siamo di fronte, quindi, alla geomitologia nella sua espressione più pura,
precedendo addirittura le civiltà greca e romana.
Eppure la conferenza, su questo specifico punto, ha fallito. E un ricercatore
non professionista, l'Autore del presente articolo e de La leggenda ctonia,
ha potuto avere successo in un campo nel quale i risultati accademici hanno
costantemente presentato una riuscita alquanto deludente.
3. Le leggende dei Monti Sibillini, ulteriori menzioni
Con la serie di articoli Sibilla Appenninica - Il Mistero e la Leggenda
abbiamo avuto occasione di presentare una serie di riferimenti letterari,
tratti da opere e secoli differenti, che forniscono un quadro esaustivo a
proposito della fama e della diffusione che le leggende della Grotta della
Sibilla e del Lago di Pilato si sono trovate ad avere in Europa.
37
In questo capitolo vogliamo ora introdurre nuovi riferimenti,
originariamente non inclusi nella serie di articoli Sibilla Appenninica.
3.1 Pietro Ranzano e un riferimento alla Sibilla Appenninica e al Lago di
Pilato risalente al tardo '400
«Presso uno dei picchi dell'Appennino si trova il castello di Monte Santa
Maria in Gallo, nel cui territorio è situato il grande e orribile antro e
caverna della Sibilla, e cioè quello che il popolo chiama Grotta della
Sibilla».
[Nel testo originale latino: «In unius eorum iugis positum est oppidum
nomine Mons Sanctae Mariae in Gallo, in cuius agro est ingens et
horrendum illud antrum et caverna Sibyllae, id est quam vulgus vocat
Cryptam Sibyllae»].
È questo l'inizio di un lungo brano scritto intorno alla fine del quindicesimo
secolo da Pietro Ranzano, vescovo di Lucera, un erudito e frate
domenicano di origine siciliana, il quale scrisse un'estesa, ponderosa
cronaca a carattere storico e geografico, gli Annales omnium temporum:
otto grandi volumi manoscritti, sette dei quali sono ancora oggi conservati
presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
In quest'opera, un intero volume è dedicato all'Italia (Descriptio totius
Italiae), e contiene una completa descrizione delle tradizioni leggendarie
che vivono tra i Monti Sibillini.
«... la Grotta della Sibilla, la quale molti credono essere la via attraverso la
quale uomini stolti ed empi possano penetrare all'interno di luoghi segreti,
abitati da non so quale Sibilla. Dicono che vi siano luoghi nei quali essa sia
signora di un numeroso popolo. Là dentro vi sarebbero case preziosamente
decorate, enormi aule, prati perennemente verdi, giardini di ogni sorta...».
[Nel testo originale latino: «...Cryptam Sibylla, quod sit via per quam
stultos et impios multos perhibent petere secreta loca, quae inhabitat nescio
quae Sibylla. Dominam eam aiunt loci esse quae numeroso imperitet
38
populo. Esse illic domos exornatissimas, amplissima atria, prata semper
virentia, hortos omnis generis...»].
Dunque, tra il 1475 e il 1493 (anno della morte dell'autore), Pietro Ranzano
riferisce a proposito di quelle voci e credenze popolari riguardanti la
famosa Sibilla degli Appennini, menzionando una serie di aspetti
leggendari e fiabeschi già citati da Andrea da Barberino nel Guerrin
Meschino all'inizio di quello stesso secolo, e anche ripercorrendo quanto
scritto da Flavio Biondo - una delle fonti di Ranzano, nonché modello
letterario al quale egli si è ispirato - nella sua opera De Italia illustrata,
pubblicata nel 1474.
Fig. 16 - L'edizione originale dell'Epitome rerum Hungarorum di Pietro Ranzano (1489/1490), conservata
presso la Biblioteca Nazionale Széchényi a Budapest; una versione revisionata dello stesso testo venne
successivamente inclusa da Ranzano nei suoi Annales omnium temporum
Ma Ranzano, che attorno al 1445 aveva soggiornato a Perugia come
studente e aveva forse avuto modo di ascoltare direttamente informazioni e
notizie sulle leggende della Sibilla e di Pilato, aggiunge una quantità di
note e informazioni, ampliando considerevolmente i ben più brevi passaggi
vergati da Flavio Biondo sul tema. Nondimeno, la sua personale opinione
sulla tradizione leggendaria sibillina resta particolarmente netta e anche
assai severa:
39
«Queste e molte altre storie favolose e molto lontane dal vero racconta la
moltitudine di stolti ed empi riguardo alla caverna della Sibilla. Ho
conosciuto parecchi assolutamente buoni a nulla e ignari della via della
verità che affermavano di essere giunti per quella cripta alla Sibilla e di
avere visto tutte quante le cose che in tal modo ho ricordato. A loro per
niente ho dato mai darò credito, poiché tutti coloro che ho visto e udito
hanno trascorso una vita miserrima e sono andati incontro a una morte
infelicissima. Come posso io, filosofo e teologo cristiano, credere a queste
frottole?».
Pietro Ranzano menziona anche la leggenda del Lago di Pilato, ma, di
nuovo, egli non attribuisce alcun credito alla stessa:
«Poco più in alto, dunque, ma nel territorio dei Nursini, c'è un lago [...]
Lago di Norcia è detto dal popolo. Poiché le acque molto spesso si
sollevano dalle profondità e pervengono a notevoli altezze, ne conseguono
movimenti in diverse parti del lago. Ma coloro che vedono ciò ignari della
cosa, dicono che le acque sono mosse dai demoni che occupano il lago. [...]
Così tale fama spinse molti mortali, che si dedicano alle arti magiche, a
visitare il monte e il lago e i demoni che si muovevano, e, dimenticato ogni
sacro timore, ad invocarli, e inoltre a consegnare a quelli invocati i libri da
consacrare con diversi caratteri iscritti. [...] Dopo avere segnato il cerchio e
tracciato i caratteri, dopo avere fatto i sacri rituali e tutte le altre cose che
erano dovute, videro udirono rispondere alcuno dei tanto invocati
demoni, né che il libro da consacrare, gettato nel lago, fosse mai restituito a
coloro che lo avevano gettato, nonostante essi rimanessero tre giorni ad
aspettare l'esito della cosa».
Ranzano conclude ipotizzando come «sia recente, come credo, la cattiva
fama di questi luoghi», e osservando anche che «ne avrebbero fatta
memoria i più antichi autori che hanno descritto queste terre, specialmente
quelli che hanno trattato di inefficaci culti di dèi, come l'oracolo di Delfi,
quello di Cuma, e molti altri che sono stati fonte di meraviglia - antri e
laghi e fumi e fonti e boschi - allo stesso modo anche questi luoghi in
Norcia non avrebbero mai potuto essere trascurati».
Ci troviamo alla fine del quindicesimo secolo, e la potenza della tradizione
leggendaria dei Monti Sibillini è ancora significativa. Pietro Ranzano,
teologo ed erudito originario dell'Italia meridionale, non può omettere di
40
menzionare le due famose leggende. Esse godono infatti di una vasta
risonanza, anche se gli autori classici, che egli ben conosceva, non avevano
mai fatto alcun cenno di questa favolosa Grotta della Sibilla e del magico
Lago di Pilato.
3.2 Niccolò Peranzoni e una circostanziata descrizione delle leggende
sibilline
Tra i riferimenti da noi non già proposti negli articoli precedenti, i seguenti
passaggi, tratti da un'opera di Niccolò Peranzoni, costituiscono certamente
un'interessantissima citazione letteraria.
All'inizio del sedicesimo secolo, Peranzoni - studioso ed erudito
marchigiano di Montecassiano - scriveva il suo De laudibus Piceni - Sive
Marchiae Anconitanae Libellus, una celebrazione della propria terra natia,
contenente una descrizione di luoghi notevoli ed accadimenti memorabili.
Quest'opera è giunta fino a noi grazie a un'edizione risalente al 1792 e
curata da uno studioso vissuto in epoca posteriore, Giuseppe Colucci, il
quale volle includerla nelle sue Antichità Picene.
Ci troviamo tra il 1510 e il 1520, e Niccolò Peranzoni ben conosceva le
leggendarie tradizioni legate ai Monti Sibillini; così, nel confrontarsi con
l'elenco di città e piccolo borghi che costellavano la sua terra d'origine,
giunto a Montemonaco («Mons Monacus», ma anche «Montem
demoniacum», come egli stesso annotava), Peranzoni non poté fare a meno
di descrivere sia la Sibilla che Pilato, dedicando così molte pagine a questi
due affascinanti racconti:
«Il motivo di questo nome [Montemonaco n.d.r.] è legato a due diverse
ragioni. Primo, a causa della Grotta della Sibilla, famigerata presso il
popolino, la quale dicono trovarsi non lontano da questo borgo sulle creste
dell'Appennino. Secondo, a motivo del lago di Pilato, la cui fama ha
percorso le nazioni».
[Nel testo originale latino: «Idque praesertim duabus de causis. Primum
propter Cavernam Sibyllae vulgo famigeratam, quae non longe ab ipso
41
oppido in Appennini jugo esse fertur. Deinde propter Pilati lacum jam
omnibus fere nationibus divulgatum»].
Fig. 17 - Niccolò Peranzoni, De laudibus Piceni sive Marchiae Anconitanae Libellus, edizione curata da
Giuseppe Colucci nelle sue Antichità picene (Fermo, 1792), Tomo XXV
In primo luogo, Peranzoni affronta la misteriosa caverna posta sulla cima
del Monte Sibilla:
«Si ritiene infatti, con fiducia pazzesca e credula, inveteratamente nutrita
dal popolino, che la Sibilla Cumana [...] abbia abbandonato le cavità
sotterranee e i luoghi silenti di Dite, così raccontano [...] e che fino ai nostri
giorni la stessa Sibilla si nasconda al di sotto di questi stessi monti [...] e
che qui rimarrà fino al giorno del futuro giudizio. Ecco perché molte
persone, attirate sin qui da un vano errore, si rechino alla ricerca della
grotta della Sibilla. E così gettano via il proprio tempo nella delusione, la
loro brama frustrata: oltre a ciò, spesso vengono derubati di tutti i loro averi
e talvolta anche uccisi dagli abitanti del luogo, siano essi pastori o pecorai,
ai quali è demandato il compito di sorvegliare quelle montagne; qualche
42
volta essi sono battuti con i bastoni, e mandati via non senza avere ricevuto
gravi punizioni».
[Nel testo originale latino: «Putat enim insanae credulaeque plebis
inveterata fides Sibyllam Cumanam [...] per tartaros meatus perque loca
silentia Ditis deduxisse fabulantus [...] in hodiernamque usque diem
Sibyllam ipsam in montibus ipsis latitare [...] et inibi ad diem usque futuri
judicii mansuram esse. Hinc est ut multi vano errore allecti cavernam
ipsam Sibyllae petant, ibiquo tempus omne delusi conterant, nec optatis
unquam potiantur votis: Immo ab accolis multotiens ac opilionibus sive
pecuariis, quibus custodiendi montis onus demandatum est, aut expoliantur,
aut necantur, sive fustibus multati non absque gravi poena dimittantur»].
Fig. 18 - La Sibilla presso Montemonaco così come menzionata in Niccolò Peranzoni, De laudibus Piceni
sive Marchiae Anconitanae Libellus, edizione curata da Giuseppe Colucci nelle sue Antichità picene
(Fermo, 1792), Tomo XXV, p. 118
Certamente Peranzoni non crede in alcun modo alla possibilità che una
Sibilla possa avere stabilito realmente la propria dimora al di sotto delle
montagne che si innalzano nei pressi di Montemonaco, aggiungendo che
«se veramente qualcosa fa la propria apparizione tra questi monti, non
dobbiamo credere che si tratti di altro che di mere illusioni, diaboliche e
fantastiche» (nel testo originale latino: «unde siquid in montibus ipsis
apparet, nil aliud esse credere debemus quam fantasticas diabolicasque
illusiones»), proponendo anche un'ulteriore, interessante annotazione:
43
«Queste grotte, che spesso è possibile rinvenire, non sono altro che rifugi di
alchimisti, all'interno dei quali, fuori dalla vista della gente, essi fondono i
metalli e falsificano le monete, come sono soliti oggi fare in molti luoghi;
tale e tanta è la cupidigia degli uomini nei confronti dell'oro. Ma essi non
fanno che perdere sia la propria opera, che il carbone necessario a
realizzarla».
[Nel testo originale latino: «cavernas, quae ibi passim reperiuntur nil aliud
fuisse, quam Alchimistarum latibula, in quibus, ne a plebe conspicerentur,
aut ara conflabant, aut numismata adulterabant, ut hodie etiam pluribus fit
in locis; tanta est mortalium auri potiundi cupiditas. Sed operam simul et
carbones perdunt»].
E, per quanto riguarda il Lago di Pilato, Peranzoni non propone certo
parole più gentili:
«venendo a considerare il lago di Pilato, molti, sospinti da un vano errore,
si recano ai nostri giorni provenendo da remote parti del mondo al fine di
ottenere per se stessi demoniache consacrazioni di libri magici [...] Perché
le persone si rechino presso questo Lago di Pilato, tra i molti altri laghi
esistenti, per ottenere questo, ciò è dovuto a due ragioni principali: in primo
luogo, perché il lago stesso si trova in luogo remotissimo e lontano dalla
frequentazione degli uomini, cosa indispensabile al fine di praticare questa
arte superstiziosa; in secondo luogo perché sono presenti due circoli di
pietre, proprio vicino al bordo del lago, recanti caratteri incisi. Queste
incisioni, dicono, sono necessarie al successo del rituale magico, e
raccontano alcuni che esse siano state vergate da Virgilio, poeta
mantovano, e altri dal matematico Cecco d'Ascoli».
[Nel testo originale latino: «Sed ad Pilati lacum repedandum est, ad quem
multi vano etiam errore compulsi, ex remotis mundi partibus in dies
accedunt, ut libros magicos consecrationibus daemoniacis sibi ipsi
vendicent [...] Quod autem Lacum ipsum Pilati ad id efficiendum prae
caeteris requirant, duo sunt in causa: Primum est quod lacus ipse
remotissimus est ab hominum frequentia, quod ars ipsa superstitiosa
requirit. Deinde quod duo ibi circuli super lapides incisi juxta lacus
marginem quibusdam caracteribus monstrantur, quos ad artem magicam
consequendam necessarios ajunt, eorumque alterum Virgilium Mantuanum
44
poetam, alterum vero Cicchum Asculanum mathematicum effinxisse
praedicant»].
Fig. 19 - Il Lago di Pilato in Niccolò Peranzoni, De laudibus Piceni sive Marchiae Anconitanae Libellus,
edizione curata da Giuseppe Colucci nelle sue Antichità picene (Fermo, 1792), Tomo XXV, p. 120
Niccolò Peranzoni fa riferimento poi alle narrazioni relative al prefetto
della Giudea, Ponzio Pilato, la cui tomba si troverebbe proprio nelle acque
di quel Lago, in quanto il suo cadavere vi sarebbe stato gettato dopo essere
stato trasportato fino alla cima della montagna da un carro trainato da due
tori (un racconto già riferito da Antoine de la Sale, un secolo prima, nel suo
Il Paradiso della regina Sibilla).
L'intero brano è pervaso da un senso di totale scetticismo e incredulità: si
tratta solamente di stupide storie, propagandate da un popolo assai
ignorante («indoctum vulgus»).
3.3 Abraham Ortelius, il primo atlante moderno e la Sibilla degli
Appennini
Quando Abraham Ortelius diede alle stampe il suo Theatrum Orbis
Terrarum nel 1570, egli segnò una pietra miliare nel campo delle scienze
geografiche, con la pubblicazione del primo moderno atlante della storia.
45
In un contesto così illustre, la Sibilla Appenninica non poteva certo
mancare: nella splendida edizione del 1603 il Monte Sibilla era lì, la sua
posizione marcata con precisione all'interno della mappa della “Marcha
Anconae” un tempo nota come “Picenum”. E questo non era tutto. Per
rendere ancor più evidente la grandissima importanza della misteriosa
montagna italiana, Ortelius inserì anche una dettagliata didascalia, la quale
testimonia di come la sua fantasia fosse stata colpita e catturata dalla nostra
affascinante leggenda:
Fig. 20 - Abraham Ortelius, Theatrum Orbis Terrarum (Anversa, 1603)
«In questo luogo, che incombe sui territori nominati, e dove la Catena degli
Appennini supera se stessa con i picchi più elevati, si trova quell'Antro
orribile intitolato alla Sibilla (chiamata dal volgo "Grotta della Sibilla"),
dove si crede che si trovino i Campi Elisi. Al popolino infatti piace credere
che in questa Grotta della Sibilla esista un grande regno, pieno di magnifici
palazzi regali e incantevoli giardini, e sensuali fanciulle e ogni genere di
46
delizie in grandissima copia. E tutte queste cose sarebbero alla portata di
coloro che osassero penetrare in quella caverna (il cui ingresso è a tutti
visibile). Secondo quanto si racconta, dopo un intero anno di permanenza i
visitatori sono liberi di uscire dalla grotta (se così desiderano) e sono così
munificati dalla Sibilla che, quando essi ritornano nel nostro mondo,
trascorrono il resto della loro vita nella felicità più perfetta».
[Nel testo originale latino: «Apenninus mons hoc loco, ubi huic regioni
imminent, editissimis iugis se ipsam superat, in quibus Antrum illud
horribile est quod Sibyllae cognominant (Grotta de la Sibylla vulgo) atque
Campos Elysios fingunt. Vulgus enim in hoc Antro Sibyllam quandam
somniat, quae hic regnum amplum magnificis Regiisque palatiis plenum,
hortis amoenissimis confitum, lascivientibusque puellis, et omnis generis
deliciarum copia abundantem possideat. Atque haec omnia communicari
cum iis qui eam per hoc antru (quod omnibus pateat) adeunt. Postquam
vero per annum in eo permanserint, liberam egrediendi facultatem (si
velint) eis a Sibylla largiri praedicat, atque ex eo ad nos reversis,
felicissimo deinceps toto vitae tempore uti asserit»].
47
Fig. 21 - Il Monte Sibilla nel Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius (Anversa, 1603), tavola
successiva alla p. 86
Un'osservazione interessante è costituita dal fatto che Ortelius inserisce
anche una sezione la quale riporta in dettaglio la versione tedesca della
leggenda, collegata al Monte di Venere (Frau Venus Berg) e al cavaliere
Tannhäuser (Danhauser o Daniele, come menzionato nella didascalia di
Ortelius):
«Nelle nostre contrade questa Grotta è conosciuta con il nome di 'Vrow
Venus bergh', come se si dicesse montagna della Dea Venere. A questo
luogo si riferiscono i versi in rima un tempo cantati dalle genti di Germania
a proposito di un certo Daniele (così viene chiamato nella canzone), il
quale, dopo essere rimasto per un anno intero nella grotta, in seguito si
pentì della vita che aveva vissuto e, abbandonata la sua Venere, partì per
Roma, per incontrare il Papa e confessare i propri peccati».
[Nel testo originale latino: «Hoc Antrum nostratibus quoque innotuit, sub
nomine 'Vrow Venus bergh', quasi dicas, Dominae Veneris montem. Inde
versus quidam rhythmici Teutonici vulgo cantitantur de quodam parvo
48
Daniele (sic enim cantio eum vocat) qui postquam toto in hoc antro anno
mansisset, eius vitae tandem poenituit, eoque, hanc suam Venerem
deferens, Romam proficiscitur, Pontificemque adit, et peccatum
confitetur»].
Fig. 22 - La didascalia relativa al Monte Sibilla nel Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius
(Anversa, 1603), p. 86
La didascalia di Ortelius prosegue con la narrazione del celebre episodio
relativo a Tannhäuser e al fiorire del bastone pastorale del pontefice:
«Il Papa, reputando che il suo peccato non fosse affatto veniale, prese in
mano il suo bastone pastorale, secco e avvizzito, e, dopo averlo battuto in
terra, disse che i suoi peccati non sarebbero mai stati rimessi, a meno che il
suo bastone non fosse prima fiorito di rose. Daniele, udendo questa risposta
e disperando della propria salvezza, se ne andò tristemente, e per la
seconda volta (accompagnato da due figli di sua sorella) tornò di nuovo
presso la sua Venere. Ma tre giorni dopo il bastone papale fu veduto
realmente fiorire; e allora Daniele fu ricercato per ogni dove, ma egli con
ricomparve. Si crede, infatti, che egli abbia raggiunto il termine della sua
vita all'interno di quella grotta. Questa è la storia cantata da quelle rime,
che veramente raccontano della sua immaginaria Sibilla, o Venere».
49
[Nel testo originale latino: «Pontifex hoc peccatum minime veniale
credens, baculum quem forte effetum et aridum ad manus habebat, in
terram defigens, sua illi peccata remissum iri dicit, quam primum hic
baculus rosas ferret. Daniel ex hoc responso de sua salute desperans,
maestus abivit, denuoque (duobus ex sorore nepotibus secum ductis) ad
suam Venerem revertitur. Triduum vero post visus est baculus efflorescere:
quaesitus ubique terrarum Daniel, sed nusquam apparuit. Creditur enim,
eum reliquum suae vitae terminum in antro hoc finivisse. Hac huius
cantilenee historia, digna cuius fides huic sue Sibyllae, aut Veneri
imaginatae, deferatur»].
Ma come fu possibile per il geografo fiammingo Ortelius venire a
conoscenza della Sibilla? Chi fu a raccontargli del Monte Sibilla e della sua
incredibile leggenda, tanto da permettergli di inserire, nel suo Theatrum
Orbis Terrarum, una descrizione così dettagliata?
Siamo orgogliosi di fornire un ulteriore significativo contributo alla ricerca
sulla leggenda della Sibilla, pubblicando oggi - per la prima volta - i
probabili nomi dei personaggi che ben conoscevano sia la leggenda
sibillina che lo stesso Ortelius: gli uomini che illustrarono al cartografo
nordeuropeo i segreti della Sibilla Appennica.
Come moderni investigatori, proveremo ad analizzare i fatti a noi noti per
tentare di reperire una risposta a questa interessante domanda.
In primo luogo, consideriamo la mappa di Ortelius, la quale mostra con
precisione la posizione del Monte Sibilla.
Ortelius non creava le proprie mappe in solitudine, egli si avvaleva di
contributori locali che risiedevano in vari Paesi d'Europa. In particolare,
secondo i moderni ricercatori, la mappa disegnata da Ortelius e denominata
“Marcha Anconae olim Picenum” fu tratta da una precedente cartografia
realizzata da Vincenzo Luchino, un editore di mappe operante in Roma
(esiste una lettera datata 1572 nella quale un libraio romano, Giovanni
Orlandi, raccomanda all'attenzione di Ortelius proprio la mappa di
Luchino).
In secondo luogo, come rilevato da Giorgio Mangani (un ricercatore
contemporaneo di grande esperienza), le informazioni incluse da Ortelius
50
nelle proprie mappe erano «prevalentemente fornite da corrispondenze
locali un po’ improvvisate, reclutate in un ambiente di letterati, aristocratici
e a volte militari, piuttosto raramente capaci di raccogliere gli elementi
geografici loro richiesti con una certa sistematicità; solo raramente di
scienziati, ma comunque impegnati in ricerche diverse da quelle
territoriali».
Fig. 23 - Vincenzo Luchino, La Marca d'Ancona (Roma, 1564)
Una lista dei corrispondenti di Ortelius è presentata nelle sezioni iniziali del
Theatrum, all'interno della biografia di Ortelius redatta da Francis Sweert,
stretto collaboratore dell'illustre scienziato. Sweert ci racconta di come
Ortelius intrattenesse relazioni con personaggi di grande fama ed
erudizione, «amicos coluit magni et nominis et eruditionis viros». Il
biografo continua elencando i nomi dei colleghi eruditi residenti nelle varie
regioni d'Europa dell'epoca. Per quanto riguarda l'Italia, la lista comprende
«Fulvium Ursinum, Franciscum Superantium & Ioannes Sambucum».
Domenico Francesco Superantio era un cartografo originario del Veneto.
Ioannes Sambucus - il cui vero nome era János Zsámboky - era uno storico
della Slovacchia che aveva vissuto e lavorato in Italia. Nessuno dei due
sembrerebbe avere nulla a che fare con la Sibilla Appenninica e la sua
leggenda.
51
Fig. 24 - I corrispondenti dall'Italia così come elencati nel Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius
(Anversa, 1603), note biografiche a cura di Francis Sweert
Così, la possibile fonte delle informazioni pervenute ad Ortelius in merito
alla Sibilla potrebbe essere costituita da Flavio Orsini. Ma quale Flavio
Orsini, esattamente? In effetti, sono noti due Orsini con questo nome, attivi
nella seconda metà del sedicesimo secolo: il primo fu un noto storico e
archeologo, nonché uno dei più grandi collezionisti di antichità del suo
tempo; il secondo fu vescovo di Spoleto (e dunque anche di Norcia) dal
1563 al 1581.
Ognuno dei due avrebbe potuto suggerire a Ortelius la famosa didascalia
sulla Sibilla Appenninica: sicuramente, entrambi conoscevano tutto di
quella leggenda. Nuove e più approfondite ricerche saranno necessarie per
accertare chi raccontò a Ortelius del Monte Sibilla, consegnando
irrevocabilmente questa emozionante leggenda al più ampio scenario delle
grandi tradizioni europee. Si tratta, comunque, di elementi di indagine assai
promettenti.
3.4 La Sibilla nella Cosmographie Universelle di André Thevet
Le leggende che vivono tra i Monti Sibillini non potevano mancare nella
Cosmographie Universelle pubblicata nel 1575 da André Thevet, un frate
francscano e viaggiatore le cui opere, spesso controverse, erano ricolme di
dettagli bizzarri e pittoreschi.
«Non lontano da Arquata l'Appennino è così elevato da superare in
altitudine tutti gli altri picchi, qualunque essi siano; ecco perché questa
vetta così alta è chiamata Monte Veltore: e in prossimità si trova la città di
Norcia [...] Vicino al Monte Veltore, nel suo lato orientale, si trova un Lago,
a proposito del quale alcuni dicono che si possano operare gli incantesimi
così facilmente, che anche il meno sapiente potrà vedervi gli spiriti, che
52
forniranno risposta a ogni sua domanda. Ma, per quanto mi riguarda, non
posso proprio credere a tutto ciò, e mi sono sempre preso gioco di tali
racconti. [...] Ed è là che si trovano gli elevati Monti Appennini, su uno dei
quali è il Castello del monte chiamato 'Di Santa Maria in Gallo': e lì vicino
si trova quella spaventosa Grotta e spelonca, che viene chiamata la Caverna
della Sibilla: nella quale viene posto il regno di questa Sibilla, del tutto
simile a quello delle Fate, e prossimo alle follie che si raccontano a
proposito di una Fata di quel Re Oberon. Nondimeno il varco d'ingresso di
questa caverna sibillina è stato chiuso, e si tengono guardie presso il Lago,
perché nessuno vada ad abusarne, e non faccia uso del ministero di
Satana».
Fig. 25 - Le leggende sibilline in André Thevet, Cosmographie Universelle (Parigi, 1575), p. 759
[Nel testo originale francese: «Pres d'Arquate l'Apennin est si hault, qu'il
surmonte tout le reste de sa haulteur, en quelque lieu que ce soit; qui est
cause que ceste sommité ainsi haulsee, est nommee Mont Veltore: Et pre de
est bastie la ville de Nursie [...] Pres Mont Veltore, du costé de l'Orient,
53
est un Lac, aucuns dient que se font les enchantemens si faciles, que le
moins sçavant y verra les esprits, qui luy respondront de tout ce qu'il
demandera. Mais quant à moy je n'en peux rien croire, aisn me suis
toujours mocqué de tels comptes. [...] Et c'est qu'apparoissent les haults
monts Apennins, sur l'un desquels est le Chasteau du mont nommé 'Di
Sancto Maria in Gallo': Et pres de est celle espouvantable Grotte et
spelunque, que l'on nomme la Caverne de la Sibylle: l'on faist le regne
de ceste Sibylle, tout tel que celuy de Faerie, et approchant des folies qu'on
a compté d'une Fee de ce Roy Oberon. Neanmoins a l'on estoupé le trou de
ladicte caverne Sibylline, et tient on gardes au Lac, à fin qu'aucun ne s'y
aille abuser, et n'use du ministere de Satan».]
Si tratta di una descrizione che riflette informazioni tratte da Antoine de la
Sale e altre opere a carattere geografico; essa permette però di confermare
ulteriormente come questo territorio, situato tra gli Appennini italiani, tra
l'Umbria e le Marche, susciti interesse e curiosità tra un pubblico assai
vasto nel tardo sedicesimo secolo.
3.5 La Sibilla Appenninica e le Isole Britanniche
Non molti studiosi sono al corrente del fatto che la fama della Sibilla
Appenninica ha raggiunto, negli scorsi secoli, anche le lontane Isole
Britanniche. Siamo orgogliosi oggi di presentare questa traccia, in
precedenza sconosciuta, lasciata dalla nostra peculiare leggenda italiana in
una landa nordeuropea: la Gran Bretagna.
Nel 1586, il grande storico inglese William Camden pubblicò la propria
opera fondamentale Britannia, una monumentale descrizione degli aspetti
geografici delle Isole Britanniche. Nel descrivere una delle poche caverne
esistenti nel proprio Paese d'origine, una cavità posta vicino alla città di
Wells ("Ochie-Hole", oggi conosciuta come le "Wookey Hole Caves"), egli
scrisse le seguenti parole:
«Da qui i colli denominati Mendip si estendono su di una vasta area, e sono
chiamati Colline Minerarie da John Leland [...] in quanto ricchi di
giacimenti di piombo, e adatti al pascolo degli ovini. In questo antro si
trova una Grotta di estesa lunghezza, nella quale vi sono Pozzi e Acque
54
scorrenti; essa è chiamata 'Ochie-hole'; a proposito della quale gli Abitanti
delle zone limitrofe hanno raccontato molte storie fantasiose, tante quante
gli Italiani ne hanno raccontate della loro Grotta della Sibilla posta tra le
Montagne dell'Appennino».
[Nel testo originale latino: «Hinc ad Ortum Mendippi colles se longem
lateque explicant, Minerarios vocat Lelandus [...] plumbi enim fodinis
opulenti, et pascendis pecoribus apti. In his antrum est longo recessu, in
quo putei quidam, et rivuli cernuntur, Ochye-Hole dicunt, de quo non
minora somnia fingunt accolae, quam de suo Sybillae antro in Appennino,
comminiscuntur Itali»].
Fig. 26 - La Sibilla Appenninica in William Camden, Britannia (Londra, 1587), p. 125
Si tratta, a tutti gli effetti, di un'importantissima testimonianza della potente
capacità di espansione della leggenda italiana della Sibilla, viva tra le
montagne dell'Italia centrale.
Ma come è potuto accadere che Camden sia potuto venire a conoscenza
dell'esistenza di una Sibilla Appenninica nella lontana Italia? La risposta è
chiara ai nostri occhi: la leggenda italiana della Sibilla ha viaggiato,
probabilmente, attraverso le Fiandre. È ben noto tra gli studiosi il fatto
incontestabile che William Camden abbia scritto la propria opera Britannia
55
sotto la profonda influenza di Abraham Ortelius di Anversa, il famoso
cartografo fiammingo, nonché autore della più grande opera cartografica
del proprio secolo, il Theatrum Orbis Terrarum, che abbiamo già avuto
modo di menzionare in un precedente paragrafo.
Ortelius disponeva di vari corrispondenti situati in diversi Paesi, i quali
collaboravano con lui nella realizzazione delle differenti mappe
geografiche nazionali: per quanto riguardava le Isole Britanniche, egli
aveva stabilito una relazione molto stretta proprio con William Camden.
Esisteva infatti tra i due studiosi un fitto scambio epistolare, nel quale
venivano affrontati temi dottissimi quali gli antichi toponimi della
Britannia Romana e altri argomenti di elevata erudizione.
Con grande probabilità fu proprio Ortelius a narrare a Camden della Sibilla
Appenninica. Ortelius, l'uomo che aveva deliberatamente marcato la
posizione del Monte Sibilla nel suo illustre Theatrum Orbis Terrarum,
all'interno della mappa della "Marcha Anconae olim Picenum", e che era
così totalmente affascinato dal racconto della Sibilla Appenninica da
corredare la mappa con una lunghissima didascalìa. Metà della quale era
interamente dedicata alla fantastica leggenda della Sibilla degli Appennini.
Dall'Italia alle Fiandre, e dalle Fiandre alle Isole Britanniche: un
meraviglioso viaggio per una Sibilla che dimorava tra le vette degli
Appennini, al centro della penisola italiana.
3.6 La Sibilla Appenninica in una guida di viaggio del 1643: David
Froelich
Quando David Froelich, geografo, matematico e viaggiatore originario
della Slovacchia, pubblicò il suo Bibliothecae Sive Cynosurae
Peregrinantium, hoc est, Viatorii Liber nel 1643, il suo intento era quello di
assistere il viaggiatore («peregrinantem», come egli stesso scrive) nel corso
del suo cammino, rendendo disponibili indicazioni chiare a proposito delle
terre verso le quali il viandante era diretto («versus quam Mundi plagam illi
proficiscendum sit»).
Tra le descrizioni relative a Gallia, Hispania, Helvetia, Hungaria e a tante
altre terre d'Europa, nonché ad ulteriori regioni ancor più remote ed
56
esotiche, l'Italia ha una posizione preminente, a motivo della sua antica ed
illustre storia («inter Europae regiones celeberrima»). E, proprio al cuore
dell'Italia, Froelich dedica le seguenti parole a Norcia e alla sua famosa
Sibilla Appenninica:
«NORCIA, situata in prossimità del lago. Qui si narrano molte favole a
proposito della Sibilla, nascosta nel suo antro. Virgilio definisce la città
come 'gelida', a causa dell'elevazione delle circostanti montagne (che
sempre sono ricoperte di neve perenne e inondano i luoghi vicini di freddo
notevolissimo)».
[Nel testo originale latino: «NURSIA, sita ad lacum. Hic multae sunt
fabulae de Sibylla, in antro recondita. Virgilius eam frigidam civitatem
vocat, propter montium circumjectorum (qui nivibus perpetuo occupantur
frigusque ingens propinquis locis conciliant) altitudinem»].
Fig. 27 - La Sibilla Appenninica in David Froelich, Viatorii liber (Ulm, 1643)
57
Norcia in prossimità di un lago, un chiaro riferimento al Lago di Pilato, un
tempo conosciuto proprio come il Lago di Norcia. Norcia come terra della
Sibilla. Un accostamento che sarebbe durato per centinaia di anni, fino al
ventesimo secolo.
3.7 La Sibilla Appenninica alla fine del diciottesimo secolo: Giuseppe
Colucci
Una citazione assai interessante è fornita da Giuseppe Colucci, uno storico
ed erudito originario delle Marche, alla fine del diciottesimo secolo:
un'epoca nella quale l'antica fascinazione prodotta dalla leggenda relativa
alla Sibilla Appenninica stava subendo un significativo appannamento, in
un contesto nel quale l'Illuminismo andava affermando la preminenza della
Ragione rispetto ai vecchi racconti, ora considerati come vuote chiacchiere,
alle quali solamente pastori e contadini ignoranti potevano prestare un
qualche credito.
All'interno della propria voluminosa opera illustrante le antichità della sua
terra d'origine, Colucci curò la pubblicazione del manoscritto contenente
De Laudibus Piceni di Niccolò Peranzoni, redatto più di duecentocinquanta
anni prima, come abbiamo avuto modo di vedere in un precedente
paragrafo.
L'edizione curata da Colucci contiene una serie di note aggiuntive, che
intendono accompagnare il testo elaborato dal Peranzoni: così, nel leggere
le parole del Peranzoni a proposito della Sibilla Appenninica e del Lago di
Pilato, ci troviamo di fronte alla possibilità di leggere anche le ulteriori
annotazioni vergate dal Colucci, rappresentanti la visione che un uomo di
lettere operante alla fine del diciottesimo secolo poteva avere, in
quell'epoca ormai tarda, a proposito di una Sibilla degli Appennini e di un
prefetto romano sepolto nelle acque di un lago appenninico.
Giuseppe Colucci, dunque, non può che esprimere il suo profondo
dispregio per le leggende popolari che abitavano il Monte Vettore e il
Monte Sibilla:
58
«[...] Questo fantoccio della Sibilla, ha dato motivo a gente credula di
sospettare che abitasse la Sibilla, che vivesse in quell'antro, in quella
caverna, che fosse perciò inaccessibile, che a chi si fosse accostato più oltre
di quello si poteva, toccavano delle fiere percosse, e cemto e mille altre
favolette, che le vecchie al fuoco filando raccontavano a' creduli bambocci;
e che gente ignorante ha creduto per cose vere e reali, e di padre in figlio si
sono tramandate, specialmente nei secoli dell'ignoranza, e della caligine.
Ma ai tempi presenti non accade più questo: se pure rimane qualche falsa
opinione, che in quella montagna abbia vissuto la Sibilla, niuno più crede
(almeno se non è sciocco) che presentemente passeggi per quelle contrade
la sognata Sibilla».
Fig. 28 - Note vergate da Giuseppe Colucci a proposito della Sibilla Appenninica tratte dall'edizione,
curata da Colucci, del De laudibus Piceni sive Marchiae Anconitanae Libellus di Niccolò Peranzoni
(Fermo, 1792), Tomo XXV, p. 118-119
E parole non meno dure sono dedicate da Colucci alla leggenda che
riguarda il Lago di Pilato:
«È prevalsa presso quelli idioti contadini di quelle parti la sciocca credenza
di non potersi gettare alcun sasso nel centro di quel lago, perché dicono che
sarebbe causa di far nascer subito una tempesta per l'insulto che ne
59
riceverebbe il corpo di Pilato, che con equale sciocchezza credono colà
immerso ed affondato».
Nel nostro articolo Ponzio Pilato e la forma delle acque (2020), abbiamo
ripercorso in modo esaustivo l'insieme delle informazioni disponibili in
letteratura in merito al Lago di Pilato, annidato all'interno del circo glaciale
del Monte Vettore, e alla sua forma così particolare, che muta a seconda
delle stagioni, delle piogge e dei livelli delle precipitazioni nevose. In
quell'articolo non avevamo incluso il contributo reso disponibile da Colucci
su questo tema: una descrizione, interessante e dettagliata, della valle che si
estende tra il Monte Vettore e il Monte Sibilla, prodotta dall'azione erosiva
esercitata da un ghiacciaio ormai scomparso da lungo tempo:
Fig. 29 - Note vergate da Giuseppe Colucci a proposito della geografia dei Monti Sibillini tratte
dall'edizione, curata da Colucci, del De laudibus Piceni sive Marchiae Anconitanae Libellus di Niccolò
Peranzoni (Fermo, 1792), Tomo XXV, p. 121
60
«Adunque nei monti Apennini, e positivamente fra l'alta montagna di
Vittore, e quella della Sibilla si forma dalla natura una gran valle, a capo
della quale, dove le dette due montagne si uniscono, e si legano insieme,
formasi una conchiglia, dove vanno a cadere, e si uniscono tutte le acque
piovane, e delle nevi, che si struggono in esse montagne, come pure quelle
delli scogli, e dei fossi delle medesime. Tutte queste grandi acque raccolte
in detta conchiglia [...] formano nel mezzo della valle formano uno
spazioso lago; il quale da oriente ha l'alta cima della montagna di Vittore, e
all'occidente quella della Sibilla; la quale forma da questa parte orride
insieme e smisurate rupi perpendicolari, che riguardandosi di sotto fanno
orrore, parendo, che a tutti i momenti si vogliano slacciare per sprofondarsi
in esso lago».
Dopo avere fornito importanti informazioni in merito alle dimensioni e alla
potenziale profondità del Lago di Pilato, così come esso poteva essere
veduto alla fine del diciottesimo secolo (500 palmi di larghezza e 3500
palmi di circonferenza, corrispondenti a 100 metri e 770 metri, con un
palmo pari a circa 22 centimetri), Giuseppe Colucci descrive la particolare
forma ad occhiale di quelle acque:
«All'incontro la state, mancando la copia di esse acque si ristringe, e nel
mezzo dove resta come una strozzatura, che divide i due tondi dei descritti
occhiali formasi come un'isoletta, e pare che sieno due laghi, che per
picciolo tratto verso occidente, dove non avviene che mai si distacchi del
tutto si comunicano insieme le acque. In quest'isoletta, dove l'estate si può
andare con sicurezza, Vi sono alcuni sassi, nei quali alcuni curiosi
viaggiatori hanno lasciato scolpito il nome loro».
Si tratta di un'ulteriore attestazione della forza attrattiva di questi luoghi
così affascinanti, con una conferma sostanziale del resoconto redatto nel
quattordicesimo secolo da Antoine de la Sale a proposito della presenza di
una piccola isola al centro del Lago di Pilato e delle visite effettuate, nel
corso di molti secoli, presso le gelide acque poste tra le vertiginose creste
del Monte Vettore, nell'Italia centrale.
61
Fig. 30 - Note vergate da Giuseppe Colucci a proposito del Lago di Pilato tratte dall'edizione, curata da
Colucci, del De laudibus Piceni sive Marchiae Anconitanae Libellus di Niccolò Peranzoni (Fermo, 1792),
Tomo XXV, p. 122
4. Altri riferimenti miscellanei
In questo capitolo presenteremo alcuni ulteriori riferimenti, che non
riguardano direttamente la tradizione leggendaria dei Monti Sibillini, ma
che nondimeno si pongono in stretta relazione con alcuni dei temi che sono
presenti nelle leggende relative alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato.
4.1 La Materia di Bretagna e 'Il Paradiso della Regina Sibilla' di Antoine
de la Sale
Nel nostro articolo Antoine de la Sale e il magico ponte nascosto nel Monte
Sibilla (2018) avevamo presentato per la prima volta un esaustivo riepilogo
relativo all'illustre ascendenza letteraria del ponte magicamente stretto che,
secondo Antoine de la Sale e il suo quattrocentesco Il Paradiso della
Regina Sibilla, si troverebbe all'interno dei più profondi recessi della Grotta
della Sibilla:
62
«Poi si trova un ponte, del quale non si capisce di quale materia sia
costruito, ma si dice che non sia più largo di un piede e sembrerebbe essere
molto lungo. [...] Ma non appena si pongono i due piedi sul ponte, esso
diviene largo a sufficienza; e più si procede innanzi e più esso diviene largo
e l'abisso meno profondo» [nel testo originale francese: «Lors trouve-l'on
ung pont, que on ne scet de quoy il est, mais est advis qu'il n'est mie ung
pied de large et semble estre moult long. [...] Mais aussitost que on a les
deux pieds sur le pont, il est assez large; et tant va on plus avant et plus est
large et moins creux»].
In quell'articolo avevamo mostrato come il ponte fosse presente nel
Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, in una serie di Visioni medievali di
origine irlandese e anche nel Dialoghi scritti da Papa San Gregorio Magno
nel sesto secolo. Inoltre, vari esempi di 'ponti del cimento' e altri
meccanismi similari, in grado di rendere possibile l'accesso a regioni
sovrannaturali, possono essere rinvenuti in molti poemi e romanzi
cavallereschi.
Un ulteriore esempio, da noi non menzionato nel citato articolo, è presente
all'interno di una delle più famose opere letterarie appartenenti alla Materia
di Bretagna: Le Mort d'Arthur di Thomas Malory, pubblicato a Londra nel
1485, il fondamentale romanzo, composto in lingua inglese, che rese
possibile la diffusione e la fortuna del ciclo arturiano nel corso dei secoli
successivi.
Troviamo il nostro magico ponte all'inizio dell'edizione a stampa pubblicata
da William Caxton (Libro I Il racconto di Re Artù, Capitolo II Balin o il
Cavaliere dalle Due Spade). Seguiremo qui il testo tratto dal manoscritto
originale rinvenuto a Winchester nel 1934, conservato oggi presso la
British Library (Add. MS 59678), nella trascrizione eseguita da Eugène
Vinaver:
«Poi Merlino creò un ponte di ferro e acciaio che portasse a quell'isola, ed
esso non era largo che mezzo piede, e nessun uomo avrebbe mai potuto
attraversare quel ponte se non avesse avuto il coraggio di transitare su di
esso e se non fosse stato uomo senza perfidia e infamia».
63
Fig. 31 - Una pagina dall'edizione originale a stampa di Le Mort d'Arthur di Thomas Malory pubblicata
da William Caxton (Londra, 1485), tratta da una delle due sole copie superstiti (Morgan Library &
Museum, New York)
[Nel testo originale inglese: «Than Merlion lette make a brygge of iron and
of steele into that ilonde, and hit was but halff a foote brode, and there shall
never man passe that brygge nother have hardynesse to go over hit but yf
he were a passynge good man withoute trechery or vylany»].
Dunque abbiamo un'isola e un ponte di metallo generato tramite le arti
magiche di Merlino, e il ponte è largo solamente mezzo piede, ed esso può
essere superato solo da un uomo che sia sincero e senza colpa.
Il ponte è stato creato per proteggere magicamente il fodero della spada di
Balin, che Merlino lascia sull'isola perché Galahad possa trovarlo («that
Galaad sholde fynde hit»). Si tratta, dunque, di un ulteriore esempio di
'ponte del cimento', il quale consente l'accesso a un luogo
incantato/soprannaturale solo a quel viaggiatore che abbia un cuore puro e
innocente.
64
Fig. 32 - Il ponte magico così come appare in Le Mort d'Arthur, dalla tracsrizione curata da Eugène
Vinaver (Londra, 1954), p. 70
E così, ancora una volta, vediamo come il meccanismo del ponte
magicamente stretto non costituisca una creazione originale sviluppata
nell'ambito della tradizione leggendaria dei Monti Sibillini, come potrebbe
sembrare nel leggere Il Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale;
invece, a tutti gli effetti, questa affascinante ideazione letteraria è
caratterizzata da una storia assai più lunga ed è presente a pieno titolo
anche tra i numerosi temi che sono posti in scena nel contesto della Materia
di Bretagna.
4.2 Il Monte Vettore e la 'Strada delle Fate': un'ulteriore sovrapposizione
di livelli leggendari (proveniente dalle Alpi)
I lettori de La leggenda ctonia ricorderanno come quell'articolo contenga
anche una descrizione della 'Strada delle Fate', la popolare denominazione
assegnata all'enorme, terrificante linea di faglia che percorre
65
orizzontalmente il versante occidentale del Monte Vettore per tutta la sua
lunghezza.
Fig. 33 - Il Monte Vettore e la 'Strada delle Fate'
Questa titanica frattura è il risultato di migliaia di anni di terremoti e rende
visibile, nel modo più eclatante possibile, la potenza delle onde sismice
operanti nella regione.
Malgrado ciò, come abbiamo già avuto modo di illustrare, nessuno è stato
in grado di collegare le leggende concernenti una Sibilla e un prefetto
romano, vive nell'area, con il peculiare comportamento sismico di questa
terra.
La stessa popolazione che vive in questi luoghi ha inteso associare la
grande ferita che corre lungo il Monte Vettore con una narrazione
differente, allontanandosi dunque ancora di più dalla possibilità di
imbattersi, seppure in via congetturale, nella potenziale verità.
Infatti, secondo l'ingenuo popolino la striscia sulla montagna costituirebbe
il segno lasciato dal corteggio di fate della Sibilla, come riferisce Paolo
Toschi nel 1967: «Una sera le fate, di cui la Sibilla era regina, chiesero il
permesso di andare al ballo notturno [...] Ad un tratto, all'orizzonte,
s'accenna il primo lucore dell'alba. Sorprese, sbigottite, colte dall'ansia e
dallo spavento, s'affrettano le fate in folle corsa verso la grotta [...] Tutta
66
una striscia della montagna, lungo la costa del Vettore, fu così pesticciata
dall'affannoso correre delle fate, che la traccia ne è rimasta tuttora».
Si tratta, forse, di una leggenda originale, nata proprio qui, dove gli
Appennini dell'Italia centrale innalzano i propri picchi più elevati?
Ricordiamo che nemmeno la Sibilla è originale di questi luoghi (si tratta di
un personaggio che proviene dalla Materia di Bretagna), e neppure lo è
Ponzio Pilato (le cui narrazioni si sviluppano nei primi secoli della
Cristianità).
La 'Strada delle Fate' non fa eccezione.
Se prendiamo in mano il Bollettino del Club Alpino Italiano del 1886 (Vol.
XX, n. 53), troviamo un interessante articolo, il cui titolo è Le Leggende
delle Alpi:
Fig. 34 - Maria Savi Lopez, Le Leggende delle Alpi, in Bollettino del Club Alpino Italiano per l'anno
1886 (Vol. XX, n. 53), p. 191
67
«Da uno di questi pastori, invecchiato fra le montagne, udii sul Civrari
narrare, con un'efficacia insuperabile, una delle leggende che furono
popolari ed ora vanno perdendosi in quella parte delle Alpi, ed è quella che
ricorda la Corsa delle fate».
Il Monte Civrari non è situato tra i Monti Sibillini, nell'Italia centrale: si
tratta di un picco delle Alpi, posto in Piemonte, a settentrione. Ma quel
racconto popolare presenta molti punti di contatto con quello che abita le
montagne tra l'Umbria e le Marche:
«Di notte, in mezzo a quella desolazione, mentre forse la nebbia passava
rapidamente nelle gole, fra il chiarore della luna ed il vento che flagellava
le rocce [...], il vecchio pastore, sgomentato da un rumore di ruote e di
sonagli, era uscito dalla povera casa ed aveva visto passare la splendida e
meravigliosa Corsa delle fate».
Fig. 35 - La corsa delle fate da Le leggende delle Alpi, in Bollettino del Club Alpino Italiano per l'anno
1886 (Vol. XX, n. 53), p. 196
L'autrice dell'articolo, Maria Savi Lopez, scrittrice e poetessa italiana, ci
fornisce una descrizione di quella corsa magica e illusoria:
«[...] il vecchio descriveva la visione apparsagli in quella notte [... in cui
poté] veder passare le fate colle corone di edelweiss, ritte sui carri di fuoco,
in uno splendore di luce, seguite dai folletti nella corsa vertiginosa su le
creste, i colli e le altissime cime».
68
Secondo Savi Lopez questo genere di narrazione è presente anche in altre
aree delle Alpi italiane, nonché presso il versante austriaco:
«In questa credenza nella passeggiata notturna delle fate sulle nostre Alpi
Graie [...] trovasi molta relazione con altre credenze che durano ancora in
tutta la catena delle Alpi, e specialmente verso il Tirolo e le regioni
austrache, ove si ha viva memoria della dea Bercht. [...] Esse narrano che,
specialmente da Natale all'Epifania, la dea splendente di viva luce passa
sulle montagne, e col suo seguito di fate e di streghe va raccogliendo le
offerte che gli alpigiani depongono sui tetti delle case. Molte di queste fate
sono orribili nell'aspetto, ed hanno lunghi bastoni e sacchi ove mettono i
doni. Nel loro viaggio fanno un'infinità di salti».
E risulta essere presente anche il tema della danza dei villici:
«Forse come ultimo ricordo delle feste che si dovettero celebrare nei tempi
lontani, in onore della potente dea, si usa ancora fra certi alpigiani una
danza che prende il suo nome. Questa però non ha nulla di speciale nei
movimenti dei quattro ballerini che l'eseguiscono, i quali sono vestiti con
abiti ricchissimi di color giallo e rosso, adorni con nastri, e portano una
corona di penne».
Per rendere la somiglianza ancora più stretta, ecco anche la divinità alpina
nella sua dimora sotterranea:
Fig. 36 - La corsa di una divinità sotterranea e delle sue fate da Le Leggende delle Alpi, in Bollettino del
Club Alpino Italiano per l'anno 1886 (Vol. XX, n. 53), p. 197-198
«Sulle Alpi della Svizzera, credesi che la processione delle fate avvenga nel
secondo giorno dell'anno, o nel terzo, se l'anno comincia di sabato; però
69
nell'inverno la bella dea ha il suo trono sottoterra, ove trovasi pure il suo
gregge; ma essa ritorna anche qualche volta sulla terra, vestita con
indicibile ricchezza, e gitta della segala sui campicelli delle montagne, o a
Natale vestita da cacciatrice corre seguita da una folla di spiriti allegri, ed è
speciale protettrice delle buone fanciulle».
Risulta quindi chiaro come le fate che allegramente corrono attraverso il
versante del Monte Vettore non siano altro che uno dei molti strati
leggendari che siamo stati in grado di identificare tra i Monti Sibillini:
proprio come la Sibilla e Ponzio Pilato, anche la 'Strada delle Fate' non è
che una reminiscenza di una tradizione estranea, proveniente da montagne
lontane e differenti, tipica degli abitanti delle Alpi italiane e austriache. La
linea di faglia non ha fatto che rappresentare uno scenario assai opportuno -
e particolarmente impressionante - sul quale proiettare un racconto di fate
trascorrenti, che nulla ha a che fare non solo con i terremoti, ma neppure
con la Sibilla Appenninica, la cui ascendenza può essere rintracciata
nell'ambito della Materia di Bretagna.
È questo un ulteriore esempio della sorprendente sovrapposizione di
materiale leggendario che vive sugli elevati, paurosi picchi dei Monti
Sibillini: un'ambientazione ideale per attrarre racconti estranei e miti dalle
diverse caratteristiche e origini.
Ma il mito primario è nascosto giù, in profondità, al di sotto dei molteplici
strati di leggende sovrapposte. E il livello più profondo è costituito dai
terremoti.
4.3 La Chiesa cattolica e la Sibilla Appenninica
Sin dalle affermazioni di Antoine de la Sale a proposito di un Papa che
avrebbe fatto «riempire» e «distruggere» l'ingresso alla Grotta della Sibilla
per impedire le visite al sito, l'attenzione della Chiesa nei confronti delle
tradizioni leggendarie dei Monti Sibillini è sempre stata ben desta, a motivo
della natura empia e demoniaca dei rituali effettuati da personaggi non
certamente ben intenzionati presso la Grotta e anche al Lago di Pilato.
70
Dobbiamo anche ricordare come la prima menzione nota agli studiosi a
proposito del Lago sia costituita dal brano trecentesco rinvenibile in Petrus
Berchorius, il quale venne a conoscenza del carattere negromantico di
quelle acque situate in prossimità di Norcia «da un certo prelato, persona
sommamente attendibile tra tutti gli uomini»: un esponente della Chiesa di
quell'epoca.
E non dobbiamo dimenticare il «processo» ecclesiastico celebrato a Parigi
nel 1587 contro due maghi che avevano osato recarsi al Monte Sibilla per
effettuare le loro maligne consacrazioni, come narrato da Pierre Crespet: «il
Papa», ci racconta, «fa attentamente sorvegliare la detta caverna dove si
trova la citata Sibilla, al fine di impedire ogni comunicazione con essa».
Fig. 37 - La sorveglianza presso la Grotta della Sibilla, da Pierre Crespet (Crespetus), De la hayne de
Satan et malins esprist contro l'homme (Parigi, 1590), p. 93
Oltre alle citate attestazioni storiche concernenti l'osservazione e la
vigilanza che le istituzioni ecclesiastiche hanno mantenuto, nel corso del
tempo, nei confronti del fenomeno sibillino, sussiste ancora oggi la
sensazione che la Chiesa della nostra contemporaneità tenga ancora 'gli
occhi aperti' sulla tradizione leggendaria della Sibilla Appenninica e sui
vari movimenti che si svolgono attorno ad essa. Infatti, benché si stia oggi
vivendo un'epoca di secolarizzazione e di svuotamento delle chiese,
un'attenta sorveglianza viene ancora mantenuta su quei potenziali citrulli
che vorrebbero eventualmente sognare un pazzesco ritorno di culti
demoniaci sulla vetta della Sibilla o sulle rive del Lago di Pilato.
Come esempio di questa attenzione, presentiamo qui una citazione da un
discorso tenuto da S.E. Mons. Renato Boccardo, arcivescovo del distretto
71
ecclesiastico di Spoleto - Norcia, durante il XIX Convegno Nazionale
Teologico-Pastorale, tenutosi a Roma nel 2017. Boccardo, nel suo indirizzo
dedicato alle ferite inferte dai terremoti sull'eredità culturale e artistica
dell'area, presenta il territorio da lui stesso amministrato con le seguenti,
significative parole:
«La nostra Archidiocesi si estende nel cuore dell’Appennino, in un
territorio che anticamente andava ben oltre i confini attuali, raggiungendo
le Marche e l’Abruzzo. Un territorio difficile, aspro, dominato dai monti
della Sibilla...».
Si tratta solamente di una citazione, una mera menzione a proposito della
Sibilla, inserita in una frase che è apparentemente marcata da un sapore
casuale; eppure, la Sibilla è lì, oggi come in antico, nelle parole di
Boccardo. E ancora essa pare incombere sui pacifici abitanti di queste
contrade, con un'ombra che sembra non essere svanita mai. Tanto che un
Arcivescovo dei nostri giorni sente ancora il bisogno di ricordare al proprio
uditorio, nell'anno 2017, che questa terra non è del tutto normale, in quanto
una misteriosa, sfuggente entità è sempre in attesa, lassù, nella profonda
grotta sepolta sotto creste vertiginose e battute dai venti.
Fig. 38 - Le parole di S.E. Mons. Renato Boccardo sulla Sibilla Appenninica, da La bellezza ferita, in XIX
Convegno Nazionale Teologico-Pastorale (Roma, 2017), p. 3
72
Ed è possibile per me, personalmente, proporre un ulteriore esempio di
attestazione di interesse da parte della Chiesa. Il 17 agosto 2018, a
Montegallo, ebbi l'occasione di effettuare una presentazione sulla
tradizione leggendaria della Sibilla Appennica, proprio in vista dei più
paurosi precipizi del Monte Vettore, la più elevata montagna dei Monti
Sibillini. Seduto tra il pubblico, che raccoglieva appassionati del racconto
leggendario e persone interessate a conoscere meglio questo mito, ebbi
l'onore di notare la presenza di Sua Eccellenza Mons. Giovanni D'Ercole,
all'epoca vescovo di Ascoli Piceno, che si trovava a Montegallo per una
visita ufficiale nel periodo 15-23 agosto, in una terra così meravigliosa ma
anche così pesantemente colpita dai recenti terremoti.
Monsignor D'Ercole assistette in silenzio all'intera presentazione. Quando
essa terminò, egli semplicemente se ne andò. Eppure, l'illustre prelato
aveva meditato con attenzione ognuna delle singole parole da me
pronunciate a proposito di quell'antica leggenda, la quale certamente non
poteva nascondere il proprio originale carattere demoniaco.
E così, la Chiesa cattolica è sempre lì, in allerta. Una lotta antica di secoli,
che ancora oggi continua, seppure con toni attutiti. Anche nella nostra
presente epoca di Internet, smartphone e intelligenza artificiale.
5. Considerazioni personali di un ricercatore creativo
In questa sessione del presente articolo vogliamo abbandonare il campo
della ricerca filologica e geomitologica per fare ingresso in un ambito
maggiormente personale, con l'obiettivo di consegnare al lettore una
pluralità di annotazioni e considerazioni, anche suggestive, illustrando al
contempo la genesi della nostra ricerca relativa alle leggende dei Monti
Sibillini.
E iniziamo dalla parte finale: come la ricerca è stata accolta.
73
5.1 La leggenda ctonia: l'accoglienza in ambito accademico
Cosa è successo dopo il 25 marzo 2020, a valle della pubblicazione
dell'articolo Monti Sibillini, la leggenda ctonia?
Quale sorta di vasta diffusione e accettazione ha potuto esperimentare
questa ricerca successivamente alla pubblicazione di un risultato così
significativo? Quale è stata la reazione della comunità scientifica, in Italia e
all'estero?
La risposta è semplice: fondamentalmente, nessuna. Nulla, assolutamente
nulla è accaduto.
E - in effetti - nulla avrebbe potuto accadere, in quanto l'Autore dell'articolo
La leggenda ctonia - un ricercatore indipendente, non professionista - non è
membro di alcuna istituzione accademica.
Così nessuno che appartenga all'ambiente scientifico internazionale ha mai
contattato questo vostro Autore (se non privatamente e in un numero
limitato di casi); inoltre, nessuna formale proposta di cooperazione
scientifica è stata mai indirizzata al sottoscritto.
Nondimeno, qualcosa di incredibile è egualmente accaduto. E sta ancora
accadendo.
A partire dall'anno 2020, “Michele Sanvico”, con i suoi molti articoli
scientifici riguardanti l'eredità leggendaria dei Monti Sibillini, è divenuto
uno dei ricercatori maggiormente letti su due primarie piattaforme social,
che pongono in connessione centinaia di migliaia di studiosi professionali
nel mondo intero.
Per Academia.edu, la piattaforma web internazionale per la condivisione
della ricerca accademica (265 milioni di utenti registrati, 55 milioni di
articoli scientifici caricati a luglio 2024), Michele Sanvico è «a highly
followed author». Perché, incredibile a dirsi, la ricerca prodotta da Michele
Sanvico si posiziona al «Top 4%» di tutti i ricercatori presenti su
Academia.edu!
74
Fig. 39 - Michele Sanvico è un «highly followed author» posizionato al «Top 4%» all'interno del social
network Academia.edu
Migliaia e migliaia di ricercatori, appartenenti alle maggiori istituzioni
accademiche attive nel mondo, hanno letto uno o più dei numerosi articoli
pubblicati da Michele Sanvico in relazione ai Monti Sibillini, alla loro
tradizione leggendaria, al Monte Sibilla, al lago di Pilato e all'innovatva
congettura concernente il legame tra le leggende e il peculiare
comportamento sismico di questo territorio.
75
Nell'ambito di ResearchGate.net, una rete ancor più selettiva che connette
25 milioni di ricercatori nel mondo (in genere formalmente affiliati a
istituzioni accademiche), questo Autore ha totalizzato più di 34.000 letture,
delle quali circa 5.000 letture complete di interi articoli, e ha raggiunto un
'Research Interest Score' pari a 71,9, più elevato di quello relativo al 59%
di tutti gli utenti registrati su ResearchGate!
Per quanto tutto ciò possa apparire incredibile, oltre a ciò i punteggi relativi
al sottoscritto sono superiori a quelli del 92% di tutti i ricercatori nel campo
della Filologia Classica, e a quelli dell'85% di tutti gli studiosi attivi nei
settori della Storiografia Culturale e della Mitologia & Folklore.
Questo risultato appare essere ancora più significativo se consideriamo che,
benché non affiliato ad alcuna istituzione accademica professionale, il
vostro Autore è stato accettato da ResearchGate.net come membro di
questa importante rete sociale a valle di una valutazione della qualità degli
articoli proposti e dell'originalità del campo di ricerca.
Ma come è stato possibile tutto questo?
Certamente non è così usuale poter vedere un ricercatore indipendente e
'freelance' balzare fino a elevati livelli di classifica nel mezzo di una
moltitudine di ricercatori professionali e scienziati di livello internazionale.
Di fatto il motivo di tutto ciò può essere ricondotto al carattere originale
della ricerca proposta, su temi coperti in modo del tutto insufficiente, o
addirittura del tutto trascurati, da altri studiosi, in modo tale da rendere
disponibile un vasto spazio per la pubblicazione di articoli scientifici
dedicati.
E quegli articoli sembrano essere di grande interesse per i ricercatori a
livello internazionale: oggi, infatti, tra le riviste scientifiche sono iniziate ad
apparire le prime citazioni dei medesimi articoli, con una prima menzione
proveniente da studiosi attivi presso la Stanford University, e una seconda
originata da un illustre membro della Royal Danish Library di Copenaghen.
Possiamo ipotizzare, per quanto riguarda i prossimi anni, che ulteriori
citazioni continueranno ad comparire nella letteratura scientifica, se solo
consideriamo come molti lettori degli articoli sulla Sibilla appenninica
76
siano studenti di dottorato, i quali pubblicheranno i propri lavori nel corso
della prossima decade.
Fig. 40 - Il profilo di Michele Sanvico nel portale web ResearchGate.net
A titolo di nota conclusiva al presente paragrafo, voglio sottolineare il fatto
che, benché la pubblicazione dell'intera collezione di articoli appartenenti
alla serie Sibilla Appenninica, il Mistero e la Leggenda abbia avuto luogo
77
nel corso di circa cinque anni, con il contributo più importante pubblicato il
25 marzo 2020, opportune misure sono state prese al fine di evitare che
l''idea di ricerca' principale potesse essere utilizzata da altri mentre il
processo di pubblicazione si stava ancora sviluppando.
Infatti, è stata dedicata estrema attenzione al mantenimento della
riservatezza quanto al risultato fondamentale dell'investigazione (vale a
dire la congettura innovativa e originale riguardante la connessione tra la
Sibilla Appenninica e il peculiare comportamento sismico dei Monti
Sibillini): un risultato dissimulato al di sotto di un velo di mistero e
anticipazione, mentre la pubblicazione degli articoli proseguiva dai primi
lavori del 2017 fino al contributo principale del marzo 2020. Nessun
riferimento ai terremoti è stato mai incluso negli articoli in corso di
successiva pubblicazione prima del 2020, lasciando così il sorprendente
passo finale della ricerca nascosto ai lettori fino al disvelamento conclusivo
con l'articolo La leggenda ctonia.
Ciò ha impedito ad altri ricercatori di capitalizzare i risultati
dell'investigazione in corso, e, alla fine dei conti, lasciando all'Autore del
presente articolo il pieno controllo e la totale paternità dei significativi
risultati scientifici infine ottenuti.
Un processo assai lungo, dunque, che ha condotto al completo
mantenimento della proprietà dell'originale idea posta alla base della
ricerca. Ed è stato possibile realizzare tutto ciò nella totale assenza di ogni
affiliazione a qualsivoglia università o centro di ricerca, in un contesto di
incondizionata indipendenza.
È questa la forza del lavorare in solitaria, al fine di ottenere risultati
significativi senza vincoli esterni, e con la totale libertà di potere pensare
'fuori dagli schemi'. Un posizionamento di ricerca che è totalmente estraneo
al corrente, dominante approccio accademico, all'interno del quale l'intero
sistema lavora in coordinamento, ma senza permettere di operare in libertà,
e senza concedere spazio al libero pensiero, perché il ricercatore deve
aderire alle opinioni e convinzioni sostenute dall'organizzazione (inclusa
l'organizzazione a carattere accademico) nella quale ci si trova immersi.
Questo concetto è stato efficacemente espresso da Max Horkheimer, il
filosofo e sociologo tedesco, nella sua opera Eclisse della ragione
(Capitolo IV):
78
«Sin dal giorno della sua nascita, all'individuo viene fatto sentire che esiste
un solo modo per vivere nel mondo [...] applicando l'imitazione. Egli deve
continuamente rispondere a ciò che percepisce attorno a sé, [...] emulando i
tratti e le attitudini espresse da tutte le comunità che lo circondano - il suo
gruppo di gioco, i suoi compagni di classe, il suo gruppo sportivo, e tutti gli
altri gruppi che, come illustrato, impongono una più stretta conformità, una
più radicale resa tramite una completa assimilazione, maggiori di quelle
che nessun padre del diciannovesimo secolo sarebbe mai stato in grado di
imporre. Facendo eco, ripetendo, imitando i suoi vicini; adattando se stesso
a tutti quei potenti gruppi ai quali egli eventualmente apparterrà;
trasformandosi da essere umano in membro dell'organizzazione,
sacrificando le proprie potenzialità in favore della solerzia e della capacità
di conformarsi e di guadagnare influenza in queste organizzazioni, egli
riuscirà a sopravvivere».
La sua sopravvivenza, aggiunge Horkheimer, sarà ottenuta «utilizzando il
pià antico metodo biologico di conservazione, e cioè l'imitazione».
Nella mia qualità di ricercatore totalmente indipendente, non ho avuto
necessità di imitare nessuno. E così, ho potuto avere successo dove tutti gli
altri, attraverso i secoli e fino al nostro tempo presente, hanno invece
fallito.
Fig. 41 - Una prima citazione di un articolo di ricerca appartenente alla serie Sibilla Appenninica, il
Mistero e la Leggenda
79
Fig. 42 - Un'ulteriore citazione accademica
5.2 La leggenda ctonia: l'accoglienza nel territorio
Fino ad ora abbiamo discusso l'accoglienza accordata dal mondo
accademico alla ricerca che, nel marzo 2020, ha stabilito una nuova ipotesi
di connessione tra l'eredità leggendaria dei Monti Sibillini e i terremoti che,
in modo ricorrente, sono soliti colpire questa terra dell'Italia centrale.
Ma quale genere di accoglienza ha potuto esperimentare questa ricerca in
quegli stessi territori che erano oggetto del suo esame? Cosa è accaduto in
Italia, nelle regioni delle Marche e dell'Umbria, e nelle città e borghi che
circondano le magiche creste del Monte Vettore e del Monte Sibilla?
La risposta non è diversa da quella già illustrata in relazione all'accoglienza
accademica: virtualmente, nulla.
E non si tratta solamente di una questione di virtulità. A tutti gli effetti, non
vi è stata accoglienza alcuna.
Mentre il mondo accademico ha in qualche modo risposto, esprimendo un
deciso interesse quantomeno nel leggere gli articoli da me pubblicati in
materia, le locali istituzioni italiane - comprendenti due amministrazioni
regionali (Umbria e Marche), una quantità di Comuni (Norcia,
80
Montemonaco, Ascoli e altri), e una selezionata lista di pubbliche autorità
(Parco Nazionale dei Monti Sibillini) - non hanno mai dato alcun segno di
vita.
Fig. 43 - Parco Nazionale dei Monti Sibillini, logo ufficiale
Una ricerca estremamente significativa, in grado potenzialmente di
riscrivere la storia leggendaria, se non la storia tout court, della loro stessa
terra sembra non presentare alcun interesse per il settore pubblico.
Parrebbe proprio che non sia affar loro, benché essi dichiarino di essere
profondamente impegnati nella promozione del turismo e delle tradizioni
locali nell'area dei Monti Sibillini, effettuando campagne informative e di
marketing tra un vasto pubblico, sia in Italia che all'estero.
Eppure, nessuno è mai comparso per domandare maggiori delucidazioni su
questa particolare ricerca, la quale fornisce la soluzione a un misterioso
enigma vivo da più di ottocento anni, sin dalla prima menzione del magico
lago reperita nel brano di Petrus Berchorius.
E cosa possiamo dire del settore privato e dei locali investitori? Alberghi,
ristoranti, esercizi commerciali sparsi per tutti i Monti Sibillini sono in
competizione per acquisire crescenti quote di mercato in termini di
presenze turistiche e pernottamenti. Ma a nessuno piacciono i terremoti, e
nemmeno le chiacchiere sui terremoti, perché si teme che i turisti possano
preferire di abbandonare o evitare totalmente quelle zone che diano l'idea di
81
essere troppo soggette a questi eventi. E così, nessuno è mai venuto a
chiedere un approfondimento, o a proporsi di ospitare una sessione di
presentazione sul potenziale collegamento tra onde sismiche e celebri
racconti leggendari; e i ben pochi incontri pubblici effettuati dal vostro
Autore nell'area sono andati quasi deserti.
Veramente una gioiosa accoglienza per un lavoro di ricerca che tenta di
gettare una luce sulle origini e sulle credenze degli abitanti dei Monti
Sibillini, sino ai più lontani antenati.
Dunque, stiamo ancora aspettando che qualcuno si svegli. Al momento, più
di quattro anni dopo, stanno ancora tutti dormendo.
5.3 La leggenda ctonia: le origini
In questo capitolo così personale voglio includere anche una breve
ricapitolazione a proposito del tortuoso percorso che ha condotto, infine,
alla pubblicazione dell'articolo La leggenda ctonia.
Quando ha avuto inizio, tutto ciò?
Il 16 agosto 2009 decisi di recarmi, per la prima volta, sulla vetta del
Monte della Sibilla, posto tra l'Umbria e le Marche. Ero a conoscenza del
fatto che una leggenda abitava quei luoghi remoti, ma ne sapevo poco o
punto. Quando finalmente raggiunsi il luogo dove si trovavano i resti della
leggendaria caverna, mi ripromisi di approfondire quella storia così antica e
sinistra, collegata alla presenza di una Sibilla. E - mentre me ne tornavo giù
per la ripida discesa - cominciai a immaginare un libro: un nuovo romanzo,
che avrebbe raccontato la storia di quel mito sibillino e avrebbe trovato
nuove, strane risposte su quell'inquietante mistero. Risposte mai trovate
prima.
82
Fig. 44 - Il futuro autore Michele Sanvico intervistato dalla RAI sulla cima del Monte Sibilla nel 2009
Per un caso curioso e inusitato, quando ancora mi trovavo sulla cima di
quel monte, venni avvicinato da una troupe della RAI. In quella calda
giornata ferragostana, la giornalista stava chiedendo agli escursionisti
perché avessero deciso di recarsi proprio lì e cosa si attendessero di trovare
sulla cima della Sibilla. E fu così che il sottoscritto - il futuro autore di
Abyssus Sibyllae - L'Undicesima Sibilla e delle ricerche sul mito sibillino -
poté rilasciare la sua primissima intervista sulla leggenda della Sibilla,
senza ancora avere scritto nemmeno un singolo rigo del proprio libro,
ancora del tutto relegato nel mondo della fantasia!
Che cosa avrebbe raccontato quel libro sulla Sibilla? Ero rimasto deluso e
colpito di fronte alla visione dell'ingresso alla Grotta, ridotto a un cumulo
di detriti e pietre spezzate da qualche mano sconosciuta in un tempo non
meglio specificato: quale mistero si nascondeva dentro? E quale era la
storia di quelle rocce frantumate, silenziosamente giacenti sulla cima di una
remota montagna d'Italia? Iniziai dunque a concepire una trama che
avrebbe ripercorso la storia del racconto leggendario della Sibilla
83
Appenninica, con l'aggiunta di un tocco di finzione che sarebbe stato basato
sull'immaginifica congettura della possibile esistenza, in qualche punto
della vetta del Monte Sibilla, di un secondo ingresso nascosto che potesse
ancora permettere l'accesso alla Grotta, secondo un enigma antico la cui
conoscenza fosse disponibile solo agli iniziati.
Così, in pochi mesi, scrissi e pubblicai Abyssus Sibyllae, l'Abisso della
Sibilla, nel quale il protagonista principale veniva proiettato all'interno di in
un incalzante processo di ricerca che iniziava con il Guerrin Meschino di
Andrea da Barberino e Il Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la
Sale, inoltrandosi poi attraverso i secoli fino ai rovinosi scavi effettuati dai
cercatori di tesori nel ventesimo secolo, e alle spedizioni scientifiche
condotte sulla cima del Monte Sibilla nell'anno 2000.
In questo libro, del quale parlerò ulteriormente nei paragrafi successivi, mi
trovai inconsciamente a compiere il medesimo errore che, in seguito, avrei
attribuito a tutti gli studiosi della materia sibillina: non presi in alcuna
considerazione il Lago di Pilato, sembrandomi trattarsi di una favoletta
particolarmente sciocca, e particolarmente fuori contesto a motivo della
menzione del famoso prefetto romano dei Vangeli, ritenendo che non
potesse essere di alcun interesse. Ma - come ho già avuto occasione di
spiegare - mi sbagliavo, e mi sbagliavo di grosso.
Fig. 45 - La prima copertina, autoprodotta, del romanzo Abyssus Sibyllae di Michele Sanvico (2010)
84
Eppure, Abyssus Sibyllae conteneva già, in una forma inquietante,
sotterranea, lo spaventoso tema dei terremoti, benché ancora non
direttamente connesso alla Sibilla Appenninica, e anzi nella forma di una
terrificante vibrazione che paurosamente pulsava attraversando l'intero
libro e la stessa città di Norcia, e che sarebbe poi deflagrata definitivamente
dieci anni dopo nell'articolo La leggenda ctonia:
«Era questa la Norcia che tremava, vibrava al di sotto della superficie delle
cose: una città che era esistita sin da tempi remoti e inaccessibili; che aveva
vissuto, gioito, pregato, sofferto per innumerevoli generazioni [...] Una
bestia inumana, oscura, viveva infatti nel sottosuolo, attendendo. Al di sotto
della piazza, delle strade, degli antichi palazzi degli uomini, l’essere privo
di sembiante, dagli occhi ciechi e lucenti, aspettava paziente, sognando. Il
suo sogno, il sogno della nera potenza del sottosuolo, durava intere vite
umane, incombendo su di esse come turgida nube di tempesta; finché,
all’improvviso, la belva senza volto, senza occhi, si risvegliava, e
manifestava il suo feroce abominio sulle distese della terra».
Questo era il modo con il quale percepivo l'invincibile potenza dei
terremoti che sempre operavano al di sotto dei Monti Sibillini. Era l'anno
2010.
Molti altri anni passarono. Il 24 agosto 2016 un grande terremoto colpì
effettivamente l'orlo meridionale dei Monti Sibillini, provocando la perdita
di centinaia di vite. Un ulteriore potente terremoto si abbatté sulla città di
Norcia il 30 ottobre 2016, con una magnitudo che poneva quel sisma tra i
più notevoli mai registrati in Italia.
Qualcosa stava vibrando nella mia mente, ma ancora non sapevo di cosa,
esattamente, si trattasse.
Nel 2017, mentre la terra stava ancora tremando, presi la decisione di
lanciare una nuova pagina Facebook, Sibilla Appenninica, il Mistero e la
Leggenda: essa era concepita come un mezzo per fornire semplici
innformazioni ai turisti in merito all'eredità leggendaria dei Monti Sibillini
(e sempre trascurando in modo specifico il Lago di Pilato), senza alcuna
particolare idea di sviluppare della ricerca originale su questi temi.
85
Fig. 46 - Sibilla Appenninica, il Mistero e la Leggenda (logo Facebook)
Eppure qualcosa stava ancora pulsando all'interno della mia mente. Sentivo
che qualcosa pareva essere del tutto sbagliato, in riferimento a tutta la
ricerca letteraria e filologica prodotta da tutti i precedenti studiosi sul tema
dei Monti Sibillini, e nelle pubblicazioni da essi elaborate: come mai
nessuno aveva mai provato a ricercare menzioni a proposito della Sibilla
Appenninica che fossero presenti nella letteratura dei secoli precedenti, in
particolare del Medioevo? Perché tutti affermavano come questa Sibilla
sembrasse apparire all'improvviso nel quindicesimo secolo, come una stella
solitaria repentinamente baluginante nel buio?
Mi pareva che tutto ciò fosse assai incongruo: se quella leggenda sibillina
era stata così potente da attraversare molti secoli successivamente al
quindicesimo, certamente essa doveva avere lasciato molte tracce di
anche nei secoli precedenti. Tutto quello che dovevo fare era ricercare
quelle tracce.
La mia investigazione si rivelò immediatamente fruttuosa: alla fine del
2017 avevo già reperito numerosi accenni a episodi narrati nel romanzo
Guerrin Meschino di Andrea da Barberino - contenente la più antica
menzione alla Sibilla di Norcia - all'interno di vari poemi cavallereschi
risalenti a epoche precedenti, come Huon di Bordeaux e Ugone d'Alvernia.
E rinvenni anche ulteriori narrazioni, in seguito utilizzate da Antoine de la
Sale nel suo Il Paradiso della Regina Sibilla, in precedenti opere letterarie:
il ponte magico e le porte eternamente battenti erano parte di antiche
tradizioni leggendarie, poi successivamente incluse nella tradizione
sibillina.
86
Stava quindi diventando chiaro come centocinquanta anni di erudita ricerca
filologica non fossero stati in grado di rintracciare le origini della Sibilla
Appenninica, risalendo fino alle sue manifeste radici letterarie.
Ma la parte più emozionante doveva ancora venire.
Durante le vacanze natalizie del 2016/2017, mentre il terremoto continuava
a scuotere in modo persistente l'area di Norcia, i residenti di quei luoghi si
trovavano a esperimentare il massimo livello di angoscia, con le proprie
case continuativamente soggette a paurosi scuotimenti e con boati
spaventosi che procedevano giorno e notte dalla viscere della terra. Tutti
vivevano nella terrificante attesa di un'altra potentissima scossa, quella
definitiva, che avrebbe devastato l'intero territorio. I parenti di mia moglie,
originaria di Norcia, urlavano tutti al telefono la stessa disperata
invocazione: «Tutto questo, quando finirà? Quando si acquieterà, questo
terremoto? Perché si comporta con noi in modo così malvagio?».
Fig. 47 - Fratture lungo il versante occidentale del Monte Vettore provocate dalla sequenza sismica del
2016
Fu esattamente questo il momento in cui ebbi accesso a una sorta di
illuminazione.
I residenti di oggi erano terrorizzati. Essi avrebbero fatto qualsiasi cosa pur
di fermare il terremoto. Essi sapevano bene che non esisteva alcun modo
87
efficace per arrestarlo, perché le placche tettoniche costituiscono
gigantesche strutture naturali che si pongono al di di ogni umano
intervento. Nondimeno, essi tendevano a personificare le onde sismiche,
pensavano ad esse come a una sorta di mostro, e attribuivano ad esse
malvagie intenzioni contro le loro vite e le loro anime.
Se tutto questo accadeva agli uomini e alle donne della nostra
contemporaneità, viventi nel ventunesimo secolo, cosa poteva essere
accaduto, in contesti analoghi, all'epoca dei Romani, o anche prima, nel
corso dell'Età del Ferro?
In quel preciso momento, riuscii perfettamente a percepire il completo
terrore che, assai probabilmente, era solito afferrare l'animo degli antichi
abitanti dei Monti Sibillini. Potevo immaginare il loro concepire il
terremoto come un mostro divino, un demone sotterraneo, una potenza
dell'Aldilà, nella totale assenza di ogni altra spiegazione che potesse
rendere conto di ciò che stava accadendo loro. Potevo quasi toccare con
mano il loro ardente desiderio che tutto questo si fermasse, la folle paura
che coglieva i loro cuori sotto l'azione delle inarrestabili scosse generate da
una potente sequenza sismica.
Sicuramente essi avrebbero cercato un modo per pacificare il demone,
rivolgendosi direttamente a lui e magari offrendogli dei sacrifici. Ma dove
trovare quella bestia sotterranea?
La risposta era ovvia. I Monti Sibillin offrivano due luoghi presso i quali
stabilire un contatto con il demone: un'orribile Grotta, in alto sulla cima di
un picco roccioso, e un sinistro Lago, giacente tra paurosi precipizi.
E qui arrivò l'idea: la Grotta e il Lago erano forse stati - sin dalla più
remota antichità - luoghi assai opportuni per comunicare con un mondo di
divinità sotterranee, che si riteneva governassero i terremoti (quei terremoti
che spesso trovavamo origine proprio al di sotto di quegli stessi siti). E, nel
corso dei secoli seguenti, quel genere di luoghi non avrebbe perduto la
propria agghiacciante fama, attraendo così nuovi livelli leggendari costituiti
da ulteriori spaventose narrazioni, mentre il racconto originale che
riguardava i terremoti svaniva nel tempo.
88
Una volta concepita l'idea principale, decisi di non divulgarla
immediatamente pubblicandola senza indugio su uno o più social network.
Se avessi agito così, di certo qualcun altro avrebbe 'rubato' quell'intuizione
e avrebbe pubblicato i propri articoli scientifici reclamando la piena
primogenitura di una congettura innovativa e di grandissimo interesse, che
nessuno aveva mai esplicitato prima. Non intendevo certo perdere così il
mio vantaggio, gettandolo al vento.
E così ebbe inizio il mio lungo viaggio nell'eredità leggendaria dei Monti
Sibillini, un viaggio che si è sviluppato attraverso un'emozionante serie di
articoli di ricerca, che sono stati pubblicati l'uno dopo l'altro nel corso di
alcuni anni. Durante il 2018 mi dedicai all'elaborazione di una serie di
articoli preliminari che avevano l'obiettivo di preparare la strada a quella
che sarebbe stata la svolta principale e particolarmente innovativa,
compiuta all'inizio del 2019 con l'articolo Nascita di una Sibilla: la traccia
medievale: la prima ricerca mai pubblicata che illuminava pienamente
l'ascendenza medievale della Sibilla Appenninica, una discendente di
Morgana la Fata e della sua compagna Sebile, due dei personaggi principali
della Materia di Bretagna. Nessuno aveva mai delineato tutto ciò in modo
così chiaro, a meno di alcuni studiosi che avevano trattato di questa materia
in modo comunque incidentale.
In quel periodo la mia 'stretta relazione' con la Sibilla Appenninica divenne
salda e stabile, nonché pubblicamente riconosciuta: alla fine del 2017 venni
selezionato da Sydonia Production, una società professionale di produzione
audiovisiva, come uno dei principali esperti che sarebbe apparso in La
Sibilla - Tra realtà e leggenda, una docufiction che avrebbe posto in scena
il mistero e la fascinazione della Sibilla Appenninica, e che fu distribuita
l'anno successivo.
89
Fig. 48 - Michele Sanvico nella docufiction La Sibilla - Tra realtà e leggenda prodotta da Sydonia
Production (pubblicata il 20 dicembre 2018)
E questo per quanto riguardava la Sibilla: ma ancora non avevo dedicato
approfondimento alcuno al Lago di Pilato, che continuavo ancora a
considerare come una leggenda assai meno interessante, e
fondamentalmente 'di serie B'. Nondimeno, ecco arrivare una nuova
occasione, che mi fornì una motivazione per potere percorrere anche questa
strada.
In quello stesso inizio del 2019, fui selezionato da un programma RAI
nazionale, Linea bianca, come esperto che avrebbe dovuto effettuare una
breve intervista a proposito delle leggende dei Monti Sibillini proprio sulla
cima del Monte Vettore, con un volo di elicottero che mi avrebbe condotto
direttamente sulla vetta. Così dovetti brevemente rileggere tutta la ricerca
che avevo già pubblicato in merito alla Sibilla, ma anche le informazioni
fondamentali concernenti Pilato e il suo Lago, con le quali non mi ero mai
confrontato.
90
Fig. 49 - La squadra di produzione del programma RAI Linea Bianca con una steadycam sulla vetta del
Monte Vettore il 15 gennaio 2019
E fu, quella, una nuova illuminazione. Mentre ripercorrevo la letteratura
disponibile a proposito di Ponzio Pilato e della sua tradizione leggendaria,
mi resi conto che il prefetto romano aveva costituito il personaggio
principale all'interno di una moltitudine di racconti medievali, i quali erano
tutti dedicati alla dannazione nella quale egli era incorso, avendo
pronunciato un'ingiusta sentenza di morte nei confronti di Gesù Cristo, e al
suo drammatico destino finale. E il luogo di sepoltura del suo corpo
maledetto era stato, per secoli, al centro di speculazioni che coinvolgevano
una molteplicità di siti leggendari, includendo anche una deviazione che
comprendeva i Monti Sibillini.
Non si trattava, in questo caso, di alcun avanzamento scientifico elaborato
sullo specifico tema, in quanto molti studiosi si sono positivamente
occupati di Ponzio Pilato nel corso degli ultimi due secoli: nondimeno, il
mio articolo Una leggenda per un prefetto romano: i Laghi di Ponzio
Pilato, pubblicato a metà dell'anno 2019, fu forse il primo a ripercorrere in
maniera esaustiva l'intera tradizione letteraria relativa all'antico prefetto,
con un'approfondita analisi dedicata al trasferimento di questa leggenda in
Italia, tra le regioni dell'Umbria e delle Marche.
Era, questo, il secondo pilastro della mia ricerca sui Monti Sibillini: avevo
affrontato sia la Sibilla che Pilato, sia la Grotta che il Lago, evidenziando
l'origine estranea delle due narrazioni e la loro derivazione da altre
tradizioni leggendarie. Ero ora pronto a percorrere l'ulteriore tratto del mio
91
viaggio di ricerca, che mi avrebbe condotto fino a colpire il bersaglio che
avevo già stabilito un anno prima: l'instaurazione di una connessione tra le
leggende che abitavano ila Grotta e il Lago, e il peculiare comportamento
sismico dei Monti Sibillini.
Lavoravo ancora con segreta discrezione, non svelando nulla che potesse
suggerire che il mio obiettivo fossero proprio i terremoti, Non volevo
rovinare la mia posizione di vantaggio nel percorso di ricerca con una
rivelazione troppo anticipata, cosa che avrebbe permesso ad altri studiosi di
impadronirsi della mia idea reclamando la proprietà del nuovo modello
congetturale.
Così cominciai a mettere insieme i due racconti leggendari che formavano
la base della tradizione dei Monti Sibillini, la Sibilla e Pilato, identificando
i loro tratti comuni (Monti Sibillini, la leggenda prima delle leggende,
2019) e con uno specifico sviluppo dell'approfondimento relativamente a
uno di questi tratti, vale a dire il carattere oltremondano rinvenibile in
entrambe le leggende (Monti Sibillini, un Lago e una Grotta come accesso
oltremondano,2020). Quest'ultimo articolo si rivelò essere una sorta di
viaggio avventuroso e ardito, in quanto nessuno era mai andato a caccia di
indizi seguendo questo particolare percorso interpretativo in relazione ai
Monti Sibillini, e non sapevo se avrei avuto un qualche successo
nell'effettuare questo tentativo; ma la quantità di riferimenti collegati
all'Aldilà da me reperiti nell'ambito delle due leggende fu così nutrita - con
una molteplicità di collegamenti verso racconti oltremondani illustri e assai
antichi, come il Lago d'Averno e il Purgatorio di San Patrizio - che presto
realizzai come stessi sicuramente procedendo lungo un sentiero
significativamente promettente: un sentiero che stava conducendo i miei
passi direttamente verso l'obiettivo che mi ero dato, e cioè i terremoti.
Era giunto l'inizio dell'anno 2020: ora ero pronto, mi trovavo con tutto
l'equipaggiamento giusto per tentare di compiere il salto finale, per correre
quell'ultimo tratto che avrebbe portato la mia ricerca su di una Sibilla e un
prefetto romano, attraverso un approccio oltremondano, giù fino al più
profondo, più antico nucleo delle leggende dei Monti Sibillini: i terremoti,
la paura dei terremoti e un possibile culto dei demoni sotterranei che
presiedevano ai terremoti.
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Ma fu quello il momento in cui scoppiò la pandemia da coronavirus. Era il
mese di marzo 2020, e io avevo appena iniziato a scrivere quella che
sarebbe stata la summa del mio pluriennale lavoro di ricerca, l'articolo
Monti Sibillini, la leggenda ctonia. Bombardati quotidianamente dalle
notizie televisive - che sostenevano una paurosa narrazione di
disgregazione sociale e possibilità di morte imminente - l'obiettivo
principale in emergenza diventò quello di riuscire a completare l'articolo
prima di... morire, dopo essermi beccato la fatale infezione!
Naturalmente, il caso peggiore non si realizzò mai (e qui potremmo
efficacemente iniziare a estrarre citazioni dalla mia altra fondamentale serie
di articoli The Coronavirus Papers, ma non è certo questo il luogo...), e
così l'effetto della pandemia fu solamente quello di spingermi a velocizzare
il processo di produzione dell'articolo, mantenendo però al contempo
l'usuale livello di qualità di scrittura.
Fig. 50 - L'annuncio su Facebook della pubblicazione de La leggenda ctonia
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Finalmente, ero arrivato a destinazione: il 25 marzo 2020 Monti Sibillini,
La leggenda ctonia appariva su Zenodo.org, ResearchGate.net e
Academia.edu, essendo preannunciato da un entusiastico messaggio,
pubblicato su Facebook, che orgogliosamente riportava le seguenti parole:
«Oggi, dopo più di due anni di lavoro, ho finalmente completato e
pubblicato l'articolo scientifico "SIBILLINI MOUNTAIN RANGE, THE
CHTHONIAN LEGEND". Il research paper conclude un'opera di
investigazione e studio che getta una luce nuova, e probabilmente
definitiva, sulle leggende della Sibilla Appenninica e dei Laghi di Pilato,
posti tra i Monti Sibillini, fornendo una serie di risposte scientificamente
motivate e mai elaborate prima da alcun ricercatore o studioso».
E tutto, oggi, è ancora qui: una ricerca che costituisce una svolta
fondamentale, ripercorrendo al contempo più di centocinquanta anni di
sconcertata investigazione condotta sul mistero dei Monti Sibillini. E che
propone, finalmente, una possibile risposta definitiva.
5.4 Abyssus Sibyllae: la vibrazione al di sotto de 'La leggenda ctonia'
I Monti Sibillini e i terremoti. Un'oscura, spaventosa Grotta e una potenza
nascosta nel sottosuolo. Un Lago circondato da paurose scogliere e vibrante
dei suoni che provengono dalle profondità della terra.
La leggenda ctonia costituisce certamente un'emozionante congettura, che
intende confrontarsi con le inquietanti tradizioni leggendarie relative a una
Sibilla e a un prefetto romano utilizzando un affascinante approccio
geomitologico, nel quale i siti naturali acquistano un significato speciale in
qualità di 'hot-spot', o punti di contatto verso regioni sovrannaturali,
oltremondane abitate da dèi o demoni, e normalmente inaccessibili agli
uomini: «Un ingresso verso una qualche sorta di demoniaca presenza»,
scrissi, «Un accesso che poteva essere dischiuso tramite rituali
negromantici. Un punto di contatto con regioni oltremondane sotterranee.
Un 'hot spot', una frattura praticata nelle montagne che avrebbe permesso di
stabilire un'agghiacciante comunicazione con i poteri ctoni che dimoravano
nelle profondità della terra. Un'interruzione nella continuità del nostro
mondo ordinario».
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Dunque la Natura 'vibra', in modo peculiare, in certi luoghi e spesso in certi
momenti del tempo, segnalando la presenza del divino e del prodigioso. Ed
è una sorta di sensibilità poetica, magnificata dalla frequentazione di
specifici colori letterari, ad aiutare gli uomini nella loro ricerca
dell'oltremondano mentre essi sono, al contempo, ancora in vita in un
mondo che è aspro, prosaico e indifferente.
Voglio concludere questo articolo ripercorrendo l'origine di questa
peculiare sensibilità poetica, che, dieci anni prima della pubblicazione de
La leggenda ctonia, era già pienamente presente nel mio romanzo
L'Undicesima Sibilla - Abyssus Sibyllae. Il libro era focalizzato su Norcia,
nei Monti Sibillini, e sulla figura della Sibilla Appenninica; e i terremoti
erano già lì, con tutta la loro potenza come messaggeri delle potenze ctonie
che, sin dai tempi più remoti, attendevano al di sotto delle montagne: a quel
tempo, non ero certamente cosciente del ruolo potenzialmente primario da
essi interpretato all'interno della tradizione sibillina; eppure essi erano a
tutti gli effetti lì, come un minaccioso, vibrante sottofondo che pulsava
attraverso tutti i capitoli del romanzo, un presagio del modello
geomitologico che sarebbe stato elaborato in futuro:
Fig. 51 - La copertina del romanzo L'undicesima Sibilla - Abyssus Sibyllae
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«Una bestia inumana, oscura, viveva infatti nel sottosuolo, attendendo. Al
di sotto della piazza, delle strade, degli antichi palazzi degli uomini,
l’essere privo di sembiante, dagli occhi ciechi e lucenti, aspettava paziente,
sognando. Il suo sogno, il sogno della nera potenza del sottosuolo, durava
intere vite umane, incombendo su di esse come turgida nube di tempesta;
finché, all’improvviso, la belva senza volto, senza occhi, si risvegliava, e
manifestava il suo feroce abominio sulle distese della terra».
Scrissi queste frasi nel secondo capitolo de L'undicesima Sibilla. E conclusi
quel capitolo con parole che avrebbero pienamente vissuto la propria vita
dieci anni più tardi, assumendo una forma conclusiva nella ricerca condotta
nell'ambito de La leggenda ctonia: «Io non sapevo che cosa vibrasse al di
sotto della città, all’interno delle vicine montagne. Sapevo solo che
qualcosa di indicibile, di negletto, aveva riecheggiato in me; una cosa
sepolta nell’abisso dei secoli aveva chiamato, mi aveva parlato, e con
gelido tocco mi aveva sfiorato. E il suo nome era Sibilla».
Dunque già nell'anno 2010 la Sibilla Appenninica e i terremoti sembravano
mostrare, nella mia personale visione come scrittore e osservatore 'poetico',
un'inspiegata, inseplicabile connessione reciproca. Questa prima
prefigurazione si sarebbe evoluta, molti anni dopo, nell'esaustivo modello
congetturale contenuto in La leggenda ctonia. Ma tutto era già lì, seppure
offuscato nell'ombra, ancor piccolo e immaturo ma pronto per il suo pieno
sviluppo quando il giusto tempo fosse giunto.
L'inquietante, il sinistro, il terrificante. Tutto era già lì, nella descrizione
delle elevate creste dei Monti Sibillini, sovrannaturalmente silenti sotto la
furia del sole di mezzogiorno, come narrato nel romanzo L'undicesima
Sibilla:
«E, in quell’istante, ebbi paura. Il sole, alto nel cielo, proiettava all’intorno
i suoi raggi ardenti, come dardi scoccati da un arco immane, prodigioso,
che fosse puntato contro la terra inerme. Era quella l’ora del demone
meridiano, quando l’astro allo zenith consuma ed estingue le ombre dei
viventi, rendendoli preda, secondo un’antica tradizione ebraica, delle forze
maligne che abitano le campagne assolate, i sentieri sperduti tra i campi, i
luoghi remoti e disabitati; esseri oscuri che, nel fulgore ipnotico del
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meriggio, si avventano repentini sul viandante, posseduti da una brama
famelica, succhiandone la vita e trafugandone l’anima resa fragile dal
torpido, abbagliante stordimento della canicola».
Quando scrissi L'undicesima Sibilla, fui fortemente influenzato dalle
visioni letterarie create da un grande autore americano, H. P. Lovecraft. Un
mondo di uomini immerso in una gigantesca, indifferente realtà cosmica,
abitata da esseri malvagi e semidivini, per i quali l'uomo è solo una creatura
accidentale; un sentimento di smarrita impotenza di fronte alle più grandi
manifestazioni delle potenze naturali; la paura dell'ignoto, il quale si cela
immediatamente al di sotto della superficie della vita di ogni giorno;
l'incomprensione e la stolidità degli uomini, che vivono la propria vita nella
totale inconsapevolezza delle possenti entità che governano la loro
esistenza; un senso di imminente pericolo, che coglie l'uomo mentre si
avvicina alla verità e disvela quei peculiari 'hot spot' che segnano i punti di
ingresso verso la realtà sotterranea dell'esistenza. E vibrazioni ovunque, a
marcare la presenza del sovrannaturale: «l'inesplorato, l'inaspettato», scrive
Lovecraft, «la cosa che è nascosta e la cosa che mai muta acquattata dietro
le trasformazioni in superficie».
Come l'Arkham di HPL, anche la piccola città di Norcia, nell'Italia centrale,
il punto d'accesso alla leggenda della Sibilla, è un luogo che «tremava,
vibrava al di sotto della superficie delle cose: una città che era esistita sin
da tempi remoti e inaccessibili; che aveva vissuto, gioito, pregato, sofferto
per innumerevoli generazioni [...] Oltre la quotidianità, al di là della visibile
apparenza, si offriva allo sguardo di chi avesse il desiderio di scrutare più a
fondo, di chi volesse cogliere non solamente le increspature della vita di
tutti i giorni, ma anche onde più grandi, più lunghe, nell’immensità delle
quali siamo immersi, rendendoci difficoltoso il percepirle, visibili solo a
coloro che imparino a comprendere la vertiginosa profondità di crepacci
impenetrabili, l’infinita estensione verticale di ere relegate in recessi
dimenticati del tempo, la sequenza interminabile di vite ignote, vissute da
uomini i cui nomi sono oggi dispersi nelle pieghe dei monti, tra le foreste
boscose, nei campi coltivati con sudore, e oggi percorsi da macchine dalle
viscere di gomma e di acciaio».
È come affacciarsi sull'orlo di un abisso: non per caso, il titolo originale del
mio romanzo era Abyssus Sibyllae.
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Terremoti, vibrazioni, regioni oltremondane, antiche stratificazioni di storia
dimenticata. Sono tutte parole-chiave che riguardano sia il romanzo che la
successiva ricerca condotta con La leggenda ctonia.
Nello scrivere il capitolo conclusivo, e maggiormente emozionante, del
volume, quando il protagonista de L'undicesima Sibilla ascende fino alla
vetta del Monte Sibilla per raggiungere l'ingresso della Grotta - situato al di
sopra della corona di roccia che circonda la cima della montagna (come è
effettivamente nella realtà), marcando così una sorta di zona oltremondana,
abitata solamente dalla potenza della divinità - tentai di rendere tutta la
dimensione sovrannaturale di quella regione sinistra, che dieci anni più
tardi avrei considerato come il potenziale sito per un santuario d'altura,
presso il quale sarebbero stati forse effettuati, durante l'Età del Ferro, rituali
per la pacificazione dei terremoti.
Una prima, preziosa fonte d'ispirazione potei reperirla nello stesso HPL,
con il suo racconto La casa misteriosa lassù nella nebbia (The Strange
High House in the Mist), nel quale egli mirabilmente descrive lo strano
senso di vertigine indotto dall'ingresso in una regione elevata, ultraterrena,
regno del luminoso biancore delle nebbie e delle nuvole:
Fig. 52 - Howard Phillips Lovecraft, The Strange High House in the Mist, in Weird Tales, Vol. XVIII, n. 3
(Indianapolis, 1931)
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«Di mattina la nebbia sale su dal mare accanto alla scogliera oltre
Kingsport. Bianca e come modellata di piume essa viene dal profondo fino
alle sue sorelle, le nuvole, piena dei sogni di pascoli intrisi d'umidità e di
tane sommerse dei leviatani. [...] Tutto attorno a lui era nuvole e caos, ed
egli non poteva vedere nulla se non il biancheggiare di spazi senza
confini...».
E questo medesimo smarrimento volli esprimere nel romanzo, seguendo le
parole vergate da Lovecraft:
«Il sentiero, invisibile nella soffusa evanescenza dei vapori gelidi che
risalivano, con rapidi vortici, il fianco della montagna, sembrava proseguire
per un tratto brevissimo, grottescamente incongruo, andando poi a
dissolversi nel candore opalescente della nebbia [...] Accecato, stordito,
immerso nella fredda luce translucida che in ogni luogo splendeva, bagliore
etereo, evanescente che nascondeva alla vista gli aerei percorsi di vetta e i
baratri raccapriccianti [...] Ombre fumiganti e indistinte parevano gremire
quella regione sospesa, solitaria, esposta all’impeto caotico delle
intemperie, correndo da un’estremità all’altra del monte con rapido e
turbinoso movimento, come se le creature maligne dell’aria, gli empi,
occulti abitatori del cielo si fossero dati anch’essi convegno presso la
caverna infame della Sibilla».
La seconda ispirazione provenne dal racconto Miss Mary Pask di Edith
Wharton, l'agghiacciante narrazione di una visita effettuata presso una
persona morta in una casa avvolta nella totale oscurità:
«Il buio divenne tre volte più spesso; e la sensazione che avevo avuto per
qualche tempo di discendere un leggero pendio ora divenne quella di
cadere aggrappandomi mani e piedi dentro a un precipizio. [...] La notte e
la nebbia erano ora una cosa sola, e l'oscurità spessa come una pesante
coperta. Protesi invano le mani cercando un campanello. Alla fine la mia
mano entrò in contatto con una maniglia, e la sollevai. [...] La luce se ne
andò, e io ristetti - entrambi ristemmo - perduti l'uno all'altra nel buio
rombante, vorticante. Sembrò che il mio cuore si fosse fermato; dovetti
tirare il fiato con grandi respiri che mi coprirono di sudore. La porta - la
porta - bene, sapevo che essa era di fronte a me quando la candela si era
spenta. Qualcosa di bianco e di spettrale sembrò fondersi e raggrinzirsi di
fronte a me nella notte, e evitando il punto in cui quel qualcosa si era
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inabissato incespicai attorno ad esso compiendo un largo giro, afferrai il
chiavistello nella mia mano, il mio piede inciampò in uno scialle o in una
manica, che si stendeva a terra sciolto e invisibile, e mi liberai con un balzo
da questo ultimo ostacolo. Avevo ora aperto la porta...».
Fig. 53 - Edith Wharton, Ghosts (New York, 1937), contenente il racconto Miss Mary Pask
Questa stessa sensazione di terrore, disperatamente accecato e suscitato
dall'oscurità, volli trasporre all'interno del vestibolo della Grotta della
Sibilla, mentre il protagonista procede verso le regioni più profonde della
cavità:
«[...] avanzavo nel tetro vestibolo, le rocce mostruose immerse nel buio, ai
lati del flebile raggio fulgente che incerto stillava dalla fragile torcia. [...] Si
estendeva, quell’antro, per circa sei metri, sbarrato nel fondo da un muro di
pietra, nel quale una porta di tenebra, varco spalancato sulle viscere arcane
e inabitate della montagna, dava accesso ai tortuosi cunicoli che
discendevano ripidi nel cuore della rupe, addentrandosi in profondità fino
alle fondamenta sepolte del monte. [...] Follemente avanzai, entrando
nell’orrido varco, tra le scabre pareti madide d’acqua, che retrocedevano
dileguandosi nel buio oltre la breve portata del pallido lume. [...] Avanzavo,
e la torcia tremò, e poi si spense. Le voci frenetiche raggiunsero un apice,
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gemiti acuti si innalzarono orribili, nella tenebra che d’improvviso si era
addensata raggrumandosi intorno al mio corpo. Subito, tacquero, repentine,
le voci: solo un fremito remoto indugiava nel buio, dal manto solido e
opaco; mormorii confabulanti, sussurri che si cercavano, si interpellavano
nello spazio di nera oscurità, compattamente emersa dal nulla; sensazione
di moti bizzarri, irrequieti, un trepestio allarmato e nervoso, sfioramenti
leggeri sulle braccia, sul volto».
Il bianco candido di nebbie sovrannaturali poste a protezione dell'ingresso
all'Aldilà, e l'oscurità delle regioni oltremondane sotterranee, una sinistra
landa di morti. Tutte le sensazioni, le emozioni, i colori, i suoni,
l'esperienza descritta su base congetturale nell'articolo La leggenda ctonia,
con i suoi demoni sismici e i terrori e i rituali, erano già inconsciamente
presenti ne L'undicesima Sibilla - Abyssus Sibyllae. Come se gli uomini e le
donne dell'Età del Ferro avessero tentato di esprimere le proprie emozioni, i
propri terrori a uno scrittore del ventunesimo secolo, inizialmente
attraverso sensazioni marcate da un carattere poetico, e in seguito
attraverso la suggestione di un modello relativo a ciò che era andato forse
accadendo per secoli, o anche millenni, presso questi remoti santuari
d'altura, una Grotta e un Lago, nascosti lassù tra le cime degli Appennini.
Una Natura abitata da esseri divini, talvolta benigni ma più spesso ostili e
malevoli; la possibilità, per gli uomini, di percepire la loro presenza, in
alcuni luoghi posti presso specifici siti geografici; l'ignoto, l'inquietante che
sono nascosti dietro ogni albero, sotto ogni roccia; la vibrazione dei secoli,
i quali si portano via le vite di generazioni di esseri umani, le cui tracce
rimangono negli oggetti e nelle tradizioni culturali che essi hanno voluto
lasciare dietro di loro.
È questo il prodigioso contesto sia del romanzo L'undicesima Sibilla che
dell'articolo La leggenda ctonia, per quanto differenti essi siano negli
obiettivi e nei risultati, e separati da ben dieci anni di distanza l'uno
dall'altro.
Dai terremoti a un Aldilà occultato in un Lago e in una Grotta, e poi una
Sibilla Appenninica e Ponzio Pilato, e infine fate che danzano su versanti
montani segnati da enormi linee di faglia: un lunghissimo viaggio nel quale
decisi di impegnarmi molti anni fa e che mi ha condotto attraverso uno
straordinario romanzo e una serie di fondamentali articoli scientifici. Ho
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avuto la rara possibilità di esplorare un'antica tradizione leggendaria che,
citando da Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, e in particolare
dal volume Dalla parte di Swann, stava ancora vivendo tra gli Appennini la
sua vita sotterranea sin da tempi molto antichi, proprio come i ricordi del
Medioevo tra gli abitanti di Combray:
«...une tradition à la fois antique et directe, ininterrompue, orale, déformée,
méconnaissable et vivante...».
Una tradizione leggendaria che è parte della più vasta, magnifica eredità
culturale d'Italia, che va dall'Età del Ferro agli etruschi e poi ai romani, per
giungere alle vette artistiche del Rinascimento, il tutto immerso nella luce
di un ambiente naturale nel quale dimorano il magico e il divino:
«Se non avessi mai visitato l'Italia, io credo che non sarei mai stata in grado
di comprendere il significato della parola 'pittoresco'. Lo spirito delle
antiche divinità aleggia ancora nel sole e nel vento d'Italia».
Queste parole, tratta dal Diary of an Ennuyée di Anna Brownell Jameson,
sono presenti in esergo all'inizio de L'undicesima Sibilla - Abyssus Sibyllae.
E sono fiero di avere potuto essere parte di questa illustre eredità.
Fig. 54 - MonteVettore, Monti Sibillini
Michele Sanvico
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Michele Sanvico
L'UNDICESIMA SIBILLA
ABYSSUS SIBYLLAE
Google Books (liberamente scaricabile):
https://books.google.it/books?id=9MDbEAAAQBAJ&printsec=frontcover
PDF (liberamente scaricabile):
http://www.italianwriter.it/Documents/MicheleSanvico%20-%20L_Undicesima_Sibilla_IMAGES.pdf
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