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80 POST-FILOSOFIE
Dalla teoria alla prassi: vulnerabilità e linguaggio nei Gender
Equality Plan (GEP)
ALBERTO GRANDI*
ALESSIO PANAGGIO**
DOI: https://doi.org/10.15162/1827-5133/2001
ABSTRACT
Con l’avvio del programma Horizon Europe, la Commissione Europea ha
fatto del Gender Equality Plan un requisito necessario per la partecipazione
dei suoi programmi di ricerca. Sebbene non tutte le istituzioni abbiano adotta-
to il GEP o alcune lo abbiano fatto solo parzialmente, il documento rappre-
senta un tentativo di perseguire l’uguaglianza di genere nei diversi settori. Il
GEP a livello accademico può rappresentare un tentativo di applicazione del
paradigma della vulnerabilità ai contesti. In conformità allo scopo del GEP
l’analisi del linguaggio diventa centrale, specialmente nella sua chiave per-
formativa e reiteratrice dei modelli discriminatori. Riflettendo sulla comuni-
cazione, infatti, si apre la possibilità di contrastare gli stereotipi e creare am-
bienti paritari attraverso, per esempio, la creazione di vademecum specifici.
Pertanto, utilizzando le lenti teoriche della vulnerabilità e del linguaggio si
opera una riflessione sulle opportunità offerte dall’adozione del GEP.
With the introduction/start of Horizon Europe, the European Commission
made gender equality plans a basic requirement for participation in its re-
search framework programme. Not all institutions have adopted the GEP –
some have done so only partially – however, the document represents an at-
tempt to pursue gender equality in different areas. The GEP at the academic
level may represent an attempt to apply the vulnerability paradigm to con-
texts. In accordance with the purpose of the GEP, the analysis of language be-
comes central, especially in its performative and reiterative key of discrimina-
tory patterns. Reflecting on communication opens the possibility of counter-
* Alberto Grandi è dottorando in Gender Studies presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
** Alessio Panaggio è dottorando in Gender Studies presso l’Università degli Studi di Bari Aldo
Moro e docente di Laboratorio di Progettazione Europea presso l’Università di Macerata.
SAGGI 81
acting stereotypes and creating equal environments through, for example, the
creation of specific vademecums. Therefore, using the theoretical lenses of
vulnerability and language, a reflection on the opportunities offered by the
adoption of GEP is made.
82 POST-FILOSOFIE
Introduzione
Il rapporto della Rete Europea di Valutazione della Tecnologia (ETAN) ha
rilevato che il genere gioca un ruolo cruciale sulle possibilità di avere – e
mantenere – l’accesso nella comunità accademica. Per porre rimedio a questa
situazione, il rapporto proponeva un triplice approccio politico: parità di trat-
tamento, azioni positive e mainstreaming di genere
1
. Venti anni dopo il rap-
porto ETAN, gli sforzi politici e legislativi a livello europeo e nazionale hanno
prodotto impatti significativi, ma i dati
2
dimostrano come quello accademico
sia un contesto in cui persistono divari di genere. Il
Gender Equality Plan
,
come si vedrà, è stato teorizzato per intervenire su queste disuguaglianze.
Questo contenuto si focalizzerà in primo luogo sul paradigma della vulnerabi-
lità analizzando rischi e opportunità che il concetto offre per poi evidenziare
la sua applicazione al
Gender Equality Plan
. Dopodiché, esso si concentrerà
sull’analisi linguistica, riflettendo inizialmente in chiave teorica sul concetto
di neutro-maschile, poi sull’elaborazione di vademecum efficaci in linea con
gli obiettivi posti dal GEP. Pur registrando una crescente attenzione alle que-
stioni di genere nell’ambito academico, si assiste a una carenza degli studi
sull’implementazione del GEP. Questo elaborato mira a riflettere sulle poten-
zialità dell’adozione del documento nelle università italiane.
Gender Equality Plan: attraverso la dimensione contestuale del paradigma
della vulnerabilità
di Alessio Panaggio
Il dibattito filosofico attorno alle teorie della vulnerabilità si è accentuato
nel corso degli ultimi anni, a seguito di eventi di morte di massa come il Co-
vid-19 e il profilarsi di conflitti che pongono le popolazioni civili in gravi
condizioni di fragilità. Il campo di applicazione del paradigma della vulnera-
1
T. Rees, “Mainstreaming Gender Equality in Science in the European Union: The ‘ETAN Re-
port’
”
, in «Gender and Education», Vol. XIII, 2001, pp. 243-260.
2
In questo contributo si farà riferimento allo specifico caso italiano. I dati relativi al 2023 sono di-
sponibili in: <https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2023/IT> (consultato il 18/06/2024).
SAGGI 83
bilità è vasto, dalla sociologia alla bioetica, fino alle teorie giuridiche, le quali
enfatizzano il carattere generativo del concetto in questione, ponendolo ora alla
base della riqualificazione delle istituzioni democratiche, oppure come nuovo
principio attraverso il quale rimodulare l’uguaglianza
3
. In linea con gli obiettivi
di questo contributo, volto ad analizzare il
Gender Equality Plan
, è opportuno
ricordare che il riferimento alla diseguaglianza di genere è spesso richiamato
nelle teorie della vulnerabilità. In una dialettica dei sessi in cui la struttura di
potere è impari, la relazionalità a cui fanno riferimento alcune teorie della vul-
nerabilità emerge come elemento che sottende le discriminazioni di genere. Per
questo motivo, il concetto in questione è stato utilizzato in diverse aree di inda-
gine nella teoria femminista, come nell’etica della cura, la fenomenologia e giu-
risprudenza femminista, studi sulla violenza di genere e abuso sessuale, bioetica
femminista, post-umanesimo, filosofia morale e psicoanalisi.
La molteplicità concettuale della nozione di vulnerabilità nell’ambito della
teoria critica femminista e queer può essere sistematizzata in quattro tipolo-
gie
4
: a) Una prima percezione fenomenologica della vulnerabilità in termini di
una condizione ontologica primordiale vissuta del soggetto incarnato e rela-
zionale; b) analisi psicoanalitica della vulnerabilità come esito di traumi psi-
chici, sociali ed emotivi; c) neomaterialismo della vulnerabilità come risultati
biotecnologici moderni; d) prospettiva critica della vulnerabilità in termini di
una condizione prodotta socio-storicamente, politicamente asimmetrica, di
alienazione, austerità e precarizzazione. Tuttavia, la concettualizzazione della
vulnerabilità nell’ambito delle teorie femministe si basa su una distinzione
duplice: da un lato essa è riconcettualizzata all’interno del discorso scientifico
femminista contemporaneo in termini di condizione costitutiva, universale e
insormontabile della nostra ontologia sociale. Per altro verso, il riferimento
alla vulnerabilità è utile a evidenziare i modi distinti e particolari con cui essa
colpisce categorizzazioni sociali e popolazioni sulla base del loro sesso, etnia,
sessualità, nazionalità, età, religione, classe etc. Le due concettualizzazioni
della vulnerabilità nelle teorie femministe non sono contrastanti, bensì dialo-
3
M. Fineman, “The vulnerable subject: anchoring equality in the human condition
”
, in «Yale
Journal of Law & Feminism», n. 20, 2008.
4
A. Koivune, K. Kyrölä e I. Ryberg,
The Power of Vulnerability: Mobilising Affect in Feminist
,
Queer
and Anti-Racist Media Cultures
, Manchester University Press, Manchester 2018, pp. 10-12.
84 POST-FILOSOFIE
ganti tra loro. Ciò che mette d’accordo queste prospettive, è la critica
dell’individuo così come concettualizzato dallo Stato liberale.
Nel modello gerarchico dualistico proprio della dottrina liberale, l’”io” è in
grado di controllare le passioni attraverso l’uso della ragione
5
, riuscendo indivi-
dualmente a gestire il rischio. Riferendosi all’etimologia della vulnerabilità, essa
appare come l’esposizione al rischio a cui sono sottoposti tutti gli individui, e
questa universalità suggerisce che essa fonda le principali visioni filosofiche
dell’ordine politico moderno, che associa la condizione di fragilità e debolezza a
tutti quei soggetti considerati dipendenti e senza capacità di autonomia.
Cavarero si muove da questa ontologia individualista che configura l’ “io”
come un soggetto autonomo
6
, indipendente e autosufficiente, sottolineando la
geometria verticale e di subordinazione che questa visione genera nei soggetti
considerati vulnerabili. È proprio all’interno del
vulnerability turn
, sviluppato
a seguito delle riflessioni di autrici come Butler e Fineman, che la critica della
visione soggettivista dello stato liberale si è affermata. In particolare, Butler
ha contribuito alla configurazione di un’ontologia relazionale dettata dalla
vulnerabilità, che definisce una geometria dell’individuo fondata sulla sua in-
clinazione verso l’altro. A partire dall’esperienza di lutto collettivo vissuta ne-
gli Stati Uniti a seguito dell’11 settembre 2001, Butler
7
evidenzia la coesistenza
di due dimensioni della vulnerabilità:
precariousness
e
precarity
. La corporeità
umana equalizza e differenzia, se da un lato la soggettività è da considerare vul-
nerabile in virtù della comune condizione di esposizione al rischio – per cui si
parla di dimensione universale della vulnerabilità,
precariousness
–, la
precarity
fa riferimento a quella vulnerabilità indotta dalla socialità, che concepisce
l’individuo come essere intrinsecamente sociale. Ed è a causa di questa seconda
forma di vulnerabilità, la dimensione particolare, per cui esiste una distribuzio-
ne differenziale di esposizione al rischio.
Applicare il concetto in questione ai diritti umani, al fine di sintetizzare una
condizione ontologica, significa considerare l’individuo vulnerabile non solo
5
E. Pulcini,
L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale
,
Bollati Boringhieri, Torino 2001.
6
A. Cavarero,
Inclinazioni. Critica della rettitudine
, Raffaello Cortina editore, Milano 2013.
7
Testi di riferimento per il paradigma della vulnerabilità: J. Butler
, Precarious Life: the powers of
mourning and violence
, Verso, New York 2004 e J. Butler,
Frame of War: When is life Grieva-
ble?,
Verso, Londra 2009.
SAGGI 85
per la propria corporeità o per le proprie caratteristiche soggettive, ma come
conseguenza del suo collocarsi all’interno di relazioni, contesti – politici, eco-
nomici, sociali, etc. – sempre modificabili ed esposti all’azione altrui, all’interno
dei quali le caratteristiche soggettive acquisiscono rilevanza alla luce dei rappor-
ti di forza. La categoria di vulnerabilità ontologica detiene potenzialità se appli-
cata ai diritti umani, volta da un lato a individuare le situazioni di violazione dei
diritti, dall’altro perché rappresenta uno strumento attraverso il quale qualifica-
re il soggetto di diritto
8
. Invero, universalità e relazionalità sono due caratteri-
stiche coerenti con le teorie dei diritti umani, in quanto la vulnerabilità è una
condizione che caratterizza ogni essere vivente, sebbene si mostri in modalità
mutevoli non soltanto a causa di variabili endogene all’individuo, ma anche per
l’esposizione a variabili esogene dettate da concreti contesti differenti. Per que-
sto motivo, il riferimento alla concezione ontologica della vulnerabilità può
orientare processi di implementazione dei diritti umani attraverso lo sposta-
mento del punto di osservazione dalla soggettività al contesto.
Vulnerabilità e contesti
9
: il superamento della nozione di “gruppi vulnerabili”
Sebbene la nozione di vulnerabilità sia comunemente utilizzata in chiave
soggettivista, la sua etimologia suggerisce possibilità interpretative più ampie,
anche a causa delle tendenze inclusive a cui è sottoposto il termine, rivolto
ora all’universalismo degli esseri umani, ora alla condizione comune degli or-
ganismi viventi. Invero, sebbene
vulnus
indichi la possibilità – nella sua forma
attiva e passiva – di produrre ferita fisica
10
, molti sono stati i riferimenti alla
ferita psichica, come i soggetti esclusi dalla loro capacità di agire nel diritto
romano
11
. Ancora, la vulnerabilità nella sua dimensione universale viene tra-
8
E. Pariotti, “Vulnerabilità ontologica e linguaggio dei diritti”, in «Ars Interpretandi», n. 2, 2019.
9
Lo spostamento del punto di osservazione della vulnerabilità ai contesti è stato già discusso in
una precedente pubblicazione, A. Panaggio, “Prospettive relazionali di vulnerabilità. Lo svuota-
mento dei diritti umani in contesti sociali vulnerabili”
,
in «HETEROGLOSSIA. Quaderni di Lin-
guaggi e Interdisciplinarità», n. 19, 2023. ISSN 2037-703.
10
Così il vocabolario L. Castiglioni e S. Mariotti,
IL, vocabolario della lingua latina
, quarta edizio-
ne, IV ed., 2011.
11
G. Maragno, “Alle origini (terminologiche) della vulnerabilità: vulnerabilis, vulnus, vulnerare”,
86 POST-FILOSOFIE
dotta come la comune condizione di esposizione al rischio, così come accade
per la connotazione ontologica relazionale del concetto
12
. Rifiutando la con-
cezione della vulnerabilità come una condizione statica, incarnata, già prodot-
ta in linea con la caratterizzazione di un soggetto o di un gruppo, essa si con-
figura come un elemento dinamico e determinante nell’esposizione al rischio
di subire la ferita, quindi prima che questa si produca. Questa logica permette
di spostare il punto di osservazione nel tempo e nello spazio, e focalizzarsi su
ciò che produce concretamente il
vulnus
.
Il rischio rappresenta dunque un concetto cardine del paradigma della
vulnerabilità, e la sua applicazione nell’ontologia relazionale lo configura co-
me la possibilità di danni futuri indotti dalla pluralità delle relazioni, dei rap-
porti di potere e dei processi decisionali che caratterizzano i sistemi sociali
13
.
La vulnerabilità rende asimmetrico il rischio prodotto dal funzionamento dei
sistemi sociali, consentendo di individuare non solo i soggetti maggiormente
esposti ma anche quelle variabili esogene che rendono i soggetti vulnerabili al
rischio
14
. Tuttavia, il riferimento al rischio così concepito espone il paradigma
della vulnerabilità alla critica dei cosiddetti soggetti vulnerabili, dottrina alla
quale si sono riferite tanto l’Unione Europea quanto la Corte Europea dei Di-
ritti Umani in passato. La categoria di soggetti vulnerabili nasconde meccani-
smi di dominio e potere, sebbene la prospettiva politico-giuridica miri a indi-
viduare coloro che necessitano di un maggior grado di tutela – soggetti o
gruppi vulnerabili – poiché si ritiene che abbiano meno possibilità di reagire.
Questo porta a considerare la vulnerabilità da un lato come un concetto colle-
gato all’idea di rischio ma, dall’altro, all’incapacità di determinati gruppi di
sviluppare meccanismi di reazione efficaci. Di conseguenza, una volta identi-
ficati i gruppi vulnerabili e le caratteristiche specifiche di ciascuno, vengono
adottate strategie di protezione e misure per rafforzare la resilienza, intesa
come capacità di mitigare la vulnerabilità. Tuttavia, questa categorizzazione
in
Vulnerabilità
,
Analisi multidisciplinare di un concetto
, Giolo O., Pastore B. (a cura di), Carocci
Editore, Roma 2018, pp. 13-36.
12
E. Ferrarese, “Les vulnerables et le geometre”, in «Raison Publique», 2011, n.14, p. 289.
13
N. Luhmann, “Technology, Environment and Social Risk. A Systems Perspective”, in «Industri-
al Crisis Quarterly», Vol. 4 p. 223. DOI: 10.1177/108602669000400305.
14
H. Forbes-Mewett e K. Nguyen-Trung,
Vulnerability in a Mobile World
, Emerald Publishing
Ltd, Bingley 2019, p. 9.
SAGGI 87
degli individui può portare alla reiterazione della stigmatizzazione e della ste-
reotipizzazione alla quale sono sottoposti i soggetti considerati vulnerabili,
giustificando altresì un approccio paternalistico da parte delle istituzioni per
proteggere i membri di questi gruppi. Infine, riferirsi a tali gruppi può sempli-
ficare eccessivamente le diverse forme di vulnerabilità e generalizzare sulle
cause che conducono a tale condizione. Per questi motivi il riferimento alla
vulnerabilità dei contesti – e alla loro possibilità di assumere un carattere vul-
nerante – appare necessario. Ciò significa considerare capillarmente le varia-
bili esogene che contribuiscono alla distribuzione differenziale della vulnera-
bilità di cui parla Butler e riferirsi a soggetti plurali posti in relazione con
l’”altro” all’interno di contesti mutevoli nello spazio e nel tempo.
Gender Equality Plan: una best practice?
L’applicazione ai contesti del paradigma della vulnerabilità permette di ana-
lizzare tutti quei testi normativi e/o programmi adottati per intervenire sulle di-
seguaglianze sociali che sottendono alla distribuzione differenziale
dell’esposizione al rischio. È stato ricordato in precedenza come il paradigma
della vulnerabilità si sia sviluppato all’interno delle teorie femministe e abbia
messo in luce la natura sociale degli individui, motivo per il quale spesso viene
applicato a quelle analisi volte a evidenziare le disuguaglianze, le violazioni dei
diritti umani o il differente accesso agli stessi. Il
Gender Equality Plan
(in segui-
to GEP) rappresenta il tentativo di realizzare un cambiamento organizzativo per
l’uguaglianza di genere e qui viene inteso come uno strumento metodologico
utile ad agire sui contesti vulneranti e/o vulnerabili nell’ambito degli ambienti
accademici. Qui, la sottorappresentazione delle donne nelle posizioni decisiona-
li rappresenta solo la manifestazione più visibile della discriminazione di gene-
re, ma le disuguaglianze strutturali nel mondo dell’accademia sono più radica-
te
15
, e sono state altresì esacerbate dalla pandemia da Covid-19.
15
Si rimanda, per esempio, alle metafore proposte da Clavero e Gilligan: a) la metafora del soffitto
di vetro utilizzata per rappresentare le disuguaglianze di genere nell’avanzamento di carriera; b)
la metafora della scogliera di vetro sottolinea l’importanza di esaminare i cambiamenti nel tipo di
potere e autorità conferiti da certe posizioni (comprese quelle ai vertici) quando queste diventano
femminili; c) la metafora dei pavimenti appiccicosi rappresenta il raggruppamento delle donne in
88 POST-FILOSOFIE
Per perseguire i piani di
Gender Equality
, la Commissione Europea ha sta-
bilito alcuni programmi dedicati ai medesimi obiettivi fino ad arrivare al GEP
e ai finanziamenti previsti internamente al programma Horizon Europe 2021-
2027. Il GEP viene definito come “un insieme di impegni ed azioni che mira-
no a promuovere la parità di genere in un’organizzazione attraverso un pro-
cesso di cambiamenti strutturali”
16
: ciò si traduce in una serie di azioni volte a
promuovere l’uguaglianza di genere mirando alle modifiche dei contesti acca-
demici. Non entrando in questo momento nelle aree di uguaglianza di genere
che questi documenti devono contenere
17
, i requisiti obbligatori indicati per
l’adozione del GEP riguardano l’accessibilità del documento sul sito web
dell’organizzazione, l’inclusione di risorse umane e finanziare dedicate (nella
misura in cui questi rappresentino mezzi e competenze per attuare le politi-
che), l’inclusione di attività di formazione sull’uguaglianza di genere e la rac-
colta e monitoraggio di dati disaggregati per sesso sul personale. Prima di ana-
lizzare alcuni di questi aspetti, è opportuno ricordare che per incentivare
l’adozione dei GEP, inoltre, la Commissione Europea riconosce questi stru-
menti come criterio di eligibilità per la partecipazione ai diversi bandi europei
insiti nel programma Horizon Europe per la ricerca e l’innovazione. Questo
incentivo, tuttavia, espone l’adozione del GEP ad alcuni dubbi di natura etica.
I motivi sottesi alla decisione di creare e implementare il GEP, infatti, potreb-
bero non essere legati alla volontà di perseguire giustizia e uguaglianza, che
sarebbero così concepite come
principi
strumentali
per il perseguimento di
fondi di ricerca non necessariamente connessi agli obiettivi della
Gender
Equality
. Un’altra critica che è stata mossa al GEP è che in essi si presta poca
attenzione al ruolo del potere accademico nei processi di reiterazione della
iniquità di genere a tutti i livelli istituzionali; inoltre, la presenza di un GEP
non garantisce l’esistenza di un insieme di politiche adeguate volte alla pro-
forme di lavoro precario alla base della gerarchia accademica. S. Clavero e Y. Gilligan, “Deliver-
ing gender justice in academia through gender equality plans? Normative and practical challeng-
es”, in «Gender, Work & Organization», Vol. XXVIII, No. 3, 2021.
16
Disponibile in: <https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2022/IT> (consultato il 18/06/2024).
17
Si veda per esempio European Institute for Gender Equality (EIGE, 2016) Gender equality in
academia and research. GEAR tool. Luxembourg: Publications Office of the European Union.
<https://eige.europa.eu/gender-mainstreaming/toolkits/gear.> (consultato il 18/06/2024).
SAGGI 89
mozione dell’equità di genere
18
. Ciò si va ad aggiungere alle difficoltà dovute
alla natura strutturale e profondamente radicata della disuguaglianza di gene-
re in ambito accademico che mina le politiche e gli interventi per
l’uguaglianza nella pratica
19
. Tuttavia, i GEP sono riconosciuti come uno
strumento utile a promuovere un cambiamento culturale, tentando di regola-
re l’equilibrio di potere tra i generi. Anche il processo di redazione di questo
documento, essendo l’esito di discussioni e cooperazione tra le diverse parti,
favorisce la comune consapevolezza delle disuguaglianze strutturali di genere.
In questo contributo le disuguaglianze di genere presenti in esame sono
considerate vulnerabilità indotte o esacerbate dal contesto accademico. Appli-
care il paradigma della vulnerabilità al contesto accademico – così come teo-
rizzato nei paragrafi precedenti – significa non solo concentrarsi sulle disu-
guaglianze strutturali esistenti ma offrire una modalità attraverso la quale po-
ter perseguire l’uguaglianza di genere. Il GEP potrebbe rappresentare in tal
senso il tentativo di applicazione del paradigma della vulnerabilità al contesto:
oltre alle indicazioni della Commissione Europea sui requisiti che devono
contenere questi documenti, utilizzando la lente della vulnerabilità come qui
è concepita, da un lato è necessario che essi evitino la categorizzazione di indi-
vidui e/o gruppi vulnerabili, applicando quindi la concezione ontologica rela-
zionale della vulnerabilità di cui si è discusso in precedenza. Inoltre, è opportu-
no il riferimento ai contesti, sia nella misura di analisi preliminare all’adozione
delle azioni, sia come destinatario delle azioni indicate nel GEP. In quest’ottica
è opportuno sottolineare che nel caso italiano il GEP può rappresentare una
best practice
condivisa e riproducibile di implementazione del paradigma della
vulnerabilità applicato ai contesti. Tuttavia, un’analisi svolta su un campione di
58 GEP italiani
20
dimostra come solo 18 università hanno fornito un’analisi di
contesto completa, 4 solo parziale, mentre la maggior parte non hanno fornito
informazioni sull’analisi di contesto. Questo dimostra come per molte realtà ac-
cademiche, il contesto in relazione all’implementazione delle politiche rappre-
18
S. Clavero, Y. Gilligan, cit., pp. 3-5.
19
M. van den Brink e Y. Benschop,
“Slaying the seven‐headed dragon: The quest for gender
change in academia”, in «Gender, Work and Organization», n. 19, 2021, pp. 71–92.
20
G. Diaz, F. Palazzi, A. Sentuti e F. Sgrò, “Gender Equality Plan: An Explorative Analysis of Ital-
ian Academia”, in «Proceedings of the 6th International Conference on Gender Research», Vol.
VI, No. 1, 2023.
90 POST-FILOSOFIE
senti uno sfondo immobile nel quale le stesse politiche si muovono. Nel tenta-
tivo di applicare il paradigma della vulnerabilità ai contesti accademici, tutta-
via, ci sono alcuni fattori contestuali imprescindibili. Regole universitarie,
l’insieme delle norme formali e informali di comportamento, condizioni terri-
toriali nelle quali è inserito il complesso accademico e le culture dipartimen-
tali sono solo alcune delle variabili che possono influenzare i risultati degli in-
terventi per l’uguaglianza di genere. Per questi motivi, i GEP possono rappre-
sentare una
best practice
se considerano i contesti accademici come ambienti
socio-istituzionali dinamici e relazionali dove poter attuare politiche. In que-
sto modo da un lato emergeranno le motivazioni sottostanti i divari tra le pra-
tiche politiche nel campo dell’uguaglianza di genere. Dall’altro lato, le misure
contenute nei GEP potranno porre l’attenzione sui processi di genere nascosti
e radicati nelle organizzazioni, perseguendo non solo l’obiettivo di perseguire
l’uguaglianza di genere, ma indicare come farlo nel tempo, ossia in questo
specifico momento, e nello spazio, quindi nel contesto specifico.
Dalla vulnerabilità al linguaggio: riflettendo sul maschile “neutro” e
sull’elaborazione di vademecum per una comunicazione paritaria in linea con
il GEP
di Alberto Grandi
Come già evidenziato, il GEP ha lo scopo di promuovere un ambiente ri-
spettoso che contrasti attivamente tutte le forme di discriminazione, riducendo
la disuguaglianza di genere e combattendo gli stereotipi. Per riuscire a raggiun-
gere tali obiettivi bisognerà lavorare, come abbiamo visto, su contesti specifici
nonché diverse dimensioni, tra cui il linguaggio. In ambito dei gender studies,
infatti, la dimensione linguistica occupa una posizione centrale nelle lotte di pa-
rità, autodeterminazione e identità.
Per cogliere la portata linguistica e poter dunque pensare a strategie concrete e
funzionali per il GEP, è sostanziale tuttavia riflettere preliminarmente sulla pro-
spettiva performativa del linguaggio, in particolare in relazione agli stereotipi di
genere. In questo modo sarà più semplice ragionare su come determinate conven-
zioni – a.e. il maschile sovraesteso – siano centrali nella reiterazione di modelli
impari, nonché nella formazione di
bias
, evitando di elaborare vademecum o li-
nee guida che, involontariamente, ripropongano proprio quelle convenzioni.
SAGGI 91
Linguaggio performativo e stereotipi di genere in relazione al GEP
La relazione tra linguaggio e stereotipi è molto profonda, vedendo nel
primo l’elemento chiave per produrre e reiterare quotidianamente i secondi.
Per questo motivo una delle prime fasi di intervento del GEP riguarda proprio
l’analisi linguistica, utile per produrre una comunicazione paritaria che inter-
rompa tale meccanismo perpetuatore. Per renderla efficace, tuttavia, ritengo
sia fondamentale approfondire quelle che sono le potenzialità del linguaggio,
in particolare nell’accezione performativa, in relazione agli stereotipi.
Con atto linguistico performativo si intende, in linea con il filosofo Austin,
la capacità del linguaggio non solo di descrivere, bensì di compiere azioni.
Questa possibilità fattiva avviene secondo due categorie di atti: illocutori e
perlocutori. I primi consistono in azioni compiute col proferimento stesso
dell’enunciato. I secondi invece riguardano gli effetti psicologici e comporta-
mentali extralinguistici prodotti col dire qualcosa
21
. Successivamente, la filo-
sofa Butler rilegge queste analisi, sostenendo che l’atto illocutorio è anche ciò
che produce e riproduce i modelli sociali. Ciò risulta sostanziale in quanto, nel
momento in cui si esprimeranno determinate sentenze, non soltanto si pro-
durranno effetti specifici sulle persone, ma si ridarà vita a determinate visioni
sociali, movimentando una prassi costituente. Espressioni sessiste, per esem-
pio, non solo discrimineranno, ma reitereranno il sessismo come modello.
In questo meccanismo gli stereotipi sono centrali, in quanto produttori di
visioni categoriali discriminanti continuamente reiterati proprio attraverso il
linguaggio. Per pensare a strategie adeguate a contrastarli, tuttavia, diventa
necessario cogliere le loro funzioni specifiche, così da evitare di perpetuarli
inconsapevolmente. Secondo la psicologa Volpato, gli stereotipi sono una rap-
presentazione mentale che collega determinate categorie sociali a specifici at-
tributi tramite associazioni di tipo probabilistico
22
. In quanto immagini men-
tali, essi influenzano il pensiero di ogni persona, producendo
bias
e orientan-
do le relazioni a partire da caratteristiche condivise. A livello funzionale, per-
tanto, gli stereotipi indicano come le persone agiscono o come dovrebbero
agire a partire da due funzioni connesse tra loro. Quella descrittiva, dunque
21
J. L. Austin,
How to Do Things with Words
, Oxford University Press, Oxford 1962, p. 80.
22
C. Volpato,
Psicologia del maschilismo
, Laterza, Bari 2022, p. 22.
92 POST-FILOSOFIE
dire come le persone sono: a.e., l’uomo è competitivo (
agency
) e la donna è
collaborativa (
communality
). E, prescrittiva, quindi stabilire come le persone
dovrebbero essere, implicando una “strada prestabilita”, che condiziona ogni
essere umano in modo tale da farlo conformare ai ruoli sociali
23
.
L’uso di espressioni linguistiche che si rifanno, direttamente o indiretta-
mente, a stereotipi di genere implica dunque reiterare un modello sessista e
prescrivente delle possibilità, saldando visioni sociali e problemi strutturali
conseguenti: dalla difficoltà d’avanzamento di carriera, all’interiorizzazione di
bias
impliciti. In relazione a quest’ultimi, recenti studi di linguistica dimo-
strano come il genere del tono influenzi la percezione di una conversazione,
alterandola in base alle aspettative stereotipate, facendo percepire aprioristi-
camente il tono maschile legato a un approccio più assertivo e autoritario,
mentre quello femminile a uno più collaborativo
24
.
In relazione alla creazione di politiche adeguate al GEP, il discorso qui ef-
fettuato è utile per sottolineare una dimensionalità più profonda del tema.
Una dimensionalità che deve essere sempre presa in considerazione nel mo-
mento in cui si riflette su linee guida, altrimenti si rischia di produrre strate-
gie che solo in apparenza sono paritarie, ma in verità reiterano lo stesso mo-
dello stereotipico. A.e., continuando ad assegnare alle donne lavori in linea
con gli stereotipi della communality, aspetto riscontrabile, in ambito azienda-
le, con le nuove visioni di leadership al femminile.
Prospettive teoriche sul superamento del maschile sovraesteso. Creazioni
di Vademecum per il GEP
In linea con la forza performativa del linguaggio, la discussione sul ma-
schile neutro risulta decisiva. Usare infatti il maschile per indicare la molte-
plicità di identità è una convenzione ereditata da un modello patriarcale che,
nel suo uso, vede una continua reiterazione del modello stereotipico. Definir-
la convenzione non ne annulla gli effetti, ma semplicemente legittima una
23
J. Butler,
Bodies that matter. On the discursive limits of “sex”
, Routledge, New York 1993, p. 7.
24
M. Lindvall-Östling, M. Deutschmann e A. Steinvall, “An Exploratory Study on Linguistic
Gender Stereotypes and their Effects on Perception”, in «Open Linguistic», 2020.
SAGGI 93
procedura sessista che reitera stereotipi e discriminazioni. Ereditare una lin-
gua significa infatti ricevere le annesse strutture di potere che si annidano
nell’insieme di sotto-tracce testuali e concettuali sedimentatesi nella storicità
delle significazioni di cui ci si serve ogni giorno. L’elaborazione di vademe-
cum per superare l’uso neutro del maschile significa, dunque, iniziare a pro-
durre una nuova storia e una nuova eredità linguistica.
Prima di riflettere sul vademecum in sé, però, è fondamentale ragionare
sulla struttura del maschile sovraesteso e sulla parabola logica che lo ha pro-
dotto. L’elevazione del maschile a neutro non riguarda infatti solo la dimen-
sione grammaticale, ma contiene anche la struttura binaria e subordinante
che produce gli stereotipi a partire dalla relazione tra uomo e linguaggio.
Prendere coscienza di ciò è una mossa necessaria per rinforzare la pratica e
l’utilizzo di tali interventi, evitando che vengano banalizzati o inconsapevol-
mente perpetuati.
L’universalizzazione dell’uomo: il maschile falsamente neutro
25
Nella civiltà occidentale l’uomo
26
è il canone su cui si poggia l’intera strut-
tura sociale, facendo così rientrare la sua supremazia nell’ordine naturale delle
cose. Tale naturalità, discorsivamente prodotta e performata ogni giorno
27
è
ciò che ha reso l’uomo invisibile e universale. Inseriti in tale modello, i vari
pensatori della storia hanno considerato il maschile come genere umano tra-
scendentale, perciò senza il bisogno di pensare, e pensarsi, in termini di gene-
re. In questo modo l’uomo si è autoconvinto di non essere influenzato dalla
propria mascolinità e poter parlare per tutta l’umanità, diventando il logos at-
traverso cui declina il resto. Di conseguenza, si sono sviluppate definizioni e
stereotipi che nella ripetizione hanno trovato una forza naturalizzante e
aprioristica, su cui poi si sono sviluppati concetti, relazioni e società. Data
25
Per approfondire vedi: A. Grandi, “Language, Neuter, and Masculinity: The Influence of the
Neuter-Male in the Reiteration of Social Models, A Philosophical Analysis Starting with
Cavarero, Irigaray, and Butler”
,
in «Proceedings of the 4th International Conference on Gender
Studies and Sexuality», Berlino 2024.
26
Qui intersezionalmente inteso come: maschio, bianco, eterosessuale, cisgender, abile, classe media.
27
J. Butler,
Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity,
Routledge, New York 1990.
94 POST-FILOSOFIE
questa invisibilizzazione della mascolinità, nel tempo ci si è interrogati sul
rapporto del soggetto parlante con la natura, con Dio, con gli altri esseri vi-
venti, ma non si è mai messo in discussione che tali analisi fossero sempre
l’esito di un mondo dell’uomo prodotto e universalizzato dalla propria lingua;
mai considerata il risultato di un essere sessuato
28
.
A questo proposito è interessante l’analisi della filosofa Cavarero – che io
rileggerò in chiave queer – ne
Il pensiero della differenza sessuale
:
All’“io” del discorso, quello stesso discorso che ora (io) sto pensando e dicendo in
lingua italiana, accade che il suo essere maschile o femminile non lo riguardi. Il
soggetto “io” è di genere maschile, ma non gli compete una sessuazione. Così
quando si dice “io sono donna” o “io sono uomo”, l’“io” sopporta e accoglie indif-
ferentemente la sessuazione, essendo di per sé neutrale. In questo modo il di-
scorso filosofico può legittimare e affermare l’“io penso” e fare di questo soggetto
neutrale un universale. E può anche eliminare il “penso” e dire semplicemente
“Io” poiché è appunto in esso che l’universale si presenta
29
.
Eppure, quel genere grammaticale maschile che l’Io porta in sé fa traballa-
re questa rappresentazione di universalità. Dire “io”, in un certo qual modo, è
già dire “io sono uomo”. Infatti, ciò che evochiamo nelle nostre menti utiliz-
zando il modello concettuale del “neutro” è proprio “il segno del suo sogget-
to”
30
, ovvero il maschile e tutto ciò che porta con sé. Pertanto, rimanderà a un
pensiero, e quindi a una visione del mondo, in linea con il modello patriarcale
binario. Un esempio, messo in luce anche nel GEP, è l’uso di nominazioni che
indicano professioni declinate al maschile: come “segretario” o “coordinatore”.
Il loro utilizzo, infatti, non solo “evoca” l’uomo, ma perpetua la dinamica per-
cettiva tra maschile, autorità e competenza, saldando
bias
sessisti.
Tornando all’analisi, con il termine “uomo”, nota Cavarero, si denotano
simultaneamente due aspetti. Da un lato un essere finito e sessuato. Dall’altro
un universale, prodotto dal linguaggio attraverso una parabola logica ascen-
dente che assolutizza la finitezza del primo aspetto. Dopodiché, tramite una
dinamica discendente, tale universalità sarà in grado di comprendere e speci-
28
L. Irigaray,
Parler n’est jamais neutre,
Les Editions de Minuit, Parigi 1991.
29
A. Cavarero, “Per una teoria della differenza sessuale”
,
in
Diotima. Il pensiero della differenza
sessuale,
La Tartaruga, Milano 1991, p. 43.
30
Ivi, p. 44.
SAGGI 95
ficarsi, sia in quel maschile finito che lo ha generato, sia in tutto il resto, che
verrà inglobato dal processo. Perciò, è presente una circolarità dove “uomo” è
sia universale che particolare, mentre il resto è solo particolare. I particolari
poi, in una logica binaria, sono uno l’altro dell’altra. Ma, in verità, l’alterità
dell’uomo si fonda nell’uomo stesso che, ponendosi preliminarmente come
universale, ammette poi se stesso come uno dei particolari nel quale
l’universale si può specificare. Al contrario, l’alterità della donna viene a fon-
darsi in negativo: l’universale-neutro uomo, particolarizzandosi come “uomo”
sessuato al maschile, si trova di fronte all’uomo sessuato al femminile, e lo di-
ce appunto altro da sé
31
. Rileggendo la filosofa in chiave intersezionale, po-
tremmo dire che ciò avviene anche per l’omosessualità, la transessualità e via
dicendo, rendendo tutto ciò che non è “maschio” – bianco, eterosessuale, ci-
sgender – dei particolari prodotti da un neutro-maschile.
In questo modello l’uomo occupa, dunque, una posizione totalmente differen-
te rispetto a ogni altra persona. Modello che viene costantemente reiterato pro-
prio dall’uso di un linguaggio che, universalizzando il particolare “uomo”, per-
forma determinate categorie e relazioni di potere. Il maschile neutro permette,
così, la circolarità dell’uomo tra universale e particolare, detenendo il potere e
stabilendo categorie di cui delimita confini e permissioni. Difatti, nell’universale
“neutro” l’uomo c’è con tutta la concretezza del suo essere, e poiché c’è si ricono-
sce, si pensa e si rappresenta con un linguaggio che gli è proprio: “L’uomo è colui
che dice le cose e il mondo, dice se stesso come il dicente. Pensa il tutto e pensa se
stesso come il pensante”
32
. Al contrario, tutto ciò che non è uomo dovrà dirsi a
partire da un linguaggio “neutro”, che lo ha già pensato, dicendosi e rappresen-
tandosi attraverso categorie del linguaggio dell’altro-uomo.
Assumendo il linguaggio l’uomo ha prodotto la sua essenza, definendosi e pen-
sando, quindi stabilendo, i modelli stereotipici e dicotomici con cui vengono si-
gnificati i corpi che lo ereditano e che, di conseguenza, reiterano quello stesso
modello. Ciò ha dunque prodotto una struttura binaria gerarchica, uomo/non-
uomo, declinatasi poi intersezionalmente in molte altre, che influenzano la costi-
tuzione delle persone e i loro relativi rapporti. Dicotomie tutte valutate, confron-
tate, inquadrate e determinate in modo gerarchico. Il concetto di neutro (maschi-
31
Ibid.
32
Ivi, p. 45.
96 POST-FILOSOFIE
le), proprio in quanto neutro, allude quindi al superamento di un binarismo che,
in verità, salda; reiterando di conseguenza il dominio maschile.
In sintesi, l’universalizzazione dell’uomo, cristallizzata anche nella forma del
maschile sovraesteso, è ciò che mantiene determinate prassi prescrittive e cate-
gorizzanti. Strutture dicotomiche che tendiamo poi ad assumere come processi
naturali e inevitabili, assumendo
bias
e sguardi stereotipici che producono diffe-
renti problematiche relazionali e discriminatorie. Nell’elaborazione di vademe-
cum per il GEP, dunque, è importante, a mio avviso, specificare come l’uso di
linguaggi paritari possa contrastare l’intero meccanismo di universalizzazione
dell’uomo. Tuttavia, per farlo non può focalizzarsi soltanto su nuove “conven-
zioni” a livello grammaticale, bensì fondarsi su strutture fluide che superino il
binarismo di fondo e gli stereotipi conseguenti. L’assunzione essenzialistica, a.e.,
di determinate qualità tra uomo e donna, rientra esattamente in questa struttura
universalizzante. Pertanto, duplicare i nomi a livello grammaticale, restando
però inchiodati a quelle attribuzioni stereotipiche, non è che un’illusione di pa-
rità che, in verità, cela il dominio del “maschile-neutro” in una nuova forma.
Linee guida per un linguaggio paritario nella prospettiva del GEP
Nelle linee guida per l’elaborazione del GEP della fondazione CRUI
33
, si
sottolinea tra gli obiettivi l’adozione di un linguaggio paritario e, per raggiun-
gerlo, si indicano due misure: una formazione adeguata e l’elaborazione di li-
nee guida
34
. Su come procedere per la sua creazione e utilizzo, però, non ven-
gono date indicazioni precise, lasciando libertà di agire.
In questa sezione rifletteremo, dunque, su una modalità che racchiuda in
sé entrambe quelle misure: ovvero la creazione di un vademecum che includa
sia strategie grammaticali, che una consapevolezza sugli effetti linguistici.
Alcune indicazioni europee per la corretta elaborazione di tali manuali so-
no contenute nella Direttiva UE/54/2006
35
, inoltre molte strategie sono state
33
La Fondazione CRUI nasce nel 2001 come braccio operativo della Conferenza dei Rettori delle
Università Italiane.
34
<https://www.crui.it/documenti/54/New-category/854/Vademecum-> (consultato il 18/06/2024).
35
<https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/187102/GNL_Guidelines_IT-original.pdf> (consulta-
to il 18/06/2024).
SAGGI 97
discusse ed elaborate dalla linguista Sabatini ne
Il sessismo nella lingua italia-
na
36
, dove propone molteplici soluzioni e alternative oggi riassumibili in:
Strategia della Visibilità, ovvero l’esplicitazione del genere grammaticale
per i termini che si riferiscono a esseri umani. Si avrà quindi, in una struttura
binaria, l’uso del genere grammaticale in relazione a come la persona si iden-
tifica – uomo o donna – e si procederà in tal modo all’accordo grammaticale.
In riferimento a due o più persone con identità differenti, si avrà l’uso simme-
trico del genere grammaticale, cioè l’esplicitazione di entrambe le forme
nell’ordine che si ritiene più opportuno (forma maschile + femminile, o vice-
versa). L’eventuale accordo di aggettivi, participi e pronomi e di norma al ma-
schile plurale, secondo il canone grammaticale “Serianni 1989; Dardano e Tri-
fone 2010” che permette di evitare il loro raddoppiamento attraverso una sor-
ta di “economia linguistica”. In questi casi si suggerisce l’ordine “forma fem-
minile + maschile”, affinché l’aggettivo, il participio o il pronome al maschile
risultino collocati accanto al termine maschile: es. “La dirigente Paola Verdi e
il coordinatore Andrea Bianchi sono stati premiati”. Personalmente ritengo ri-
schioso consigliare solamente quest’ordine, poiché incentiverebbe solo all’uso
del maschile neutro, con le conseguenze analizzate nel paragrafo precedente.
Per questa ragione Sabatini propone anche l’impiego alternativo, ovvero la
concordanza al femminile qualora si adottasse l’ordine “maschile + femmini-
le”
37
. Per ragioni di economia grafica, inoltre, le espressioni contenenti due
termini di genere diverso coordinati dalla congiunzione “e” possono essere
abbreviate tramite una barra obliqua: es. gli/le alunni/e.
Strategia dell’Oscuramento, ovvero il fare riferimento a una o più persone
senza dare indicazioni specifiche sul genere. Ciò può essere molto utile anche in
un’ottica non binaria. Alcuni esempi possono essere: termini o perifrasi che inclu-
dano espressioni prive di referenza di genere: persona, essere; riformulazioni con
nomi collettivi o che si riferiscono al servizio o alla carica: “personale docente, di-
rezione, segreteria”; riformulazioni con pronomi relativi e indefiniti:
“chi/chiunque”. Il genere grammaticale può essere oscurato anche attraverso stra-
36
A. Sabatini,
Il sessismo nella lingua italiana
, da Sabatini A. (a cura di), Il sessismo nella lingua
italiana per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le
Pari Opportunità tra uomo e donna, Roma 1987.
37
Ivi, p. 96.
98 POST-FILOSOFIE
tegie di tipo sintattico, come l’uso della forma passiva o impersonale: “La domanda
deve essere presentata” invece di “I cittadini devono presentare la domanda”.
Infine, la strategia di simbologie specifiche quali lo schwa o l’asterisco. Es-
so è di recente nascita, in linea con le nuove discussioni attorno alle tematiche
queer e non binarie. Alcuni esempi potrebbero essere: “avvocatə” o “Buon-
giorno a tuttə”, leggibili utilizzando la “u”.
Chiaramente, la scelta di queste strategie dipenderà dal contesto di applica-
zione e dal pubblico verso il quale ci si vuole rivolgere, ma è bene ricordare che
il loro utilizzo non riguarda esclusivamente la dimensione soggettiva. L’uso del-
lo schwa, a.e., implica non solo una diretta presa di posizione politica e antidi-
scriminatoria, aperta dunque alle molteplici identità presenti, ma produrrà an-
che nuove modalità del pensiero. Usare queste forme produce “problemi”, in
quanto inceppano il meccanismo “uomo-logos” e rimuovono le barre oblique
dalle dicotomie, lasciando spazio alla fluidità e all’autodeterminazione.
L’uso di queste strategie è dunque, a mio avviso, fondamentale come stru-
mento di intralcio della prassi dominante e sviluppo di climi paritari che de-
costruiscano l’universalizzazione del particolare “uomo”. Tuttavia, ritengo sia
sostanziale analizzare l’apparato teorico che motiva tali scelte linguistiche e
strategie comunicative, così da acquisire consapevolezza del motivo per cui è
necessario adottare queste nuove modalità, dando maggiore efficacia al GEP.
Focalizzandosi su una dimensione prettamente grammaticale e funzionale si
rischia, infatti, di non cogliere la forza e le ricadute extra-linguistiche che gli
atti linguistici producono. Diventa quindi indispensabile lavorare simulta-
neamente su due livelli nel momento in cui si elaborano vademecum per
l’equità linguistica: da un lato la sezione grammaticale, con le strategie appena
discusse, dall’altro la dimensione pragmatica, così da porre l’attenzione non
solo su “come” si parla/scrive, ma anche su “cosa” si dice/scrive. Bisogna dun-
que rimarcare come l’ideologia sessista, omolesbobitransfobica e via dicendo,
si riproducono attraverso strumenti linguistici quali i
bias
, gli stereotipi,
l’ironia, i luoghi comuni, i pregiudizi, i modi di dire etc., evitando di reiterarli
inconsapevolmente. Come già sostenuto, duplicare, a.e., il genere grammati-
cale attraverso la strategia della visibilità, affiancando però immagini o produ-
cendo frasi che mantengono gli stereotipi di genere, non farà altro che reite-
rare lo stesso meccanismo, rendendo completamente inefficace il vademecum.
Conclusioni
SAGGI 99
Questo contributo ha riflettuto sulle potenzialità del GEP. L’analisi di con-
testo, si suggerisce, permette di applicare il paradigma della vulnerabilità alle
disuguaglianze strutturali di genere, permettendo di smascherare le motiva-
zioni strutturali che sottendono le discriminazioni nei contesti accademici. In
quest’ottica, il GEP potrebbe altresì contribuire alle riflessioni filosofiche poli-
tiche sulla vulnerabilità, configurandosi esso come una
best practice
attraver-
so la quale conferire forza normativa al concetto in questione. Applicare que-
sta analisi all’uguaglianza di genere e alle teorie dei diritti umani, si potrebbe
poi discutere sulle differenti fruibilità dei diritti a seconda della variabilità dei
contesti. La riflessione si è poi concentrata sul linguaggio, tema dibattuto
all’interno dell’adozione di tutti i GEP. Il linguaggio è insito di potere relazio-
nale e costituente, denso di falsa neutralità che reitera modelli di dominio.
Come sostenne Irigaray, una lingua non solo è antropologica, bensì anche an-
drologica; ovvero quella di un soggetto sessuato che impone i suoi imperativi
come universalmente validi. Ogni parola porta con sé il peso e l’influenza del
dominio, reiterando stereotipi, categorizzazioni e atteggiamenti che entrano in
noi fino a modellare i nostri desideri e le nostre pulsioni. Produrre riflessioni at-
torno al tema, sensibilizzando sulla portata ed efficacia del linguaggio, è dunque
un passo decisivo per poter pensare a un linguaggio paritario. La creazione di
vademecum linguistici risulta pertanto fondamentale per il raggiungimento de-
gli obbiettivi posti dal GEP. Tuttavia, non affiancare un’adeguata formazione at-
torno a questi processi, focalizzandosi solo sul “come” scrivere o parlare, com-
porta il rischio di non utilizzarli in modo adeguato o banalizzare tali interventi;
soprattutto dovendo rivolgersi a pubblici ampi, con differenti contesti, consape-
volezze e posizionamenti sul tema. Il GEP, attraverso un intervento linguistico
a tutto tondo, ha quindi le potenzialità di decostruire l’universalizzazione
dell’uomo-logos nonché degli stereotipi conseguenti, sfidando il sistema binario
e scrivendo nuove prassi sociali egualitarie.
100 POST-FILOSOFIE
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