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Verso una nuova “oggettività dell’empatia”: come cambia il racconto giornalistico della realtà

Authors:
Arte e Comunicazione
1
REALTÀ MEDIALI.
MEDIALITÀ, ARTE E NARRAZIONI
a cura di
Anna Fici e Claudio Gnoffo
Arte e Comunicazione, 1
Realtà mediali. Medialità, arte e narrazioni
a cura di Anna Fici e Claudio Gnoffo
Direttrice: Anna Fici – Università degli Studi di Palermo
Comitato scientifico:
Simone Arcagni – Università degli Studi di Palermo
Alessio Arena – Universidad Nacional de Rosario
Massimo Bonura – Università Telematica eCampus
Sergio Brancato – Università degli Studi di Napoli Federico II
Lucas Del Chierico – Universidad Nacional de Rosario
Claudio Gnoffo – Università degli Studi Guglielmo Marconi
Stefano Piacenti – Accademia di Belle Arti di Roma
Mario Tirino – Università degli Studi di Salerno
Alberto Trobia – Università degli Studi di Palermo
‘Arte e Comunicazione’ è una collana sottoposta a peer review
‘Arte e Comunicazione’ is a Peer-Reviewed Series
Il volume è stato finanziato in parte coi FFR 2023 del
Dipartimento Culture e Società
In copertina foto di Anna Fici
ISBN (libro a stampa): 978-88-5509-566-2
ISBN (online): 978-88-5509-567-9
© Copyright 2023 New Digital Frontiers srl
Via Serradifalco 78
90145 Palermo
www.newdigitalfrontiers.com
A Michele Perriera e Ludovico Durst,
Maestri d’Arte pulsante e vera.
Anna Fici
Indice
Una premessa 11
Anna Fici
La comUnicazione veicoLa Larte o La comUnicazione è arte?
Una nota introdUttiva 13
Anna Fici
i. QUestioni sULLarte
pandemics and the arts 39
Marcel Danesi
antonioni_Barthes. moda FotograFia cinema 67
Tiziana Maria Di Blasio
sedotti e aFFiLiati. QUando Limmagine è impop-oLare 89
Arrigo Musti
Una prospettiva creativa sULLa disinFormazione:
iL caso inventarivm 109
Eliana Urbano Raimondi
ii. mediaLità digitaLi
amBienti virtUaLi e storyteLLing non Lineare nei videogiochi 131
Arianna D’Ulizia e Marco Pirrone
digitaL methods e data-driven storyteLLing per iL design
di narrative civiche conversazionaLi 147
Sara Monaci e Domenico Morreale
ecoLogie deLLa scena digitaLe. Le strategie coreograFiche
per ripristinare Lempowerment sociaLe 165
Letizia Gioia Monda
verso Una nUovaoggettività deLLempatia”: come camBia
iL racconto giornaListico deLLa reaLtà 179
Rebeca Andreina Papa e Luca Serafini
L’esperienza deL cinema: emozioni, condivisione,
Forme ideaLtipiche 195
Vincenzo Pepe e Alberto Trobia
sgUardi on-demand. per UnetnograFia deLLe
pratiche aUdiovisive ott 221
Nicolò Villani
iii. narrazioni comparate
reaLtà sottovaLUtate: reaLismo, neoreaLismo e reaLtà tra
teatro, cinema e media 239
Alessio Arena
tra tradUciBiLità e intermediaLità.
iL case study zerocaLcare 247
Virginia Di Bari
L’archetipo deLLeroe neLLantichità e neLLe rivisitazioni
odierne deL mito 263
Giancarlo Germanà Bozza
L’istante deL contemporaneo. etica deL tempo QUaLitativo
in KierKegaard e in dreyer 287
Nicolò Germano e Luca Iencarelli
L’apocaLisse: come si presenta, come ce La raccontiamo 303
Claudio Gnoffo
reaLtà #nofilter neLLa narrazione Letteraria:
pratiche spaziaLi e vita QUotidiana neL nordest itaLiano 319
Olga Tzatzadaki
nota FinaLe ai testi 337
Luigi Amato
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”:
come cambia il racconto giornalistico della realtà
reBeca andreina papa e LUca seraFini*
L’informazione nella platform society: user engagement e
centralità delle emozioni1
Nella platform society le infrastrutture tecnologiche non sono sem-
plici strumenti di veicolo dei contenuti, ma acquisiscono un profi-
lo sempre più editoriale. Per platform society gli studiosi van Dijck
e Poell (2015) intendono «un conglomerato globale di tutti i tipi di
piattaforme le cui interdipendenze sono strutturate da meccanismi
comuni» (van Dijck, Poell 2015, 1-5) e la cui influenza nella società va
ben oltre il ruolo di intermediari e fornitori di servizi legati al digitale.
Le stesse modalità di creazione, distribuzione e fruizione delle
notizie si rimodulano secondo nuovi criteri e obiettivi, in quanto le
piattaforme digitali non svolgono la semplice funzione di content pro-
ducers, ma offrono un servizio di mediazione editoriale che consiste
nell’ospitare contenuti degli iscritti (individui, stakeholder, organiz-
zazioni/imprese, ecc.), conservarli, organizzarli e promuovere la loro
circolazione verso gli altri utenti (networked publics), secondo logiche
controllate dalla piattaforma stessa (Boccia Artieri, Marinelli 2018).
Inoltre, le affordances che orientano gli usi delle piattaforme digi-
tali promuovono diversi meccanismi di consumo collettivo dell’in-
formazione, all’interno di nuove “modalità del sentire” e forme di
socialità costruite in buona parte dalle logiche algoritmiche.
1* Questo contributo è stato concepito dai due autori assieme. Tuttavia, è da attribuire
a Rebeca Andreina Papa la stesura del paragrafo 1; a Luca Serafini la stesura dei
paragrafi 2 e 3; di entrambi è la stesura del paragrafo 4.
Rebeca Andreina Papa e Luca Serafini
180
Sono soprattutto i social media ad aver ridefinito le modalità di sele-
zione dei contenuti che arrivano agli utenti, in particolare attraverso il
processo di datafication e di personalizzazione dell’informazione. Ana-
lizzando i dati degli utenti e offrendo loro ciò che desiderano, le piatta-
forme social hanno fatto sì che il giornalismo sia sempre più orientato
a una logica data driven, in cui gusti e preferenze dell’audience acquisi-
scono un’importanza sempre maggiore nelle attività di newsmaking.
Tale processo è ancor più rafforzato dagli stessi servizi di audien-
ce measurement che aziende come Facebook, ad esempio, offrono alle
organizzazioni editoriali per definire con minuzia le caratteristiche e
i bisogni dei loro lettori (van Dijck et al. 2018).
L’obiettivo primario diventa quindi quello dell’engagement degli
utenti, in quanto sono proprio i contenuti più coinvolgenti a riscuote-
re maggiore visibilità nelle social platforms.
Ma cos’è che genera un maggiore engagement? Alcuni dati ana-
lizzati proprio da Facebook hanno messo in evidenza come le “storie
commoventi, emozionanti e motivazionali” e “i dibattiti provocatori
e appassionati” generino il doppio o il triplo dell’engagement rispet-
to ad altre storie (Osofsky 2010; van Dijck et al. 2018) e sembra che ciò
valga in diversi contesti culturali e anche per altre piattaforme social
(Berger, Milkman 2012; Chen, Sakamoto 2014).
Nelle social platforms la sfera emotiva dei lettori diventa, quindi,
un fattore essenziale che il giornalista non può non tenere in conside-
razione nel processo di costruzione delle notizie, in quanto le stesse
infrastrutture tecnologiche con i loro modelli di business sono orga-
nizzate in modo tale da suscitare, catturare e monetizzare i sentimenti
e le emozioni degli utenti (van Dijck et al. 2018).
Gli editori digitali da diversi anni ormai stanno studiando nuove
strategie di rappresentazione della realtà e di racconto giornalistico
non solo per sopravvivere, ma per sfruttare le potenzialità delle nuo-
ve logiche di datafication e personalizzazione dell’informazione impo-
ste dai social media. Il mondo del giornalismo si sta così reinventan-
do al fine di sfruttare le potenzialità e i meccanismi delle piattaforme
e meglio rispondere alle nuove abitudini informative di un pubblico
di lettori sempre più interconnesso e desideroso di coinvolgimento.
Da un impiego “informativo”, che considera le piattaforme digi-
tali come semplici canali di comunicazione, è necessario passare a un
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”
181
approccio maggiormente dialogico, bidirezionale, interattivo, coinvol-
gente, capace di alimentare l’engagement del lettore (Solito et al. 2019).
Il mondo dell’informazione ha cercato così di adeguarsi alle nuove
logiche di visibilità e viralità delle social platforms. Molti editori digitali
hanno investito ingenti risorse per poter offrire agli utenti un flusso co-
stante di informazione mescolata all’intrattenimento, puntando sull’u-
so di video, live blog, presentazioni, quiz. Parallelamente alla distri-
buzione di contenuti più “leggeri” (infotainment), non hanno affatto
rinunciato a proporre ai propri utenti anche un’informazione più ap-
profondita e articolata, riconducibile spesso al giornalismo d’inchiesta.
Nella platform society caratterizzata da un overload informativo,
però, c’è il forte rischio che quest’ultimo tipo di informazione non
raggiunga la massa degli utenti delle piattaforme, in quanto, come
già sottolineato, proprio i contenuti di intrattenimento e quelli a mag-
giore componente emotiva tendono a viaggiare e a diffondersi più
velocemente rispetto alle cosiddette hard news (van Dijck et al. 2018).
Sdoppiare la tipologia di contenuti da offrire al pubblico non sem-
bra essere, quindi, una soluzione sufficiente per “salvare” l’informa-
zione di qualità dall’onda dell’emotività che viaggia sul web.
È piuttosto necessario che il mondo dell’informazione cavalchi
quest’onda senza però farsi travolgere e senza snaturarsi, riflettendo
adeguatamente su come coinvolgere i propri utenti: multimedialità,
interattività e riappropriazione della sfera emotiva sembrano essere
aspetti cruciali con cui bisogna necessariamente fare i conti.
L’oggettività impossibile: giornalismo “normativo” e web
emozionale
È evidente come, in uno scenario del genere, sia sempre più com-
plesso rifarsi alle narrazioni giornalistiche della realtà basate su-
gli ideali tipici del cosiddetto “giornalismo moderno”. Con questa
espressione ci si riferisce a quel modello di giornalismo che si è affer-
mato tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Nove-
cento, in corrispondenza col tentativo di rendere il giornalismo stesso
un’attività professionale a tutti gli effetti, incentrata su specifiche rou-
tine, strutture organizzative e norme da rispettare (Schudson 1978).
Rebeca Andreina Papa e Luca Serafini
182
L’aggettivo “moderno” si riferisce al fatto che tali norme erano una
diretta applicazione al campo del giornalismo dei principi dell’Illu-
minismo e della modernità scientifica. In riferimento alle narrazioni,
oggetto del presente contributo, ciò implicava l’idea che il racconto
della realtà potesse essere portato avanti sulla base di metodi ogget-
tivi e procedure razionali (Schudson 2018). Il paradigma dell’oggetti-
vità, in questa fase storica, si è affermato nel campo del giornalismo
anche nei termini di un «defensive strategic ritual» (Tuchman 1972): i
giornalisti, per identificarsi come categoria professionale, avevano bi-
sogno di distinguersi da chi praticava attività di public relations (Lip-
pman 1922), il che implicava anche la necessità di evitare le influenze
dei comunicatori di professione e il loro modello di narrazione per-
suasiva, volta a convincere e non a informare. Secondo il modello
del giornalismo moderno, quindi, il racconto giornalistico della re-
altà deve essere oggettivo, imparziale, distaccato, non contaminato
da punti di vista soggettivi da emozioni (Peters 2011). Per molti
decenni questo è rimasto il paradigma dominante nell’autorappre-
sentazione della professione giornalistica.
Gli elementi già richiamati nel primo capitolo hanno evidenziato
come l’avvento dei media digitali abbia determinato, però, una riaf-
fermazione della sfera emozionale all’interno dello scambio pubblico
di opinioni e significati.
Questo scenario porta inevitabilmente a ridefinire il concetto di
oggettività nel racconto giornalistico della realtà: l’ideale di un gior-
nalista che agisce come un agente disincarnato, che osserva in manie-
ra distaccata la realtà e che si limita a descriverla in maniera fredda,
escludendo qualsiasi elemento di natura emozionale, è troppo distan-
te dalla concretezza della produzione e soprattutto del consumo di
informazione sulle piattaforme digitali.
Al contempo, il superamento del paradigma moderno dell’ogget-
tività e la rivalutazione della sfera emotiva non devono condurre a
una deriva di stampo postmoderno, per la quale le interpretazioni,
tutte ugualmente legittime, prendono il posto dei fatti. Il noto afori-
sma di Nietzsche (2001 [1885-1887], aforisma 481) «non esistono fatti,
ma solo interpretazioni», specie nelle sue successive appropriazioni
da parte di correnti come il pensiero debole (Vattimo, Rovatti 1983),
rappresenta un chiaro pericolo per il giornalismo, specie nell’epoca
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”
183
della proliferazione di fake news, dell’infodemia (Rothkopf 2003;
OMS 2020) e della post-verità.
È allora necessario comprendere se esistano dei modi per ridefi-
nire il concetto di oggettività nel racconto giornalistico della realtà,
includendovi anche le emozioni e la sfera estetica, assenti nel para-
digma normativo attraverso cui il giornalismo inglobava i principi
della modernità scientifica.
L’oggettività dell’empatia
Nei limiti dello spazio a disposizione per il presente contributo, e
senza pretesa di esaustività, vogliamo provare a indicare uno dei pos-
sibili modelli per la riformulazione del concetto di oggettività gior-
nalistica nella sfera pubblica digitale, e per l’inclusione all’interno di
esso delle emozioni.
Dopo aver indicato il riferimento teorico alla base di tale modello,
proveremo ad analizzare un’applicazione concreta del modello stesso.
Il riferimento teorico che vogliamo richiamare riguarda il concetto
di “oggettività 3.0” elaborato da Micheal Schudson, uno dei principa-
li studiosi di giornalismo contemporaneo. Schudson configura que-
sto tipo di oggettività nei termini di una “oggettività dell’empatia”,
provando quindi a tenere insieme il resoconto accurato dei fatti e la
presenza della componente emozionale.
Nell’utilizzare questa espressione, Schudson distingue tra tre dif-
ferenti tipi di oggettività che hanno segnato il racconto giornalistico
nel XX secolo (Schudson 2018).
Vi è innanzitutto l’oggettività 1.0, quella che si impone nei primi
decenni del Novecento in concomitanza con la professionalizzazio-
ne del giornalismo. Come già evidenziato, tale oggettività si basa sui
principi dell’imparzialità e della descrizione neutra e fredda dei fatti,
con il giornalista che si limita a riportare ciò che è sotto ai suoi occhi.
Tale modello, spiega Schudson, è stato quello dominante fino agli
anni Cinquanta del Novecento.
A partire dal decennio successivo, si è invece affermato un model-
lo differente, che egli definisce di oggettività 2.0: la copertura delle
notizie, in questa fase, è diventata più analitica e più trasgressiva delle
linee di confine tra pubblico e privato. Si è assistito a una crescita del
Rebeca Andreina Papa e Luca Serafini
184
reporting contestuale e interpretativo. I giornalisti non si focalizza-
vano più solo sugli eventi, ma anche sulle loro cause, cercando delle
spiegazioni, analizzando ciò che accadeva e offrendo una loro inter-
pretazione. Cominciava quindi ad aprirsi una prima breccia all’inter-
no del rigido paradigma normativo del giornalismo moderno, poiché
iniziava a trovare spazio la soggettività. Il giornalista non si doveva
necessariamente limitare a riportare asetticamente ciò che avveniva
in un determinato momento, ma poteva offrire al lettore uno sguardo
più profondo sulle notizie, che riuscisse a mettere i singoli fatti in una
cornice più ampia. L’apertura alle interpretazioni implicava l’accetta-
zione che potesse esistere un punto di vista soggettivo sugli eventi.
Questa fase storica risentiva evidentemente dei mutamenti culturali
che, proprio in quegli anni, stavano prendendo piede con l’avvento
del paradigma postmoderno. Tuttavia, nell’oggettività 2.0 l’apertura
alla soggettività, non implicava ancora il pieno riconoscimento delle
emozioni nelle narrazioni giornalistiche; del resto, a parere di Schud-
son, nemmeno questa forma di oggettività è più al passo con i cam-
biamenti nella produzione e nel consumo di informazione che hanno
luogo sulle piattaforme digitali.
Serve quindi un ulteriore passaggio, quello verso una oggettivi-
tà 3.0: si tratta di un’oggettività empatica, che parte dal presupposto
che sia necessario provocare, anche attraverso le narrazioni giornali-
stiche, un coinvolgimento emozionale del pubblico. Il presupposto,
cioè, che nella sfera pubblica digitale l’audience sia costituita da quel-
le “comunità del sentire” di cui abbiamo parlato nel primo paragrafo.
Tale coinvolgimento emozionale deve abbinarsi a un racconto accura-
to e preciso dei fatti. L’oggettività 3.0 deve essere quindi basata sulle
evidenze fattuali come quella 1.0 e deve essere interpretativa come
quella 2.0, ma deve aggiungere a tutto ciò l’empatia, configurandosi
appunto come un’oggettività dell’empatia (Schudson 2018, 66):
Journalism practiced with Objectivity 3.0 should accept that the
job of journalism is to report stories about contemporary life. By re-
porting, journalists make a commitment to a factual and, to a large
extent, verifiable world. By turning those reports into stories, journali-
sts give their reporting a form that makes them understandable, even
compelling. They are a combination of reportage and story that not
only informs and instructs but may touch people, even move them.
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”
185
Perseguire questa oggettività dell’empatia significa andare oltre
il proprio specifico punto di vista: il giornalista, senza cedere al sen-
timentalismo, deve andare maggiormente in profondità, riuscendo a
calarsi nel punto di vista sia dei protagonisti dei fatti che racconta, sia
dell’audience a cui quella specifica notizia è rivolta. Non si tratta, qui,
di esaltare la soggettività del reporter, seguendo una deriva persona-
listica che trasforma i giornalisti in opinion leader se non addirittura
in celebrità. L’oggettività dell’empatia implica, al contrario, la capaci-
tà del giornalista di mettersi nei panni degli altri, e di articolare così
un racconto coinvolgente e accurato, in cui le emozioni possono (e in
un certo senso devono) trovare spazio.
Il caso dei newsgames
Un’applicazione concreta (ovviamente non l’unica) di questo mo-
dello di oggettività 3.0 al campo del giornalismo, è, a nostro parere,
rintracciabile nei newsgames, ovvero l’utilizzo di videogiochi interat-
tivi e realtà virtuale nel racconto giornalistico dei fatti.
I processi di gamification, ovvero l’applicazione di meccanismi ti-
pici del gioco in contesti di per sé non ludici (Robson et al. 2015), sono
in qualche modo connaturati alla struttura dei social media e alla
comunicazione veicolata dalle affordances di queste piattaforme. An-
che le narrazioni giornalistiche sui media digitali, di conseguenza, si
sono evolute seguendo questo paradigma. Ciò è visibile, ad esempio,
nell’utilizzo di un linguaggio colloquiale, spesso improntato all’iro-
nia, di cui fanno uso le testate giornalistiche nel titolare e lanciare i
propri articoli sulle piattaforme social. Le testate giornalistiche, quin-
di, proprio a causa dell’assorbimento delle logiche delle piattaforme
che ospitano i loro contenuti, non tendono solo verso una comunica-
zione “emozionale” delle news, ma anche verso un paradigma ludico
in senso più ampio.
In questo contesto, si è affermato anche l’utilizzo dei videogiochi
come strumenti per veicolare un racconto emozionalmente coinvol-
gente delle notizie.
I newsgames rappresentano l’applicazione in ambito giornalistico
delle logiche dei serious games, ovvero videogiochi che vanno oltre
l’intrattenimento e che sono creati al fine di coniugare da un lato le
Rebeca Andreina Papa e Luca Serafini
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potenzialità interattive e multimediali dei media, con la loro capacità
di coinvolgimento degli utenti, e dall’altro le strategie di apprendi-
mento. L’obiettivo è, quindi, quello di veicolare contenuti seri attra-
verso la forma ludica.
Nello specifico, per Sicart (2008) i newsgames sono quei serious
games computerizzati che hanno lo scopo di illustrare una notizia
specifica e concreta a un pubblico partecipativo. Il loro scopo non è
influenzare l’opinione dell’utente ma informare (Casagrande 2018).
Siamo nell’ambito del cosiddetto transmedia journalism, una forma
ibrida di narrazione giornalistica che applica le tecniche del transme-
dia storytelling alla narrazione giornalistica.
I prodotti transmediali rappresentano, in definitiva, la risposta del
mondo dell’industria culturale a fronte di un mutamento dei bisogni
di informazione ed intrattenimento di un nuovo soggetto che si pre-
senta sulla scena sociale e sul mercato: il pubblico connesso (Boccia
Artieri 2012, 130).
C’è chi ha espresso dubbi sul fatto che i videogiochi possano es-
sere qualificati come “giornalismo” e che le notizie possano essere
comunicate attraverso questi strumenti, evidenziando il rischio di ba-
nalizzare questioni di interesse pubblico (Ferrer-Conill 2016).
Altri studi, tuttavia, sono giunti a conclusioni opposte, mettendo
in luce la capacità di questo tipo di videogiochi interattivi di suscita-
re un coinvolgimento emotivo proprio su fatti di interesse pubblico,
non abdicando a un racconto comunque scrupoloso e dettagliato dei
fatti con cui gli utenti sono chiamati a “giocare” (Bogost et al. 2010;
Dowling 2021).
L’idea di fondo è che le tecnologie immersive, di cui anche i new-
sgames sono espressione, siano in grado di arricchire lo storytelling
giornalistico, suscitando alti livelli di empatia e di identificazione con
le storie che vengono raccontate (Milk 2015). I newsgames sono utili
per far mettere l’utente nei panni degli altri e sollecitare una “me-
moria emotiva” (Zeman 2017), cosa che un racconto astrattamente
razionale e distaccato dei fatti non è in grado di realizzare.
È stato infatti analizzato come i giochi basati sulla realtà virtuale
permettano di acquisire conoscenze con una velocità del 60% supe-
riore rispetto ai media tradizionali, proprio in virtù dell’empatia che
sono in grado di suscitare (Shin, Biocca 2018). Questo anche perché
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”
187
«la realtà virtuale è attrezzata in modo unico per trasmettere i neuro-
ni specchio (scoperti nel 1992), determinando una sorta di “contagio
emotivo”» (Dowling 2021, 150).
Giocare con le notizie significa essere trasportati all’interno di un
contesto in cui la realtà si sta dipanando, simulando l’esperienza del
reporter stesso (Dominguez 2017). Il gioco, in questo contesto, non si
configura quindi come una fuga dalla realtà in un mondo immagi-
nario, fittizio, secondo il paradigma del “magic circle” di Huizinga
(1946 [1939]). Al contrario, l’identificazione empatica coi protagonisti
di fatti reali può consentire agli utenti di associare le proprie espe-
rienze personali a questioni più ampie che riguardano la sfera pubbli-
ca. Alcune ricerche hanno infatti evidenziato il ruolo avuto dai new-
sgames nel favorire l’interesse del pubblico nei confronti di migranti,
minoranze oppresse o marginalizzate, gruppi sociali privi di tutele, e
lavoratori a cui sono stati negati diritti fondamentali (Dowling 2021).
Tra i vari esempi a cui possiamo riferirci, l’emittente australiana
ABC ha realizzato un videogioco che permette di immedesimarsi
nelle pessime condizioni lavorative dei dipendenti Amazon nei ma-
gazzini australiani (ABC 2019). Analogamente, il Financial Times ha
sviluppato Uber Game, un videogioco interattivo che consente di vi-
vere in prima persona l’esperienza di un conducente Uber (Financial
Times 2019). O ancora, si può fare l’esempio del gioco Rebuilding Hai-
ti, sviluppato dallo European Journalism Centre: si tratta di un gioco
in cui l’utente è chiamato a fare delle scelte sull’utilizzo di fondi per
ricostruire Haiti in seguito ai danni provocati dal terremoto del 2010,
decidendo dove allocare le risorse, come spendere i fondi a disposi-
zione, e così via.
Giochi di questo genere, a causa della loro dimensione sia rifles-
siva sia interattiva, hanno la capacità di generare interesse per temi
sociali, evitando però una deriva “emozionalista” tipica di una parte
consistente dell’informazione giornalistica sulle piattaforme digitali.
In altri termini, l’elemento immersivo del gioco attiva un consumo
maggiormente riflessivo e critico del prodotto giornalistico. Alcuni
studi hanno infatti dimostrato come l’elemento immersivo dei new-
sgames generi livelli più alti di attenzione, poiché gli utenti non sono
distratti da pubblicità o link, e rimangono più facilmente all’interno di
una singola esperienza estetico-narrativa (Dowling 2017). Non a caso,
i principi alla base della fruizione dei newsgames sono stati associati
Rebeca Andreina Papa e Luca Serafini
188
a quelli dello slow journalism (Laufer 2011), ovvero alla promozione di
un consumo più lento, riflessivo e meno frenetico dell’informazione.
La sfera estetica del gioco e delle emozioni, quindi, nei newsga-
mes è funzionale ad attivare un interesse anche di natura etica per
i protagonisti che il gamer incontra e per gli ambienti in cui è im-
merso. L’empatia, in altri termini, è innescata ai fini di una più pro-
fonda comprensione dei fatti, e non conduce all’emozionalismo e al
sentimentalismo. Le notizie, attraverso il gioco, vengono rese più
“intime”, più vicine all’esperienza degli utenti, ma non per questo si
trasformano in materiale di mero intrattenimento.
Il modello di oggettività 3.0 di Schudson, come visto, prescrive di
tenere insieme il coinvolgimento empatico con un resoconto accurato e
preciso dei fatti. In altri termini, è fondamentale che anche nel contesto
delle tecnologie digitali e immersive il giornalismo resti saldamente
ancorato ai principi della verifica scrupolosa dei fatti e della loro rap-
presentazione veritiera. Videogiochi e realtà virtuale, quindi, pur nel
contesto di una inevitabile “deformazione ludica” della realtà, devono
essere costruiti sulla base di un preliminare lavoro giornalistico di rac-
colta di dati ed evidenze, da restituire poi nell’esperienza del gioco.
Anche su questo fronte è possibile fare alcuni esempi di newsga-
mes che rispettano tali principi. Nel newsgame We Are Chicago, rea-
lizzato nel 2013, gli utenti vengono trasportati nei quartieri della città
statunitense e si confrontano col tema della violenza esercitata dalle
baby gang. Prima di mettere in commercio questo prodotto, il grup-
po di programmatori indipendenti Culture Shock Games ha raccolto
testimonianze e dati sul tema in questione. Sono stati intervistati, ad
esempio, molti abitanti dei quartieri più violenti di Chicago, come
Englewood. Questo lavoro preliminare è servito a restituire, nel new-
sgame, un’esperienza realistica e non deformata del problema delle
baby gang. C’è stato, in altri termini, un vero e proprio lavoro giorna-
listico di analisi e verifica (Dowling 2021, 85).
La stessa cosa è avvenuta con il newsgame 1979 Revolution: Black
Friday, realizzato dagli sviluppatori indipendenti iNK Stories nel 2016.
Qui i gamer si calano nel ruolo di un fotogiornalista che torna in Iran
durante la rivoluzione islamica del 1978-79. Il team di sviluppatori ha
condotto ricerche approfondite prima di realizzare il prodotto, inter-
vistando numerosi studiosi iraniani che vivevano a Teheran durante
la Rivoluzione, e raccogliendo molto materiale d’archivio.
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”
189
Un altro esempio interessante di newsgame e transmedia journali-
sm è quello di Pirate Fishing. Il gioco prende il nome da un documen-
tario realizzato nel 2012 dalla giornalista e film maker Juliana Ruhfus,
sulle cause, le dinamiche e le conseguenze della pesca illegale nelle
acque dell’Africa Occidentale ad opera dei pirati. Il documentario è
stato realizzato per l’emittente Al Jazeera che, nel 2014, ha deciso di
produrre il suo primo web-documentary. Pirate Fishing è diventato
così un serious game. Gli obiettivi erano quelli di valorizzare il giorna-
lismo investigativo, fare luce rispetto ai crimini ambientali e attirare
un target giovanile (Casagrande 2018, 491):
L’utente assume il ruolo di un giornalista investigativo che deve
aiutare Juliana Ruhfus e il suo team a parlare del commercio multimi-
lionario della pesca illegale, raccogliendo indizi, prove e appunti utili
alla costruzione del caso. L’impianto narrativo, dunque, si presenta
fortemente guidato – al fine di poter istruire il giocatore sugli effettivi
passaggi necessari a svolgere un’indagine di giornalismo investiga-
tivo. Allo stesso tempo, però, il gioco consente all’utente di operare
delle scelte, rendendo così la fruizione più partecipata e coinvolgente.
Possiamo dire, quindi, che almeno alcuni dei newsgames messi in
commercio nel corso degli anni rispettano i due principi alla base del
modello di oggettività 3.0 di Micheal Schudson, ovvero la necessità
di suscitare un coinvolgimento emotivo da parte degli utenti operan-
do, allo stesso tempo, una narrazione dei fatti fedele e aderente alla
realtà, nonché basata su un lavoro giornalistico di controllo, verifica,
raccolta di dati.
È evidente come quello riportato sia solo uno degli esempi pos-
sibili di “oggettività dell’empatia”, e come il giornalismo necessiti
anche di altre modalità (oltre a quelle dei videogiochi e della realtà
virtuale) per raccontare i fatti alle proprie audience. Tuttavia, il caso
di cui ci siamo occupati permette di comprendere come, sulle piatta-
forme digitali, il giornalismo debba restare fedele alla sua missione
e al suo ruolo nelle società democratiche, distaccandosi però dallo
standard di un’oggettività neutrale, meramente cognitiva e disincar-
nata. Tale standard, infatti, non è più al passo con le evoluzioni nella
produzione e nel consumo di informazione che hanno luogo sulle
piattaforme digitali. Di conseguenza, un racconto giornalistico incen-
trato su un’oggettività priva di emozioni non riuscirà probabilmente
a provocare delle reali trasformazioni nella società, poiché non sarà
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capace di coinvolgere su temi di interesse pubblico un numero suffi-
ciente di persone.
Nel contesto della sfera pubblica digitale, come visto, la dimen-
sione estetica non è in alcun modo separabile da quella cognitiva e
razionale. L’inserimento delle emozioni e dell’empatia in un nuovo
concetto di oggettività non significa infatti che tutte le interpretazioni
si equivalgano, bensì che negli ambienti online la realtà dei fatti (la
quale permane e non scompare affatto) necessita di nuovi strumenti e
canali per potersi imporre all’attenzione del pubblico.
Verso una nuova “oggettività dell’empatia”
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Article
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The disappearance of the screen’s physical barrier, the fourth wall, challenges many of the narrative conventions used in the traditional journalistic account. This is an area in which we are still taking the first steps, but these moves have already raised interesting narratological challenges. Technological development allows us not only to have the sensation of being elsewhere but also to interact with the storytelling elements. In this article, the author reviews the steps that have been taken up to the present time in the use of these platforms for news. She revises as well the reflections carried out by disciplines connected with narrative construction on the challenges of this new way of factual storytelling. The implications of being inside the scene of the action and being able to interact with it means rethinking the conventions of audiovisual editing and the visual perspective of the audience, as well as the relevance of the three-dimensional nature of real sound and the freedom to act inside the story without modifying the real course of the events.
Article
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Several news media have started to introduce gamification techniques into their digital platforms as a new storytelling format for news consumption. Since habit strength is the most powerful predictor of news consumption, the goal is to not only engage news consumers, but also to provide a personalized news experience and to persuade users to foster the habit of consuming news regularly. However, there is a large research gap in the intersection of journalism and gamification. This article aims to discern how digital news media have introduced game mechanics into their online platforms, and the logic which it serves. This assessment is primarily based on four case studies of gamified news: The Guardian, The Times of India, Bleacher Report, and Al Jazeera. The results are ambivalent since the driving forces of the implementation process combine an attempt to engage users and a set of commercial motivations.
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This introduction to the Special Issue of Social Media + Society discusses the key theoretical perspectives and methodological approaches needed to gain insight into how social platforms intervene in public space. It starts by highlighting how in the emerging platform society public and private communication is reshaped by social media’s commercial mechanisms, transforming the political economy of the media landscape. Given the complex character of this society, it is essential to employ different perspectives and approaches to trace the multifaceted forces at work in this new global system. Building on the seven contributions to this Special Issue, we show the need for multidisciplinary scholarship. More specifically, we consider the insights produced through historical–cultural, socio-technical, and techno-commercial inquiries into the evolving relationship between social platforms and public space. The introduction concludes with a reflection on the necessity to combine these perspectives in one analytical model.
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There is growing interest in how gamification—defined as the application of game design principles in non-gaming contexts—can be used in business. However, academic research and management practice have paid little attention to the challenges of how best to design, implement, manage, and optimize gamification strategies. To advance understanding of gamification, this article defines what it is and explains how it prompts managers to think about business practice in new and innovative ways. Drawing upon the game design literature, we present a framework of three gamification principles—mechanics, dynamics, and emotions (MDE)—to explain how gamified experiences can be created. We then provide an extended illustration of gamification and conclude with ideas for future research and application opportunities.
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In relation to journalism, the concept of ‘emotion’ is consistently undertheorized. Employed with commonsensical discernment, it is conflated with tabloid practices, sensationalism, bias, commercialization, and the like. Consequently, when discussed, emotion is often treated dismissively; a marker of unprincipled and flawed journalism. Yet hard, self-styled objective, ‘just the facts’ journalism is not unemotional, just as soft, so-called tabloid news is not irrational. For authors who study the sociology of emotions note, emotion has a social component and can more broadly be conceptualized as the experience of involvement. This article utilizes this understanding to interrogate traditional news dichotomies before applying this perspective to consider non-valorized news alternatives. One significant change over the past few decades is not that the news has become emotional (indeed, it has always been); rather, the diversity of emotional styles, the acceptability of journalistic involvement, and attempts to involve the audience have become more explicit.
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The newspapermen studied believe they may mitigate such continual pressures as deadlines, possible libel suits, and anticipated reprimands of superiors by being able to claim that their work is "objective." This article examines three factors which help a newsman to define an "objective fact": form, content, and interorganizational relationships. It shows that in discussing content and interorganizational relationships, the newsman can only invoke his news judgment; however, he can claim objectivity by citing procedures he has followed which exemplify the formal attributes of a news history or a newspaper. For instance, the newsman can suggest that he quoted other people instead of offering his own opinions. The article suggests that "objectivity" may be seen as a strategic ritual protecting newspapermen from the risks of their trade. It asks whether other professions might not also use the term "objectivity" in the same way.
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Over the last few years news organizations, publishing houses and media companies have had the need to research new forms of journalistic storytelling to cope with the current hybrid media system. Moreover, new journalistic theoretical frames are arising over academic literature, such as those debated in this paper, transmedia journalism, and slow journalism. Starting from these conceptual references, the aim of this paper is to investigate which kinds of forms journalism narratives could take. For this purpose, we will analyze the web - documentary and serious game Pirate Fishing, one of the first transmedia journalism projects designed in Italy.
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Increasing mobile audience engagement with long-form journalism has prompted industry to update the digital design conventions originally established by the New York Times's Pulitzer-Prize winning "Snow Fall" in 2012. Since 2015, such innovations have adapted to smaller mobile screens with a leaner aesthetic orienting multimedia elements in succession rather than crowding them on the same screen. Increased automated activation via scrolling has intensified the immersive experience of the story world, making its function as cognitive container of reader attention even more potent than in the first wave of products following "Snow Fall." With roots in ekphrasis, the word/image dialectic central to media theory, the aesthetic borrows from the photographic art movement of Pictorialism and from the cinematic montage method of Sergei Eisenstein. This new wave of innovative storytelling signals the latest attempts at capitalizing on engaged time without burdening users with excessive interactive elements. Legacy media have invested in major projects while start-ups less than a decade old have generated award-winning pieces, cementing their reputations as the latest powerhouses of literary journalism. Branded content is also on the leading edge of the genre as seen in the most recent productions of TBrand and WSJ Studios, the respective content marketing divisions of the New York Times and Wall Street Journal that produced multimedia features to promote Narcos and Orange Is the New Black for Netflix, indicating corporate synergies between print, television, and online news media.
Conference Paper
Why do people spread disaster-related news in social media? To address this question, we analyzed people's tendency to share information discussing the Great East Japan Earthquake and the feelings that they experienced after reading the information in three conditions: when they were asked to think about themselves in a disaster center, when they were asked to think about another person, John, in a disaster center, and when they were not asked to take any perspective. A previous work showed that people who imagined themselves in a disaster center, Fukushima, Japan, were more likely to share related information. We successfully replicated the previous work and extended it by suggesting that feelings could predict the likelihood of information sharing. In this paper, we reported our new findings, proposed a model of information sharing during disaster response, and provided practical implications for advancing the effective use of social media technologies for crises management.