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a cura di
Enrico Cicalò, Francesca Savini, Ilaria Trizio
DECORAZIONE
Linguaggi Graci
ISBN: 978·88·99586·29·4
“
You paint the wall, you make it look beautiful
”.
Aspetti performativi e implicazioni politiche
della decor-azione sui muri e in contesti frontalieri
“You paint the wall, you make it look beautiful”.
Performative Aspects and Political Implications
of Decor-Action on Walls and in Border Contexts
Andrea Masala
Università degli Studi di Genova
Dipartimento di Antichità, Filosoa e Storia
Laboratoire de sciences sociales Pacte
andrea.masala@edu.unige.it, andrea.masala@umrpacte.fr
836
Il testo indaga gli aspetti decorativi delle opere
di Street Art eseguite nei contesti e sui muri di
conne attraverso un’analisi interdisciplinare tra
geograa, border studies e semiotica della cultura.
Ricollocando il genere della Street Art all’interno
della Border Art, lo studio si interroga, anzitut-
to, sulla possibilità di considerare tali opere come
decorazione e insiste sull’importanza di volgere
l’attenzione verso gli aspetti performativi e attivi
dell’atto decorativo, avanzando una riessione sul-
la ‘decor-azione per-forma-attiva’. Viene, pertan-
to, arontata la vicenda del Chicano Park di San
Diego, in quanto paradigmatica delle pratiche di
muralismo a proposito dei conni e dei processi
di bordering eseguite in contesti cronologicamente
e geogracamente lontani dalle linee di demarca-
zione e dagli eventuali muri che le contrassegnano.
Successivamente, si indaga un’ampia e diversicata
selezione di casi studio rappresentati dai celebri in-
terventi di Banksy e JR sulla barriera israelo-palesti-
nese, la East Side Gallery del Muro di Berlino e altri
esempi relativi al border statunitense-messicano. Si
analizzano così gli aspetti di site-specicity, il rap-
porto materiale con le diverse forme e tipologie di
conni, i temi e i soggetti scelti, di volta in volta,
dagli artisti per esse. Le riessioni contenute nel
testo appuntano delle note a margine relative ai
quesiti stimolati dalle decorazioni sulle barriere
divisive e arrivano a concepire quest’ultime come
parte fondante dell’introdotta dimensione perfor-
mativa della decorazione.
Street Art
Border Art
muri di conne
Chicano Park
Banksy
Street Art
Border Art
border walls
837
Introduzione, problematiche e metodologia
Everything you do on the wall is immediately political.
Even if you just piss on the wall, it is a political act.
(www.thierrynoir.com)
Tra i più citati episodi relativi alle pratiche di decorazione dei
muri di conne, ricorre spesso un breve scambio di battute tra il
celebre street artist B an ks y e un an ziano si gn or e p al es ti nese. Qu es t’ul-
timo, dopo aver detto all’artista: “You paint the wall, you make it look
beautiful” ed essersi sentito ringraziare per il complimento rivolto,
sorprendentemente aggiunge: “Noi non vogliamo che il muro sia
bello, lo odiamo, vattene a casa”. La vicenda, risalente al 2005 e ri-
portata da Parry (2005), apre in realtà a una tta serie di problemati-
che riguardo l’annosa questione sulla funzione e ricezione dell’arte
decorativa negli spazi pubblici e, in maniera particolare, al di sopra di
una tipologia architettonica che risulta divisiva per denizione: i muri
di conne. Anche se in traduzione, l’analisi logica della frase in
questione implica, infatti, un rapporto di causa-eetto, secondo il
quale l’atto di dipingere il muro non prevede soltanto un suo con-
seguente e inevitabile abbellimento, ma anche un signicativo cor-
tocircuito tra le volontà dell’artista e quelle delle persone che quoti-
dianamente, a dierenza di chi dipinge, convivono con le dicili
realtà causate e incarnate da questa infrastruttura. Nel riferirsi alla
pratica dell’autore in questi termini, dunque, l’anziano signore pare
ricollocare la questione da un piano artistico-politico a uno mera-
mente decorativo e introdurre, così, anche il quesito fondamentale
che il presente contributo si impegna a indagare, ovvero la possibi-
lità di considerare le pratiche artistiche eseguite sulle barriere ge-
o-politiche – nella fattispecie le opere di gratismo, muralismo e
Street Art – come mera decorazione.
L’avanzamento di tale chiave di lettura necessita di tentativi di
risposta a un insieme di straticati e fondamentali quesiti, da essa
stessa sollevati, in merito, anzitutto, alle dierenze tra immagini
create ‘sul’ conne e quelle ‘a proposito di esso’ eseguite, invece, in
luoghi e contesti altri. Successivamente, emergono questioni sul
rapporto delle opere con il supporto murario che le accoglie, da
cui conseguono diversi meccanismi e funzionamenti semiotici che
sono, a loro volta, portatori di implicazioni, messaggi e scontri
estetico-politici. Se si considerano tali lavori come decorazioni,
Fig. 1
Panoramica del
Chicano Park nel
2017, <https://com-
mons.wikimedia.org/
wiki/File:Barrio_
Logan,_San_Diego,_
CA,_USA_-_panora-
mio_%2822%29.jpg>
(ultimo accesso 20
dicembre 2022).
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occorre sostanzialmente comprendere le modalità in cui essi varia-
no nel tempo, nello spazio e, soprattutto, in base a supporti che si
presentano estremamente eterogenei tanto nella loro dimensione
sica quanto nel contesto sociopolitico che li produce e che essi
contribuiscono a produrre. Inne, consegue a tutto ciò una ries-
sione più ampia, relativa alle modalità in cui il potere politico si
relaziona ad esse.
In altre parole, si tratta di domandarsi, in termini mitchelliani
(Mitchell, 1996), cosa vogliano le immagini, rivolgendosi a un
gruppo specico di esse. Porsi la questione nel contesto dei conni
suggerisce, infatti, di ricollocare l’enfasi sulla dimensione perfor-
mativa della decorazione. Azzardando un gioco di parole carico di
signicato, occorre muovere verso la concezione di una ‘decor-a-
zione’, in cui l’azione risulti essere, appunto, ‘decor-attiva’ e dun-
que proiettata non tanto verso il godimento del prodotto di un
abbellimento passivo, quanto piuttosto verso l’innesto di una serie
di problematiche simili a quella richiamata in apertura.
A partire dall’episodio citato, pertanto, si intende appuntare del-
le note a margine a queste problematiche, indagando un’eterogenea
selezione di casi-studio relativi a diversi limiti territoriali internazio-
nali: il conne tra USA e Messico, il contesto israelo-palestinese e il
Muro di Berlino. Prima ancora dell’analisi di stampo comparato
tra questi esempi, lo studio introduce la dimensione decorativa
della Street Art, come sottocategoria della più ampia sfera visuale
della Border Art e, per farlo, guarda al caso del Chicano Park di
San Diego [1]. Quest’ultimo consiste in un parco urbano del
1970, conquista di una protesta politica della comunità chicana
del Barrio Logan di San Diego contro l’imposizione, da parte del-
la municipalità di San Diego, di un imponente ponte in cemento
armato che, con i suoi numerosi piloni d’elevata altezza, costella
uno spazio precedentemente promesso ai cittadini locali per la co-
struzione di un parco. Sebbene geogracamente e cronologica-
mente distante dalla barriera che demarca il border con Tijuana, il
parco costituisce un tassello fondamentale non solo per compren-
dere la funzione performativa e politica delle decorazioni, ma an-
che come snodo signicativo tra i muri nella Street Art e la Street
Art nei muri.
Va da sé che lo studio di tali aspetti richiede un’interdisciplina-
rità metodologica a cui tale indagine intende provvedere, in pri-
mis, con uno sguardo semiotico, nalizzato al raggiungimento di
una maggior consapevolezza dei diversi linguaggi decorativi
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incontrati e del rispettivo funzionamento. In secundis, l’applicazio-
ne delle lenti teoriche fornite da recenti sviluppi in ambito geogra-
co dei border studies sorregge e incrementa gli attuali raggiungi-
menti dello stato dell’arte di stampo storico-artistico sulla Street
Art e sulla Border Art. Ciò signica tenere a mente sia la dimen-
sione estetica dei conni nei termini teorizzati da Schimanski e
Wolfe (2018) nell’ambito della border aesthetics e, soprattutto, l’e-
stetica dei muri geopolitici approfondita da Ganivet (2019). Un
simile procedimento infatti – oltre a sopperire all’impossibilità di
analizzare in presenza di alcuni casi-studio – non consente sola-
mente di aggiungere un tassello alla conoscenza complessiva sulla
Street Art, ma opera specialmente nel tentativo di arricchire la
consapevolezza generale sulle modalità in cui la millenaria e uni-
versale tendenza a decorare i muri va oggi declinandosi in un
aspetto della contemporaneità controverso, ma estremamente pre-
sente su scala globale: la forticazione delle linee di conne (Val-
let, 2014; Greppi, 2019).
La dimensione decorativa della Street Art come linguaggio
della Border Art
La Street Art – nell’intero insieme di sottocategorie che ne
fanno parte – costituisce un linguaggio sostanziale del genere
artistico della Border Art, una sfera visuale relativa al concetto di
‘conne’ secondo plurime accezioni geo-territoriali e concettuali
(Amilhat Szary, 2012; Berelowitz, 2003; Masala, 2022). Ne co-
stituiscono paradigma i casi in cui il conne territoriale e politi-
co veste i panni sia di tema che di supporto specico delle opere.
Non a caso, come fa notare Amilhat Szary (2022), anche una
semplice ricerca su Google Immagini della formula ‘Border Art’
restituisce un vasto quantitativo di modelli di cornici e bordure
decorate, adornate e abbellite con motivi barocchi, tomor, ge-
ometrici, squadrati o a zig-zag. Se, astraendosi concettualmente,
si amplia la scala di tale fenomeno, la coincidenza evidenziata da
questo esperimento sembra suggerire che l’abbellimento e la de-
corazione delle cornici non si riduce a quelle che circoscrivono le
immagini, ma anche a quelle che limitano i territori, gli stati, le
relazioni geo-politiche e le visioni che esse separano. Insomma, i
limiti e i bordi, siano essi di un’immagine o di un territorio,
avrebbero a che fare con una dimensione estetica, nella sua
840
accezione di “scienza del bello” (Schimansky, 2019); categoria
che – giova sempre precisarlo – occorre, ovviamente, reinserire di
volta in volta negli specici contesti storico-sociali e spazio-tem-
porali di produzione.
In base a tale assunto, pertanto, si deve riconsiderare il pro-
gressivo abbellimento dei caratteri graci che contraddistingue
l’intera evoluzione trasformativa delle opere di gratismo e wri-
ting; nonostante, per ovvie ragioni di spazio, la storia evolutiva
di quest’ultimi non potrebbe essere qui ripercorsa in maniera
esaustiva. Il bubble style, il 3D style e il wild style e altri stili si
farebbero, dunque, portatori della dimensione decorativa di
un’arte di carattere sovversivo, inizialmente proiettata contro le
istituzioni artistiche e museali e il gusto conformistico e, soprat-
tutto, nalizzata a una vera e propria guerriglia col potere politi-
co a suon di censure, arresti, rivolte e provvedimenti giuridici
(Dal Lago & Giordano, 2016). Essa stessa considerata “arte di
frontiera” (Petrilli, 2019) per il suo progressivo collocarsi ora al
di fuori e ora all’interno del sistema dell’arte contemporanea e
per via del suo carattere sovversivo e della sua estetica controcor-
rente, la Street Art presenta, a sua volta, labili conni interni
relativi alle sue volontà e alle sue stesse articolazioni linguistiche.
Il retroscena concettuale è il dibattito su ciò che viene considera-
to ‘decoro’ e ciò che, invece, è considerato vandalismo, ovvero,
secondo più astratti termini, sulla millenaria questione dell’esi-
stenza di un bello oggettivo e soggettivo. Il campo di battaglia su
cui si protrae questa sda non si riduce, tuttavia, alle periferie
urbane, ai treni e alle infrastrutture fatiscenti, ma si espande no
ai muri frontalieri.
Riemerge dunque una riessione linguistica tra la parola ‘de-
coro’ e la parola ‘decor-azione’, laddove il ruolo di quest’ultima
risulta essere più attivo che passivo in quanto indipendentemen-
te generato e non imposto univocamente dall’alto. Progressiva-
mente, la questione pare assumere tratti politici il cui ne ultimo
non è il risultato visivo, quanto piuttosto quello performativo o
meglio, ‘per-forma-attivo’, nel senso di un’azione formale che,
per via di un’azione diretta, conferisce nuova forma a qualcosa.
Si tratta della volontà di sovvertire, attraverso lo sviluppo di una
nuova estetica controcorrente, gli spazi e le relative funzioni
urbanistico-architettoniche che, nel tempo, si espande no alle
funzioni geopolitiche di muri, barriere e divisioni e di ciò che
questi rappresentano.
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Lontano dai muri: il Chicano Park
È oramai un fatto consolidato che la Border Art prenda avvio a
partire dalle esperienze chicane del sudovest statunitense degli anni
Settanta (Sheren, 2009, 2015), quando nell’ottica della rivoluzione
chicana alcune architetture urbane vengono rivendicate dalle popola-
zioni da esse oppresse e decorate con dei murales dai temi e dai sog-
getti provenienti sia da un passato culturale millenario sia da una
contemporaneità da esso ben lontana. Ne è paradigma il già intro-
dotto Chicano Park, ove i pilastri che sostengono il Coronado Bay
Bridge sono decorati da un programma iconograco riguardante un
passato maya, azteco e spagnolo, la mitica terra originaria di Aztlán e
un presente animato da un’identità culturale estremamente ibrida. Il
risultato nale presenta i tratti di uno scontro semanticamente decli-
nato in senso lotmaniano (Lotman, 1998). Nell’ambito urbano, tale
frizione semio-spaziale vede l’enorme verticalità del ponte di cemen-
to – imposto sulle casette orizzontali del barrio dalla municipalità di
San Diego – divenire simbolo di una colonizzazione del quartiere
etnico e dell’imposizione di una visione anglos, capitalista e moderni-
sta del mondo e della città sulla quotidianità di chi, diversamente, si
identica con una cultura altra, legata al culto della terra e a una
storia antica, fatta di ulteriori colonizzazioni e ingiustizie. In termini
lotmaniani, è possibile leggere lo ‘spazio assoluto’ (secondo l’accezio-
ne latina del termine, ab-solutus, “sciolto da”) della grigia infrastrut-
tura in calcestruzzo come slegato dal contesto e dalla quotidianità del
luogo in cui si trova, mentre lo ‘spazio relativo’ incarna lo stile di vita
condotto nel barrio e l’insieme di valori culturali ivi sviluppatisi e
tramandatisi nel tempo. Lo spazio relativo riemerge grazie al pro-
gramma decorativo sotto forma di un ventaglio di valori e temi
espressi in un repertorio gurativo animato da una dimensione poli-
tica e attivista. Inizialmente non rmati singolarmente, infatti, i graf-
ti del Chicano Park fungono non unicamente da esito e da motore
di questa battaglia politica, ma anche da tag collettiva, con la quale ci
si appropria di una porzione di territorio cittadino da trasformare in
un supporto per la denuncia di processi di bordering, di in/esclusione
e di una negazione di diritti di impronta xenofoba e razzista.
Come sottolinea Cristallini nei più generali confronti della
Street Art, quest’ultima
entrando dunque in conitto con le forme dell’architettura,
poiché ne cambia i connotati, la rende “altra”, aprendola ad
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una dimensione scenograca più di qualsiasi altra membrana
contemporanea, la trasforma in meccanismo segnaletico, ne
frammenta una parte o isola il singolo costruito dal contesto
(Cristallini, 2019, p. 26).
Sempre adottando la semiotica della cultura di Lotman, dun-
que, se le forme architettoniche si presentano in questo complesso
ambiente come dei testi ‘iper-strutturati’ contraddistinti da un’
‘eterogeneità strutturale’, la contrapposizione urbanistica tra le
immagini e visioni del mondo del barrio chicano è da intendersi
come il risultato della contrapposizione tra forme di ‘urbanismo
utopico’ e città ‘dialogiche’ che, contrariamente alle prime, assu-
mono le sembianze di un ‘insieme’ in continuo cambiamento e
dialogo costante con le tradizioni precedenti. In altre parole, il
Chicano Park si fa segno di uno scontro-incontro tra due semiosfere
ottenuto dall’abbattimento di conni culturali imposti al ne di
un avanzamento e di un’evoluzione ibrida.
Se la decorazione è generalmente intesa come surplus lavorati-
vo ne a un mero godimento estetico, in questo caso la funzione
di un abbellimento del parco in contrasto con una visione del
mondo opposta presenterebbe, di fatto, anche una funzione poli-
tica, uno scopo più attivo e concreto. Occorre, a questo punto,
ricordare che la decorazione del parco ha avuto inizio subito dopo
la protesta per la riappropriazione di tale porzione urbana e il pro-
getto presenta tratti auto-celebrativi e didascalici che riaermano
e insegnano i valori della comunità ai non chicanos e ai chicanos
stessi. Inoltre, va precisato che il programma iconograco è ancora
in corso ed è animato non solo dalle attività di restauro dei vecchi
murales, ma anche dalla volontà di decorare lo spazio all the way
to the bay – come indica il murale di Gamboa, Lucero e Ochoa sui
piloni 16 e 21 (g. 2) – ovvero di protrarre le immagini su tutti i
pilastri del ponte no alla penisola di Coronado. La dimensione
estetica del Chicano Park, in sostanza, parrebbe animata dall’idea
che “per abbattere il conne bisognava prima forticarlo” (Sheren,
2016, p. 12) [2], ora secondo la sua accezione geo-territoriale, ri-
proposta nello spazio urbano, ora secondo quella semio-culturale
e politico-discorsiva, manifestata nelle pratiche di negazione dei
diritti e di bordering rappresentate nelle singole opere.
Ciò non è evidente soltanto nell’ideale rigenerazione decorativa
di Aztlán, ma anche nel fatto che in un’immagine appaia, con chiaro
anticipo sui tempi di creazione della barriera statunitense-messicana,
Fig. 2
Socorro Gamboa,
Roger Lucero, Victor
Ochoa, All the Way to
the Bay, senza data,
murale, San Diego,
Chicano Park, piloni
16-21 (fotograa
dell’autore).
843
844
proprio l’immagine di un muro. Si tratta dell’opera Undocumented
(g. 3) di Schnorr e Yamagata – realizzata nel 1980 sul pilone H45
e di sessantacinque piedi d’altezza – la cui decorazione in sei pannel-
li (da leggere dal basso verso l’alto) propone cronologicamente la
storia di un qualsiasi lavoratore illegale che attraversa la linea verso
gli USA. Ciò che veramente interessa ai ni del presente ragiona-
mento è la ragurazione, nella lunetta superiore, di un muro di
mattoni che viene abbattuto dal martello di un eroe azteco. Realiz-
zata quattordici anni prima della costruzione della prima barriera
divisiva tra USA e Messico, la scelta decorativa di questo pilone
anticipa una globalizzazione dei fenomeni frontalieri, aspetto con-
fermato anche in un tratto meno didascalico. Sebbene vi siano indi-
cazioni scritte per la comprensione dell’ostica simbologia surrealista
dell’opera, infatti, la macro-scala rende il pilone visibile dall’auto-
strada sopra il ponte e, dunque, fruibile anche da un pubblico non
necessariamente appartenente al barrio, in quanto attore e predilet-
to destinatario di quello spazio urbano assoluto incarnato dal ponte.
Inoltre, il linguaggio decorativo adottato dai due artisti è evidente-
mente lontano dai simboli e dai colori più presenti nel parco. Ciò
può essere compreso come una spinta verso una dimensione più
universalizzante delle decorazioni, ricercata tanto nei temi quanto
nell’autorialità, considerato che l’immagine non equivale necessa-
riamente quella dello specico muro statunitense-messicano, bensì
di un qualsiasi muro di conne e, inne, la provenienza e identità
non chicana di entrambi gli autori, signicativo sintomo di una pro-
gressiva apertura di questo tipo d’espressione verso uno spettro di
protagonisti più sfaccettato e ampio nella provenienza geograca,
politica e socio-culturale.
Ricreare spazialmente, concettualmente e visivamente il con-
ne per decorarlo e abbatterlo idealmente conferma tanto l’ambiva-
lenza concettuale e tangibile delle divisioni territoriali, quanto
uno stretto rapporto tra decorazioni e architetture divisive. Inne,
come si è cercato di far emergere, il fenomeno presenta implica-
zioni diversamente articolate delle strategie e adottate sull’oggetto
specico che separa le nazioni.
Sui muri: Palestina, Berlino, USA/Messico
Se applicata direttamente sul supporto specico del muro, la
decorazione fa particolarmente leva sugli sfaccettati aspetti di
Fig. 3
Michael Schnorr,
Susan Yamagata, e
Undocumented Work-
er, 1989, murale, San
Diego, Chicano Park,
pilone H45 (fotogra-
a dell’autore).
845
846
site-specicity garantiti da uno spazio geogracamente continuativo,
ma eettivamente sempre discontinuo da un punto di vista sociale,
giuridico e, geopolitico. Alle fenomenologie architettoniche di di-
verse tipologie di demarcazione (es. staccionata di legno, barriera in
cemento armato, muro di mattoni, rete metallica o palizzata in ferro
etc.), infatti, son richieste altrettante strategie da parte di chi decora.
Ne è prova il celebre intervento del 2011 di Fernandez (g. 4) sulla
divisione statunitense-messicana, di cui l’autrice riesce a eliminare
un tratto approttando delle stesse qualità formali e materiali della
barriera. Difatti, il tratto di separazione che divide San Diego da
Tijuana tra il Friendship Park e la Plaja de Tijuana è contraddistinto
da un’alternanza di elementi metallici verticali, distanziati l’uno
dall’altro soltanto di qualche centimetro, che restituiscono l’idea di
una palizzata piuttosto che quella di un muro continuativo. Guar-
dando all’azzurro del colore del cielo, l’autrice cancella con della
vernice indaco i singoli pali che compongono la barriera e ottiene
l’illusione dell’assenza visiva di questo oggetto articiale nel paesag-
gio naturale della spiaggia. Questo caso risulta particolarmente inte-
ressante poiché il supporto della decorazione viene semanticamente
eliminato dalla decorazione stessa che va, pertanto, ad operare come
un’anti-decorazione, o come un eetto di trompe l’œil pregno di un
signicato poetico e politico.
Per tornare a Bansky, invece, sono oramai noti – e decisamente
approfonditi dalla letteratura accademica, tanto che qui sarebbe su-
peruo ripercorrerli nel dettaglio – i suoi eetti di trompe l’œil sul
muro israelo-palestinese. In uno studio apposito, Luigi Cazzato
(2021) segnala l’esistenza di almeno tre tipologie di opere su questa
barriera: i grati ‘locali’, allegorici, scritti in arabo e indirettamente
politici; quelli ‹transnazionali’, in inglese e di stampo chiaramente
politico e inne quelli di impianto straniero, i cosiddetti grati ‹pa-
linsesto’, che fungono oramai da base per altre pratiche decorative
(Cazzato, 2021). Inserendosi in questa ricca fenomenologia decora-
tiva, le opere di Banksy fanno leva su un immaginario sfondamento
della parete, alla parte opposta della quale si scorgono spiagge e sce-
nari paradisiaci, impossibili da raggiungere dai bambini palestinesi
rappresentati accanto (g. 5). La supercie liscia e omogenea del
muro agevola la pratica decorativa no a rendere il supporto alla
pari di qualsiasi tela o muro da arescare. È, tuttavia, ciò che quel
muro rappresenta a fungere da (pro)motore dell’intera opera. Que-
ste immagini sarebbero altrettanto potenti se eseguite su un muro
cittadino qualsiasi? La domanda si applica anche al lavoro in cui due
Fig. 4
Ana Tereza Fernandéz,
Erasing the Border
(Borrando la Frontera),
performance grati,
2011, <https://ana-
teresafernandez.com/
borrando-la-barda-ti-
juana-mexico/borran-
do05> (ultimo accesso
20 dicembre 2022).
Fig. 5
Banksy, Eetto di
trompe l’œil sul muro
della West Bank,
grati, <https://
id.wikipedia.org/
wiki/
Berkas:Banksymuur2.
jpg>
(ultimo accesso 20
dicembre 2022).
847
848
putti sembrano scalzare con un piede di porco due dei tanti elemen-
ti di cemento armato che costituiscono l’intera divisione, ottenuto
tramite un inscindibile dialogo col supporto che diviene il punto
cardine dell’immagine (g. 6). D’altronde, perché due putti alati
dovrebbero scardinare due sezioni di un muro se questo non fosse
sorretto da dibattuti soprusi e controverse pratiche di controllo e,
soprattutto, non fosse un protagonista così presente del mondo
politico-mediatico per via dell’intricatissima situazione storica e
socio-politica di cui è oramai simbolo inconfondibile? Le risposte
donano naturalmente valore alle specicità di tale barriera, che ef-
fettivamente diviene la vera forza dell’immagine, come se il suppor-
to fosse più eloquente del contenuto o dello stesso risultato estetico.
A tale meccanismo, si accoda un’iconograa fatta di bambini, pal-
loncini, giostre e colombe della pace, per la quale l’artista è stato
spesso tacciato di essere estremamente didascalico, banale e, soprat-
tutto, di non apportare alcun signicativo contributo alla questio-
ne. Tale accusa, pertanto, riporterebbe l’attenzione a quanto richia-
mato in apertura, cioè al mero abbellimento apportato dagli
interventi di Banksy. L’anziano signore locale, infatti, invita l’artista
a tornarsene a casa, sottintendendo che egli (o chi per lui/lei/loro)
non faccia parte di quella realtà, non ne conosca le dinamiche così
bene da poterci fare sopra dell’arte politica. Pertanto, l’accezione di
decorazione accanto ai muri di conne sarebbe, in questo senso,
quella dell’abbellimento di un muro, della cucitura di una nuova
pelle composta da un immaginario edulcorato, promotore di un
turismo frontaliero, dallo stesso Banksy alimentato con un’altra
opera, il Wa l l ed O H o te l : un albergo vista muro da cui poter con-
templare in tutta sicurezza i pericoli e le sde di questa infrastruttu-
ra. Inoltre, non si può omettere che, storicamente, la pratica artisti-
ca di Banksy è da sempre stata giocata sul suo stare al di là della
legalità, ovvero immerso nella suddetta direzione controcorrente
della Street Art nei confronti dell’estetica normalizzante e del potere
politico. Verrebbe quasi da chiedersi se lo stesso dialogo di un’artista
con un ‘anziano signore’ non sia in realtà una storia metaforica del
già citato scontro tra un decoro uniformante e un’estetica, o meglio
una pratica politica dirompente. Nonostante ciò, e per via delle
considerazioni sulla dimensione decorativa di queste immagini, la
presunta pratica artivista (Trione, 2022) di Banksy parrebbe in ogni
caso oramai perfettamente inglobata da un meccanismo d’impronta
foucaultiana, per cui lo stesso potere contestato ingloba quel che è
critico nei suoi confronti al ne di poterlo controllare.
Fig. 6
Banksy, Aresco con
putti alati che scardi-
nano due sezioni del
muro della West Bank,
grati (fotograa
dell’autore).
849
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Se la presenza di Banksy può risultare dunque scomoda al popolo
palestinese, la East Side Gallery (ESG) di Berlino fa leva proprio sulla
convergenza di numerosi artisti da diverse parti del pianeta per la
decorazione estetica del solo lato est di un altro muro di cemento
armato. Questa specie di cinemascope orizzontale è ai più nota come
la galleria a cielo aperto più grande del mondo e oramai un’imman-
cabile destinazione turistica nell’era post-Muro. Si sostiene qui che il
punto di forza di questo contesto, infatti, sia la tempistica con cui è
stato creato: un anno dopo l’iconica caduta della barriera nel novem-
bre 1989. Conseguentemente, l’alternanza di narrazioni, linguaggi,
soggetti e protagonisti di diversa natura e provenienza può essere
letta come un primo frutto della globalizzazione e dell’idea di un
mondo senza conni, auspicato (in parte invano) all’indomani della
caduta del Muro. Pertanto, la ESG diviene un’“invenzione spaziale
recente” (Gutilla, 2014), ovvero una pratica di riscrittura urbana di
un’infrastruttura oramai privata della sua principale funzione divisi-
va. Ciò, ovviamente, rende la questione meno political time-specic
per seguire il concetto coniato nel 2009 dall’artista Tania Bruguera
[3] e dunque meno ‘calda’ della questione israelo-palestinese o delle
dinamiche lamentate, a loro tempo, dai chicanos a San Diego. Lo
scopo della ESG sarebbe allora più quello memoriale e di preserva-
zione di un passato vicino ma, tuttavia, estremamente dicile.
Il momento in cui si sceglie di decorare un muro frontaliero,
pertanto, aiuta a confermare le conclusioni raggiunte da Stano,
ovvero che
se da una parte, si assiste a un processo di normalizzazione che
cerca di incorporare le barriere articiali al contesto circostante
in modo che, con il tempo, si tenda a non percepire più la loro
presenza, dall’altra, i grati cercano di rompere il silenzio grigio
dei muri e di “restituir” loro quella visibilità che si cerca di can-
cellare. Avvertire l’esistenza dei muri e dei limiti – visivi, sociali e
interrelazionali – che essi impongo rappresenta il primo passo
indispensabile del percorso che può portare alla loro eliminazio-
ne. Al contrario, se il processo di normalizzazione riesce a relega-
re le barriere nell’oblio, gli individui tenderanno a non percepir-
ne più il carattere restrittivo. (Stano, 2013, pp. 158)
Ovviamente, non si tratta soltanto di un’invisibilizzazione dei
muri d’impianto visivo, simile all’azione di Fernandez. Questa av-
viene, piuttosto, in termini più generali, secondo un doppio raggio
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d’azione, il quale, in primo luogo, agisce per via di quei program-
mi rigenerazione urbana tramite la Street Art che, essendo pro-
mossi da governi e politiche locali, niscono spesso per cozzare
con la natura stessa di un’arte indipendente. In secondo luogo,
essa opera per via di un progressivo passaggio che – a cominciare
da interventi estetici di più spontanea esecuzione e indirizzati al
sostenimento di diritti civili da parte di soggetti subalterni come
nel caso del Chicano Park – converge nel tempo verso pratiche
decorative la cui ecacia e la cui eettiva motivazione retrostante
restituiscono l’impressione di un mero abbellimento, mosso da
volontà di spettacolarizzazione del muro stesso.
Appunti conclusivi
Nell’ambito di questo contributo si son volute ripercorrere alcu-
ne problematiche che la Street Art solleva quando applicata ai con-
testi e ai muri di conne. In base alla metodologia comparata appli-
cata, pertanto, si può ora congiungere ad alcune riessioni relative
alla questione per-forma-attiva di questo ambito d’indagine. Come
si potrà evincere dalle datazioni recenti – rispetto alla data di stesura
di questo paper – della bibliograa adottata, le discussioni sugli ar-
gomenti qui presentati non sono certamente concluse. Infatti, a
partire dall’articolata vicenda del Chicano Park approfondita in pri-
ma istanza si assiste a una specica convergenza di street artist, border
artist e artisti appartenenti ad altre categorie dinnanzi ai muri di
frontiera che si presenta sempre più articolata. Non è soltanto la
qualità formale dei supporti a fare di queste architetture delle attra-
zioni per gli artisti, ma il singolo caso che, di volta in volta, esse
rappresentano e incarnano. I contesti qui presi in analisi, con l’ecce-
zione di quello berlinese, sono infatti tra i più importanti e presenti
nel discorso politico, mediatico, pubblico e artistico.
Il muro di conne che demarca ognuno di essi, pertanto, diver-
rebbe la materializzazione del border stesso secondo un processo di
embodiment architettonico conseguente a pratiche discorsive retro-
stanti e consistente, in geograa, al concetto di borderscape (Bram-
billa, 2015). La decorazione può pertanto essere qui concepita come
una partizione del sensibile (Rancière, 2000) che, in maniera attiva,
restituisce forme innovative ed ‘altre’ al conne materializzato. La
parola ‘attiva’ non è circoscritta unicamente al recarsi da una qualsi-
asi parte del mondo per dare nuova forma visiva al muro, ma bensì
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alla restituzione del retroscena della nuova forma ottenuta che divie-
ne meno tangibile e più discorsiva. In termini più semplici, la deco-
razione conferisce forma discorsiva al muro per via delle polemiche
che essa solleva, per quanto riguarda l’autorialità, la ricezione pub-
blica con cui si è introdotto il testo e la provocazione al potere poli-
tico stesso. In conclusione, la decorazione è eettivamente decor-a-
zione per-forma-attiva nel momento in cui il dibattito critico,
l’opinione comune, il discorso scientico da essa emergenti, riguar-
dano i dialoghi e i processi discorsivi piuttosto che le immagini stes-
se e le rispettive intrinseche qualità. La nuova forma conferita al
muro è ancora una volta divisiva in questo senso ed esso diviene,
grazie a tali decorazioni non nalizzate al mero abbellimento, un
perno di sovvertimento degli ordini sociali, estetici e politici. In ul-
timissima istanza, si rende necessario chiarire che tale chiave di let-
tura – specialmente nello spazio di questo testo e nell’economia del
presente lavoro – non può che essere intesa in senso introduttivo,
come una linea di riessione, o un taglio d’impianto analitico con il
quale sarà possibile maneggiare tale fenomeno, che richiede, ovvia-
mente, approfondimenti di tipo locale o trans-nazionale, conside-
rando in particolare la sua esponenziale ed estremamente articolata
crescita su più fronti.
Note
[1] Si segnala che la parte relativa al Chicano Park consiste nello sviluppo di un insieme
di considerazioni accennate in un precedente e inedito lavoro di te (Masala, 2019).
[2] “in order to dissolve the border it rst had to be solidied”.
[3] Per a ppr ofo ndime nti si rim anda al test o de ll’ art ista (Bru gue ra, 2019 ).
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