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Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione: definizioni e problemi concettuali

Authors:

Abstract

How can we define lobbying? What is a lobby? Is an interest group different from a pressure group? And how can we categorize different types of groups? Who can be technically labeled as a lobbyist? By adopting the perspective of political science, the article tries to answer all these questions, providing the fundamental definitions of the concepts involved in the practice, the study, and the regulation of lobbying, also untangling some theoretical problems that often lead to various misunderstandings in the public discourse on lobbying, and that are usually behind ineffective or “flawedµ attempts of regulation of lobbying activities
Il Mulino - Rivisteweb
Alberto Bitonti
Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di
pressione: definizioni e problemi concettuali
(doi: 10.17394/105096)
Diritto pubblico comparato ed europeo (ISSN 1720-4313)
Fascicolo 3, luglio-settembre 2022
Ente di afferenza:
Universit`a Luiss (luiss)
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3 | 2022 DPCE, pp. 463-478
ISSN 1720-4313
© Società editrice il Mulino
Alberto Bitonti
Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi
di interesse e di pressione:
definizioni e problemi concettuali
Lobbying, lobby, lobbyist, interest and pressure groups: definitions and conceptual
problems
How can we define lobbying? What is a lobby? Is an interest group different from a pressure
group? And how can we categorize different types of groups? Who can be technically labeled
as a lobbyist? By adopting the perspective of political science, the article tries to answer all
these questions, providing the fundamental definitions of the concepts involved in the prac-
tice, the study, and the regulation of lobbying, also untangling some theoretical problems that
often lead to various misunderstandings in the public discourse on lobbying, and that are
usually behind ineffective or “flawed” attempts of regulation of lobbying activities.
Keywords: lobbying, interest groups, lobbyist, pressure groups, lobbying regulation.
1. Introduzione
Quando si parla di lobbying, lobby e lobbisti è facile ritrovarsi in un dibat-
tito pubblico inquinato da pregiudizi, incomprensioni reali e confusioni
strumentali sugli stessi concetti alla base di tale dibattito.
Lo scopo del presente saggio, pertanto, è quello di richiamare al-
cune definizioni dei concetti in questione, provando ad affrontare – e a
dipanare, per quanto possibile – i diversi nodi e problemi teorici legati
al lessico del mondo del lobbying, nodi che hanno un impatto diretto
sia sull’analisi empirica di questo oggetto di studio, sia sul disegno (e
sull’analisi) dei quadri regolatori emersi negli anni in diversi ordinamenti
giuridici (trattati più dettagliatamente dai diversi contributi di questo nu-
mero speciale).
Trattandosi di un saggio definitorio e “trasversale” rispetto ai diversi
quadri regolatori, la prospettiva adottata è precipuamente quella della
scienza politica, orientata quindi all’analisi empirica di ciò che il lobbying
è, al di là di ciò che esso “dovrebbe essere” nella visione dei legislatori e
dei regolatori che di questo si sono occupati nei vari ordinamenti.
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Fatta questa doverosa premessa metodologica, il saggio è articolato
nel modo seguente: il paragrafo 2 chiarisce le differenze (e le sovrappo-
sizioni) tra i concetti di lobby, gruppo di interesse e gruppo di pressione,
richiamando anche diverse categorizzazioni esistenti nella letteratura re-
lative ai differenti tipi di gruppo; il paragrafo 3 delinea la figura del lobbi-
sta come professionista del lobbying, evidenziando come l’origine di molti
problemi regolatori sia da attribuire proprio a una imprecisa definizione di
tale figura; il paragrafo 4 affronta, quindi, la questione di cosa si intenda
per attività di lobbying, delle diverse possibili strategie di lobbying, e delle
competenze coinvolte in tali attività. Nelle conclusioni, infine, si prova a
chiarire in che senso il dibattito sul lobbying sia spesso vittima di pregiu-
dizi, incomprensioni reali e confusioni strumentali, sottolineando alcuni
limiti generali di molti tentativi di regolazione di questo settore.
2. Lobby, gruppi di interesse e gruppi di pressione
Quando un gruppo di individui o di organizzazioni condivide un inte-
resse, una visione del mondo, e in generale delle rivendicazioni rispetto a
una qualsiasi politica pubblica, siamo di fronte a un gruppo di interesse.
Nella letteratura politologica, si è soliti distinguere due possibili ap-
procci (e quindi due diverse definizioni) legati alla concezione di che cosa
effettivamente sia un gruppo di interesse: l’approccio comportamentale e
l’approccio organizzativo. Secondo il cosiddetto “approccio comportamen-
tale”, può essere definito gruppo di interesse qualsiasi gruppo cerchi di
influenzare un processo di policymaking, senza tuttavia ambire a occu-
pare in prima persona la posizione dei policymaker1. La tesi dell’approccio
comportamentale è che si è un gruppo di interesse se si intraprendono
azioni (comportamenti) tese a influenzare in modo organizzato2 un pro-
cesso di policy. D’altro canto, secondo il cosiddetto “approccio organiz-
zativo”, per essere un gruppo di interesse (anche qui, teso a influenzare i
1 Qualora si ambisse direttamente alle cariche elettive, infatti, avremmo a che fare con un
partito, e non con un gruppo di interesse (G. Sartori, Parties and Party Systems: A Framework
for Analysis, Cambridge, 1976). Anche se storicamente vi sono casi di partiti che nascono
come gruppi di interesse, per esempio i single-issue parties, e anche se occasionalmente i
gruppi di interesse riescono ad avere dei propri rappresentanti all’interno di liste di partito,
la differenza funzionale tra le due categorie è netta. Vedi J. Beyers, R. Eising, W. Maloney,
Researching Interest Group Politics in Europe and Elsewhere: Much We Study, Little We Know?, in
31 West European Politics 6, 1103-1128 (2008).
2 È opportuna la specificazione sul modo organizzato perché utile a distinguere concettual-
mente il gruppo di interesse dal movimento sociale, inteso come attore politico più fluido e
disorganizzato.
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Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
processi di policymaking senza voler occupare in prima persona le cariche
pubbliche) si deve essere in presenza di un’organizzazione formale basata
sulla rappresentanza degli interessi dei propri membri e a cui si aderisce
tipicamente in modo volontario (il punto focale di questo secondo ap-
proccio è, appunto, l’organizzazione della membership)3. Esempi di gruppi
di interesse, secondo l’approccio organizzativo, possono essere associa-
zioni imprenditoriali, sindacati, associazioni di categoria, organizzazioni
del Terzo Settore, federazioni di altri gruppi di interesse, ecc. Esempi di
gruppi di interesse, secondo l’approccio comportamentale, possono invece
essere non solo associazioni basate sulla rappresentanza dei propri mem-
bri, ma anche singole aziende (pubbliche e private), università e centri di
ricerca, istituzioni pubbliche, finanche singoli individui. Si tratta di due
approcci concorrenti e diversi, usati ambedue in innumerevoli ricerche
empiriche. Nonostante una certa preferenza di chi scrive per l’approccio
comportamentale, possiamo affermare, come fa Pritoni4, che ha senso
scegliere l’approccio migliore in base alle domande di ricerca che si affron-
tano in ogni singolo caso, con l’approccio organizzativo più congeniale
a domande di ricerca basate sulla mobilitazione e sull’azione collettiva
dei membri di determinati gruppi, e con l’approccio comportamentale più
congeniale a domande di ricerca basate sui processi di influenza verso i
decisori pubblici.
È utile ricordare che se il concetto di interesse si riferisce in generale
alla propensione (individuale o collettiva) a perseguire il proprio utile,
materiale o immateriale, oggettivamente definito o soggettivamente in-
teso5, i diversi tipi di interessi perseguiti dai gruppi sono stati usati da
vari studiosi per catalogare e differenziare i gruppi stessi6. C’è chi, come
Schattschneider, parla di gruppi di interesse pubblico e gruppi di inte-
resse speciale7; altri puntualizzano la differenza tra interessi economici
3 A.W. Chalmers, A. Puglisi, O. Van Den Broek, Interest Groups, in P. Harris et al. (eds.), The
Palgrave Encyclopedia of Interest Groups, Lobbying and Public Affairs, doi.org/10.1007/978-3-
030-13895-0_44-2 (2020).
4 A. Pritoni, Politica e interessi. Il lobbying nelle democrazie contemporanee, Bologna, 2021, 27-28.
5 A. Bitonti, Un’analisi semantica e teoretica del concetto di interesse, in A. Campi, S. De Luca
(cur.), Il realismo politico. Figure, concetti, prospettive di ricerca, Soveria Mannelli, 2014, 669-696.
6 G. Jordan, D. Halpin, W. Maloney, Defining Interests: Disambiguation and the Need for New
Distinctions?, in 6 The British Journal of Politics and International Relations, 2, 195-212 (2004);
A.S. Binderkrantz, Interest Groups in the Media: Bias and Diversity Over Time, in 51 European
Journal of Political Research, 1, 117-139 (2012); A.W. Chalmers, A. Puglisi, O. Van Den Broek,
Interest Groups, cit.
7 E.E. Schattschneider, The Semi-sovereign People: A Realist’s View of Democracy in America,
New York, 1960; J.M. Berry, Lobbying for the People: The Political Behavior of Public Interest
Groups, Princeton, 1977.
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e interessi “valoriali” o “promozionali” legati a cause di natura ideale.
Tuttavia, è opinione di chi scrive che distinguere un interesse economico
da un interesse ideale, così come distinguere un interesse particolare da
ciò che si è soliti definire “interesse pubblico”, sia un’operazione molto
più ardua e filosoficamente problematica di quanto non si creda comune-
mente, legata ab imis alla coesistenza di diverse concezioni di che cosa sia
l’interesse pubblico8. A ogni modo, al fine di studiare le dinamiche e le
variabili legate all’influenza dei diversi gruppi sui processi di policyma-
king, la maggior parte dei politologi è solita oggi distinguere (sebbene con
alcune differenze, relative alla strutturazione delle varie categorie) gruppi
imprenditoriali, associazioni professionali e occupazionali, gruppi di in-
teresse pubblico (come associazioni di consumatori o umanitarie), gruppi
basati su identità o hobby, sindacati, gruppi istituzionali, aziende, fon-
dazioni di ricerca e think tank, gruppi religiosi, ecc.9. Vi sono, insomma,
diverse tassonomie usate dalla ricerca empirica (ma anche dalla maggior
parte dei quadri regolatori, per esempio nella formulazione delle catego-
rie inserite nei vari registri della trasparenza) per “incasellare” i singoli
gruppi in diversi tipi di organizzazioni e interessi.
Se il termine “gruppo di interesse” evidenzia l’idea dell’interesse
alla base dellesistenza del gruppo stesso10, vi sono altre etichette relative
allo stesso concetto, che pongono invece l’accento su aspetti diversi. Tra
le principali è necessario annoverare il termine “gruppo di pressione” e la
parola inglese “lobby”. Entrambe le locuzioni si concentrano sull’azione
stessa portata avanti dai gruppi che cercano di influenzare un processo di
policymaking, attraverso la pressione (o tentata influenza) verso i decisori
pubblici, tipicamente nel luogo “simbolo” di tale azione, la lobby, cioè
l’anticamera antistante alla sala del potere vero e proprio (per esempio
quella in cui si riunisce un’assemblea elettiva, e per metonimia qualsiasi
luogo in cui vengono prese decisioni pubbliche). Sul piano etimologico,
il termine “lobby” in origine deriva effettivamente proprio dalla lobby di
Westminster (sede del Parlamento britannico), o, nella versione americana
della storia, dalla lobby del Willard Hotel di Washington D.C., luoghi ti-
pici dell’interazione tra i lobbisti dei vari gruppi di interesse e i decisori
8 A. Bitonti, W here It All Starts: Lobbying, Democracy and the Public Interest, in 20 Journal of
Public Affairs, 2, 2001 (2020).
9 F.R. Baumgartner et al., Lobbying and Policy Change: Who Wins, Who Loses, and Why, Chi-
cago (IL), 2009; A.W. Chalmers, A. Puglisi, O. Van Den Broek, Interest Groups, cit.; A. Pritoni,
Politica e interessi, cit.
10 A.F. Bentley, The Process of Government. A Study of Social Pressures, Chicago, 1908.
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Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
pubblici da almeno due secoli11. Tuttavia, con il passare del tempo, il ter-
mine “lobby” ha iniziato a indicare non solo il luogo tipico dell’azione
dei gruppi o l’azione in sé (che ritroviamo nell’espressione italiana “fare
lobby12), ma i gruppi di interesse stessi (per cui si parla di “lobby del ta-
bacco”, “lobby dei notai”, “lobby ambientalista”, ecc.). Per questo, di fatto,
oggi i tre termini “gruppi di interesse”, “gruppi di pressione” e “lobby”
vengono nella maggior parte dei casi usati intercambiabilmente come si-
nonimi13, nonostante le diverse connotazioni di cui si è detto. Tuttavia,
diversi studiosi tendono a sottolineare una più precisa distinzione tra
gruppi di interesse e gruppi di pressione, secondo la quale i secondi sono
concettualmente un sottoinsieme dei primi, riferendosi specificamente ai
gruppi di interesse che si attivano come organizzazioni formali in effet-
tive attività di lobbying14.
Sempre sul piano lessicale, si può infine notare come, in alcuni casi,
soprattutto nel dibattito pubblico, si usino determinate etichette più al fine
di connotare positivamente o negativamente i gruppi di cui si parla che in
funzione di differenze “ontologiche” tra gruppi diversi. È così che, anche
davanti al medesimo gruppo, si userà il termine “lobby” solitamente in
chiave denigratoria15, e le espressioni “organizzazione della società civile”
o “gruppo di advocacy” per tratteggiare con sfumature più positive il sog-
getto in questione.
Se, in generale, in ogni campo di policy è possibile individuare di-
versi gruppi di interesse (o lobby, o gruppi di pressione), che più o meno
contrapponendosi gli uni agli altri portano avanti rivendicazioni diverse,
gli studiosi affrontano tale scenario con domande di ricerca differenti. Gli
scienziati politici, per esempio, per lungo tempo si sono interrogati sulla
configurazione generale del sistema degli interessi in un determinato si-
11 C. McGrath, The Evolution of Lobbying, in P. Harris et al. (eds.), The Palgrave Encyclopedia
of Interest Groups, Lobbying and Public Affairs, 2020, doi.org/10.1007/978-3-030-13895-0_19-1.
12 Per una maggiore chiarezza di linguaggio, sarebbe in effetti più utile riferirsi all’azione
della tentata influenza con il termine “lobbying” (di cui si parlerà più nel dettaglio nella se-
zione 4), e riservare il termine “lobby” per riferirsi al soggetto di tale azione, cioè al gruppo.
13 In generale il termine “gruppi di pressione” ha trovato maggiori riscontri nella letteratura
britannica e in parte della letteratura italiana, mentre gli studiosi americani e dell’Europa
continentale sembrano prediligere la locuzione “gruppo di interesse. La locuzione “lobby”,
invece, non trova particolare successo nella letteratura scientifica, forse proprio in virtù
dell’uso molto (negativamente) connotato che se ne fa nel linguaggio comune.
14 G. Pasquino, Gruppi di pressione, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (cur.), Dizionario
di politica, Torino, 1983, 497-505; P.L. Petrillo, Democrazie sotto pressione. Parlamenti e lobby nel
diritto pubblico comparato, Milano, 2011.
15 M. Mazzoni, Il coverage della parola lobby nei giornali italiani. Una spiegazione alle difficoltà di
radicamento della cultura delle lobbies, in Problemi dell’informazione, XXXVIII, 1, 2013, 102-122.
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stema politico, riflettendo sui caratteri pluralisti o corporativisti di tali
sistemi, e sui concetti stessi di influenza, accesso e potere16. Dopo aver
rinunciato all’ambizione di costruire macroteorie, nelle ultime decadi si
è passati a studiare in che modo e con quale grado di successo i diversi
gruppi influenzino i processi decisionali, con analisi a livello micro (sin-
goli processi decisionali) e meso (singole aree di policy)17. I giuristi, d’altra
parte, hanno affrontato il tema da una prospettiva diversa, riguardante le
regole di tale “gioco dell’influenza”, l’inquadramento costituzionale delle
attività dei gruppi di interesse nei vari ordinamenti, e la connessione tra le
diverse norme riguardanti le attività di lobbying e il funzionamento stesso
delle istituzioni nei sistemi democratici18.
3. Professione lobbista
Tra le norme riguardanti l’attività dei gruppi di interesse, quelle
relative alla figura del lobbista sono solitamente quelle che godono di
maggiore attenzione, e anche quelle potenzialmente più problematiche.
Pertanto, è utile qui provare innanzitutto a rispondere alla domanda: chi
è e che cosa fa un lobbista?
Il lobbista è un professionista che opera per conto di un gruppo di
interesse (intendendo quest’ultimo concetto secondo l’approccio compor-
tamentale, quindi si potrebbe trattare di un’associazione di categoria, di
un’impresa, di un sindacato, di un’organizzazione del Terzo Settore, di
una coalizione di altri gruppi, ecc.; vedi sezione precedente), e che mette
in campo una qualsiasi attività di lobbying.
È possibile declinare tale descrizione generale secondo diverse de-
finizioni più precise, alcune più restrittive ed escludenti, altre di carattere
più largo e includente.
16 D.B. Truman, The Governmental Process: Political Interests and Public Opinion, New York,
1951; E.E. Schattschneider, The Semi-sovereign People, cit.; P. Bachrach, M.S. Baratz, Two Faces
of Power, in 56 The American Political Science Review, 4, 947-952 (1962); R.A. Dahl, Polyar-
chy: Participation and Opposition, New Haven (CT), 1971; P.C. Schmitter, Still the Century of
Corporatism?, in 36 The Review of Politics, 1, 85-131 (1974); J. Beyers, R. Eising, W. Maloney,
Researching Interest Group Politics in Europe and Elsewhere, cit.; J. Beyers, Inf luence, in P. Har-
ris et al. (eds.), The Palgrave Encyclopedia of Interest Groups, Lobbying and Public Affairs, doi.
org/10.1007/978-3-030-13895-0_43-1 (2020); C. Mariotti, Elite Theory, in P. Harris et al. (eds.),
The Palgrave Encyclopedia of Interest Groups, Lobbying and Public Affairs, doi.org/10.1007/978-
3-030-13895-0_67-1 (2020).
17 F.R. Baumgartner et al., Lobbying and Policy Change, cit.; A. Pritoni, Politica e interessi, cit.
18 P.L. Petrillo, Democrazie sotto pressione, cit.
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Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
Al fine di determinare chi sia un lobbista e chi no, le definizioni
più restrittive della figura del lobbista (richiamate anche da alcuni quadri
regolatori) sembrano riferirsi esclusivamente alle attività, portate avanti
dietro un compenso, di lobbying diretto, ovvero quelle legate al contatto
diretto (e tendenzialmente reiterato) con i decisori pubblici. A tali defi-
nizioni restrittive si ispirano coloro che, ad esempio, propongono rego-
lazioni del settore nella forma di albi professionali o registri “abilitanti”
allo svolgimento della professione19. Tuttavia, l’adozione di questa visione
ristretta presenta numerosi problemi di natura pratica che finiscono con
l’inficiare la stessa chiarezza del concetto, oltreché l’applicabilità (e la cer-
tezza) di norme ispirate a tale visione. Per fare qualche esempio, incom-
prensioni e interpretazioni “di comodo” si registrano nel momento in cui
un professionista non abbia incontri diretti (nel senso di fisici) ufficiali
con i decisori pubblici ma interazioni tramite altri canali (per esempio
digitali), oppure quando ciò avvenga all’interno di contesti non ufficiali o
semiufficiali; nel momento in cui un professionista supporti dei terzi nella
loro attività di lobbying, senza necessariamente avere contatti diretti con
i decisori pubblici; oppure nel momento in cui un individuo porti avanti
un’azione di lobbying in modo volontario e non retribuito. In queste e in
altre fattispecie si annidano innumerevoli scappatoie (loopholes), spesso
denunciate dagli esperti in relazione a legislazioni sul lobbying pur con-
siderate solitamente restrittive, come ad esempio quella statunitense20.
Per questo, più di una ragione sembrerebbe spingere verso defini-
zioni più allargate e includenti rispetto a chi possa essere qualificato come
lobbista, anche considerando l’usuale inquadramento costituzionale delle
attività di lobbying sotto l’egida dei diritti di libertà di espressione e di
petizione (in senso lato) verso le autorità politiche (inquadramento che
renderebbe complicato in punta di diritto, oltre che per motivi pratici,
qualsiasi approccio restrittivo rispetto all’esercizio di tale attività). È pos-
sibile, di conseguenza, riprendere la definizione proposta in un articolo
del 2009 da Thomas e Hrebenar, i quali definiscono il lobbista
una persona designata da un gruppo di interesse a facilitare le azioni
di influenza delle politiche pubbliche a favore di quel gruppo, attra-
19 R. Chari et al., Regulating Lobbying: A Global Comparison), Manchester, 2019; A. Bitonti,
J. Hogan, Lobbying Regulation, in P. Harris et al. (eds.), The Palgrave Encyclopedia of Interest
Groups, Lobbying and Public Affairs, 2021, doi.org/10.1007/978-3-030-13895-0_105-1.
20 H.F. Thomas, T.M. Lapira, How Many Lobbyists Are in Washington? Shadow Lobbying and
the Gray Market for Policy Advocacy, in 6 Interest Groups & Advocacy, 3, 199-214 (2017); Chari
et al., Regulating Lobbying, cit.; OECD, Lobbying in the 21st Century. Transparency, Integrity and
Access, Paris, 2021.
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verso uno o più dei seguenti modi: 1) avendo contatti diretti con i
decisori pubblici; 2) monitorando le attività politiche e di governo; 3)
consigliando in merito a strategie e tattiche politiche; e 4) elaborando
e orchestrando l’azione di lobbying del gruppo stesso21.
Tale definizione allarga volontariamente il suo sguardo a un insieme
di soggetti che, di fatto, svolgono attività di lobbying, secondo modalità
che vanno spesso al di là del lobbying diretto, come si cerca di spiegare
più approfonditamente nel paragrafo 4. Adottando ancora una volta un
approccio comportamentale, possiamo in breve dire che un lobbista è tale
proprio in virtù delle attività di lobbying che svolge, e non in virtù di un
qualche requisito formale o di qualche titolo “autorizzativo” rilasciato da
qualsivoglia autorità.
Di fronte a una definizione funzionale e oggettiva (basata appunto
sull’oggetto dell’attività, e non sulla qualità del soggetto) come quella
proposta, anche la questione dell’autopercezione di un soggetto stesso
diventa naturalmente secondaria. Si può essere insomma lobbisti ancor-
ché non si sia disposti ad ammettere di esserlo, come in effetti avviene in
molti casi.
In questo senso, è possibile affermare che la figura del lobbista (in-
teso appunto nella sua funzione di chi tenta di influenzare una decisione
pubblica a vantaggio di un qualche gruppo di interesse) nasca nel mo-
mento stesso in cui nasce il potere politico22, nonostante abbia nel tempo
assunto denominazioni diverse. In effetti, con poche eccezioni, la maggior
parte dei lobbisti (soprattutto nel contesto europeo) prova ancora oggi un
certo disagio ad adottare l’etichetta di “lobbista” (ciò si spiega natural-
mente tenendo in considerazione i fattori culturali legati alle connotazioni
negative del termine “lobby” di cui si è detto prima), preferendo espres-
sioni alternative come “consulente politico”, “professionista delle relazioni
istituzionali/dei government affairs/dei public affairs” o “rappresentante di
interessi”. Come si è detto, le etichette perdono tuttavia di importanza,
21 «A person designated by an interest group to facilitate influencing public policy in that
group’s favor by performing one or more of the following for the group: (1) directly contacting
public officials; (2) monitoring political and governmental activity; (3) advising on political
strategies and tactics; and (4) developing and orchestrating the group’s lobbying effort». C.S.
Thomas, R.J. Hrebenar, Comparing Lobbying across Lberal Democracies: Problems, Approaches
and Initial Findings, in 2 Journal of Comparative Politics, 1, 135 (2009). Vedi anche C.S. Thomas,
R.J. Hrebenar, Lobbyist, in P. Harris et al. (eds.), The Palgrave Encyclopedia of Interest Groups,
Lobbying and Public Affairs, 2020, doi.org/10.1007/978-3-030-13895-0_82-1.
22 A.S. Binderkrantz, A. Bitonti, Lobbying, in P. Harris et al. (eds.), The Palgrave Encyclopedia of
Interest Groups, Lobbying and Public Affairs, 2021, doi.org/10.1007/978-3-030-13895-0_115-1.
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Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
da un punto di vista sostanziale, nel momento in cui si dispone di una
definizione chiara.
Sempre sul piano delle etichette, è opportuno richiamare un’altra
distinzione, utile a livello “fenomenologico” più che sostanziale. Tale di-
stinzione è quella tra i lobbisti che lavorano per una sola organizzazione,
che vengono definiti in-house, e coloro che lavorano come consulenti o
all’interno di agenzie specializzate nella rappresentanza di interessi, che
solitamente svolgono una funzione di consulenza per una molteplicità
di gruppi di interesse, clienti del singolo professionista o dell’agenzia in
questione. Nonostante nel dibattito pubblico l’attenzione “mediatica” si
concentri spesso su questi ultimi (lobbisti d’agenzia o consultants), sono in
realtà i primi a essere più numerosi, e a rappresentare la maggiore “fetta”
professionale nel campo del lobbying (alcune stime parlano di un rap-
porto di un lobbista consulente per ogni almeno quattro lobbisti in-house).
È evidente, quindi, che coloro (regolatori in primis) che si concen-
trano – come fa, ad esempio, il legislatore del Regno Unito – sui lobbisti
consulenti, stiano guardando al settore del lobbying in modo del tutto
parziale e assai limitato23.
Se il fare lobbying è ciò che qualifica un lobbista come tale, rendendo
le domande sul chi è e che cosa fa tale professionista indissolubilmente
legate, è opportuno svolgere una panoramica sul ventaglio delle attività
che è possibile ricondurre alla categoria di lobbying, chiarendo gli stessi
contorni concettuali della parola.
4. L’attività di lobbying
Il lemma “lobbying” è la semplice verbizzazione del termine “lobby”, per
cui l’inglese “to lobby” diventa in italiano “fare lobbying” o “portare avanti
azioni di lobbying”. Il concetto di lobbying si riferisce quindi alle concrete
azioni di pressione intraprese da una lobby (gruppo di interesse/di pres-
sione) per cercare di influenzare un processo di policymaking a proprio
favore (qualsiasi sia l’interesse in questione). Ciò avviene solitamente per
il tramite dei propri lobbisti (vedi paragrafo precedente), ma non solo: di
frequente tali attività vengono portate avanti dagli stessi vertici delle varie
organizzazioni (che solitamente svolgono in via principale altre attività:
23 C. McGrath, United Kingdom, in A. Bitonti, P. Harris (eds.), Lobbying in Europe. Public Affairs
and the Lobbying Industry in 28 EU Countries, London, 2017, 333-349; A.M. McKay, A. Woz-
niak, Opaque: An Empirical Evaluation of Lobbying Transparency in the UK, in 9 Interest Groups
& Advocacy, 1, 102-118 (2020).
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per esempio il presidente di un’associazione, l’amministratrice delegata di
un’impresa, il segretario confederale di un sindacato, la presidente di una
Regione), di solito con il supporto dei lobbisti che si occupano di seguire
determinati dossier a tempo pieno o su base più continuativa.
La “pressione” ricercata da un’azione di lobbying può essere eser-
citata in una molteplicità di modi (leciti, la corruzione è esclusa ex defini-
tione) e attraverso innumerevoli canali, vale a dire tutti quelli che in un
modo o nell’altro portano i decisori pubblici ad adottare (e implementare)
una certa decisione24. È importante precisare che tali attività possono
svolgersi lungo tutto l’arco del ciclo di policy25, quindi sia durante la fase
di agenda-setting (nella quale determinati temi, per le più svariate dinami-
che, entrano nel campo dei temi di cui i decisori pubblici vogliono effet-
tivamente occuparsi)26, sia durante la fase di discussione e formulazione
delle varie opzioni in campo (compresa la cosiddetta “opzione zero, cioè
il mantenimento dello status quo), che durante la fase di implementazione
e valutazione delle decisioni adottate. Sempre più importante, infatti,
appare il lobbying riguardante l’attuazione delle decisioni27, un dominio
grandemente sottovalutato in termini di attenzione rispetto al lobbying
legislativo tipico delle arene parlamentari.
È possibile, in generale, richiamare la distinzione tra attività di
lobbying diretto, in cui si cerca di convincere i decisori pubblici del proprio
punto di vista “parlandoci” direttamente, e attività di lobbying indiretto,
in cui la pressione è esercitata appunto indirettamente, attraverso il coin-
volgimento dell’opinione pubblica e di altri attori, per esempio attraverso
la mobilitazione dei cittadini o dei membri del gruppo in questione in
manifestazioni pubbliche e altre azioni collettive (grassroots lobbying), at-
traverso il dibattito mediatico (media lobbying), o attraverso altre strategie
che mirano a influenzare in generale l’orientamento dei decisori pubblici.
La letteratura politologica è solita, a tal proposito, sottolineare la dif-
ferenza tra strategie di inside lobbying e outside lobbying28, una differenza
concettualmente sovrapponibile perlopiù a quella tra lobbying diretto e
24 A.S. Binderkrantz, A. Bitonti, Lobbying, cit.
25 G. Capano, A. Pritoni, Policy Cycle, in P. Harris et al. (eds.), The Palgrave Encyclopedia of
Interest Groups, Lobbying and Public Affairs, 2020, doi.org/10.1007/978-3-030-13895-0_69-1.
26 P. Bachrach, M.S. Baratz, Two Faces of Power, cit.
27 H.Y. You, Ex Post Lobbying, in 79 The Journal of Politics, 4, 1162-1176 (2017).
28 K. Kollman, Outside Lobbying. Public Opinion and Interest Group Strategies, Princeton (NJ),
1998; F. Weiler, M. Brändli, Inside versus Outside Lobbying: How the Institutional Framework
Shapes the Lobbying Behaviour of Interest Groups, in 54 European Journal of Political Research,
4, 745-766 (2015); W.M. Junk, Two Logics of NGO Advocacy: Understanding Inside and Outside
Lobbying on EU Environmental Policies, in 23 Journal of European Public Policy, 2, 236-254 (2016).
473
Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
indiretto. In realtà, le etichette inside e outside presuppongono una dif-
ferenza di status tra coloro che scelgono tali diverse strategie – lo status
di insider o di outsider – che potrebbe a volte risultare fuorviante. Infatti,
come evidenziato dalla ricerca empirica, i vari gruppi possono scegliere
strategie di lobbying diretto o indiretto sia che siano insider sia che siano
outsider del sistema decisionale, in base a una varietà di fattori, legati per
esempio alla salienza pubblica della singola issue in questione o alla sua
complessità tecnica29. Inoltre, un gruppo potrà risultare insider in una certa
area di policy e outsider in un’altra, oppure godere di una posizione mi-
gliore all’interno di una determinata arena (per esempio quella mediatica)
e peggiore in un’altra (per esempio quella parlamentare o burocratica).
La chiave qui è il concetto di accesso, già illustrato dalle prime se-
minali riflessioni su questo tema30, un concetto dibattuto da innumerevoli
ricerche teoriche ed empiriche che mirano a comprendere i diversi gradi
di accesso dei vari gruppi al sistema politico, all’apparato burocratico e al
sistema mediale31. Ciò che effettivamente emerge dalla ricerca empirica
è che alcuni gruppi godono di fatto di un accesso privilegiato alle diverse
arene (con differenze sistemiche tra paesi a configurazione più pluralista
e paesi a configurazione più neocorporativa), in virtù di molteplici fat-
tori legati alla cosiddetta teoria dello scambio32, secondo la quale i diversi
gruppi di interesse ottengono maggiori o minori livelli di accesso in vir
di alcuni beni che i gruppi stessi forniscono, quali specifiche informazioni
o expertise tecniche (importanti per la qualità della discussione o della
decisione), il consenso di particolari categorie sociali e professionali (im-
portante per la legittimazione sostanziale della decisione stessa sul piano
della rappresentanza), o una certa “notiziabilità” (nel caso dell’accesso
all’arena mediatica).
Sempre in relazione all’accesso, è importante fare riferimento al
tema del finanziamento elettorale e politico, poiché, naturalmente, pro-
prio attraverso il fundraising è possibile in molti sistemi (soprattutto in
paesi basati sul finanziamento privato della politica) acquisire maggiori
29 A. Pritoni, Politica e interessi, cit.
30 D.B. Truman, The Governmental Process, cit.
31 A.S. Binderkrantz, Interest Group Strategies: Navigating between Privileged Access and Strate-
gies of Pressure, in 53 Political Studies, 4, 694-715 (2005); A.S. Binderkrantz, P.M. Christian-
sen, H.H. Pedersen, Interest Group Access to the Bureaucracy, Parliament, and the Media, in 28
Governance, 1, 95-112 (2015); A.S. Binderkrantz, H.H. Pedersen, J. Beyers, What Is Access? A
Discussion of the Definition and Measurement of Interest Group Access, in 16 European Political
Science, 3, 306-321 (2017).
32 P. Bouwen, Exchanging Access Goods for Access: A Comparative Study of Business Lobbying in
the European Union Institutions, in 43 European Journal of Political Research, 3, 337-369 (2004).
Alberto Bitonti
474
gradi di accesso ai decisori politici (ma non necessariamente maggiori
gradi di successo in termini di policy, anche se si tratta di una questione
controversa).
Oltre all’acquisizione o all’uso efficace dell’accesso alle arene decisio-
nali e a quella mediatica (a proposito del quale si parla talvolta di lobbying
relazionale, e in generale di public affairs, riferendosi all’aspetto reputazio-
nale che coinvolge ogni organizzazione nel proprio rapporto con i suoi di-
versi interlocutori, o stakeholder), in una qualsiasi campagna di lobbying
è altresì fondamentale la formulazione del “contenuto” della posizione
sostenuta a livello di policy. In termini cognitivi e di comunicazione tale
aspetto prende il nome di framing (“incorniciamento”), vale a dire la scelta
di una certa prospettiva nel presentare la issue in questione, gli aspetti
problematici, la propria posizione in merito, la valutazione etica che si dà
di sé e degli altri gruppi coinvolti, enfatizzando strategicamente alcuni
aspetti e tralasciandone altri33. In questo senso si comprende appieno una
delle “classiche” definizioni di lobbying, che, sottolineando l’aspetto co-
gnitivo sottostante a ogni decisione (e a ogni tentativo di influenza di
una decisione), ricorda come «un processo di lobbying sia totalmente un
processo di comunicazione»34.
Dalla capacità di scegliere il giusto frame per la propria posizione di
policy discende in parte anche la possibilità di costruire delle coalizioni
di interessi “alleati” su tale policy: proprio il tema delle coalizioni è d’altra
parte oggetto di interesse crescente negli studi sui gruppi di interesse35.
In ultimo luogo, quado si parla di strategie e tecniche di lobbying,
vale la pena menzionare il ruolo crescente che la tecnologia digitale è in
grado di esercitare nel trasformare il modo in cui le diverse attività di una
campagna di lobbying possono essere svolte, per esempio sfruttando le
potenzialità dell’intelligenza artificiale e delle piattaforme di gestione dei
dati36.
È in questa prospettiva generale, riferita alla molteplicità delle possi-
bili strategie di lobbying, che si comprende come, sul piano delle compe-
33 D. Kahneman, A. Tversky, Choices, Values, and Frames, in 39 American Psychologist, 4, 341–
350 (1984); R.M. Entman, Framing: Toward Clarification of a Fractured Paradigm, in 43 Journal
of Communication, 4, 51-58 (1993); I. De Bruycker, Framing and Advocacy: A Research Agenda
for Interest Group Studies, in 24 Journal of European Public Policy, 5, 775-787 (2017).
34 L.W. Milbrath, The Washington Lobbyists, Chicago, 1963, 184-185.
35 W.M. Junk, Synergies in Lobbying? Conceptualising and Measuring Lobbying Coalitions to
Study Interest Group Strategies, Access, and Influence, in 9 Interest Groups & Advocacy, 1, 21-37
(2020); A. Pritoni, Policy Cycle, cit.
36 M. Carro, C. Di Mario, Digital lobbying. Gestire strategicamente le relazioni istituzionali attra-
verso smart data e strumenti digitali, Roma, 2021.
475
Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
tenze professionali, le attività di lobbying richiedano una grande quantità
di abilità e conoscenze diverse, legate alla comprensione dei sistemi de-
cisionali nel loro complesso, e alla capacità di risultare più efficaci nei
processi di tentata influenza verso quelle stesse decisioni. Questo significa
conoscenze sul piano del diritto (dei quadri costituzionali, di procedure, di
processi legislativi, di drafting, ecc.), sul piano delle dinamiche politiche e
sociali (legate alla comprensione del sistema dei partiti e degli altri attori,
pubblici e privati, rilevanti per le singole questioni), sul piano della comu-
nicazione (nella comprensione del sistema mediale e delle tecniche più
appropriate per formulare i giusti messaggi diretti ai vari interlocutori), sul
piano tecnico-scientifico (a partire dalla capacità di leggere correttamente
dati e usare la tecnologia, per arrivare alla padronanza delle singole mate-
rie oggetto di discussione), e infine sul piano psicologico, importante per
comprendere gli aspetti più eminentemente umani rilevanti nei diversi
processi decisionali.
5. Conclusioni
Come si intuisce facilmente da quanto detto fin qui, la presenza di lobby,
lobbying e lobbisti è semplicemente un fatto, collaterale da sempre al po-
tere politico stesso, iniziato nel momento in cui qualcuno ha cercato di
influenzare una decisione pubblica (una legge, un decreto, qualsiasi atto
di rilevanza politica in senso lato) in proprio favore. Nel momento in cui
si intenda studiare empiricamente tale “fatto” (con finalità di analisi), e
magari provare a “incanalarlo” alla luce di determinate finalità (come in-
tende fare ogni regolazione), è fondamentale comprendere più approfon-
ditamente tale realtà, basandosi su un lessico chiaro e condiviso, e su un
quadro concettuale scevro da distorsioni e confusioni. Sfortunatamente,
queste condizioni spesso mancano nel dibattito pubblico di molti paesi,
inclusi quelli che sul lobbying (e sulla regolazione dello stesso) hanno una
più lunga tradizione.
I pregiudizi, le incomprensioni reali e le confusioni strumentali a
cui si faceva riferimento all’inizio dovrebbero, alla luce delle definizioni
fornite, apparire più chiari. Un tipico pregiudizio è che la lobby sia solo
quella degli altri”, quando invece ogni processo decisionale vede attivarsi
una molteplicità di gruppi diversi, che legittimamente avanzano diffe-
renti rivendicazioni davanti ai decisori pubblici (i quali rimangono – è
bene ricordarlo – i detentori del potere della decisione stessa). Derivante
in parte da tale pregiudizio è l’incomprensione (spesso strumentale) che
Alberto Bitonti
476
porta a etichettare i lobbisti che lavorano per un gruppo avversario come
“lobbisti” e quelli che lavorano per il proprio gruppo (qualsiasi esso sia)
come “cittadini che difendono l’interesse pubblico” – il riferimento è a
una famosa battuta del presidente degli Stati Uniti Harry Truman del
1948, che legava tale distinzione proprio al fatto che qualcuno sostenesse
il suo programma politico o meno37. Usando definizioni chiare di che cosa
significhi fare lobbying e di che cosa sia una lobby o un lobbista, si toglie
spazio a tali visioni manichee e strumentali, usate frequentemente sul
piano retorico38, ma inaccettabili qualora si entri nel campo delle analisi
scientifiche o in quello delle norme giuridiche. Difatti, proprio di fronte
alle norme giuridiche sui lobbisti tali confusioni tendono a diventare stru-
mentali, per esempio nel momento in cui si sfruttano le debolezze con-
cettuali di alcuni quadri regolatori per ricercare speciali esenzioni (per sé
ovviamente) sostenendo che “i propri” non sono definibili lobbisti, o che
il proprio gruppo meriti un trattamento differente (privilegiato) rispetto
a tutti gli altri.
Tuttavia, è possibile individuare il fraintendimento più rilevante
proprio nel campo della regolazione del lobbying. Per comprendere in
definitiva che cosa “sia andato storto” a questo proposito, è possibile fare
riferimento a due nodi concettuali, riguardanti: 1) il piano della compren-
sività necessaria a una qualsiasi regolazione del lobbying, e 2) il piano
delle finalità poste alla base di tali regolazioni.
Per quanto riguarda il primo aspetto, in virtù di quanto detto sopra,
ha senso concepire (e analizzare) i diversi impianti regolatori sul lobbying
non guardando esclusivamente alla figura dei lobbisti e alle varie dispo-
sizioni legislative riguardanti tali professionisti, ma allargando la propria
visione a tutte quelle «regole, norme e inquadramenti (anche non legisla-
tivi) che mirano a dare forma al modo in cui le attività di lobbying si svol-
gono in uno specifico sistema politico, riguardanti un’ampia gamma di
domini relativi all’interazione tra decisori pubblici da una parte e gruppi
di interesse e lobbisti dallaltra»39. Si tratta, insomma, di ricondurre dispo-
sizioni talvolta concepite in modo «schizofrenico»40 sotto un’unica visione,
che concepisca l’oggetto da regolare in modo più sistemico, considerando
comprensivamente elementi diversi quali l’accesso (anche fisico) alle sedi
37 A. Bitonti, W here It All Starts, cit.
38 Ø. Ihlen, K. Raknes, Appeals to “the Public Interest”: How Public Relations and Lobbying Create
a Social License to Operate, in 46 Public Relations Review, 5, 101976 (2020).
39 A. Bitonti, C. Mariotti, Beyond Transparency. The Principles of Lobbying Regulation and the
Perspective of Professional Lobbying Consultancies, in Italian Political Science Review / Rivista
Italiana di Scienza Politica, 2022, doi.org/10.1017/ipo.2022.16.
40 P.L. Petrillo, Democrazie sotto pressione, cit.
477
Lobbying, lobby, lobbisti, gruppi di interesse e di pressione
decisionali, il finanziamento politico ed elettorale, i conflitti di interesse,
le procedure di consultazione dei vari portatori di interessi nei diversi
iter decisionali, le procedure di analisi di impatto della regolazione, i ta-
voli istituzionali di “concertazione” e di dialogo tra autorità pubbliche e
specifici gruppi di interesse, le legislative footprints (“impronte legislative”,
cioè brevi rendicontazioni pubbliche che spiegano il percorso svolto da
una decisione, per esempio in merito alle consultazioni svolte) relative alle
singole decisioni, l’agenda pubblica dei policymaker, e in generale tutte le
norme che producono un impatto significativo sull’interazione tra gruppi
di interesse e decisori pubblici41. Il nodo teorico (e il fraintendimento),
quindi, riguarda qui l’attenzione che alcuni pongono solo a una parte di
tali elementi (per esempio i singoli lobbisti, o i registri della trasparenza
riguardanti l’identità e le caratteristiche dei gruppi di interesse), senza
considerare le connessioni che sussistono con tutti gli altri.
Per quanto riguarda il secondo aspetto (le finalità della regolazione),
invece, è possibile evidenziare il limite di quelle impostazioni (regolato-
rie e analitiche) che riconducono il fine di ogni regolazione del lobbying
alla sola trasparenza delle attività di lobbying stesse (secondo il principio
della “luce del sole come miglior disinfettante”, espresso nel 1913 in una
famosa frase di quello che pochi anni dopo sarebbe diventato il giudice
della Corte suprema degli Stati Uniti Louis D. Brandeis). Infatti, vi sono
solide ragioni sostenute dagli stessi professionisti del settore per ritenere la
trasparenza solo uno dei principi rilevanti – e neanche il più importante –
in un quadro regolatorio sul lobbying42. Altrettanto (se non più) impor-
tanti, infatti, risultano l’accountability dei decisori pubblici da una parte,
e l’(equa) eguaglianza di possibilità di accesso e partecipazione dei diversi
gruppi ai processi di formazione delle politiche pubbliche dall’altra. Tali
diversi principi pongono l’accento sul modo in cui i decisori pubblici giu-
stificano pubblicamente e spiegano (o meno) le proprie scelte o le proprie
azioni, e sul modo in cui i processi decisionali stessi si dimostrano suf-
ficientemente aperti (o chiusi) verso la varietà dei gruppi che ambiscono
ad “avere voce” in tali processi. Dopotutto, è importante rilevare come,
seppure tra innumerevoli incomprensioni e pregiudizi, le preoccupazioni
che emergono nel dibattito pubblico sul lobbying abbiano spesso origine
non in una condanna dell’influenza verso i decisori pubblici in sé, ma nel
fatto che solo alcuni godano di una “sproporzionata” influenza, in modo
talvolta opaco e in assenza di una vera accountability dei decisori pubblici.
Affrontare tali nodi “di principio” permetterebbe di comprendere come la
41 A. Bitonti, J. Hogan, Lobbying Regulation, cit.
42 A. Bitonti, C. Mariotti, Beyond Transparency, cit.
Alberto Bitonti
478
più rilevante finalità di una regolazione sul lobbying non sia in effetti ren-
dere trasparenti le attività dei singoli lobbisti, ma permettere ai decisori
pubblici di prendere decisioni migliori.
Alberto Bitonti
Università della Svizzera italiana
Via Giuseppe Buffi, 13
6900 Lugano, Svizzera
alberto.bitonti@usi.ch
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Che cosa è l’interesse? Solitamente l’etimologia delle parole può rivelarci molto su di esse e sulle connotazioni che gravitano intorno ad un lemma. Ecco, non è questo il caso. ‘Interesse’, infatti, deriva dal latino inter esse (cioè essere tra), che di per sé non sembra rivelarci granché; se, come suggerisce Giacomo Devoto, deduciamo che stare in mezzo vuol dire essere importante, aggiungiamo un elemento ulteriore di riflessione, non decisivo ma utile. Occorre allora che alcuni ragionamenti e alcuni riferimenti storici ci illuminino sull’etimo e i significati di questa ambigua parola. L’interesse, infatti, è un elemento oltremodo importante nell’impianto concettuale del realismo politico, e fare luce sulla reale portata del concetto può aiutare a delineare meglio anche limiti e ambiguità dello stesso pensiero realista.
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Nonostante un processo decisionale sempre più frammentato e mutevole, che sembrerebbe vincolare i governi a rispondere velocemente (e, spesso, unilateralmente) alle sfide poste dalla quotidianità, la maggior parte delle politiche approvate nelle democrazie contemporanee registra il fattivo coinvolgimento dei gruppi di interesse, abili a premere sui decisori pubblici e, per il tramite di ciò, ottenere risultati di policy. Come si spiega questo (apparente) paradosso? E che effetti ha sul funzionamento della democrazia nel suo complesso? Il testo risponde a tali importanti quesiti attraverso la sistematica ricognizione della più recente letteratura sull’argomento – dai concetti fondamentali agli approcci teorici, dalle modalità del lobbying alle relazioni tra gruppi e partiti, dall’accesso alle sedi istituzionali all’influenza sul processo di policy – gettando nuova luce su un tema classico della riflessione politologica.
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An organization's social license to operate depends on how it acts according to social norms, engages with stakeholders, and meets some kind of public interest. As will be discussed, the notion of the public interest is complex. Still, our analysis focuses on the process whereby the notion is communicatively constructed through negotiations where public relations plays an important role. The paper analyzes 58 qualitative interviews with public relations practitioners and lobbyists. We unpack the rhetorical strategies they use when they talk about the public interest and its relation to their organization. The practitioners primarily refer to positive economic consequences created by their employer. Frequently, they conflate the core activity of their organization with the public interest. The theoretical contribution of the paper is in demonstrating the versatility and dynamic aspect of "the public interest" as a tool to create a social license to operate. Beyond the material topic of economy, the practitioners highlighted contributions in areas such as public health, democracy and the environment.
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How many lobbyists are in Washington, and how common is it for them to have worked in the federal government? We assume that high-profile cases like former Senator Tom Daschle - the namesake of the so-called Daschle loophole to the Lobbying Disclosure Act (LDA) in the USA - are not isolated. In this article, we systematically account for lobbying and policy advocacy in as large an empirical scope as possible to uncover the presence of 'shadow lobbyists.' Using a new data set of professional biographies of both registered lobbyists and unregistered policy advocates, we estimate that there are an equal number of paid professionals in a gray market for lobbying services. We also find that registered lobbyists are more likely to have previously worked in government and are more likely to specialize in legislative advocacy. Since policymaking at the American national level has increasingly shifted to federal agencies and to the states, our results indicate that the LDA and similar lobbying regulations may be becoming increasingly obsolete. The evidence we present indicates a growing divide between transparency laws and recent changes in the marketplace for policy advocacy.
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This article notes the systemic lack of conceptual clarity in the social sciences and attempts to illustrate the adverse consequences by closer examination of the particular example of the interest group field. It indicates the significant ambiguities implicit in the term. Not all policy-influencing organisations are interest groups as normally understood, but because there is a lack of an appropriate label the term interest group is used by default. The article seeks to distinguish between interest groups and other policy relevant bodies—often corporations or institutions. It finds disadvantages in adopting a functional interpretation of the interest group term (i.e. any organisation trying to influence public policy). While the wider range of organisations are crucial in understanding the making of public policy, it is confusing to assume that this wider population are all interest groups. The article instead advances the complementary notions of pressure participant, policy participant and interest group. This slightly expanded repertoire of terms avoids conflating important distinctions, and, in Sartori's term permits ‘disambiguation’. The core assumption is that the search for comparative data and exploration of normative questions implies some harmonisation in the interest group currency.
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This research agenda contribution starts from the observation that an increasing number of interest group studies have been addressing questions about framing. Although this emerging literature has made great progress towards being able to study interest group framing in large-n designs owing to advances in data-gathering techniques, many analytical and conceptual challenges still lie ahead. One important question that remains is how framing can serve as a political strategy and, more precisely, which frames are most effective. This article gives an overview of the recent work on interest group framing. It highlights some key issues that interest group scholars face when they undertake research on framing. Various studies on interest group framing are contrasted in terms of the types of frames studied, the level of analysis employed and how influence is determined. I conclude by developing an agenda with some concrete recommendations for interest group scholars that deal with questions about framing.
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We discuss the cognitive and the psy- chophysical determinants of choice in risky and risk- less contexts. The psychophysics of value induce risk aversion in the domain of gains and risk seeking in the domain of losses. The psychophysics of chance induce overweighting of sure things and of improbable events, relative to events of moderate probability. De- cision problems can be described or framed in multiple ways that give rise to different preferences, contrary to the invariance criterion of rational choice. The pro- cess of mental accounting, in which people organize the outcomes of transactions, explains some anomalies of consumer behavior. In particular, the acceptability of an option can depend on whether a negative outcome is evaluated as a cost or as an uncompensated loss. The relation between decision values and experience values is discussed. Making decisions is like speaking prose—people do it all the time, knowingly or unknowingly. It is hardly surprising, then, that the topic of decision making is shared by many disciplines, from mathematics and statistics, through economics and political science, to sociology and psychology. The study of decisions ad- dresses both normative and descriptive questions. The normative analysis is concerned with the nature of rationality and the logic of decision making. The de- scriptive analysis, in contrast, is concerned with peo- ple's beliefs and preferences as they are, not as they should be. The tension between normative and de- scriptive considerations characterizes much of the study of judgment and choice. Analyses of decision making commonly distin- guish risky and riskless choices. The paradigmatic example of decision under risk is the acceptability of a gamble that yields monetary outcomes with specified probabilities. A typical riskless decision concerns the acceptability of a transaction in which a good or a service is exchanged for money or labor. In the first part of this article we present an analysis of the cog- nitive and psychophysical factors that determine the value of risky prospects. In the second part we extend this analysis to transactions and trades. Risky Choice Risky choices, such as whether or not to take an umbrella and whether or not to go to war, are made without advance knowledge of their consequences. Because the consequences of such actions depend on uncertain events such as the weather or the opponent's resolve, the choice of an act may be construed as the acceptance of a gamble that can yield various out- comes with different probabilities. It is therefore nat- ural that the study of decision making under risk has focused on choices between simple gambles with monetary outcomes and specified probabilities, in the hope that these simple problems will reveal basic at- titudes toward risk and value. We shall sketch an approach to risky choice that
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A prominent presence in the news media is important for interest groups. This article investigates the development in the diversity of interest group media attention over time. The analysis draws on a dataset of 19,000 group appearances in the Danish news media in the period 1984–2003. It demonstrates how diversity has risen continually over time, leading to a media agenda less dominated by labour and business and more by public interest groups and sectional groups. This development is related to the increasing political importance of the news media and the decline in group integration in public decision-making processes. The article also shows how the development of group appearances is closely related to changes in media attention towards different policy areas.