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Editoriale
Silvia Coderoni
1
Food System Summit 2021 delle Nazioni
Unite: un nuovo percorso verso la sostenibilità
dei sistemi alimentari
Annalisa Zezza
2
Le sfide dell’economia circolare per il settore
agricolo
Linda Arata e Silvia Coderoni
6
La politica di contrasto allo spreco di cibo:
alcune considerazioni sul perché e come può
funzionare
Simone Busetti
11
L’impegno contro lo spreco alimentare:
un’opportunità di cambiamento per la
sostenibilità globale
Vanessa Giannetti e Greta Livi
15
Le ambizioni green della PAC post-2020
Danilo Marandola
20
Agricoltura biologica e sostenibilità nella
programmazione 2023-2027
Laura Viganò e Riccardo Meo
25
La sostenibilità ambientale in agricoltura:
l’approccio dell’economia ecologica
Silvio Franco
31
Il consumo consapevole nel settore
agroalimentare
Lucia Briamonte
36
Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2020
Un’alimentazione sana per un mondo #fame
zero
Franco Gaudio, Elena Santilli, Manuela Desando,
Elvira Romano, Tatiana Castellotti, Orlando Cimino,
Assunta Amato
42
Editoriale
Silvia Coderoni
Il secondo numero speciale di Agriregionieuropa dedicato all’iniziativa
Agricalabriaeuropa vuole affrontare un tema ormai pervasivo della Politica Agricola
Comune (PAC), ma più in generale dell’agenda politica agricola sia comunitaria che
internazionale: quello della sostenibilità ambientale del settore.
Il Green Deal europeo, con le strategie Farm to Fork (F2F) e per la Biodiversità, stabilirà
lo scenario per le future revisioni della PAC, con un target crescente di ambizione
ambientale, compreso il contributo agli obiettivi di sostenibilità del Millennio delle
Nazioni Unite e all’Accordo di Parigi sul clima. Pertanto, il lancio di queste due strategie
ha avuto un’ampia risonanza tra gli studiosi e soprattutto gli addetti del settore, come
emerge anche dalla loro pervasività negli articoli proposti nella presente raccolta.
Ad oggi, le strategie F2F e Biodiversità sono soltanto delle Comunicazioni della
Commissione e come tali giuridicamente non vincolanti per gli Stati membri. Tuttavia,
diversi elementi fanno ritenere che queste strategie abbiano la concreta possibilità di
influenzare l’impianto non solo della PAC, ma in generale delle politiche per il settore
agroalimentare. Innanzitutto, il 19 ottobre u.s. il Parlamento Europeo ha accolto
favorevolmente la F2F ed ha formulato le sue raccomandazioni alla Commissione per
l’attuazione della strategia1. In secondo luogo, come ci ha indicato Maria Rosaria Pupo
D’Andrea nel numero 1 di Agricalabriaeuropa, l’accordo raggiunto sulla nuova PAC
contiene una clausola di revisione della legislazione esistente al 2025 su ambiente e
clima, al cui rispetto vincolare i Piani Strategici Nazionali (PSN) della PAC; quindi, le
iniziative legislative che saranno prese da oggi al 2025 per rendere operative le
strategie citate, dovranno essere obbligatoriamente incluse nei PSN. Questo aspetto si
ricollega al terzo punto: l’obiettivo di neutralità climatica sancito dal Green Deal è stato
incluso nella nuova legge europea sul clima (Regolamento UE 2021/1119) nel giugno
scorso. Esso è quindi legalmente vincolante per gli Stati Membri. Questo significa che,
al 2050, l’Unione Europea dovrà avere un bilancio netto nullo di emissioni di gas serra e
che le politiche europee, compresa la PAC, ne dovranno tenere conto. Il relativo quadro
normativo è in fase di revisione e il contributo del settore agricolo e forestale può essere
molto diverso a seconda delle opzioni di implementazione che saranno scelte. Tuttavia,
emerge già un importante elemento di differenza rispetto al quadro legislativo
precedente: avere un obiettivo di emissioni nulle vuol dire, infatti, mettere al centro della
politica climatica europea i settori agricolo e forestale, gli unici che possono stoccare
carbonio naturalmente nei suoli e nelle biomasse. Proprio per riconoscere sia il
contributo positivo che quello negativo del settore agricolo e forestale al cambiamento
climatico, la revisione della legislazione comunitaria sul clima propone quindi, per la
prima volta, una contabilizzazione congiunta delle emissioni dei due settori.
A livello internazionale si sono appena conclusi i negoziati per la Conferenza delle Parti
(COP) 26 di Glasgow, il tavolo negoziale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Ad oggi è troppo presto per fare una valutazione degli esiti, che sono sempre più
complessi di quanto la rappresentazione mediatica (che sintetizza tutto in un “successo”
o un “fallimento”) possa far capire. Da Glasgow sono arrivati gli aggiornamenti sugli
impegni nazionali per ridurre le emissioni di gas serra presi dai paesi nell’ambito
dell’Accordo di Parigi, alcune regole tecniche di implementazione, un maggiore
multilateralismo nelle scelte, la definizione di scadenze più ravvicinate e un aumento del
supporto finanziario. Se questo sarà sufficiente a garantire il cambio di passo richiesto
per contenere l’aumento di temperatura media globale, è però difficile da dirsi ora.
Tuttavia, di là dagli accordi internazionali, la UE ha già fissato un’agenda politica
fortemente connotata da elevati impegni di sostenibilità ambientale sia per il settore
agroalimentare che per tutta l’economia; pertanto, proporre una riflessione corale su
questi temi ci è sembrato rilevante.
Il primo contributo, quello di Annalisa Zezza, offre una prospettiva globale spiegando il
associazioneAlessandroBartola
Sommario
Numero Speciale Novembre 2021
Realizzazione e distribuzione:
Associazione “Alessandro Bartola”
Studi e ricerche di economia e di politica agraria
Direttore responsabile:
Franco Sotte
Segreteria di redazione:
Silvia Coderoni
Editing:
Giulia Matricardi
Periodico registrato presso
il Tribunale di Ancona n. 22 del 30 giugno 2005
ISSN: 1828 - 5880
Numero 2
percorso partecipativo che ha portato all’organizzazione del World Food Summit del settembre 2021 e descrivendo le principali
indicazioni in termini di azioni necessarie per raggiungere la sostenibilità dei sistemi alimentari e gli obiettivi di sostenibilità del
Millennio ad essi collegati, con particolare attenzione alla dimensione ambientale e alle raccomandazioni in termini di fabbisogni
di ricerca e innovazione.
Guardando alla prospettiva europea, per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal e di sostenibilità del Millennio, appare
fondamentale la transizione verso un’economia c.d. circolare. Il contributo di Linda Arata e mio affronta quindi il tema delle sfide
dell’economia circolare per l’agricoltura, ponendo l’attenzione sul ruolo dell’implementazione della strategia F2F e su alcuni
aspetti critici per una transizione efficace.
Ricollegandosi alla transizione ad un’economia agroalimentare più circolare e agli obiettivi della F2F, il contributo di Simone
Busetti propone un’analisi sul perché e come una politica di contrasto allo spreco di cibo possa funzionare, mentre il contributo
di Vanessa Giannetti e Greta Livi presenta la centralità dello spreco alimentare come questione etica, ambientale ed
economica, illustrando sia la normativa pertinente che alcune iniziative in atto.
Il contributo di Danilo Marandola presenta invece la traduzione più diretta degli impegni per la sostenibilità ambientale nel la
politica agricola, illustrando gli obiettivi “green” della PAC post-2020, che presenta un aumento dell’ambizione ambientale di
intervento tale da richiedere un‘architettura verde ad hoc per rispondere alle esigenze di armonizzazione dei vari interventi del
primo e deI secondo Pilastro.
Laura Viganò e Riccardo Meo, di seguito, propongono un approfondimento sul ruolo dell’agricoltura biologica per rispondere
alle sfide della sostenibilità ambientale, facendo emergere il bisogno di definire una strategia complessiva coerente a favore del
suo sviluppo, che va da un approccio efficace nel complesso quadro dell’architettura verde della futura PAC, alla necessità di
accrescere l’accessibilità ai prodotti biologici da parte di una più vasta platea di consumatori.
Silvio Franco propone invece una riflessione sulla definizione e misurazione della sostenibilità in agricoltura, concentrandosi
sull’approccio dell’economia ecologica e sulla metodologia di calcolo dell’impronta ecologica, anche in un’ottica di promozione
delle produzioni più sostenibili, senza tralasciare i limiti che possono caratterizzare l’approccio.
Chiude il tema l’articolo di Lucia Briamonte che mostra il fondamentale e crescente contributo dato dai cambiamenti della
domanda alla sostenibilità ambientale del settore, presentando l’evoluzione del consumo consapevole, fornendo alcuni dati che
riflettono il cambiamento in atto e presentando i collegamenti con le recenti politiche dell’UE.
Alla realtà calabrese è dedicata la sezione “Approfondimenti”, in cui Franco Gaudio cura alcuni contributi che sintetizzano gli
interventi presentati al webinar organizzato dal CREA in occasione della “Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2020.
Un’alimentazione sana per un mondo #fame zero”.
Note
1 New EU farm to fork strategy to make our food healthier and more sustainable [link]
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Food System Summit 2021 delle Nazioni Unite: un nuovo percorso
verso la sostenibilità dei sistemi alimentari
Annalisa Zezza
Abstract
Questo articolo descrive il percorso partecipativo che ha portato in diciotto mesi all’organizzazione del World Food Summit,
tenutosi a New York nel settembre 2021 e ne presenta le principali indicazioni in termini di azioni necessarie per raggiungere la
sostenibilità dei sistemi alimentari. Infine, viene dedicata attenzione alle raccomandazioni in termini di fabbisogni di ricerca e
innovazione.
Introduzione
Il Summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari [link] ha preso avvio dalla considerazione che molti dei sistemi alimentari
mondiali sono fragili e non riescono a soddisfare il diritto a un'alimentazione adeguata per tutti. Tre miliardi di persone, quasi la
metà di tutta l'umanità, non possono infatti permettersi una dieta sana. La malnutrizione in tutte le sue forme, inclusa l'obesità,
è profondamente radicata, con ripercussioni negative sulla salute, sull'istruzione, sulle donne e sull'economia. I fattori che
determinano l'insicurezza alimentare e la malnutrizione, compresi i conflitti, gli eventi climatici estremi e la volatilità economica,
sono ulteriormente esacerbati dalla povertà e dagli alti livelli di disuguaglianza. La pandemia di COVID-19 ha aggravato queste
tendenze preoccupanti. Nel 2020, secondo la FAO, si è registrato un aumento del 20% del numero di persone malnutrite (FAO,
2020). La produzione alimentare e i produttori locali sono sempre più vulnerabili agli impatti negativi dei cambiamenti climatici
mentre, al tempo stesso, i sistemi alimentari contribuiscono fino a un terzo delle emissioni di gas serra, fino all'80 per cento
della perdita di biodiversità e utilizzano fino al 70 per cento dell'acqua dolce.
Nella visione del Summit, i sistemi alimentari costituiscono una leva rilevante per la ripresa dalla pandemia di COVID-19 e per
il raggiungimento dei 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDGs) entro il 2030. I sistemi alimentari infatti agiscono sulle tre
dimensioni riconosciute come fondamentali per l'Agenda 2030:
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Persone - "Nutrire tutti per la salute e il benessere"
Pianeta - "Produrre in armonia con la natura"
Prosperità - "Ripresa inclusiva, trasformativa ed equa "
Di fronte a queste sfide epiche, le Nazioni Unite hanno convocato decine di migliaia di persone dal livello locale a quello
globale nel lungo processo del Food Systems Summit, nella consapevolezza che un nuovo slancio potesse arrivare, in
termini di idee, dal più ampio coinvolgimento della società civile, delle comunità indigene, delle donne, dei giovani, oltre
che dai governi di tutte le nazioni.
Il processo
Negli ultimi 18 mesi, il Summit ha dunque riunito tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e una moltitudine di attori - i
giovani, i produttori di cibo, le popolazioni indigene, la società civile, i ricercatori, il settore privato e il sistema delle
Nazioni Unite – per sviluppare visione e soluzioni per realizzare risultati tangibili in questa direzione. Gli eventi sono stati
aperti a tutti attraverso il programma virtuale e la sua piattaforma.
Sono stati previsti tre tipi di dialogo:
I dialoghi degli Stati membri organizzati dai governi nazionali
I dialoghi globali in concomitanza con gli eventi globali su questioni come clima, ambiente, salute, economia e
lavoro, aiuti umanitari e acqua
I dialoghi indipendenti che potevano essere organizzati da chiunque nel rispetto dei principi del Summit
Tutti e tre i tipi di dialoghi hanno offerto a una vastissima pluralità di soggetti l'opportunità di partecipare e contribuire al
Summit, con l’obiettivo di rispettare la diversità di punti di vista, incoraggiare l'esplorazione condivisa e sperimentare
nuovi modi di lavorare insieme. A latere, è stato costituito un comitato scientifico del Summit, formato da ricercatori e
scienziati di tutto il mondo, con l’obiettivo di garantire la solidità scientifica delle proposte emerse nel Summit.
I risultati di questo processo sono stati consolidati nei cosiddetti Action Tracks, percorsi di azione. Guidati dalla visione e
dagli obiettivi del Summit, gli Action Tracks hanno il compito di creare sinergie e soluzioni a livello locale, nazionale,
regionale e globale e di ampliare e accelerare le iniziative esistenti. Per supportare un approccio olistico, i percorsi di
azione sono intenzionalmente in numero ridotto (5) e costituiscono un meccanismo di azioni integrate per supportare per
gli SDG nel loro insieme. Gli Action Tracks sono inoltre strutturati per riflettere la complessità e le interconnessioni dei
sistemi alimentari:
Garantire l'accesso a cibo sicuro e nutriente per tutti;
Passare a modelli di consumo sostenibili;
Aumentare l’impatto positivo della produzione sugli ecosistemi;
Raggiungere una più equa distribuzione del valore;
Costruire la resilienza alle vulnerabilità, agli shock e agli stress.
Da tutto questo complesso sistema sono emerse quattro “Leve del Cambiamento” (Levers of change), trasversali rispetto
agli Action Tracks, intese come aree di lavoro che potenzialmente potrebbero determinare un cambiamento positivo ad
ampio raggio sia sulla trasformazione dei sistemi alimentari che sul raggiungimento di tutti i 17 obiettivi di sviluppo
sostenibile. Le quattro leve sono: diritti umani, innovazione, finanza, parità di genere ed emancipazione femminile. A
queste si aggiunge, come elemento trasversale, l'empowerment dei giovani. Riassumiamole brevemente:
Diritti umani- si concentra sull'assicurare che i processi e i risultati del Summit siano radicati nella legge e nei principi sui
diritti umani.
Finanza - riguarda la valutazione delle esigenze di investimento, gli incentivi, la ricerca di soluzioni inclusive e il rischio.
Si pone l’obiettivo di ridurre i rischi associati all’innovazione, accelerare il cambiamento e mobilitare il capitale privato.
Innovazione - riunisce partner dell'innovazione del settore pubblico, privato e sociale nell'impegno a rendere
l'innovazione un fattore abilitante significativo per la trasformazione dei sistemi. Le aree di interesse emergenti includono
l'innovazione digitale, scientifica e tecnologica, nazionale e regionale, nonché i modelli di innovazione sociale e
istituzionale, comprese le conoscenze tradizionali e indigene.
Genere - identifica sette questioni importanti per accrescere l'emancipazione delle donne, l'uguaglianza di genere e
l'impegno delle donne in tutti i percorsi d'azione: i diritti delle donne alla terra; l’emancipazione economica delle donne;
riconoscimento economico del lavoro non retribuito; la leadership femminile; l’accesso alle tecnologie (incluso il digitale);
l’adeguamento delle norme e la rimozione delle barriere istituzionali; le politiche di genere per i sistemi agricoli e
alimentari.
Il Pre-Summit, che si è tenuto dal 26 al 28 luglio 2021 presso la FAO a Roma, ha visto coinvolti oltre cento paesi che si
sono riuniti per discutere della trasformazione dei propri sistemi alimentari nazionali. Infatti, nell'ambito del processo ch e
ha portato al Summit, oltre 147 Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati nel dialogo e nella costruzione di
percorsi condivisi a livello nazionale. Il programma ufficiale del pre-Summit prevedeva sessioni dedicate alle quattro
“leve del cambiamento”.
Il Pre-Summit di Roma ha agito come punto di convergenza del processo ed evidenziato come i risultati dei dialoghi
nazionali iniziano a consolidarsi in percorsi nazionali, che esprimono ciò che i governi, insieme a diverse parti
interessate, si aspettano dai sistemi alimentari entro il 2030.
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Tutto il complesso processo descritto ha contribuito a riaffermare l’idea che i sistemi alimentari hanno il potere di
contribuire a realizzare un mondo migliore. In tutto il mondo, le persone impegnate nei sistemi alimentari forniscono cibo
nutriente a miliardi di persone salvaguardando biodiversità ed ecosistemi, nonostante i molti punti critici prima rilevati. È
stato inoltre riconosciuta l’importanza, nel processo di realizzazione dell’Agenda 2030, di molte buone pratiche - come
quelle in atto nei sistemi alimentari indigeni -, dell’investimento in scienza e innovazione e del coinvolgimento più vasto -
in particolare donne e giovani, popoli indigeni, imprese e produttori. Inoltre, è emersa chiaramente la consapevolezza del
fatto che non esiste una soluzione buona per tutti e che sia necessario urgentemente passare da un'azione incrementale
e settoriale ad un approccio di sistema, in cui il sistema alimentare lavora con tutti gli altri settori verso obiettivi comu ni
attraverso la collaborazione a livello di molteplici autorità di governo, l’interazione di più discipline scientifiche, la
contaminazione con conoscenze tradizionali e indigene. In questo processo, la comunità imprenditoriale - dalle piccole e
medie imprese alle multinazionali - ha un ruolo importante da svolgere attraverso pratiche commerciali responsabili e
soluzioni innovative per rendere i sistemi alimentari più sostenibili, resilienti ed equi, adattando le proprie pratiche per
garantire a tutte le persone di accedere a una dieta sana e nutriente.
Tale approccio innovativo deve riflettersi anche nei finanziamenti pubblici e privati e supportare processi e prodotti più
sani, più inclusivi e più sostenibili.
Tra le conclusioni del Summit, è emerso il principio secondo il quale il valore del cibo deve essere inteso come molto
più del valore di una semplice merce. Il cibo è un diritto delle persone e l'impatto economico, sociale e ambientale e le
esternalità devono essere valutati meglio e mitigati o sfruttati opportunamente.
Il Summit si è concluso a New York nel mese di settembre. In termini di governance, sono stati individuate le istituzioni
responsabili del supporto ai governi nazionali, mentre a livello globale, il sistema delle Nazioni Unite con le agenzie con
sede a Roma — FAO, IFAD(International Fund for Agricultural Development), WFP (World Food Program) — guiderà
congiuntamente un hub di coordinamento per supportare il follow-up del Summit, includendo attori non governativi come
la società civile e le imprese. Questo avrà alcune funzioni chiave, tra cui il rafforzamento delle sinergie con i principali
forum intergovernativi compresi quelli relativi all'ambiente, al clima, alla biodiversità, alla sicurezza alimentare, alla salute
e alla nutrizione, per garantire che i sistemi alimentari siano meglio presi in considerazione in questi spazi e altri sforzi
correlati critici per l'Agenda 2030.
Scienza e ricerca
Un elemento centrale del cambiamento è rappresentato dal ruolo della ricerca e dell’innovazione per trasformare i
sistemi alimentari verso la sostenibilità e l'equità. La ricerca genera gli input di base per le innovazioni, tecnologiche e
istituzionali che possono supportare e accelerare la trasformazione dei sistemi alimentari; e, in secondo luogo, la ricerca
riesce a valutare l’impatto delle azioni sui sistemi. Il comitato scientifico interdisciplinare ha individuato le priorità di
ricerca e innovazione in sette aree (von Braun et al., 2021):
Mettere fine alla fame e migliorare le diete In questo ambito gli scienziati devono identificare le condizioni, anche
di investimento, per rendere il cibo più salutare e disponibile per tutti a prezzi ragionevoli. Si tratta di sviluppare
tecnologie per aumentare la produttività in modo sostenibile, riducendo gli spechi, ad esempio sviluppando
migliori sistemi di conservazione e utilizzando nuovi sistemi di packaging. Dal punto di vista dell’innovazione
sociale la fornitura di pasti agli alunni nei paesi poveri si è dimostrato uno strumento efficace per aumentare la
scolarizzazione. Infine, è stata identificata la necessità si studiare le barriere comportamentali al mangiare sano,
sviluppando di conseguenza linee guida e sistemi di etichettatura.
Diminuire i rischi connessi alla produzione alimentare. Gli scienziati devono individuarne le cause e contribuire a
diffonderne la consapevolezza e, al tempo stesso, sviluppare nuovi prodotti assicurativi sia l’uso di tecnologie che
consentono di avere informazioni sul clima, sugli attacchi di parassiti o anche sulle opportunità di mercato, inoltre
dovrebbero essere disegnati sistemi di supporto che incentivino la gestione e la cattura nel suolo del carbonio.
Potenziare la bioscienza. Trovare modi per ripristinare la salute del suolo e migliorare l'efficienza della
coltivazione, dell'allevamento delle colture e della ricarbonizzazione del suolo e della biosfera. Inoltre occorrono
fonti alternative di proteine sane, come le proteine vegetali e derivate dagli insetti, anche per l'alimentazione
animale. Dovrebbero essere studiate le tecniche di coltivazione delle piante che catturano l'azoto dall'aria, per
ridurre la necessità di fertilizzanti e aumentare i nutrienti. L'ingegneria genetica e la biotecnologia dovrebbero
essere applicate per aumentare la produttività, la qualità e la resistenza delle colture ai parassiti e alla siccità. Per
ampliare l'accesso alle tecnologie delle bioscienze, dovrebbero essere affrontati i diritti di proprietà intellettuale, le
competenze e la condivisione dei dati.
Proteggere le risorse. I ricercatori devono adattare e ampliare le tecnologie per la gestione di suolo, terra e acqua
in modo sostenibile, come, ad esempio, i dispositivi digitali portatili e il telerilevamento che possono monitorare le
concentrazioni di carbonio nel suolo e altri nutrienti o i sistemi di intelligenza artificiale che possono consentire
agli agricoltori di individuare le aree che necessitano di irrigazione, fertilizzazione e protezione dai parassiti. I
microbi del suolo possono essere sfruttati per migliorare la struttura del suolo e lo stoccaggio del carbonio e
quindi le rese.
Tutelare la biodiversità e le basi genetiche. Preservare le varietà di semi e i loro fenotipi e genotipi. I sistemi
alimentari e forestali tradizionali, compresi quelli delle popolazioni indigene, devono essere meglio compresi e
supportati nei sistemi nazionali di ricerca agricola.
Sostenere la pesca e l’acquacoltura. Gli alimenti acquatici - pesci, crostacei e piante acquatiche - hanno molto da
offrire dal punto di vista nutrizionale e ambientale ma la ricerca dovrebbe investigare modi per aumentarne la
diversità nutrizionale e sequestrare il carbonio negli ambienti marini e di acqua dolce. È anche necessaria la
cooperazione e nuove istituzioni globali per proteggere la biodiversità.
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Sfruttare le tecnologie digitali, ad esempio per monitorare l'origine e la qualità degli ingredienti e dei prodotti lungo
la catena di trasformazione alimentare per ridurre le perdite e garantire la sicurezza alimentare. Al tempo stesso
occorre aumentare l’accessibilità a queste tecnologie, anche sviluppando servizi di noleggio per le macchine
agricole e ampliando le forniture di elettricità nelle zone rurali, insieme alla formazione e all'istruzione in materia di
informatica.
Considerazioni conclusive
Il vertice sui sistemi alimentari del 2021 è stato enfatizzato come una grande opportunità nella lotta alla fame e
nell’avviare un percorso verso la sostenibilità dei sistemi alimentari. I precedenti vertici hanno effettivamente portato
cambiamenti: la creazione della FAO dopo il 1943; il rafforzamento del partenariato globale per la ricerca alimentare
CGIAR e la fondazione dell’IFPRI (International Food Policy Research Institute) dopo il 1974; la spinta verso il diritto
umano all'alimentazione (2002); e l’avvio del monitoraggio per allertare le crisi dei prezzi alimentari nel 2009.
Oggi l’agenda è molto ampia e ciò potrebbe essere un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi. Non mancano
nemmeno disaccordi su obiettivi, percorsi e velocità del cambiamento, e sul ruolo della scienza e della tecnologia, o
anche del settore privato rispetto al pubblico o al sistema delle Nazioni Unite.
Non sono neanche mancate le critiche. La governance dei sistemi alimentari è una sfera dinamica e contesa, costituita
da reti in competizione con risorse, influenza e potere diseguali. Secondo alcuni autori (Canfield et al., 2021) sostituendo
il multilateralismo con il multi-stakeholderismo, il Food System Summit ha posto le basi per una maggiore influenza
dell'ONU, indebolendo i movimenti sociali autonomi. Secondo MSI Integrity, a nonprofit organization originally dedicated
to understanding the human rights impact and value of voluntary multi-stakeholder initiatives (2020), la governance multi
-stakeholder si basa sul rispetto di norme volontarie, e ciò può indebolire i sistemi di norme internazionali. Le iniziative
multi-stakeholder vengono quindi criticate, in questa visione alternativa, accusate di mitigare l'azione collettiva, in
particolare da parte della società civile e dei movimenti sociali, introducendo un elemento di ambiguità nella
responsabilità decisionale
Bisogna però anche ammettere che il multilateralismo, pur avendo spesso fallito nel produrre una governance globale
più equa, abbia aperto nuovi spazi alle reti transnazionali per sfidare l’inerzia dei governi nazionali.
Riferimenti bibliografici
Canfield, M.C., Duncan, J. & Claeys, P. (2021) Reconfiguring Food Systems Governance: The UNFSS and the
Battle Over Authority and Legitimacy. Development [link]
FAO, Ifad, UNICEF, WFP and WHO. 2020. The State of Food Security and Nutrition in the World 2020
Transforming Food Systems for Affordable Healthy Diets. Rome: FAO
MSI Integrity. 2020. Not Fit-for-Purpose: The Grand Experiment of Multi-Stakeholder Initiatives in Corporate
Accountability, Human Rights and Global Governance [link]
von Braun, Joachim, Kaosar Afsana, Louise O. Fresco, and Mohamed Hassan (2021) Food Systems: Seven
Priorities to End Hunger and Protect the Planet. Nature 597: 28–30 [link]
Siti di riferimento
www.un.org [link]
http://www.agriregionieuropa.univpm.it
agricalabriaeuropa n.2 agriregionieuropa Pagina 5
Le sfide dell’economia circolare per il settore agricolo
Linda Arata e Silvia Coderoni
Abstract
Nell’Unione Europea la transizione verso un’economia più circolare è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi
del Green Deal e di sostenibilità del Millennio. L’agricoltura è un settore cruciale in questo passaggio per il suo ruolo
primario nella bioeconomia circolare; tuttavia, occorre riconoscere che l’efficienza del sistema è prerequisito per ogni
sostenibilità. Da questo punto di vista l’implementazione della strategia Farm to Fork appare cruciale.
Introduzione
Con il termine economia circolare vengono indicati quei sistemi economici in cui i prodotti mantengono il loro valore
aggiunto il più a lungo possibile e si minimizzano i rifiuti, facendo in modo che quando un prodotto è alla fine del suo
ciclo di vita, le risorse restino all’interno del sistema per essere riutilizzate più volte a fini produttivi e creare così nuovo
valore. Per passare ad un’economia circolare occorre un cambiamento sistemico guidato da un forte impulso innovativo,
sul piano della ricerca, della tecnologia, dell’organizzazione, della società, delle forme di finanziamento e delle politiche,
cambiando tutta la catena della creazione del valore, dall’estrazione delle materie prime alla progettazione dei prodotti,
dalla produzione alla distribuzione, dal consumo al riuso e riciclo.
Nel proporre la revisione della legislazione sui rifiuti, nel 2014 la Commissione Europea (CE) ha elaborato un piano più
ambizioso fatto di un pacchetto di misure integrate che non avevano solo l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti, ma
di introdurre un approccio circolare all’economia.
Successivamente, il 2 dicembre del 2015 la CE ha adottato la Comunicazione “L’anello mancante: un piano d’azione
europeo per l’economia circolare”1 e nel marzo 2020 ha proposto il nuovo piano d’azione per l’economia circolare
(Commissione Europea, 2020a).
Le misure che saranno introdotte nell’ambito del nuovo piano d’azione mirano a:
rendere sostenibili tutti i prodotti dell’Unione Europea (UE);
responsabilizzare i consumatori e gli acquirenti pubblici;
ridurre gli sprechi, concentrandosi sui settori che utilizzano la maggior parte delle risorse e dove il potenziale di
circolarità è elevato. Tra questi spicca il settore agricolo non solo per il suo utilizzo di risorse, ma anche per la
capacità di fornire materie prime per la bioeconomia circolare (ovvero l’uso circolare dei materiali a base
biologica).
Questo contributo vuole descrivere i principali aspetti che emergono dai recenti documenti ufficiali della CE
sull’approccio all’economia circolare in agricoltura e, considerando la sua implementazione in congiunzione con la
strategia “Dal produttore al consumatore” (Farm to Fork-F2F), propone alcuni elementi di riflessione sulle difficoltà della
loro implementazione.
L’economia circolare del sistema agro-alimentare nella strategia dell’Unione
Europea
Il passaggio da un’economia lineare2 ad un’economia circolare è un prerequisito per raggiungere l’obiettivo di neutralità
climatica sancito dal Green Deal per il 2050 (Commissione Europea, 2019) e per raggiungere i 17 obiettivi di sviluppo
sostenibile del Millennio, adottati nel settembre 2015 dalle Nazioni Unite per dare un nuovo impulso agli sforzi globali
verso uno sviluppo sostenibile.
Per raggiungere tali obiettivi, il nuovo piano d’azione per l’economia circolare del 2020 è incentrato sulla prevenzione dei
rifiuti e sulla loro gestione ottimale, con l’obiettivo di ridurre la pressione sulle risorse naturali e creare crescita sostenibile
e posti di lavoro (Commissione Europea, 2020a).
Per quanto riguarda i prodotti alimentari, l’acqua e i nutrienti, la CE si propone di garantire la sostenibilità dei materiali a
base biologica rinnovabili, anche attraverso le azioni avviate a seguito della strategia e del piano d’azione sulla
bioeconomia.
Sono previste pertanto una serie di tappe di aggiornamento normativo, con alcune misure già realizzate ed altre ancora
da approvare3. Queste misure riguardano:
il nuovo regolamento relativo all’uso dell’acqua che promuoverà approcci circolari per il suo riutilizzo in
agricoltura;
misure specifiche volte ad aumentare la sostenibilità della distribuzione e del consumo dei prodotti alimentari
(all’interno delle quali sono in fase di pubblicazione la proposta legislativa per motivare le dichiarazioni verdi delle
aziende e quella per responsabilizzare i consumatori nella transizione verde);
la previsione di un obiettivo relativo alla riduzione degli sprechi alimentari, inserito come azione chiave nell’ambito
della strategia UE F2F (cfr. par. successivo);
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un piano integrato di gestione dei nutrienti, al fine di garantirne un’applicazione più sostenibile e di incentivare i
mercati dei nutrienti recuperati.
Il ruolo chiave dei fertilizzanti
Con riferimento al mercato per i nutrienti recuperati, una delle più importanti e più dirette implementazioni della
transizione verso un’economia circolare in agricoltura promossa dai due piani per l’economia circolare riguarda i
fertilizzanti, elemento chiave per garantire la circolarità del sistema agro-alimentare. Essi si pongono infatti all’inizio della
catena agro-alimentare, come input nel processo produttivo agricolo, e alla fine della produzione agricola (scarti vegetali
e reflui zootecnici) e del consumo alimentare, come prodotti di scarto. Di fatto, molti di questi prodotti di scarto sono
ancora ricchi di elementi nutritivi e il loro recupero e la loro successiva trasformazione in nuovo materiale organico, che
torna all’inizio della catena agro-alimentare, rappresenta un prezioso processo di circolarità con numerosi vantaggi. Il
primo vantaggio consiste nella possibilità di sostituire parte dei fertilizzanti minerali impiegati in agricoltura con i
fertilizzanti organici con conseguente minore dipendenza da Paesi terzi all’UE, dove si trovano le miniere di minerali,
oltre ad un minore impatto ambientale legato all’estrazione e lavorazione di tali minerali. Inoltre, il riutilizzo degli scarti
organici consente di ridurre i problemi legati allo smaltimento degli stessi e la creazione di nuovi posti di lavoro collegati
agli impianti di recupero e trasformazione degli scarti.
Pertanto, sulla base del piano di azione per l’economia circolare, nel 2016 la CE ha avanzato una proposta di
regolamento riguardo ai fertilizzanti organici provenienti da filiere di recupero, che ha trovato un accordo politico
preliminare tra Parlamento Europeo e Consiglio nel 2018. Il regolamento è stato approvato da Parlamento e Consiglio
nel 2019 (CE 2019/1009) ed entrerà in vigore a partire dal 2022. Esso comporterà l’apertura del mercato unico UE ai
fertilizzanti organici. Attualmente, infatti, solo i fertilizzanti inorganici possono essere liberamente commercializzati in
tutta l’UE, mentre per i fertilizzanti organici esistono norme nazionali non sempre convergenti che rendono molto
difficoltosi gli scambi tra Stati Membri (SM). Il nuovo regolamento stabilisce regole comuni a tutti gli SM relativi ai concimi
organici provenienti da filiere di recupero che avranno così libera circolazione nel mercato UE. Le norme comuni
riguardano la sicurezza e la qualità dei prodotti fertilizzanti commercializzati e la possibilità di porre il logo CE qualora tali
requisiti di sicurezza e qualità vengano rispettati. Tutti i requisiti specificati nel regolamento dovranno essere soddisfatti
per quei fertilizzanti commercializzati tra SM dell’Unione. Per i fertilizzanti circolanti invece entro i confini nazionali sarà
sufficiente il rispetto della normativa nazionale.
Come conseguenza del nuovo regolamento UE ci si attende una crescita della domanda e dell’impiego di fertilizzanti
organici da filiere di recupero e questo dovrebbe contribuire a incentivare la circolarità nel settore4. Diverse analisi
dimostrano, inoltre, che il costo di produzione economico e ambientale di fertilizzanti da materiale organico di recupero è
inferiore rispetto al costo di estrazione di elementi minerali e trasformazione in fertilizzanti inorganici. Incentivare la filiera
dell’organico significherebbe dunque anche migliorare l’efficienza economica nel sistema oltre a ridurre l’impatto
ambientale.
La nuova strategia “Dal produttore al Consumatore”
Due mesi dopo la pubblicazione del nuovo piano di azione per l’economia circolare, esattamente il 20 maggio 2020, la
CE ha pubblicato la strategia F2F per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell ’ambiente (Commissione
Europea, 2020b). Con questa ambiziosa strategia la CE avanza le indicazioni, che dovranno poi tradursi in strumenti
legislativi, per chiamare a conversione il sistema agro-alimentare europeo e candidarlo concretamente come uno dei
contribuenti al raggiungimento dei più ampi obiettivi del Green Deal (Commissione Europea, 2019). La strategia allinea
crescita economica, cura dell’ambiente, attenzione alla salute e inclusione sociale ed è centrale per il raggiungimento
degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Figura 1 – I quattro elementi della strategia F2F
Fonte: elaborazione delle autrici
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agricalabriaeuropa n.2 agriregionieuropa Pagina 7
Gli obiettivi della strategia F2F sono:
raggiungere un impatto ambientale neutro o positivo della filiera agro-alimentare;
garantire a tutti i cittadini l’accesso ad una quantità sufficiente di alimenti sani, sostenibili e nutrienti;
preservare la sostenibilità economica di alimenti sani, sostenibili e nutrienti sia per i produttori che per i
consumatori.
Per raggiungere questi obiettivi il sistema agro-alimentare dovrebbe attuare trasformazioni rilevanti in ciascuna delle sue
fasi, dalla produzione agricola, alla trasformazione e distribuzione, fino al consumo finale e garantire una riduzione e il
riuso di scarti e rifiuti (Figura 1).
In particolare, le indicazioni per la fase della produzione agricola si propongono di:
sostenere il ruolo che l’agricoltura può rivestire nel sequestrare carbonio dall’atmosfera e nel fornire energia
rinnovabile;
ridurre l’uso e il rischio dei pesticidi chimici del 50% entro il 2030 e ridurre della stessa percentuale l’uso dei
pesticidi più pericolosi;
ridurre, entro il 2030, le perdite di nutrienti nel suolo di almeno il 50% e l’impiego di fertilizzanti di almeno il 20%;
ridurre, entro il 2030, la vendita nell’UE di prodotti antimicrobici per gli allevamenti e per l’acquacoltura;
raggiungere il 25% della superficie agricola UE dedicata ad agricoltura biologica entro il 2030;
aumentare il peso degli agricoltori lungo la filiera agro-alimentare.
Sul primo punto, un’interessante iniziativa lanciata con la F2F è la c.d. carbon farming, per valorizzare il contributo
positivo dell’agricoltura alla mitigazione delle emissioni di gas serra. La carbon farming prevede che chi stocca carbonio
atmosferico nel suolo5 abbia diritto a dei “certificati di carbonio” che può vendere a coloro che ne emettono. Ancora non
è chiaro se si tratterà di compensazioni all’interno del settore agricolo o anche con altri settori; tuttavia, per garantire lo
sviluppo e la diffusione del modello della carbon farming, sarà fondamentale sviluppare opportuni sistemi di contabilità
del carbonio, come sottolineato dal piano di azione per l’economia circolare. A tal fine, nel dicembre prossimo, la CE
pubblicherà le indicazioni per guidare l’implementazione dell’iniziativa della carbon farming e, nel 2022, dovrebbe
pubblicare una proposta di regole comuni per la certificazione dei crediti. Ci si aspetta che le prime implementazioni di
queste iniziative siano locali o regionali e permettano di acquisire le conoscenze necessarie per estenderne
l’applicazione su scale territoriali sempre più ampie.
La riduzione nell’uso dei fertilizzanti e della perdita di nutrienti nel suolo beneficerà di un approccio più circolare alla
gestione dei nutrienti e passerà attraverso lo sviluppo di applicazioni digitali che permettano una migliore
razionalizzazione nell’impiego dei fertilizzanti. Tali applicazioni dovranno essere garantite da ciascuno SM ai propri
agricoltori entro il 2024.
Un ruolo fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi della strategia F2F spetterà anche all’agricoltura biologica. A
marzo 2021 la CE ha pubblicato un piano di azione per l’agricoltura biologica contenente anche azioni per raggiungere
l’obiettivo del 25% di superficie agricola a biologico. Nell’ambito della PAC, l’agricoltura biologica continuerà ad essere
supportata finanziariamente dai programmi di sviluppo rurale e potrà ricevere finanziamenti anche attraverso gli eco -
schemi del primo pilastro (cfr. l’articolo di Viganò e Meo su questo stesso numero).
Il secondo gruppo di indicazioni della strategia F2F è rivolto all’industria alimentare e alla distribuzione e indirizza a:
rendere obbligatoria la sostenibilità come una delle strategie aziendali dell’industria alimentare;
promuovere pratiche commerciali e di marketing responsabili;
sviluppare alimenti sani.
A partire da luglio 2021 è entrato in vigore un codice di condotta UE volontario riguardo business e strategie di marketing
responsabili. Le aziende alimentari e della distribuzione che aderiscono a tale codice si impegnano in azioni responsabili
riguardo alla sostenibilità come, ad esempio, ridurre la creazione di scarti alimentari durante il trasporto e la distribuzione
e ridurre le emissioni di gas serra.
Per sviluppare alimenti sani, invece, si propone l’implementazione di iniziative miranti a migliorare il profilo nutrizionale
dei cibi processati, ad esempio riducendo il contenuto in sale, zucchero e grassi al fine di rendere più facile l’adozione di
uno stile alimentare sano per tutti i consumatori.
Questo obiettivo si ricollega alle indicazioni della strategia F2F indirizzate al consumatore, che si preoccupano di:
sviluppare e rendere obbligatoria un’etichettatura nutrizionale semplice e armonizzata nella parte anteriore della
confezione dei prodotti alimentari;
sviluppare un’etichettatura di sostenibilità dell’alimento;
promuovere appalti sostenibili nel settore alimentare.
Attualmente nell’UE non è obbligatorio riportare informazioni nutrizionali sulla parte anteriore della confezione (la
cosiddetta front-of-pack nutrition labelling), ma queste possono essere fornite a discrezione del produttore seguendo
schemi che variano tra SM. A fine 2022 la CE proporrà una front-of-pack nutrition label sulla base dei risultati di studi
scientifici che permetteranno di selezionare l’etichetta più efficace per promuovere uno stile alimentare sano. La
realizzazione della proposta di un’etichettatura di sostenibilità degli alimenti, con una triplice valenza, nutrizionale,
sociale e ambientale, sembra invece spostata al 2024. Anche questo aiuterà il consumatore ad essere più consapevole
delle sue scelte alimentari6.
L’ultimo set di indicazioni della strategia è quello che più direttamente si collega a obiettivi di economia circolare e
riguarda gli sprechi alimentari. Esso consiste nel:
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Pagina 8 agriregionieuropa agricalabriaeuropa n.1
promuovere modelli di business circolare nell’industria alimentare e nella distribuzione;
ridurre del 50% lo spreco alimentare a livello della distribuzione alimentare e dei consumatori (al tema della
riduzione degli sprechi alimentari sono dedicati gli approfondimenti di Busetti e di Giannetti e Grifi su questo
stesso numero).
La complessa transizione ad un’economia circolare in agricoltura
La transizione ad un’economia circolare non può prescindere da una maggiore efficienza nell’uso delle risorse. Gli
sprechi inevitabili derivanti da un sistema efficiente, in quanto non possono essere ridotti, devono essere rivalorizzati
come una risorsa per la bioeconomia. I rifiuti evitabili, invece, testimoniano un uso inefficiente delle risorse e l ’obiettivo
deve essere, dunque, una loro riduzione.
Per un’economia circolare che sia sostenibile, è indispensabile produrre di più con meno risorse e non solo fornire
materie prime per l’industria di trasformazione a valle. È necessario un approccio di “efficienza circolare”, per cui gli input
a monte siano ridotti al minimo necessario e i residui/sottoprodotti a valle diventino input di altri processi produttivi.
La strategia F2F rappresenta quindi un importante prerequisito per la conversione ad un sistema agricolo più circolare,
poiché essa mira a ridurre l’uso delle risorse e aumentarne la produttività, chiudere i bilanci dei nutrienti, ridurre le
esternalità negative e ridurre e valorizzare gli sprechi agroalimentari e i rifiuti lungo tutta la filiera.
Le diverse analisi ex-ante sull’implementazione della strategia F2F rivelano tutte degli importanti impatti sulla produzione
e il reddito del settore, nonché sui prezzi per i consumatori e i rischi per il mercato globale (Barreiro-Hurle et al., 2021;
Beckman et al. 2021). Tuttavia, come sottolineato negli stessi studi, queste analisi hanno diversi limiti, tra cui
l’impossibilità di considerare: i cambiamenti di tutto il sistema, compresi quelli dei consumi, della distribuzione e
trasformazione, le possibili innovazioni tecnologiche, la riduzione degli sprechi, ecc. Pertanto, queste valutazioni di
impatto andrebbero presi con molta cautela ed è difficile ad oggi prevedere l’esito finale di queste trasformazioni
(Barreiro-Hurle et al., 2021)7.
L’esame dell’intero sistema agroalimentare, in effetti, rivela opportunità di miglioramento in tutte le fasi, dalla produzione
primaria con tecniche agricole di precisione, fino all’utilizzo degli scarti e dei rifiuti agroalimentari in agricoltura o nella
bioeconomia.8
Pur non contribuendo direttamente alla “circolarità”, l‘agricoltura di precisione ha un ruolo primario da giocare nel favorire
l’efficienza dell’economia circolare perché usa i sistemi informatici per ottimizzare l’applicazione degli input agricoli,
garantendo così che siano utilizzate le risorse minime necessarie per ottenere prestazioni ottimali.
Il legame più diretto tra gli obiettivi della F2F e quelli dell’economia circolare riguarda il riuso degli scarti e dei rifiuti del
settore a fini produttivi. Su questo fronte, tuttavia, determinare quali percorsi siano più efficaci per la creazione di sistemi
agroalimentari sostenibili non è affatto semplice e rimane una priorità per i ricercatori e i responsabili politici.
Due questioni appaiono cruciali: prima di tutto capire se sia più sostenibile una “circolarità chiusa” o una “circolarità
aperta” e poi definire la “scala dei circuiti”.
Sul primo aspetto, possiamo definire circolarità chiusa una circolarità in cui gli scarti di una filiera produttiva vengono
recuperati e riutilizzati come input nella filiera stessa. Con il termine circolarità aperta indichiamo invece una circolarità in
cui gli scarti di una filiera produttiva vengono recuperati e riutilizzati come input in un’altra filiera produttiva. Ad esempio, i
residui colturali e il letame possono essere riutilizzati all’interno del sistema agricolo (circolarità chiusa), oppure possono
essere valorizzati come input per produrre energia/prodotti nella più ampia bioeconomia (circolarità aperta).
La questione della “scala dei circuiti” riguarda invece la scala territoriale alla quale applicare la circolarità, ovvero se si
vuole proporre un modello circolare a livello di singola impresa, o a livello territoriale, fino al livello nazionale, o
comunitario. Questa questione si ricollega anche alla necessità di valutare eventuali rischi connessi al fatto che ci sia
sfruttamento delle risorse in un’area, per soddisfare la domanda in un’altra (c.d. leakage)9. Esemplare in tal senso è il
commercio c.d. “virtuale” di nutrienti e risorse, che è una questione rilevante per l’economia circolare. Basti citare che il
20% dell’acqua globale utilizzata in agricoltura viene commercializzata come acqua “virtuale” e che l’UE è fortemente
dipendente dal fosforo “virtuale” importato, il cui contributo all’impronta totale di fosforo dell’UE è aumentato del 40% dal
1995 al 2009.
Le questioni da affrontare per assicurare che l’economia circolare consenta una vera sostenibilità sono quindi diverse.
Inoltre, anche sui reali benefici di un’economia più circolare andrebbero aperte profonde riflessioni. I documenti della CE
presumono infatti che la transizione all’economia circolare offra chiari vantaggi in termini economici, sociali e ambientali.
Questo assunto richiede un’attenta valutazione. È possibile, infatti, che il passaggio ad un’economia circolare possa
causare stress economici, ambientali e sociali, se gli impatti della sua implementazione non sono adeguatamente
analizzati. “Riciclato” non vuol dire automaticamente più sostenibile, per questo l’impatto ambientale delle filiere circolari
delle materie prime dovrebbe essere quantificato. La proposta di un “passaporto delle materie prime” per specificarne
provenienza e qualità, garantendo così che i nutrienti riciclati e recuperati possano competere con le alternative a base
fossile, può essere in tal senso utile.
Sul fronte delle metodologie adottate, l’analisi del ciclo di vita del prodotto (c.d. LCA), la LCA sociale e il costo del ciclo di
vita (LCC) stanno diventando metodi consolidati che consentono un’analisi più olistica delle potenziali implicazioni della
politica e la loro integrazione nella valutazione della sostenibilità del ciclo di vita, ma anche queste non sono senza
limitazioni.
Dal punto di vista economico e sociale, poi, non è facile stabilire se l’economia circolare crei davvero più posti di lavoro e
flussi finanziari, o semplicemente sostituisca quelli consolidati con altri che, magari, lo sono di meno. Vale la pena
chiedersi, ad esempio, se imprese più “circolari” siano sostenibili nel lungo periodo se i rifiuti che usano provengono da
un sistema inefficiente e dovranno quindi essere in prospettiva ridotti (eliminando così le materie prime che esse
utilizzano).
La conversione ad un’economia circolare e l’implementazione della strategia F2F richiedono quindi una profonda
trasformazione del sistema agro-alimentare. Le indicazioni dovranno essere tradotte in quadri legislativi e il
raggiungimento degli obiettivi sarà possibile solo grazie all’azione e all’impegno congiunto di decisori politici, produttori,
consumatori e di coloro che svolgono attività di ricerca e innovazione. I consumatori svolgeranno un ruolo fondamentale
nella transizione, attraverso la diffusione di stili di consumo più sostenibile, inclusi i cambiamenti nelle diete, e con la
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agricalabriaeuropa n.1 agriregionieuropa Pagina 9
riduzione degli sprechi (Coderoni e Perito, 2020). La ricerca sarà essenziale non solo per produrre i risultati di base per
le innovazioni che possono supportare e accelerare la trasformazione dei sistemi alimentari, ma anche per sviluppare
indicatori utili a valutare l’impatto delle azioni intraprese. Infatti, mentre per l’industria alimentare e della distribuzione la
misurazione potrebbe essere più semplice e standardizzata, data la parziale somiglianza di queste realtà con le realtà
produttive di altri settori, la specificità del settore agricolo rende necessario sviluppare indicatori di circolarità ad hoc. In
letteratura è ancora molto scarso lo sviluppo di indicatori di circolarità per il settore agricolo e la ricerca in tale ambito
offre ampio margine di esplorazione (Velasco Muñoz et al., 2021).
Considerazioni conclusive
Il passaggio ad un’economia più circolare è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal e quelli di
sostenibilità del Millennio.
L’agricoltura è un settore cruciale in questo passaggio per il ruolo primario che ricopre nella bioeconomia circolare.
Economia circolare in agricoltura vuol dire anche produrre utilizzando una quantità minima di input esterni, avere un
bilancio dei nutrienti il più possibile vicino a zero, ridurre le esternalità negative e ridurre e valorizzare gli sprechi
agroalimentari e i rifiuti lungo tutta la filiera. L’economia circolare trarrà vantaggio dal riconoscimento che l’efficienza del
sistema è prerequisito per ogni sostenibilità: non si può presumere che se un rifiuto viene “utilizzato” allora il sistema è in
qualche modo più sostenibile. L’attuazione della strategia F2F è quindi un prerequisito fondamentale per la transizione
ad una economia circolare e, con l’approvazione da parte del Parlamento Europeo del 20 ottobre u.s. delle sue
raccomandazioni per la strategia, questa dovrebbe essere la direzione verso cui si muoveranno le iniziative legislative
comunitarie dei prossimi anni. Tuttavia, molte sfide rimangono aperte, dalla definizione dei confini dei sistemi, alla
misurazione dei progressi, alla implementazione di una circolarità chiusa o aperta a seconda del settore.
Il passaggio ad un’economia circolare comporta dunque una trasformazione complessa che coinvolge tutti gli attori della
filiera e gli investimenti in termini di ricerca e di implementazione sono fondamentali per garantire una circolarità che
coniughi efficienza economica, sostenibilità ambientale e inclusione sociale.
Note
1 L'anello mancante - Piano d'azione dell'Unione europea per l'economia circolare [link]
2 Ovvero un’economia dove ciò che è al termine del proprio ciclo di vita non viene recuperato come risorsa e riutilizzato nella filiera produttiva, ma
rappresenta un rifiuto da smaltire.
3 Circular economy action plan [link]
4 Certamente, ci possono essere dei trade-offs con altre politiche; pertanto, le filiere di recupero dovrebbero essere analizzate per valutare la loro effettiva
maggiore sostenibilità ambientale. Su questo punto, il paragrafo successivo propone alcune riflessioni.
5 Le pratiche suggerite vanno dai sistemi agro-forestali alla protezione di suoli già ricchi di carbonio come prati, aree umide e torbiere, ad una migliore
gestione delle foreste a strategie per aumentare il contenuto di carbonio nei suoli agricoli impoveriti.
6 Sul tema del consumo responsabile, cfr. articolo di Briamonte su questo stesso numero.
7 Farm to Fork Strategy: Ambitious, Realistic Innovation Pathway for the European food System [link]
8 Un ulteriore ruolo dell’agricoltura nell’economia circolare può essere quello di destinatario di materiale organico proveniente da altri settori, in quanto il
sistema suolo agricolo è probabilmente l’unico capace di valorizzare tale materia organica (si pensi ad es. ai fanghi di depurazione urbani, per i quali però
ci sono problemi a garantire standard adeguati di biosicurezza). Questi aspetti non sono tuttavia analizzati nel presente contributo.
9 Ad esempio, quando un paese sostituisce cibo di produzione nazionale con quello importato, di fatto, diminuisce il proprio impatto ambientale, spostando
gli oneri all’estero.
Riferimenti bibliografici
Barreiro-Hurle, J., Bogonos, M., Himics, M., Hristov, J., Pérez-Domiguez, I., Sahoo, A., Salputra, G., Weiss, F.,
Baldoni, E., Elleby, C. (2021). Modelling environmental and climate ambition in the agricultural sector with the
CAPRI model. Exploring the potential effects of selected Farm to Fork and Biodiversity strategies targets in the
framework of the 2030 Climate targets and the post 2020 Common Agricultural Policy, EUR 30317 EN,
Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2021, ISBN 978-92-76-20889-1.
Beckman J, Ivanic M, Jelliffe J (2021) Market impacts of Farm to Fork: Reducing agricultural input usage. Applied
Economics Perspective and Policy 1–19. [link]
Coderoni S., Perito M.A., (2020) Sustainable consumption in the circular economy. An analysis of consumers’
purchase intentions for waste-to-value food, Journal of Cleaner Production, Volume 252, 10 April 2020, 119870,
https://doi.org/10.1016/j.jclepro.2019.119870
Commissione Europea (2019). Comunicazione Della Commissione al Parlamento Europeo, Al Consiglio, Al
Comitato Economico e Sociale Europeo E Al Comitato Delle Regioni, The European Green Deal, COM(2019)
640 final, Brussels, 11.12.2019
Commissione Europea, (2020a). Comunicazione Della Commissione al Parlamento Europeo, Al Consiglio, Al
Comitato Economico e Sociale Europeo E Al Comitato Delle Regioni. Un nuovo piano d’azione per l’economia
circolare. Per un’Europa più pulita e più competitiva, COM(2020) 98 final, Bruxelles, 11.3.2020.
Commissione Europea, (2020b). Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al
Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni Una strategia “Dal produttore al
consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente
Velasco-Muñoz J.F, Mendoza J.M.F, Aznar-Sànchez J. A., Gallego-Schmid A. (2021), Circular economy
implementation in the agricultural sector: Definition, strategies and indicators, Resources, Conservation &
Recycling 170 (2021) 105618, [link]
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La politica di contrasto allo spreco di cibo: alcune
considerazioni sul perché e come può funzionare
Simone Busetti
Abstract
L’articolo analizza due misure di contrasto allo spreco introdotte dalla legge 166 del 2016: la semplificazione burocratica
delle donazioni e la possibilità di donare cibo oltre il termine minimo di conservazione. L’analisi permette di evidenziare
alcuni caratteri generali dell’attuazione delle politiche di contrasto allo spreco: i costi delle donazioni, la diversità di
risposta da parte di donatori e associazioni che recuperano e distribuiscono cibo, e le barriere reputazionali che
ostacolano le donazioni.
Introduzione
Il problema dello spreco di cibo è diventato progressivamente centrale nell’agenda di governi e istituzioni, dall’arena
internazionale a quella locale. Le politiche di contrasto allo spreco sono però ancora di recente attuazione: pochi sono i
dati esistenti sul problema, poche le valutazioni sull’efficacia, altrettanto poca la conoscenza sulle modalità di
progettazione e sui processi attuativi (Cox et al., 2010; Thyberg & Tonjes, 2016).
L’articolo presenta un’analisi delle politiche di contrasto allo spreco a partire dagli strumenti esistenti in Italia, con
l’obiettivo di identificare alcuni accorgimenti utili al miglioramento delle politiche. Più precisamente, l’articolo analizza due
strumenti inaugurati dalla legge 166 del 2016: la riduzione degli oneri burocratici per i donatori e l’allargamento del
numero di beni donabili, con particolare riferimento al cibo oltre il termine minimo di conservazione (TMC) (ovvero, il
“consumarsi preferibilmente entro”).
Il primo paragrafo fornisce una definizione operativa di spreco di cibo e presenta i possibili obiettivi e interventi di una
politica di contrasto allo spreco. Il secondo paragrafo descrive brevemente il caso italiano, mentre i due paragrafi
successivi discutono l’efficacia e le prospettive delle innovazioni introdotte dalla legge del 2016. Le conclusioni
forniscono alcuni suggerimenti di carattere generale per la progettazione di politiche di contrasto allo spreco.
Lo spreco: cos’è e cosa fare per ridurlo
Lo spreco di cibo è quel surplus di alimenti perfettamente edibile, che viene prodotto, lavorato o messo in vendita ma
che non viene venduto o consumato (Garrone, Melacini, & Perego, 2014a). Due sono i possibili obiettivi delle politiche di
contrasto allo spreco: ridurre la produzione di surplus di cibo (agendo in tutte le fasi della filiera del cibo, dalla
produzione alla vendita) e recuperare il surplus prodotto per riutilizzarlo per il consumo umano, in particolare da parte
delle persone indigenti. La tabella 1 riassume questi obiettivi, i soggetti coinvolti e alcuni esempi di interventi.
Tabella 1 – Il contrasto allo spreco di cibo: obiettivi, soggetti e modalità di interventi
Fonte: (Busetti, 2019)
Seguendo la cosiddetta gerarchia dello spreco alimentare, ridurre la produzione di surplus è certamente l’obiettivo da
preferire. Ciò è possibile attraverso l’intervento su infrastrutture e tecnologie, innovazioni logistiche, campagne di
informazione e diffusione di conoscenze e buone pratiche, sistemi innovativi di packaging ed etichettatura, incentivi
economici e altri strumenti.
Tuttavia, sia nel breve che nel lungo periodo è impossibile immaginare un sistema alimentare senza spreco. Le pratiche
individuali dei consumatori, i processi produttivi e fenomeni non prevedibili, come fluttuazioni di mercato eccezionali,
continueranno ad alimentare una quota di spreco che andrà gestita. Il secondo obiettivo - quello del recupero e della
distribuzione per il consumo umano - resta quindi centrale. In questo secondo caso, i programmi di intervento includono
incentivi fiscali alle donazioni di cibo, sconti sulla tariffa rifiuti parametrati al cibo donato, regolazioni che chiariscono le
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Obiettivi Soggetti coinvolti Esempi di programmi
Ridurre la produzione di surplus
Produttori
Sostegno e promozione di nuove tecnologie, infrastrutture
e innovazioni logistiche
Miglioramenti del collegamento con i mercati
Regolazioni di contrasto alla sovrapproduzione
Promozione cibi con imperfezioni estetiche
Venditori e consumatori
Campagne informative e progetti educativi
Etichettatura e packaging innovativi
Tariffazione rifiuti ‘pay-as-you-throw’
Promozione di cibi con imperfezioni estetiche
Ridistribuire il surplus prodotto Donatori
Organizzazioni di recupero e ridistribuzione cibo
Incentivi fiscali alle donazioni
Leggi del buon samaritano
Ampliamento del numero di cibi donabili
Azioni di supporto alle organizzazioni del recupero
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responsabilità del donatore per il cibo conferito alle associazioni di recupero, il sostegno a queste ultime e l’ampliamento del numero di
prodotti donabili (ad esempio, i cibi oltre il TMC, ma anche quelli confiscati o con packaging errato).
Il caso italiano
L’Italia ha una storia consolidata nella lotta allo spreco. La normativa fiscale ha progressivamente introdotto diversi incentivi alle
donazioni: esenzioni IVA (dpr 633/1972), esclusione dai ricavi dell’impresa (d.lgs. 460/1997), detrazioni IVA (l. 133/1999), e deduzioni
dal reddito imponibile (l. 80/2005). Con la l. 155/2003, l’Italia è stato il primo paese europeo ad approvare una Legge del Buon
Samaritano, ovvero l’equiparazione al consumatore finale delle organizzazioni di volontariato che recuperano e distribuiscono cibo
(limitando quindi la responsabilità del donatore al momento della consegna a queste organizzazioni). L ’ultimo tassello della politica
italiana di contrasto allo spreco è stata la cosiddetta legge Gadda (l. 166/2016 e successive integrazioni), che, sulla scia
dell’Esposizione Universale di Milano del 2015, ha approvato nuove disposizioni che accoglievano il lavoro svolto dal Piano Nazionale
di Prevenzione degli Sprechi Alimentari (PINPAS). Tra le diverse innovazioni introdotte dalla legge del 2016 si ricordano: la riduzione
degli oneri amministrativi per i donatori, l’inclusione di nuovi prodotti tra quelli che possono essere donati (e in particolare i cibi oltre il
TMC), e la possibilità per i comuni di introdurre sconti sulla tariffa rifiuti parametrati alle donazioni di cibo.
Nell’articolo ci soffermiamo sui primi due provvedimenti, sia perché direttamente applicabili, sia perché considerati fortemente
innovativi (Deloitte, 2014), sia infine perché rappresentano classi più generali di strumenti di contrasto e quindi il ragionamento che
faremo può essere esteso ad altri casi. La discussione che segue si basa su un’analisi documentale (letteratura, documentazione
grigia, verbali di commissioni parlamentari, articoli di giornale) e cinque interviste semi-strutturate a informatori privilegiati (un policy-
maker locale; 2 rappresentanti di associazioni di distribuzione, due manager di imprese del settore, donatrici e non).
L’efficacia delle semplificazioni
La legge Gadda introduce una notevole semplificazione delle procedure di donazione. La precedente disciplina prevedeva una
comunicazione preventiva all’amministrazione finanziaria per ogni donazione superiore a 5.164,57 euro e la redazione di documenti di
trasporto con una descrizione dettagliata dei prodotti che venivano donati. La nuova legge elimina le comunicazioni preventive
sostituendole con una comunicazione cumulativa mensile, esonera dall’obbligo di comunicazione per le donazioni di valore inferiore ai
15.000 euro o riguardanti beni facilmente deperibili, e semplifica i documenti di trasporto (ad esempio, potendo riportare
semplicemente il peso complessivo dei beni donati).
La logica della semplificazione si spiega in tre passaggi: se si riducono i costi per i donatori, questi aumenteranno le donazioni e quindi
aumenterà la quota di surplus che viene recuperato. Questa interpretazione nasconde alcune complicazioni che è necessario
considerare nell’apprezzare l’efficacia della disciplina e nel pensare a come migliorarla. Analizziamo quindi i tre passaggi uno alla volta.
Per quanto riguarda i costi dei donatori, se è certo che una semplificazione contribuisce a ridurli, il punto è quanto questa riduzione sia
determinante nella scelta se intraprendere o meno una donazione. La prima considerazione da fare è che donare è costoso. Non solo
corrisponde a un mancato guadagno, ma le operazioni necessarie alla donazione (selezione dei prodotti e stoccaggio) richiedono
spazi, personale e conoscenze (Lebersorger & Schneider, 2014). È poi necessario accordarsi con una organizzazione che effettua il
recupero, organizzare le donazioni, e colmare alcuni gap conoscitivi su procedure e legislazione. Inoltre, questi costi vanno comparati
alle alternative alla donazione: smaltimento e riciclo. Rispetto a queste alternative, il regime fiscale delle donazioni non è
particolarmente favorevole (Baglioni, De Pieri, & Tallarico, 2016; PINPAS, 2015) e riciclo e smaltimento hanno anche il vantaggio di
essere già praticate, conosciute, e comunque necessarie. In questo quadro, la riduzione dei costi amministrativi, certamente positiva,
rischia di avere una portata limitata.
Per quanto riguarda il secondo passaggio, la risposta dei donatori, è necessario considerare che il gruppo target (i soggetti che devono
cambiare comportamento in risposta alla politica) non è mai omogeneo. I donatori possono essere molto diversi - per capacità, risorse,
conoscenze - e quindi rispondere al provvedimento in modo altrettanto diverso. Allo stesso tempo, i costi della donazione possono
variare in base al tipo e alle quantità di surplus prodotto. I costi aumentano se i donatori devono far uso di speciali sistemi di
conservazione e stoccaggio (ad esempio refrigeranti), se il surplus prodotto è eterogeneo (se ad esempio sono necessarie diverse
procedure per diversi prodotti) e se le quantità sono ridotte. Come illustrato in tabella 2, è possibile immaginare due tipi di donatori che
rappresentano un continuum dal caso più propenso a quello più restio alla donazione (Busetti, 2019).
Tabella 2 – Due tipi ideali di donatori
Fonte: (Busetti, 2019)
Come si vede, i donatori del primo tipo sono quelli con grandi quantità di surplus omogeneo che non richiede particolari costi gestionali
(ad esempio, il produttore di pasta o di prodotti in scatola). Questi soggetti non solo hanno minori costi, ma hanno tutte le risorse e le
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Obiettivi Tipo 1 Tipo 2
Caratteristiche del
surplus prodotto
Surplus omogeneo
Grandi quantitativi
Facile stoccaggio e gestione
Surplus eterogeneo
Quantitativi ridotti
Necessità di specifiche modalità e tecnologie di gestione
Capacità, conoscenze
e risorse
Disponibilità di spazi
Disponibilità di personale per la selezione, stoccaggio
e procedure di donazione
Spazi limitati
Carenza di personale
capacità per gestire le operazioni e assolvere alle procedure di donazione. Possono pianificare donazioni di grandi
quantità con largo anticipo e sono probabilmente quelli sui quali una riduzione dei costi amministrativi è meno
determinante nello scegliere se donare o no.
I donatori del secondo tipo sono quelli con quantità inferiori di surplus prodotto, con alimenti eterogenei, in parte
facilmente deperibili, e che necessitano di utilizzare diverse modalità di gestione, alcune delle quali costose. Questo tipo
di donatori (supermercati, mense, ristoranti) hanno difficoltà e costi nel gestire le donazioni e saranno decisamente
favoriti da una riduzione dei costi amministrativi.
Nel valutare la risposta dei donatori di secondo tipo, va però fatta un’ulteriore distinzione tra soggetti che hanno il potere
decisionale di attivare una donazione e quelli che invece non possono donare se non a seguito di una decisione centrale
e di una apposita politica aziendale (ad esempio, i punti vendita che fanno parte di catene commerciali). Questi ultimi
gestiscono il cibo secondo precisi protocolli aziendali e non hanno autonomia nel decidere cosa fare del cibo invenduto.
Ciò vuol dire che un incentivo diretto ai punti vendita, sebbene vantaggioso, può non sortire alcun effetto proprio perché
non agisce sulle preferenze dei decisori ‘corporate’. Il rischio è di generare uno scarto tra i soggetti cui la politica è
indirizzata e quelli che devono davvero cambiare comportamento perché la politica sia efficace.
Infine, l’ultimo passaggio riguarda la risposta delle associazioni che recuperano e utilizzano il cibo donato. La distinzione
tra donatori di tipo 1 e donatori di tipo 2 è ancora rilevante: il surplus prodotto dai donatori di tipo 2 comporterà maggiori
costi di recupero, sia per ragioni logistiche che per la minore vita utile del prodotto donato. Più in generale, un aumento
delle donazioni corrisponde sempre ad un aumento dei costi di recupero per le associazioni (Kantor, Lipton, Manchester,
& Oliveira, 1997) che spesso hanno mezzi e capacità limitate (De Boeck, Jacxsens, Goubert, & Uyttendaele, 2017). In
sintesi, incrementare il dono senza aumentare le capacità e le risorse delle associazioni rischia di sovraccaricare queste
ultime, che raccoglieranno solo una parte del cibo donato, preferibilmente quella di più facile recupero.
Il Termine Minimo di Conservazione e il danno reputazionale
L’innovazione maggiore della legge 166 riguarda la possibilità di donare il cibo oltre il TMC, ovvero il cosiddetto
‘consumarsi preferibilmente entro’. Inoltre, la legge include altri prodotti, come i cibi confiscati, il pane oltre le 24 ore dalla
panificazione, i medicinali o i vestiti.
La logica di questi provvedimenti è apparentemente semplice: se aumenta lo stock di prodotti che possono essere
donati, i donatori decideranno di donare invece che riciclare o smaltire quei prodotti, e le associazioni recupereranno e
distribuiranno una maggiore quantità di surplus. Alcuni degli aspetti discussi nel paragrafo precedente sono validi anche
in questo caso: donare è un costo per i donatori, non tutti i donatori hanno il potere decisionale di decidere la
destinazione del cibo donabile e la capacità delle associazioni di recupero e ridistribuzione è limitata. In questo
paragrafo vediamo ulteriori elementi che influenzano l’efficacia della politica con riferimento al cibo oltre il TMC,
analizzando i tre passaggi che abbiamo definito.
Per quanto riguarda il primo - l’aumento dei cibi donabili - l’ipotesi è che esista uno stock di cibo oltre il TMC che viene
smaltito e che, con l’introduzione del provvedimento, può finalmente essere donato. Per capire l’effettiva rilevanza di
questo fenomeno, vale la pena notare che la legge non si occupa dei consumatori, che secondo le stime FAOstat sono
responsabili in Italia di circa il 40% dello spreco di cibo (Priefer, Jörissen, & Bräutigam, 2016). Secondo le stesse stime,
inoltre, un ulteriore 40% dello spreco avviene nella produzione agricola e nella conservazione dopo il raccolto, ovvero in
fasi della filiera dove il cibo oltre il TMC non è ovviamente una ragione dello spreco. Infine, la restante percentuale di
spreco avviene durante le fasi di lavorazione, confezionamento e distribuzione. È su questo 20% che la disciplina può
fare la differenza, ma è necessario analizzare quanto il cibo oltre il TMC sia davvero una ragione di spreco in queste
fasi.
Per quanto riguarda le imprese di lavorazione del cibo, Garrone, Melacini, & Perego (2014b) riportano che la prima
causa di spreco, pari al 66,9% del surplus prodotto, riguarda cibo che ha oltrepassato la data di vendita interna. Per
quanto riguarda i distributori, questa percentuale ammonta al 48,7%. La data di vendita interna è normalmente stabilita a
un terzo della vita utile del prodotto in modo da permettere l’arrivo sugli scaffali in tempo utile per il consumatore. Le altre
cause di spreco in queste due fasi riguardano gli standard di vendita dei prodotti, i criteri estetici, e il packaging. In tutti
questi casi, si tratta di cibo molto lontano dal TMC, che infatti non costituisce un fenomeno rilevante né nella produzione
né nella distribuzione. Nonostante non siano disponibili dati comparabili sui punti vendita, è immaginabile che in questa
fase della filiera lo spreco da TMC sia invece un problema: Lebersorger e Schneider (2014) stimano che circa il 28%
dello spreco dei punti vendita sia dovuto all’aver oltrepassato la data in etichetta, di scadenza o di TMC.
Per quanto riguarda il secondo passaggio - la risposta dei donatori - anche nel caso del cibo oltre il TMC è utile tener
presente che diversi tipi di donatori risponderanno al provvedimento in modo diverso.
Per quanto riguarda i venditori, ad esempio, il rischio è che la qualità del cibo donato possa diminuire: più lontano il
termine in cui è possibile donare, minore la vita utile del cibo donato. Alexander & Smaje (2008) segnalano l’esistenza di
una gerarchia nella gestione dei prodotti in vendita compatibile con questi rischi: vendere, vendere ad un prezzo ridotto,
utilizzare il cibo nella mensa aziendale se esistente, vendere ai propri dipendenti e a questo punto donare. Allo stesso
modo, De Boeck et al. (2017) riportano che spesso soltanto una parte delle donazioni è davvero utilizzabile e che parte
dei costi di smaltimento rischiano di essere trasferiti dai venditori alle associazioni di recupero; un rischio possibilmente
aumentato dalla possibilità di donare oltre il TMC.
I produttori di cibo hanno invece preferenze diverse e manifestano delle forti resistenze a donare cibo oltre il TMC.
Quando il cibo è riconoscibile dal nome del produttore, la prospettiva di un danno reputazionale è tale da preferire usi
alternativi al dono. Il rischio è che donare possa danneggiare piuttosto che accrescere la reputazione del donatore
(Baglioni et al., 2017). In sintesi, il permesso legale di donare cibo oltre al TMC non risolve il carattere ancora
stigmatizzante dell’aver oltrepassato il “consumarsi preferibilmente entro” ed è quindi insufficiente a eliminare il danno
reputazionale che ostacola le donazioni.
Infine, l’ultimo passaggio riguarda la raccolta e la distribuzione da parte delle associazioni di recupero. Per definizione, il
cibo oltre il TMC necessita di una raccolta immediata e quindi di un livello di risorse e capacità - logistiche, di
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conservazione e di distribuzione - tutt’altro che scontate. È quindi plausibile immaginare non tanto resistenze, quanto
difficoltà oggettive nel raccogliere questo cibo, soprattutto nel caso di associazioni locali con dotazioni di mezzi e
personale limitate.
Per quanto riguarda invece la distribuzione del cibo agli indigenti, è possibile distinguere tra quelle associazioni che
distribuiscono borse spesa e pacchi alimentari e le mense che preparano pasti da consumare direttamente in sede.
Mentre queste ultime possono utilizzare senza problemi il cibo oltre il TMC nella preparazione dei pasti, le associazioni
che distribuiscono pacchi spesa tendono ad essere restie ad includere prodotti oltre il TMC. La ragione è duplice.
Innanzitutto, c’è la priorità di distribuire cibo di alta qualità, ovvero con una vita utile tale che il cibo sia di massimo valore
per chi lo riceve. E qui si inserisce la seconda ragione, che è ancora reputazionale: evitare di danneggiare l ’immagine
dell’associazione distribuendo alle persone bisognose cibo che è largamente percepito come di qualità inferiore, se non
addirittura del tutto inadatto al consumo.
Alcune implicazioni per la politica di contrasto allo spreco
Dall’analisi svolta, è possibile trarre cinque implicazioni utili alla progettazione di politiche di contrasto allo spreco. Si
tratta di considerazioni che, pur partendo dai due strumenti discussi nei paragrafi precedenti, hanno una valenza più
generale e sono potenzialmente applicabili ad altri interventi.
La prima è che la donazione è soltanto una delle possibili alternative per la gestione del surplus di cibo e, al di là del suo
valore sociale, è comunque costosa e non necessariamente la più semplice. Ridurre i costi amministrativi è senz’altro un
passo in avanti, ma un approccio coordinato allo spreco necessita di rendere la donazione il più possibile favorita, anche
attraverso interventi di natura fiscale che consentano di far prevalere il dono su opzioni già praticate come riciclo e
smaltimento.
La seconda implicazione è quella di calibrare gli incentivi rispetto a chi può decidere di attivare le procedure di
donazione, che non sempre coincide con il soggetto produttore dello spreco. Certamente le operazioni di donazione nei
punti vendita devono essere semplici, ma si può pensare a politiche che incentivino l’impresa, cercando di facilitare gli
accordi di donazione a livello corporate e valorizzando l’immagine aziendale.
La terza implicazione è che le organizzazioni di volontariato sono uno dei cardini di un’attuazione efficace e vanno
sostenute. Ciò può essere fatto in molti modi, sia attraverso il sostegno economico diretto, sia attraverso interventi di
natura organizzativa o logistica che ne facilitino le operazioni. Un buon esempio sono gli ‘hub’ di quartiere per lo
stoccaggio e la distribuzione progettati a Milano: riducono i costi di recupero, garantiscono la sicurezza del cibo e in
generale ottimizzano il circuito del dono.
Il quarto punto da segnalare riguarda i rischi reputazionali, che sono generali ma certamente accresciuti dal cibo oltre il
TMC. Oltre alle questioni già affrontate, vale la pena ragionare sul fatto che è la generale percezione che questo cibo sia
di qualità inferiore e non adatto al consumo a renderne stigmatizzante la donazione, il recupero e la distribuzione. Di
fronte a questo tipo di ostacoli, regolazioni e protezioni legali rischiano di essere poco efficaci. Piuttosto, strumenti di
lungo periodo che puntino a cambiare la generale percezione del TMC, quali educazione e formazione, possono favorire
questo cambiamento. Lo stesso può dirsi per diciture che chiariscano in modo il più possibile evidente la differenza tra
‘consumarsi preferibilmente entro’ e la data di scadenza, in modo da segnalare il valore del cibo oltre il TMC.
Da ultimo, vale la pena notare un fatto in parte ovvio ma che merita di essere ripetuto. Tutte le politiche - anche
provvedimenti che appaiono di funzionamento semplice e quasi automatico come quelli analizzati - si indirizzano a
soggetti autonomi, ovvero con preferenze proprie che non necessariamente sono congruenti con gli obiettivi della
politica. Inoltre, questi soggetti non costituiscono mai un gruppo omogeneo, ma hanno obiettivi, capacità e risorse
diverse. Come si è visto sia per il caso dei soggetti donatori che per le associazioni di recupero e di distribuzione, lo
stesso provvedimento può generare effetti eterogenei e queste differenze sono centrali nel progettare politiche efficaci.
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L’impegno contro lo spreco alimentare: un’opportunità di
cambiamento per la sostenibilità globale
Vanessa Giannetti e Greta Livi
Abstract
Il fenomeno del food waste, a causa delle sue implicazioni economiche, ambientali e sociali, rappresenta un tema di
particolare rilevanza per la transizione verso lo sviluppo sostenibile. Recentemente sono numerose le iniziative che
hanno portato ad azioni concrete. Ad oggi, la migliore destinazione delle eccedenze è la loro ridistribuzione attraverso la
donazione solidale, che aiuta sia a combattere la povertà alimentare che ridurre gli impatti sull’ambiente.
Introduzione
Lo spreco alimentare è uno tra i temi più dibattuti dell’ultimo decennio e rappresenta una priorità dell’agenda politica di
tutti i Paesi per garantire una sostenibilità futura.
Con il passare del tempo, infatti, la trasformazione industriale del settore agroalimentare e la globalizzazione dei
consumi hanno comportato, da un lato, la nascita di nuovi stili alimentari adatti a tutti i gusti, ma dall’altro un consumo
eccessivo di risorse naturali.
I dati disarmanti, che continuano negli anni a far riflettere, sono quelli relativi alle quantità di cibo che finiscono nella
spazzatura (circa 931 milioni di tonnellate nel 2019) - la metà del quale ancora perfettamente commestibile - a fronte di
un 9% circa della popolazione mondiale che soffre ancora la fame (UNEP, 2021; FAO, 2021). Secondo l’Organizzazione
delle Nazioni Unite (UNEP, United Nations Environment Programme) circa il 17% della produzione alimentare globale va
perso o sprecato nel passaggio fra il produttore e il consumatore (11% negli ambienti domestici, 5% nel servizio
alimentare e 2% nei punti vendita al dettaglio). Il percorso, per arginare questo fenomeno dilagante, richiede pertanto
un’opera redistributiva tra i vari attori della filiera che inizia dai campi, passando per le aziende agricole e le imprese
agroalimentari, proseguendo lungo la catena distributiva e arrivando nelle case dei consumatori, dove il fenomeno si
aggrava ulteriormente (più del 60% degli sprechi di cibo deriva dai consumi domestici, UNEP 2021). Il Food Waste Index
Report 2021, rivela che a livello mondiale mediamente ciascuna persona spreca 74 kg di alimenti ogni anno; i dati
nazionali collocano l’Italia leggermente al di sotto della media globale, con 67 kg di cibo pro-capite gettato annualmente.
A sorprendere è il fatto che lo spreco alimentare non è un fenomeno che riguarda soltanto i Paesi a reddito elevato, i
loro dati infatti non si discostano molto da quelli rilevati in Paesi a reddito medio o medio-basso. Ma a differenziare
questi valori sono le cause relative alle perdite e agli sprechi tra i vari Paesi del mondo. Infatti, per i Paesi del Nord del
pianeta esse sono legate principalmente all’eccessiva produzione e acquisto di cibo - spesso gettato via quando ancora
commestibile; allo scarso valore riconosciuto al cibo - perché standardizzazione e produzione di massa hanno permesso
di contare su una maggiore varietà a prezzi sempre più bassi; alla mancata pianificazione degli acquisti - resa difficile dai
ritmi sempre più frenetici; alla scarsa conoscenza, al disinteresse e alla confusione creata dalle etichette alimentari. A
differenza, per i Paesi del Sud del mondo, lo spreco è associato soprattutto alla mancanza di infrastrutture, di tecniche di
coltivazione e raccolto efficienti; alle carenze nei trasporti e nella distribuzione; alle tecniche di immagazzinamento e
conservazione inadatte; alle condizioni climatiche spesso avverse; e non da ultimo, alla competizione per la produzione
di biocarburanti, biogas e mangimi per animali.
Il Food Waste Index Report 2021 rappresenta oggi la più complessa e attendibile stima dello spreco alimentare mai
prodotta a livello globale. Finora è stato infatti difficile valutare la reale dimensione del fenomeno e dei suoi impatti,
perché le valutazioni si basavano fondamentalmente sul monitoraggio di un ristretto campione di Paesi, su dati poco
aggiornati e su metodologie e strumenti di rilevazione non uniformati tra i vari Stati, andando così per un lungo periodo a
sottostimare il fenomeno. Lo sforzo dell’UNEP nella redazione di questo rapporto non produce certamente risultati
definitivi, ma traccia un percorso per affinare il metodo di quantificazione degli sprechi alimentari. L’Agenzia per
l’ambiente delle Nazioni Unite suggerisce inoltre ai singoli Paesi come migliorare le proprie stime, segnalando che ad
oggi ancora solo 17 nazioni sono in grado di fornire dati di alta qualità, mentre lacunose sono le statistiche relative ai
Paesi a basso reddito. A rendere ancora più incerti i dati sul fenomeno - che dilaga oramai da diversi decenni e che ha
raggiunto dimensioni insostenibili negli ultimi anni - è l’assenza tuttora di una definizione univoca di “spreco alimentare”,
sia nella letteratura scientifica specializzata che a livello istituzionale. La prima definizione è stata fornita già quarant’anni
fa dalla FAO, secondo la quale il food waste comprende “qualsiasi sostanza sana e commestibile che - invece di essere
destinata al consumo umano - viene sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in ogni fase della filiera
agroalimentare” (FAO, 1981). Nel 2011, lo Swedish Institute for Food and Biotechnology (SIK) ha condotto uno studio,
commissionato dalla FAO, nel quale per la prima volta propone la distinzione tra perdite (food losses) e spreco
alimentare (food waste) (FAO e SIK, 2011). Nel primo caso, si intendono le perdite di prodotti alimentari che si
riscontrano durante le prime fasi della filiera: produzione agricola, post-raccolto e trasformazione dei prodotti agricoli; nel
secondo caso, si intendono gli sprechi di cibo che si verificano nell’ultima parte della catena alimentare (distribuzione,
vendita e consumo finale). Sintetizzando, le perdite si verificano prima che l’alimento raggiunga il consumatore, a causa
di inefficienze nella produzione e trasformazione alimentare, scaturendo pertanto principalmente da limiti logistici e fattori
infrastrutturali; mentre, gli sprechi si verificano a causa di inefficienze nel consumo, derivando maggiormente da fattori
comportamentali. Anche nel panorama europeo, seppur la Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale del
Parlamento europeo abbia nel 2011 fornito una definizione più puntuale di spreco alimentare1, ancora ad oggi non vi è
stata una formalizzazione della stessa, per cui i singoli membri dell’UE possono riferire a definizioni elaborate a livello
nazionale. Per esempio, in Italia, i Proff. Andrea Segrè e Luca Falasconi, fondatori di Last Minute Market, definiscono lo
spreco alimentare come i “prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare, che hanno perso valore commerciale,
ma che possono essere ancora destinati al consumo umano” (Segrè e Falasconi, 2011). Tuttavia, indipendentemente
dalle molteplici definizioni fornite dai diversi Paesi e dall’assenza di una metodologia di valutazione univoca, tutto il
mondo è concorde nell’affermare che le perdite e gli sprechi alimentari rappresentano oggi più che mai una sfida urgente
e globale, indispensabile per lo sviluppo sostenibile.
L’Obiettivo 12.3 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite indica infatti di dimezzare entro il 2030 lo spreco alimentare
globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di
produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto (ONU, 2015).
Il cibo: merce o bene comune?
Nel corso del tempo, anche la filiera agroalimentare ha subìto una trasformazione, diventando sempre più lunga ed
articolata. Da un lato, l’incremento della popolazione mondiale che dalle campagne continua a spostarsi nei centri urbani
- con conseguente aumento delle distanze geografiche che separano il luogo della produzione da quello del consumo - e
dall’altro, la crescente richiesta dei consumatori in termini di disponibilità e convenienza dei prodotti alimentari, hanno di
fatto allungato l’intero percorso alimentare, rendendo la struttura distributiva e l’offerta alimentare sempre più complessa,
tanto da aggravare ulteriormente il fenomeno del food waste. Tra le principali cause di spreco di cibo che si registrano
nei processi di distribuzione e vendita, la Commissione europea (CE) ha individuato le inefficienze nella gestione dei
magazzini e delle scorte; i danni causati agli imballaggi che rendono il cibo invenduto; gli elevati standard estetici
richiesti dal mercato; le strategie di marketing e pubblicità che spesso incoraggiano acquisti smisurati (2 al prezzo di 1).
Tra quelle riconducibili alla fase del consumo finale - che avviene generalmente nei luoghi di ristorazione e nelle
abitazioni domestiche - la CE ha invece rilevato lo scarso valore che i consumatori associano al cibo, tanto da generare
disinteresse ad usarlo efficientemente; l’eccedenza delle porzioni servite o delle quantità di cibo preparate; la
sovrabbondanza degli alimenti acquistati per una mancata pianificazione degli acquisti e di conseguenza l ’incapacità a
consumarli entro il periodo di scadenza; e, non da ultimo, le difficoltà del consumatore ad interpretare correttamente le
indicazioni fornite in etichetta (CE, 2014). Nel loro complesso, tutte queste cause potrebbero essere interpretate come
conseguenza del fatto che nella società contemporanea il cibo è assimilato ad una commodity alla stregua delle altre,
ossia una merce legata alla logica tradizionale di produzione-consumo-smaltimento (il cibo si vende, si consuma e si
spreca). Se così è, diventa difficile contrastare questo fenomeno in modo strutturale e radicale; al contrario, se lo spreco
alimentare è considerato come l’effetto di una mancanza di valore attribuita al cibo potrebbe invece essere contrastato
con l’elaborazione di politiche che abbiano come obiettivo, non tanto quello di “riparare” un sistema agroalimentare che
non funziona, quanto quello di ridurre/eliminare la causa generatrice del fenomeno, riconoscendo al cibo e alla sua
produzione il valore di bene comune. Tuttavia, non va sottovalutato che in un sistema basato sul meccanismo della
produzione eccessiva e dello smaltimento veloce delle scorte per poter immettere sul mercato nuovi prodotti, lo spreco
non rappresenta più un “incidente di percorso”, ma diventa funzionale al sistema (Hudson e Messa, 2021).
Il 30 Settembre 2021, in occasione della 2a “Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi alimentari”, la
FAO e l’UNEP con i loro partner, hanno sottolineato che trasformare i sistemi agroalimentari rendendoli più efficienti,
inclusivi e sostenibili è fondamentale, non solo per il raggiungimento del target 12.3 dell’Agenda 2030, ma per evitare
che gli sprechi e le perdite alimentari vanifichino gli sforzi per il raggiungimento degli altri Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile, quali sconfiggere la fame nel mondo e migliorare la nutrizione (Goals 2 e 3), ridurre le pressioni sulle risorse
naturali e sull’ambiente (Goals 13). È quindi evidente che se non si eliminano, o comunque riducono, gli sprechi
alimentari non si centreranno gli obiettivi dell’Agenda 2030.
Lo spreco alimentare è una questione etica, ambientale ed economica
Un sistema agroalimentare che non è in grado di garantire cibo a sufficienza per l’intera popolazione mondiale pur
generando enormi quantità di perdite e sprechi è evidentemente un sistema insostenibile sia in termini etici e sociali che
economici ed ecologici. Che si parli di sprechi o di perdite, tutto il cibo ha richiesto un contributo in risorse naturali e
umane (suolo, energia, acqua, tempo, carburante, denaro), nonché un apporto di inquinanti (per non perdere o per
aumentare le rese), per essere prodotto, trasformato, trasportato, confezionato, conservato, venduto ed acquistato.
L’UE ha stimato che sul suo territorio vengono gettati annualmente 88 milioni di tonnellate di cibo, equivalente a circa il
20% di tutto il cibo prodotto. Il costo di tale spreco, secondo il Rapporto 2020 dell’Osservatorio Waste Watcher, è stato
quantificato intorno a 143 miliardi di euro, di cui ben 98 attribuibili allo spreco domestico, che rappresenta quindi la parte
più consistente dell’intera filiera alimentare. Le stime sulla perdita economica del cibo gettato via si aggirano tra i 3,2 e i
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6,1 euro per Kg di cibo sprecato a settimana per nucleo famigliare. Dati meno recenti, ma sconcertanti, mostrano che a
livello globale, il costo economico diretto dello spreco alimentare di prodotti agricoli (con l’esclusione di pesce e
crostacei), basato solo sui prezzi del produttore (es. produttori costretti a lasciare i loro prodotti nei campi senza
raccoglierli o a scartare prodotti commestibili perché non conformi agli standard del mercato per dimensioni e/o estetica),
ammonta a circa 750 miliardi di dollari, l’equivalente del PIL della Svizzera (Hudson e Messa, 2021).
Dal punto di vista ecologico, l’impatto non è da meno, infatti la produzione alimentare genera emissioni di gas
climalteranti, e di conseguenza, lo spreco alimentare incide sui cambiamenti climatici. È stato stimato che l’impronta di
carbonio del cibo prodotto e non consumato globalmente è pari a 3.3 miliardi di tonnellate di CO2eq, rappresentando la
terza fonte di emissioni al mondo, dopo Stati Uniti e Cina (secondo la WRAP – Waste and Resources Action Programme
– ogni tonnellata di cibo sprecato è responsabile di 4.5 tonnellate di CO2). In Europa, gli sprechi alimentari
produrrebbero circa 186 milioni di tonnellate di CO2eq, e a questo devono aggiungersi gli impatti legati all’acidificazione
ed eutrofizzazione, che rappresentano il 15-16% degli impatti prodotti dalla catena di produzione alimentare (Rapporto
Waste Watcher 2020), la perdita di suolo, i consumi idrici, gli impatti sulla biodiversità. Infine, il cibo sprecato si trasforma
in rifiuti, che richiedono ulteriori risorse per essere gestiti. Secondo la FAO, nonostante le pesanti conseguenze
ambientali della produzione alimentare siano ampiamente riconosciute, sono ancora scarsi gli studi che hanno
analizzato i reali impatti dello spreco alimentare globale da un punto di vista ambientale. A tutto questo si aggiunge
l’aspetto etico legato agli sprechi; infatti, su un Pianeta in cui l’11% della popolazione mondiale (più di 820 milioni di
persone) non ha accesso a cibo adeguato e a diete sane - sprecare alimenti risulta gravemente immorale (FAO, 2019).
Dunque, diffondere modelli sostenibili di produzione e di consumo è auspicabile non solo per la crescita dell ’economia
globale, ma per la salute, per un’alimentazione equilibrata, per l’ambiente e la società intera.
Il Green Deal e la strategia “Farm to Fork”
Nel 2019, la CE lancia il Green Deal, un ambizioso progetto europeo con l’obiettivo di trasformare l’UE in una società
giusta e prospera, dove le emissioni nette di gas serra saranno azzerate e la crescita economica sarà disaccoppiata
dall’uso delle risorse naturali (CE, 2019). Si tratta di una strategia che traccia le modalità per rendere l’Europa il primo
continente climate neutral entro il 2050. Al centro del Green Deal si pone la nuova strategia “Farm to Fork” (F2F), anche
detta “dal produttore al consumatore” (CE, 2020). Seppur si tratti di un concetto già utilizzato in passato nell’ambito
agroalimentare per indicare che gli alimenti che arrivano sulle tavole dei consumatori debbano essere sicuri, di elevata
qualità, e rispettosi della salute degli animali; questo piano decennale si è reso necessario per guidare la transizione
verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. È la prima volta, infatti, che l’Unione Europea mette
a punto una strategia che proponga misure e obiettivi per la sostenibilità dei sistemi alimentari, superando la logica
settoriale, cioè di politiche centrate singolarmente su agricoltura, ambiente, salute o commercio, rivelatesi spesso
incompatibili l’una con l’altra. Ogni Stato membro dell’UE dovrà adottare norme a livello nazionale che consentano di
contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nella strategia F2F.
Per guidare la transizione dell’agricoltura verso pratiche più sostenibili tale strategia individua sei macro-obiettivi, per
ciascuno dei quali sono stati prefissati numerosi e ambiziosi target quantitativi.
La lotta contro le perdite e gli sprechi alimentari rappresenta uno di questi macro-obiettivi, che non si limita solo a
prevenire le perdite e gli sprechi lungo l’intera filiera alimentare, ma intende operare nella logica del recupero e della
redistribuzione delle eccedenze alimentari che altrimenti andrebbero definitivamente sprecate.
Per centrare questi obiettivi occorrono sicuramente investimenti in ricerca e innovazione ed un monitoraggio continuo ed
accurato del fenomeno. A fine 2019 è stata introdotta a livello comunitario una metodologia comune e requisiti minimi di
qualità per la misurazione armonizzata dei livelli di rifiuti alimentari generati a livello nazionale (Decisione delegata UE,
2019). Tale metodologia dovrà essere utilizzata da tutti gli Stati membri dell’UE ai fini degli obblighi di rendicontazione
introdotti dalla Dir. (UE) 851/2018 relativa ai rifiuti (Direttiva UE, 2018). L’obiettivo generale è quello di ottenere entro la
metà del 2022 un primo database europeo sugli sprechi alimentari necessario per delineare nuovi obiettivi che vadano a
contrastare il fenomeno del food waste.
A fianco alla riduzione degli sprechi alimentari, la strategia F2F punta a garantire una produzione alimentare sana e
sostenibile, a promuovere il consumo di cibi sostenibili e a sostenere la transizione verso abitudini alimentari sane.
La strategia si rivolge anche alle istituzioni pubbliche, come scuole ed ospedali, e alle aziende private, invitandole ad
adottare misure per ridurre il proprio impatto ambientale rivedendo l’offerta alimentare. Lo scopo generale della strategia
è quindi quello di ridurre l’impronta ambientale e climatica del sistema agroalimentare europeo, consolidando la
resilienza, assicurando l’approvvigionamento alimentare, affrontando la problematica degli sprechi alimentari e guidando
l’intero continente alla sostenibilità, dal produttore al consumatore. Affinché la transizione funzioni però è necessario
intervenire anche sui regimi alimentari tradizionali attraverso, per esempio, la riduzione del consumo di carni rosse
trasformate in modo da limitare sia i costi sanitari che l’impatto ambientale del sistema alimentare (FAO e WHO, 2019).
Per far sì che i consumatori possano compiere scelte alimentari consapevoli, la Commissione europea ha inoltre
proposto l’inserimento obbligatorio dell’etichettatura nutrizionale sostenibile e intende riesaminare le norme relative alle
indicazioni riferite alla data di scadenza (“da consumarsi entro …”) e al termine minimo di conservazione (“da
consumarsi preferibilmente entro…”) dei prodotti. La CE rivolge particolare attenzione alla trasparenza delle informazioni
in etichetta dato che tali indicazioni continuano a generare confusione tra i consumatori determinando ulteriori sprechi
alimentari.
Le iniziative legislative in Italia
Anche a livello nazionale, il tema dello spreco alimentare ha una fortissima valenza; oggi, è il Ministero della Transizione
Ecologica, in particolare la Direzione generale per l’Economia Circolare, ad occuparsene. Il Programma Nazionale di
Prevenzione dei Rifiuti adottato nel 2013 aveva già previsto una specifica sezione dedicata a possibili misure per la
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riduzione dei rifiuti alimentari e, nel 2014, la task force “Analisi ed elaborazione di modelli per la riduzione degli sprechi
alimentari” ha definito un Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari (PINPAS) andando ad implementare
successivamente il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (DD, 2013; PIMPAS, 2014).
Nel 2016, la c.d. Legge antispreco, nella quale confluiscono molti elementi del PINPAS, vuole favorire iniziative
pubbliche e private per il recupero e la donazione di prodotti alimentari e farmaceutici per fini di solidarietà sociale (L.
166/2016). Con tale legge, infatti, gli operatori del settore alimentare possono cedere gratuitamente le eccedenze
alimentari a soggetti donatori, i quali devono destinarle, anch’essi gratuitamente, in via prioritaria a favore di persone
indigenti, se si tratta di prodotti idonei al consumo umano; altrimenti al sostegno di animali e all ’autocompostaggio. Nel
2017, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottoscritto con l’Associazione nazionale comuni
italiani un Protocollo d’intesa per la promozione di iniziative finalizzate alla riduzione dei rifiuti alimentari (MATTM e
ANCI, 2017). Nel 2018, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali pubblica anche un Bando per il
finanziamento di progetti innovativi finalizzati alla limitazione degli sprechi e l’impiego delle eccedenze alimentari al fine
di contribuire alla riduzione della produzione dei rifiuti alimentari attraverso azioni di solidarietà sociale (c.d. Bando
“eccedenze”).
Alcune iniziative in atto contro gli sprechi alimentari
Oggigiorno, le iniziative di riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari e di recupero dei prodotti alimentari non più
vendibili ma ancora commestibili, si sono moltiplicate in tutto il mondo contribuendo a porre sempre maggiore attenzione
su questa problematica. Diverse ONLUS si occupano della raccolta e del recupero di prodotti agroalimentari lungo la
filiera agricola e industriale e della loro ridistribuzione a strutture caritative, come ad esempio la Fondazione Banco
Alimentare in Italia e similmente altre food banks presenti a livello globale (in Europa ne esistono più di 229 e negli Stati
Uniti più di 200 raggruppate nel Feeding America) oppure Pane Quotidiano che hanno come scopo primario la
valorizzazione sociale delle eccedenze alimentari a scopo benefico. Altre iniziative prevedono il recupero del cibo e la
distribuzione presso cucine di comunità, come le mense, per persone a rischio di povertà alimentare e isolamento
sociale, come ad esempio: l’organizzazione benefica del Regno Unito “FoodCycle”; oppure il recupero degli scarti
alimentari dei mercati per la preparazione di cene conviviali a scopo di beneficienza, come il progetto no-profit “Dinner
Exchange” a Berlino nato con l’obiettivo di sensibilizzare la comunità sul problema dei rifiuti alimentari. Altre iniziative
sono invece promosse da agenzie governative e da enti pubblici locali, come per esempio: il progetto “Buon Samaritano”
del Comune di Torino o il progetto “WRAP” (Waste Resources Action Program) nel Regno Unito promosso dalla FSA
(Food Standard Agency) e dal DEFRA (Dipartimento per l’ambiente, gli alimenti e gli affari rurali) impegnato nella lotta
agli sprechi alimentari a livello di consumo finale. Tra le iniziative del WRAP, la pubblicazione di Linee guida
sull’etichettatura con lo scopo di fornire maggiori informazioni ai consumatori su come utilizzare/conservare al meglio i
loro alimenti, in modo da diminuire i due milioni di tonnellate di cibo sprecato ogni anno nelle case inglesi per non essere
stato utilizzato entro la data di scadenza.
Esistono, poi, vere e proprie campagne di sensibilizzazione sullo spreco alimentare come il “Love Food, Hate Waste” del
WRAP e “This is Rubbish” in Gran Bretagna, il movimento “Stop Wasting Food” in Danimarca, o campagne nate da
progetti scolastici e rivolte agli adolescenti come l’“Edible Schoolyard Project” negli Stati Uniti. Nel settore agricolo
esistono organizzazioni private per la lotta allo spreco come il “Grow Sheffield’s Abundance Project” in Gran Bretagna e
il “City Slicker Farms” negli Stati Uniti. Altre iniziative anti-spreco arrivano direttamente dalla GDO, dove la catena
distributiva dedica un’area del negozio alla raccolta di alimenti “invenduti” - perché presentano un piccolo difetto sulla
confezione o perché sono prossimi alla data di scadenza - scontandoli dal 30 al 50%, come ad esempio il “Buon Fine” di
Coop in Italia.
Anche nella ristorazione nascono iniziative contro lo spreco, come ad esempio la rete di ristoranti aderente al progetto “Il
Buono che Avanza” in Lombardia che propongono ai propri clienti di portar via, in una doggy bag, il cibo e il vino
avanzati informandoli sul valore sociale di questa scelta. Nell’epoca del digitale non possono mancare le applicazioni per
smartphone per combattere lo spreco alimentare, come per esempio “Too Good To Go” che permette ai commercianti e
ristoratori di mettere in vendita a prezzi ridotti il cibo invenduto a fine giornata e ai consumatori di acquistare “Magic Box”
a un terzo del prezzo di vendita. Nata in Danimarca nel 2015, l’App è oggi presente in 15 Paesi dell’UE, negli Stati Uniti
e in Canada con 44 milioni di utenti, più di 110 mila negozi aderenti e oltre 90 milioni di Magic Box vendute (in Italia è
stata lanciata nel 2019 in più di 70 città). Queste sono solo alcune delle numerose iniziative che fortunatamente, negli
ultimi anni, continuano ad aumentare.
Conclusioni
La riduzione delle perdite agroalimentari dalla fase di produzione agricola fino alla distribuzione, il recupero delle
eccedenze per favorire una migliore disponibilità di cibo per tutti, la prevenzione degli sprechi a livello domestico ed
extradomestico, rappresentano oggi una sfida planetaria per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile
dell’Agenda 2030 dell’ONU.
L’Osservatorio Waste Watcher sullo spreco alimentare e sulle abitudini di acquisto e gestione del cibo, avviato in Italia
nel 2013, e diventato un punto di riferimento nazionale ed europeo sul tema, nell’ultimo Rapporto 2020 stima che ogni
anno nell’UE vengono generati circa 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, con conseguenti costi stimati a 143
miliardi di euro. Allo stesso tempo, si stima che nell’UE circa il 7,5% della popolazione vive in condizioni di grave
deprivazione materiale, e quella principale è proprio l’accesso al cibo. Ma, oltre a generare un rilevante impatto
economico e sociale, i rifiuti alimentari esercitano anche una pressione significativa sulle limitate risorse naturali e
sull’ambiente, con una produzione di circa 186 milioni di tonnellate di CO2eq.
Per far fronte a tale insostenibilità, l’UE sostiene da anni campagne di sensibilizzazione a livello nazionale, regionale e
locale, insieme alla diffusione di buone pratiche in materia di prevenzione dei rifiuti alimentari, con l’intento di modificare i
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comportamenti dei diversi attori della filiera agroalimentare coinvolti. S’impegna, inoltre, a fornire chiarimenti sulle
indicazioni riportate in etichetta che possano essere erroneamente interpretate dai consumatori inducendoli a gettare
cibi ancora commestibili, e a promuovere norme in materia di donazione per scopo sociale.
Oggi il tema dello spreco alimentare è particolarmente tenuto in considerazione nel Green Deal europeo e i modelli di
business innovativi che hanno come mission quella del recupero e della ridistribuzione delle eccedenze alimentari a fini
sociali sono considerati promotori della transizione verso un’economia circolare, tanto che la prevenzione degli sprechi
alimentari è parte integrante del nuovo pacchetto europeo sull’economia circolare.
A livello nazionale, la Legge 166/16 ha chiarito, armonizzato e semplificato il quadro normativo in materia di recupero
alimentare, incentivando aziende, GDO, esercizi commerciali e ristoratori a donare il cibo in eccesso e consentendo a
tutti gli enti no profit di beneficiare degli alimenti per sostenere le persone bisognose. Negli ultimi anni molto si è fatto,
ma sono ancora tanti gli sforzi richiesti a livello di sistema per ricercare nuove soluzioni organizzative e tecnologiche che
possano contrastare concretamente il fenomeno del food waste.
Seppure il panorama politico risulti ancora frammentato e molti Paesi non abbiano ancora elaborato strategie di
riduzione degli sprechi alimentari coerenti e a lungo termine, l’iniziativa europea del Green Deal potrebbe contribuire a
spingere i singoli governi ad elaborare propri piani per affrontare il fenomeno a livello globale.
Recentemente, su scala globale, stiamo assistendo alla nascita di numerose iniziative di organizzazioni, imprese e
cittadini volte a responsabilizzare le imprese della produzione agroalimentare, le imprese della GDO, e i consumatori
attraverso campagne di sensibilizzazione ed azioni solidali antispreco.
Lo spreco e le eccedenze alimentari sono un tema etico di grande rilevanza ed oggi più che mai, l’adozione di modelli di
produzione e di consumo responsabile si rendono indispensabili per contrastare le difficoltà di accesso al cibo e per
ridurre l’impatto ambientale.
Note
1 L’insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure
ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e
smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese (Parlamento europeo, 2011).
Riferimenti bibliografici
Commissione europea, 2014. Impact assessment on measures addressing food waste to complete SWD (2014)
207 regarding the review of EU waste management targets. Brussels, 23.9.2014 SWD(2014) 289 final PART 1/4
Commissione europea, 2019. The European Green Deal. Brussels, 11.12.2019 COM(2019) 640 final
Commissione europea, 2020. Farm to Fork Strategy. For a fair, healthy and environmentally-friendly food system
Decisione delegata (UE) 2019/1597 della Commissione del 3 maggio 2019 che integra la direttiva 2008/98/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda una metodologia comune e requisiti minimi di qualità
per la misurazione uniforme dei livelli di rifiuti alimentari. OJ L 248/77 del 27.9.2019
Decreto Direttoriale 7 ottobre 2013 - Adozione e approvazione del Programma Nazionale di Prevenzione dei
rifiuti. GU n. 245 del 18.10.2013
Direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva
2008/98/CE relativa ai rifiuti. OJ L150/109 del 14.6.2018
FAO, 1981. Food loss prevention in perishable crops. FAO Agricultural Service Bulletin, no. 43. Statistics Division
FAO and SIK, 2011. Global Food Losses and Food Waste. Extent, Causes and Prevention
FAO, 2019. The state of food security and nutrition in the world 2019
FAO and WHO, 2019. Sustainable healthy diets - Guiding principles
FAO, 2021. The state of food security and nutrition in the world 2021
Hudson, U., Messa, M., 2021. Position paper of food losses and waste. Ed. Simone Gie, Gethyn Hudson
Legge 19 agosto 2016, n. 166. Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e
farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi. GU Serie Generale n. 202 del 30.8.2016
MATTM e ANCI, 2017. Accordo attuativo del Protocollo d’intesa stipulato in data 12 ottobre 2017 per la
promozione di iniziative finalizzate alla riduzione dei rifiuti alimentari, anche attraverso la promozione dell’utilizzo
di contenitori riutilizzabili idonei a consentire l’asporto degli avanzi di cibo
ONU, 2015. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile [link]
Parlamento europeo, 2011. Proposta di Risoluzione del Parlamento europeo su come evitare lo spreco di
alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare nell’UE. 2011/2175(INI)
Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari (PIMPAS). Le azioni prioritarie per la lotta allo spreco, 5
giugno 2014. Andrea Segrè
Segrè, R., Falasconi L., 2011. Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo. Ed. Ambiente
UNEP, 2021. Food Waste Index Report 2021 [link]
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Le ambizioni green della PAC post-2020
Danilo Marandola
Abstract
A partire dagli anni ‘90 del secolo scorso la Politica agricola comune ha intrapreso un percorso di progressivo
rafforzamento dell’impegno verso i temi della sostenibilità ambientale. La riforma post-2020 rappresenta l’ultima tappa di
questo percorso di progressivo inverdimento della PAC, dato che introduce una serie di novità che innalzano in modo
importante l’ambizione ambientale di intervento tra I e II Pilastro.
Introduzione
A partire dagli anni ‘90 del secolo scorso la Politica agricola comune (PAC) ha intrapreso un percorso di progressivo
rafforzamento dell’impegno e dell’attenzione verso i temi green e della sostenibilità ambientale di interesse più
immediato per il settore primario.
La riforma post-2020 rappresenta l’ultima tappa di questo percorso di progressivo inverdimento della PAC dato che
introduce una serie di novità che innalzano in modo importante l’ambizione ambientale di intervento (Tabella 1). Nel
dettaglio, le novità ambientali annunciate dalla ultima riforma sono:
coerenza con il Green Deal europeo: la PAC è chiamata a integrare pienamente la legislazione ambientale e
climatica dell’UE nei Piani strategici nazionali (PSN); i piani della PAC contribuiscono agli obiettivi delle strategie
Farm to Fork e Biodiversità 2030 e possono essere aggiornati per tenere conto dei cambiamenti nella
legislazione climatica e ambientale richiesti dal Green Deal europeo;
condizionalità rafforzata: aumentano i Criteri di Gestione Obbligatori (CGO) e le Buone Condizione Agronomiche
e Ambientali (BCAA), anche per “inglobare” quelli che nel 2014-2020 sono stati impegni volontari del greening;
eco-schemi obbligatori per gli Stati membri: un nuovo strumento nell’ambito del I Pilastro è previsto per
compensare gli agricoltori per l’attuazione volontaria di pratiche rispettose del clima e dell’ambiente. Gli Stati
membri devono destinare almeno il 25% del loro bilancio FEAGA a questi schemi (ring-fencing eco-schemi);
ring-fencing1 FEASR: almeno il 35% dei fondi per lo sviluppo rurale deve essere destinato a impegni
agroambientali dei PSR.
track-spendig climatico: il bilancio della PAC deve contribuire in modo significativo alla spesa globale per il clima
dell’Unione. Entro il 2025 la Commissione proporrà un nuovo approccio per monitorare la spesa della PAC
realizzata in coerenza con gli obiettivi climatici.
Tabella 1 – Quadro delle tappe di “inverdimento” della PAC
Fonte: nostra elaborazione
Proprio la rafforzata ambizione ambientale del post-2020, o più probabilmente le implicazioni tecniche e finanziarie di
tale ambizione sull’attuazione degli interventi, ha rappresentato forse uno dei temi più “divisivi” del lungo percorso di
negoziato che ad oggi (ottobre 2021) non ha ancora prodotto i testi regolamentari definitivi che dovranno codificare la
prossima fase di programmazione. Divergenze sulla declinazione di alcuni dei nuovi criteri di condizionalità, sulla entità
del ring-fencing finanziario per gli eco-schemi o proprio sulle modalità di attuazione di questo nuovo strumento di
intervento hanno così inciso in modo sensibile sulla fluidità dei triloghi fra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo
per l’approvazione del pacchetto di riforma.
Va detto che l’impalcatura complessiva di una PAC maggiormente orientata alle sfide ambientali era stata già delineata
dalla Commissione targata Juncker (2014-2019), ma l’ulteriore spinta all’inverdimento desiderata dal Green deal della
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Periodo di programmazione Azione ambientale introdotta
1992-1999 (Riforma Mac Sharry) Misure pluriennali agroambientali e forestali di accompagnamento della PAC
2000-2006 (Agenda 2000) Misure pluriennali agroambientali e forestali nei PSR
2014-2020 (2023) (Europa 2020) Introduzione del greening e di meccanismi di ring-fencing finanziario per impegni ambientali in PSR e OCM
e di track-spending climatico.
2023-2027 (Green deal) Target ambientali vincolanti, rafforzamento meccanismi di ring-fencing ambientale, rafforzamento
condizionalità, introduzione di pagamenti ecologici (eco-schemi) sul I Pilastro, introduzione del concetto di
“architettura verde” I-II Pilastro, rafforzamento meccanismi di track-spending climatico.
Commissione di von der Leyen (dal 2020) ha alzato ulteriormente la posta dell’ambizione ambientale della riforma
portando un certo scompiglio fra le parti coinvolte nel negoziato.
Con il post-2020 la PAC ha dunque accelerato la propria metamorfosi che la vede progressivamente evolvere da politica
settoriale a politica trasversale di servizio ad altre politiche comunitarie come quelle ambientali, climatiche e sociali. Un a
sfida difficilissima, forse azzardata o comunque obbligata, che però dovrà continuare a fare i conti anche con le questioni
“classiche” di settore. Se ne ha una evidenza anche osservando la sezione news del sito Commissione europea2 per
accorgersi che la PAC e l’ambiente sono temi “caldi” nell’agenda politica dell’Unione, ma anche per verificare che
questioni tradizionali come “Le misure della PAC svolgono un ruolo importante nel sostenere il reddito delle aziende
agricole” o “L’invecchiamento degli agricoltori europei rimane una sfida importante nelle zone rurali” restano ancora
cruciali per l’azione della politica agricola comune.
La pacifica ed efficace convivenza fra vecchie esigenze di settore e nuove esigenze trasversali di tipo ambientale e
sociale sembra essere proprio una delle sfide più difficili che la prossima PAC dovrà affrontare nel suo percorso di
attuazione.
Il lungo percorso della riforma e l’effetto Green deal
La riforma verso il post-2020 è forse una delle più lunghe e tortuose della storia della politica agricola comune. Avviata
nel 2017 con il lancio di una consultazione sul futuro della PAC3, ad oggi (ottobre 2021), la riforma non ha ancora
terminato il proprio percorso con la pubblicazione degli attesi testi regolamentari definitivi, benché la Commissione sia
comunque andata avanti con una serie di atti di legislazione secondaria indispensabili per l’auspicata entrata in vigore
dal Gennaio 2023. Le ragioni di tale ritardo sono molteplici. Alcune sono ascrivibili alle mutate condizioni di equilibrio
politico che si sono concretizzate durante il percorso istituzionale e che hanno complicato il raggiungimento di un
accordo fra le parti, forse soprattutto proprio sulle questioni di maggiore ambizione ambientale.
Dopo le proposte legislative della Commissione europea (ancora a guida di Jean-Claude Juncker) di giugno 2018, il
dibattito sulla riforma della PAC è passato al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri agricoli.
Le elezioni europee di maggio 2019 hanno rallentato il percorso di condivisione della riforma, portando il nuovo
Parlamento europeo a riprendere il dibattito e trovare una posizione di accoglimento solo nell’ottobre 2020.
Parallelamente, anche il Consiglio dei ministri agricoli è riuscito a trovare un accordo solo nello stesso mese sotto la
guida della presidenza di turno tedesca.
L’avvio dei triloghi Parlamento-Consiglio-Commissione, ossia le consultazioni necessarie all’approvazione del pacchetto
regolamentare e finanziario della riforma, ha avuto quindi inizio a novembre 2020 e ha prodotto un accordo politico
preliminare solo lo scorso 25 giugno4 (sotto presidenza del Portogallo), dopo un acceso dibattito avvenuto, tra l’altro,
proprio su questioni di ambizione ambientale relative a condizionalità rafforzata, eco-schemi del primo Pilastro e ring-
fencing finanziari di tipo green sui vari strumenti di intervento.
In questo contesto va sottolineato il ruolo giocato dall’insediamento, nel 2019, della nuova Commissione targata von der
Leyen e l’effetto sortito sul percorso di approvazione della PAC prima dal lancio della Strategia Green deal (dicembre
2019) e poi, a maggio 2020 e in piena crisi pandemica, delle altre due principali strategie ad esso associate, ossia Farm
to Fork e Biodiversità 2030. Tali strategie, in una fase storica resa delicata dalla pandemia, hanno cambiato
profondamente lo scenario di approvazione della riforma proprio sui temi ambientali e delle risorse da condizionare ad
essi a discapito di temi più settoriali come tutela redditi e livelli di sostegno, rallentando il confronto sulle proposte
legislative del 2018 e costringendo a uno slittamento di due anni della nuova programmazione5.
Il Green deal chiede una PAC più verde
Mille miliardi di euro in dieci anni per azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050. Questo il cuore del Green Deal, un
nuovo corso economico e politico che vede la PAC pienamente coinvolta, sia per le risorse messe in gioco che per il
ruolo concreto che può svolgere sui temi cardine della strategia.
Il Green Deal [COM(2019) 640 final] è una strategia di forte rilancio economico dell’Unione imperniata sulla piena
transizione verso la green economy. Un vero e proprio piano di azione che, attraverso più di 100 punti, intende
innescare un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse, competitiva e – soprattutto - neutrale dal punto di
vista delle emissioni di gas serra entro il 2050. Interessa tutti i settori dell’economia: i trasporti, l’energia, l’agricoltura,
l’edilizia e settori industriali quali l’acciaio, il cemento, le ICT, i prodotti tessili e le sostanze chimiche. Una strategia
ambiziosa che mira a trasformare l’UE in una società giusta e prospera, per il benessere dei cittadini e del pianeta, e che
propone di cambiare abitudini e stili di tutti, da quelli di vita a quelli produttivi.
Secondo le intenzioni della Commissione, nel prossimo periodo, tutte le azioni e le politiche dell’UE dovranno contribuire
al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal attraverso un’azione coraggiosa capace di massimizzare i benefici per la
salute, la qualità della vita, la resilienza e la competitività. Tutto questo richiederà evidentemente un intenso
coordinamento volto a sfruttare tutte le sinergie possibili fra i diversi settori e le politiche dell ’Unione. In questo senso il
Green Deal intende fare un uso coerente di tutte le leve politiche disponibili: regolamentazione e standardizzazione,
investimenti e innovazione, riforme nazionali, dialogo con le parti sociali e cooperazione internazionale. La PAC, con la
sua importante dotazione finanziaria, fa evidentemente parte di questo pacchetto di leve politiche previste.
Ancor prima di essere un documento di indirizzo strategico, il Green deal è un documento di programmazione che
individua in modo chiaro le tappe che la Commissione intende seguire in termini di tempistica e di produzione normativa.
Faranno parte del percorso di riforme annunciato dalla CE in accompagnamento al Green deal:
“Piano di investimenti”,
“Meccanismo per una transizione giusta”
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“Prima legge sul clima” (impatto climatico zero entro il 2050)
“Patto europeo per il clima” che riunisce le regioni, le comunità locali, la società civile, le imprese e le scuole
“Strategia industriale europea”,
“Piano d’azione per l’economia circolare” incentrato sull’uso sostenibile delle risorse
Strategia “Dal produttore al consumatore” per sistemi alimentari più sostenibili (Nota anche come “Farm to Fork”)
[COM(2020) 381 final],
“Strategia UE sulla biodiversità per il 2030”[COM(2020) 380 final].
Farm to Fork e Biodiversità 2030 sono, in particolare, due strategie che impattano in modo sensibile sull’operatività e gli
obiettivi della prossima PAC. Le due strategie mettono l’interesse del cittadino al centro dell’azione politica proponendo
di aumentare l’impegno dell’UE per la protezione di terra e mare e per il ripristino degli ecosistemi degradati. In quanto
parti centrali del Green Deal europeo, le due strategie ambiscono però anche a favorire la ripresa economica
dell’Unione. In tempo di coronavirus, entrambe mirano a rafforzare la resilienza delle nostre società alle future pandemie
e alle minacce del cambiamento climatico, supportando l’adozione di pratiche più sostenibili a garanzia di catene di
approvvigionamento alimentare sane, sicure e sostenibili.
Partendo da queste considerazioni, la strategia Farm to Fork in particolare ambisce a favorire la transizione dell’UE
verso un sistema alimentare sostenibile capace di garantire la sicurezza alimentare e l’accesso a diete sane, che siano
originate da un pianeta a sua volta sano. In questa direzione la strategia chiede alla PAC di intervenire in modo efficace
per ridurre l’impronta ambientale e climatica dell’agricoltura, proteggere la salute dei cittadini e garantire al contempo il
sostentamento di tutti gli operatori economici attivi nel sistema agro-alimentare. Per queste finalità la strategia fissa
obiettivi concreti come:
ridurre del 50% l’uso e il rischio connesso all’uso di prodotti fitosanitari,
ridurre di almeno il 20% dell’uso di fertilizzanti e del 50% le perdite di nutrienti dal suolo,
ridurre del 50% le vendite di antibiotici impiegati in zootecnia e acquacoltura;
raggiungere la soglia del 25% della superficie agricola condotta con metodi di agricoltura biologica.
L’agricoltura ha dunque un ruolo cruciale nell’attuazione della strategia generale delineata dal Green Deal e la PAC
viene richiamata come uno strumento chiave per garantire la transizione verso la sostenibilità ambientale e climatica del
sistema alimentare dell’UE.
La Commissione sembra avere le idee chiare su questo e si sta adoperando per garantire che questa ambizione sia
pienamente riflessa nel pacchetto della nuova PAC attraverso una adeguata declinazione dei Piani strategici nazionali
(PSN). Ha formulato, ad esempio, raccomandazioni per ciascuno Stato membro sui nove obiettivi specifici della PAC per
garantire massimo livello di aderenza delle proposte di Piani strategici agli obiettivi unionali, e richiesto che vengano
stabiliti target nazionali espliciti per questi obiettivi sui quali dovrà efficacemente convergere l’intervento della PAC.
Su questa scia Farm to Fork dedica enfasi a un tema nuovo dei regimi ecologici (o eco-schemi), una componente verde
dei pagamenti diretti con cui la Commissione ha intenzione di promuovere “su vasta scala” l’adozione di pratiche
benefiche per clima e ambiente.
Piani strategici nazionali: una “architettura” di interventi per gli obiettivi green
Il considerando n.30 del Regolamento sul sostegno ai piani strategici che gli Stati membri devono redigere nell’ambito
della politica agricola comune (Reg. CAP Plan) sottolinea chiaramente che la protezione ambientale e l’azione per il
clima, così come il contributo al conseguimento degli obiettivi generali dell’Unione in materia di ambiente e di clima,
rappresentato una priorità assoluta di intervento della PAC.
Lo stesso considerando introduce anche il concetto di “architettura” di azioni che la PAC è chiamata a mettere in campo
attraverso i PSN per perseguire tali obiettivi. Un concetto, quello di “architettura ambientale”, che viene poi ripreso più
volte dal Regolamento nelle sezioni dedicate ai nuovi regimi per il clima, l’ambiente e il benessere degli animali (eco-
schemi) e in quelle dedicate alla descrizione della strategia di intervento dei PSN. Si tratta, di fatto, di un concetto nuovo
per la PAC che prova a rispondere alla esigenza di armonizzare i vari strumenti di intervento previsti tra I e II Pilastro
(condizionalità, ecoschemi, misure PSR, interventi OCM) rispetto al soddisfacimento di un set (robusto) di obiettivi fissati
dalle regole della riforma. Una delle novità forti del post-2020, infatti, è proprio la disposizione di prevedere PSN unici tra
I e II Pilastro, anche per gli Stati a gestione tradizionalmente regionalizzata dei PSR, con un set unico di obiettivi e
indicatori su cui misurare anche le performance di programmazione (New delivery model)6.
Fra questi obiettivi vi sono quelli climatico-ambientali previsti in modo specifico per la PAC (mutuati dal 2014-2020),
rafforzati però in modo particolare dagli obiettivi ambiziosi di Green deal, Farm to Fork e Biodiversità 2030, oltre che da
quelli (già noti) della vigente legislazione ambientale e climatica dell’Unione (richiamata nell’Allegato XIII del Reg. CAP
Plan) cui il PSN deve dimostrare di saper contribuire in modo efficace e coerente.
Un quadro degli strumenti che possono rientrare nell’architettura ambientale del PSN include:
Condizionalità rafforzata,
Ecoschemi I Pilastro,
Misure Agro-Climatico-Ambientali (ACA) II Pilastro (attuali M.10, 11, 12, 14),
Interventi Ambientali OCM,
Altre misure PSR (attuali M.1, 2, 4, 8, 15, 16, 19).
Rispetto al 2014-2020 viene proposto un sistema rafforzato di Criteri di gestione obbligatori (CGO) (che passano da 13 a
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16) e di Buone condizione agronomiche e ambientali (BCAA) (che passano da 7 a 10). Le tre nuove BCAA vengono
proposte per assorbire nella condizionalità gli impegni dell’attuale greening, cambiandone negli effetti il sistema di
attuazione, ampliandone il significato, e rafforzandone in un certo modo la cogenza. Così, ad esempio, l’impegno della
diversificazione colturale previsto dal greening diviene una buona condizione di nuova introduzione (BCAA 8) che
riguarda il tema più ampio della rotazione delle colture (Marandola e Vanni, 2019).
In tema di ambiente, altra novità storica della riforma post-2020 è l’obbligo di introdurre nei PSN uno o più regimi
ecologici (eco-schemi) a valere sulla dotazione FEAGA (I pilastro). Si tratta di interventi che devono avere impatto
positivo sul clima e sull’ambiente e che i singoli agricoltori possono scegliere di attuare volontariamente in cambio di un
pagamento aggiuntivo al pagamento di base o compensativo degli svantaggi economici affrontati per gli impegni di
maggiore sostenibilità assunti. Per essere ammissibili, le pratiche incentivabili dagli eco-schemi devono:
andare oltre la baseline segnata dai CGO e BCAA della condizionalità rafforzata;
andare oltre i requisiti minimi previsti per l’utilizzo dei fertilizzanti, dei prodotti fitosanitari e delle regole sul
benessere degli animali;
essere facilmente controllabili e monitorabili da remoto.
Il percorso nazionale sui temi verdi della PAC
Il percorso nazionale di avvicinamento ai temi verdi della nuova PAC viene avviato a dicembre 2019 con un documento
di riflessione “non paper” della Rete Rurale Nazionale che prova a ragionare sul potenziale contributo della futura PAC
agli obiettivi del Green Deal in Italia. Elemento centrale della riflessione proposta è che la PAC debba svolgere un ruolo
trainante del sistema agricolo, agro-alimentare, forestale e della pesca verso un cambiamento capace di trasformare i
diversi temi della sostenibilità declinati dal Green Deal in elementi di nuova e ritrovata competitività economica di settore.
In sintesi, più sostenibilità deve significare in primis nuove occasioni di reddito e specializzazione produttiva per gli
operatori.
In questo quadro viene proposto che la strategia nazionale per la futura PAC venga declinata a servizio della strategia
europea sul Green Deal attraverso una serie linee strategiche di azione capaci di interpretare in chiave green le
principali necessità di intervento per il settore:
potenziamento della competitività di aziende e filiere (in chiave green);
miglioramento delle performance climatiche e ambientali delle produzioni;
rafforzamento della resilienza e vitalità dei territori rurali (in tempo di cambiamento climatico);
efficientamento del sistema di governance e sinergia tra fonti finanziarie UE.
Punti cardine delineati dal documento per questi scopi sono:
riduzione della pressione esercitata dalle attività produttive sulle risorse naturali (acqua, aria, suolo) e sul clima,
rafforzamento e valorizzazione dei servizi ecosistemici garantiti dalle attività produttive (es. carbon sink,
conservazione della biodiversità, conservazione del paesaggio, prevenzione del rischio idrogeologico, ciclo e
riciclo dei nutrienti, sicurezza alimentare, benessere animale),
innesco di nuove dinamiche di sviluppo e consumo basate su un nuovo e centrale ruolo del sistema agro-
alimentare e forestale (bioeconomia, economia circolare, riduzione degli sprechi alimentari, agroecologia).
Il documento nazionale “non paper” si inserisce in un percorso più ampio di avvicinamento al PSN che dal 2019 ha
sinora previsto, per i temi ambientali7:
Predisposizione di n.3 Policy brief e n.3 SWOT tecniche sui temi agro-climatico ambientali, utili all’analisi del
contesto, alla messa a punto delle esigenze prioritarie e alla definizione delle Raccomandazioni della CE
Proposta di n.7 eco-schemi attualmente in discussione con il partenariato istituzionale ed economico sociale
(Tabella 2).
Tabella 2 – Quadro degli eco-schemi attualmente in discussione in Italia per il PSN
Fonte: nostra elaborazione
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Codice Schema proposto
Eco-1 Pagamento per la riduzione del farmaco veterinario
Eco-2 Premio per l’agricoltura biologica
Eco-3 Premio per la produzione integrata
Eco-4 Pagamento per inerbimento delle colture permanenti
Eco-5 Premio gestione sostenibile pascoli e prati permanenti
Eco-6 Pagamento avvicendamento colturale
Eco-7 Pagamento per mantenimento aree interesse ecologico
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Prossima tappa del percorso, in vista dell’impegno di produrre una prima proposta di PSN entro la fine del 2021, è la
messa a punto degli interventi da attivare nel secondo Pilastro in coerenza con il quadro strategico dell’architettura
ambientale. Fra questi un ruolo rilevante è occupato dagli interventi agro-climatico-ambientali (ACA) che dovranno
trovare in primis un nuovo ed efficace equilibrio di governance fra Stato e Regioni nel quadro di una pianificazione
nazionale unitaria degli interventi.
Considerazioni conclusive
Il miglior modo per avviare una nuova programmazione è forse quello di guardare prima di tutto ai risultati conseguiti
nelle fasi di programmazione precedenti. Questo appare ancor più rilevante per il post-2020 alla luce del New delivery
model della PAC che annuncia di valutare le performance dei Piani strategici sulla base dell’effettivo raggiungimento dei
risultati programmati. Alcune indicazioni ci vengono fornite in questa direzione dalla stessa Commissione europea che
ha iniziato pubblicare una serie di studi tematici che provano a fare il punto proprio sui risultati e sugli impatti del periodo
2014-2020 rispetto a un set di temi strategici, soprattutto ambientali.
Sul fronte climatico, per esempio, un recente documento della CE8 evidenzia come la PAC 2014-2020 abbia contribuito
positivamente alle sfide di mitigazione, ma meno a quelle di adattamento, sottolineando come il mancato raggiungimento
degli obiettivi auspicati sia attribuibile principalmente alla mancanza di interventi specifici e alla scarsa ambizione degli
impegni, più che alla carenza di risorse e strumenti di intervento. Stesso genere di considerazioni anche sul contributo
della PAC alla tutela del suolo, come evidenziato dai risultati di uno studio dedicato divulgato dalla Commissione lo
scorso febbraio 20219: attuazione poco ambiziosa delle BCAA e carenza di interventi specifici sembrano aver generato
sul suolo risultati meno importanti di quanto atteso, soprattutto rispetto al contenimento dell’erosione e all’aumento del
carbon stock. Altre valutazioni simili sono fornite dalla Commissione per gli impatti sulla biodiversità-habitat-paesaggio10
e sull’acqua11. A queste valutazioni si può affiancare anche quella della Corte dei conti del 2017 sull’efficacia del
greening12 che, di fatto, rappresenta la base da cui è partita la CE per rivedere gli impegni verdi del I Pilastro e proporre
la novità degli eco-schemi del post-2023 in sostituzione proprio del greening del periodo 14-20.
Queste valutazioni risultano molto preziose nella prospettiva di disegnare Piani strategici realmente efficaci nel
conseguimento degli obiettivi prefissati e desiderati dalla Commissione. Una strategia efficace non sarà solo quella
capace di allocare le risorse giuste per gli interventi giusti, ma anche quella capace di valorizzare opportunamente le
azioni messe in campo attraverso il sistema degli indicatori di prodotto, risultato e impatto disponibili.
Note
1 Dotazione minima di risorse (espressa in %) da destinare a spese di tipo climatico-ambientale.
2 [link]
3 [link]
4 [link]
5 Per il 2021 e il 2022 è stata prevista una fase di transizione del periodo 2014-2020 necessaria a garantire continuità nel sostegno agli agricoltori europei e
a preparare al meglio la fase post-2020.
6 Il New Delivery Model modifica la valutazione della politica dalla “conformità agli impegni” alla “valutazione di risultati e prestazioni”. Questo passaggio
verso una politica più orientata alla performance e agli obiettivi richiede, secondo la Commissione, l’istituzione anche di un solido quadro di monitoraggio
della performance dei PSN, articolato su una serie di indicatori comuni, utile a valutare e monitorare le prestazioni della nuova PAC (Camaioni et al. 2021).
7 Per maggiori dettagli [link]
8 [link]
9 [link]
10 [link]
11 [link]
12 [link]
Riferimenti bibliografici
Marandola D., Vanni. F. (2019). Le sfide della nuova architettura verde della Pac post 2020. Agriregionieuropa
15/56
Camaioni, B., Cagliero, R., Pallara, P. (2021) PAC post 2020, verso la lettura dell'efficacia di attuazione dei futuri
PSN. Pianeta PSR 101/2021
Siti di riferimento
PianetaPSR [link]
PianetaPSR [link]
PianetaPSR [link]
PianetaPSR [link]
PianetaPSR [link]
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Agricoltura biologica e sostenibilità nella programmazione
2023-2027
Laura Viganò e Riccardo Meo
Abstract
Da oltre 25 anni l’Unione europea (UE) sostiene l’agricoltura biologica riconoscendole un ruolo sempre più importante
nel mantenere il potenziale produttivo, fornire prodotti salubri, preservare la vitalità delle aree rurali. Grazie alla sua
maggiore sostenibilità rispetto ad altri metodi di produzione, l’UE ha stabilito che, entro il 2030, il 25% della SAU
comunitaria dovrà essere convertito all’agricoltura biologica, attraverso il concorso di una serie di politiche, tra cui la
PAC. L’esito dipenderà dalla coerenza e dal grado di integrazione tra i diversi interventi.
Introduzione
L’Unione europea sostiene finanziariamente l’agricoltura biologica da quasi trent’anni, giocando un ruolo fondamentale
nella crescita della SAU gestita con metodo di produzione biologico. Nel corso del tempo, tuttavia, è aumentata la
consapevolezza circa il suo elevato livello di sostenibilità e la sua capacità di contribuire alla mitigazione dei
cambiamenti climatici nonché di poter divenire motore di sviluppo delle aree rurali. Ciò nonostante, l’agricoltura biologica
comunitaria appare ancora scarsamente sviluppata, visto che, nel 2019, la SAU biologica pesa per il solo 8,5% sulla
SAU totale anche se con differenze rilevanti tra i diversi Stati membri (SM). Si va, infatti, dall’oltre 25% relativo all’Austria
a un peso percentuale della SAU biologica inferiore all’1% nel caso della Repubblica di Malta. Pertanto, con le Strategie
From Farm to Fork (F2F; CE, 2020a) e Biodiversità al 2030 (CE, 2020b), l’UE vuole dare un forte impulso al processo di
conversione della SAU comunitaria data l’urgenza connessa ai cambiamenti climatici, all’inquinamento di suolo, risorse
idriche e aria, alla perdita di biodiversità e alle difficoltà di accesso a un cibo salubre da parte di un’ampia quota della
popolazione comunitaria.
In questo contributo, dopo aver presentato l’evoluzione della normativa comunitaria, con riferimento al caso italiano
saranno illustrate le proiezioni al 2030 della SAU biologica secondo obiettivi di crescita diversi tra loro. Sarà poi trattato il
tema del possibile trasferimento del sostegno all’agricoltura biologica negli ecoschemi del I Pilastro, affrontando alcune
questioni come la cumulabilità con gli altri ecoschemi, la demarcazione con l’Organizzazione Comune di Mercato (OCM)
e l’intervento agro-climatico-ambientale a favore dell’agricoltura biologica nell’ambito dello sviluppo rurale. Saranno poi
illustrati alcuni elementi che potrebbero definire tale intervento e il ruolo di altri interventi del II Pilastro nel favorir e una
maggiore strutturazione del settore biologico. Saranno stilate, infine, le conclusioni.
L’evoluzione della normativa europea
A partire dal Reg. (CEE) n. 2078/92, l’Unione europea (UE) attribuisce una particolare rilevanza all’agricoltura biologica
nell’ambito della PAC a motivo della sua maggiore sostenibilità, ambientale, per certi aspetti sociale e, con quale
incertezza, economica, rispetto ad altri metodi di produzione in agricoltura. Nel corso del tempo, pertanto, l’UE ha
continuamente cercato di rendere l’azione della sua politica sempre più efficace nel favorire lo sviluppo del settore
biologico mediante una continua ridefinizione di obiettivi e strumenti.
In particolare, nel 2010, con il documento “La PAC verso il 2020, rispondere alle future sfide dell’alimentazione, delle
risorse naturali e del territorio”, la Commissione europea riconosceva all’agricoltura biologica la capacità di contribuire al
perseguimento di tre obiettivi, quali: 1) la preservazione del potenziale di produzione dell’UE secondo criteri di
sostenibilità, così da garantire la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare a lungo termine; 2) il sostegno alle
comunità agricole che forniscono ai cittadini europei una grande varietà di derrate alimentari di pregio e di qualità
prodotte in modo sostenibile; 3) la preservazione della vitalità delle comunità rurali, per le quali l’agricoltura costituisce
un’attività economica importante in grado di creare occupazione locale. È evidente, pertanto, come all’agricoltura
biologica sia attribuita una valenza non solo settoriale ma anche territoriale, oltre a un ruolo pivotale nel garantire la
sicurezza alimentare in termini sia di safety sia di security, grazie alla gestione sostenibile delle risorse naturali.
Nell’attuale programmazione, ciò si è declinato nell’introduzione, nell’ambito del I Pilastro della PAC, del greening,
componente che ammonta al 30% del massimale nazionale annuo del budget disponibile destinato ai pagamenti diretti e
che le aziende biologiche destinatarie di tali pagamenti ricevono ipso facto e, nell’ambito del II Pilastro, di una misura
specifica per sostenere l’agricoltura biologica, distinta da quella agro-climatico-ambientale.
Con riguardo alla prossima fase di programmazione, l’Unione europea “ha rilanciato” ancora in tema di agricoltura
biologica. Nella strategia de “Il Green Deal europeo” (CE, 2019), principalmente diretta a rendere l’Unione europea
neutrale in termini di emissioni di gas a effetto serra entro il 2050, l’agricoltura biologica è considerata uno dei metodi di
produzione agricola in grado di ridurre l’inquinamento di atmosfera, acqua e suolo e il consumo di risorse naturali, di
contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità e di fornire prodotti salubri. La Strategia F2F per il settore
agroalimentare non solo ribadisce e dettaglia quanto già disposto dal Green Deal europeo ma quantifica un obiettivo da
conseguire entro il 2030 per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, quale il raggiungimento di un’incidenza della SAU
biologica sulla SAU totale comunitaria pari al 25%. Il già richiamato 8,5% a cui tale quota si attesta nell'UE al 2019
rende questo obiettivo piuttosto ambizioso. Ugualmente l’agricoltura biologica appare basilare nell’ambito della Strategia
per la Biodiversità al 2030.
Per facilitare il conseguimento dell’obiettivo del 25% e aumentare il consumo dei prodotti biologici, a marzo 2021
l’Unione europea ha pubblicato il nuovo Piano d’azione per lo sviluppo della produzione biologica (CE, 2021b),
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articolando gli interventi in 23 azioni afferenti a tre Assi, quali:
Alimenti e prodotti biologici per tutti: Stimolare la domanda e acquisire la fiducia dei consumatori;
Verso il 2030: Stimolare la riconversione e rafforzare l'intera catena del valore;
Il biologico che dà l'esempio: Migliorare il contributo dell'agricoltura biologica alla sostenibilità. Le azioni previste
sono di diversa natura in quanto mirano a: potenziare l’intervento dell’UE dal punto di vista finanziario, come nel
caso, ad esempio, della promozione del consumo di prodotti biologici e della ricerca sui temi di interesse del
settore biologico; raccogliere, elaborare e analizzare dati e informazioni inerenti al settore anche al fine di
sensibilizzare i consumatori; favorire il raggiungimento di accordi con diverse tipologie di operatori per aumentare
la diffusione dei prodotti biologici; facilitare l’azione degli SM e vigilare sul loro operato in diversi campi (sistema
della conoscenza, strutturazione di filiere corte, sviluppo dell’acquacoltura, ecc.). La valenza territoriale
dell’agricoltura biologica richiamata nel documento del 2010, infine, acquisisce una sua identità con i biodistretti,
la cui istituzione è fortemente caldeggiata dall’Unione europea nei diversi SM.
Un’altra tappa fondamentale per sviluppare l’agricoltura biologica è costituita dall’accordo raggiunto il 28 giugno 2021
sulla Riforma della PAC 2023-2027, in cui è stato deciso in seno al Trilogo di destinare il 25% delle risorse stanziate per
i pagamenti diretti al finanziamento degli ecoschemi (il 20% nei primi due anni di applicazione della nuova PAC). Con
riferimento al II Pilastro, invece, all’azione per il clima e l’ambiente sarà destinato il 35% delle risorse complessive,
potendo rientrare nel calcolo di tale quota anche il costo degli investimenti finalizzati a migliorare la sostenibilità
ambientale di aziende agricole, trasformatori e distributori. Importante è altresì l’introduzione della condizionalità sociale
per cui i pagamenti diretti, agro-climatico-ambientali e a favore delle aree svantaggiate saranno subordinati al rispetto
dei diritti dei lavoratori dal punto di vista assicurativo e previdenziale e in termini di sicurezza e salute sul lavoro. Ciò è
importante anche per l’agricoltura biologica, per la quale non esistono riscontri in letteratura sulla sua diffusa sostenibilità
da questo punto di vista, nonostante i principi IFOAM (2005) di benessere ed equità a cui la stessa dovrebbe ispirarsi.
In questo contesto, gli SM stanno definendo le proprie macro-strategie a favore dell’agricoltura biologica riguardanti
principalmente l’attivazione o meno degli ecoschemi a suo sostegno, il possibile trasferimento di risorse finanziarie dal I
al II Pilastro e, quindi, il ruolo più o meno rilevante giocato dagli interventi agro-climatico-ambientali in seno alla politica
di sviluppo rurale per favorire la diffusione del metodo di produzione biologico. Chiaramente, il potenziamento del settore
biologico dipenderà anche da come sarà strutturato l’intervento agro-climatico-ambientale disposto a suo sostegno
nonché dalle modalità che saranno adottate relativamente agli altri interventi di sviluppo rurale per privilegiare gli
operatori biologici nell’accesso agli stessi e possibilmente le risorse che potranno essere blindate a loro favore.
L’obiettivo del 25% di SAU biologica al 2030 in Italia
Al 31 dicembre 2020 l’incidenza della SAU biologica rispetto alla SAU totale nazionale italiana si attesta al 16,6%
(SINAB, 2021) per cui teoricamente non dovrebbe essere difficile conseguire l’obiettivo del 25% al 2030. L’Italia non ha
stabilito soglie diverse da quella fissata a livello comunitario, sebbene le associazioni ambientaliste e del biologico
richiedano di orientarsi verso il target più ambizioso del 30% così da mantenere il tasso medio annuo di crescita rilevato
nel periodo 2013-2019 (+7,2%). Una proiezione meno ottimistica, invece, potrebbe essere quella basata sul tasso di
crescita medio annuo relativo al triennio 2017-2019 (+2,2%), che mostra un rallentamento nel processo di ampliamento
della SAU biologica nazionale, come evidenziato nella figura 1.
Figura 1- Evolu zio ne d ell a superficie ad agr ic oltura b io logi ca in Italia (.000 h a)
TVMA = Tasso di variazione medio annuo
Fonte: Elaborazione su dati SINAB
Chiaramente, a livello regionale la situazione appare piuttosto diversificata perché, a fronte di regioni in cui il tasso di
variazione medio annuo risulterebbe addirittura negativo perché l’incidenza del 25% di SAU biologica è stata già
superata, ve ne sono altre, principalmente localizzate nel Nord Italia, dove sarebbe necessario investire molte risorse a
favore del sostegno a superficie per l’agricoltura biologica, dato lo scarso sviluppo del segmento produttivo.
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Agricoltura biologica ed ecoschemi
La proposta di regolamento sul sostegno ai Piani strategici nazionali del 20181 e successive modifiche, oltre a rende più
severa la condizionalità ambientale e a riportare l’agricoltura biologica tra gli interventi agro-climatico-ambientali,
introduce nel I Pilastro un nuovo strumento, l’ecoschema, che, analogamente al greening, si configura come
componente ambientale dei pagamenti diretti da attivare obbligatoriamente, ma con un funzionamento diverso. Sono gli
SM, infatti, a decidere cosa finanziare, potendo anche attingere a una sorta di elenco fornito dalla Commissione (CE,
2021a). Quest’ultima, già nel 2019, aveva proposto di finanziare con tale strumento l’agricoltura biologica in
mantenimento (ossia che ha superato il periodo di conversione, per cui riceve un pagamento a ettaro più basso di quello
per la superficie in conversione), nulla vietando di trasferire al I Pilastro, in alternativa, la conversione o entrambe le
componenti del sostegno.
La proposta iniziale della Commissione di trasferire in parte o integralmente il sostegno all’agricoltura biologica negli
ecoschemi del I Pilastro è stata accolta con favore soprattutto dalle associazioni ambientaliste e del biologico. Queste
ultime, infatti, hanno rinvenuto in tale proposta soprattutto la possibilità di aumentare le risorse finanziarie comunitarie a
favore del settore biologico senza la necessità di stanziare risorse nazionali come prevede invece il FEASR nel II
Pilastro, oltre a evitare una loro dispersione in interventi scarsamente efficaci dal punto di vista ambientale, qualificando
in questo modo il nuovo strumento introdotto nella PAC. In effetti, da questo punto di vista gli ecoschemi rappresentano
una grande opportunità per il settore. In vista del conseguimento dell’obiettivo del 25% di SAU biologica prima
richiamato, inoltre, alcune Regioni propendono per trasferire parte del sostegno all’agricoltura biologica nell’ecoschema
per evitare di stanziare troppe risorse a sostegno dell’agricoltura biologica nel II Pilastro, spiazzando altre tipologie di
intervento. Un altro aspetto connesso al trasferimento parziale o integrale del sostegno negli ecoschemi riguarda la
definizione di un regime di adesione semplificato rispetto a quello previsto per gli interventi agro-climatico-ambientali
dello sviluppo rurale, di facile controllabilità, grazie anche alla certificazione biologica, e misurabilità dei risultati così da
garantire il regolare pagamento degli impegni insieme alle restanti componenti dei pagamenti diretti. Dall’analisi dei dati
di fonte AGEA e organismi pagatori regionali, inoltre, emerge come, nel triennio 2017-2019, solo il 46,5% della SAU
biologica risulti in media interessata dal sostegno. L’attivazione degli ecoschemi per l’agricoltura biologica, quindi,
potrebbe portare a un aumento della platea dei beneficiari del sostegno già destinatari dei pagamenti diretti.
Tuttavia, il trasferimento del sostegno all’agricoltura biologica negli ecoschemi comporta anche degli svantaggi da non
sottovalutare. Innanzitutto, il regime di sostegno nell’ambito del II Pilastro è ben collaudato e nel tempo le Regioni hanno
messo a punto interventi sempre meglio congegnati in termini di condizioni di ammissibilità, criteri di selezione,
caratteristiche del sistema dei pagamenti, impegni aggiuntivi, tutti elementi scarsamente conciliabili con il regime di aiuti
semplificato sotteso all’ecoschema. All’intervento a favore dell’agricoltura biologica nel II Pilastro, inoltre, è connessa
un’elevata capacità di spesa potendo contribuire fortemente al rispetto, nella prossima fase di programmazione, della
copertura del 35% delle risorse dello sviluppo rurale da destinare al sostegno dell’azione per il clima e l’ambiente. Il
sostegno all’agricoltura biologica per essere efficace, inoltre, deve avere una durata pluriennale, la più lunga possibile
(almeno 5-7 anni), mentre l’impegno nell’ecoschema è annuale e non obbligatoriamente rinnovabile. Ciò sempre che gli
SM non inseriscano dei correttivi per evitare che le aziende, soprattutto quelle di dimensioni maggiori, aderiscano
all’ecoschema e non rinnovino la richiesta l’anno successivo, con un evidente spreco di risorse pubbliche. Il
trasferimento del sostegno al I Pilastro, inoltre, soprattutto nel caso del mantenimento, potrebbe generare un effetto
spiazzamento nei confronti degli altri ecoschemi considerando che nel periodo 2014-2019 la superficie biologica
certificata rappresenta in media circa il 73% della superficie biologica complessiva per cui potenzialmente le risorse
necessarie per il suo sostegno potrebbero anche essere ingenti (circa il 60% delle risorse destinate agli ecoschemi nel
periodo 2021-2027; Meo e Viganò, 2021). A questo proposito, infatti, le Regioni vorrebbero che ciascun agricoltore
possa accedere almeno a un ecoschema per recuperare in parte la perdita di risorse dovuta al processo di convergenza
tramite una riduzione dei pagamenti diretti. Tuttavia, è importante che gli ecoschemi introdotti siano non solo accessibili
a tutti gli agricoltori destinatari dei pagamenti diretti ma anche efficaci dal punto di vista ambientale.
Dopo la valutazione di una serie di opzioni, la proposta di ecoschema sull’agricoltura biologica avanzata dal Mipaaf e poi
condivisa da Regioni e partenariato riguarda l’introduzione di un premio incentivante in ragione della maggiore capacità
del metodo di produzione biologico di produrre servizi ecosistemici rispetto all’agricoltura convenzionale. Tale premio
potrebbe rappresentare un problema in fase di negoziato con la Commissione poiché viene considerato un doppio
finanziamento dello stesso impegno sulla medesima superficie accanto al pagamento per la conversione o il
mantenimento dell’agricoltura biologica nell’ambito del II Pilastro. In tal caso, si potrebbe comunque detrarre l’importo del
premio dai pagamenti nel II Pilastro, diventando più bassi. Il vantaggio di una simile scelta sarebbe quello di fornire un
ulteriore incentivo alla conversione per le aziende già intenzionate a farlo ma che, per motivi diversi, non partecipano ai
bandi del II Pilastro. Le Regioni, inoltre, dovrebbero investire meno risorse sull’intervento agricoltura biologica nell’ambito
dello sviluppo rurale qualora l’importo del premio venisse scorporato dai pagamenti per l’agricoltura biologica.
La cumulabilità con gli altri ecoschemi proposti
La definizione di un ecoschema per il biologico risulta complessa riguardo non solo alla scelta del modello più
congeniale alla realtà italiana che permetta di separare il sostegno tra i pilastri mantenendo una gestione amministrativa
tecnicamente e finanziariamente sostenibile, ma anche alle inevitabili interconnessioni che si creano con gli altri regimi
ecologici eleggibili.
La possibilità di cumulo tra ecoschemi non è affatto secondaria per la loro riuscita. Tanto maggiore sarà la possibilità per
le aziende biologiche di partecipare a più regimi ecologici migliore sarà l’appetibilità dello stesso ecoschema biologico.
La cumulabilità va anche intesa come possibilità di sommare interventi del I e del II Pilastro nel rispetto delle norme di
demarcazione e divieto di doppio finanziamento.
L’analisi della cumulabilità tra ecoschemi può essere stabilita attraverso un confronto tra gli impegni previsti dai singoli
regimi e valutando il gradiente di performance ambientale e i requisiti di base di ognuno.
Ad oggi l’ecoschema biologico è stato misurato nel quadro dei sette ecoschemi condivisi con le Regioni e il Partenariato
a settembre 2021; come si evince dalla tabella 1, sembra certa la possibilità per le aziende che partecipano
all’ecoschema biologico di attivare altri regimi ambientali. Qualora venisse confermato l’ecoschema sull’agricoltura
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integrata, sarà poi fondamentale certificare che l’ecoschema biologico percepisca un pagamento unitario a ettaro
maggiore.
Tabella 1 – Proposte di cumulabilità dell’ecoschema biologico
Fonte: Nostre elaborazioni
L’intervento agro-climatico-ambientale a favore dell’agricoltura biologica
I traguardi dell’agricoltura biologica italiana e l’alta incidenza delle superfici certificate dipendono molto dal sostegno
garantito prima dalla misura 214 dei PSR 2007-2013 e poi dalla misura 11 dei PSR 2014-2020, che hanno concesso un
pagamento da corrispondere alle superfici delle aziende biologiche sulla base dei maggiori costi e delle rese
mediamente più basse.
Il nuovo Regolamento, nell’ottica della semplificazione e del principio di sussidiarietà, definisce una lista di sole otto
categorie di intervento. All’interno di ogni tipo di intervento lo Stato membro attiverà gli strumenti che rispondono alle
proprie necessità. Gli impegni dell’agricoltura biologica non sono dunque descritti in un articolo specifico ma rientrano,
insieme agli altri tipi di operazioni agro-climatico-ambientali, nell’articolo 70 “Impegni ambientali, climatici e altri impegni
in materia di gestione” della Proposta di regolamento del 2018 e successive modifiche.
Il pagamento per l’impegno pertinente al biologico continuerà comunque a essere concesso annualmente su ogni ettaro
di superficie certificata agli agricoltori che volontariamente ne fanno richiesta.
Come per tutti gli altri interventi dello sviluppo rurale, in Italia si sta lavorando a una proposta di scheda nazionale per
l’agricoltura biologica con elementi regionali. La finalità è definire una struttura comune dove, a livello Paese, siano
indicati gli obiettivi, gli indicatori di risultato, la progettazione dell’intervento e i criteri di ammissibilità.
Probabilmente sarà poi in capo alle Regioni la scrittura dei bandi e la definizione di condizioni più restrittive e dei criteri di
selezione, che possono aiutare a indirizzare i pagamenti verso determinati comparti produttivi, tipologie di beneficiario e
aree territoriali.
La scheda di intervento nazionale dovrà contenere anche il livello di pagamenti da corrispondere, che saranno
differenziati per categoria colturale ma anche in considerazione delle specificità territoriali.
Ad oggi la proposta di intervento è ancora parziale poiché restano comunque dei nodi da sciogliere; il principale è
collegato all’esito del dibattito sull’ecoschema del biologico. Solo a decisione presa si saprà se l’intervento
agroambientale per il biologico dello sviluppo rurale sarà riferito alla conversione, al mantenimento o a entrambe le
componenti.
L’agricoltura biologica negli altri interventi del Piano Strategico Nazionale
La strategia del Piano strategico nazionale dovrà prevedere una serie di interventi per lo sviluppo del biologico sinergici
ai pagamenti per le superfici certificate biologiche descritti nei precedenti paragrafi.
Occorrono infatti ulteriori strumenti, coerenti con la necessità espressa dai fabbisogni italiani per la Pac, per sostenere
un’innovazione del comparto bio volta al miglioramento della capacità produttiva e della qualità delle produzioni.
Nel Piano Strategico l’Italia potrà, in tal senso, attivare gli interventi più idonei all’interno di un vasto ventaglio di opzioni
presenti sia nel I sia nel II Pilastro.
Fanno riferimento al I Pilastro i numerosi interventi ambientali previsti dall’OCM che devono essere ben demarcati sia
dagli ecoschemi sia dallo sviluppo rurale.
Nonostante l’ambizione delle politiche di settore resti quella di accrescere la competitività delle imprese e di ridurre gli
effetti delle crisi e la volatilità dei prezzi, i nuovi interventi dovranno infatti avere una connotazione ancora più green. Una
quota importante delle risorse sarà così destinata a migliorare il livello ambientale del settore attraverso una lista di
impegni obbligatori e facoltativi come, ad esempio:
la conversione al biologico;
azioni per il miglioramento della sostenibilità della produzione;
investimenti materiali e immateriali, nei metodi di ricerca e produzione sperimentale;
servizi di consulenza e assistenza tecnica, in particolare per quanto riguarda le tecniche sostenibili di lotta contro
gli organismi nocivi e le malattie, l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e zoosanitari;
interventi per la promozione, comunicazione e commercializzazione, volti a sensibilizzare maggiormente i
consumatori sui regimi di qualità dell'Unione.