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“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
Al Confine tra Muro e Arte:
Prototipi Monumentali sul border
Statunitense-Messicano
Andrea Masala
«Something there is that doesn't love a wall,
that sends the frozen-ground-swell under it
and spills the upper boulders in the sun;
and makes gaps even two can pass abreast»
Robert Frost, Mending Wall, 1914
Introduzione
La costruzione di un muro divisorio sul confine tra Stati Uniti e
Messico, oltre ad aver rappresentato un nodo centrale alla campagna
elettorale 2016 dell’ex presidente USA Donald Trump, costituisce uno
degli esempi più attuali e noti di un fenomeno assai diffuso. Difatti la
paradossale persistenza di processi di fortificazione frontaliera in un
presente estremamente globalizzato viene confermata da diversi studi
(Vallet 2014; Dear 2013; Brown 2017) che segnalano un proliferare di
barriere lungo molteplici confini internazionali pari a circa 40.000 km.
Quest’ultime divengono palcoscenico ideale non solo del discorso politico
attorno alle dinamiche migratorie che contraddistinguono l’epoca
contemporanea, ma anche di una serie di interventi artistici volti a
evidenziarne e denunciarne la presenza (Ganivet 2019). È questa la
prerogativa principale della Border Art, genere artistico nato e sviluppatosi
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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attorno alla stessa frontiera USA/Messico negli anni Ottanta e oramai
diffuso su scala globale (Amilhat Szary 2010, 2012; Sheren 2015).
La presente ricerca si concentra sul caso studio Prototypes (fig. 1),
consistente nella proposta di inserire tra i monumenti nazionali
statunitensi gli otto prototipi di muro frontaliero fatti erigere nel 2017
dall’amministrazione Trump
1
. All’iniziativa, promossa dall’artista
svizzero-islandese Christoff Büchel tramite la sua associazione no-profit
MAGA
2
, ha fatto eco un’accesa polemica mediatica e una profonda
scissione della critica, entrambe sfociate in una contro-petizione online
3
.
L’obbiettivo primario perseguito da quest’ultima è stato il boicottaggio
della petizione lanciata da Büchel sul sito della Casa Bianca per la
designazione del monumento tramite l’Antiquities Act del 1906
4
.
Nonostante la condanna dell’operazione — che viene definita mera
spettacolarizzazione di uno «xenophobic and white supremacist project»
(2018) — le oltre seicento firme di esponenti del mondo artistico, museale
1
Nonostante numerosi tratti urbani del confine siano già stati murati a partire da-
gli anni Novanta, il progetto di Trump prevedeva la costruzione di un muro ex novo.
Pertanto, all’Executive Order 13767 con cui il Customs and Border Protection (CBP) di-
chiarava la “immediate construction of a physical wall” sono seguite due “requests for
proposals” del 17/03/2017, finalizzate alla costruzione di otto prototipi, di cui quattro in
cemento e quattro in altri materiali. A quest’ultima — costata $3.3 milioni e completata
tra il 26/09/2017 e il 26/10/2017 — hanno contribuito le seguenti compagnie: Caddell, WG
Yates and Sons, Texas Sterling, KWR, Fisher Sand & Gravel e Elta. I test sulla resistenza
dei prototipi a tentativi di abbattimento, scalata e scavo sotterraneo sono iniziati a no-
vembre 2017 e i prototipi sono stati infine demoliti il 27/02/2019.
2
L’acronimo MAGA “Make Art Great Again” è un chiaro riferimento allo slogan
“Make America Great Again”. Per approfondimenti si rimanda al sito del progetto:
https://www.borderwallprototypes.org/
3
Cfr.: Letter to Art and Cultural Institutions: Repudiate MAGA's White Supremacist
US-Mexico Border Wall Prototypes as "Art”,
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScQsFG24NzvMB_hbOYD3dHcV7a_Qqtn
wOb_kQLCsmem-QucNQ/viewform.
4
Legislazione che protegge beni di particolare interesse culturale, naturale o scien-
tifico sulle terre federali.
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
3
e culturale da essa raccolte non possono essere considerate semplicemente
come un’ulteriore conseguenza della cancel culture e della political
correctness che animano l’agenda sociale dell’arte contemporanea (Talon-
Hugon 2019). Ancor meno sarebbe possibile limitarne la comprensione
unicamente in merito alla cornice dell’attuale dibattito attorno alla
rimozione delle statue di confederati, coloni e schiavisti negli USA (Forest,
Johnson 2019).
L’assunto di base che muove questa indagine, infatti, è che sia la
proposta di Büchel che la sua ricezione negativa risultino particolarmente
significative delle difficoltà implicite alla costruzione di monumenti in
epoca post-moderna e in un mondo sempre più contraddistinto dal
multiculturalismo e dall’inclusione sociale. Pertanto, l’ipotesi principale,
qui avanzata attraverso un’analisi incrociata, è che la costruzione dei muri
da parte di Trump e la proposta di Büchel manifestino una profonda e
intricata stratificazione di significati che ancora necessitano di
approfondimenti finalizzati a una più completa ricezione dell’operazione.
Il presente studio, dunque, agisce nell’intento primario di arricchire il
dibattito sulla vicenda tramite un’analisi interdisciplinare. Dapprima si
intende presentarne i molteplici livelli di lettura attraverso gli strumenti
teorici offerti dall’arte contemporanea, dalla filosofia analitica e dai border
studies. Successivamente, si protrae un’analisi di Prototypes e della
costruzione stessa dei muri tramite le lenti teoriche offerte dagli studi sul
difficult heritage (MacDonald 2008) e sui monumenti e contro-monumenti
(Young 1992). Tale interdisciplinarità metodologica viene affiancata da
un’analisi di fonti tipologicamente diverse, tra cui rientrano anche
numerosi commenti nelle piattaforme social, necessariamente dettati dalla
dimensione pubblica dell’operazione di Büchel. Non è tuttavia obbiettivo
di questo lavoro fornire una risposta definitiva ai dubbi sull’effettiva
‘artisticità’ dei prototipi di Trump, quanto piuttosto appuntare delle
inedite note a margine. Quest’ultime sono in primis finalizzate all’apporto
di un più solido contributo scientifico alla comprensione complessiva di
una vicenda finora solo parzialmente affrontata dalla letteratura
accademica. Esse contribuiscono inoltre a sostenere un’interpretazione
imperniata sulla lettura di Prototypes come un monito sul ‘patrimonio
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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difficile’, che il mondo occidentale contemporaneo produce e rischia di
lasciare alle future generazioni.
Prototypes, tra interpretazioni e forme di potere
La ricostruzione di un medaglione interpretativo della vicenda
necessita di un preliminare sguardo alle motivazioni fornite dall’autore, e
rimarcate dai suoi sostenitori, per il conferimento dello status di arte ai
prototipi. Tra essi, ricorre anzitutto un’ampia serie di analogie formali
comuni a numerose opere iconiche della Land Art e della Minimal Art. La
somiglianza con alcuni dei più noti lavori di Smithson, Morris, De Maria,
Holt, Judd e altri/e protagonisti/e della scena artistica americana degli anni
Sessanta e Settanta si affianca alla condivisa semplicità formale con celebri
monumenti di Lin, Lewitt e Eisenman. Tuttavia, entrambe non sono
riconducibili unicamente a un piano visivo e formale. Infatti se, da una
parte, l’accostamento a opere come East-West/West-East di Richard Serra
del 2014 (Fig. 3) appare immediato e spontaneo, dall’altra, il richiamo a
ulteriori esperienze risulta più intensamente articolato, come quello
all’installazione temporanea Running Fence di Christo e Jeanne-Claude.
Non a caso, quest’ultima è stata oggetto di un’ulteriore provocativa
petizione online
5
, declinata una parodistica proposta di reenactment
dell’opera (eseguita per la prima volta nella Contea di Sonoma nel 1972-
76) in sostituzione del muro di confine col Messico. Entrambi i casi
suggeriscono dunque la ricorrenza del concetto di site-specificity (Kwon
2002), piuttosto che una mera similitudine tra le forme, come elemento
giustificatore delle presunte qualità artistiche dei prototipi trumpiani.
Difatti, l’arbitraria imposizione verticale di otto monoliti, geometricamente
semplici, lineari, minimalisti e adeguatamente distanziati l’un l’altro nella
vasta orizzontalità del deserto, oltre a porre i prototipi in costante dialogo
con il paesaggio naturale e i suoi costanti mutamenti, simboleggia e riflette
5
La petizione è stata lanciata da Luis Camnitzer e ha raggiunto 1.306 sostenitori.
Cfr. (https://www.change.org/p/donald-trump-commission-christo-with-an-orange-
running-fence-that-separates-the-u-s-from-mexico)
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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alcune fondamentali caratteristiche socio-politiche del luogo in cui son
collocati.
Nell’ottica di una concezione del paesaggio come la rappresentazione
di un microcosmo di relazioni sociali (Zukin 1991: 18) e come il risultato
complessivo di un ordine formale imposto da un determinato potere
politico, i prototipi agirebbero allora da contrappunto visivo delle relazioni
frontaliere e delle controverse dinamiche sociali, politiche e culturali della
border region statunitense-messicana. In altre parole, essi incarnerebbero
l’identificazione della linea frontaliera — tracciata tra i due paesi nel 1848
a seguito della stipula del Trattato di Guadalupe Hidalgo — come una
«herrida abierta where the Third world grates against the First and bleeds
[…]» (Anzaldúa 1987: 3). Lungi dall’essersi rimarginata, la ferita sul
paesaggio si farebbe addirittura carico sulla superficie dei prototipi di un
più profondo significato, segnalato dal critico d’arte Jerry Saltz come
a perfect memorial to how close the United States came to giving in
to the ghosts of racism, xenophobia, nativism, white nationalism,
mediocrity, and a cosmic fear of the other. And this Trumpian
monument will stand for this last gasp of the mythical infatuation with
race. They will stand as a reminder of how D.H. Lawrence saw
America reflected in Moby-Dick: «A mad ship, under a mad captain, in
a mad, fanatic’s hunt “afraid of its” white abstract end». (2018)
Sia le similitudini con opere d’arte del passato che i riferimenti con-
cettuali conducono verso un tentativo di definizione artistica coerente col
concetto di artworld nell’articolazione fornita dal filosofo analitico Arthur
C. Danto (1964). Quest’ultimo riguarda un insieme di rimandi a teorie ed
esempi artistici che differenziano l’ontologia di un oggetto comune — in
questo caso un muro frontaliero — da quella di un’opera d’arte. In sintesi,
il conferimento dello status di opera d’arte segue il medesimo meccanismo
del readymade duchampiano, per cui oggetti originariamente non ideati
come opere artistiche vengono arbitrariamente proposti come tali.
Tuttavia, se si prende in analisi la controversa ricezione critica della
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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proposta, si è condotti a (ri)considerare tale meccanismo di definizione ar-
tistica come paradigmatico dell’ultima formulazione della Teoria Istituzio-
nale di George Dickie, secondo la quale:
1) An artist is a person who participates with understanding in the
making of a work of art;
2) a work of art is an artifact of a kind created to be presented to an
artworld public;
3) a public is a set of persons the members of which are prepared in
some degree to understand an object which is presented to them;
4) the artworld is the totality of all artworld systems.
5) an artworld system is a framework for the presentation of a work
of art by an artist to an artworld public. (Dickie 1984)
Alcuni passaggi permettono di evidenziare delle sostanziali criticità strut-
turali dell’operazione di Büchel, che non può certamente essere accettata
passivamente in quanto i prototipi sorgono come opere ingegneristiche
realizzate da varie aziende per l’ottenimento di una commissione governa-
tiva. Difatti, rispetto al primo punto, il costruttore dei prototipi dovrebbe
agire con consapevolezza nella creazione di un artefatto da presentare al
pubblico. In tal caso, se l’autore dei prototipi fosse lo stesso Büchel, l’opera
rispetterebbe automaticamente tale condizione. Tuttavia, è egli stesso a de-
legare l’intenzionalità artistica al Presidente e al popolo elettore americano,
come conferma la sua dichiarazione al New York Times (Walker 2018): «I
am an artist, but not the artist of this» e la sua insistenza sul fatto che «this
is a collective sculpture; people elected this artist […]». Interviene a favore
di questa tesi anche il tweet dello stesso Trump del 19/12/2018, in cui è pos-
sibile leggere che:
The Democrats, are saying loud and clear that they do not want to
build a Concrete Wall - but we are not building a Concrete Wall, we
are building artistically designed steel slats, so that you can easily see
through it […]. (Trump 2018)
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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In quanto debole e insufficiente come conferma di un’effettiva qualità
artistica dei prototipi, specialmente nei limiti delle regole dettate da Dickie,
tale dichiarazione segnala la necessità di una maggior chiarezza e univo-
cità sulla condizione autoriale. Inoltre, l’artworld public a cui MAGA si ri-
volge esprime una reazione estremamente discorde dinnanzi alla propo-
sta: se il sostegno di personalità come il già citato Saltz (2018), di Michael
Walker (2018) e della galleria Hauser&Wirth (2018) è innegabile, va tenuto
a mente che la contro-petizione online nega l’unanimità dell’apprezza-
mento estetico e riafferma così la dimensione soggettiva e arbitraria di Pro-
totypes.
Occorre aggiungere che numerosi interventi di Büchel fanno leva pro-
prio sulle controverse ricezioni critiche, come dimostra la trasformazione
in moschea della chiesa di santa Maria della Misericordia a Venezia in oc-
casione della 56esima Biennale Arte. La sovrapposizione di elementi di re-
ligione islamica all’interno dell’architettura cristiana, oltre a far leva pro-
vocatoriamente sulle pratiche di integrazione delle minoranze musulmane
in territorio europeo, ha stimolato movimenti di censura da parte dell’am-
ministrazione veneziana. Ancora una volta, quindi, il sovvertimento della
funzione di un oggetto è, da parte di Büchel, un’azione arbitraria e, in
quanto tale, genera scompensi e apprezzamenti discordi nell’artworld pu-
blic. Ne è ennesima prova il recente caso Barca Nostra consistente nell’espo-
sizione alla Biennale del 2019 del relitto dell’imbarcazione sopra la quale,
nel 2015, son morte numerose persone nel tentativo di migrare a Nord nel
Mar Mediterraneo. La risemantizzazione arbitraria da imbarcazione a
opera d’arte appare, anche in questo caso, provocatoria e il pubblico non
concorde nella monumentalizzazione dell’oggetto.
L’adozione della filosofia analitica consente pertanto di circoscrivere
come sostanziali problematiche dell’intuizione di Büchel la questione au-
toriale e la risposta dell’artworld attorno al conferimento di artisticità. En-
trambi gli aspetti assumono un peso ancora più importante in merito al
conferimento dello status di monumento per via dell’unanimità a cui
quest’ultimo, specialmente in epoca contemporanea, è chiamato a rispon-
dere.
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Estetiche del muro divisorio: il sublime e la violenza
Sebbene i tour condotti da MAGA davanti ai prototipi siano stati pre-
sentati come visite guidate di un’esposizione di Land Art storica, questo
aspetto dell’operazione pone l’accento sulla percezione estetica dei limiti
territoriali. Si tratta di un tema che, analogamente all’arte, appare necessa-
riamente divisivo
6
. Perciò, quest’ultima è oggetto d’attenzione da parte dei
più recenti approcci culturali dei border studies. La border aesthetics (Schi-
manski, Wolfe 2017), infatti, non indaga solamente la percezione sensoriale
e corporea dei confini, ma anche la loro proiezione in testi culturali e l’ap-
plicazione di categorie concernenti il bello e il brutto sia alle sfumature
concettuali che a quelle geo-politiche del concetto di border. Le visite gui-
date riaffermano la risposta dei muri frontalieri a una dimensione estetica-
mente qualitativa e fanno particolarmente leva sul senso del sublime.
Quest’ultimo va impostandosi come motivazione principale delle visite da
parte del pubblico, specialmente se inteso nell’accezione di un godimento
del pericolo da una distanza di sicurezza. Il pericolo di morte per disidra-
tazione nel tentativo di attraversamento illegale e quello di cattura da parte
dei Border Patrol (gli agenti della polizia di frontiera americana) segnalano
che tale distanza, in questo caso, non è però solamente fisica, ma soprat-
tutto sociale. In altre parole, la consapevolezza sulla prossimità al muro
non intacca il senso d’immunità dai suoi effetti e, al contrario, ne alimenta
il godimento. Tra i requisiti per l’accesso alle visite, infatti, l’obbligo di pos-
sesso del passaporto statunitense (o quantomeno del visto di rientro per le
persone extra-USA) appare eloquente della mutata ontologia dei confini
contemporanei. A seguito della progressiva assunzione di una dimensione
processuale estremamente articolata (Paasi 1990), i confini si manifestano
in un insieme di pratiche di controllo basate su dati biometrici, documenti
6
Le visite son state effettuate dal 21/12/2017 al 28/01/2018 e hanno fatto immedia-
tamente sold out. Il prezzo, equivalente a poche decine di dollari, includeva il trasporto
dal Museum of Contemporary Art San Diego, l’attraversamento del confine a San Ysi-
dro, una visita guidata di quindici minuti e un ristoro finale.
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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d’identità, fasi di attesa di diversa durata alla dogana o nei centri d’acco-
glienza. Pertanto, il passaporto, in qualità di strumento garante dell’immu-
nità agli effetti del muro, va impostandosi come ciò che differenzia lo spet-
tatore da chi migra e conseguentemente il muro come barriera dal muro
come monumento. Va da sé che, coerentemente con il loro scopo divisorio,
anche la percezione dei prototipi non può assumere tratti unanimi, ma solo
discordanti. L’immagine che emerge è quella del passaporto come unico
oggetto veramente capace di fare breccia sulla barriera. Esso, quindi, viene
identificato come solo strumento di differenziazione tra l’illegal alien (la
persona che tenta di accedere al Paese senza documenti e principale bersa-
glio del muro) da chi trascorre un pomeriggio all’ombra dei prototipi per
la semplice curiosità di interagirvi e con la consapevolezza della loro im-
potenza dinnanzi alla dimostrazione del passaporto. Questo lato di Proto-
types rispecchia un ulteriore interesse dei border studies, derivato dalla
stessa svolta processuale delle fenomenologie frontaliere. Si tratta dei li-
velli di borderities (Amilhat Szary, Giraut 2015), ovvero delle diverse inten-
sità d’influenza dei confini contemporanei sulle persone a seconda del
Paese di provenienza, della classe sociale e della disponibilità economica.
La dicotomia tra confine tangibile e discorsivo restituisce una dimensione
della barriera come ‘arma paesaggistica’, la cui efficacia, a fronte delle pra-
tiche di controllo e dei processi burocratici ad essa retrostanti, viene messa
in discussione da un timbro su un documento. Il muro, in extrema summa,
viene ridotto al risultato tangibile di una totalità di pratiche politico-discor-
sive a monte, che manifestano la volontà di dare ordine al paesaggio geo-
grafico, politico e sociale tramite un’architettura simbolica. In termini se-
miotici,
lo spazio architettonico vive una vita semiotica doppia. Da un lato
modella l’universo (universum): la struttura del mondo costruito e
abitato viene proiettata su tutto il mondo nel suo complesso; dall’altro
viene modellizzato dall’universo: il mondo creato dall'uomo
riproduce la sua idea della struttura globale del mondo (Lotman 1987:
38)
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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Conseguentemente i prototipi non significano solo il risultato e una
risposta pratica alle dinamiche migratorie, ma anche il prodotto di una vi-
sione del mondo. Ciò si esplica nella scala disumana e monumentale con-
divisa da tutti i prototipi e specificatamente indicata nella call for proposals
a 30 piedi (9.1 metri) di altezza. Più che per ragioni pratiche, proporzioni
così vaste paiono volte a rispecchiare l’importanza del luogo che si sta ten-
tando di raggiungere: il potere economico, politico e sociale racchiuso dal
muro sottolinea l’impossibilità dell’impresa e, tradendo la storica idea di
sogno americano, presenta visivamente l’idea degli USA come una for-
tezza inaccessibile.
Inoltre, tale macro-scala si declina nel caso delle proposte della Caddell e
della KWR in due strutture composte da una parte superiore murata a cui
corrisponde un’alternanza di sbarre di ferro sottostanti, che consentono la
visuale dall’altra parte del muro. Il fine primario diviene un foucaultiano
rapporto tramite il quale si induce chi attraversa il confine in «[…] un tat
conscient et permanent de visibilit qui assure le fonctionnement automa-
tique du pouvoir»
7
(Foucault 1975: 202). Secondo una modalità operativa
simile a quella del Panopticon benthamiano, i prototipi appaiono nella loro
dimensione strutturale, formale e funzionale in linea con le pratiche di
in/esclusione prodotte ‘dal’ e ‘nel’ confine e con le effettive esigenze di sor-
veglianza, visibilità e controllo imprescindibili per il funzionamento della
stessa linea divisoria. Come rimarcano le parole dell’ex Presidente,
one of the things with the wall is you need transparency. You have
to be able to see through it. In other words, if you can’t see through
that wall — so it could be a steel wall with openings, but you have to
have openings because you have to see what’s on the other side of the
wall. (Trump 2017)
8
Il nesso tra potere e visibilità, la differenziazione che emerge tra
visitatori e migranti e la consapevolezza della violenza che si sviluppa
7
«[…] uno stato di cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico
del potere». trad. it. Tarchetti A., Einaudi, Torino.
8
Citato in Kopan T. (2017).
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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attorno al muro rientrano tra le ragioni principali dell’indignazione
dell’artworld public, come si ritrova ancora nella contro-petizione:
violence and art have never been strangers. There are countless
ways Contemporary Art colludes with power structures. Whether in
the relationships built between galleries and developers, or arts
funding institutions that rely on resource extraction and labor
exploitation, Contemporary Art is not exempt from power and its
abuse, and often reinforces it. (2018)
Il datato rapporto tra arte e violenza non è estraneo ai monumenti,
tantomeno a quelli riconducibili ad altri muri di confine. Non è difficile
rintracciare esempi di un’estetica del muro divisorio come monumento: la
Grande Muraglia Cinese, il Vallo di Adriano, il Muro di Berlino e le
muraglie delle città medievali, infatti, oltre a essere luoghi per la
conservazione della memoria storica e fondamentali oggetti di studio per
l’archeologia, corrispondono a siti di dolore e sofferenza. Eppure, non è
raro che vi vengano proiettate simbologie e valori fondanti dell’identità
nazionale, come si può evincere dal dono diplomatico offerto dal governo
cinese all’Onu nel 1974 consistente in un arazzo sul quale serpeggia la
Grande Muraglia (Sievers 2021). In questo caso un presente per la
cooperazione raffigura uno strumento bellico di divisione. Per giunta,
l’attrazione estetica dei confini acquisisce tratti quasi magnetici nel
crescente fenomeno del border tourism (Dallen 1995, 1998, 2000;
Wachowiack 2006) che vede alcuni limiti territoriali attrarre sempre più
persone per il brivido di trovarsi in un luogo di transizione, lungo uno
spazio liminale e su un terreno diviso in cui è possibile trovarsi in due
luoghi contemporaneamente e vivere così un’insolita esperienza.
Tuttavia, se è vero che il requisito fondamentale per un turismo di
confine consiste in una situazione di pace civile (Shin 2008) — come
dimostra il caso della proliferazione dei numerosi parchi sul confine
statunitense-canadese (Dallen 1999) — esistono anche evidenti esempi di
accentramento turistico e di processi di spettacolarizzazione lungo barriere
storicamente più controverse. Ad esempio, il Walled Off Hotel, discusso
intervento del celebre street artist Banksy, non solo espone al suo interno
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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numerose opere dello stesso autore afferenti alla tematica della
separazione e del controllo da parte del potere, ma si presenta come un
intero albergo a tema divisone. A coronarne l’intento interviene la
collocazione a pochi metri di distanza dal muro di separazione tra Israele
e i territori palestinesi che, coerentemente con l’idea di sublime come
godimento del pericolo da una distanza di sicurezza, garantisce dalle
stanze una panoramica visione sulla barriera.
Tale distanza va modulandosi altrove in termini temporali, come
accade attorno a un altro caso particolarmente degno di nota. Il tempo che
separa il presente e gli anni della Guerra Fredda invita ogni anno i turisti
davanti la East Side Gallery nel Muro di Berlino dove, oltre
all’apprezzamento di numerosi graffiti e opere di Street Art, subentra la
necessità di possedere parte di quell’oggetto di separazione. Il fenomeno
evolve da una micro-scala, per cui souvenir composti da (presunti)
frammenti del muro abbattuto nel 1989 vengono acquistati e portati a casa,
a una macro-scala, che vede numerosi segmenti del muro berlinese sparsi
e musealizzati in numerose istituzioni su scala globale
9
.
Patrimonio difficile contemporaneo
Alla luce degli esempi citati si intensificano i dubbi sulle ragioni di
un esito tanto drammatico della proposta di Büchel. L’ipotesi qui avanzata
si ricollega a questioni temporali e si articola in particolar modo attorno
alla distanza storica non rispettata dal caso Prototypes. Come si può
evincere da numerosi tweet di risposta alla promozione dell’iniziativa da
parte della galleria Hauser&Wirth, molti/e utenti social hanno condannato
la simultaneità tra la proposta e alcune tragiche vicende connesse alle
politiche di rimpatrio trumpiste. Come si legge tra i commenti:
9
Cfr. Si rimanda alla mappa interattiva di Leila Haddou che accompagna l’
articolo Olterman P., Where on earth is the Berlin wall? “The Guardian” 28/10/2014
e che colloca sul planisfero la diffusione dei segmenti del Muro di Berlino.
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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maybe not a good time to glamorize something that represents the
real daily horror of hoping today’s not the day your family gets torn
apart. (2018)
Una sommaria ricontestualizzazione storica della vicenda conferma
effettivamente la concomitanza delle visite guidate con le drammatiche
notizie riguardanti la morte di un bambino guatemalteco di otto anni
tenuto in custodia al confine (Jordan 2018) e quella di una bambina, un
anno più piccola e di medesima nazionalità, morta di disidratazione
durante la custodia (Nixon 2018). Un altro commento dal linguaggio più
colorito appare altrettanto significativo della questione temporale nel
processo di monumentalizzazione degli oggetti:
the time to worry about preserving / historicizing the Berlin Wall
was AFTER that shit was torn down, not while people were still trying
to get it built. Doing it now is just cheerleading, and fucking cruel.
(2018)
I commenti dell’utenza social alla proposta costituiscono una
significativa fonte per la comprensione del caso studio, poiché ricordano
che la monumentalizzazione dei prototipi non è stata ‘imposta’ ma, al
contrario, ‘proposta’ tramite una petizione aperta a cui rispondere su base
volontaria. Il ruolo giocato dai social network, oltre a fungere da cartina
tornasole della vicenda, risulta eloquente dei cambiamenti dell’artworld
public di Dickie e, allo stesso tempo, paradigmatico di profondi mutamenti
nelle modalità di scelta dei simboli nazionali. In effetti, come evidenziato
da J. E. Young in merito alla memoria collettiva incarnata dai monumenti:
traditionally, state-sponsored memory of a national past aims to
affirm the righteousness of a nation's birth, even its divine election.
The matrix of a nation's monuments traditionally emplots the story of
ennobling events, of triumphs over barbarism, and recalls the
martyrdom of those who gave their lives in the struggle for national
existence-who, in the martyrological refrain, died so that a country
might live. In suggesting themselves as the indigenous, even
geological outcrops in a national landscape, monuments tend to
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
14
naturalize the values, ideals, and laws of the land itself. To do
otherwise would be to undermine the very foundations of national
legitimacy, of the state's seemingly natural right to exist. (1992)
La condivisione di tali basilari prerogative dei monumenti nazionali
non è solo un requisito necessario e centrale, ma anche sintomo
dell’impossibilità di crearne uno che possa effettivamente rispecchiare la
società contemporanea, tanto diversificata e proiettata in un fervido stato
di costante mutamento. L’Antiquities Act a cui MAGA si appella reinserisce
infatti la proposta in un piano nazionale poiché basata unicamente sulla
legislazione statunitense e pare così omettere la collocazione del
monumento sul limite territoriale e il parere del pubblico sudamericano.
Ciò viene riflesso dalla fenomenologia, dalla collocazione e dal display
stesso dell’eventuale monumento sulla linea frontaliera, in un luogo dove
la visione, necessariamente condivisa in egual maniera dal lato Nord a
quello Sud, genera ancora una volta interpretazioni divergenti tra chi ha
eretto il monumento e chi ne percepisce l’esistenza come una minaccia
quotidiana.
L’annullamento di una reale dimensione democratica conduce la
presente analisi sempre più verso la concezione dei prototipi come difficult
heritage, laddove con questo termine si intenda un’eredità relativa a un
passato
that is recognised as meaningful in the present but that is also
contested and awkward for public reconciliation with a positive, self-
affirming contemporary identity. ‘Difficult heritage’ may also be
troublesome because it threatens to break through into the present in
disruptive ways, opening up social divisions, perhaps by playing into
imagined, even nightmarish, futures. (MacDonald 2010: 1)
Tuttavia, Prototypes manifesta un significativo slittamento temporale
del concetto di MacDonald: esso costituirebbe infatti un monumento
prodotto nel presente e, dunque, un patrimonio contemporaneo
attualmente contestato e sicuramente di difficile gestione futura.
Nonostante il dato venga evidenziato persino dalla stessa MAGA nella
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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dichiarazione di intenti — «instead of causing us to remember the past like
the old monuments, the new monuments seem to cause us to forget the
future» (2018) — sia i vari attori protagonisti della vicenda che coloro che
hanno mosso le critiche negative a Büchel sembrano aver sottovalutato
questo aspetto.
L’analisi finora protratta invita a ritenere che in questa dichiarazione
sia racchiuso il vero punto di forza dell’intera operazione, ovvero l’avere a
che fare con un prototipo di monumento prima ancora che con un
prototipo di muro divisorio. L’enfasi in questo caso ricade
sull’interpretazione simbolica e culturale della struttura piuttosto che sulla
sua funzione reale, come ricordano anche gli interventi di Büchel citati in
precedenza. Sono svariate le peculiarità condivise dalle otto barriere
trumpiane con il difficult heritage del passato totalitarista nazista e fascista:
la macroscala come forma simbolica della grandezza del potere, la morte
che aleggia attorno alla funzione della struttura architettonica,
l’accentramento della memoria nel luogo di dolore, il design minimalista e
stridente col sito naturale di collocazione dell’opera e, infine,
l’interpretazione in chiave di genere dell’architettura verticale
sull’orizzontalità del paesaggio. In quest’ottica il meccanismo adottato da
Büchel condivide nuovamente il modo di intendere la scultura della Land
Art, specialmente quello dell’artista Robert Smithson che — definendo
monumenti le infrastrutture, i ponti e i tubi industriali della periferia di
Passaic in New Jersey — teorizzava le:
[…] ruins in reverse, that is — all the construction that would
eventually be built. This is the opposite of the «romantic ruin» because
the buildings don’t fall into ruin after they are built, but rather rise into
ruin before they are built. (Smithson 1967)
L’analoga attribuzione arbitraria di qualità monumentali ai prodotti
architettonico-industriali della società contemporanea in fase di realizza-
zione rimodella l’intuizione di Büchel come la concezione di un ‘monu-
mento in potenza’: una rovina del presente catalizzatrice di profondi signi-
ficati relativi non solo alle sue possibili ripercussioni sul futuro, ma anche
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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all’utopistica dimensione della visione del mondo incarnata da questa ar-
chitettura. La demolizione dei prototipi nel 2019 conferma l’idea smithso-
niana di edifici che vengono innalzati come rovine ancor prima ancora di
essere ultimati e — dimostrando la dimensione distopica del progetto
trumpiano — suggerisce un ultimo livello di lettura dell’intera vicenda.
L’idea di contro-monumento, infatti, fa particolarmente leva sull’assenza
del monumento che, da statico, diviene dinamico fino alla sua scomparsa,
come segnala Young (1992) in merito al contro-monumento di Jochen Gerz
di Amburgo, consistente in un obelisco che viene progressivamente inter-
rato. La memoria persiste nelle immagini della demolizione dei muri, in
quelle della sua costruzione e nelle testimonianze della dimensione pub-
blica dell’intera vicenda. La polemica qui analizzata, in sostanza, incarna
l’idea della morte del monumento (Mumford 1937) e la sua trasposizione
in un mutamento formale del monumento stesso.
Gli appunti a margine apportati alla vicenda non consentono di giun-
gere a conclusioni definitive ma, al contrario, segnalano la necessità di
un’agenda di studi futura che possa ricollocare Prototypes e analoghi inter-
venti provenienti dalla Border Art anche nella crescente cornice d’analisi
fornita dai memory studies (Till 2008). La progressiva evoluzione dei confini
geo-politici contemporanei in spazi di violenza e negazione dei diritti te-
stimonia un’urgenza di studi in questa direzione. L’interdisciplinarità fon-
damentale ad analisi di questo tipo rimarca l’onnipresenza del concetto di
border nei vari campi d’indagine delle discipline umanistiche e la necessità
di uno sguardo sempre più dettagliato sulle materializzazioni fisiche dei
processi di de/rebordering in prodotti culturali. Il caso Prototypes non risulta
dunque solo fondamentale in questo senso, ma anche significativo delle
nuove forme, tipologie e destinatari su cui l’erezione contemporanea di
monumenti, memoriali e opere pubbliche dovrebbe riflettere. Il tassello qui
apportato, piuttosto che fissare consapevolezze, apre a ulteriori dubbi o,
quantomeno, aggiunge ai versi riportati in apertura la consapevolezza che,
così come è vero che ‘c’è sempre qualcosa a cui non piace un muro’, anche
un apprezzamento estetico unanimemente condiviso di un monumento
necessita ancora di tempo e studi al riguardo.
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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Fig. 1 – Gli otto prototipi di muro (Foto di Guillermo Arias, cortesia dell’autore)
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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Fig. 2 – I prototipi di muro (Foto di Assaf Evron, cortesia dell’autore)
Andrea Masala, Al Confine tra Muro e Arte. Prototipi Monumentali sul Border Statunitense-Messcano
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Figg.4-5 – Il muro della KWR e della Caddel Construction (Foto di Bjarni Grimmson,
cortesia dell’autore e di MAGA).
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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L’autore
Andrea Masala
Andrea Masala si laurea in Scienze dei Beni Culturali all’Universit
di Pisa, trascorre un anno di mobilità estera alla University of Leicester e
prosegue i suoi studi magistrali in Storia delle Arti e Conservazione dei
Beni Artistici presso l’Universit Ca’ Foscari Venezia. Si laurea con lode
discutendo una tesi dal titolo “T/HERE. Border Art a San Diego e Tijuana
(1970-2005)”, successiva a un semestre di ricerca alla San Diego State
University. Dal 2020 è dottorando presso l’Universit di Genova, dove
conduce, in cotutela con PACTE - Laboratoire de Sciences Sociales
dell’Université Grenoble Alpes, un progetto di ricerca interdisciplinare sulla
Border Art russo-norvegese.
Email: andrea.masala@edu.unige.it; andrea.masala@umrpacte.fr
“Medea”, vol. VIII, n. 1 (2022)
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Come citare questo articolo
Masala, Andrea, Al confine tra muro e arte: Prototipi Monumentali sul Border
Statunitense-Messicano, “Medea”, VIII, 1, 2022, DOI: 10.13125/medea-5100