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La scuola nella crisi Covid:
una deistituzionalizzazione strisciante?
Angelo Gaudio
Nel suo classico libro Deschooling society, Ivan Illich aveva previsto
ed auspicato la deistituzionalizzazione della scuola (Illich, 1971). I suoi
successivi interventi avevano chiarito che il suo intento era quello di
superare le diverse funzioni e il loro intreccio con lo stato (Illich, 2009).
I suoi richiami formali si rifacevano al ritorno alla chiesa precostan-
tiniana e al primo emendamento della Costituzione statunitense, che
separa lo stato dalle religioni, dando per altro vita ad una forma di
idealità ben diversa da quella europea che ha nel caso francese il suo
idealtipo (Gaudio, 2021). La scuola contro cui Illich polemizzava era
una istituzione statale in cui la funzione economica era mediata da un
apparato statale, per usare l’espressione di Althusser, era un apparato
ideologico di stato. Oggi quello Stato subisce tensioni disgregatrici dal
mercato globale che ne mutano le modalità e il ruolo (Casini, 2018).
Utili riessioni ci sono fornite da un recente articolo di David
Buckingam, (Buckingam, 2021), autorevole accademico inglese in
tema educazione e tecnologie, che parte dall’ipotesi che una rilettura
della classica opera del 1971 possa essere ritornata di attualità alla luce
dell’esperienza della crisi Covid e della accelerazione dell’uso delle tec-
nologie da essa indotta, come risulta dal passaggio seguente:
So how far does Illich’s book speak to our current situation – or does it merely
reect the passing concerns of the time in which it was written? Is it just a utopian
fantasy, or does it provide a realistic programme for change? And what, in parti-
cular, might it have to say about the role of technology in all this?
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Con riferimento alla situazione attuale venivano fatti presenti i pro-
blemi pratici emersi da quelli della custodia degli studenti no a quelli
della loro salute mentale, egli afferma che:
The challenge to the ‘factory system’ of schooling, and the ‘industrial era’ insti-
tution of the school, has had a particular appeal to enthusiasts for educational
technology. In the early days of the cinema, the inventor Thomas Edison proposed
that the cinema would be the school of the future; while in the 1980s, Seymour
Papert was declaring that the computer would ‘blow up the school’. Although Illi-
ch’s book pre-dates the internet, there is a remarkable afnity between his account
of a deschooled society and the wilder predictions of contemporary ‘cyber-utopians’,
with their rhetoric about empowerment and participation.
Il riferimento informativo era ad un saggio di Tony Breslin (2021a)
basato su circa mille interviste. Dello stesso autore disponiamo anche
di un podcast (Breslin, 2021b). La prudente conclusione dello studioso
collocava il pensiero di Illich al rango di esperimento mentale utile alla
discussione ma non alla soluzione dei problemi dell’educazione. Infatti
egli sostiene che:
Yet despite my criticisms, I’d say that Deschooling Society has a value as a kind
of thought experiment. By taking a much longer and broader historical and global
view, it helps to question categories and concepts we tend to take for granted. What
is a child, what is a teacher, what is education? Why, in particular, do we tend
to think of learning primarily in the context of the school – a particular kind of
institution, with a very specic form and organisational structure? What, indeed,
are schools actually for? It’s possible that the experience of the pandemic has shar-
pened these debates.
Nella tradizione pedagogica italiana circa negli stessi anni France-
sco de Bartolomeis teorizzava la scuola fuori dalla scuola in un volume
di recente ristampato (De Bartolomeis, 2018). La consapevolezza del
ruolo educativo del “territorio” può portare tanto a tentativi di pedago-
gizzazione della società quanto a tentativi di socializzazione della scuola
che dovrebbe essere sempre più rispondente alle esigenze della società
intesa tanto come mercato tanto come comunità politica.
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La scuola nella crisi Covid: una deistituzionalizzazione strisciante?
La costituzionalizzazione della autonomia delle istituzioni scolasti-
che prevista dalla revisione costituzionale, legge costituzionale 3/2001,
nota anche come revisione del titolo V (Poggi, 2019; Saitta, 2019) cui
ha ovviamente fatto seguito un processo di implementazione proble-
matico, presuppone una sorta di autogoverno e forse anche una scuola
iusta propria principia di cui non mancano tracce nella riessione peda-
gogica anche italiana. Incidentalmente si può ricordare che nel discorso
sull’autonomia scolastica si sono intrecciate inuenze globali risalenti
alla riforma neoliberale dello stato in termini di New public manage-
ment e esigenze italiane connesse alla libertà di insegnamento e all’i-
stituto della parità per cui tanto le scuole pubbliche statale quanto le
scuole pubbliche statali sarebbero divenute tutte autonome nel quadro
del sistema nazionale di istruzione.
Con la parziale eccezione degli atenei telematici e dei corsi telema-
tici degli atenei convenzionali no alla crisi Covid, le scuole e le uni-
versità erano un luogo separato dove i docenti facevano lezione in un
luogo messo a disposizione dal datore di lavoro a studenti di cui aveva
la responsabilità di custodia.
La scuola in DaD è una relazione che si svolge nella connessione tra
un docente che può trovarsi nella sua abitazione con mezzi e collega-
menti a sue spese e studenti che si trovano di solito nelle loro abitazioni
con mezzi e collegamenti a loro spese e sotto la responsabilità dei loro
genitori se minori.
Le piattaforme utilizzate sono proprietà di privati che le conce-
dono in uso talora gratuito (Google) talaltra a pagamento (Microsoft)
basandosi su server che non necessariamente sono in territorio italiano
o anche solo comunitario e dunque soggette a legislazioni e giurisdi-
zioni legate alla sede legale del fornitore del software. Problematici
appaiono la proprietà intellettuale e il controllo dei dati degli utenti
che nel caso di software gratuiti potrebbero costituire la vera forma di
pagamento dell’uso della piattaforma. Questa questione si presenta in
termini ancora più complessi in relazione all’uso di software anti-copia-
tura, detti sistemi di proctoring, che aumentano l’invasività e innalzano
i requisiti di sistema necessari per l’utilizzo. Tali problematiche diven-
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tano tanto più gravi se gli utenti e chi ne decide l’utilizzo imponendolo
non siano consapevoli delle conseguenze della loro decisione. La quo-
tidianità accademica ha visto la crescita dei tempi delle riunioni e dei
convegni leggeri e soprattutto delle “ospitate” di colleghi di altri atenei
anche non italiani.
Gli insegnanti italiani hanno dimostrato una grande capacità di
adattamento e di accettazione di norme e prassi che erano proprie di
alcuni di loro ma in contesti di sperimentazione e con un quadro nor-
mativo che molto spesso è stato successivo e non precedente alla sua
implementazione.
Risale al 9 marzo 2020 il “lockdown” e a pochi giorni dopo il primo
provvedimento che da indicazioni in tema di Didattica a distanza, sia
pure con il rango minore di una Nota dipartimentale (Nota dipar-
timentale 17 marzo 2020, n. 388, recante “Emergenza sanitaria da
nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività didatti-
che a distanza” (MIUR, 2020). Il documento non pareva consapevole
delle difcoltà di collegamento e presupponeva una diffusione capillare
in buona parte già avvenuta di metodologie didattiche venivano consi-
derate come equivalenti spesso indicate con espressioni anglofone che
probabilmente un linguista denirebbe come “italiese” della scuola, fra
le quali debate, cooperative learning e ipped classroom. La consapevo-
lezza istituzionale di una realtà molto variegata emergeva nell’estate del
2020 da una indagine dell’Indire (Indire, 2020a). Le risposte al que-
stionario mostrano come nella larga maggioranza dei casi DaD fosse
stato sinonimo di videoconferenza (Indire, 2020b).
Criticità legate all’uso dei dati degli studenti in un ambiente virtuale
esterno alla scuola sono ben presto emerse e hanno provocato un inter-
vento del Garante della Privacy (2020).
Recarsi a scuola per far lezione oltre che consuetudine di vita era
stata no a quel momento una parte dei loro doveri di ufcio con-
trattuali. La superiorità delle norme sanitarie emergenziali è apparsa
evidente e di fatto condivisa giungendo forse ad alterare la gerarchia
delle fonti del diritto non prevedendo l’ordinamento italiano uno stato
di eccezione in tempo di pace, seppur denominato stato di emergenza
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che si è servito prevalentemente di DPCM portando a una sorta di
slittamento della forma di governo.
Soggettività docenti
Una sublimazione letteraria, analoga a quella di normali scritture
di scuola letterarie (Marchetta, 2011; Dai Pra, 2011; Fregona, 2019;
Bozzola, 2020; Ossola, 2018; Petri, 2020) ci è offerta da Ambrosec-
chio (2021).
Tali scritture, quando riescano a superare gli egotismi autocompia-
ciuti da “dolori del (giovane) professore”, mettono comunque in scena
la relazione e le difcoltà della relazione tanto maggiori quanto più vi
siano debolezze tanto da parte del docente quanto da parte dei discenti.
In situazione DaD le assenze in presenza diventano ben più evidenti
perché si intrecciano con difcoltà di collegamento vere o simulate o
con assenza di feedback che probabilmente in presenza sarebbero pas-
sate quasi inosservate. Un normale insegnante percepisce di più il man-
cato feedback in DaD rispetto al normale sbadiglio-mugugno di uno
studente in aula.
Pur dichiarando, secondo una consueta formula, che non si tratta
di una cronaca ma di una invenzione, Ambrosecchio (2021) mostra
come le fragilità tanto legate alla disabilità o anche soltanto a conte-
sti familiari e sociali, inevitabilmente intrecciati con i problemi della
trasformazione nel corso della maturazione adolescenziale, siano stati
accentuati dalla situazione di maggiore isolamento. Attraverso la DaD
l’intera Italia si è resa maggiormente conto del suo digital divide, tema
certamente già ben noto agli specialisti ma non altrettanto all’opinione
pubblica e ai decisori politici, che di questo non hanno ancora com-
pleta consapevolezza.
Di tali situazioni abbiamo analisi anche in forma di diari fenomeno-
logici (La Rosa, Ariemma, 2021).
La difcoltà di connessione, reale o dichiarata, diviene emblematica di
una difcoltà di connessione che spesso nell’aula sica viene solo in parte
percepita dal docente che sta spiegando che, in perfetta buona fede, può
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constatare il grado di attenzione degli studenti delle prime le ma difcil-
mente può farlo colla stessa intensità in una normale aula di 25-30 alunni
senza il predellino caro a Galli della Loggia. Molto spesso si nota lo stu-
dente che disturba ma non quello che silenziosamente dorme. Il “ragazzi
mi sentite” è diventato perno il tormentone della satira di Teresa Man-
nino col suo personaggio della “prof. in DaD” (Mannino, 2021).
Ricerche recenti come quelle di un assai noto think tank privato come
la Fondazione Agnelli (2021) hanno messo in luce le difcoltà legate al
digital divide tanto negli aspetti di disponibilità di attrezzature e colle-
gamenti quanto in quelli connessi alla capacità di usarli. In entrambe le
ricerche sembra emergere come i nuovi mezzi non abbiano portato in
molti casi a nuovi metodi didattici, cosa peraltro ben nota agli storici
della scuola, basti pensare al classico lavoro di Cubban (1984). La fatica
da DaD è una forma amplicata di fatica da scuola perché la difcoltà
di collegamento aumenta lo stress e diminuisce il tempo scolastico utile.
Quello che la ricerca promossa da FGA descrive sono le dichiarazioni di
un campione di dirigenti scolastici insegnanti e studenti su quello che
essi affermano di aver fatto e alcuni pareri su tali pratiche, metodologia
possibile ma diversa della rilevazione amministrativa. Ritenere che una
ricerca (privata) possa inuenzare decisioni politiche o anche solo prassi
amministrative ci pare una presunzione di autorevolezza, legittima dal
punto di vista della libertà di espressione, ma comunque un tentativo di
bypassare per via comunicativa il circuito della decisione politica e della
sua ulteriore implementazione amministrativa.
Dal punto di vista dello studioso di discipline pedagogiche ci tro-
viamo di fronte ad un caso particolare del dibattito intorno all’ipotesi
di una scienza dell’educazione e anche un aspetto delle caratteristiche
e dell’ampiezza della libertà di insegnamento da parte del docente sin-
golo e in quanto parte di una istituzione scolastica “autonoma”.
L’Università
Diversa la situazione delle Università dove l’attrezzatura di rete di
macchine e di software era migliore. Tutte le università hanno una
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attrezzatura e un gruppo di specialisti di informatica. Questo non signi-
ca che tutti i docenti universitari, che hanno un’età media elevata,
abbiano adeguate competenze informatiche applicabili alla didattica e
soprattutto che siano disposti a mettersi in gioco. Tutte le università
hanno fornito istruzioni tecniche ma in molto minor misura hanno
fornito formazione didattica. Si sono viste esperienze di didattica sin-
crona che riproducevano lo stesso orario delle lezioni in aula e espe-
rienze di didattica asincrona.
Ulteriori articolazioni si sono avute in relazione al luogo dal quale i
docenti facevano lezione che poteva variare da un’aula (relativamente)
attrezzata al loro computer domestico. Anche dal punto di vista dei rice-
venti la fruizione da pc o da device mobile non è parsa equivalente. Le
cronache giornalistiche sono giunte a parlare di studenti che facevano
esami da mezzi in movimento come autobus di cui erano guidatori. I
primi dati disponibili sulle iscrizioni (unrest-net.it) e l’esperienza di chi
scrive constatano un qualche aumento delle iscrizioni, tanto più signi-
cativa tenendo conto del trend demograco di riferimento, pur con
signicative articolazioni per corso e sede. La possibilità di fare a meno
di un trasferimento sico certamente agevola gli studenti con minori
disponibilità economica e minor tempo a disposizione per motivi lavo-
rativi o familiari e con permanenti difcoltà di spostamento.
La maggior parte delle Università hanno utilizzato Microsoft Teams
che rientra nelle normali licenze Microsoft Ofce di cui le Università già
dispongono e che in molti casi sin integrano con i sistemi di posta elet-
tronica forniti dalla multinazionale statunitense. Tale scelta ha ovvia-
mente consolidato l’oligopolio e fatto dimenticare che in Italia dispo-
niamo di una infrastruttura telematica per la ricerca come la rete GARR
che potrebbe essere integrata con software open source “gratuiti”.
Le peculiari vicende delle università telematiche nell’ambito del
sistema universitario italiano (Mariuzzo, 2019) alterano non poco la
realtà e la percezione dell’uso della rete nella didattica universitaria.
Come è noto la gura giuridica delle Università telematiche è stata
introdotta nel 2003 dalla ministra Moratti (DI 17 aprile 2003) e si è
ulteriormente integrata nel sistema delle normative ANVUR venendo
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a congurarsi come un terzo tipo di università rispetto alle università
statali e alle università non statali abilitate a conferire titoli di studio per
modalità ridotte di requisiti di accreditamento dei corsi di studio che
ha avuto un effetto di retroazione nella minore presenza di personale
docente strutturato e per una minore enfasi del ruolo della ricerca in
tali realtà. La minore incidenza degli immatricolati puri in tali realtà
unita alla loro particolare presenza nel segmento dei 24 cfu richiesti per
l’accesso all’insegnamento, decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, ne
ha peggiorato l’immagine diffusa forse una misura anche maggiore di
quanto sia ragionevole. Certamente metodi di marketing relativamente
insoliti in cui si arriva a fenomeni come la presenza di realtà non istitu-
zionali che fungono come agenti di vendita e di sedi di esame all’interno
di istituzioni private non universitarie portano a usi linguistici che tro-
viamo in rete quali “dove hai comprato i cfu” no alla loro versione pop
musicale presente in uno spot di una nota marca di gelati “comprerò
un altro esame all’università” (Fedez, 2016) presente nel 2016 in un
singolo del cantante Fedez, allora forse meno noto di quanto non sia
diventato nel luglio 2021 a seguito delle polemiche intorno al DDL
Zan che lo hanno visto pubblico interlocutore di esponenti politici ed
ecclesiastici di primo piano (Fedez, 2021).
Il discorso pubblico sulla DaD si intreccia col più complessivo
discorso pubblico sull’università che in Italia è spesso molto visibile
agli addetti ma vede protagonisti ristrette e vocali minoranze di accade-
mici, quali gli animatori di siti come ad esempio ROARS, che uniscono
talora ideologia progressista e sensibilità conservatrice secondo un mix
che risale almeno alle polemiche sulle riforma della scuola (Russo,
1998; Bontempelli, 2001) e dell’università (Beccaria, 2004; Ferraris,
2009; Bertoni, 2016) risalenti al ministero Berlinguer.
L’università come la società e lo Stato di cui è comunque parte tende
a globalizzarsi e a rispondere maggiormente a logiche retoriche di mer-
cato, fenomeno ben noto agli studiosi di educazione comparata, di poli-
tiche pubbliche, di sociologia e di economia dell’educazione, ma spesso
non altrettanto a coloro che nell’università insegnano o che di università
scrivono sui giornali, talora maturi accademici di materie umanistiche
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(Agamben, 2020a; 2020b; 2020c), ma più spesso giornalisti quasi mai,
almeno in Italia, specializzati in questioni scolastiche e/o universitarie.
È il caso di ricordare che Agamben 2020 aveva parlato di “inven-
zione di una epidemia” e che Agamben nel 2021 parla della DaD come
ne dell’Università. Entrambi gli interventi hanno suscitato un vasto
dibattito. Agamben è studioso di losoa ma più latamente intellettuale
impegnato largamente noto e apprezzato probabilmente più all’estero
che in Italia dove ha avuto una carriera accademica relativamente con-
trastata e certamente di rilievo non pari alla sua notorietà internazio-
nale (Lucci, 2021). Al di là dei toni catastroci l’aspetto positivo degli
interventi di Agamben è l’invito a rileggere le opere di Foucault laddove
tratta di biopolitica. Ci pare di sottolineare come la crisi abbia messo in
luce nel caso italiano gli effetti di vari aspetti delle politiche pubbliche
quali il ridimensionamento degli ospedali e della medicina di base così
come gli effetti delle delocalizzazioni di produzione di prodotti quali
le mascherine. I vaccini sperimentali di cui adesso disponiamo, certa-
mente in modo diseguale, soprattutto tra paesi sviluppati e paesi in via
di sviluppo, sono prodotti di aziende private resi peraltro possibili da
massicci nanziamenti pubblici per la ricerca e da interventi regolatori,
pubblici per denizione, che hanno ridotto in modo assai rilevante i
tempi di ricerca e sviluppo e utilizzo su vasta scala di tali prodotti.
Se da un punto di vista della retorica istituzionale si può a buon
diritto affermare (Capano, 2017) che l’Università è la seconda istitu-
zione accademica al mondo dopo la chiesa cattolica. Non può essere
ignoto allo storico della cultura e delle istituzioni che la sua impor-
tanza relativa tanto nella trasmissione della cultura quanto soprattutto
nella creazione di una nuova cultura è stata molto mutevole nel corso
del tempo. L’idea che la cultura abbia il suo luogo principale nell’U-
niversità e che l’Università sia il cuore dello Stato è un’idea che risale
alla cultura romantica degli inizi del diciannovesimo secolo, quella
che è generalmente nota come università humboldtiana. Appare quasi
banale che Rinascimento, riforma protestante, riforma cattolica e illu-
minismo sono stati fenomeni culturali pressoché del tutto estranei ed
esterni all’Università.
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La stessa idea che la scienza debba essere nazionale è statale è altret-
tanto ottocentesca e in parte novecentesca. La grande scienza novecen-
tesca ha il suo luogo di elezione nelle istituzioni di sola ricerca nanziate
in modo variabile dagli stati e dalle industrie, non di rado in relazione
a progetti che hanno una rilevanza (anche) militare, si pensi alle tecno-
logie aerospaziali o a quelle della comunicazione. Non meno rilevante
l’intreccio tra dimensioni e ruoli nel passaggio da una istituzione di élite
destinata alla formazione di una parte delle élites a istruzione terziaria
al cui interno passano percentuali crescenti delle coorti demograche
destinate a svolgere un ventaglio di professioni sempre più diversicato.
Altri sguardi e prospettive
Non stupisce che anche i giuristi abbiano dedicato la loro attenzione
agli effetti della crisi pandemica come ad esempio (Cabazzi, Costanzo,
2021) che sottolineano come il crescente ruolo nanziario della dimen-
sione comunitaria (Gaudio, 2016), che incorpora una forma di governo
in cui il ruolo del parlamento è molto minore anche perché appare
legato anche a una legittimazione discorsiva in cui la retorica TINA
(There Is No Alternative) è ancora più forte in quanto lega insieme alla
dimensione nanziaria e alla dimensione sanitaria rispetto alle quali il
semplice cittadino si sente spesso incompetente e impotente. Si può
affermare che emerge oggi, così come era già avvenuto nella crisi nan-
ziaria globale del 2008, la consapevolezza di cosa signichi avere l’euro
ma non l’Europa (Di Quirico, 2008).
La qualità dell’informazione giornalistica non sempre permette di
valutare correttamente la qualicazione scientica degli esperti pre-
senti nel dibattito pubblico e questo è ancora più vero in ambito eco-
nomico. Questo tende a presentarsi come portatore di un sapere di
ultima istanza che spesso è una sorta di religione secolare dalle impli-
cite e ferree premesse antropologico-losoche. Nello specico delle
politiche educative ci appare non inutile ricordare come il processo di
bilancio italiano, anche grazie alla revisione dell’art. 81, sia diventato
un processo anche comunitario dal quale in ultima analisi dipendono
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anche decisioni amministrative quali la assunzione dei docenti (Gau-
dio, 2016). Di tale dimensione il discorso pubblico anche da parte dei
ministri dell’istruzione appare non consapevole. I tempi del PNRR
(PNRR, 2021) scavalcano quelli della legislatura ma i tempi delle pre-
visioni indicate nel DEF 2021 (MEF, DEF, 2021) no al 2070, scaval-
cano verosimilmente la ne della speranza di vita di chi scrive.
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Sitograa
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