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Utility Token e Imposta sul Valore Aggiunto – 26 gennaio 2022
1
UTILITY TOKEN E IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
Utility Token and Value Added Tax
Andrea Cesaretti
ABSTRACT
La mancanza di un inquadramento preciso degli Utility Token e dell’offerta dei medesimi in am-
bito nazionale crea eccessive perplessità sia sul piano del regolamento del mercato sia su quello
fiscale con la conseguenza di ridurre, se non azzerare, l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali
nel nostro paese in un momento in cui, al contrario, occorre mettere in campo quanti più strumenti
possibili per ridare lustro alla nostra economia. In campo fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha re-
centemente stabilito che iniziative come l’emissione di Utility Token per finanziare nuovi progetti
debbano scontare l’Iva, una presa di posizione che, se confermata, ridurrebbe le potenzialità della
raccolta di capitali tramite Utility Token oltre al paradosso di tassare anche quelle iniziative che,
purtroppo, non giungono a completamento. Al contrario, riteniamo che tali operazioni debbano
essere tassate al pari delle raccolte di capitali escluse dal campo di applicazione dell’Imposta sul
Valore Aggiunto.
The lack of a precise National framing of the Utility Token and the offer of the same creates
excessive perplexity both on the level of the regulation of the market and on the fiscal one with
the consequence to reduce the launch of new entrepreneurial initiatives in our country at a time
when, on the contrary, it is necessary to use as many tools as possible to restore prestige to our
economy. In the field of taxation, the National Revenue Agency (Agenzia delle Entrate) has re-
cently established that the issuance of Utility Token to finance new projects must discount VAT
with a statement that, if confirmed, would reduce the potential of raising capital through Utility
Token in addition to the paradox of taxing even those initiatives that, unfortunately, do not come
to completion. On the contrary, we believe that these transactions should be taxed in the same
way as the capital raising not taxable with the Value Added Tax.
INTRODUZIONE
La risposta all'interpello n. 110 pubblicata il 20 aprile 2020 da parte dell’Agenzia
delle Entrate in materia di Iva sulle operazioni aventi per oggetto Utility Token lascia
qualche perplessità a causa del suo eccessivo grado di generalizzazione del fenomeno.
Gli Utility Token, infatti, possono avere diverse destinazioni d’uso come pure è possibile
individuare differenti inquadramenti giuridici con conseguenze diverse sotto il profilo
fiscale.
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Al momento in cui scriviamo, il valore della Finanza Decentralizzata (DeFi) vale
all’incirca 100 miliardi di dollari e, viste le sue implicazioni culturali e sociali, potrebbe
essere destinato a crescere ulteriormente e a giocare un ruolo determinante nell’economia
globale.
In questo lavoro, esaminiamo, da diversi punti di vista, il fenomeno degli Utility
Token e le relative implicazioni di carattere fiscale ai fini dell’Imposta sul Valore Ag-
giunto in attesa di una regolamentazione specifica e chiara che permetta agli operatori di
muoversi in un contesto finanziario che non è più possibile ignorare.
COSA SONO GLI UTILITY TOKEN
Se fossimo a digiuno di blockchain e di finanza “cripto”, per comprendere di cosa
si tratta dovremmo tornare con la memoria ai tempi in cui si andava alla sala giochi e
cambiavamo le nostre lire in gettoni con i quali (e solo con essi) potevamo dedicarci ai
nostri giochi preferiti.
Di fatto, le caratteristiche di quei gettoni erano: a) si ricevevano in cambio di mo-
neta corrente, b) potevano essere utilizzati solo all’interno della sala giochi; c) potevano
essere scambiati con i gettoni degli amici mantenendo la stessa funzione; d) potevano
essere restituiti in cambio di moneta a corso legale.
Per comprendere cosa sono gli Utility Token è pertanto sufficiente considerare
che la sala giochi è una blockchain (che, sempre per farla breve è una rete di computer) o
un’applicazione che “gira” nella blockchain e che l’Utility Token è il gettone che ci per-
mette di accedere alla blockchain e/o utilizzare l’applicazione.
Come nella sala giochi reale il gettone poteva essere scambiato con quello di
un’altra persona, anche nel mondo blockchain il token può essere scambiato con un token
della stessa natura oppure contro un token diverso e, naturalmente, anche contro moneta
corrente. In ogni caso, quel determinato token potrà essere utilizzato solo nella specifica
applicazione per cui è stato creato come il gettone di buona memoria poteva essere utiliz-
zato solo nella sala giochi in cui l’avevamo comprato.
La differenza non di poco conto (e che, come vedremo, potrebbe avere anche una
valenza sul piano fiscale) è che, mentre i gettoni della sala giochi erano in una lega di
rame, nichel e zinco, gli Utility Token sono digitali ovvero sono semplicemente “codice”.
Per completezza, occorre aggiungere che, per essere utilizzati in determinati contesti
come pure per regolarne le compravendite, questi token devono essere collegati a un’altra
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sequenza di codice, un altro software, chiamato “smart contract” che ne contiene, in
estrema sintesi, le regole di funzionamento e i diritti attribuiti ai possessori.
Su un piano più tecnico, nelle intenzioni dell’Unione Europea, gli Utility Token
sono definiti come “un tipo di cripto-attività destinato a fornire l'accesso digitale a un
bene o a un servizio, disponibile mediante DLT, e che è accettato solo dall'emittente di
tale token”. A sua volta, una "cripto-attività" è “una rappresentazione digitale di valore
o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la
tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga” (DLT
1
).
Secondo la Consob italiana si tratta di “quei crypto asset che incorporano il diritto
ad una prestazione futura, che può consistere nella possibilità di utilizzare un bene o
ricevere un servizio che l’emittente ha già realizzato o promette di realizzare”
2
.
Più semplicemente, secondo la Finma (l'Autorità federale svizzera di vigilanza sui
mercati finanziari), si tratta di “token che permettono di accedere a un'utilizzazione o a
un servizio digitale forniti su o dietro utilizzo di un'infrastruttura blockchain.”
3
La Securities and Exchange Commission americana (l'ente federale preposto alla
vigilanza della borsa valori) ne sottolinea la differenza con gli strumenti finanziari defi-
nendoli “monete o gettoni basati su una blockchain che non determinano diritti diversi
da quello di essere utilizzati per acquistare beni o servizi dall'emittente, non danno alcun
diritto sulle attività dell'emittente (in caso di sua liquidazione o altro) e non conferiscono
al possessore alcun diritto di voto, diritti analoghi o alcun diritto a percepire redditi,
dividendi o altre distribuzioni”
4
.
1
Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle
cripto-attività e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 del 24 settembre 2020,
2
Consob, "Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività", Rapporto finale, 2 gennaio 2020.
3
Finma, “Guida pratica per il trattamento delle richieste inerenti all’assoggettamento in riferi-
mento alle initial coin offering (ICO)”, Edizione del 16 febbraio 2018.
4
“a blockchain-based coin or token that has no rights associated with it other than the right to use
the coin or token to purchase goods or services from the token issuer; does not carry any claim on the as-
sets of the token issuer (whether on liquidation of the token issuer or otherwise); and does not entitle the
token holder to any voting or similar rights or any rights to receive income, dividends or other distribu-
tions.” “Framework for ‘Investment Contract’ Analysis of Digital Assets,” issued by the staff of the
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L’inglese FCA, Financial Conduct Authority, si inserisce nello stesso solco sep-
pur più sinteticamente per cui si tratta di “token che rappresentano una rivendicazione su
potenziali servizi o prodotti, non equivalgono a valori mobiliari o altri prodotti regola-
mentati e consentono solo l'accesso a una rete o un prodotto.”
5
La Repubblica di San Marino, uno dei primi paesi a varare una specifica legisla-
zione in materia, segue a ruota definendo gli Utility Token “voucher per l’acquisto di
servizi o di beni offerti dall’Ente Blockchain” che “a) non hanno validità̀ e non attribui-
scono nessun diritto ai loro portatori al di fuori dei rapporti con l’Ente Blockchain emit-
tente ed pertanto esclusa la loro finalità di natura monetaria, speculativa e partecipa-
tiva; b) non danno diritto al rimborso del capitale, alla corresponsione di interessi né
alla distribuzione di utili e/o dividendi e non conferiscono alcun diritto quale azionista,
obbligazionista o portatore di altro strumento finanziario quali, a titolo meramente esem-
plificativo e non esaustivo, i diritti di voto e/o altri diritti partecipativi; c) non sono a
nessun titolo considerati valori mobiliari, strumenti finanziari e/o prodotti finanziari, né
moneta elettronica e/o mezzo di pagamento fuori dalla Blockchain in cui sono stati gene-
rati”
6
.
L’Agenzia delle Entrate italiana li ha, infine, definiti “rappresentativi di diritti
diversi (dai security token, n.d.a.) legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il ser-
vizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software
ad esito del processo di sviluppo). Oltre ad attribuire i suddetti diritti, alcuni token pos-
sono essere scambiati sul mercato secondario tramite la piattaforma dell’emittente o su
altre piattaforme di scambio
7
.
Volendo sintetizzare, è possibile riassumere le caratteristiche degli Utility Token
come segue:
SEC’s Strategic Hub for Innovation and Financial Technology on April 3, 2019 (the “Framework”);
TurnKey Jet, Inc. (April 3, 2019); Pocketful of Quarters, Inc. (July 25, 2019).
5
“Tokens representing a claim on prospective services or products” and “tokens that do not
amount to transferable securities or other regulated products and only allow access to a network or prod-
uct”. Paragraph 6 of the FCA's written submission to the House of Commons Treasury Committee digital
currencies inquiry.
6
Repubblica di San Marino. Decreto delegato del 23.5.2019 n. 86, art. 8.
7
Risposta ad Interpello n. 110, pubblicata il 20 aprile 2020.
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− sono gettoni digitali che permettono di utilizzare applicazioni nell’ecosistema delle
blockchain e/o per accedere a beni e servizi dell’emittente,
− sono fungibili ovvero non hanno un’individualità specifica e, pertanto, hanno capacità
di sostituzione reciproca,
− sono utilizzabili solo nell’ambito previsto dall’emittente come accedere a una speci-
fica applicazione o ricevere beni o servizi,
− sono scambiabili con altri token e con moneta a corso legale,
− sono costituiti da codice informatico.
L’INTERPRETAZIONE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L'Amministrazione finanziaria italiana si è occupata formalmente della vicenda
solo in due occasioni. In breve, con la risposta all’interpello n. 14 del 28 settembre 2018,
l’Agenzia delle Entrate ritenne che la cessione dei token nei confronti di privati consu-
matori fosse da assimilare alla cessione di “buoni multiuso” che, in sintesi e salvo quanto
preciseremo più avanti, non rileva ai fini dell’Iva ai sensi dell’art. 6-quater del DPR
633/72 rinviando il momento impositivo alla fruizione del servizio o alla consegna del
bene. Successivamente, con la risposta all’interpello n. 110, pubblicata il 20 aprile 2020,
l’Amministrazione finanziaria ha espresso l’opinione che la cessione dei token rappre-
senti una prestazione di servizi generica, ai sensi dell’art. 3, c. 1 del DPR 633/72 assog-
gettabile ad Iva con l’aliquota ordinaria del 22 per cento. In altre parole, nonostante il
fatto che, nella fattispecie analizzata, i token potessero (come nella maggior parte dei casi)
anche essere utilizzati come mezzo di pagamento, secondo l’Agenzia delle Entrate essi
devono essere considerati esclusivamente Utility Token poiché essi rappresentano lo stru-
mento essenziale per accedere ai servizi dell’emittente (nella fattispecie gli acquirenti
possono agire in una blockchain in qualità di miner guadagnando una commissione).
Sul piano pratico, quest'ultima interpretazione comporta che, trattandosi di pre-
stazioni generiche, le cessioni di Utility Token sono imponibili con aliquota ordinaria
quando sono effettuate da soggetti passivi nei confronti sia di altri soggetti passivi sia di
privati “stabiliti nel territorio dello Stato”
8
.
8
Art. 7, c. 1, l. d, DPR 633/72: ‘per "soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato" si intende
un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domici-
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Come premesso, la posizione dell’Agenzia delle Entrate lascia, invero, qualche
perplessità in quanto eccessivamente generica mentre è possibile individuare differenti
inquadramenti giuridici degli Utility Token con conseguenze diverse sotto il profilo fi-
scale.
TESI DELL’UTILITY TOKEN QUALI VOUCHER D’ACQUISTO
Un Utility Token è (normalmente) ceduto dietro corrispettivo, contiene l’obbligo
di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione
di beni o di una prestazione di servizi, contiene nella relativa documentazione (nel White
Paper, nel sito web dell’emittente e, ovviamente, nello smart contract) i beni o i servizi
da cedere o prestare, l’identità del cedente o prestatore e le condizioni generali di utilizzo.
Queste caratteristiche sono le medesime descritte nell’art. 6-bis del DPR 633/72
istitutivo dell’Imposta sul Valore Aggiunto ovvero sono le caratteristiche richieste dalla
normativa sull’Iva per qualificare uno strumento quale “buono-corrispettivo”. Il predetto
articolo, insieme ai successivi articoli 6-bis e 6-quater sono stati introdotti con l’attua-
zione della Direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio del 27 giugno 2016 (cosiddetta “Di-
rettiva Voucher”) modificando, con effetto dal 1.1.2019, il trattamento fiscale dei “buoni”.
Questi nuovi articoli di legge, in sintesi, dispongono che sono assoggettati ad IVA
(con diverse modalità) i corrispettivi legati ai buoni.
La normativa Iva italiana prevede due tipologie di buoni-corrispettivo, ossia il
voucher monouso (articolo 6-ter D.P.R. 633/1972) e quello multiuso (articolo 6-quater
D.P.R. 633/1972).
Si definisce “monouso” il buono che definisce dettagliatamente le condizioni che
ne consentono la spendita e che permettono di identificare immediatamente il regime Iva
applicabile. è il caso, per esempio, dell’acquisto di un buono (o di una card o di un vou-
cher) presso un salone di estetica per la fruizione di un trattamento cosmetico di valore
prestabilito. In questa circostanza il buono identifica chiaramente il tipo di servizio che
sarà reso all’atto dell’utilizzo del buono stesso (il trattamento cosmetico).
lio all'estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e resi-
dente all'estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone
fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova
la sede effettiva’.
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Il buono “multiuso”, invece, normalmente stabilisce esclusivamente l’importo
della spesa da esso rappresentata senza stabilire a priori quali beni potranno essere acqui-
stati con il buono stesso o quali servizi potranno essere prestati. Sempre per fare un esem-
pio, è il caso dell’acquisto di una card Amazon esposta alla cassa del supermercato. In
questo caso il buono non prevede l’indicazione dei beni per i quali potrà essere speso
rendendo impossibile determinare quale possa essere l’aliquota Iva definitiva, posto che
i prodotti in vendita su Amazon sono assoggettati ad aliquote differenziate.
Un buono è pertanto definito monouso se al momento della sua emissione è nota
la disciplina Iva applicabile alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il
buono-corrispettivo (come lo definisce la legge sull’Iva
9
) dà diritto (articolo 6-ter, comma
1, DPR 633/72). In tal caso, ogni trasferimento di un buono-corrispettivo monouso pre-
cedente alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà
diritto costituisce effettuazione di detta cessione o prestazione (articolo 6-ter, comma 2,
DPR 633/72). L’aliquota Iva applicabile sarà, naturalmente, quella relativa al bene o al
servizio a cui si ha diritto presentando il buono.
Diversamente, per quanto concerne il buono multiuso, al momento della
sua ’emissione non è nota la disciplina applicabile, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto,
alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto
(articolo 6-quater, comma 1, DPR 633/72).
In tale seconda ipotesi, pertanto, ogni trasferimento di un buono-corrispettivo
multiuso precedente all'accettazione dello stesso come corrispettivo o parziale corrispet-
tivo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà
diritto non costituisce effettuazione di detta cessione o prestazione (articolo 6-quater,
comma 2, DPR 633/72).
Il problema risiede, tuttavia, nel fatto che la maggior parte delle emissioni e ven-
dite di Utility Token avviene tramite le cosiddette IEO, ICO e IDO
10
ovvero tramite of-
ferte pubbliche condotte per mezzo di piattaforme specializzate. In questi casi, solo le
piattaforme “virtuose” ovvero quelle che applicano severamente le norme antiriciclaggio
9
Art. 6-bis DPR 633/72.
10
ICO = Initial Coin Offering; IEO = Initial Exchange Offering; IDO = Initial DEX Offering dove
DEX sta per “exchange decentralizzato”.
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conoscono l’identità degli acquirenti mentre l’emittente, al massimo, conosce il codice
alfanumerico che identifica univocamente il wallet della controparte
11
.
Ne deriva che all’atto della cessione dei token, l’emittente non ha a disposizione
tutte le informazioni per determinare il trattamento ai fini dell’Iva se non altro perché,
non conoscendo il domicilio dell’acquirente, non è in grado di verificare il requisito della
territorialità. La conseguenza, in tali casi, è che il token deve essere considerato alla stre-
gua del buono multiuso pertanto fuori dal campo di applicazione dell’Iva.
Il caso trattato con l’interpello n. 110/2020 citato permetteva, al contrario, l'indi-
viduazione di tutte le informazioni necessarie per definire il trattamento ai fini Iva fin
dall’origine in quanto emittente e acquirente erano entrambi italiani e soggetti passivi
d’imposta. In tal caso i token potevano essere assimilati ai buoni monouso con l’applica-
zione dell’Iva ordinaria al momento della cessione ammesso (ma non concesso) che l’at-
trazione della cessione dei token fra i servizi generici operata dall’Agenzia delle Entrate
fosse condivisibile.
In conclusione, aderendo alla tesi degli Utility Token quali voucher di acquisto,
per stabilire se la loro cessione è soggetta o meno a Iva, occorrerà avere riguardo alla
tipologia della vendita e alle caratteristiche delle parti coinvolte.
TESI DEL CONTRATTO DI OPZIONE
La natura stessa degli Utility Token fa sì che ogni possessore possa decidere se
utilizzarli per accedere ai beni e/o ai servizi dell’emittente oppure se scambiarli con altri
token o monete fiat oppure addirittura mantenerli nel proprio wallet a scopo di riserva di
valore.
Quanto precede è del tutto conforme al dettato dell’art. 1331, primo comma, del
codice civile che dispone che “quando le parti convengono che una di esse rimanga vin-
colata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiara-
zione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’art.
1329”.
11
Un wallet è un portafoglio digitale, software o hardware, necessario per utilizzare le criptova-
lute. A differenza dei portafogli tradizionali, i portafogli digitali non memorizzano valute in alcuna posi-
zione del computer o dello smartphone, ma solo dei record delle transazioni memorizzate nei vari blocchi
presenti nella blockchain. Tramite un wallet, pertanto, è possibile interrogare e comunicare direttamente
con la blockchain al fine di inviare e ricevere monete digitali e controllare il saldo.
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Si tratta del contratto di opzione con cui “una parte (l’emittente, n.d.a.) emette
irretrattabilmente la proposta di concludere un ulteriore contratto, sì che la controparte
potrà perfezionare, con la propria e unilaterale accettazione questo contratto ulteriore”
12
.
Detto ulteriore contratto si perfeziona solo nel momento in cui l’opzionario ma-
nifesta la volontà di esercitare il diritto di opzione e conclude il negozio che ne forma
oggetto. Come affermato anche dalla Suprema Corte, infatti: “l’opzione dà luogo ad una
proposta irrevocabile, cui corrisponde una facoltà di accettazione, e non ad un contratto
perfetto condizionato; in conseguenza, il negozio che sorge da un rapporto originaria-
mente in fieri si perfeziona nello stesso momento in cui la parte manifesta la sua volontà
di esercitare il suo diritto di opzione, e non può spiegare i suoi effetti se non da tale mo-
mento” (Cass. civ., sent. 26 ottobre 2006, n. 23022).
Peraltro, nonostante l’opzione sia un contratto, necessitando, dunque, in quanto
tale, di un accordo tra le parti per poter venire in essere, è noto che un tale accordo si può
formare anche senza l’accettazione dell’opzionario
13
, qualora ricorrano le condizioni di
cui all’art. 1333 c.c. ovverosia qualora la proposta di una delle parti sia “diretta a conclu-
dere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente”
14
.
La natura del contratto tra l’emittente e l’acquirente di Utility Token con cui il
primo si obbliga unilateralmente a riconoscere al secondo il diritto di concludere o meno
un successivo contratto di vendita per l’acquisto di un determinato bene o un determinato
servizio ci sembra pertanto del tutto conforme alla disposizione del codice civile poten-
dosi quindi inquadrare la vendita degli Utility Token nell’ambito del contratto di opzione.
Accettando tale tesi, in presenza dei presupposti territoriale e soggettivo, essa sa-
rebbe pertanto soggetta a Iva con aliquota ordinaria ai sensi dell’art. 3, c.1 del DPR 633/2
trattandosi di prestazione di servizio verso corrispettivo dipendente “da obbligazioni di
fare … e di permettere quale ne sia la fonte.”
12
P. Rescigno, Trattato di diritto privato, Obbligazioni e contratti, II, Torino, 1982, pag. 371.
13
V. Ruoppo, Il Contratto, Milano, 2011, pp. 155-159.
14
Ai sensi dell’art. 1333 c.c. “la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbliga-
zioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Il
destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza
di tale rifiuto il contratto è concluso”.
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Resta in ogni caso applicabile quanto espresso in precedenza circa l’impossibilità
di conoscere l’identità della controparte nella maggior parte dei casi con tutte le conse-
guenze sulla possibilità di verificare la sussistenza del presupposto della territorialità e
della soggettività in capo all’acquirente.
TESI DELL’UTILITY TOKEN QUALE SOFTWARE APPLICATIVO
Rimane poi il fatto che i token e i relativi smart contract non sono altro che codice
e, come tali, vanno inquadrati nella categoria dei software applicativi ovvero di quei pro-
grammi destinati a svolgere specifiche funzioni, per rispondere a specifiche esigenza
dell’utilizzatore che, in questo caso, è accedere alle blockchain, alle applicazioni e/o ai
beni e ai servizi dell’emittente.
In questo caso il software avrà vita autonoma, inquadrato fra i software acquistati
a titolo di proprietà (non in licenza d’uso) e, pertanto, il token sarà considerato un bene
immateriale.
In altre parole, un token sarebbe un’opera dell’ingegno di carattere immateriale e,
in quanto tale, tutelata dagli articoli 2 e 64-bis della L. 633/41 sul diritto d’autore nonché
Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 30/2005) e dal codice civile agli articoli da 2575
a 2583.
Naturalmente si tratta di comprendere cosa si debba intendere per diritto d’autore
nell’ambito della disciplina tributaria. È pur vero che il diritto d’autore è da ricondurre al
concetto di creatività, ma, come spiegato in una decisione della Commissione Tributaria
Regionale della Lombardia (n. 1983/19/2019), la tutela del diritto d’autore e il relativo
trattamento tributario ricorrono necessariamente non solo nel caso di creazione di qual-
cosa di nuovo in assoluto ma anche nel caso della rappresentazione originale e persona-
lizzata di ciò che è già sul mercato e a disposizione come nel caso di utilizzazione di
codici e di routine già sul mercato per la creazione di nuovi token e smart contract.
Sulla base di questa interpretazione, ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto, la
cessione del token sarebbe sempre esclusa dal campo di applicazione dell’IVA ai sensi
dell’art. 3 del DPR 633/72 il quale dispone che “non sono considerate prestazioni di ser-
vizi … le cessioni relative a diritti d'autore”. Pertanto, la cessione di un token costitui-
rebbe operazione fuori campo iva per mancanza del presupposto oggettivo di applica-
zione del tributo e ciò anche nel caso in cui il cedente fosse un soggetto passivo iva.
Effettivamente, tale interpretazione comporterebbe, ai fini Iva (ma anche ai fini
delle Imposte dirette) la complicazione per cui la cessione di diritti d’autore da parte di
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soggetto diverso dal creatore dell’opera e, quindi, nella fattispecie dall’investitore, rien-
trerebbe nel campo di applicazione dell’Iva a patto che sussistano sia il presupposto della
territorialità sia il presupposto soggettivo di applicazione del tributo di cui all’art. 5 del
citato DPR 633/72 ovvero se rientrasse “nell’esercizio per professione abituale, ancorché
non esclusiva” di attività di lavoro autonomo.
In questo ultimo caso, per quanto riguarda il presupposto della territorialità, la
cessione nei confronti di soggetti privati domiciliati e residenti al di fuori dell’Unione
Europea è esclusa dalla tassazione in Italia ai sensi dell’art. 7-septies, c. 1, l. a del DPR
633/72 mentre è soggetta a Iva la cessione a privati domiciliati nei paesi UE. Diversa-
mente, se la cessione avviene nei confronti di un soggetto Iva domiciliato in un paese
dell’Unione, essa non è imponibile in Italia ai sensi dell’art. 7-ter, c.1, l. a) del DPR
633/72.
Resta in ogni caso applicabile quanto espresso in precedenza circa l’impossibilità
di conoscere l’identità della controparte nella maggior parte dei casi con tutte le conse-
guenze sulla possibilità di verificare la sussistenza del presupposto della territorialità e
della soggettività in capo all’acquirente.
TESI DELL’UTILITY TOKEN QUALE STRUMENTO DI CROWDFUNDING
Come si illustrerà più specificatamente nel capitolo successivo, l’emissione e la
vendita di Utility Token avviene soprattutto in capo a startup al fine di finanziare il pro-
prio sviluppo imprenditoriale.
L’operazione potrebbe pertanto essere assimilata al “Reward-based Crowdfun-
ding” in cui i finanziatori sono ricompensati con beni e servizi anche di diversa entità in
base alla somma corrisposta
15
.
15
Il Comitato Iva in seno alla Commissione Europea ha così definito il Reward-based Crowdfund-
ing: “contributors are rewarded with a non-financial compensation – goods or services – in exchange for
their participation in the funding campaign. Rewards can take multiple forms, e.g., the copy of a product
that the campaign aims at developing, or even incentives of a more intangible nature, such as the oppor-
tunity to participate in a film as an extra. The expected reward can be taken into account by the contribu-
tor when deciding to pledge, as the campaign owner will offer different rewards depending on the amount
of money to be perceived – typically, the value of the reward increases as it does the amount of the contri-
bution. In some cases, the rewards may be of symbolic value, compared to the contribution that is given
in exchange”, European Commission-Value Add Tax Committee, “VAT Treatment of Crowdfunding,
Working Paper No. 836”, 2015.
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In breve, se così fosse, qualora l’emittente fosse un soggetto passivo d’imposta
quale, appunto, una startup o una PMI, allora l’emissione e la vendita dei token andrebbe
inquadrata nell’ambito della “vendita di cosa futura” come stabilito dal Comitato Iva della
Commissione Europea
16
e disciplinata in Italia dall’art. 2 del DPR 633/72.
In base a tali disposizioni, la vendita di Utility Token da parte di un soggetto pas-
sivo rientrerebbe nel campo di applicazione dell’Iva da applicarsi al momento della con-
segna o spedizione nel caso di cessione di beni e di incasso del corrispettivo (e quindi in
sede di raccolta fondi) nel caso di prestazione di servizi.
A costo di apparire ripetitivi, anche in questo caso si pone comunque il problema
della conoscenza della controparte con tutte le conseguenze già esposte in precedenza.
Tale tesi tuttavia si scontra con la circostanza che il “Reward-based Crowdfun-
ding” è una forma di finanziamento che ha uno specifico inquadramento in sede europea
e nazionale sia per quanto riguarda gli aspetti di sorveglianza sul mercato finanziario sia
per quelli fiscali mentre, al contrario, le operazioni rientranti nella cosiddetta “finanza
cripto” non hanno ancora trovato una precisa regolamentazione come dimostrato anche
dalle possibili e diverse tesi presentate in questo lavoro.
Quanto precede è confermato dalla stessa Consob nel “Documento per la discus-
sione” del 19 marzo 2019 sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività laddove am-
mette che le piattaforme per le offerte di cripto-attività possono essere gestite da soggetti
diversi dai gestori di portali di crowdfunding purché in possesso degli stessi requisiti di
questi ultimi
17
.
16
Value Add Tax Commitee Working Paper No 836, Question Concerning The Application of Eu
Vat Provisions; Agenzia delle Entrate, risposta ad Interpello n. 110, pubblicata il 20 aprile 2020.
17
“Potrebbe altresì prevedersi che soggetti diversi, purché in possesso di requisiti soggettivi richie-
sti all’anzidetta categoria di gestori di portali di crowdfunding, possano gestire piattaforme per le offerte
di cripto-attività. Ciò al fine di non precludere lo sviluppo di modelli di business alternativi, in cui cioè il
soggetto gestore intenda specializzarsi, pur nel rispetto di requisiti soggettivi analoghi a quanto ritenuto
congruo per i gestori di portali di crowdfunding, soltanto al settore delle initial coin offerings.” Consob,
Documento per la discussione” del 19 marzo 2019 sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività.
Utility Token e Imposta sul Valore Aggiunto – 26 gennaio 2022
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TESI DELL’UTILITY TOKEN COME STRUMENTO DI RACCOLTA DI CAPITALI
È ormai pacifico che la qualificazione fiscale di un’operazione, anche ai fini Iva,
non dipende esclusivamente da quanto convenuto nel contratto, ma deve essere inqua-
drata alla luce della reale volontà delle parti, così come desumibile anche dalla documen-
tazione fiscale, contabile e amministrativa posta in essere.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione
18
e la Corte Costituzionale che ha
ribadito che “la preclusione della valutazione degli elementi extratestuali e degli atti col-
legati sarebbe in contrasto con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla
forma giuridica, principio che afferma essere implicato da detti parametri nonché «im-
prescindibile e […] storicamente radicato» nell’ordinamento tributario in genere
19
.
A ben vedere, la volontà delle parti nell’ambito dell'emissione e vendita di Utility
Token altro non è che il finanziamento di progetti imprenditoriali per quanto riguarda
l’emittente e la prospettiva di usufruire dei potenziali servizi dello startup da parte dei
sottoscrittori insieme, sempre in capo a questi ultimi, alla prospettiva di una rivalutazione
del valore del token.
Questa tesi è dimostrata dal fatto che l’Unione Europea si occupa di Utility Token
nell’ambito dell’articolato pacchetto di norme a supporto del processo di digitalizzazione
della finanza “Digital Finance Strategy”.
Evidentemente, la Commissione Europea ha deciso di regolamentare gli Utility
Token in tale ambito e non in quello della tutela del consumatore regolata da altre diret-
tive
20
poiché è consapevole che la funzione principale anche di questi token è la raccolta
di capitali per il finanziamento di iniziative imprenditoriali con tutto ciò che ne consegue
in tema di vigilanza e tutela del mercato.
18
Cass., ordinanza n. 28709/2017
19
Corte Costituzionale, Sentenza 158/2020.
20
direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori,
direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, direttiva 2006/114/CE
concernente la pubblicità ingannevole, direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, direttiva (UE)
2019/2161 sulla protezione dei consumatori.
Utility Token e Imposta sul Valore Aggiunto – 26 gennaio 2022
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Quanto sopra lo si desume proprio dal tenore della proposta di Regolamento del
Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività del 24 settem-
bre 2020 che si pone come obiettivo, fra gli altri, di “garantire la stabilità finanziaria”.
Nella proposta, infatti, non si differenziano gli Utility Token dalle altre tipologie
di cripto-attività per cui anch’essi sono definiti “applicazioni della tecnologia blockchain
nel settore finanziario” e si afferma che essi “presentano in gran parte gli stessi rischi
degli strumenti finanziari più comuni”.
Con il lessico del mercato finanziario, la proposta definisce anche la vendita di
Utility Token quale “offerta” e gli acquirenti quali “investitori”; indica che le cripto-atti-
vità permettono “semplificazione dei processi di raccolta di capitali” e che le relative
emissioni “possono rappresentare un approccio più economico, meno oneroso e più in-
clusivo al finanziamento delle piccole e medie imprese”; raccomanda che “l'Autorità eu-
ropea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), in stretta cooperazione con l'Au-
torità bancaria europea (ABE) venga incaricata di pubblicare orientamenti sui … sistemi
e protocolli di sicurezza”.
Infine, va sottolineato l’obbligo di redazione del White Paper da parte dell'emit-
tente ovvero di un documento che di fatto contiene tutte le informazioni di un prospetto
informativo relativo all’offerta di strumenti finanziari.
Quanto sopra, in parte, vale anche per l’Italia dato che anche a livello nazionale
si è stabilito di investire della questione la Consob
21
ovvero l'Autorità per la vigilanza dei
mercati finanziari piuttosto che regolamentare il settore tramite il Codice del consumo
22
.
La finalità dell'emissione di Utility Token è quindi senza dubbio la raccolta di
capitali per il finanziamento di iniziative imprenditoriali che, nella maggior parte dei casi,
rimangono solo sulla carta e non offrono certezze sulla loro effettiva realizzazione con
buona pace dei sostenitori della “vendita di cosa futura”.
Se, pertanto, si volesse davvero applicare il principio per cui “la qualificazione
fiscale di un’operazione deve essere inquadrata alla luce della reale volontà delle parti”,
21
Consob, Documento per la discussione sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività, 19 marzo
2019 ; Consob, Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività rapporto finale, 2 gennaio 2020.
22
Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
Utility Token e Imposta sul Valore Aggiunto – 26 gennaio 2022
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allora risulterebbe pacifico che l’offerta di Utility Token rientra nell’alveo delle opera-
zioni di natura finanziaria ancorché realizzata mediante la vendita di beni o servizi ancora
da realizzare e conseguentemente esclusa dal campo di applicazione dell’Iva ai sensi
dell’art. 2, c.2, l. a del DPR 633/72.
CONCLUSIONI
La mancanza di un inquadramento preciso degli Utility Token e dell’offerta dei
medesimi in ambito nazionale crea eccessive perplessità sia sul piano del regolamento del
mercato sia su quello fiscale con la conseguenza di ridurre, se non azzerare, l’avvio di
nuove iniziative imprenditoriali nel nostro paese in un momento in cui, al contrario, oc-
corre mettere in campo quanti più strumenti possibili per ridare lustro alla nostra econo-
mia.
Stabilire che iniziative come l’emissione di Utility Token per finanziare nuovi
progetti debbano scontare l’Iva significa ridurre le potenzialità della raccolta di capitali
oltre al paradosso di tassare anche quelle iniziative che, purtroppo, non giungono a com-
pletamento.
Resta il fatto che, a meno di voler smentire la Suprema Corte e la Corte Costitu-
zionale, tali operazioni debbono essere tassate in base reale volontà delle parti che, come
detto, è la raccolta di capitali ed è per questo che esse devono essere senz’altro escluse
dal campo di applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto.
© 2022, Andrea Cesaretti
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