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“Educare all’altro: il rispetto dell’ospite nell’Odissea. Alcune riflessioni pedagogiche" in Rivista di Storia dell’Educazione, 2/2017, pp. 259-272.

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Abstract

EDUCATION TO THE OTHER: THE RESPECT OF THE GUEST IN THE ODYSSEY. SOmE PAEDAGOGICAl REFlECTIONS EDUCARE All'AlTRO: Il RISPETTO DEll'OSPITE NEll'ODISSEA. AlCUNE RIFlESSIONI PEDAGOGICHE The following paper analyses the subject of respect for the guest in Homeric poems, especially in the Odyssey: this theme can be a key to reading the adventures of the protagonist. The centrality of this theme reveals that it is a fundamental value within educational message of the poem. The principle of the respect for the guest is part of an archaic ethic, wich is not based only on warlike areté. This value is a hub of the heroic model and with this also the education of the later epochs will have to face. Il contributo analizza la tematica del rispetto dell'ospite presente nei poemi omerici e in particolare nell'Odissea, tematica che si rivela fulcro e possibile chiave di lettura delle avventure del protagonista. la centralità di tale tematica dimostra che essa costituisce un valore fondamentale all'interno del messaggio educativo paradigmatico di cui il poema si fa portatore: il precetto del rispetto dell'ospite innerva un'e-tica arcaica evidentemente basata non solo sull'aretè guerriera e resta come cardine di un modello eroico con il quale dovrà fare i conti anche l'educazione delle epoche successive. Parole chiave: educazione arcaica; educazione omerica; educazione e ospitalità nella Grecia antica; educa-zione e stranieri in Grecia antica; rispetto dell'ospite. Nella cultura greca antica l'atteggiamento nei confronti di colui che viene da lon-tano/da fuori è un tema estremamente ricorrente, che innerva molte testimonianze letterarie e iconografiche, così come il tema della definizione delle identità, propria e altrui, che si costruisce proprio attraverso il confronto con l'alterità 1. Nei racconti mitici che riemergono nelle manifestazioni artistiche, culturali, rituali, il tema dell'es-sere estraniati dal proprio contesto (familiare, sociale) e dell'essere forestieri, speri-mentando la condizione di ospite costituisce una parte di un vero e proprio itinerario formativo: la biografia mitica dell'eroe si costruisce attorno ad alcune tappe principali che prevedono l'allontanamento (all'interno di una successione stereotipata che pre-vede generalmente nascita, esposizione o allontanamento, educazione in contesto lon-tano e/o differente, ritorno e riconoscimento). Per l'eroe, quindi, lo sperimentare di essere straniero sembra necessario per giungere ad una piena maturità e formazione. 1 Il concetto di identità nel senso psico-sociologico del termine è moderno. Per quanto concerne una riflessione sulla costruzione di questo concetto, rimandiamo all'approfondimento proposto da David Asheri 1996. Rivista di storia dell'educazione, 2/2017, pp. 259-272
Gabriella SeveSo
EDUCATION TO THE OTHER: THE RESPECT OF THE GUEST
IN THE ODYSSEY. SOME PAEDAGOGICAL REFLECTIONS
EDUCARE ALL’ALTRO: IL RISPETTO DELL’OSPITE NELL’ODISSEA.
ALCUNE RIFLESSIONI PEDAGOGICHE
The following paper analyses the subject of respect for the guest in Homeric poems, especially in the Odyssey:
this theme can be a key to reading the adventures of the protagonist. The centrality of this theme reveals that
it is a fundamental value within educational message of the poem. The principle of the respect for the guest is
part of an archaic ethic, wich is not based only on warlike areté. This value is a hub of the heroic model and
with this also the education of the later epochs will have to face.
Il contributo analizza la tematica del rispetto dell’ospite presente nei poemi omerici e in particolare
nell’Odissea, tematica che si rivela fulcro e possibile chiave di lettura delle avventure del protagonista. La
centralità di tale tematica dimostra che essa costituisce un valore fondamentale all’interno del messaggio
educativo paradigmatico di cui il poema si fa portatore: il precetto del rispetto dell’ospite innerva un’e-
tica arcaica evidentemente basata non solo sull’aretè guerriera e resta come cardine di un modello eroico
con il quale dovrà fare i conti anche l’educazione delle epoche successive.
Key words: archaic education; Homeric education; education and hospitality in Ancient Greece; education
and foreigners in Ancient Greece; respect of guest.
Parole chiave: educazione arcaica; educazione omerica; educazione e ospitalità nella Grecia antica; educa-
zione e stranieri in Grecia antica; rispetto dell’ospite.
Nella cultura greca antica l’atteggiamento nei confronti di colui che viene da lon-
tano/da fuori è un tema estremamente ricorrente, che innerva molte testimonianze
letterarie e iconografiche, così come il tema della definizione delle identità, propria
e altrui, che si costruisce proprio attraverso il confronto con l’alterità1. Nei racconti
mitici che riemergono nelle manifestazioni artistiche, culturali, rituali, il tema dell’es-
sere estraniati dal proprio contesto (familiare, sociale) e dell’essere forestieri, speri-
mentando la condizione di ospite costituisce una parte di un vero e proprio itinerario
formativo: la biografia mitica dell’eroe si costruisce attorno ad alcune tappe principali
che prevedono l’allontanamento (all’interno di una successione stereotipata che pre-
vede generalmente nascita, esposizione o allontanamento, educazione in contesto lon-
tano e/o differente, ritorno e riconoscimento). Per l’eroe, quindi, lo sperimentare di
essere straniero sembra necessario per giungere ad una piena maturità e formazione.
1 Il concetto di identità nel senso psico-sociologico del termine è moderno. Per quanto concerne una riflessione
sulla costruzione di questo concetto, rimandiamo all’approfondimento proposto da David Asheri 1996.
Rivista di storia dell’educazione, 2/2017, pp. 259-272 Corresponding author:
ISSN 2384-8294 – doi 10.4454/rse.v4i2.37 Gabriella Seveso, gabriella.seveso@unimib.it
(Università degli Studi Milano Bicocca)
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Giasone, Peleo, Edipo, Teseo, Achille, Eracle, Oreste vivono la condizione di stranie-
ro e ospite, o per traumatico allontanamento o per autoesilio o per necessità di fuga2.
Il topos del viaggio e del vissuto della condizione di ospite ritorna nella cultura
antica anche nelle biografie, reali o mitiche, dei grandi personaggi ritenuti fondatori,
portatori di sapienza e/o legislatori, filosofi, condottieri. Solo a titolo esemplificativo,
ricordiamo che Solone compie numerosi viaggi, durante i quali è ospite di celebri
sovrani (Creso, nei confronti del quale si dimostra mentore e consigliere), oppure di
culture differenti e più antiche e complesse: la permanenza in Egitto e l’incontro con
i sacerdoti di quella terra lo portano ad accorgersi che la sua cultura di provenienza,
greca, risulta più recente e più ingenua di quella egiziana, come appare evidente dal-
la narrazione di questo incontro che possiamo ritrovare in Erodoto (Storie, II, 143 e
sgg.) e Platone (Timeo, 22b)3.
In queste sede, ci sembra necessario affrontare la tematica dell’ospitalità da una
prospettiva specificamente pedagogica. Intendiamo dunque focalizzare la nostra
analisi sulle modalità con le quali questa tematica è declinata all’interno dei poemi
omerici poiché essi costituiscono il testo formativo per eccellenza per la cultura gre-
ca antica: essi da un lato costituiscono una testimonianza, seppure idealizzata e ro-
manzata, dell’educazione di epoca arcaica; dall’altro lato, hanno svolto la funzione di
consolidare una tradizione e di trasmettere nei secoli successivi dei modelli educativi
estremamente pregnanti e duraturi, anche in età classica ed ellenistica (cfr. Havelock
1982; Lorè 1999). Dobbiamo infatti ricordare che sulla trascrizione dei poemi ome-
rici si formavano i futuri cittadini ateniesi, poiché essi erano il testo scolastico per
antonomasia e il testo maggiormente conosciuto nella cultura del tempo.
Appare, quindi, interessante indagare il tema del precetto dell’ospitalità presente
in queste testimonianze e in particolare nell’Odissea, che si costruisce proprio come
narrazione dei differenti, vorticosi per certi versi, affascinanti incontri del protagoni-
sta (straniero, ospite) con gli altri.
In queste sede, ci sembra necessario introdurre dapprima alcuni chiarimenti ter-
minologici ed etimologici, che permettono di riflettere con maggiore chiarezza ed
attenzione sulla tematica in questione.
Il termine che in greco antico definisce colui che giunge dall’esterno è costitui-
to dalla parola xenos: come sovente accade, la traduzione in italiano risulta ardua,
poiché il campo semantico definito dal greco è molto ampio e complesso. Pierre
2 Della biografia mitica dell’eroe fa parte anche molto spesso il topos dell’innamoramento per una donna straniera:
questo tassello dell’intreccio si modula in maniera varia, poiché a volte la donna tradisce la propria famiglia e la propria
cultura e segue l’eroe assecondando o favorendo il superamento di prove e il ritorno e rinunciando definitivamente
al proprio passato, non sempre con esiti felici (Arianna, Medea); in altri casi, la donna è addirittura appartenente ad
un’alterità più complessa e può costituire un pericolo o un traviamento rispetto alla mèta (Circe, Calipso). Certamente,
lo statuto della donna è di estranea alla cultura (e non di colei che sperimenta provvisoriamente l’estraneità ed è ospite)
e rimanda alla condizione specifica, all’educazione, al ruolo delle donne nella cultura greca antica.
3 Resta celebre la definizione dei Greci che i sacerdoti del tempio egiziano di Sais propongono a Solone: «So-
lone, Solone, voi Greci siete sempre bambini (paides) […] non avete alcuna antica opinione che provenga da una
primitiva tradizione e neppure alcun insegnamento che sia canuto per l’età» (Timeo, 22b). Il passo è significativamente
riportato da Platone in un racconto che prosegue con la descrizione di Atlantide, terra mitica antenata dei Greci stessi,
ma della quale non hanno ricordo.
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Chantraine nel suo Dizionario, scrive che «il senso originale è quello di ospite, le-
gato da relazioni reciproche d’accoglienza confermate da doni, cosa che può legare
i discendenti […] può dirsi di colui che è ricevuto e di colui che riceve […] da qui,
“straniero” e nel vocabolario militare “mercenario, raramente alleato”» (Chantraine
1968-1990, 735; traduzione nostra)4; lo studioso aggiunge che «xenos (il cui campo
semantico copre in parte quello di philos, phileo, xeinizo, poiché a volte sono vicini
l’uno all’altro in Omero) è un termine istituzionale capitale il cui significato si è dete-
riorato dalla nozione di “ospite” a quella di “straniero” e “mercenario”» (Chantraine
1968-1990, 736)5.
L’ampiezza del campo semantico e il significato originario di ospite legato da rela-
zioni di accoglienza resta evidente in alcuni sostantivi derivati: la xenia, ad esempio,
è l’ospitalità, o è il patto che regola le relazioni amicali fra due città. Anche Émi-
le Benveniste (1976, 69-70) sottolinea come il termine xenos «indica delle relazio-
ni dello stesso tipo tra uomini legati da un patto che implica obblighi precisi che si
estendono anche ai discendenti. La xenia, posta sotto la protezione di Giove Xenio,
comporta scambio di doni tra i contraenti che dichiarano la loro intenzione di legare
i loro discendenti con questo patto».
È comunque molto difficile disambiguare il significato di xenos, poiché – aggiun-
ge lo studioso – «la nozione di straniero non si definisce nelle antiche civiltà con cri-
teri costanti, come nelle società moderne. Qualcuno che è nato altrove, a condizione
di essere legati a lui da certe convenzioni, gode di diritti specifici, che non possono
essere riconosciuti ai cittadini dello stesso paese: è quello che dimostra il gr. xenos
“straniero”, “ospite”, cioè lo straniero che beneficia delle leggi dell’ospitalità. […]
Non esistono quindi “stranieri” in sé. Nella diversità di queste nozioni, lo straniero
è sempre uno straniero particolare, colui che è sottoposto a uno statuto distinto. In-
somma, le nozioni di nemico, di straniero, di ospite, che per noi formano tre entità
distinte – semantiche e giuridiche – presentano strette connessioni nelle lingue indo-
europee» (Benveniste 1966, 276-277).
Il termine barbaros appare invece molto più tardi: inizialmente con allusione alla
parlata (colui che balbetta, parla male), poi utilizzato nel significato di straniero con-
trapposto a greco, in quanto parla un’altra lingua; solo in un secondo tempo, il ter-
mine assume anche il significato di rozzo, brutale, rude: le prime attestazioni sicure
sono quelle presenti in Eschilo e in Erodoto, quindi in età classica.
Questa difficoltà nel disambiguare il termine xenos appare e risulta affascinante
nella lingua e nella trama dei poemi omerici, in particolare all’interno dell’Odissea:
Odisseo è colui che viaggia ed approda presso popoli o presso esseri differenti e
quindi si qualifica come ospite e come straniero, a volte come nemico, ma al tempo
stesso egli incontra degli ospiti e degli stranieri.
4 Sull’intreccio fra campi semantici connessi con la xenia e con la philia, si veda Maria Intrieri 2013.
5 Un’analoga complessità caratterizza l’hospes e poi l’hostis latino: lo slittamento dal primo al secondo termine
appare difficilmente ricostruibile; è da ricordare, però, che hostis non è comunque lo straniero in generale, ma colui
al quale sono riconosciuti diritti uguali a quelli dei cittadini romani e quindi nei confronti del quale vige un legame di
reciprocità.
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L’ospitalità dei Feaci
«Ma tu, dimmi ancora, e parla sincero: dove sei stato errando, a quali paesi sei
giunto d’esseri umani; e dimmi di loro e dei loro borghi ben abitati, e quanti eran
violenti, o selvaggi o senza giustizia, quanti ospitali e avevano mente pia verso i numi
…» (Odissea, VIII, 572-576) (Calzecchi Onesti 1969, 156): questa è la richiesta che
Alcinoo fa ad Odisseo quando si accorge della profonda commozione del suo ospite.
Il re dei Feaci ordina all’aedo di corte di sospendere il suo canto e invita il nuovo
arrivato a raccontare le sue origini e i suoi viaggi. Si tratta di un passo fondamentale
del poema dal punto di vista strutturale poiché dà il via alla narrazione delle peregri-
nazioni dell’eroe, narrazione che costituisce il nucleo centrale dell’opera.
In questo lungo episodio cruciale diviene il tema dell’ospitalità: Odisseo è giunto
alla reggia indirizzato da Nausicaa, che lo ha ritrovato presso il mare e che lo ha ac-
colto ricordando alle sue ancelle, spaventate dalla vista del naufrago, che gli ospiti
sono inviati da Zeus. La principessa ha quindi provveduto a confortarlo, invitando
le ancelle stesse ad offrirgli cibo e bevande, e a lavarlo (VI, 204-210). Entrato al pa-
lazzo reale, l’eroe è stato accolto e rifocillato, ha dormito ed è stato invitato a un
sontuoso banchetto con danze e gare, ma non ha ancora rivelato la sua vera identità:
viene ora esortato a raccontare finalmente le sue vicissitudini. Odisseo è dunque ac-
cettato e ricevuto in nome delle leggi dell’ospitalità; Alcinoo a sua volta lo invita a
narrare le sue avventure catalogando gli esseri umani incontrati proprio secondo la
categoria dell’ospitalità, intesa come dovere etico e religioso, come si rivela dalle sue
parole: chi rispetta l’ospite è pio, contrapposto a chi è violento, selvaggio, ingiusto.
È il dono dell’ospitalità e dell’accoglienza che spinge l’eroe a ricapitolare le sue
esperienze, cosa che ancora non aveva avuto modo di fare, e a dare un senso alla
sua narrazione, finendo per descrivere tutti gli incontri accaduti nel suo peregrina-
re. Il racconto parte ed è sollecitato dal re, che si accorge delle lacrime versate dallo
straniero nell’udire il cantore: la rivelazione della propria identità e la riflessione
dolorosa sulle proprie avventure, quindi, sono rese possibili dall’instaurarsi di un
dialogo empatico, che non si era verificato in altre circostanze e presso altri ospiti.
Il protagonista è ritratto mentre piange anche in altri episodi del poema (per esem-
pio, sulla spiaggia dell’isola di Calipso, o presso Circe, o durante l’incontro con l’a-
nima di Agamennone, o per la sepoltura di Elpenore, e così via), ma in questo caso
per la prima volta il pianto è associato alla vergogna e significativamente è parago-
nato alla reazione della donna che si dispera per la morte del proprio marito e per
l’imminente sorte di schiavitù (VIII, 521-540). Laura Faranda (1992, 130 e segg.)
sottolinea, a questo proposito, che Odisseo avverte in questo momento il proprio
corpo piangente come oggetto, avverte lo scarto fra io e mondo e fra intenzione e
azione, non riesce a controllare e cerca di celare: egli giunge quindi al pudore, co-
me rivendicazione di sé anche nella sofferenza, come richiamo alla propria identità
(Natoli 2002)6. In questo senso, il pianto di Odisseo è un momento di un itinerario
6 Sul tema delle emozioni si veda: David Konstan 2007. L’autore dimostra l’intreccio fra emozioni e possibilità di
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conoscitivo, che gli è concesso proprio all’interno dell’episodio in cui è accolto co-
me ospite e può finalmente ricostruire la sua storia di fronte ad un interlocutore che
manifesta rispetto e capacità di reale ascolto. Mentre, infatti, Polifemo aveva chiesto
a Odisseo di rivelargli l’identità al solo fine di distruggerlo, Alcinoo è interessato a
conoscere, mostra di voler comprendere al fine di accogliere e di offrire conforto
e aiuto. Questo aspetto appare particolarmente significativo, poiché qualifica l’in-
contro con lo straniero (sia che consideriamo stranieri i Feaci, sia che consideria-
mo Odisseo lo straniero di fronte ai Feaci) come un incontro fruttuoso e utile se
fondato sul reciproco rispetto e sulla capacità di ascolto: l’eroe può ricostruire la
sua storia perché è all’interno di una relazione, può dare senso alle sue vicissitudini
proprio all’interno del dialogo7.
Il rispetto della legge di ospitalità consente una ricostruzione che è riconoscimen-
to di sé e dell’altro e permette di comporre una storia. Questo aspetto, da un punto
di vista del messaggio educativo, è cruciale anche perché è all’interno di una vicenda
(la guerra di Troia e il ritorno degli eroi) che si dipana intorno al tema della trasgres-
sione della legge di ospitalità (Paride ospite di Menelao ne tradisce la fiducia rapen-
done la moglie) e al conseguente sanguinoso e distruttivo conflitto.
La centralità della legge di ospitalità emergeva del resto già in alcuni episodi
dell’Iliade, poema differente riguardo al modello di areté proposto, più connesso ai
valori della supremazia e della valentia nel combattimento: è possibile, infatti, rin-
venirlo sia in alcune digressioni (il racconto autobiografico di Fenice, che ricorda
il suo essere accolto come ospite da Peleo: IX, 440 e sgg.: cfr: Seveso 2010), sia in
alcuni episodi significativi e cruciali del poema, quali l’incontro fra Priamo e Achille
per la restituzione del cadavere di Ettore (XXIV, 480 e sgg.), o ancora lo scontro fra
Diomede e Glauco (VI, 119 e sgg.). Quest’ultimo passo è molto interessante poiché
mostra i due guerrieri pronti a combattere senza esclusione di colpi, come appare
evidente dalla breve descrizione iniziale («avidi di combattere», v. 120; «marciando
l’uno contro l’altro», v. 121). Di fronte alla richiesta di presentarsi, Glauco ricapi-
tola con un affresco ampio e appassionato la storia della sua famiglia, a partire dai
più lontani antenati, concludendo con un’affermazione che sottolinea l’ideale eroico:
«Ippoloco m’inviò a Troia e molto e molto mi raccomandava, ch’io fossi fra gli altri
il migliore e il più bravo» (VI, 207-208). A questo punto, la tensione per la batta-
glia è altissima, ma Diomede – eroe caratterizzato nel poema dalla ferocia e dalla
sfrenatezza – al posto di lanciarsi sul nemico, pianta con gesto rapido e risoluto la
lancia per terra rifiutandosi di iniziare il combattimento perché riconosce nel nemico
che lo affronta il discendente di un uomo ospitato da suo nonno: «ma tu dunque sei
ospite ereditario e antico per me» (VI, 215). Diomede si rivolge allora al nemico con
parole commosse, ricordando come gli antenati si siano scambiati «splendidi doni
ospitali» (v. 218) e conclude il suo accorato discorso con l’invito a considerarsi ospiti
simbolizzazione e sottolinea come per gli antichi Greci le rappresentazioni delle emozioni fossero differenti da quanto
accade nella cultura occidentale attuale. Cfr. anche David Bouvier 2011.
7 La costruzione dell’identità e della storia come itinerario relazionale all’interno di un dialogo è una riflessione
costante nella cultura greca antica: si veda in proposito soprattutto le opere platoniche.
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vicendevolmente e rinnovare questo patto: «… ed ecco che un ospite grato ora per
te, laggiù nell’Argolide io sono, e tu nella Licia, quand’io giungessi a quel popolo;
dunque evitiamo l’asta l’uno dell’altro anche in battaglia […] e scambiamoci le armi
l’un l’altro; anche costoro sappiano che ci vantiamo di essere ospiti antichi» (vv. 224-
226; 230-231).
L’episodio è estremamente significativo dal punto di vista del messaggio educa-
tivo che veicola, poiché il poema è tutto centrato su un’etica eroica che prevede lo
scontro e la conquista di una fama costruita proprio sulla forza e sulla vittoria nel
conflitto: il valore impersonato dalle figure esemplari degli eroi è quello della supre-
mazia nel combattimento. Tale valore viene considerato inferiore a fronte della leg-
ge dell’ospitalità, che vincola al rispetto dell’altro, al di là dell’appartenenza ad uno
schieramento, e che si dimostra valida addirittura di generazione in generazione: lo
scambio di doni avvenuto fra gli antenati dei due combattenti ferma la dimensione
del conflitto inesorabilmente, spinge Diomede e Glauco a trasformare il momento
della lotta cruenta in un momento di conoscenza, di incontro e di ulteriore scambio
di doni (l’episodio si conclude infatti con la reciproca offerta delle armi).
La legge dell’ospitalità, dunque, porta a vedere l’altro nella sua veste di xenos in-
teso come persona che ha diritto ad essere accolto e non di xenos inteso come stra-
niero/sconosciuto.
L’importanza di questo precetto, del resto, appare chiara anche da altri testi let-
terari appartenenti all’epoca arcaica: Pindaro, narrando l’infanzia e l’educazione di
Achille, ricorda come il centauro Chirone, maestro di tutti i più celebri eroi, insegna-
va il triplice precetto, del rispetto per gli dèi, per i congiunti, per gli ospiti (Pythica,
VI, 33). Esiodo, nelle Opere e i giorni descrive la degenerazione delle stirpi dei mor-
tali sottolineando come essa sarà evidente dall’empia trasgressione del rispetto per i
familiari, gli dèi, gli ospiti:
ma Zeus distruggerà anche questa stirpe di uomini mortali, quando nascendo avranno già
bianche le tempie; allora né il padre sarà concorde con i figli, né i figli col padre; né l’ospite
all’ospite, né l’amico all’amico e nemmeno il fratello caro sarà come prima; ma ingiuria faran-
no ai genitori appena invecchiati; a loro diranno improperi rivolgendo parole malvagie, gli
sciagurati, senza curare degli dèi la vendetta; né ai genitori invecchiati renderanno il dovuto;
il diritto sarà nella forza … (Opere e giorni, vv. 180-189) (Arrighetti 1998, 247).
Ed è proprio la legge del rispetto dell’ospite, così sottolineata in queste testimo-
nianze letterarie, a costituire il perno della narrazione delle vicende di Odisseo, che
è viaggiatore «suo malgrado» (Hartog 1996), perseguitato da Zeus, (dio protettore
degli ospiti) anche se interessato conoscitore e curioso indagatore: le peregrinazioni
partono quindi da un’esigenza di purificazione e da una punizione, così come il di-
ritto/dovere di ospitalità ha una giustificazione religiosa (è un dovere che supera le
appartenenze etniche, sociali).
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Popoli ospitali, popoli inospitali
La ricostruzione di Odisseo sollecitata da Alcinoo si dipana secondo un asse dia-
cronico, a partire dalla conclusione della guerra di Troia e risulta interessante analiz-
zare come le sue relazioni con i popoli che incontra si costruiscono attorno al tema
dell’ospitalità: come osserva Attilio Privitera, il protagonista si trova ad usare le armi
e a combattere in mondi ove sovente le armi non gli sono utili o non sono sufficienti
(Privitera 1991); le sue avventure risultano segnate dal rispetto o meno dell’altro, da
parte sua o di chi incontra, cifra che condiziona l’esito più o meno felice delle impre-
se e causa anche in alcuni casi la necessità o meno di espiazioni o di risarcimenti.
Odisseo, nella sua narrazione, dapprima sbarca presso Ismaro, terra abitata dai
Ciconi, con l’unico scopo di approvvigionarsi e lo fa depredando la città e seminan-
do distruzione, senza alcun rispetto per le leggi dell’ospitalità; poiché, però, i compa-
gni si attardano a gozzovigliare, vengono assaliti a loro volta dai Ciconi stessi. Odis-
seo ha modo, in realtà, di godere dell’ospitalità, poiché Marone, sacerdote di Apollo,
in segno di riconoscenza per essere stato risparmiato, gli offre in dono un cratere
d’argento e dodici anfore di vino, collocandosi all’interno del rituale tipico dell’ospi-
te, cui spetta, secondo la tradizione antica, di offrire cibo e alloggio e di far omaggio
di doni.
Nel racconto (IX, 39-70) non compaiono notazioni paesaggistiche né temporali; la
narrazione restituisce con rapidità il saccheggio immediato, la scelleratezza dell’im-
presa, la vendetta degli assaliti, che appaiono come un popolo compatto, unito dalla
volontà di difesa. L’incontro è segnato solo dalla conflittualità e dalla totale estranei-
tà fra i contendenti e Odisseo appare, in questa occasione, non tanto curioso, quanto
semplicemente rapace; egli non rispetta la legge dell’ospitalità e si ritrova in un con-
flitto sanguinoso, che genera una notevole perdita fra le fila dei suoi compagni.
A seguito della fuga precipitosa e resa luttuosa dalle perdite umane, le navi gre-
che giungono alla terra dei Lotofagi: questo popolo, che si rapporta ad Odisseo e
ai compagni con socievolezza, offrendo il frutto del loto, è descritto esclusivamente
attraverso il tipo di alimentazione, elemento che li rende immediatamente estranei,
nonostante l’atteggiamento pacifico. È da sottolineare come, all’interno di tutto il
poema, il tipo di alimentazione è l’aspetto che qualifica gli esseri umani e la con-
divisione del cibo e delle bevande uno dei gesti fondanti la legge dell’ospitalità: il
protagonista si chiede sempre, quando giunge in una terra sconosciuta, se gli abitan-
ti sono «mangiatori di pane»; Polifemo, nella sua mostruosità è descritto come un
essere che si nutre di formaggi e prodotti caseari, oltre che di carne; al contrario, i
Feaci appaiono come coltivatori di grano e intenti a macinarlo. L’alimentazione fon-
data sul pane richiama, infatti, anche la coltivazione della terra e la panificazione è
segno distintivo della civiltà. Nel caso dei Lotofagi, l’unico tratto culturale distintivo
è proprio dato da questa alimentazione sorprendente, che costituisce anche l’unica
modalità di relazione che essi intrattengono con il mondo esterno: infatti, si mostra-
no pacifici e offrono il cibo ai compagni di Odisseo. Questo invito a banchetto non
rappresenta, però, un’occasione di confronto e di comunicazione, come avveniva in-
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vece presso i Feaci, poiché il fiore rende gli ospitati totalmente dimentichi del loro
passato e della loro meta. Il cibo è dunque veicolo di scambio, ma si rivela inganne-
vole, perché esso annulla qualsiasi ricordo: la perdita della memoria è perdita del-
la propria identità; l’ospitalità è all’interno di una cultura inconsapevole, immatura,
non civile, pur nella sua scellerata innocenza. Odisseo è costretto a trascinare via
con la forza i compagni che, sotto l’effetto del loto, sono dimentichi della loro me-
ta. In questo caso, la cultura altra produce un’assimilazione immediata perché fon-
data sulla perdita dell’identità e quindi l’apparente ospitalità e l’offerta amichevole
di cibo sono stravolte dalle loro conseguenze nefaste: la legge dell’ospitalità, invece,
prevede il rispetto dell’altro e l’accoglienza della sua identità e della sua storia, come
dimostra la relazione con i Feaci.
La narrazione prosegue evocando l’approdo alla terra dei Ciclopi: mentre i com-
pagni esortano Odisseo a sottrarre furtivamente alcuni formaggi e a fuggire, il pro-
tagonista decide di fare sosta e di conoscere chi abita in questa terra, anche confi-
dando nelle leggi dell’ospitalità. Infatti, a Polifemo il protagonista si rivolge subito
invocando il suo status di ospite, che gode della protezione di Zeus: «ora alle tue gi-
nocchia veniamo supplici, se un dono ospitale ci dessi, o anche altrimenti ci regalassi
qualcosa; questo è norma per gli ospiti. Rispetta, ottimo, i numi, siamo tuoi supplici.
E Zeus è il vendicatore degli stranieri e dei supplici, Zeus ospitale, che gli ospiti ve-
nerando accompagna» (IX, 266-271). Ma Polifemo gli risponde con disprezzo, pro-
clamando di non avere alcun rispetto per questa legge né per gli dèi, poiché i Ciclopi
si sentono forti. L’episodio ci mostra, quindi, degli esseri che sembrano incarnare la
radicalizzazione della legge eroica dei guerrieri (la forza è l’unica modalità di rela-
zione che conoscono). Chi non rispetta la legge dell’ospitalità, come i Ciclopi, rive-
la caratteristiche sub umane nel comportamento, caratteristiche che si rispecchiano
anche nella tipologia di paesaggio all’interno del quale vivono: la terra di Polifemo
è selvaggia, non lussureggiante (quale poteva essere quella abitata da Circe o Calip-
so), è boscosa, non arata nè seminata, pur producendo grano, orzo e vite, e sarebbe
molto florida poiché il terreno è umido e grasso, ma resta incolta (IX, 109 e sgg.). A
questo disordine nella cura della terra corrisponde un disordine sociale e politico,
poiché i Ciclopi vengono subito definiti «violenti e ingiusti» (XI, 106), «non hanno
assemblee di consiglio, non leggi, ma gli eccelsi monti vivono sopra le cime in grotte
profonde; fa legge ciascuno ai figli e alle donne, e l’uno dell’altro non cura» (IX,
113-115). Lo spazio non coltivato, quindi, è anche non socializzato e fa da specchio
ad una totale mancanza di relazioni:
La mancanza di rapporti interpersonali, – scrive Domenico Musti – le aggregazioni solo di
tipo naturale, la mancanza di leggi, cioè di strutture politiche, caratterizzano l’habitat selvag-
gio del Ciclope (anzi, dei Ciclopi, che, se costituiscono una genìa umana, o sovrumana, non
sono però una comunità, una società umana, una polis) (Musti 2008)8.
8 L’autore propone un’interessante analisi della corrispondenza fra strutture del paesaggio, strutture della città
antica e strutture politiche e sociali.
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Polifemo, oltre a rispondere con disprezzo a Odisseo, afferra e inghiotte alcuni
compagni, dimostrandosi anche mangiatore di carne umana. È significativo che que-
sto personaggio, privo del rispetto della legge dell’ospitalità, si mostri anche incivile
nel gesto di bere vino puro, atto che lo qualifica come lontano dagli usi e costumi
sociali: si tratta, infatti, di una pratica percepita come al di là di qualsiasi norma, poi-
ché per i Greci il vino poteva essere gustato solo mescolandolo con dosi di acqua e
all’interno di una precisa ritualità che rendeva il simposio un momento conviviale e
relazionale molto significativo9.
Chi non sa rispettare l’ospite, dunque, è al di fuori della civiltà e dell’umanità. A
fronte di questo comportamento trasgressivo e scellerato, Odisseo dovrà utilizzare
non le armi ma l’astuzia, e dovrà celare la sua vera identità, perché non è possibile
una relazione autentica.
Dopo la fuga il protagonista approda presso Eolo, che dimostra di essere acco-
gliente e dona al suo ospite l’otre in cui ha imprigionato i venti avversi: proprio il
mancato rispetto del divieto di aprire questo dono ospitale da parte dei compagni
di Ulisse, fa sì che la nave venga risospinta verso lidi sconosciuti. La narrazione pro-
segue con la descrizione dell’ultimo popolo incontrato da Odisseo e dai compagni, i
Lestrigoni, esseri umani di proporzioni enormi che vivono dove notte e giorno «sono
vicini»: in questo caso, la descrizione del paesaggio è dettagliata, con l’immagine del
porto e delle strade percorse da carri che portano legna; non c’è segno di coltivazio-
ni, ma piuttosto di attività legate alla pastorizia, come nel caso dei Ciclopi; non esi-
stono piazze, elementi che caratterizzano una comunità umana equilibrata; il porto si
mostra come molto fortificato, costruito con grosse pietre, e angusto, con aspetto da
un lato minaccioso, dall’altro fortemente difensivo. Di fronte ad un unico segnale di
terra abitata, ovvero il fumo, Odisseo invia alcuni compagni in avanscoperta ed essi
incontrano una fanciulla con una brocca d’acqua. Si tratta di una sorta di immagi-
ne speculare in negativo di Nausicaa: entrambe si rivelano le principesse del luogo,
sono il tramite per l’incontro con la nuova popolazione, sono impegnate in attività
tipicamente femminili attinenti all’acqua (lavare, riempire le brocche). La principes-
sa dei Lestrigoni, però, contrariamente a Nausicaa, non si presenta, non mostra pre-
occupazione per la cura dei nuovi arrivati, né cita le leggi dell’ospitalità; si limita a
indicare loro la reggia paterna, con gesto quasi meccanico e conscio della situazione
di pericolo per gli ospiti; non offre ai nuovi venuti i mezzi che potrebbero garantire
loro un incontro amichevole, così come invece aveva fatto Nausicaa. La reazione dei
Lestrigoni e in particolare del loro re Antifate è immediata nella sua ferocia, priva
di qualsiasi pensiero o incertezza, descritta con il gesto fulmineo dell’afferrare e del
divorare uno dei Greci. I Lestrigoni, dunque, come già i Ciclopi, si rivelano empi nel
9 La caratteristica di Polifemo di bere vino puro è molto sottolineata nelle rappresentazioni iconografiche dell’e-
pisodio: esse tendono a mostrarlo con la coppa in mano e con una gestualità che richiama quella dei Satiri ubriachi:
cfr. Raffaella Bonaudo 2010. Sul rito del bere vino e sul simposio come occasione formativa e di incontro, si veda l’ap-
profondito testo di Maria Luisa Catoni 2010. L’autrice analizza con ampiezza di dettagli la pratica del simposio come
momento conviviale ed educativo, sulla scorta di testimonianze sia letterarie sia artistiche, con particolare riguardo alla
ceramografia. Il fatto stesso che il simposio fosse concepito come pratica separata dal momento del pasto dimostra la
particolare importanza e ritualità che lo caratterizzava.
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mancato rispetto della legge dell’ospitalità e infatti la loro città è caratterizzata dalla
mancanza di istituzioni civili e di opere che testimoniano la socialità umana e la cul-
tura (piazze, luoghi di culto).
I Ciclopi e i Lestrigoni paiono una sorta di doppio in negativo dei Feaci, che in-
carnano invece la legge del rispetto dell’ospite, e sono fin da subito descritti come
popolo che ha una storia, una civiltà, una cultura: prima che Odisseo giunga alla loro
reggia, apprendiamo che il loro fondatore, Nausitoo ha dato origine a una comunità,
con i tipici atti che contraddistinguono la convivenza civile, ovvero una difesa/occu-
pazione del territorio, abitazioni ben costruite, la fondazione di riti e di una religione
condivisa basata sul rispetto per le divinità, la coltivazione ordinata della terra: «di
mura circondò la città, fabbricò case, e fece templi ai numi e divise le terre» (VI,
9-10). Lo spazio e il tempo dei Feaci, quindi, sono dimensioni ordinate e armoniose
alle quali corrisponde una comunità che si fonda su un’autorità, riconosce un ruolo
agli anziani o agli eroi, è laboriosa (coltiva olio, vino, frumento, costruisce navi infal-
libili, realizza tessuti), è coesa attorno a un culto, a una religiosità basata sul rispetto
delle divinità. Il popolo dei Feaci sembra incarnare la polis ideale, con un richiamo
evidente ad alcuni elementi che rappresentano il vivere civile, primo fra tutti la piaz-
za come simbolo della capacità di dialogo fra cittadini e il tempio come segno di un
credo comune e di un equilibrio fra umano e divino10. È quindi interessante notare
come il popolo che dimostra maggiormente il rispetto del precetto dell’ospitalità, è
descritto come comunità ideale.
Il ritorno: Odisseo ospite nella sua terra
Infine, sembra opportuno riflettere sul prosieguo del poema, che narra del ritorno
ad Itaca di Odisseo, proprio accompagnato dalla nave dei Feaci.
Quando, infatti, l’eroe sbarca sull’isola che ha lasciato, da principio non la ricono-
sce e si rende conto di esservi giunto solo dopo una lunga e dettagliata descrizione
da parte di Atena; poi camuffa la propria identità, divenendo vecchio e mendican-
te, grazie alle arti della dea, che gli ricorda «ti renderò irriconoscibile a tutti» (XIII,
397): l’eroe, quindi, sperimenta il cambiamento e l’alterità perfino di ciò che gli è
più caro e conosciuto, di ciò che ha cercato, la terra natia, e finisce per identificar-
la attraverso la rappresentazione fornitagli dall’altro per eccellenza (la dea). Infine,
diviene un altro/uno straniero, celando la propria identità, a cominciare dall’aspet-
to fisico che viene deturpato («gli avvizzì la bella pelle sulle agili membra, i biondi
capelli fece sparire dal capo, una pelle da vecchio antico gli fece intorno alle mem-
bra, rese cisposi gli occhi bellissimi», XIII, 430-433), per finire con i tratti che de-
notano il ruolo e lo status (nasconde le suppellettili preziose che i Feaci gli hanno
donato, veste una pelle di cerva spelata, ha un bastone e un brutta bisaccia, che lo
10 L’ordine e l’armonia dello spazio e del tempo riflettono l’ordine delle relazioni umane, in una concezione tipica
della cultura greca, come già ricordato sopra: cfr. a questo proposito, Vernant 1971.
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identificano come mendico e povero). Non riconosciuto e quindi straniero a tutti
(eccetto che al cane Argo), Ulisse compie una sorta di ultimo viaggio dentro la sua
terra, per riappropriarsi della propria identità, della propria famiglia, del proprio
status di sovrano, viaggio che è insieme itinerario nello spazio, ma anche itinerario
nel tempo, alla ricerca di chi, durante la sua lontananza, ha mantenuto la fedeltà: in
ciascun incontro, con il figlio, con i servi, con il padre, con i Proci e perfino con la
moglie, Odisseo è straniero, provocando reazioni contraddittorie e molteplici con la
sua estraneità e la sua mendicità, reazioni che variano dall’accoglienza pietosa ma
prudente, al sospetto, al rifiuto, al disprezzo. Si può dire, anzi, che i personaggi del
poema, di fronte al suo ritorno in incognito, si collochino lungo un asse che non è
solo quello della fedeltà all’eroe partito tanto tempo prima, ma anche e soprattutto
della capacità di rispettare una norma così importante nell’etica omerica quale quel-
la del rispetto dell’ospite/straniero: essa viene enunciata con semplicità proprio dal
primo che incontra Odisseo sotto mentite spoglie, ovvero Eumeo: «Straniero, non è
mio costume (themis) – venga pur uno più malconcio di te – trattar male (atimesai)
gli ospiti: tutti da parte di Zeus vengono gli ospiti e i poveri» (XVI, 56-58). Questa
caratteristica che segna in maniera palese il ritorno dell’eroe conferma la centralità
del tema del rispetto dell’ospite all’interno del poema.
Conclusioni
Odisseo sperimenta dunque tutte le condizioni che corrispondono ai diversi signi-
ficati compresi nel termine greco xenos: egli è, infatti esule, poiché costretto a viag-
giare, ospite, poiché accolto o non accolto da altri, nemico, nel momento in cui si
pone in una relazione di predazione o in cui gli altri si pongono nei suoi confronti
con atteggiamenti di sopraffazione.
Per quanto concerne la sua condizione di esule e ospite, il poema illustra con
chiarezza che esistono sacre leggi dell’ospitalità e specifici rituali che le regolano e
permettono di metterle in atto. L’arrivo e la permanenza presso i Feaci mostrano tali
rituali in maniera ampia e sottolineata: lo straniero/ospite ha diritto ad essere accol-
to (con soddisfazione dei bisogni primari: essere lavato, vestito); è ammesso al ban-
chetto inteso come momento di compartecipazione e di condivisione del cibo, ma
anche della convivialità; in questo contesto, è ascoltato, con attenzione, con capacità
di condivisione delle emozioni e con rispetto di quanto narra, secondo un principio
di auralità che caratterizza l’akroasis (il vero ascolto)11; può assistere a gare o danze
in suo onore; riceve dei doni, che costituiscono il suggello del legame di ospitalità e
che lo accompagneranno nel prosieguo del suo viaggio. Questa ritualità, descritta nel
poema, è percepita e rappresentata come segno distintivo di civiltà e come norma
di giustizia al di sopra dell’appartenenza a un genos o a una definita comunità: ciò
spiega anche la stretta connessione, presente nel linguaggio omerico, fra il termine
11 Sul concetto di akroasis si sofferma Plutarco (L’arte di ascoltare). Si veda in proposito: Dario Costantino 2005.
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xenos, straniero e il termine philos, il cui campo semantico estremamente complesso
richiama la nozione di amicizia, possesso, amore: «la nozione di philos – scrive Émile
Benveniste – enuncia il comportamento obbligatorio di un membro della comunità
nei confronti dello xenos, dell’”ospite” straniero» (Benveniste 1966, 262)12. Chi non
rispetta l’ospite, secondo questa concezione, si qualifica comunque come empio: si
veda, a questo proposito, il giudizio espresso da Odisseo alla nutrice, al termine del-
la strage dei Proci, che egli definisce degni di morte violenta, prima ancora che per
la loro avidità, proprio perché non hanno saputo rispettare chi veniva presso di loro
(XXXIII).
La centralità della tematica dell’ospitalità rende quest’ultima un valore fondamen-
tale all’interno del messaggio educativo paradigmatico di cui il poema si fa porta-
tore. L’Odissea costituiva nell’antichità e costituisce ancora una testimonianza com-
plessa e poderosa dell’etica arcaica: tale etica certamente propone il valore dell’areté
guerriera, ma evidentemente presenta anche altri valori ritenuti fondamentali e im-
prescindibili, fra cui emerge con chiarezza quello del rispetto della legge dell’ospita-
lità. In questo senso, il modello dell’eroe è caratterizzato non solo dal coraggio e dal-
la volontà di combattere, ma anche dalla capacità di accogliere lo xenos che chiede
ospitalità, seguendo precise regole e precisi rituali. Con questo modello dovrà inevi-
tabilmente fare i conti anche l’educazione delle epoche successive.
Sarà l’età classica, a seguito dello scontro con i Persiani, a spostare gradatamene
il baricentro semantico dello xenos verso lo straniero più che verso l’ospite, verso
chi suscita paura o rifiuto più che verso chi ha diritto di asilo, non senza crepe e non
senza contraddizioni.
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Il contributo analizza la costruzione dell’immagine dello straniero nelle Supplici di Eschilo. Dapprima lo straniero suscita curiosità e fascinazione, poi invece ispira inquietudine e rifiuto, diventando ‘barbaro’, appartenente a una cultura incivile. Inoltre, l’autore dell’opera utilizza lo sguardo dell’Altro per definire apologeticamente la propria cultura e la propria democrazia. L’analisi della tragedia ci spinge a riflettere e a cercare di essere più consapevoli di come ci relazioniamo alle culture altre e come noi costruiamo l’immagine dell’altro anche nell’epoca attuale.
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Ever since Neolithic times Greek lands lay open to cultural imports from western Asia: agriculture, metal-working, writing, religious institutions, artistic fashions, musical instruments, and much more. Over the last sixty years scholars have increasingly become aware of links connecting early Greek poetry with the literatures of Mesopotamia, Anatolia, Canaan, and Israel. Martin West's new book far surpasses previous studies in comprehensiveness, demonstrating these links with massive and detailed documentation and showing that they are much more fundamental and pervasive than has hitherto been acknowledged. His survey embraces Hesiod, the Homeric epics, the lyric poets, and Aeschylus, and concludes with an illuminating discussion of possible avenues of transmission between the orient and Greece. He believes that an age has dawned in which Hellenists will no more be able to ignore Near Eastern literature than Latinists can ignore Greek.
Article
Nell’articolato quadro del lessico della concordia, la famiglia di termini che fa capo a philos / philia occupa un posto peculiare per l’ampia sfumatura di significati cui sembra sin dalle origini far riferimento; la stessa traduzione ‘amico’-‘amicizia’ si rivela non del tutto soddisfacente di fronte alla variegata molteplicità delle forme di relazione implicate dai termini greci. In questo lavoro si cercherà di rendere ragione della complessità di tali sfumature, analizzandone le radici e le più significative testimonianze di età arcaica e classica (in particolare Omero, Erodoto e Tucidide). In the complex frame of concord’s lexicon, the family of terms which is headed by philos / philia occupies a prominent place thanks to the wide range of meanings that it has from the beginning; the translation ‘friend’ - ‘friendship’ turns out to be not entirely satisfactory, in front of the multiplicity of forms of relationship involved in the Greek terms. In this paper we will try to account for the complexity of these shades, analysing the roots and the most important occurrences of archaic and classical period (in particular Homer, Herodotus and Thucydides).
Book
It is generally assumed that whatever else has changed about the human condition since the dawn of civilization, basic human emotions - love, fear, anger, envy, shame - have remained constant. David Konstan, however, argues that the emotions of the ancient Greeks were in some significant respects different from our own, and that recognizing these differences is important to understanding ancient Greek literature and culture. With The Emotions of the Ancient Greeks, Konstan reexamines the traditional assumption that the Greek terms designating the emotions correspond more or less to those of today. Beneath the similarities, there are striking discrepancies. References to Greek ‘anger’ or ‘love’ or ‘envy,’ for example, commonly neglect the fact that the Greeks themselves did not use these terms, but rather words in their own language, such as orge and philia and phthonos, which do not translate neatly into our modern emotional vocabulary. Konstan argues that classical representations and analyses of the emotions correspond to a world of intense competition for status, and focused on the attitudes, motives, and actions of others rather than on chance or natural events as the elicitors of emotion. Konstan makes use of Greek emotional concepts to interpret various works of classical literature, including epic, drama, history, and oratory. Moreover, he illustrates how the Greeks’ conception of emotions has something to tell us about our own views, whether about the nature of particular emotions or of the category of emotion itself.