Content uploaded by Giulio Lughi
Author content
All content in this area was uploaded by Giulio Lughi on Oct 31, 2021
Content may be subject to copyright.
Di cosa parliamo quando parliamo di Cultura Digitale
Giulio Lughi
Pubblicato in “Agenda Digitale”, 6 aprile 2021
https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-
cultura-digitale/
Si parla sempre più di Cultura Digitale come substrato necessario per capire - in
tutte le sue sfaccettature e implicazioni - la complessa transizione dall’industriale all’ICT:
Cultura Digitale come bisogno di spessore concettuale, di profondità di analisi, di visione
strategica che non si limiti alle pure competenze tecnologiche.
Indice degli argomenti
Cosa intendiamo per “cultura”
L’ecosistema della Cultura Digitale
Le caratteristiche della Cultura Digitale
L’estensione della Cultura Digitale
Conclusioni
Bibliografia
Cosa intendiamo per “cultura”
Il termine “cultura” può essere interpretato in diversi modi: l’accezione più
semplice, e banale, intende la cultura in senso classicistico, come accumulo di
informazioni e conoscenze fini a se stesse: “cultura” vista quindi come strato aggiuntivo,
per certi versi opzionale, un di più - spesso fortemente orientato al passato - che
caratterizza le classi economicamente e/o socialmente privilegiate.
Ma il termine “cultura” può essere interpretato anche in senso socio-antropologico,
intendendo cioè l’insieme di comportamenti, conoscenze, norme, sistemi di valori,
meccanismi di controllo che una società - in tutte le sue componenti - mette in opera per
sopravvivere, e possibilmente per vivere meglio. In questo senso la cultura di una società
è necessariamente innervata nel suo tempo, nella sua organizzazione politica e civile, nei
suoi sistemi di produzione, nelle sue tecnologie: detto altrimenti, dal punto di vista socio-
antroplogico non esiste società senza cultura.
Parlando oggi di Cultura Digitale è giocoforza adottare questa seconda accezione,
in quanto ci fornisce il corretto approccio per capire il digitale: la Cultura Digitale non è
riducibile infatti ad una serie di nozioni tecniche, più o meno approfondite, ma
rappresenta la capacità di capire la complessità, la profondità, l’interrelazione dei sistemi
che gestiscono il mondo contemporaneo.
L’ecosistema della Cultura Digitale
In questo senso è opportuno distinguere fra competenza e cultura: le competenze
digitali vanno viste come insiemi di saperi che permettono di procedere a corto raggio e
su breve durata, fondamentalmente con un approccio tattico: mentre la cultura digitale
rappresenta la capacità di adottare una visione a largo raggio e di lunga durata, con un
approccio strategico (Lughi 2016). Le competenze di oggi (software, linguaggi, sistemi,
piattaforme, ecc.) sono destinate a invecchiare rapidamente, a causa dell’alto tasso di
innovazione che preme costantemente sul digitale: mentre la cultura rappresenta la base
teorica profonda che consentirà domani di cambiare software o sistema con la piena
consapevolezza dei pro e dei contro muovendosi in una visione di ampio respiro.
Allo stesso tempo è opportuno vedere la Cultura Digitale in prospettiva storica, in
quanto rappresenta la terza delle grandi fasi di organizzazione sociale e mentale derivate
dai sistemi di produzione:
- fin dalla lontana antichità le civiltà umane hanno agito entro la Cultura
Artigianale, legata al modello di produzione della bottega, caratterizzata da rapporti
ravvicinati tra i soggetti sociali, dove la trasmissione del sapere avviene tramite la
comunicazione orale e l’esempio pratico, con il maestro anziano che mostra all’allievo
come si fa;
- a partire dalla fine del Settecento si è sviluppata la Cultura Industriale, legata al
modello di produzione della fabbrica, caratterizzato da rapporti fortemente gerarchici
dove la trasmissione del sapere è formalizzata in forma scritta (manuali, istruzioni,
procedure. ecc.) e strutturata - sempre gerarchicamente - nell’organizzazione delle filiere
produttive.
Rispetto a questi antecedenti, la Cultura Digitale compie un cambio di marcia, in
quanto si riferisce alla produzione di informazioni e non di cose (la dematerializzazione:
bit, non atomi), ed è caratterizzata da rapporti decentrati dove la trasmissione del sapere
avviene nella forma della rete.
Grazie al fatto di gestire bit e non atomi, la Cultura Digitale si pone ad un livello
superiore, e assume il controllo e la gestione di tutte e due le precedenti fasi produttive:
artigianato e industria ovviamente non scompaiono, ma sono obbligate a riconfigurarsi
attraverso il digitale. Ciò che caratterizza la Cultura Digitale è fondamentalmente la sua
complessità: l’acronimo ICT (Information and Communication Technologies) indica
infatti i due piani su cui essa si sviluppa, l’Information (la grande capacità di processare
dati e informazioni), e la Communication (la capacità di muovere e relazionare dati e
informazioni attraverso la rete). Per questo motivo la Cultura Digitale appare così
pervasiva, totalizzante, e allo stesso tempo difficile da definire: è un vero e proprio
ecosistema, che controlla e gestisce le attività produttive, ma anche i mezzi di
informazione, i rapporti interpersonali, il tempo libero e l’intrattenimento; un ecosistema
globale capace di riformulare i saperi del passato e contemporaneamente di proiettarsi nel
futuro.
Le caratteristiche della Cultura Digitale
Quali sono gli elementi caratterizzanti della Cultura Digitale? Non stiamo parlando
delle competenze tecniche, come già spiegato sopra, ma delle componenti fondamentali
necessarie per cogliere nella sua essenza tutta la complessità della trasformazione
digitale: concetti che sono peculiari dell’età digitale, e quindi diversi da quelli
caratteristici delle precedenti Culture Industriale e Artigianale (Lughi 2006).
Proponiamo qui tre caratteristiche fondanti, tenendo naturalmente conto del fatto
che questa scelta potrebbe essere diversa, assumendo altri punti di vista interpretativi, o
potrebbe modificarsi con l’avanzare dei processi di innovazione.
Differenza fra livello superficiale e livello profondo
Nel mondo digitale tutto ciò con cui entriamo in contatto – tramite uno schermo di
computer, o uno smartphone, o qualsiasi altro terminale di fruizione – non esiste
realmente nella forma in cui lo percepiamo, bensì è frutto dell’elaborazione logica e
formale, in tempo reale, di una serie di dati e istruzioni annidati a livello profondo,
sequenze di 1 e 0 assolutamente incomprensibili all’occhio e all’intelletto umano.
Al di sotto dell’esperienza di superficie (quella dello schermo), esiste un livello
profondo, articolato e complesso, gestito dai linguaggi di programmazione, al quale è
affidata la gestione di tutti i processi che agiscono nel mondo digitale. Come recita il
titolo di un libro di Manovich (2013), Software Takes Command: “il software prende il
controllo”:
…se vogliamo comprendere le tecniche contemporanee di controllo, comunicazione,
rappresentazione, simulazione, analisi, processo decisionale, memoria, visione, scrittura e
interazione, la nostra analisi non può essere completa finché non consideriamo questo strato
del software. (p. 110)
Possedere una cultura digitale significa quindi rendersi pienamente conto di questo
doppio livello, e dell’importanza di saper gestire il livello profondo: per questo, dal punto
di vista formativo, sono auspicabili le iniziative - sempre più frequenti - di coding per
bambini, non per farli diventare programmatori professionisti, ma per attivare nei cittadini
di domani la consapevolezza di come funziona effettivamente il mondo in cui si
troveranno a vivere; per lo stesso motivo per cui a scuola si impara a leggere, a scrivere
e a far di conto: non per diventare scrittori o matematici, ma per poter partecipare
pienamente alla vita sociale e produttiva.
Dati, algoritmi, intelligenza artificiale
Se il software rappresenta il sistema nervoso del digitale, i dati sono le cellule che
ne costituiscono il tessuto. Un’altra caratteristica fondante del digitale è infatti la sua
struttura logico-linguistica, composta di elementi minimi (andando alla radice tutto il
digitale è composto solamente di 1 e 0) che poi si aggregano e riaggregano secondo
processi combinatori fino a comporre processi e sistemi finiti. Rispetto alle culture
precedenti, basate sulla trasmissione dei testi lineari, orali o scritti, nel digitale la
formazione e la trasmissione del sapere si fondano sui dati e sulla loro organizzazione,
secondo quella che è stata definita “la logica del database”: una continua scomposizione
e ricomposizione dei dati organizzati che costituiscono la conoscenza. Nell’età digitale
qualsiasi sistema funzionante (amministrativo, gestionale, industriale, commerciale,
culturale, etc.) ha dietro di sé un sistema di database, invisibile all’utente “normale” ma
non per questo meno efficiente e determinante.
In tandem con il database agiscono gli algoritmi: se il database rappresenta il
magazzino dei dati (il sistema paradigmatico), gli algoritmi rappresentano l’agente
dinamico (il processo sintagmatico) che recupera i dati e costruisce il processo elaborando
una nuova forma di “testualità fluida”, continuamente scomponibile e ricomponibile. Ma
c’è di più: i grandi agglomerati di Dati, i big data, celano al loro interno percorsi di lettura
e di interpretazione che sfuggono, per le loro dimensioni, alle possibilità di
organizzazione cognitiva dell’umano. Paradossalmente ormai sono gli algoritmi stessi a
“vedere” nei big data le costanti culturali che altrimenti sfuggirebbero all’osservazione
Metaforicamente, si potrebbe dire che i dati sono il nuovo petrolio: grandi quantità
di elementi informativi che creano valore, ma solo per chi è in grado di gestirli,
analizzarli, interpretarli. I dati da soli infatti non generano valore: come il petrolio deve
essere estratto, raffinato, immagazzinato e distribuito, così i dati richiedono competenze
tecnologiche di gestione e visione strategica di utilizzo. La sfida dell'intelligenza
artificiale, oggi, è affiancarsi all'intelligenza umana per individuare percorsi dotati di
senso tra le grandi masse di dati: occorre quindi sviluppare un approccio culturale basato
sui grandi "giacimenti di dati" esistenti, per produrre architetture informative in grado di
generare nuove prospettive di lavoro, strutture istituzionali, pratiche di fruizione, spinte
creative.
Un sistema estremamente complesso, sempre più basato non sulle singole macchine
ma sul cloud, ottimizzando quindi le potenzialità della rete: un aumento di complessità
che tuttavia offre indiscutibili vantaggi di economia e interoperabilità, e garantisce lo
sviluppo di automazione e interattività, due caratteristiche peculiari della Cultura Digitale
rispetto alle culture precedenti.
Nuovo concetto di spazio
Il digitale dipende sempre meno dalle postazioni fisse (desktop computer) che ne
hanno caratterizzato e condizionato la nascita e la prima diffusione, mentre acquista
sempre maggiore mobilità, prima con i laptop e poi con gli smartphone, i quali a loro
volta hanno subito un’importante mutazione: da strumenti di comunicazione
interpersonale a terminali mediatici. Un cambio di tecnologia e di abitudini che incide
profondamente sul concetto stesso di spazio: secondo Manuel Castells (2006), con
l’avvento del digitale accanto allo spazio dei luoghi (spazio fisico caratterizzato da
rapporti interpersonali di vicinanza e presenza), si assiste all’avvento dello spazio dei
flussi (contesto virtuale di rete dove le relazioni interpersonali avvengono in assenza e a
distanza).
Un fenomeno accelerato, e quindi messo in evidenza, dalle restrizioni imposte dalla
pandemia: in ambito amministrativo, molte pratiche burocratiche vengono sbrigate non
allo sportello fisico ma online; in ambito sanitario i medici di base hanno moltiplicato
l’uso delle ricette elettroniche, riducendo sostanzialmente gli spostamenti fisici dei
pazienti; in ambito commerciale, le vendite online hanno validamente sostituito l’accesso
i negozi; in ambito culturale, musei e gallerie hanno attivato le visite virtuali ovviando
alla chiusura degli ambienti fisici; e si potrebbe continuare.
Non si tratta solo di “migliorie”, o della semplice comodità offerta dal digitale: si
tratta di un vero e proprio cambio di paradigma mentale e comportamentale, il
“paradigma mobile-locative” basato sulla mobilità e sulla geolocalizzazione dei servizi,
dove il cittadino prende coscienza di vivere in uno spazio complesso, certamente ancora
fisico, ma soprattutto “mediato”, attraversato cioè da infiniti flussi di informazione.
E questo vale sia sul piano individuale sia su quello collettivo, nel senso che oggi
anche le città in cui viviamo sono digitalizzate: si tratta di una “mediatizzazione
profonda”, basata sulle reti di sensori di rilevamento, sulla infrastruttura dell’IoT,
sull’ubiquitous computing, sulla raccolta sistematica dei big data e sulla loro gestione
mediante gli algoritmi di AI. L’ambiente urbano si configura quindi come struttura
complessa, articolata in diversi livelli codificati ed interagenti fra loro, dove la
digitalizzazione dei dati è ormai la condizione tecnico-scientifica indispensabile su cui si
basa tanto la pianificazione urbanistica quanto la gestione dei servizi della pubblica
amministrazione: è la “smart city”, o - citando ancora Castells - la “città globale”, intesa
come infrastruttura che connette gli spazi fisici, tecnologici, emozionali e culturali in cui
le persone si riconoscono come cittadini del mondo, reale e virtuale.
L’estensione della Cultura Digitale
La complessità della Cultura Digitale risulta evidente dall’estensione del campo su
cui si applica: salvo poche eccezioni, qualsiasi attività umana richiede oggi una profonda
consapevolezza dell’impatto esercitato dal digitale (Miller 2020), e soprattutto del fatto
che le diverse attività sono in qualche modo interconnesse. Senza avere la pretesa di
compilare una mappa esaustiva, che d’altra parte andrebbe costantemente aggiornata,
vediamo quali sono i settori in cui maggiormente incidono i processi di innovazione e
trasformazione digitale:
- settore legislativo-normativo: dove sono in primo piano le problematiche legate
alla privacy e alla raccolta dei dati sensibili, sia nelle attività online degli utenti, con
conseguente loro profilazione, sia a causa della diffusione dei sistemi di telesorveglianza
e riconoscimento facciale; rilevante è anche la questione del copyright, mentre resta sulla
sfondo il problema del cybervoto, con tutte le problematiche legate alla cybersecurity;
- settore bancario finanziario: oltre alle applicazioni di online banking, che hanno
impattato potentemente sulle abitudini delle persone, il settore sviluppa in maniera
massiva il deep learning e l’applicazione dell’AI all’analisi predittiva dei dati; prospettive
interessanti sono aperte dalla blockchain in termini di decentralizzazione,
disintermediazione, tracciabilità dei trasferimenti, trasparenza/verificabilità; sullo sfondo,
le problematiche della virtualizzazione e della weightless economy;
- settore produttivo industriale: il digitale guida da sempre i processi di
automazione e gestione delle tempistiche produttive; sul piano gestionale, va segnalato il
diffondersi della network enterprise, che delocalizza e razionalizza le strutture
organizzative, facilitando i processi di globalizzazione; complessivamente è l’etichetta di
“industria 4.0” che ben rappresenta l’estensione della digitalizzazione a tutti i livelli
(formazione del personale, gestione degli ambienti di lavoro, progettazione, produzione);
- settore commerciale: è uno dei settori in cui l’uso del digitale, attraverso gli
acquisti di merci e servizi online, ha inciso maggiormente sulla mentalità e sulle abitudini
degli utenti, oltre che naturalmente sulla organizzazione e sulla logistica delle aziende
venditrici, mettendo in moto processi di disintermediazione che mettono alla prova la
tenuta (o la sopravvivenza) dei sistemi di distribuzione e vendita pre-digitali;
- settore amministrativo: la digitalizzazione dei sistemi amministrativi, e in
particolare della PA, rappresenta una delle sfide più importanti per la società civile, per il
grande impatto che può avere nella vita delle persone, ma anche per l’efficientamento e
semplificazione di un apparato spesso eccessivamente burocratizzato; un segnale positivo
in questo senso (sotto la spinta della pandemia) viene dall’aumento esponenziale di
cittadini che hanno attivato l’Identità Digitale (SPID), hanno scaricato l’app IO per fruire
del cashback, hanno usato il sistema di pagamenti pubblici PagoPA;
- settore sanitario: un traguardo da raggiungere in questo ambito è certamente la
diffusione generalizzata del Fascicolo Sanitario Elettronico, lo strumento con cui è
possibile ricostruire tutta la vita sanitaria del cittadino, uno strumento attivato già nel 2012
ma ancora in forte ritardo in molte regioni italiane; uno strumento che consentirebbe di
interfacciarsi con l’innovazione digitale che già caratterizza il sistema farmaceutico,
quello ospedaliero, e le varie applicazioni per la gestione dell’healthcare, in particolare
dei pazienti anziani;
- settore politico e di cittadinanza: oltre al problema delle fakenews (che d’altra
parte sono sempre esistite), lo scenario della partecipazione politica viene fortemente
modificato dalla diffusione delle reti sociali, incidendo sulla definizione e gestione della
leadership, sulle modalità del dibattito ideologico (vedi il fenomeno degli hater), sullo
sviluppo stesso di nuovi raggruppamenti, ad esempio i movimenti populisti da una parte,
le iniziative di hacktivism dall’altra;
- settore dell’arte, dell’intrattenimento e dei media: nel campo dell’arte è
importante la diffusione delle visite virtuali, che modificano le politiche tradizionali di
fiere, musei e gallerie, come pure lo sviluppo di interi nuovi settori artistici basati su
interattività, spettacolarizzzione, intelligenza artificiale; nel campo dell’intrattenimento è
ormai assesato il dominio dei videogiochi, che oltre a rappresentare il segmento di
consumo più rilevante in termini quantitativi, impatta anche sulla struttura narrativa dei
media tradizionali; in campo editoriale il digitale incide in primo luogo sulla
dematerializzazione, erodendo progressivamente la quota dei prodotti cartacei, in
secondo luogo attiva tutta una serie di “nuove testualità” (ipertestuali, multimediali,
crossmediali, transmediali, interattive) decisive nella costruzione della Cultura Digitale;
- settore dei rapporti interpersonali: qui si è imposto il dominio dei social
network, che hanno ridisegnato le mappe della vicinanza/lontananza e quindi della
parentela, dell’amicizia, delle relazioni di lavoro; a livello più profondo hanno inciso sulla
definizione dell’identità stessa delle persone, attraverso forme apparentemente banali
come i selfie, o come la costruzione degli avatar, ma anche con lo sviluppo dei blog e
delle pagine web personali. che obbligano a ripensare il proprio posizionamento nel
delicato rapporto fra pubblico e privato.
Conclusioni
Ciò che caratterizza in primo luogo la Cultura Digitale è il riconoscimento e
l’accettazione della complessità, il che significa non solo conoscere i vari elementi che la
compongono ma anche, e soprattutto, riconoscere le connessioni tra questi elementi.
Basta scorrere l’elenco dei settori nel paragrafo precedente per rendersi conto che ogni
settore è connesso agli altri: il marketing online attraverso la profilazione degli utenti si
deve misurare con le problematiche legali di tutela della privacy; la libertà di espressione
dei social network è connessa con il problema delle fakenews e con le nuove aggregazioni
politiche; la facilità di duplicazione dei testi editoriali si scontra con i problemi di
ridefinizione del copyright in ambito digitale; e così via.
In secondo luogo nella Cultura Digitale va riconosciuto il diverso ruolo della
tecnologia. Le culture precedenti erano a bassa tecnologia: scrivere un libro, dipingere un
quadro, progettare un format televisivo erano attività che non richiedevano competenze
tecnologiche particolari; anzi, erano nettamente separate dal lavoro dei “tecnici”
(poligrafici, tecnici del suono e delle luci, macchinisti, ecc.) che svolgevano compiti
esclusivamente esecutivi. Nella Cultura Digitale ideazione e tecnologia sono molto più
interconnesse: un architetto, un progettista di videogiochi, un responsabile di sistemi
amministrativi, o altro, affiderà certamente alcuni pezzi del suo lavoro a singoli specialisti
digitali, ma fondamentalmente, nella sua visione “culturale”, tecnologia e progettualità
sono strettamente connesse.
Infine la complessità della Cultura Digitale emerge dal suo carattere ibrido e
trasversale. Alvin Toffler (1980) ha coniato il termine “prosumer” per indicare la nascita
di una nuova figura ibrida, il produttore-consumatore, tipico abitante della rete; da allora
non si contano le etichette che replicano questa mescolanza: infotainment, videogame,
wreader, spettattore, ecc. Il mondo della Cultura Industriale era un mondo gerarchico,
dalle articolazioni ben definite, strutturato in base alle filiere produttive: cinema,
discografia, manifattura, editoria, logistica, distribuzione, ecc., ognuna con identità,
finalità, procedure ben differenziate tra loro. Il mondo della Cultura Digitale ha fatto
saltare, almeno in parte, queste distinzioni: si pensi ad Amazon, che da venditore di libri
diventa venditore di qualsiasi merce, impianta un sistema digitale innovativo di logistica
e distribuzione, e infine diventa produttore di spettacoli televisivi e cinematografici; o ad
Apple, che dalla produzione di software e hardware diventa un fornitore di immaginario,
di modelli di estetica e di vita.
Proprio per la sua trasversalità, per la sua onnipresenza, per il fatto di essere ormai
un vero e proprio ecosistema pervasivo, il digitale va riconosciuto e capito in tutta la sua
complessità: è questa la sfida che ci impone la Cultura Digitale.
Bibliografia
Castells M. (1996), The Rise of the Network Society, Blackwell, Oxford. 430
Lughi G. (2006), Cultura dei nuovi media: teorie, strumenti, immaginario, Guerini,
Milano.
https://www.academia.edu/39664510/Cultura_dei_nuovi_media_teorie_strumenti
_immaginario
Lughi G. (2016), Competenze e culture digitali, in “Agenda Digitale”, 2 maggio.
https://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/competenze-e-culture-digitali-una-
differenza-di-senso-per-colmare-i-ritardi-italiani/
Manovich L. (2013), p. 110), Software Takes Command, Bloomsbury, New York (NY).
https://issuu.com/bloomsburypublishing/docs/9781623566722_web
Miller V. (2020), Understanding Digital Culture, SAGE, London.
Toffler A. (1980), The third wave, Bantam, London.