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Il ruolo degli interessi organizzati nel discorso pubblico sul «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza»

Authors:

Abstract and Figures

Over the past few months, (very) much of the Italian public debate dealt with two closely related issues: the COVID-19 pandemic and the policy instruments at disposal to national and supranational political actors to mitigate its consequences, especially from a socioeconomic point of view. On this, the main political tool was the so-called 'Next Generation Europe' plan (also known as 'Recovery Fund'): with respect to Italy, this plan concerned more than 200 billion euros, including loans and grants, to be invested in the (economic) relaunch of the country. Thus, it represented a big game that all interest groups wanted to play, a perhaps unrepeatable opportunity to see their own requests transformed into public policies. This article focuses precisely on how the most important organized interests mobilized and contributed to the public debate on the Recovery Fund (RF). It does so by attempting to answer three main research questions: which interests have received greater media visibility with respect to the RP? Which issues those same interest groups brought to the attention of public opinion? With what consequences (if any) to the main contents of the plan itself? Our empirical analysis focuses on the 20 most important Italian interest groups (i.e. the main business associations, labor unions, institutional groups and public interest groups of the country), reconstructing their lobbying activity and public frames through a detailed coding of their (traditional and social) media interventions and press coverage from
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1
XXXIV Convegno Annuale della Società Italiana di Scienza Politica (SISP)
Conferenza virtuale, 9-11 settembre 2021
Panel: 7.3 Il Next Generation EU e l’Italia. Sfide, opportunità e esiti
Il ruolo degli interessi organizzati nel discorso pubblico
sul «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza»
Alberto Bitonti
1
, Giuseppe Montalbano
2
, Andrea Pritoni
3
e Giulia Vicentini
4
Abstract
Over the past few months, (very) much of the Italian public debate dealt with two closely related
issues: the COVID-19 pandemic and the policy instruments at disposal to national and supranational
political actors to mitigate its consequences, especially from a socio-economic point of view. On this,
the main political tool was the so-called ‘Next Generation Europe’ plan (also known as ‘Recovery
Fund’): with respect to Italy, this plan concerned more than 200 billion euros, including loans and
grants, to be invested in the (economic) relaunch of the country. Thus, it represented a big game that
all interest groups wanted to play, a perhaps unrepeatable opportunity to see their own requests trans-
formed into public policies. This article focuses precisely on how the most important organized in-
terests mobilized and contributed to the public debate on the Recovery Fund (RF). It does so by
attempting to answer three main research questions: which interests have received greater media vis-
ibility with respect to the RP? Which issues those same interest groups brought to the attention of
public opinion? With what consequences (if any) to the main contents of the plan itself? Our empirical
analysis focuses on the 20 most important Italian interest groups (i.e. the main business associations,
labor unions, institutional groups and public interest groups of the country), reconstructing their lob-
bying activity and public frames through a detailed coding of their (traditional and social) media
interventions and press coverage from September 2020 to the end of April 2021.
Keywords: Interest groups; Media lobbying; Agenda-setting; Recovery Plan; Next Generation EU
1
alberto.bitonti@usi.ch, Italy University of Svizzera Italiana, USI Lugano
2
gmontalbano@luiss.it, Italy LUISS Guido Carli - Rome
3
andrea.pritoni@unito.it, Italy University of Turin
4
giulia.vicentini19@gmail.com, Italy University of Siena
2
1. Introduzione
«Il Recovery Fund rappresenta un’occasione da non perdere per l’Italia». Nel corso dell’ultimo
anno, i protagonisti della scena politica nostrana che non hanno pronunciato una frase come questa
(o similari) si contano letteralmente sulle dita di una mano. Parlamentari, ministri, segretari di partito,
alti burocrati, giornalisti, opinionisti, accademici: l’importanza epocale del Next Generation Europe
(NGEU) è stata sottolineata pressoché ovunque e da chiunque. Non stupisce, d’altronde: come evi-
denziato con maggiore dovizia di particolari altrove in questa special issue, la risposta che le istitu-
zioni comunitarie hanno messo in campo per contrastare le drammatiche conseguenze economiche
e sociali, ma non solo della pandemia da COVID-19 rappresenta probabilmente un unicum nella
storia dell’Unione europea. Tale consapevolezza è stata condivisa anche dal variegato universo dei
gruppi di interesse italiani, che proprio nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) hanno
scorto un’opportunità forse irripetibile per cercare di far sentire la propria voce, sia in relazione alla
necessità di venire coinvolti nel processo di formulazione e attuazione delle misure disegnate, sia e
soprattutto in riferimento all’individuazione delle varie priorità da perseguire. Tanto per associazioni
imprenditoriali, gruppi istituzionali e grandi sindacati confederali, quanto per gruppi di interesse pub-
blico e associazioni professionali, il Recovery Fund ha rappresentato insomma uno dei temi forti se
non, addirittura, il tema forte su cui concentrare buona parte della propria mobilitazione politica e
il conseguente esercizio di pressione nei confronti del legislatore.
Questo contributo intende dunque concentrarsi proprio su tale esercizio di pressione, sia dal
punto di vista delle modalità che degli esiti dello stesso. In riferimento alle modalità, ci interroghe-
remo sulla mole e sul tipo di dichiarazioni e interventi promossi dai principali protagonisti del sistema
degli interessi nazionale: quali (tipi di) gruppi hanno condotto una pervicace e sistematica campagna
mediatica al fine di imporre i propri temi all’attenzione dell’opinione pubblica (e, così facendo, del
legislatore)? Quali hanno posto maggiore attenzione alla governance del Piano? Quali, infine, hanno
prodotto osservazioni più specifiche e puntuali sui vari temi e chi, al contrario, è intervenuto in termini
assolutamente generici e vaghi?
Per ciò che concerne gli esiti, le domande di ricerca sono due, tra loro strettamente intercon-
nesse: innanzitutto, ci preme verificare quali (tipi di) attori hanno goduto di maggiore visibilità me-
diatica sul tema, dominando così il dibattito pubblico in relazione al PNRR. In secondo luogo, proprio
sulla base della considerazione data abbondantemente per assodata dalla letteratura più recente
(Binderkrantz 2012; Binderkrantz et al. 2017a; Aizenberg e Hanegraaff 2020) che la capacità di
sfruttare il sistema mediatico quale cassa di risonanza per le proprie rivendicazioni sia strumento
fondamentale ai fini dell’influenza di policy, soprattutto in fase di agenda (Binderkrantz e Rasmussen
2015), cercheremo di individuare quali interessi sono stati in grado di incidere sul contenuto del
3
PNRR e quali, al contrario, hanno giocato un ruolo sostanzialmente marginale. Nel farlo, ci concen-
treremo sulla corrispondenza tra le priorità segnalate dai (vari) gruppi di interesse e quelle concreta-
mente entrate a far parte del Piano.
Per rispondere ai sopraccitati interrogativi, facciamo affidamento su di un materiale empirico
decisamente vasto, raccolto tramite modalità di ricerca sia quantitative che qualitative. In primo
luogo, abbiamo codificato circa 1,800 dichiarazioni pubbliche fornite dai 20 principali gruppi di in-
teresse italiani tra l’inizio di settembre 2020 e la fine di aprile 2021. Si tratta di un dataset imponente,
che con ogni probabilità rappresenta il principale valore aggiunto di questo contributo. In secondo
luogo, abbiamo condotto un supplemento di indagine, di natura maggiormente qualitativa, attraverso
sette interviste semi-strutturate a dirigenti delle associazioni analizzate. Congiuntamente, dataset
quantitativo e interviste qualitative ci consentono di tracciare una ricognizione puntuale di come e
quanto i principali gruppi di interesse italiani hanno cercato di orientare il dibattito pubblico sul PNRR
e, per il tramite di ciò, sono riusciti (o meno) a giocare il ruolo di agenda-setters in riferimento a
quello che con ogni probabilità rappresenta il principale processo decisionale di questo decennio.
Il presente articolo è strutturato come segue: nella seconda sezione si tratteggia una ricogni-
zione della letteratura alla quale il nostro lavoro intende contribuire, laddove il terzo paragrafo pre-
senta il complessivo disegno della ricerca e il quarto si sofferma sulla visibilità mediatica dei gruppi
di interesse in riferimento al PNRR. La quinta sezione illustra le principali risultanze empiriche sca-
turite dall’analisi quali-quantitativa delle dichiarazioni pubbliche prodotte dagli attori investigati, con
particolare attenzione sia al tema della governance del piano, sia al grado di sovrapposizione tra le
priorità segnalate dai gruppi e i suoi contenuti di policy. Infine, la sezione conclusiva si incarica di
discutere in maniera sistematica le evidenze empiriche dell’analisi condotta.
2. Gruppi di interesse e lobbying indiretto: tra visibilità mediatica e influenza di policy
La letteratura sui gruppi di interesse dedica da tempo grande attenzione alle strategie di lobbying
indiretto, vale a dire tutte quelle azioni che mirano a promuovere un certo tema o una certa posizione
nel dibattito pubblico, al fine di influenzare indirettamente, appunto le scelte dei decisori pubblici
(Kollman 1998; Pritoni 2021). A differenza del lobbying diretto, che punta sul contatto con i decisori
pubblici al fine di rappresentare un certo interesse, il lobbying indiretto si propone di influenzare il
dibattito pubblico generale, agendo in particolare sui cittadini-elettori e sui media per arrivare ad
esercitare una pressione indiretta sui decisori istituzionali (Tresch e Fischer 2015; Junk 2016; De
Bruycker e Beyers 2019).
Sebbene inizialmente si presupponesse una preferenza per il lobbying diretto da parte dei
gruppi che godono di maggiore accesso istituzionale e per il lobbying indiretto da parte dei gruppi
4
privi di quel medesimo accesso tanto da spingere molti studiosi a usare l’espressione «outside lob-
bying» per riferirsi al lobbying indiretto quale «arma dei più deboli» e appunto degli outsider (Thrall
2006; Tresch 2021) la ricerca più recente ha parzialmente temperato questa presupposizione, evi-
denziando come possano effettivamente registrarsi differenti livelli di insiderness (Fraussen et al.
2015; Binderkrantz et al. 2017b) e come diverse variabili incidano sulla scelta strategica dei gruppi
verso azioni di lobbying diretto o indiretto. È inoltre opportuno rimarcare, a tal proposito, come tale
scelta strategica non venga compiuta dai gruppi una volta per tutte, e che anzi essa si articoli solita-
mente come una combinazione di lobbying diretto e indiretto, con proporzioni variabili in base al
contesto, alle caratteristiche del gruppo, alla issue in questione, alla fase del ciclo di policy in cui si
agisce, ecc. (Pritoni 2021).
Al di là della strategia dei singoli gruppi nei vari casi, è necessario ricordare che la visibilità
mediatica e ancora di più l’influenza sull’opinione pubblica che si mira a raggiungere tramite
un’azione di lobbying indiretto possono essere a loro volta un obiettivo assai difficile da perseguire,
tanto quanto l’accesso e l’influenza nelle azioni di lobbying diretto. Pur trovandosi in un contesto
comunicativo maggiormente disintermediato (per lo meno, rispetto al passato) nel quale i vari
gruppi possono ad esempio usare i social media per promuovere un determinato messaggio, interlo-
quendo «direttamente» col pubblico ed i propri sostenitori diverse ricerche empiriche e statistiche
demoscopiche ci ricordano che i media tradizionali (stampa, TV, radio) esercitano ancora un ruolo
primario nel dare visibilità pubblica a determinati temi e soggetti, in un circolo mediatico-politico
ibrido che si alimenta della stessa interazione tra media tradizionali e web/social media (Chadwick
2013; Langer e Gruber 2021).
Per questo, l’arena mediatica costituisce un campo di osservazione oltremodo rilevante per gli
studiosi dei gruppi di interesse, essendo i media il secondo grande terreno di gioco (quasi al pari delle
istituzioni pubbliche) nel quale i gruppi si misurano e mettono in pratica la propria azione di lobbying,
soprattutto in riferimento alla fase dell’agenda-setting (Lizzi e Pritoni 2014; Binderkrantz e Rasmus-
sen 2015; Capano e Pritoni 2020). A tal proposito, il dibattito nella letteratura è tuttora aperto, con
alcuni studi che sottolineano come per «conquistare» l’arena mediatica rivestano fondamentale im-
portanza le stesse risorse che spiegano l’accesso alle arene istituzionali, con un ruolo primario dei
gruppi di interesse economico (imprenditoriali e sindacali) (Andsager 2000; Thrall 2006; De Bruyc-
ker e Beyers 2015; Binderkrantz et al. 2017a) e altri che, al contrario, rilevano un accesso privilegiato
5
ai media da parte dei gruppi di interesse pubblico
5
(Degregorio 2009; Binderkrantz et al. 2015; Tresch
e Fischer 2015).
Naturalmente, una variabile da considerare è anche quella del parallelismo politico che, so-
prattutto in contesti come quello italiano (Hallin e Mancini 2004), si registra tra determinate testate
giornalistiche (o redazioni radio-televisive) e specifiche aree politiche o addirittura partitiche; un pa-
rallelismo che, secondo diverse ricerche, spingerebbe le testate di centro-destra a dare più spazio ai
gruppi imprenditoriali e le testate di centro-sinistra a dare più spazio a sindacati e gruppi di interesse
pubblico (Binderkrantz et al. 2017a; Lizzi e Pritoni 2014).
Un ultimo filone della letteratura che è qui utile richiamare per contestualizzare la nostra ana-
lisi è quello relativo all’influenza dei vari gruppi sulle effettive decisioni pubbliche. Una volta messa
in campo una certa strategia di lobbying indiretto, e una volta che si è ottenuta una certa visibilità
mediatica, resta da vedere infatti quanto determinati gruppi riescano ad esercitare un’effettiva in-
fluenza sui processi di policy, contribuendo a far entrare specifiche issues nell’agenda decisionale o
a vedere le proprie preferenze diventare politiche pubbliche. A tal proposito, la nostra analisi si con-
centra sull’osservazione delle concrete scelte compiute dai decisori pubblici nelle due formulazioni
del PNRR
6
, provando a mettere in relazione queste ultime proprio con gli sforzi di lobbying indiretto
prodotti dai gruppi attraverso le proprie dichiarazioni pubbliche.
Che cosa ci dice la letteratura, su questo? I risultati non sono univoci: alcuni studi, infatti,
segnalano che l’elemento predittivo più accurato rispetto all’influenza di policy consiste nelle risorse
organizzative a disposizione dei gruppi (Gilens e Page 2014; Eising e Spohr 2017), con un vantaggio
evidente da parte dei gruppi imprenditoriali. Altri sostengono, invece, che è necessario soffermarsi
sulla issue in oggetto, guardando alla salienza pubblica e alla complessità tecnica della questione
(Kollman 1998; Culpepper 2010; Stevens e De Bruycker 2020), con i gruppi imprenditoriali favoriti
nelle questioni a bassa salienza pubblica e alta complessità tecnica (Woll 2013; Pagliari e Young
2016) e i gruppi di interesse pubblico favoriti nella situazione opposta. Altri ancora combinano di-
verse dimensioni, guardando per esempio alla salienza pubblica della questione associata alla dimen-
sione delle coalizioni in campo (Klüver 2011), alla conflittualità del processo politico (Dür e Mateo
2014) o al tipo di informazioni che vengono fornite ai decisori pubblici (Flöthe 2019).
5
Usiamo qui la dicitura «gruppo di interesse pubblico» per riferirci convenzionalmente ai gruppi che difendono interessi
diffusi e non riferiti ad una costituency determinata (ambientalisti, associazioni di consumatori, ecc.), in linea con l’esi-
genza classificatoria spiegata per esempio da Binderkrantz (2012, p. 119), tralasciando quindi le considerazioni teoretiche
relative al concetto stesso di Interesse Pubblico, assai più problematico (Bitonti 2020).
6
Quella messa a punto dal secondo governo Conte a gennaio 2021 e quella che il governo Draghi ha inviato alle istituzioni
europee all’inizio di maggio 2021.
6
In un quadro teorico ed empirico così variegato, studiare un caso rilevante come quello della
discussione pubblica e delle scelte sul PNRR nel contesto italiano è sicuramente un compito avvin-
cente, anche al fine di sottolineare le specifiche dinamiche di interazione emerse tra il lobbying indi-
retto dei gruppi di interesse, il dibattito pubblico a livello mediatico e le scelte finali dei decisori
pubblici nelle due versioni del Piano.
3. Il disegno della ricerca
L’analisi empirica presentata in questo articolo è frutto di un lungo e meticoloso lavoro congiunto di
raccolta dati da parte degli autori, attraverso un mix di metodi qualitativi e quantitativi. Il primo passo
è consistito in un’analisi quantitativa tesa a valutare l’accesso mediatico dei diversi gruppi di interesse
italiani prima in generale e poi più specificamente a proposito del PNRR svolta attraverso una
ricerca per parole chiave sull’archivio online del quotidiano la Repubblica, che presenta una maggiore
funzionalità ed accessibilità rispetto agli archivi degli altri quotidiani italiani maggiori
7
(Vicentini e
Pritoni 2021). Partendo dalla lista delle 150 associazioni di rappresentanza italiane a maggiore visi-
bilità mediatica individuate recentemente da Lizzi e Pritoni (2017), si è proceduto in primo luogo a
verificare il numero di articoli (su tutte le pagine del quotidiano: nazionali, locali ed inserti) riportanti
il nome di ciascun gruppo nel periodo di riferimento che va dal 1° settembre 2020 fino al 30 aprile
2021. Successivamente, la stessa ricerca è stata svolta per gli articoli che oltre al nome del gruppo
riportassero anche la parola Recovery Fund/Plan e/o Next Generation EU e/o PNRR. I principali
risultati di tale indagine sono riportati nella sezione successiva. Trattandosi di un’analisi puramente
quantitativa, il fatto che nello stesso articolo si citino il gruppo di interesse e il Recovery Fund non
implica necessariamente che il gruppo si esprima in merito ad esso. Questo aspetto riguarda piuttosto
la successiva content analysis qualitativa e il relativo lavoro di coding, che rappresenta il focus prin-
cipale della nostra indagine empirica.
Ovviamente, la content analysis non riguarda tutti i suddetti 150 gruppi di interesse, ma un
sottoinsieme di questi, selezionati sulla base di due criteri principali: la visibilità mediatica dell’asso-
ciazione e/o la partecipazione alle consultazioni effettuate dal Presidente del Consiglio incaricato
Mario Draghi il 10 febbraio 2021. Così individuate, le venti associazioni rappresentano una panora-
mica piuttosto completa e sistematica dei diversi interessi presenti nel nostro paese, comprendendo
7
In aggiunta alla funzionalità dell’archivio, occorre sottolineare che la Repubblica ci appare oggi un quotidiano suffi-
cientemente equidistante dal punto di vista degli interessi da rappresentare: a una tradizione maggiormente legata al cen-
trosinistra e, dunque, ai sindacati dei lavoratori e ai gruppi di interesse pubblico, infatti, fa da contraltare il recente pas-
saggio di proprietà e, conseguentemente, di linea editoriale, molto più «simpatetica» nei confronti degli interessi impren-
ditoriali che non in passato.
7
sindacati (CGIL, CISL, UGL, UIL), associazioni imprenditoriali (ABI, Alleanza delle Cooperative,
ANCE, ANIA, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Unionca-
mere), gruppi istituzionali (ANCI), occupazionali (Coldiretti) e di interesse pubblico (Emergency,
Greenpeace Italia, Legambiente, WWF Italia).
Per individuare le dichiarazioni pubbliche sul PNRR di ciascuna di queste associazioni sono
state prese in considerazione quattro diverse fonti: archivio online del quotidiano la Repubblica
8
,
pagina Facebook, account Twitter e sito web ufficiale del gruppo (vedi Figura 1). Ove possibile, per
meglio individuare il livello di influenza nella fase di agenda-setting, i dirigenti di tali associazioni
sono anche stati sottoposti ad interviste semi-strutturate (si veda, a tal proposito, l’elenco fornito in
Appendice).
Figura 1. Dataset: numero di dichiarazioni pubbliche inerenti il PNRR differenziate sulla base del medium di pubblica-
zione (01.09.2020 30.04.2021)
8
Come per la visibilità mediatica, anche in questo caso siamo partiti dalla ricerca congiunta per parole chiave del nome
del gruppo + Recovery Fund/Plan e/o Next Generation EU e/o PNRR. Ci si è però soffermati unicamente sugli articoli in
cui venisse effettivamente riportata una dichiarazione del gruppo in merito al RF, escludendo inoltre tutti gli articoli
pubblicati sulle pagine locali del quotidiano, dal momento che il nostro focus si limita al dibattito nazionale sul PNRR.
050 100 150 200 250
Emergency
ANIA
ABI
Unioncamere
UGL
Confapi
ANCI
Coldiretti
Confesercenti
ANCE
Confcommercio
All. Cooperative
WWF Italia
UIL
Confartigianato
Greenpeace Italia
Confindustria
CISL
Legambiente
CGIL
Repubblica Sito web Facebook Twitter
8
Per un’analisi dettagliata del processo di coding rimandiamo agli esempi presentati in Appen-
dice. Il dataset riporta in primo luogo la distinzione tra le dichiarazioni relative al contenuto del PNRR
e quelle relative alla sua governance. Inoltre, si è anche valutato se l’intervento facesse riferimento
al Piano in termini generici, oppure affrontando temi specifici. In quest’ultimo caso, la codifica si è
concentrata sulle sei missioni, a loro volta scomposte nelle 16 specifiche componenti.
Il processo di codifica si è sostanziato in diverse fasi volte a garantire la massima affidabilità
e coerenza del dataset finale. Dopo una serie di confronti preliminari sull’adeguatezza del codebook
e delle diverse variabili considerate, i quattro autori hanno proceduto individualmente ad una prima
codifica di prova, selezionando liberamente due dichiarazioni per ciascun gruppo. Tali codifiche sono
state poi condivise e discusse congiuntamente per mettere in evidenza eventuali problemi e dubbi.
Una volta definito un modus operandi comune, nelle settimane successive ciascun autore ha proce-
duto individualmente alla raccolta dei dati e alla codifica completa di una singola fonte (per tutti e 20
i gruppi in analisi) nel periodo considerato (01.09.2020 30.04.2021). Al termine del lavoro indivi-
duale, si è proceduto ad un cross-check due a due: ciascun autore ha ricodificato il 10% delle dichia-
razioni individuate dall’altro. Il cross-check ha evidenziato un grado di accordo tra gli autori superiore
al 90% (Kappa di Cohen > 0,81) per tutti e quattro i dataset. Dopo aver ridiscusso e corretto le (poche)
incongruenze, i quattro diversi documenti sono stati unificati, ottenendo così un dataset affidabile
contenente un totale di quasi 1,800 dichiarazioni pubbliche.
4. I gruppi di interesse e il PNRR: la visibilità mediatica
Come si è detto, la visione del lobbying indiretto come arma dei deboli e degli outsider è ormai
considerata un vero e proprio mito (Thrall 2006): in molti casi, infatti, sono proprio i gruppi più forti
e con maggiore accesso istituzionale a godere dello stesso vantaggio competitivo anche nell’arena
mediatica (Binderkrantz et al. 2015) e a sfruttare azioni di lobbying indiretto per sostenere e rafforzare
le proprie azioni di lobbying diretto portate avanti nelle sedi istituzionali.
Proprio questo è il quadro che sembra emergere dall’osservazione dei dati relativi alla visibi-
lità mediatica dei gruppi di interesse italiani sul quotidiano la Repubblica nel periodo in analisi. Come
è possibile rilevare dai dati riportati nella Figura 2, infatti, i gruppi generalmente considerati «insider»
(gruppi imprenditoriali e grandi sindacati confederali) godono insieme di più del 70% della visibilità
generale riservata dal quotidiano all’insieme dei vari gruppi di interesse.
9
Figura 2. La visibilità mediatica dei gruppi di interesse in termini generali e in relazione al PNRR (01.09.2020
30.04.2021): differenze tra tipi di gruppo (% delle citazioni sul quotidiano «la Repubblica»)
Tra le due tesi evidenziate in letteratura a proposito dell’accesso all’arena mediatica, questi
dati sembrano quindi dare ragione a coloro che evidenziano una forte sovrapposizione tra accesso
mediatico e accesso istituzionale (Andsager 2000; Thrall 2006; De Bruycker e Beyers 2015; Bin-
derkrantz et al. 2017a). Tale posizione è a fortiori confermata anche qualora dai dati sulla visibilità
mediatica in generale si passi a quelli sulla visibilità mediatica legata al PNRR (ancora in Figura 2).
Sul totale delle citazioni ricevute da tutti i 150 gruppi di interesse analizzati a proposito del Piano,
infatti, i sindacati rimangono i più citati, con una percentuale pressoché identica (45,2%) a quella
relativa alla visibilità generale. I gruppi imprenditoriali si confermano secondi, ma con una quota di
visibilità maggiore (35,0%) rispetto a quella generale. Tale incremento (di quasi dieci punti percen-
tuali) avviene a discapito di altri gruppi che invece diminuiscono il proprio spazio di visibilità, con i
gruppi di interesse pubblico che mantengono la terza posizione ma si fermano all’8,1%, e con i gruppi
identitari che pure passano dal 5,7% all’1,0% (ma è ragionevole che sia così, vista la minore rilevanza
dei temi identitari rispetto ai contenuti del Piano stesso). Interessante rilevare anche come gli unici
ad aumentare la propria visibilità mediatica, insieme ai gruppi imprenditoriali, siano i gruppi istitu-
zionali, che passano da un 4,8% di visibilità generale a un 6,2% di visibilità legata al PNRR.
Nel complesso, queste evidenze suggeriscono insomma una posizione di preminenza dei
gruppi di interesse economico (sindacali e imprenditoriali) nel dibattito sul PNRR, e un ruolo netta-
mente più marginale dei gruppi di interesse pubblico, di cui invece ci si aspetterebbe una rilevanza
-4,4
-4,6
9,8
1,4
-1,4
-0,7
-0,1
8,1
1,1
35,0
6,2
4,0
0,4
45,2
12,6
5,7
25,2
4,8
5,4
1,1
45,3
Gruppi di interesse pubblico
Gruppi identitari
Gruppi imprenditoriali
Gruppi istituzionali
Gruppi professionali
Gruppi religiosi
Sindacati
Visibilità Visibilità PNRR Differenza
10
assai maggiore, vista soprattutto la forte impronta green che, secondo le linee guida della stessa Com-
missione europea, anima l’intero pacchetto del NGEU.
Se, in secondo luogo, andiamo ad analizzare i dati sulla visibilità mediatica legata al PNRR
scomponendo l’analisi sui 150 singoli gruppi di interesse più citati (Figura 3), non solo si conferma
questa preminenza, ma emerge un elemento ancora più interessante, soprattutto se letto alla luce
dell’atavico dibattito tra pluralisti (o neo-pluralisti) e (neo)corporativisti, cioè tra coloro che giudi-
cano il sistema competitivo degli interessi (a livello istituzionale, ma anche a livello mediatico, come
in questo caso) più aperto e plurale (pluralisti) o più chiuso e ristretto a pochi insider (neo-corporati-
visti). Più del 50% del totale della visibilità mediatica sul PNRR è appannaggio, infatti, di soli quattro
gruppi (su 150!), vale a dire, in ordine decrescente, Confindustria, CGIL, CISL e UIL, con i primi
due che da soli arrivano a più del 35% del totale. Per raggiungere il 60% della visibilità è sufficiente
aggiungere il quinto gruppo più citato, l’ANCI. I gruppi di interesse pubblico (come Legambiente,
WWF e Greenpeace) appaiono ancora una volta marginali nella discussione.
Figura 3. La visibilità mediatica dei gruppi di interesse in relazione al PNRR (01.09.2020 30.04.2021): concentrazione
delle citazioni sul quotidiano «la Repubblica»
In definitiva, lungi dall’essere una celebrazione di vibrante pluralismo e di confronto aperto
tra gli innumerevoli interessi del Paese, il dibattito pubblico sul PNRR per lo meno per quanto
concerne gli articoli pubblicati su la Repubblica emerge qui come appannaggio di pochi e specifici
grandi attori. Se l’ottenimento di visibilità mediatica è spesso pre-condizione necessaria all’esercizio
11
di influenza sul processo di policy (Binderkrantz 2012), il prosieguo della nostra indagine empirica
dovrebbe evidenziare forti differenze tra gruppi economici (associazioni imprenditoriali e grandi sin-
dacati confederali, soprattutto), da un lato, e di interesse pubblico, dall’altro, coi primi in posizione
di evidente vantaggio.
5. I gruppi di interesse e il PNRR: le dichiarazioni pubbliche
La prima questione che qui affrontiamo è quella legata alle dimensioni principali del PNRR cui i
gruppi di interesse si sono rivolti nella loro azione di lobbying. Sono state quindi prese in esame le
formule definitorie dei problemi e temi generali, classificando le dichiarazioni pubbliche a seconda
che si rivolgessero: a) agli aspetti legati alla governance del piano (modalità di consultazione e par-
tecipazione delle organizzazioni al processo decisionale e linee guida per la gestione dei progetti di
investimento del PNRR); b) a considerazioni generiche su obiettivi, potenzialità e limiti del piano; c)
alla definizione di temi e priorità specifici intorno alle quali strutturare il piano stesso.
Tabella 1 I più importanti gruppi di interesse e il dibattito sul PNRR: tipo di dichiarazione (01.09.2020 30.04.2021)
Dichiarazione governance
Dichiarazione generica
Dichiarazione specifica
N
%
N
%
N
%
1
9,1
2
18,2
8
72,7
9
11,7
5
6,5
63
81,8
6
10,7
1
1,8
49
87,5
13
31,7
3
7,3
25
61,0
1
33,3
0
0,0
2
66,7
52
22,6
9
3,9
169
73,5
62
35,0
21
11,9
94
53,1
2
4,3
3
6,5
41
89,1
4
10,8
3
8,1
30
81,1
10
6,3
7
4,4
141
89,2
22
32,8
10
14,9
35
52,2
4
7,8
8
15,7
39
76,5
44
25,7
31
18,1
96
56,1
0
/
0
/
0
/
15
9,1
10
6,1
139
84,8
18
8,1
14
6,3
190
85,6
6
35,3
3
17,6
8
47,1
40
32,3
4
3,2
80
64,5
0
0,0
2
18,2
9
81,8
4
3,8
11
10,5
90
85,7
313
17,7
147
8,3
1308
74,0
12
La Tabella 1 mostra alcune caratteristiche generali della proiezione pubblica dei soggetti esa-
minati. In primo luogo, prevalgono di gran lunga dichiarazioni relative a temi specifici (il 74%),
mentre fra le rimanenti emergono quelle sulla governance del piano (17,7%). La scarsa presenza di
affermazioni generiche (8,3%) conferma la generale tendenza da parte dei gruppi di interesse a spe-
cializzarsi in ben definiti ambiti di policy.
L’attivismo dei gruppi di interesse nel dibattito sul PNRR risulta assai variegato. Da una parte,
fra i gruppi meno coinvolti nel dibattito pubblico troviamo le principali associazioni del panorama
finanziario italiano (ABI e ANIA) e, fra le organizzazioni non governative, Emergency, rimasta del
tutto silente sul Recovery Fund. Dall’altra, fra i gruppi che si sono espressi con maggiore frequenza
troviamo i sindacati confederali (con la CGIL in prima fila) e le principali associazioni imprenditoriali
(Confindustria e Confartigianato), in linea con la loro elevata visibilità mediatica (cfr. sezione prece-
dente), con l’aggiunta delle tre maggiori associazioni ambientaliste (con Legambiente in testa).
Figura 4. Il dibattito sul PNRR (01.09.2020 30.04.2021): tipo di dichiarazione (%) per tipo di gruppo
Se ci concentriamo sulle prese di posizione pubbliche inerenti alla governance del piano, non-
ché sulla distinzione tra dichiarazioni generiche e specifiche, per tipologia di gruppo (Figura 4), no-
tiamo che le organizzazioni sindacali hanno insistito più delle altre nel chiedere al governo un coin-
volgimento sistematico nel processo di costruzione e implementazione del piano. Un dato che non
stupisce, visto il ruolo di insider che tali interessi organizzati hanno a lungo rivestito all’interno del
sistema degli interessi italiano (Pritoni 2018).
Quali, invece, le questioni di policy emerse con più frequenza nelle dichiarazioni pubbliche
dei gruppi di interesse? Suddividendo i temi prioritari secondo le 16 componenti della bozza del go-
verno Conte (Figura 5), osserviamo che a spiccare sono le questioni relative alle energie rinnovabili
e mobilità sostenibile (2.2), seguite dall’agricoltura sostenibile ed economia circolare (2.1) e dalle
17,2
7,5
29,2
15,7
6,9
7,1
6,8
10,7
75,9
85,3
64,1
73,5
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0 100,0
Altri tipi di gruppo
Gruppi di interesse pubblico
Sindacati
Gruppi imprenditoriali
Governance Generica Specifica
13
politiche per il lavoro (5.1). La centralità dei temi ambientali riflette l’attivismo delle organizzazioni
ecologiste, unitamente all’attenzione di sindacati e gruppi imprenditoriali sui temi della transizione
verde (Intervista CGIL; Intervista Confartigianato). Non è un caso, quindi, che fra i temi più discussi
dalle organizzazioni considerate emergano quelli legati alla cura del territorio e delle risorse idriche
(componente 2.4) e alla riqualificazione edilizia ed efficientamento energetico (2.3), tema chiave per
l’ANCE (Intervista ANCE). A questi si affiancano le priorità indicate in particolare da imprenditori
e sindacati sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione e del settore privato (1.1 e 1.2), sulle
politiche per il lavoro (tema prioritario per le organizzazioni sindacali) e sul rafforzamento delle com-
petenze e diritto allo studio (4.1). Al contrario, i temi meno discussi dai gruppi in analisi si riferiscono
all’alta velocità e manutenzione stradale (3.1), alle misure destinate al raccordo tra la ricerca e le
imprese (4.2), agli interventi sulla socialità e il terzo settore (5.2) e a quelli sull’assistenza di prossi-
mità e la telemedicina (6.1).
Figura 5. Priorità dei gruppi di interesse e allocazione del budget nel PNRR (Bozza Conte e Piano Draghi): corrispon-
denza?
Note: 1.1 Digitalizzazione e modernizzazione della PA; 1.2 Innovazione e digitalizzazione delle imprese; 1.3 At-
trattività del sistema turistico e culturale; 2.1 Agricoltura sostenibile ed economia circolare; 2.2 Energia rinnovabile
e mobilità sostenibile; 2.3 Efficienza energetica e riqualificazione edilizia; 2.4 Tutela del territorio e delle risorse
idriche; 3.1 Alta velocità e manutenzione stradale; 3.2 Intermodalità e logistica integrata; 4.1 Potenziamento com-
petenze e diritto allo studio; 4.2 Ricerca e imprese; 5.1 Politiche per il lavoro; 5.2 Socialità e terzo settore; 5.3
Coesione territoriale; 6.1 Assistenza di prossimità e telemedicina; 6.2 Assistenza sanitaria
L’individuazione dei temi prioritari per i gruppi di interesse ci permette di analizzare quanta
corrispondenza vi sia fra questi, da un lato, e la ripartizione del budget nelle diverse componenti del
PNRR, dall’altro. I temi su cui le principali organizzazioni del Paese si sono spese di più a livello
1.1 1.2 1.3
2.1
2.2
2.3
2.4
3.1
3.2
4.1
4.2
5.1
5.2
5.3
6.1 6.2
Attenzione
gruppi
Budget %
Conte
1.1 1.2 1.3
2.1
2.2
2.3
2.4
3.1
3.2
4.1
4.2
5.1
5.2
5.3
6.1 6.2
Attenzione
gruppi
Budget %
Draghi
14
comunicativo sono anche quelli cui sono state destinate maggiori risorse? Nel complesso, tale corri-
spondenza appare per lo meno problematica, sia nella bozza di piano del secondo governo Conte, sia
nel testo definitivo del PNRR.
Nel caso della Bozza Conte, una qualche corrispondenza fra le priorità dei gruppi di interesse
e l’allocazione delle risorse può registrarsi solo sulle componenti dedicate alla tutela del territorio
(2.4) e alla formazione (4.1). Al contrario, il perimetro delle priorità tracciate dai gruppi sui temi
ambientali (componenti 2.1 e 2.2) appare più ampio di quello derivato dalla ripartizione del budget.
In maniera simile, anche i temi del lavoro, al centro degli sforzi sindacali, non hanno ricevuto un
ammontare di risorse corrispondente alla loro importanza nella sfera mediatica. Al contrario, il go-
verno Conte ha dato priorità agli interventi per la riqualificazione edilizia e l’efficientamento energe-
tico, con una quota pari al 47% delle risorse dedicate all’intera missione 2. A beneficiare della ripar-
tizione prevista dalla Bozza Conte è stata la componente su innovazione e digitalizzazione per le
imprese, tema su cui avevano insistito le associazioni imprenditoriali (Intervista Confartigianato).
Infine, appare significativo il dato relativo alle misure sull’alta velocità e la manutenzione delle strade
(3.1): un tema marginale per i gruppi di interesse e che ha invece rappresentato la terza singola com-
ponente più finanziata nel PNRR di gennaio.
Dinamiche simili sono riscontrabili nel Piano Draghi. Ancora una volta, il tema che coinvolge
più degli altri i principali gruppi di interesse nazionali è quello delle energie rinnovabili e mobili
sostenibile (2.2). A seguire, troviamo i temi già battuti dai gruppi di interesse pubblico e dai sindacati,
fra cui l’agricoltura sostenibile, l’economia circolare e la tutela del territorio, insieme alle priorità
sull’innovazione nel settore pubblico (1.1) e alle politiche del lavoro (5.1). Si tratta, a ben vedere,
delle stesse priorità (1.1, 2.1, 2.2, 2.4, 5.1) che però hanno trovato la minore corrispondenza con la
ripartizione del budget nel testo finale del PNRR. Di contro, fra le componenti maggiormente finan-
ziate troviamo quelle più marginali nel discorso pubblico dei gruppi di interesse fra gennaio e aprile
2021, quali, ancora, l’alta velocità (3.1), la formazione (4.1), l’assistenza sanitaria (6.2) e l’innova-
zione delle imprese (1.2).
Se, però, consideriamo le componenti più finanziate in rapporto ai temi prioritari per i diversi
tipi di gruppo, va notato che sull’innovazione delle imprese avevano spinto con forza proprio le or-
ganizzazioni imprenditoriali. Allo stesso modo, tanto la riqualificazione edilizia quanto l’efficienta-
mento energetico (2.3) sono stati al centro delle preoccupazioni dei rappresentanti del mondo impren-
ditoriale, in particolare per l’industria edilizia, ma anche degli ambientalisti. La misura al centro di
questa componente ha riguardato il cosiddetto «superbonus» al 110% per l’efficientamento energe-
tico degli edifici, «frutto di un’iniziativa proposta dall’ANCE fin dall’estate del 2019» (Intervista
ANCE), inserito come elemento chiave della missione 2 già nella Bozza Conte. Sul superbonus era
15
emersa un’ampia convergenza fra l’industria, la CGIL e Legambiente, anche se per gli ultimi due
soggetti il provvedimento avrebbe dovuto essere riformulato per non penalizzare i gruppi sociali a
basso reddito (Intervista Legambiente). Sul versante della formazione e diritto allo studio, vi era stata
d’altra parte un’attenzione rilevante sia da parte dei sindacati, e principalmente della CGIL, sia da
parte del mondo imprenditoriale.
Quello dell’alta velocità e manutenzione stradale (3.1) è stato invece un capitolo marginale e
che ha per lo più attirato le critiche delle organizzazioni ambientaliste, che avrebbero voluto maggiori
risorse per il trasporto locale (Intervista Legambiente; Intervista Greenpeace Italia).
Le energie rinnovabili e la mobilità sostenibile sono invece i due pilastri della componente
che ha ricevuto più attenzione dalle organizzazioni esaminate (227 dichiarazioni totali), con una pre-
ponderanza dei gruppi ecologisti (il 75% delle dichiarazioni). Nonostante le risorse stanziate su que-
sto capitolo, nel piano finale, siano cresciute rispetto alla Bozza Conte, tutti i rappresentanti dei gruppi
intervistati sono concordi nel ritenerle insoddisfacenti. Per Legambiente, ad esempio, l’approccio del
governo rivela una «mancanza di strategia complessiva per il raggiungimento degli obiettivi di neu-
tralità climatica» (Intervista Legambiente). Un giudizio ancor più severo è stato dato da Greenpeace
Italia, che denuncia esplicitamente l’influenza prominente avuta dalle partecipate di Stato nel settore
energetico, dall’industria automobilistica e dalla Coldiretti nelle misure sulla transizione energetica
(Intervista Greenpeace Italia), particolarmente sullo sviluppo dell’idrogeno blu, del gas naturale e del
biometano (quest’ultimo un tema chiave per Coldiretti: Intervista Coldiretti). L’organizzazione am-
bientalista aveva più volte denunciato l’inclusione nel PNRR del progetto di impianto ENI di cattura
e stoccaggio della CO2 a Ravenna. Preoccupazioni che rimangono anche con il testo finale, visto che
«le forti aperture alle tecnologie per l’idrogeno blu e per il gas contenuti nel PNRR fanno temere un
futuro sviluppo di simili progetti promossi da ENI» (Intervista Greenpeace Italia).
Nel complesso, quanto di tutto ciò sin qui ricordato configura una maggiore o minore corri-
spondenza tra priorità dei gruppi di interesse e contenuto di policy del PNRR? Per rispondere a tale
quesito, occorre soffermarsi sulla Tabella 2, in cui possiamo osservare il grado di corrispondenza tra
le agende avanzate dagli interessi organizzati, differenziate per tipo di gruppo, e l’agenda di policy
(operazionalizzata attraverso la suddivisione del budget complessivo nelle varie componenti) tanto
nella Bozza Conte, quanto nel Piano Draghi.
In relazione ad entrambe le formulazioni del PNRR, la corrispondenza è maggiore per
l’agenda promossa dai gruppi imprenditoriali. Al contrario, le organizzazioni ambientaliste sono
quelle i cui temi specifici hanno trovato minore corrispondenza con la quota di budget previsto. Non
soltanto, dunque, imprenditori e sindacati si sono spartiti la gran parte della visibilità mediatica legata
al Recovery Fund (cfr. sezione 4): anche in riferimento ai temi trattati, le agende portate avanti dagli
16
attori per così dire tradizionali del sistema degli interessi risultano maggiormente centrali rispetto a
quelle dei gruppi di interesse pubblico e altri tipi di gruppo, così confermando le aspettative teoriche
(Binderkrantz 2012; Aizenberg e Hanegraaff 2020). Si tratta, tuttavia, di valori che non configurano
una forte corrispondenza per nessun tipo di gruppo, e dunque nemmeno per le associazioni impren-
ditoriali.
Tabella 2. Corrispondenza tra le priorità dei gruppi di interesse e l’allocazione del budget relativa a ciascuna compo-
nente (Bozza Conte e Piano Draghi)
Tipo di gruppo
Corrispondenza
con la Bozza Conte
Corrispondenza con
il Piano Draghi
Gruppi imprenditoriali
88,42
85,30
Sindacati
82,46
75,49
Gruppi di interesse pubblico
61,49
69,29
Altri tipi di gruppo
66,05
67,63
Totale (tutti i 20 gruppi di interesse)
85,89
84,67
Note: Corrispondenza individuata tramite l’Indice di Gallagher (0-100) = 100-(1
2∑ (xiyi)2
n
i=1 ). Tale indice è solita-
mente utilizzato dagli studiosi dei sistemi elettorali per verificarne la proporzionalità. È tuttavia utile ogniqualvolta si
vogliano comparare due distribuzioni percentuali.
A riprova di tale limitata corrispondenza di agende e, più in generale, di un non eccessivo
apprezzamento per i contenuti del Piano (in entrambe le sue formulazioni), diversi gruppi hanno posto
in evidenza la centralità del capitolo dedicato alle cosiddette «riforme abilitanti», sollevando più di
una perplessità. Per le organizzazioni imprenditoriali intervistate, la preoccupazione primaria è pro-
prio la «sostenibilità amministrativa del PNRR» (Intervista Confartigianato), da realizzarsi in tempi
brevi attraverso lo «snellimento sostanziale della burocrazia, in particolare sul codice degli appalti»,
e una «riforma della concorrenza che rimetta al centro la trasparenza e il libero mercato» (Intervista
ANCE). Proprio su queste riforme si è espressa criticamente anche la CGIL, secondo cui «l’azione
del governo risulta improntata a una vecchia e fallimentare logica che vede nel libero mercato la
soluzione» (Intervista CGIL).
Se sui contenuti e sulle singole misure del PNRR i giudizi dei diversi gruppi non sono quasi
mai tranchant, al contrario sulla governance del piano il punto di vista è netto e ampiamente trasver-
sale. Tanto le dichiarazioni rilasciate prima e dopo la presentazione del testo definitivo, quanto le
risposte in sede di intervista, sono concordi nel lamentare una governance del piano non trasparente
e, nel complesso, assolutamente insoddisfacente (Figura 6). Sul punto, le associazioni maggiormente
critiche sono quelle ambientaliste (89,2% di dichiarazioni contrarie), all’interno di un quadro generale
17
in cui, più o meno, quattro dichiarazioni pubbliche su cinque esprimono biasimo in relazione al (man-
cato) coinvolgimento degli interessi organizzati nella formulazione e successiva gestione di interventi
e fondi. Le uniche eccezioni a tale tendenza sono rappresentate da ANCI e Coldiretti, le cui tradizio-
nali posizioni di insiders hanno probabilmente consentito un’interlocuzione più continuativa (e, forse,
più proficua) con gli estensori del PNRR.
Figura 6. Posizioni espresse sulla governance del PNRR (01.09.2020 30.04.2021): dichiarazione (%) per tipo di gruppo
Note: il totale delle due percentuali mostrate non fa 100 perché in alcuni casi è risultato impossibile attribuire una chiara
posizione favorevole o contraria, da parte dei gruppi di interesse, alla governance del Piano.
Più nel dettaglio, i momenti istituzionali di dialogo, come le audizioni parlamentari e quelle
volute da Draghi in quanto premier incaricato, sono state «certamente importanti», ma «comunque
insoddisfacenti a delineare un vero percorso di confronto» (Intervista ANCE). I sindacati, come ab-
biamo già ricordato, sono quelli che più di tutti hanno denunciato l’assenza di un «dialogo puntuale
sui progetti» (Intervista CGIL) e la necessità di una cabina di regia ad hoc con le parti sociali (Inter-
vista UIL). Sulla mancanza di trasparenza relativa al dettaglio delle misure e interventi del PNRR si
è inoltre soffermata Confartigianato, secondo cui «mentre in altri Paesi europei le organizzazioni si
sono potute confrontare nel merito dei progetti, in Italia sono rimasti nei cassetti e poi spediti diret-
tamente a Bruxelles» (Intervista Confartigianato). Anche per Legambiente, la «mancanza di schede
progettuali non ha consentito alle organizzazioni e alla cittadinanza di poter valutare effettivamente
i contenuti del PNRR e il suo impatto, a cominciare da quello ambientale» (Intervista Legambiente).
16,0
46,7
10,8
14,4
15,8
80,5
40,0
89,2
81,9
81,2
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Totale (tutti i 20 gruppi)
Altri tipi di gruppo
Gruppi di interesse pubblico
Sindacati
Gruppi imprenditoriali
Favorevoli Contrari
18
6. I gruppi di interesse italiani e il PNRR: chi ha vinto e chi ha perso?
«The flaw in the pluralist heaven is that the heavenly chorus sings with a strong upper-class accent».
Ormai svariati decenni orsono, il grande studioso dei gruppi di interesse Elmer Eric Schattschneider
(1960, p. 35) criticava, con una certa dose di ironia, gli slanci normativi degli studiosi pluralisti, per
i quali il sistema degli interessi americano era connotato da una grande competizione e da un conse-
guente forte equilibrio tra interessi divergenti. Non era così, e decenni di ricerca empirica successiva,
non soltanto in riferimento al contesto statunitense, lo avrebbero dimostrato.
Il quadro che abbiamo tratteggiato con questo nostro contributo non pare discostarsi molto da
tale tendenza: il sistema degli interessi italiano per lo meno in riferimento alla mobilitazione sul
PNRR è apparso decisamente squilibrato. Lo possiamo sostenere da (almeno) due punti di vista: a)
in riferimento all’arena mediatica, dominata da sindacati e associazioni imprenditoriali a discapito di
tutti gli altri tipi di gruppo; b) relativamente alle priorità di policy avanzate, con una maggiore corri-
spondenza tra agenda decisionale del governo (sia il secondo esecutivo a guida Conte, sia l’attuale a
guida Draghi) e agende degli attori tradizionali (nuovamente, imprenditori e sindacati confederali), a
fronte di un ruolo ben più marginale giocato dalle associazioni ambientaliste, pur in relazione ad un
piano che almeno nelle intenzioni avrebbe dovuto destinare grande attenzione (e molti fondi) alla
transizione ecologica.
Attenzione, però, a trarne la conclusione che sul contenuto di policy del PNRR imprenditori e
sindacati hanno esercitato una forte influenza. Le lamentele diffuse e trasversali sul mancato
coinvolgimento in sede di individuazione di priorità, interventi e riforme, nonché la comunque limi-
tata corrispondenza tra agenda del governo e agenda dei gruppi in relazione a ogni tipo di interesse,
ci raccontano infatti di un processo decisionale molto vicino a ciò che in passato è stato descritto nei
termini della disintermediazione (Lizzi e Pritoni 2019) e, addirittura, della unmediated democracy
(Culpepper 2014). Da un lato, le consultazioni istituzionali portate avanti attraverso la procedura delle
audizioni parlamentari (lobbying diretto) si sono rivelate, per lo meno nelle dichiarazioni dei dirigenti
che siamo riusciti ad intervistare, poco più che ritualistiche. Dall’altro, proprio quei gruppi che più di
tutti hanno puntato sul lobbying indiretto le associazioni ambientaliste risultano essere i veri vinti
della «partita» sul Recovery Fund.
Ad ogni modo, non ce ne dobbiamo eccessivamente sorprendere. Come è noto (Klüver et al.
2015; Pritoni 2021), il lobbying è probabilmente l’attività più contestuale che esista. I gruppi di inte-
resse (e i loro lobbisti, sia interni che esterni) si adeguano al mutevole contesto politico, mediatico e
istituzionale per insinuarsi negli interstizi che (talvolta) si producono e, così, cercare di ottenere ri-
sultati di policy. Il contesto legato alla scrittura del PNRR non si è dimostrato particolarmente favo-
revole all’azione dei gruppi, principalmente per tre ragioni: in primo luogo, per i tempi stretti che ne
19
hanno scandito il processo decisionale. In pochi mesi, il governo italiano è stato infatti chiamato a
mettere a punto un piano di riforme da alcune centinaia di miliardi di euro, dislocate lungo un arco
temporale di cinque anni e riguardanti sostanzialmente tutti (o quasi) gli ambiti di policy. Se è vero
che una delle caratteristiche principali dei gruppi di interesse è proprio quella resilienza più volte
richiamata nel piano stesso (Lizzi e Pritoni 2019), è dunque nel lungo periodo, più che nella sola fase
di agenda, che il ruolo degli interessi organizzati potrà crescere di intensità e di rilevanza.
In secondo luogo, su quel medesimo piano è sempre stato piuttosto marcato il controllo eser-
citato dalle istituzioni sovranazionali, così restringendo ulteriormente lo spazio di manovra a dispo-
sizione degli attori della società civile. Sia il secondo governo Conte, sia soprattutto l’esecutivo di
Mario Draghi, hanno individuato quali interlocutori principali gli attori europei, più che quelli dome-
stici.
Infine, proprio il cambio di governo ha rappresentato un ulteriore elemento di freno all’in-
fluenza esercitabile dai gruppi di interesse sulla definizione del PNRR. È noto, infatti, che i margini
a disposizione di gruppi e lobbisti si amplino in caso di governi dalla limitata capacità decisionale
(Pritoni 2018), laddove si restringano altrimenti. Non v’è dubbio, sul punto, che il secondo governo
Conte per lo meno nei suoi ultimi mesi tutto fosse meno che un esecutivo forte e coeso (Giovannini
e Mosca 2021). Al contrario, Mario Draghi è stato chiamato a Palazzo Chigi espressamente per ri-
scrivere il PNRR, sulla base di una expertise e di una autorevolezza che l’intero mondo politico (e
socio-economico) gli riconosceva. Quello che è stato inviato alle istituzioni europee all’inizio di mag-
gio è un piano abbondantemente politico, scritto dalla politica, non dagli interessi organizzati.
Ci sono, ovviamente, alcuni elementi di cautela. In alcuni casi, infatti, l’azione dei gruppi di
interesse è risultata decisiva per l’approvazione (o la mancata approvazione) di alcune misure. Ci
riferiamo, ad esempio, alla questione dell’impianto di stoccaggio di CO2 a Ravenna, avversata dagli
ambientalisti e, in effetti, non inserita in alcuna versione del piano, o al superbonus al 110% per
l’efficientamento energetico degli edifici, su cui si è verificata ampia convergenza di interessi e po-
sizioni da parte degli stessi ambientalisti, piccole e medie imprese e sindacati.
Un ulteriore elemento da richiamare, già in una qualche misura accennato, attiene al punto di
vista necessariamente parziale che contraddistingue questo lavoro. Come detto, in questo contri-
buto ci siamo soffermati sulla sola fase di agenda, cosci che è proprio in questa fase che i gruppi
concentrano buona parte della propria azione di lobbying (Capano e Pritoni 2020); sarà però soprat-
tutto l’implementazione del PNRR, nel corso dei prossimi anni, a fornire le più importanti occasioni
di influenza a un buon numero di interessi organizzati. Si tratterà, infatti, di dare piena attuazione ad
un numero impressionante di misure, molte delle quali necessiteranno inevitabilmente del coinvolgi-
20
mento e della partecipazione degli interessi cui sono rivolte. Per i gruppi di interesse italiani, le chan-
ces di influire sull’individuazione delle priorità inserite nel PNRR sono state piuttosto limitate. Que-
sto, tuttavia, non vuol dire che non ve ne saranno di altre e di migliori in futuro. La sfida della «resil-
ienza» è appena stata lanciata.
21
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Academics are often accused of being secluded in their "ivory towers", focused on research and teaching but uninterested in, or unable to engage with, the public debate. If this is actually the case, under what conditions and at what particular moment is this likely to change? Following on three relevant dimensions-the visibility of political scientists, their partisanship and their impact in the public sphere-and combining press analysis with original survey data, this article has two main aims: first, to assess Italian political scientists' (IPSs) social relevance in a period of huge political and institutional conflict such as the constitutional referendum held in December 2016; second, to explore the potential factors leading IPSs to be more or less present in the public debate. For the former, we focus on the public visibility of IPSs during the referendum campaign, as well as on the content of their public interventions, both concerning their neutral/partisan stance and their attitudes towards the constitutional reform. For the latter, we empirically test a few personal and institutional factors that are likely to influence individuals' participation in the referendum debate.
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ABSTACT Drawing on the concept of critical juncture, in this article we argue that the scale and impact of an ‘extraordinary’ event such as the Covid-19 pandemic cannot be understood in full without acknowledging the pre-existing conditions of a country and its path-dependent trajectory. Against this background, we first assess the institutional legacy of the Covid-19 crisis in Italy, analysing the evolution of political dynamics within the coalition government that led the country in 2020, as well as the governance capacity and legitimacy of the main political actors involved in the management of the pandemic. Second, to shed further light on how Covid-19 has impacted on the institutional dimension, we look at multilevel governance and the relationship between central and regional governments during the pandemic. We argue that the sudden and long-lasting ‘shock’ prompted by Covid-19 has disrupted the already fragile equilibria of the Italian system, impacting in a most profound way on its politics, institutions and society. And yet, while in the short term, the critical juncture of Covid-19 opened the way to new, unexpected changes, towards the end of the year pre-existing, systemic conditions prevailed.
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Nonostante un processo decisionale sempre più frammentato e mutevole, che sembrerebbe vincolare i governi a rispondere velocemente (e, spesso, unilateralmente) alle sfide poste dalla quotidianità, la maggior parte delle politiche approvate nelle democrazie contemporanee registra il fattivo coinvolgimento dei gruppi di interesse, abili a premere sui decisori pubblici e, per il tramite di ciò, ottenere risultati di policy. Come si spiega questo (apparente) paradosso? E che effetti ha sul funzionamento della democrazia nel suo complesso? Il testo risponde a tali importanti quesiti attraverso la sistematica ricognizione della più recente letteratura sull’argomento – dai concetti fondamentali agli approcci teorici, dalle modalità del lobbying alle relazioni tra gruppi e partiti, dall’accesso alle sedi istituzionali all’influenza sul processo di policy – gettando nuova luce su un tema classico della riflessione politologica.
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This paper evaluates the circumstances under which affluent interest groups wield influence over policy outcomes. Interest group scholarship is ambiguous about the beneficial role of economic resources for lobbying influence. Economically resourceful groups are often presumed to provide more and better expert information to decision-makers and, in exchange, receive more favourable policy concessions. We argue that the beneficial role of economic resources is contingent on the media salience of policy dossiers. We expect that resourceful groups are more influential when issues are discussed behind the public scenes, while their competitive advantage dampens once issues grow salient in the news media. We test our expectations in the context of European Union policymaking, drawing from 183 expert surveys with lobbyists connected to a sample of 41 policy issues. Our empirical findings demonstrate that economic resources matter for lobbying influence, but that their effect is conditional on the media salience of policy issues.
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This article examines the roles of the media in the process of political agenda setting. There is a long tradition of studies on this topic, but they have mostly focused on legacy news media, thus overlooking the role of other actors and the complex hybrid dynamics that characterize contemporary political communication. In contrast, through an in-depth case study using mixed-methods and multiplatform data, this article provides a detailed analysis of the roles and interactions between different types of media and how they were used by political and advocacy elites. It explores what happened in the different parts of the system, and thus the paths to attention that led to setting this issue in the political and media agendas. The analysis of the case, a partial policy reversal in the United Kingdom provoked by an immigration scandal known as the “Windrush scandal” reveals that the issue was pushed into the agenda by a campaign assemblage of investigative journalism, political and advocacy elites, and digitally enabled leaders. The legacy news media came late but were crucial. They greatly amplified the salience of the issue and, once in “storm mode,” they were key for sustaining attention and pressure, eventually compelling the government to respond. It shows that they often remain at the core of the “national conversation” and certainly in the eye of a media storm. In the contemporary context, characterized by fierce battles for attention, shortening attention spans and fractured audiences, this is key and has important implications for agenda setting and beyond.
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This paper analyses the presence of interest organizations in political news in the United Kingdom and the Netherlands between 1990 and 2017. Previous research on organized interests in the media revealed (1) a consistent overrepresentation of business interests across countries, but (2) also that this overrepresentation has decreased over time in a European context. However, these studies are snapshots of interest group patterns with either crosscountry or longitudinal variation, and important players such as corporations have been largely excluded by European scholars. We argue that including corporations affects previous conclusions as it reveals substantial differences across countries and an increasing role of business interests in the news. We use a data set of Dutch and British news articles, in which we identified 34,657 interest organizations. This endeavor highlights that the distribution of organized interests in the media is skewed toward business interests and has not become more diverse. This suggests that the important insider role of business interests translates to outsider venues, which tells us something about how the news media maintain these patterns through the construction of news stories. These findings interfere with ideas of representativeness and flourishing democracies with a diverse public debate in which many different voices are expressed.
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This special issue is concerned with the study of interest groups in Italy, focusing on their roles in policy-making and on how lobbying varies throughout the policy cycle. This introductory essay illustrates the common analytical framework followed by all contributions to the special issue, which reconstruct five policy processes in the period of the so-called disintermediation (Renzi cabinet 2015-2016) between policymakers and interest groups in Italy. It combines politics and policy factors using the policy cycle as the main tool of analysis. The contingency of configurations in the interplay between cabinets and interest groups emerges as a common and dynamic trend: groups are resilient and able to adapt to the uncertainty and variability of the policy context, while cabinets – during their life cycles – need the resources of groups throughout the policy cycle.
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The article is a theoretical and semantic analysis of the concept of Public Interest. It starts with a focus on the ambiguity of the concepts of interest and public, whose different interpretations directly impact the understanding of the expression “Public Interest.” An examination follows of the most important contributions in the literature on the idea of Public Interest. A distinction is then drawn between the concept and different conceptions of it. In particular, I propose a typology of five ideal–typical conceptions of the Public Interest: formal, substantive, realist, aggregative, and procedural. For each conception, I highlight the constitutive elements and the relevant consequences in their respective visions of democracy and of lobbying. Some expectations are finally advanced on the uses of the various conceptions in actual policymaking contexts.
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What type of information helps interest advocates get their way? While it is widely acknowledged in the academic literature that information provision is a key aspect of lobbying, few scholars have directly tested the effect of information on lobbying success. Policymakers need information both on technical aspects and public preferences to anticipate the effectiveness of a policy proposal and electoral consequences. However, scholars have found that interest groups predominantly provide the former rather than the latter, which suggests that technical information is seen as more efficient. The paper argues that lobbying success is not solely a function of the provision of any information but of the specific type of information and its composition. It furthermore argues that the relevance of different information types for lobbying success depends on issue characteristics such as public opinion, salience or complexity. Relying on new original data of advocacy activity on 50 specific policy issues in five West European countries, the paper highlights that the provision of expert information increases the likelihood of lobbying success, while the effect of information about public preferences is, if anything, negative. The study ultimately contributes to our understanding of informational lobbying, interest representation and interest group influence.
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In their pursuit of political influence, interest groups face the choice to contact policy elites directly or to generate pressure indirectly by appealing to the public at large. This article examines whether interest groups should prioritize inside or outside lobbying tactics in order to materialize their policy objectives, with a specific focus on European Union legislative policymaking. This article demonstrates that outside lobbying is not inherently more or less successful than inside lobbying; rather, the effect of inside or outside lobbying is conditional on the extent to which additional lobbying tactics are adopted and on the type of policy issues a lobbyist seeks to influence. The empirical approach of this article consists of an extensive media analysis and over 200 interviews with policy practitioners active on 78 policy proposals. The results indicate that outside lobbying leads to policy success when the lobbyist’s policy position enjoys popular endorsement within media debates and when the lobbyist engages in a coalition with other organized interests.