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© 2020 overview editore
overview editore, via G. Pascoli 1/A, Padova
www.overvieweditore.com
info@overvieweditore.com
ISBN 9788898703173
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Collana Architettura/e – 1
L’immagine della città. Dall'Urbs Picta alla Padova Contemporanea
over view editore
Habitus – Progetto Città
con
Università Popolare
FAI – Delegazione di Padova
L’IMMAGINE DELLA CITTÀ
Dall’Urbs Picta alla Padova Contemporanea
a cura di Antonio Buggin
Crediti fotograci
Le immagini provengono dagli archivi dei rispettivi autori, eccetto:
Julian Adda: pagg. 110, 122 in alto, 123 in basso.
Matteo Danesin: pagg. 74, 81, 98, 106 in basso, 107 a destra.
GoogleMaps ©2019: pagg. 14, 15, 114, 116.
Marco Maffei (post produzione Caterina Santinello): pagg. 16, 20,
21 a destra, 22, 24, 25, 28, 29, 30, 32, 33 in alto, 34, 35, 38, 39.
Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo – Archivio
di Stato di Padova (n. 07/2020): pagg. 48, 50, 59, 61.
Loretta Scarabello: pagg. 23, 124 in alto.
In copertina:
I di copertina: foto di Matteo Danesin, Fulvio Pendini, La città del pensiero, 1952 .
IV di copertina: foto di Loretta Scarabello.
Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre
per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte
le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano
a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere.
Poi occorre saper semplicare, ridurre all’essenziale l’enorme
numero d’elementi che a ogni secondo la città mette sotto
gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti sparsi
in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma
d’una macchina, dal quale si possa capire come funziona.
Italo Calvino, Gli dei della città
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Sommario
10 Habitus Progetto Città, Fabio Amato
11 Prefazione, Fabrizio Magani
13 Introduzione, Antonio Buggin
14 I percorsi
16 Dalla pittura parietale alla pittura murale
Pier Luigi Fantelli
40 2. Dalla pittura all’ornamento della facciata
Loggia Amulea e Palazzo delle Debite
Marco Maei
74 3. Dall'ornamento alla composizione
Spazio pubblico e arti visive a Padova a metà Novecento
Enrico Pietrogrande
110 4. Dalla composizione alla Picta Civitas contemporanea
Antonio Buggin
126 Note biograche
Realizzato con il contributo del Comune di Padova
nell'ambito del progetto “La Città delle Idee”
Progetto a cura dall'Associazione Culturale Habitus – Progetto Città
Via Venezia, 92b, Padova
Info: habitusprogettocitta@gmail.com
In partenariato con il FAI Fondo Ambiente Italiano – Delegazione di Padova
e con l'Università Popolare di Padova
L’IMMAGINE DELLA CITTÀ
Dall’Urbs Picta alla Padova Contemporanea
a cura di Antonio Buggin
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Questo scritto è dedicato al prodotto della collaborazione tra architetti e artisti
che ancora si può riconoscere nello spazio pubblico del centro storico di Padova.
Vengono considerati manufatti complessi diusi in strade e piazze, in cui l’archi-
tettura si fonde con interventi di scultura e pittura. Tali elaborati corrispondono ad
un reale obbligo a suo tempo sentito sia da una committenza colta sia da architetti
interessati alla sperimentazione e innovativi nel campo dell’espressione dell’arte –
oltre che, ma questo è un altro aspetto, nell’ambito strutturale.
I limiti che si sono dati allo sviluppo dell’argomento sono il perimetro delle mura
veneziane che racchiudono il centro storico di Padova e il periodo del Novecento
compreso tra gli anni trenta e i sessanta, il più ricco di opere d’arte allestite nello
spazio pubblico della città ad integrazione degli interventi edilizi. All’interno di tali
limiti, si è scartato sia il criterio della distinzione per settori della città, sia quello
fondato sugli schemi tipologici, preferendo far riferimento alle vicende biograche
degli artisti, così da facilitare l’ordinamento di nuove future informazioni su episodi
oggi in molti casi assai poveri di documentazione. Poco si sa infatti di un apprez-
zabile numero di opere d’arte che segnano gli ambiti della città storica. Se le nostre
città possono anche essere interpretate – è stato scritto – come “musei dell’architet-
tura”, ma allora anche delle opere di scultura e pittura presenti nel contesto, è come
se molti dei manufatti visibili nell’esposizione fossero privi delle indicazioni che li
riconducono all’autore e al periodo di esecuzione.
Fulvio Pendini e Giulio Brunetta, Amleto Sartori e Quirino De Giorgio, Antonio
Morato e Francesco Mansutti sono alcune delle coppie di artisti e architetti dalla
Dall'ornamento alla composizione.
Spazio pubblico e arti visive a Padova a metà Novecento
Enrico Pietrogrande
Fulvio Pendini, La cit tà del pensiero, 1952.
Il dipinto si trova in via San Francesco,
sotto il portico del Bo, sede centrale
dell’Università di Padova.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
cui azione congiunta ha avuto origine la complessità di
molte opere che arricchiscono il tessuto cittadino. Pri-
ma della seconda guerra mondiale, e soprattutto nel pe-
riodo immediatamente successivo2, l’architettura dia-
loga in modo diretto con i cittadini, fruitori e passanti,
anche tramite la sua parte risolta con dipinti e/o rilievi.
Questa attitudine ad un pensiero che studia le arti in
modo unitario, dimostrato da committenza e architet-
ti, si protrae con continuità attraverso le vicende belli-
che e la caduta del fascismo: le gure degli artisti e degli
architetti sono infatti le stesse, impegnate in rapporti di
collaborazione che si intrecciano nonostante le posizio-
ni opposte assunte rispetto al regime fascista e gli eventi
drammatici avvenuti alla caduta di questo e durante la
guerra. Rapporti che appaiono, oggi, piuttosto dicili
da comprendere.
Sono principalmente gli anni cinquanta ad essere
considerati nelle pagine che seguono, la stagione in cui
la sintesi tra le arti si concretizza in risultati di qualità
ampiamente diusi nel contesto urbano3, al di là del li-
mite della cinta muraria assunto in questa occasione.
Fulvio Pendini
È la pittura di Fulvio Pendini, che sui muri di Pado-
va dipinge Padova, uno dei contributi più importanti
di questo racconto. Pendini era nato in città nel 1907
e aveva frequentato l’Istituto d’arte Pietro Selvatico di-
plomandosi Maestro d’arte nel 1923. Tra le sue prime
importanti collaborazioni rientra quella con Gio Ponti
nel 1938 per la Mostra della Vittoria alla Fiera Cam-
pionaria e tra il 1938 e il 1942 per la sistemazione del
palazzo centrale dell’Università.
La sua carriera ha una lunga durata, dagli anni trenta
alla scomparsa che avviene alla metà degli anni settan-
ta4. Dopo la guerra ha più volte rappresentato la città
sulle pareti dei palazzi. Con immagini dispiegate su
spazi pubblici particolarmente signicativi ha attuato
l’evoluzione delle sue visioni degli esordi, ingenue e fe-
stose, amplicando le suggestioni prodotte dalla parti-
colarità delle sue interpretazioni5. Nelle composizioni
Fulvio Pendini, Madonna con bambino e
santi in via Calfura a Padova, 1946. Stato
attuale.
policentriche di Pendini tutte le architetture che concorrono a denire la città han-
no eguale parte nella scena, partecipando all’insieme con la stessa dimensione, e
non secondo le leggi della prospettiva, sia quando vengono disposte in primo piano,
sia quando sono collocate in arretrato. La città prende forma nei più celebri monu-
menti, che emergono assemblati senza alcun reciproco vincolo prospettico in un
contesto di edici minori connotati da portici, nestre iterate e tetti rossi a falde.
Le forme acquistano consistenza dalla giustapposizione di campiture di colore che,
denite con l’esattezza della geometria, rendono i volumi leggeri.
Già le case e i monumenti di Padova fanno da sfondo ad una Madonna con bam-
bino e santi che Pendini dipinge, appena ultimata la guerra, sotto il portico di via
Calfura, una strada laterale di via Savonarola, fuori porta Molino. Una lapide mura-
ta a anco della rappresentazione sacra riferisce: «
. ».
Le sacre immagini si mostrano composte su un piano rialzato che domina un am-
pio spazio aperto, il Prato della Valle, delimitato dalle basiliche di Santa Giustina
e Sant’Antonio liberamente disposte. Figure a cavallo e una carrozza si muovono
davanti ad un allineamento di case porticate, mentre in lontananza la città è espres-
sa dal tetto, dalla cupola e dal campanile della chiesa di Santa Maria del Carmine e
dalla volta del Palazzo della Ragione. Sullo sfondo il prolo dei colli Euganei contro
il cielo raccorda la città al territorio.
Di pochi anni successivo è l’intervento pittorico compiuto da Pendini in via San
Francesco, costituto dalla decorazione della supercie corrispondente ad un salto
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
di altezza del percorso porticato che entro il blocco edi-
lizio della sede centrale dell’Università partecipa dello
svolgersi dell’antica strada. La decorazione era prevista
almeno dal 1940 quando era stato interpellato il pittore
Umberto Oppi, ma solo nel 1952, dopo la rinuncia di
questi e di altri artisti6, Pendini aveva potuto eseguire
su un tratto di muratura di 3,65 per 3,45 metri la visio-
ne panoramica di Padova che sulla base del commento
all’opera apparso ne Il Gazzettino del 3 febbraio 1953
verrà chiamata La Città del pensiero.
Il pittore inquadra Padova da ovest, rappresentando
in primo piano la città medioevale racchiusa dall’ac-
qua. In lontananza si riconoscono edici di varie epo-
che successive, come la mole tardo-settecentesca dell’o-
spedale di Domenico Cerato.
In questa ragurazione della città storica il quartiere
delle nuove facoltà universitarie scientiche si fa carico
della componente novecentesca: la sede della facoltà di
Fisica, quella di Chimica Farmaceutica, la Casa dello
studente – organismi architettonici attestati sul nuovo
asse di via Marzolo – sono le uniche testimonianze del
periodo di frenetica attività edilizia che si era concluso
con la guerra. Disegnate in alto a sinistra, vicino a via Portello e porta Ognissanti, le
sedi delle facoltà scientiche non potevano mancare nell’aresco pur non apparte-
nendo alla città antica, data l’identità della committenza.
Meno centrale in città ma anch’esso ecace sotto l’aspetto comunicativo è il Fir-
mamento con stelle con cui Pendini decora nel 1958 un nuovo complesso edilizio
innalzato sul lato nord di via Beato Pellegrino, un complesso di sei fabbricati pro-
gettati in parte dall’ingegner Raoul Pillepich e in parte dall’architetto Gino Rossi.
La presenza sullo spazio pubblico dell’intervento di Pendini si manifesta nel sot-
to del sottopasso che disimpegna presso il civico 100 una breve strada secondaria
tramite la quale si accede ai palazzi interni. Tra il sole e la luna, situati agli angoli
opposti del campo rettangolare decorato, nel gioco graco di pianeti e scie celesti
si staccano dal fondo le stelle a rilievo di colore rosso cupo. È, questa, la premessa
ad altri dipinti di Pendini che si trovano, nei vani di ingresso, in alcuni edici del
nuovo insediamento.
Agli anni sessanta appartengono altre opere che decorano la città e ne rappresen-
tano l’architettura. In critiche condizioni si trova la Veduta di Padova dipinta nel
1963 che con una certa attenzione si distingue sotto il portico di via Cavour. Domi-
nano la composizione due draghi alati e ammeggianti che volteggiano nel cielo. La
sede centrale dell’Università appare sul fondo e in primo piano un mappamondo,
una clessidra e libri di varia dimensione alludono al committente Giuseppe Randi.
Sotto gli stessi portici Randi dirigeva le attività della libreria Draghi e della galle-
ria d’arte La Chiocciola situata al piano soprastante, riferimenti certi per studiosi e
In questa pagina, a sinistra Fulvio
Pendini, affresco denominato La città
del pensiero, 1952. Veduta dell’ubicazione
in via San Francesco, nel palazzo
centrale dell’Università di Padova, a
colmare la differenza di altezza tra le
diverse porzioni del percorso porticato.
a destra Sottoportico del palazzo
centrale dell’Università di Padova, via
San Francesco. Disegno di cantiere
con indicata la porzione di muratura
che nel 1952 sarebbe stata affrescata da
Pendini.
Pagina a destra Fulvio Pendini,
Firmamento con stelle, 1958, via Beato
Pellegrino. Passaggio per la strada
secondaria presso il civico 100.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
artisti di una Padova perduta7. La scritta «Omnia collu-
stramus ammis» – «Tutto illuminiamo/chiariamo con
le amme» – allude, in metafora, al fuoco sprigionato
dalle leggendarie gure alate. Oltre al degrado causato
dalla confusione crescente di oggetti estranei nello spe-
cico contesto, preoccupa la progressiva cancellazione
del dipinto in atto nella parte inferiore destra.
Due altre rappresentazioni sono state eseguite nello
stesso anno da Pendini su incarico di Giuseppe Randi
nel passaggio pedonale coperto che ancor oggi collega
via Sant’Andrea e via Santa Lucia, stretto tra la chiesa di
Sant’Andrea sul lato ovest e i locali della citata, scomparsa,
libreria Draghi. Anche in questo caso i due dipinti, che si
guardano in alto sulle opposte pareti, presentano un pri-
mo piano di libri che si direbbero protetti dai draghi alati
mentre sullo sfondo si svolge la città. Tra gli edici che si
sovrappongono tra loro – palazzi e case comuni, chiese,
campanili e torri – un’architettura ha particolare eviden-
za in ciascuna rappresentazione: la chiesa di Sant’Andrea
sul lato ovest della galleria e quella di Santa Lucia sul lato
est, con l’Oratorio di San Rocco. I libri recano per titolo
in copertina i nomi delle diverse discipline di studio.
Sotto la chiesa di Sant’Andrea una scritta sintetizza la
storia del passaggio: «Hunc transitum Josephus Randi
librarius munice voluit aperuit ornavit MCMLXIII»,
precisando la data dell’intervento e come si giunse all’a-
pertura del nuovo percorso nella tta trama edilizia del
centro cittadino. Oltre ai libri, che appaiono aperti o
chiusi, adagiati o posti di coltello, oltre ai calamai e ai
mappamondi, alle clessidre, ai draghi e alle chiocciole
appare l’architettura che fa la città, gialla e rossa in pre-
valenza nel colore, tagliata da sciabolate di luce obliqua.
Contro il cielo nero, sui tetti di coppi, il gioco vivo di
comignoli e abbaini sta a dimostrare quanto Pendini
conoscesse in profondità il tema di tante sue opere. La
condizione protetta del luogo favorisce la conservazione
sica dei dipinti, anche se non si è evitata la messa in
opera di un controsotto in nti cassettoni che ne ha
compromesso la presenza secondo lo spirito che li volle.
Altri spazi aascinanti alla cui denizione Pendini ha
contribuito sono gli atrii dei nuovi palazzi che vengono
costruiti nel centro della Padova di questi anni. La ric-
chezza e la qualità di tali ambienti non troveranno ri-
scontro nell’edilizia residenziale dei periodi successivi.
In alto Fulvio Pendini, Veduta di Padova
affrescata nel passaggio Santa Lucia,
lato ovest, 1963. Si nota a destra la
chiesa di Sant’Andrea, con il sottostante
cartiglio esplicativo.
Al centro Fulvio Pendini, Veduta
di Padova affrescata nel passaggio
Santa Lucia, lato est, 1963. L’affresco
è dominato dalla chiesa di Santa Lucia
con l’oratorio di San Rocco a a nco.
Sotto Padova, la galleria Santa
Lucia vista dall’estremità sud, da via
Sant’Andrea. Le rappresentazioni della
città intorno eseguite da Pendini sono
in alto ai due lati. Stato attuale.
Fulvio Pendini, Veduta di Padova, 1963,
via Cavour. L’immagine che allude alla
libreria Draghi si trova nei pressi di
quelle che erano le vetrine della libreria
stessa.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
E anzi la povertà dell’edilizia del tempo presente riesce
a vendicarsi di tanta ranatezza alterando la coerenza
di questi vani per gradi, per mezzo del portoncino in
alluminio anodizzato che sostituisce il battente in ferro
o in vetro senza telaio e con maniglie di Paolo De Poli,
della messa in opera di nuovi dozzinali corpi illumi-
nanti in luogo di quelli originariamente scelti per dia-
logare con gli arredi, della rimozione dei colori preziosi
dei pavimenti alla palladiana. Negli atrii delle costru-
zioni residenziali edicate nel centro della città dopo
la guerra le niture sono delicate, coordinate tra loro, e
i palazzi sono assimilati agli edici pubblici per i quali
vale quanto prescritto dalla Legge 29 luglio 1949 che è
conosciuta anche come Legge del 2 per cento, secondo
la quale detta percentuale della somma prevista per la
costruzione deve essere destinata ad opere d’arte8. In
generale, passati quasi inosservati nella storiograa
dell’arte, gli ingressi ai palazzi, è stato scritto, «costitui-
scono una sorta di interpunzione nella sintassi architet-
tonica e progettuale della moderna storia della città»9.
Si può vericare come anche in edici privi di qualità
architettonica come quello che sorge in via Falloppio,
tra via Belzoni e piazzetta Nievo, si sia fatto ricorso
all’arte di Pendini per celare il blocco dell’ascensore
nell’ambiente di ingresso.
Ben diversi da quest’ultimo caso sono gli ingressi alla
contemporanea Torre Medoacense in largo Europa
(1953-56) e al Palazzo Quirinetta in piazza Insurrezio-
ne10 (1952-56), ove si consolida il rapporto di collabo-
razione tra Pendini e l’architetto Giulio Brunetta. Le
opere di Pendini qui intrecciano il rapporto con la città
in modo più sfumato, poiché appartengono ancora alla
comunità ma in modo indiretto; si trovano in ambienti
delimitati e tuttavia sono visibili dallo spazio pubblico.
La Torre Medoacense è un edicio a prevalente destina-
zione residenziale di tredici piani fuori terra costruito,
nella prima metà degli anni cinquanta, sui resti delle
mura medioevali là dove prima scorreva il Naviglio in-
terno, trasformato in sede stradale con il nome in que-
sto tratto di largo Europa. Contiene numerosi apparta-
menti dalla distribuzione per quei tempi sperimentale,
otto per piano al di sopra di tre livelli con negozi e uci.
L’atrio di ingresso della torre consente l’accesso ai
diversi piani dell’edicio nella forma di uno spazio di
In questa pagina, a sinistra
Fulvio Pendini, pannello decorativo
dell’i ngresso a ll’edicio situato a
Padova in via Falloppio, nel tratto tra
via Belzoni e piazzetta Nievo. Inizi
anni sessanta. Stato attuale.
A destra Torre Medoacense in largo
Europa (Giulio Brunetta, 1953-56).
Veduta d’epoca.
Elio Schiavon, bassoril ievi al di sopra
dei resti delle mura medioevali in Largo
Europa, 1956. Al di sopra dei fregi si
innalza la Torre Medoacense progettata
da Giulio Brunetta.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
grande leggerezza e di alta qualità nella soluzione dei
dettagli. Pendini si occupa di sfumare la presenza del
possente pilastro cilindrico sul lato destro per chi en-
tra rivestendolo con stilizzazioni riferibili al tema della
casa e delle mura cittadine, estensione di una più gran-
de decorazione nella parete retrostante dove l’artista
ha rappresentato Padova racchiusa tra le due cerchie di
mura11. In questo gioco di segni al limite dell’astrazio-
ne, Padova si riconosce proprio per il disegno comples-
sivo delle mura, con le porte e i ponti sulle acque che
difendevano la città. Si leggono tra l’altro il castello, le
porte Contarine, la chiesa di Santa Maria del Carmine,
porta Molino e nei pressi, unica architettura dalle for-
me estranee alla tradizione e dalla pronunciata altezza,
la stessa Torre Medoacense impostata sulle mura.
Quest’opera di Pendini è andata perduta, come lo spi-
rito di insieme dello spazio a cui appartiene. Il pilastro
ha oggi un nuovo rivestimento che ha coperto o cancel-
lato i segni d’origine, mentre sulla parete rimane una
versione completamente alterata, una violazione grave,
tra l’altro, dei diritti di un artista di non vedere storpia-
ta la propria creazione.
L’aaccio su strada dell’edicio fu arricchito anche dal
lavoro di Elio Schiavon e Luigi Saccardo, due gure su
cui ci si soermerà in seguito. Il primo fu responsabile
dei fregi che mediano il rapporto con i resti delle mura
cittadine, il secondo del disegno del sotto dell’atrio.
Contemporaneo alla Torre Medoacense è il Palazzo
Quirinetta in piazza Insurrezione, edicio che sorge a
poca distanza e risulta catalogato come edicio Ci.Gi.
nel volume su Brunetta già citato in nota12. Non sono
passati più di vent’anni da quando piazza Insurrezione
ha preso forma e sono sorti ai sui lati i palazzi di Gino
Miozzo e di Gino Peressutti. Dopo una prima soluzio-
ne consistente in un edicio a torre di grande altezza,
Brunetta realizza la versione esistente, composta di
due corpi di fabbrica ortogonali disposti a T. L’accesso
alle abitazioni e agli uci avviene attraverso una corte
al cui termine un portico disimpegna i vani scala. Sot-
to al portico, protette da questo, si sviluppano a tutta
altezza e su tutti i lati, interrotte solo dalle aperture
delle porte, le visioni di Padova che compongono una
decorazione tra le più estese e meglio conservate di
Pendini. L’artista dipinge ancora una Padova antica,
In questa pagina
Fulvio Pendini, decorazione dell’atrio
di ingresso della Torre Medoacense,
1956 circa. Fotograa dello stato
d’origine. La città di Padova è
riconoscibile nella parete di fondo nella
forma della doppia cerchia del le mura.
Pagina a destra
Fulvio Pendini, decorazione dell’atrio
della Torre Medoacense. Veduta dello
stato d'origine.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
composta di basiliche, chiese e palazzi, di emergenze alternate a complessi di fab-
bricati minori.
Compaiono due soli edici contemporanei, perfettamente inseriti tra quelli della
città storica: la Torre Medoacense e lo stesso Palazzo Quirinetta, rinnovato omaggio
di Pendini all’architetto che questi edici ha realizzato, Giulio Brunetta.
Amleto Sartori
Amleto Sartori è un altro artista che ha avuto con la città di Padova un rappor-
to continuo nel tempo, arricchendo nell’ambito della scultura il contesto urbano,
dalla metà degli anni trenta, con opere a tutto tondo e rilievi13.
Nato nel 1915, ha avuto una vita piuttosto breve, essendo scomparso ben prima di
compiere i cinquant’anni, nel 1962. Già nel 1938 aveva realizzato alcune opere di ri-
lievo collaborando all’esecuzione dei primi importanti edici progettati da Quirino
De Giorgio14. Era stato infatti autore del ciclo di incisioni a tutta parete seguite su la-
stre di pietra di Nanto nel sacrario della sede del Gruppo rionale fascista Bonservizi
in via Giordano Bruno, delle teste d’aquila e di leone in cotto aggettanti alla som-
mità delle facciate dei corpi di fabbrica dello stesso complesso edilizio, delle teste
d’aquila in travertino – perdute, quelle in opera sono dei falsi inventati in occasione
del recente restauro – che coronavano il blocco centrale della sede del Gruppo Cap-
pellozza in via Cristoforo Moro presso porta San Giovanni, delle sculture nelle torri
In questa pagina, in alto a sin istra
Fulvio Pendini, decorazione del portico
di ingresso del Palazzo Quirinetta in
piazza Insurrezione, 1956 circa. Parte
situata tra la porta alla testa sud del
portico e la rampa carrabile per il piano
interrato.
In alto a destra
Fulvio Pendini, decorazione del portico
di ingresso del Palazzo Quirinetta in
piazza Insurrezione, 1956 circa. Parte
situata a sinistra della porta alla testa
sud del portico.
Sotto
Fulvio Pendini, decorazione del portico
di ingresso del Palazzo Quirinetta in
piazza Insurrezione, 1956 circa. Parte
situata tra la rampa e le porte alla testa
nord del portico. Stato attuale.
Pagina a destra
Palazzo Quirinetta – o edicio a torre
Ci.Gi. – (Giulio Brunetta, 1952-56) a
Padova in piazza Insurrezione. Veduta
dalla piazza, stato attuale.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
testo della poesia La canzone della nave composta da Egidio Meneghetti nei mesi
di internamento.
Sulla stessa strada, entro l’ambito del palazzo centrale dell’Università di Padova,
è possibile riconoscere un’altra opera di Amleto Sartori, il bassorilievo datato 1941
che ragura il tema della Pietà con evidenti rimandi al momento storico segnato
dal dramma della guerra. La scultura è posta come architrave sopra ad uno degli
ingressi alla sede dell’ateneo da via San Francesco.
Altro luogo che ha segnato la vita di Sartori è l’Istituto d’Arte Selvatico, in cui egli
– come gran parte degli artisti poi attivi in città – fu studente, e dove ebbe ad inse-
gnare per molti anni. A anco dell’ingresso alla sede in largo Egidio Meneghetti, già
macello pubblico comunale progettato da Giuseppe Jappelli, un altorilievo in gesso
esprime la nuova vocazione dell’edicio. Sotto al rilievo denominato Figure allegori-
che un basamento in pietra reca incisa l’intitolazione della scuola.
Meno evidente è, sotto i portici di via Dante, nei pressi di piazza dei Signori, il dipin-
to monocromo dedicato al tema Madonna con bambino e putti. Non pare esserci dub-
bio sulla paternità di Sartori, data anche la passione di questi per la rappresentazione
di «giovani e bambini che evocano l’iconograa classica dei putti»16. Nel dare forma
alle gure infantili, Sartori conferma la padronanza assoluta dell’anatomia umana e
gli studi compiuti su Donatello, Piero della Francesca e gli artisti del Rinascimento.
Un posto particolare riguardo alla presenza delle opere di Sartori nel centro di
Padova è occupato senza dubbio dal cinema Altino ultimato nel 1951. Il foyer della
galleria, ambiente che sporge su via Altinate e su di essa è sospeso, rientra tra gli
di ingresso all’arena denominata Teatro dei Diecimila,
presso il Bonservizi.
Nel 1939 importanti eventi hanno segnato la vita di
Sartori: il conseguimento del diploma al corso di scul-
tura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e del pri-
mo posto al concorso per l’insegnamento della stessa
disciplina all’Istituto d’Arte Selvatico di Padova, l’e-
spulsione con l’accusa di antifascismo dalla scuola per
allievi uciali degli alpini a Bassano e il matrimonio
con Miranda Ancona. «Nel 1940 fu gravemente mala-
to a Ferrara. Richiamato come soldato semplice pas-
sò per vari ospedali. Lavorava sempre, (…). Nel 1943
fu congedato, ma perseguitato per la moglie ebrea, ed
ebbe inoltre la casa distrutta da un bombardamento.
Prese parte alla resistenza e venne arrestato due volte
dalla famigerata banda Carità («… quello che ho pas-
sato non è facilmente dicibile … Ho visto in faccia la
vita e la morte negli aspetti più tremendi e più alti»)»15.
Sotto al portico di Palazzo Giusti in via San Francesco,
complesso edilizio conscato nel 1944 dalla polizia fa-
scista e trasformato in luogo di detenzione e di tortu-
ra, un bassorilievo in bronzo di Sartori accompagna il
In questa pagina, dall'alto
Amleto Sartori, La Nave, bassorilievo
in bronzo che accompagna la poesia di
Egidio Meneghetti La canzone della nave.
Si trova in via San Francesco sotto il
portico di Palazzo Giusti, trasformato
tra il 1944 e il 1945 dalla polizia fascista
in luogo di prigionia e tortura.
Amleto Sartori (attribuzione), Madonna
con bambino e putti dipinta sotto il
portico di via Dante al civico 6, a breve
distanza da piazza dei Signori, anni del
dopoguerra. Veduta dello stato attuale.
L’opera è in condizioni di degrado
crescente.
Pagina a destra, da sinistra
Amleto Sartori, Pietà, bassorilievo
in pietra di Vicenza corrispondente
all’architrave del portale del Bo in via
San Francesco, 1941. Particolare.
Amleto Sartori, Figure allegoriche,
altorilievo in gesso su base in pietra di
Vicenza posto all’ingresso dell’Istituto
d’arte Pietro Selvatico in largo Egidio
Meneghetti, 1945 -1946.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
spazi di soglia, in precedenza considerati, che segnano il passaggio tra le dimen-
sioni esterno e interno. Il cinema, dalla sorte oggi incerta, è stato progettato da
Quirino De Giorgio e costruito a partire dal 1946. Si attesta su via Altinate con il
lato breve caratterizzato dalle lastre di vetro del salotto della galleria che, inclinate
a sporgere, sovrastano la strada e mettono i passanti in diretta relazione visiva con
il sotto del vano decorato da Sartori. L’artista ha disegnato a grato i segni zodia-
cali in uno dei più preziosi spazi realizzati in città e aperto su di essa, il salotto con il
pavimento in linoleum rosso, le niture metalliche in ottone, il rivestimento in pie-
tra verde alle pareti laterali e la lunga vetrina a chiudere il lato opposto alla vetrata
strapiombante. Di questo spazio indimenticabile, al cui centro comode sedute e un
tavolino basso consentivano la confortevole attesa dell’inizio del nuovo spettacolo,
vanno ricordate ancora le lampade da terra in forma di piante le cui foglie scher-
mavano la luce, e le niture eleganti dei servizi che tramite gli oblò rimandavano
all’architettura marinara.
Tra le sculture a tutto tondo eseguite da Sartori due occupano luoghi partico-
larmente signicativi nel centro cittadino, il Tobiolo del 1957 e la statua di Angelo
Pagina a sinistra
Veduta notturna del cinema Altino
(Quirino De Giorgio, 1946-51), con
la decorazione a grafto esegu ita da
Sartori sul softto del foyer della
galleria e proiettato sulla strada
attraverso la vetrata inclinata.
In questa pagina
Cinema Altino, veduta del foyer della
galleria con i l softto decorato a
grafto da Amleto Sartori con i segni
zodiacali.
Cinema Altino, Sartori al lavoro mentre
decora il softto del foyer del la galleria.
Fotograa di Quirino De Giorgio, 1950
circa.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
Sant’Antonio e gli altri personaggi sono inseriti in am-
bientazioni vuoi naturali vuoi urbane, trasmettendo in
particolare nel pannello situato a destra dei due espo-
sti su piazza del Santo la rappresentazione che Sartori
immagina della Padova del Duecento, con la Torlonga
del castello e altri manufatti edilizi turriti o impostati
su portici. È questo, soprattutto, il motivo di interes-
se delle rappresentazioni presso la basilica, risultando
i protagonisti delle storie non di rado espressi in modo
lontano dal carattere proprio dell’arte di Sartori nella
mediazione dovuta all’esecuzione di Rossato e Vanzelli.
Pare ascrivibile a Sartori, per analogia stilistica, an-
che la ragurazione del soggetto L’Arcangelo Michele e
il drago che compare sulla facciata di un alto edicio per
abitazioni ubicato in riviera Paleocapa, presso il ponte
di Sant’Agostino. L’immagine è forte nella comunica-
zione ma leggera nel segno, protetta dalle intemperie da
un semplice allineamento di coppi.
Di Sartori è invece certamente la serie dei quattro
simboli degli evangelisti in ceramica allineati sotto alla
pensilina dell’ingresso alla chiesa di Sant’Alberto Ma-
gno e dei Santi studenti dell’Università di Padova in via
Beolco detto il Ruzante del 1958. La prima, realizzata in bronzo a rappresentare la -
gura tratta dalla narrazione biblica del libro di Tobia nell’Antico Testamento, è parte
oggi della fontana in piazzetta Garzeria, di fronte al Caè Pedrocchi. La seconda,
che ragura il celebre drammaturgo, attore e scrittore padovano Ruzante, scolpita
e donata alla città negli anni cinquanta da Amleto Sartori, ha conosciuto diver-
se ubicazioni nel tessuto del centro urbano. Riveste un particolare signicato nella
storia della produzione artistica di Amleto Sartori, che nel 1947 ha realizzato le sue
prime maschere e sviluppato in seguito questo tema con crescente interesse, sempre
più rivolgendo la propria attenzione al mondo del teatro. La statua era inizialmente
ubicata nei giardini Morgagni. Fu poi spostata alla ne degli anni ottanta in piazza
Capitaniato e, più recentemente, nel 2015, in piazzetta Lucia Valentini Terrani, di
fronte al Teatro Verdi.
Anche l’opera Maternità, la fusione in bronzo del 1958 antistante l’ingresso alla
Clinica Ostetrica dell’Università di Padova, appartiene alla vita cittadina, essendo
parte della scena che si apre a lato di via Giustiniani, mediazione tra un’altra opera
dell’architetto Giulio Brunetta e la scala urbana.
Sono riferibili a Sartori anche i tre pannelli in lamiera di rame eseguiti su suo di-
segno a corredo delle vetrine dell’attività commerciale situata sotto ai portici all’an-
golo tra via del Santo e piazza del Santo, nei pressi della basilica di Sant’Antonio.
Pensati da Sartori, i pannelli sono stati realizzati da Pietro Rossato e Renato Vanzel-
li17, come è riportato alla base di ognuno. Sono dedicati alle storie del patrono della
città, le cui vicende esemplari sono ragurate in tre fasce sovrapposte. La gura di
Pagina a sinistra, da sin istra
Amleto Sartori, Tob iol o, tuttotondo in
bronzo presente in piazzetta Garzeria,
1958.
Amleto Sartori, statua di Angelo
Beolco detto il Ruzante. L’opera
eseguita nel 1958 si trova oggi in
piazzetta Lucia Valentini Terrani di
fronte al Teatro Verdi, ivi trasferita nel
2015 da piazza Capitaniato.
In questa pagina
Amleto Sartori, Maternità, tuttotondo
in bronzo presso l’ingresso alla Clinica
Ostetrica dell’Università di Padova in
via Giustiniani, 1958.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
nardo Loredan, civici 32 e 34, si tratta di dodici più do-
dici immagini di personaggi della Commedia dell’arte,
mentre i segni dello zodiaco arricchiscono l’entrata al
civico 10 di via Tito Vanzetti. Nelle formelle di via Lo-
redan le maschere della Commedia dell’arte giocano
con fauni o scherzose gure di bambini. Sartori ripren-
de «gli atteggiamenti infantili scomposti, dispettosi che
i putti cantori o musici o danzanti mettono in essere
quando si esibiscono in pulpiti e cantorie»18. Le speri-
mentazioni e gli studi dedicati alle maschere, negli anni
che precedono la scomparsa, stanno celebrando Sartori
come uno dei maggiori esperti in Europa sul tema. Per
registi, autori e attori egli è colui che sta riscoprendo
un genere teatrale dimenticato da secoli. La statua del
Ruzante ha in questo senso un valore simbolico.
Sorge a anco un secondo edicio, analogamente -
nito con cicli di formelle incise a lato dei tre ingressi,
i due su via Loredan ai civici 28 e 30 e quello su via
Guglielmo Marconi. La chiesa, progettata dall’archi-
tetto Giovanni Zabai e inaugurata nella seconda metà
degli anni cinquanta, fu voluta dalla Diocesi di Padova
per dare vita ad un punto di incontro con l’ambiente
universitario: Sant’Alberto Magno è infatti protettore
dei sici, e l’ambone eseguito da Sartori, dono dell’U-
niversità di Padova, ragura le immagini di venti santi
che furono studenti nell’ateneo patavino. Al quartie-
re di Città giardino guardano i quattro simboli degli
evangelisti, mentre alle pareti laterali della chiesa si
possono intravedere le vetrate che Sartori ha disegnato
come stazioni della Via Crucis.
Un’altra serie di creazioni di Amleto Sartori si trova
nella zona del Portello, nell’edicio all’angolo tra via
Leonardo Loredan e via Tito Vanzetti. È costituita dal-
le incisioni nelle formelle di travertino che adornano ai
lati i tre ingressi al palazzo per appartamenti costruito
negli anni cinquanta. Nei casi degli accessi da via Leo-
Da sinistra
Amleto Sartori, disegno delle storie
di Sant’Antonio (l’esecuzione in rame
sbalzato è di Pietro Rossato e Renato
Vanzelli). Il pannello in via del Santo
e uno dei due presenti in piazza del
Santo, ne anni cinquant a.
Amleto Sartori (attribuzione non
vericata), l’Arcangelo Michele e i l
drago rappresentati sulla facciata di un
edicio in riv iera Paleocapa.
Dall'alto
Amleto Sartori, uomo alato simbolo
dell’evangelista Matteo, seconda
mensola da destra – per chi guarda la
facciata – delle quattro della pensilina
che protegge l’ingresso alla chiesa
di Sant’Alberto Magno e dei Santi
studenti dell’Università di Padova in
via Guglielmo Marconi. Seconda metà
degli anni cinquanta.
Amleto Sartori, il leone alato
simbolo dell’evangelista Marco, terza
mensola da destra della pensilina
che protegge l’ingresso alla chiesa di
Sant’Alberto Magno e dei Santi studenti
dell’Università di Padova.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
vatico, peraltro comune ambito di quasi tutti gli artisti
considerati in queste pagine. È documentato infatti un
attivo interessamento di Boldrin per la stabilizzazione
di Sartori all’Istituto Selvatico come insegnante.
Si conserva di Boldrin, presidente della scuola dal
1937 al 1945, una comunicazione del 19 settembre 1942
inviata al Ministero dell’Educazione Nazionale, Dire-
zione Generale delle Arti, che si conclude con la richie-
sta «di prendere in benevola considerazione la possibi-
lità di nominare il Prof. Sartori Amleto docente della
Pietro Selvatico così da dotare la Scuola di un ottimo e
prezioso elemento»20. Di Boldrin sono, dunque, le inte-
grazioni scultoree apportare alle due architetture pro-
poste da Gino Peressutti21 per la nuova piazza Spalato,
oggi Insurrezione, il palazzo ultimato nel 1934 per l’I-
tala Pilsen sul lato nord e quello terminato quattro anni
più tardi per l’I.N.F.P.S., l’Istituto Nazionale Fascista
per la Previdenza Sociale sul lato ovest.
Riguardo al primo edicio, sappiamo che «gli furono
commissionate statue da sistemare davanti al Palaz-
zo della Itala Pilsen (…) in piazza Spalato»22. Si tratta
delle otto gure in piedi scolpite nel travertino che si
Vanzetti al civico 5. Le rappresentazioni hanno però, in
questi nuovi casi, carattere astratto, e di esse non è stato
nora possibile identicare l’autore.
Va osservato come assai trascurata sia la conservazio-
ne dei grati in entrambi i palazzi. Essi necessitano di
essere riportati allo stato e soprattutto all’evidenza del
tempo in cui i due edici vennero ultimati.
Può essere considerato un precedente di questo modo
di decorare i portali il contorno di formelle in cotto che
marca l’ingresso all’edicio che in via Diaz sorge presso
l’incrocio con via Cadorna. Il fabbricato fu costruito su
progetto del 1933 di Francesco Mansutti e Gino Miozzo
come Casa della Giovane Italiana. Sull’autore dei rilievi
in cotto non risultano ad oggi informazioni certe.
Altri artisti
La breve digressione che segue, riguardante le scul-
ture di Paolo Boldrin19 negli anni trenta sullo spazio di
piazza Insurrezione, si inserisce a partire dal collega-
mento tra Sartori e Boldrin nell’ambito dell’Istituto Sel-
Pagina a sinistra, immagini in alto
e al centro
Amleto Sartori, grafti su travertino
appartenente alla serie dei personaggi
della Commedia dell’arte ai lati del
portone di accesso al civico 34 di via
Leonardo Loredan, 1956.
Ultima in basso
Amleto Sartori, grafto su travertino
appartenente alla serie dei segni
zodiacali ai lati del portone di accesso
al civico 10 di via Tito Vanzetti, 1956.
Le formelle hanno in questo caso forma
quadrata, anziché rettangolare come le
precedent i.
In questa pagina, dall'alto
Autore non identicato, formelle in
travertino grafte con mot ivi astratti
ai lati dell’accesso al civico 30 di via
Leonardo Loredan, seconda metà degli
anni cinquanta.
Autore non identicato, formelle
in cotto che contornano l’ingresso
all’edicio ex Casa della Giovane
Italiana di Padova in via Diaz,
progettata nel 1933 da Francesco
Mansutti e Gino M iozzo. Foto dello
stato attuale.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
Nove. Frequenta la Regia Scuola d’Arte per la Ceramica di Nove sotto la guida di
Andrea Parini e, nel 1949, si iscrive all’Istituto d’Arte di Venezia, diretto dall’archi-
tetto Wenter Marini, dove completerà anche il corso di Magistero»23.
A lui si devono due interventi compiuti presso le architetture di Giulio Brunetta
nel centro storico in precedenza considerate: realizza i fregi che mediano il passag-
gio nell’area basamentale della Torre Medoacense tra i resti delle mura medioevali e
lo sviluppo in altezza del blocco prismatico dell’edicio ed esegue i bassorilievi che
delimitano la supercie del portico di Palazzo Quirinetta.
Nel 1956, dunque, Schiavon vince un concorso nazionale indetto per la decora-
zione esterna della torre in largo Europa, «per cui realizzerà due rilievi murali della
lunghezza di ben 25 metri»24.
In parallelo, in piazza Insurrezione integra in Palazzo Quirinetta lo spazio del
portico, le cui pareti sono dipinte da Pendini, mediante vasi con rilievi raguranti
scene di lotta tra animali.
Tornando alla Torre Medoacense, va considerato anche l’apporto alla denizione
del vano di ingresso fornito da Luigi Saccardo25. Il percorso di accesso costituisce
uno degli elementi più complessi di questa architettura: fende quanto rimane delle
mura cittadine, è sovrastato a grande altezza dai due ballatoi continui con i fregi di
Schiavon e immetteva nel volume della torre con trasparenza, continuità e leggerez-
za, caratteristiche, queste ultime, oggi assenti per la pesantezza dei nuovi serramenti
che spezzano in due l’approccio al fabbricato. Saccardo è autore della decorazione
del cielo che dà continuità al percorso, dalla pensilina che si protende verso la strada
allineano a coronamento del palazzo, gure statiche
riconducibili alla retorica del lavoro e della famiglia.
Accostate nella successione di immagini maschili e
femminili, attestano ai due estremi energiche statue
di uomini ed al centro due donne aancate. Nell’im-
paginato della facciata i personaggi corrispondono al
culmine delle otto colonne giganti che ripartiscono la
supercie complessiva.
Nel vicino palazzo dell’Istituto Nazionale Fascista per
la Previdenza Sociale gli elementi scultorei sono diusi,
sul fronte su piazza Spalato, in particolare nel sottopor-
tico e in sommità. Nel sottoportico rilievi e gure a tutto
tondo si concentrano in corrispondenza del portale di
ingresso, mentre in sommità scorrono le vittorie alate.
Meno documentata, rispetto a quella degli artisti già
considerati, è l’opera di Elio Schiavon, sul quale non
risultano ad oggi pubblicate esaurienti informazioni.
Schiavon (19 marzo 1925-16 agosto 2004), è originario
di Arzergrande. «Si trasferisce nel 1941 a Bassano del
Grappa dove comincia la sua attività di ceramista nella
bottega artigiana di Luigi Zortea e in altre della vicina
In questa pagina, da sinist ra
Paolo Boldrin, decorazione scultorea
dell’attico di Palazzo C.O.G.I.
(Compravendita Costruzioni e Gestioni
Immobiliari, ex Itala Pilsen) ultimato
nel 1934 su disegno di Gino Peressutti
sul lato nord di piazza Spalato, oggi
Insurrezione. Particolare delle prime
due statue da sinistra per chi guarda la
facciata.
Paolo Boldrin, decorazione del portale
del palazzo per l’I.N.F.P.S., ultimato
nel 1937 su disegno di Gino Peressutti
sul lato ovest di piazza Spalato, oggi
Insurrezione. Particolare.
Pagina a destra
Elio Schiavon, rilievi a nitura dei vasi
che delimitano il portico di Palazzo
Quirinetta, piazza Insurrezione,
seconda metà degli anni cinquanta.
L’opera integra i dipinti di Fulvio
Pendini presso gli ingressi all’edicio
progettato da Giulio Brunetta.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
al sotto dell’atrio in cui la città di Padova è rappre-
sentata da Pendini. Entro uno schema astratto a base
geometrica, utilizza tessere di ceramica di piccole di-
mensioni, di pochi colori e tessute ortogonalmente.
Gli interventi di Schiavon e Saccardo alla Torre Me-
doacense non sono apparsi nora in pubblicazioni che
ne riportano l’autore. Bene illustrano come Padova sia
ricca di opere di artisti la cui paternità è e rimane non
nota, essendo prive le stesse opere di bibliograa.
Tra gli altri, negli anni cinquanta viene ultimato il
palazzo progettato dagli architetti Francesco Mansutti
e Gino Miozzo in via Altinate per l’IRE, Impresa Rico-
struzione Edilizia, che opera per il committente Alle-
anza Assicurazioni26. L’edicio sorge vicino al cinema
Altino di Quirino De Giorgio e presenta, incombente
sulla strada, una sequenza di terrazze sovrapposte de-
corate all’intradosso da Antonio Morato27. Da via Al-
tinate si coglie, sopra a un basamento a negozi e a un
ulteriore livello, una cascata di cinque piani di terrazze
che, ripartite in due serie aancate, frantuma la mas-
sa in una successione di piani orizzontali. Il palazzo,
completato da un piano attico e uno interrato, ha pianta
rettangolare che si sviluppa in profondità, suddivisa in
quattro appartamenti per piano dalle mediane, con un
vano scale a due rampe situato all’incontro di queste.
Nel palazzo Morato interviene anche con la decora-
zione pittorica del sotto del lungo androne che collega
la strada allo scoperto retrostante. Nel nastro dipinto si
possono ammirare le ragurazioni stilizzate dei segni
zodiacali. Questi si susseguono su un fondo monocro-
mo rosso in cui sono rappresentate le scene che inter-
pretano i periodi corrispondenti dell’anno, «giocate
sulla manifestazione degli aetti più intimi»28.
Morato ha lavorato anche alla nitura del sotto del-
la sala del vicino cinema Altino, incrociando la sua pre-
senza con quella già ricordata di Amleto Sartori all’o-
pera al sotto del foyer della galleria. A dierenza di
quest’ultima, la decorazione di Morato è stata sottratta
alla vista da una tinteggiatura che l’ha ricoperta, ma
non se ne può escludere il recupero.
In questa pagina
Luigi Saccardo, cielo del percorso
di ingresso alla Torre Medoacense
in Largo Europa (1954). Veduta
dall’esterno, stato attuale.
Pagina a destra, dall'alto
Antonio Morato, decorazione a grafto
delle terrazze del condominio Altinate
nella via omoni ma. L’edicio (1947-
52) è stato progettato dagli architetti
Francesco Mansutti e Gino Miozzo.
Antonio Morato, decorazione pittorica
del softto dell’androne del condomin io
Altinate nella via omonima, primi anni
cinquanta. Veduta generale e dettaglio
del periodo invernale corrispondente al
segno del Capricorno.
102 103
L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
lizzato con Alberto Viani34, eseguita «in pietra bianca
vicentina, colorata in rosso, azzurro, bianco e oro, ispi-
rata alle presenza metamorche di Mirò e da richiami
marini, nel sottendere una sorta di conformazione a
lancia e tridente»35.
Dello scultore Nerino Negri36, che dal 1945 al 1960
insegna al Selvatico dove «ha l’incarico di gestire il la-
boratorio che prima della guerra era di Sartori»37, la cit-
tà conserva nei suoi spazi pubblici almeno due opere, il
Monumento alle vittime civili della guerra aerea collo-
cato dove ha inizio via Raggio di Sole, presso piazzale
Savonarola, del 1950, e le decorazioni in cotto che si tro-
vano in via Vittorio Emanuele II all’ingresso al civico
156. Riguardo al Monumento alle vittime civili della
guerra aerea, ubicato non lontano dal bastione Impos-
In alto
Antonio Menegazzo (Amen), fregio
della cappa nel bar Bahia all’angolo tra
via Altinate e via Carlo Cassan (1951),
particolare. Il fregio è tuttora in loco
in buone condizioni.
Sotto
Renato Iscra, Palazzo Antenore in
piazza Insurrezione, Padova (1949-
52). Particolare della sommità del
corpo di fabbrica rivolto verso piazza
Insurrezione.
Sullo stesso lato di via Altinate, in un piccolo bar
d’angolo con via Cassan, Antonio Menegazzo – in arte
Amen – dipinge nel 1951 un lungo racconto che anco-
ra si può ammirare. Menegazzo «decora il fregio della
cappa sopra il bancone del bar Bahia come se fosse un
fumetto. Questo tuo nel suo passato di illustratore è
una folgorazione che rimette in moto in lui l’estro del
narratore visivo. Le vicende del caballero messicano
scorrono con felice e dinamica vena narrativa»29.
Un altro edicio signicativo per il dialogo che in-
tesse con il contesto del centro patavino è Palazzo An-
tenore. Progettato da Renato Iscra, esso impegna un’a-
rea d’angolo tra piazza Insurrezione e via Martiri della
Libertà. L’area su cui sorge il palazzo è poi delimitata
a nord e a ovest da due costruzioni che preesistono al
progetto, ovvero il già ricordato Palazzo C.O.G.I. e la
Casa dell’Agricoltore.
Tutti gli elementi decorativi dell’edicio sono stati
curati da Giuseppe Santomaso30, ad iniziare dal rivesti-
mento maiolicato color azzurro pastello delle quattro
fasce verticali che, alternate alle cinque in travertino,
deniscono il rivestimento della facciata su piazza In-
surrezione31. Il vano dell’ingresso al palazzo si apre in
trasparenza sul portico di via Martiri della Libertà, mo-
strando alle estremità laterali, a rivestimento dei pila-
stri, «due quinte in ceramica colorata e grata», ovvero,
scrive Gio Ponti, «un esempio di quella particolare fun-
zione che la ceramica ha assunto, di materia per l’archi-
tettura. La ceramica, che fornisce in sintesi supercie,
volume e colore, anticipa forse, essa materia antica, pe-
sante e fragile, l’intervento degli artisti nell’architettura
con l’impiego delle materie plastiche nuove»33. I pannelli
ceramici includono «presenze astratte rosse, nere, gial-
le e azzurre, dalle assonanze marine e unicellulari»33,
che nei modi del Surrealismo rimandano a due concet-
ti cari a Santomaso, il lavoro e la natura, con costanza
presenti nella sua opera. Nel vano si possono osservare
i rivestimenti ceramici delle pareti realizzati dall’artista
con un disegno astratto di prevalente colore verde.
Di fronte all’ingresso, nello spazio del portico, si tro-
va l’opera in cemento colorato che Santomaso ha rea-
104 105
L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
sibile delle mura rinascimentali dove l’8 febbraio 1944
un bombardamento aereo causò la morte di quasi due-
cento persone, Negri così descrive i personaggi rappre-
sentati: «l’uomo ha la testa alta perché si ribella e non
accetta; il giovane è il glio rinato; l’adulto è sottoposto
a una legge precisa, la scansione del tempo segnato da
eventi stabili; il caduto mostra uno dei destini; nessuna
gura volta le spalle, segno di anità»38.
Si accenna di seguito ad alcune opere d’arte che sono
presenti negli spazi della città e non risultano ucial-
mente riconducibili al loro autore. Sono per lo più rilie-
vi e dipinti che partecipano alla denizione dell’archi-
tettura di ville e palazzi.
Un caso è costituito dalla decorazione in via dei Li-
vello, presso il teatro Verdi, del pilastro che separa l’in-
gresso pedonale da quello carrabile al civico 41. Motivi
geometrici dai colori vivaci su sfondo neutro avvolgono
il montante, in una commistione, fortunatamente re-
versibile, con oggetti estranei quali l’apparecchio cito-
fonico e la cassetta per le lettere.
In alto a si nistra
Giuseppe Santomaso con Alberto
Viani, scultura nella facciata su via
Martiri della Libertà di Palazzo
Antenore (1952). Veduta dal portico
verso la strada, stato attuale.
Sopra
Giuseppe Santomaso, rivestimento
delle pareti laterali del vano di
ingresso a Palazzo Antenore in piazza
Insurrezione, Padova (1949-52).
Al centro
Giuseppe Santomaso, l’atrio di ingresso
a Palazzo Antenore (1952) visto dal
portico di via Martiri della Libertà. Alle
estremità laterali si notano i pilastri
rivestiti.
Sotto a sinistra
Autore non identicato, nitura al
civico 41 di via dei Livello del pilastro
che separa l’accesso pedonale da quello
carrabile. Anni cinquanta. Particolare.
Da sinistra
Nerino Negri, Monumento alle
vittime civili della guerra aerea, inizio
di via Raggio di Sole presso piazzale
Savonarola, 1950.
Nerino Negri, decorazioni in cotto in
via Vittorio Emanuele II, lato ovest, in
corrispondenza dell’ingresso al civico
156. Anni cinquanta, particolare.
106 107
L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
Una generale ricognizione sul tema, sistematica e approfondita, da-
rebbe esiti di maggior ricchezza, giacché l’integrazione tra le arti nel
contesto della città fu pratica diusa nché committenza e professio-
nisti furono in grado di mantenere condizioni politiche e operative
relativamente indipendenti dalle valutazioni di carattere economico
che progressivamente divennero riferimento assoluto dalla metà de-
gli anni sessanta.
Rimane dunque un impegnativo lavoro di catalogazione da esegui-
re nel più vasto ambito cittadino, esteso al tessuto urbano che si è
andato sviluppando dagli anni trenta al di fuori delle mura cittadine.
È, questa, un’attività di catalogazione necessaria anche per restituire
agli artisti, che raramente rmavano le opere, la paternità delle vi-
sioni che trasformavano in materia e ponevano – dove ancora nella
maggior parte dei casi sono – sotto gli occhi di tutti.
Fanno parte del paesaggio urbano in Città Giardino,
il vasto quartiere residenziale interno alle mura, i pan-
nelli in ceramica che adornano i parapetti del terrazzo
della villa situata all’angolo tra le vie Marco Polo e Gu-
glielmo Marconi. Realizzati con la prevalenza dei colori
blu e azzurro, sono in condizioni di forte degrado.
In via Santa Rosa, tra il Duomo e il Castello, un pa-
lazzo ad appartamenti rivestito in tavelle di cotto mo-
stra ai parapetti dei terrazzini brillanti composizioni di
carattere organico. I pannelli caratterizzano le unifor-
mi superci color laterizio aacciate sulla strada come
drappi appesi ai parapetti di metallo.
In via San Massimo, inne, la facciata di un edicio
con due appartamenti propone al civico 61 una vasta
rappresentazione della Padova medioevale, come con-
ferma un cartiglio che reca la data MCCC. La città,
piuttosto fedelmente, appare racchiusa entro le mura.
Appaiono nel dipinto il palazzo della Ragione, il Ca-
stello e la Torlonga, la Reggia e il traghetto che collega
quest’ultima alle mura.
In questa pagina
In alto
Autore non identicato, pannello a
nit ura del parapetto del terrazzo della
villa situata all’angolo tra le vie Marco
Polo e Guglielmo Marconi, lato via
Marco Polo. Anni cinquanta.
Sopra
Autore non identicato,
rappresentazione della Padova
medioevale nella facciata della
residenza in via San Massimo, civico 61.
Stato attuale. In alto a destra si trova
l’iscrizione “MCCC”.
Pagina a destra
Autore non identicato, pannell i che
decorano i parapett i dei terrazzini
dell’edicio situato in via Santa Rosa,
civici 34 e 36. Anni cinquanta. Veduta
dell’edicio e particolari del primo
e del terzo pannello dal basso nella
facciata in arretrato.
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L’IMMAGINE DELLA CITTÀ E. PIETROGRANDE - DALL'ORNAMENTO ALLA COMPOSIZIONE
1 Si veda D. Volpi, L’architettura moderna come descr izione della
città, in A. Sartori, S. Suriano (a cura di), Il professionismo colto
del dopoguerra, Milano, Galli Thierry, 2013, p. 7.
2 Una illustrazione sintetica dello sviluppo di Padova nel
dopoguerra è contenuta in F. De Checchi, Pad ov a 1950-1970,
in Padova anni ’50-’60. Il volto della città moderna negli anni del
boom economico, Loregg ia, Grache TP, 2015.
3 Su questo periodo si vedano: A. D’Auria, Architettura e
arti applicate negli anni Cinquanta. La vicenda italiana, Venezia,
Marsilio Editori, 2012; M. Capobianco, E. Carreri (a cura
di), Architettura italiana 1940-1959, Napoli, Electa Napoli,
1998; G. Massobrio, P. Portoghesi, Album degli anni Cinquanta,
Roma-Bari, Editori Laterza, 1983.
4 Pendin i muore nel 1975. Da allora gli sono state dedicate
a Padova alcune importanti mostre. La prima si tenne nel
Palazzo della Ragione l’anno successivo alla scomparsa
dall’11 aprile al 9 maggio. Il catalogo, intitolato Fulvio Pendini,
era édito dalla Italgraf di Noventa Padovana (Pd). Un’altra
ebbe luogo dieci ann i dopo, dal 14 settembre al 6 ottobre
1985 presso la Galleria Civica Cavour. Il catalogo, con titolo
Fulvio Pendini. Disegni, pastelli, acquerelli ed una selezione di olii,
era curato da Benedetta Pendi ni (Sta mpa Tipolitograca
CS, Padova). Più recente è la mostra del 2007 promossa
anch’essa dal Comune di Padova e tenuta ai Musei Civici agli
Eremitani dal 19 maggio al 4 novembre: si veda il catalogo a
cura di D. Banzato, V. Baradel, F. Pellegrini, Fulvio Pendini. I
volti di Padova, Milano, Skira editore, 2007.
5 “Lavori afdati a una composizione corale e bru licante, ma
al tempo stesso ordinata, in cui persone e cose si dispongono
nella cornice architettonica come in un piccolo teatro”. Si
veda E. Pontiggia, Una felicità stupefat ta. Fulvio Pendini e la pittura
“candida” nell’arte italiana del primo Novecento, in D. Banzato,
V. Baradel, F. Pellegrini (a cura di), Fulvio Pendini cit, p. 15.
6 Una dettagliata descrizione degli eventi è contenuta in V.
Dal Piaz, Fulvio Pendini e l’Università di Padova, in D. Banzato, V.
Baradel, F. Pellegrini (a cura di), Fulvio Pendini cit, pp. 35-43.
7 La libreria fu aperta nella sede di via Cavour da Girolamo
Draghi nel 1850. Sotto la direzione di Giovanni Battista
Rand i tra il 1920 e il 1931, e in particolare poi del glio
Giuseppe, morto nel 1978, divenne riferimento obbligato
per il mondo della cultura padovana che gravitava intorno
alla vicina sede dell’Università. All’interno della libreria
“nel febbraio 1952 venne inaugurata a Padova la prima
galleria d’arte, detta « La Chiocciola», (…) e così chiamata
per la bizzarra scala, ora scomparsa, che dall’interno del
negozio librario conduceva al primo piano dove la galleria
ebbe sede no a l 1962”. Si veda O. Longo, La libreria, in A.
Baù, O. Longo, P. Maggiolo, Lo stabilimento Pedrocchi, un caff è
per la città. La libreria Draghi Randi, Padova, Il Poligrafo casa
editrice, 2013, p. 74. La chiusura denit iva della libreria è
avvenuta nel 2011.
8 Il provvedimento riprende con modeste variazioni
una legge del 1942, la 11 maggio n. 839, promossa dal
ministro dell’Educazione Nazionale del governo fascista
Giuseppe Bottai, già artece in tema di beni culturali della
fondamentale legge n. 1089 del 1939. Si veda tra l’altro
sull’argomento C. Collina (a cura di), La leg ge del 29 luglio
1949 n° 717: applicazioni ed evoluzioni del 2% sul territorio,
Bologna, Editrice Compositori, 2009.
9 K. Kolbitz, Foreword, in K. Kolbitz (a cura di), Entryways of
Milan, Cologne, Taschen, 2017, p. 9.
10 Insurrezione 28 aprile 1945, sempl icato di seguito nella
dizione corrente Insurrezione.
11 Una targa sul posto riferisce che l’opera di Pendini è
del 1953. Tale datazione non è tuttavia compatibile con il
periodo di progettazione e ed icazione della torre, 1953-56,
indicato in Giulio Brunetta. Architetture 1935-1978, Bologna,
Editrice Compositori, 2000, scheda Torre Medoacense, pp.
82-83. L’intervento di Pendini dovrebbe essere di tre anni
successivo.
12 Si veda la scheda relativa Edicio a Torre Ci. Gi. in Giulio
Brunetta cit., pp. 84-85.
13 Tra le pubblicazioni di carattere generale riguardanti
Sartori, non incentrate sul tema della maschera e del teatro,
si riportano: G. Zabai, Amleto Sartori, Trieste, Edizioni Lint,
1969; C. Semenzato, Amleto Sar tori: mostra retrospettiva promossa
dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo dal 9 al 31 marzo,
Padova, La Garangola, 1974; C. Semenzato, Sartori [o Amleto
Sartori], s. l., s. a. (1975?); P. Piizzi (a cura di), Amleto Sartor i
scultore e poeta (1915-1962). Itinerar io artistico delle opere pubbliche e
private, s. l., Nuova Alfa Editoriale, 1990; P. Piizzi, V. Baradel
(a cura di), Amleto Sartori scultore, catalogo della mostra
tenutasi a Padova, Gal leria Cavour, dal 7 novembre 2015 al
17 gennaio 2016, Padova, Il Poligrafo, 2016.
14 Si veda E. Pietrogrande, L’ opera di Quirino De Giorgio (1937-
1940). Architettura e classicismo nell’Italia dell’impero, Milano, 2011.
15 C. Semenzato, Amleto Sartori: mostra retrospettiva cit., pp. 14-15.
16 Si veda V. Baradel, Amleto Sartori e la scultura, in P. Piizzi, V.
Baradel (a cura di), Amleto Sartori scultore cit., p. 44.
17 Pietro Rossato e Renato Vanzelli sono colleghi di Sartori
presso l’Istituto d’arte Selvatico. Risulta di Rossato che,
“diplomato nell’Istituto nel 1926, insegna nel laboratorio di
Cesello e sbalzo dagli Ann i Sessanta no agli A nni Ottanta”;
di Vanzelli (Padova 1932-1993) che, “diplomato al Selvatico, vi
insegna dal 1950 al 1959”. Si veda M. Iral (con un’integrazione
di P. Patrone), I Maestr i del Selvatico, in L. Attardi (a cura di),
150 anni del Selvatico. La scuola delle arti di Padova, catalogo della
mostra tenuta a Padova dal 14 ottobre 2017 al 28 gennaio
2018, Padova, Comune di Padova, 2017, p. 89.
18 Si veda V. Baradel, Amleto Sartori e la scultura cit., p. 44.
19 Nato a Padova nel 1887, Boldrin lavora presso il padre
tagliapietra a Monselice, acquisendo esperienza come
scultore e conseguendo il diploma presso la regia Accademia
di Belle Arti di Bologna. Capitano degli alpini, durante
la guerra viene internato come prigioniero nel campo di
Mauthausen. Squadrista, si iscrive al Partito nazionale
fascista nell’aprile 1922, e nel maggio 1923 è nominato
segretario del fascio di Monselice. È federale di Padova dal
1931 al 1934. Paolo Boldrin muore il 5 gennaio 1965.
20 La lettera, conservata nell’archivio dell’Istituto Selvatico,
è citata in M. B. Rigobello Autizi, Dallo studio di Natale
Sanavio agli artisti contemporanei, in A. Zecchinato (a cura di),
Il Selvatico. Una scuola per l’arte dal 1867 ad oggi, catalogo della
mostra tenuta a Padova dall’11 febbraio al 12 marzo 2006,
Treviso, Canova, p. 80.
21 Su Gino Peressutti un’interessante nota biograca è
contenuta in G. Simone, Il Guardasigilli del regime. L’itinerario
politico e culturale di Alfredo Rocco, Milano, FrancoAngeli, 2012,
pp. 93-96.
22 A. Baù, All’ombra del fascio. L o Stato e il Partito nazionale
fascista p ad ovano (192 2-193 8), Sommacampagna (Vr), Cierre
edizioni, 2010.
23 Dalla nota biogra ca datt iloscritta che chi scrive ha
ricevuto da Luca Schiavon, glio dell’artista che ne continua
l’attività. Elio Schiavon stabilì il proprio studio-laboratorio,
riconosciuto quale “Bottega-scuola” dall’Istituto Veneto
per il Lavoro, a Padova in via Belzoni, e dal 1965 ad
Abano Terme. R ingrazio Luca Schiavon per la cortesia e la
disponibilità dimostrata.
24 Dal dattiloscritto citato alla nota precedente.
25 Nato nel 1927, di origini veneziane e patavino d’adozione,
Luigi Saccardo ha studiato all’Istituto d’Arte Selvatico
di Padova e all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Negli
anni cinquanta, divenuto progettista del consorzio del
marchio birra Itala Pilsen, si occupa per circa vent’anni
dell’arredo di locali e discoteche nelle città del Veneto e nelle
località turistiche costiere della regione. Successivamente
la sua principale attività è il designo industriale: progetta
per diverse aziende italiane ed estere e riceve importanti
riconoscimenti, mentre i suoi oggetti sono pubblicati nelle
principali riviste del settore.
26 Il progetto è stato preso in visione presso il Museo di Arte
Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, MART,
Archivio del ‘900, fondo Mansutti Miozzo, faldone 189.
Si veda il Regesto delle opere in M. Mulazzani (a cura di),
Francesco Mansutti e Gino Miozzo. Architetture per la gioventù,
Milano, Skira editore, 2005, p. 208.
27 Antonio Morato (1903-89), nato a Este, visse e operò a
Padova. Oltre alla pittura da cavalletto, eseguì ampi cicli
di decorazioni murali, tra le quali l’ampio affresco absidale
nella chiesa padovana della Sacra Famiglia, progettata nel
1937 da Giuseppe Tombola, con Procolo Odoni e Giuseppe
Stoppato, e ultimata nel 1939. Al 1949 risalgono gli affreschi
dipint i da Morato a villa Marzari, perduti con il successivo
abbattimento del l’edicio l ibert y che sorgeva non lontano
dalla stazione ferroviaria, all’angolo tra via Foscolo e corso
del Popolo. Una sintesi dell’opera di Morato è contenuta
in D. Formaggio, P. Rizzi, G. Segato (a cura di), Antonio
Morato: antologica. Opere dal 1825 al 1986, Padova, Comune
di Padova, 1987, catalogo della mostra allestita a Padova al
Palazzo della Ragione dal 21 marzo al 20 aprile 1987, e in
particolare il saggio ivi contenuto G. Segato, Antonio Morato:
le opere su commissione.
28 Si veda G. Segato, Antonio Morato: le opere su commissione
cit. (il volume è privo della numerazione delle pagine). A
proposito del rapporto tra Morato e gli architetti Mansutti
e Miozzo si accenna a margine alla “frescatura di Casa
Mansutti in via Facciolati, l’opera murale di committenza
privata meglio conservata e, indubbiamente, tra le più
riuscite per impianto e di felice e gaia resa cromatica
delle scene di vita campestre e di attività agricole sui colli
Euganei”. Iv i.
29 V. Baradel, Antonio Menegazzo in arte Amen, in V. Baradel,
M. Magagnin, V. Negriolli (a cura di), Antonio Menegazzo in
arte Amen, catalogo della mostra allestita a Padova al Museo
Diocesano – Palazzo Vescovile dal 17 novembre 2012 al 13
gennaio 2013, Grache Turato di Ruba no (Pd), 2012 , p. 16.
Antonio Menegazzo (1892-1974). Nato a Padova, Menegazzo
fu tra le due guerre un grande illustratore e cartellonista. Nel
1952 si trasferì in Venezuela, e successivamente in California
ottenendo un certo successo nell’ambiente di Hollywood.
Morì a Padova, dopo esservi ritornato nell’ultimo periodo
della sua vita.
30 Giuseppe Santomaso è nato a Venezia il 26 settembre
1907. Frequenta i corsi dell’Accademia di Belle Arti di
Venezia e, n dal 1928, espone alle most re giovan ili d i
Ca’ Pesaro. La sua prima formazione culturale si svolge
contemporaneamente attraverso lo studio del la pittura
veneziana del ‘400 e del ‘500, e il contatto con l’ambiente
d’avanguardia rappresentato allora da Gino Rossi, Pio
Semeghini e Arturo Martini. Dal 1940 in poi Santomaso
partecipa a tutte le più importanti esposizioni nazionali e
internazionali, ottenendo un vasto consenso di pubblico e
di critica. A partire dal 1948 espone più volte alla Biennale
di Venezia. Dal 1957 al 1975 insegna all’Accademia di Belle
Arti di Venezia. Muore a Venezia il 23 maggio 1990.
31 La nitura og gi in opera risale ad un restau ro del 2000
ed è una copia fedele dell’originale, realizzata dalla Appiani
Ceramiche di Treviso.
32 Gio Ponti, Uso della ceramica. Bepi Santomaso, in “Domus”,
n. 280 (1953), p. 50. L’articolo non è rmato, ma è riferibile
senza dubbio al direttore della rivista Gio Ponti.
33 S. Portinari, Pareti di ceramica e nestre dipinte. Giuseppe
Santomaso e la «necessità di un carattere decorativo» della pittura, in
N. Stringa (a cura di), Santomaso. Catalogo ragionato, Torino,
Allemandi, vol I, p. 167.
34 Testimonianza a chi scrive di Elio Armano, che di Viani è
stato allievo.
35 Ivi, pp. 167-168.
36 Nerino Negri, nato nel 1924 a Padova, è scomparso il 13
dicembre del 2012. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti
di Venezia, diplomandosi nel 1947/48 in scultura. È stato
allievo di Arturo Martini e di Alberto Viani.
37 M. B. Rigobello Autizi, Dallo studio di Natale Sanavio agli
artisti contemporanei cit., p. 80.
38 Rip. in P. Franceschetti, Nerino Negri scultore, in “Padova e
il suo territorio”, n. 187 (2017), p. 41.
Note
nito di stampare
nel mese di marzo 2020
da La Graca Faggian – Padova
per conto di overview editore