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GLI APOIDEI: IMPORTANTI BIOINDICATORI DELLA SALUTE AMBIENTALE

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ENTOMATA
Newsletter della
Società Entomologica Italiana
N. 13 del 20 dicembre 2020
Entomata
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I bioindicatori sono organismi che ci possono
fornire informazioni sulla qualità e sui cambia-
menti degli ecosistemi dovuti alle attività antro-
piche e quindi sulla presenza di contaminanti.
Attraverso la loro presenza, assenza, diradamen-
to e attività ci rilevano lo stato di salute degli
ecosistemi in cui si trovano. (Holt and Miller,
2010; Parmar et al., 2016). Queste risposte pos-
sono essere relative non solo al presente, ma
anche al recente passato, in quanto a differenza
delle analisi chimico-fisiche che offrono una ri-
sposta relativa al solo momento e al solo luogo
del campionamento, possiedono una sorta di
“memoria” del danno inflitto dal contaminan-
te. Gli indicatori biologici ci danno quindi una
rappresentazione sintetica di realtà complesse,
in quanto consentono di tener conto di intera-
zioni sinergiche tra più fattori di stress presenti
e passati (Porrini, 1990).
Esistono diversi gruppi di bioindicatori che pos-
sono essere utilizzati per monitorare l’ambien-
te in cui vivono. Ad esempio, licheni e briofite
sono spesso utilizzati per monitorare i contami-
nanti nell’aria. Alghe, macro e micro-inverte-
brati acquatici sono invece usati per monitorare
la salute di fiumi e altri corsi d’acqua, mentre
collemboli e carabidi offrono ottime indicazioni
sulla qualità del suolo (Holt and Miller, 2010).
GLI APOIDEI: IMPORTANTI BIOINDICATORI
DELLA SALUTE AMBIENTALE
Fabio Sgolastra, Celeste Azpiazu, Catia Martins, Claudio Porrini
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
A parte qualche trasferimento naturale di con-
taminanti tra un comparto ambientale e l’altro,
questi esempi mostrano come ci sia una certa
“specializzazione” tra i diversi bioindicatori nel
monitorare specifici ambienti come aria, acqua e
suolo. A tal riguardo l’ape (Apis mellifera L.), tra
i vari bioindicatori, rappresenta un’eccezione,
perché più di ogni altro organismo è in grado
di monitorare ed integrare gli inquinanti prove-
nienti dai diversi ambienti (fig. 1). Infatti, per le
sue caratteristiche biologiche entra in contatto
direttamente o indirettamente con tutte le com-
ponenti ambientali, e di conseguenza con gli
inquinanti in esse presenti. Oltre che per inala-
zione, il corpo rivestito di peli delle api si presta
particolarmente bene a trattenere le particelle
che si trovano nell’aria. Le api inoltre entrano
facilmente in contatto con gli inquinanti presen-
ti nelle acque. Infatti, una famiglia di api arriva a
raccogliere fino a 5L di acqua al giorno durante
il periodo estivo (Contessi, 2016) per mantenere
costante la temperatura dell’alveare e per alleva-
re la covata. Per quanto riguarda il monitorag-
gio del suolo, le api vi entrano in contatto tra-
mite le piante che, assorbendo gli inquinanti nel
terreno, li trasportano fino al nettare, al polline
e alla melata (quest’ultima escreta dagli afidi e
altri insetti fitofagi), che vengono raccolti dalle
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api come risorse trofiche. Un altro prodotto di
origine vegetale potenzialmente contaminato è
la propoli, che le api raccolgono dalle gemme
delle piante. Tutte queste sostanze vengono tra-
sportate dall’ape all’alveare e, tramite analisi
di laboratorio (chimiche, palinologiche, ecc.) è
possibile individuare la presenza di eventuali in-
quinanti e la loro probabile fonte (Porrini et al.,
2002). Dato che l’ape compie ogni giorno nu-
merosi voli di bottinamento in un raggio di circa
1,5 Km dall’alveare, si può calcolare che l’area
teorica perlustrata è di circa 7 km2. All’interno
di questa vasta area una famiglia di api effettua
quotidianamente circa 10 milioni di micro-pre-
lievi (considerando che le bottinatrici di un
alveare medio sono circa 10.000 e che ognuna
visita un migliaio di fiori al giorno). (Porrini et
al., 2002).
Per queste sue caratteristiche l’A. mellifera è sta-
ta spesso usata come indicatore biologico (Por-
rini et al., 2002; Girotti et al., 2020), tuttavia
all’interno della superfamiglia Apoidea, l’ape da
miele è solo una delle circa 20.000 specie di api,
e molte delle caratteristiche che l’hanno resa un
buon bioindicatore valgono anche per le altre
specie. Anzi se consideriamo le api come grup-
po, la loro efficacia come bioindicatori è persi-
no maggiore. Infatti alcune specie di apoidei, a
differenza dell’ape da miele che è generalista,
sono specialiste (ossia visitano poche o una solo
specie di piante) e ciò permette loro di rispon-
dere prontamente a specifiche perturbazioni
ambientali (Martínez-Nuñez et al., 2020). Inol-
tre la maggior parte degli apoidei sono solitari
(ca. il 77%) e nidificano nel terreno (ca. il 65%),
quindi grazie a quest’ultima caratteristica anche
la componente suolo può essere monitorata di-
rettamente (Danforth et al., 2019; Sgolastra et
al., 2019). Infine, gli apoidei possono essere usa-
ti come bioindicatori di stress ambientali sfrut-
tando diversi livelli di organizzazione biologica
(Kevan, 1999):
1. A livello di individuo, tramite la misu-
razione di alterazioni nella biologia ed
usandoli come «detector» dato che ac-
cumulano i contaminanti nel corpo o nei
loro prodotti;
2. A livello di popolazione, misurando le
variazioni dei parametri, tra cui la fecon-
dità e la fertilità, che guidano la dinamica
di popolazione;
3. A livello di comunità, misurando le alte-
razioni nella ricchezza e composizione di
specie e nei servizi ecosistemici da esse
fornite.
Passando dal livello di organizzazione più basso,
in cui è possibile monitorare più dettagliatamen-
te i singoli fattori di stress, a quello più alto, au-
menta la complessità e la capacità di monitorare
stress ambientali multipli.
A livello di individuo (o di famiglia nel caso di
specie sociali come l’A. mellifera), le api sono
state usate per monitorare la presenza di radio-
nuclidi, metalli pesanti, Idrocarburi Policiclici
Aromatici, pesticidi e micro-organismi fitopato-
geni (Porrini et al., 2002).
I primi casi di uso dell’ape da miele e dei suoi
prodotti come bioindicatore di radionuclidi ri-
sale a fine anni ‘50 e ai primi anni ‘60 quando
Svoboda (1962) correlò l’aumento dei livelli di
Sr90 nel miele con gli esperimenti nucleari che
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si stavano svolgendo in atmosfera in quel tempo.
In un’altra ricerca svolta in seguito all’incidente
di Chernobyl, è stato osservato come il polline
raccolto dalle api sia un buon indicatore dei li-
velli di radionuclidi presenti nell’atmosfera (To-
nelli et al., 1990). Molti sono gli studi che hanno
usato l’ape mellifera per monitorare la presenza
dei pesticidi nell’ambiente (Porrini et al., 2003;
Celli and Maccagnani, 2003; de Oliveira et al.,
2016; Girotti et al., 2020). L’obiettivo di que-
sti studi è quello di conoscere il reale impatto
dei pesticidi una volta che vengono immessi sul
mercato e di ottenere informazioni utili per mi-
gliorare le procedure di valutazione del rischio
(Sgolastra et al., 2020). Il rilevamento di molte
api morte nei pressi dell’alveare è spesso l’indi-
cazione di un uso non corretto dei pesticidi ma
anche l’osservazione di comportamenti anomali
(dovuti ad effetti subletali) rilevano la presen-
za dei pesticidi nell’ambiente anche quando
sono usati rispettando le indicazioni in etichetta
(Azpiazu et al., 2019). Questi studi ci permetto-
no inoltre di monitorare la variazione nel tempo
e nello spazio dell’impatto sull’ambiente dell’u-
so dei diversi gruppi di agrofarmaci (Porrini et
al., 2014).
Fig. 1. Passaggio degli inquinanti dai diversi comparti ambientali all’ape fino al nido.
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A livello di popolazione, recenti studi hanno
dimostrato come sia possibile correlare il suc-
cesso riproduttivo delle osmie (apoidei solitari
appartenenti alla famiglia Megachilidae) con la
presenza di metalli pesanti o pesticidi. Nel pri-
mo caso Moron et al. (2014) hanno osservato
una correlazione negativa tra il numero di celle
pedotrofiche prodotte (e quindi di uova depo-
ste) di Osmia bicornis e il livello di Zn, Pb e Cd
nelle provvigioni di polline e nettare presenti
nei nidi di questi apoidei. Lo studio era stato
condotto sia in Polonia che in Regno Unito lun-
go un gradiente di inquinamento nei pressi di
due fonderie di zinco e piombo. Un altro stu-
dio (Woodcock et al., 2017) invece ha mostrato
una correlazione negativa tra il numero di celle
prodotte di O. bicornis e la concentrazione di
neonicotinoidi nelle provvigioni. Lo studio è
stato condotto in tre Paesi (Germania, Ungheria
e Regno Unito) in campi di colza ottenuti con
semi conciati con o senza neonicotinoidi.
A livello di comunità lo studio della ricchezza
e diversità di specie di apoidei può rilevare al-
terazioni ambientali a livello di paesaggio. Ad
esempio Grab et al. (2019) hanno osservato una
correlazione negativa tra la proporzione di aree
agricole circostanti i campi sperimentali ed il
numero di specie e la diversità filogenetica degli
apoidei campionati nel melo durante la fioritura.
Questi indici erano a loro volta correlati positi-
vamente con la qualità e la quantità di mele pro-
dotte. È infatti stato dimostrato che una mag-
giore diversità di specie porta ad un aumento
sostanziale nel servizio di impollinazione (Hoe-
hn et al., 2008). Proprio misurando questo ser-
vizio ecosistemico fornito “gratuitamente” dagli
apoidei selvatici si può indirettamente monito-
rare la salute degli ecosistemi. La presenza di de-
ficit di impollinazione può essere un’indicazione
di un ambiente degradato (Kremen et al., 2002;
Vanbergen, 2014). In generale i bioindicatori
possono rilevare il livello di equilibrio e stabili-
tà di un ecosistema anche misurando variazioni
che avvengono in un arco di tempo molto am-
pio. Ad esempio, Biesmeijer et al. (2006) hanno
trovato un declino della biodiversità locale di
apoidei sia in Olanda che in Gran Bretagna pa-
rallelamente al declino della diversità di piante
impollinate dagli insetti. Gli autori non hanno
potuto spiegare se il declino dell’uno è stato la
causa dell’altro o viceversa o se sia coinvolto un
terzo fattore, ma ciò che è interessante osservare
è la coincidenza tra i due eventi. Il declino o l’e-
stinzione di una specie o gruppo di specie può
portare infatti ad un effetto a cascata a livello
di comunità con conseguenze sulla stabilità di
interi ecosistemi. L’alterazione di equilibri natu-
rali conduce ad eventi che procedono in modo
esponenziale (Jarvis et al., 2016).
La crescita esponenziale, con cui abbiamo pur-
troppo avuto modo di familiarizzare quest’an-
no in relazione ai casi di persone affette da
COVID-19, è qualcosa che l’uomo fa fatica a
percepire. Questa difficoltà non è tanto legata
alla nostra capacità di comprenderne la sua lo-
gica-matematica ma piuttosto di percepirne le
conseguenze. L’indovinello dello stagno che si ri-
empie di foglie raccontato nel celebre best-seller
“Il ventinovesimo giorno” di Lester R. Brown è
un ottimo esempio. L’indovinello è questo: uno
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stagno contiene una ninfea con una singola fo-
glia al primo giorno ed ogni giorno il numero di
foglie raddoppiano – 2 foglie il secondo giorno,
4 il terzo, 8 il quarto, e così via. Se lo stagno
si riempie completamente il trentesimo giorno,
quando sarà pieno per metà? Risposta: il venti-
novesimo giorno. Se trovare la risposta a questo
indovinello è piuttosto semplice ben più diffici-
le è percepire che a distanza di un solo giorno
quello stagno che prima p ullulava di diverse
forme di vita il giorno dopo sarà completamen-
te soffocato da un’unica specie. L’importanza
quindi degli indicatori biologici è quello di es-
sere una sorta di “early warning” per evitare le
conseguenze negative di squilibri ambientali, e
gli apoidei possono svolgere questo ruolo.
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Article
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Pesticide use is one of the main causes of pollinator declines in agricultural ecosystems. Traditionally, most laboratory studies on bee ecotoxicology test acute exposure to single compounds. However, under field conditions, bees are often chronically exposed to a variety of chemicals, with potential synergistic effects. We studied the effects of field-realistic concentrations of three pesticides measured in pollen and nectar of commercial melon fields on the solitary bee Osmia bicornis L. We orally exposed females of this species throughout their life span to 8 treatments combining two neonicotinoid insecticides (acetamiprid, imidacloprid) and a triazole fungicide (myclobutanil) via pollen and sugar syrup. We measured pollen and syrup consumption, longevity, ovary maturation and thermogenesis. Pesticide intake was three orders of magnitude higher via syrup than pollen. At the tested concentrations, no synergistic effects emerged, and we found no effects on longevity and ovary maturation. However, all treatments containing imidacloprid resulted in suppressed syrup consumption and drastic decreases in thoracic temperature and bee activity. Our results have important implications for pesticide regulation. If we had measured only lethal effects we would have wrongly concluded that the pesticide combinations containing imidacloprid were safe to O. bicornis. The incorporation of tests specifically intended to detect sublethal effects in bee risk assessment schemes should be an urgent priority. In this way, the effects of pesticide exposure on the dynamics of bee populations in agroecosystems will be better assessed. Bees, both wild and managed, play an essential role in crop pollination and food production stability 1-3. Yet, especially in intensively farmed areas, bee populations often face adverse environmental conditions, including destruction of nesting habitats, scarcity of floral resources and intensive pesticide presence 4-7 .
Article
Full-text available
Current pesticide risk assessment for bees relies on a single (social) species, the western honey bee, Apis mellifera L. (Hymenoptera: Apidae). However, most of the >20,000 bee species worldwide are solitary. Differences in life history traits between solitary bees (SB) and honey bees (HB) are likely to determine differences in routes and levels of pesticide exposure. The objectives of this review are to: 1) compare SB and HB life history traits relevant for risk assessment; 2) summarize current knowledge about levels of pesticide exposure for SB and HB; 3) identify knowledge gaps and research needs; 4) evaluate whether current HB risk assessment schemes cover routes and levels of exposure of SB; and 5) identify potential SB model species for risk assessment. Most SB exposure routes seem well covered by current HB risk assessment schemes. Exceptions to this are exposure routes related to nesting substrates and nesting materials used by SB. Exposure via soil is of particular concern because most SB species nest underground. Six SB species (Hymenoptera: Megachilidae-Osmia bicornis L., O. cornifrons Radoszkowski, O. cornuta Latreille, O. lignaria Say, Megachile rotundata F., and Halictidae-Nomia melanderi Cockerell) are commercially available and could be used in risk assessment. Of these, only N. melanderi nests underground, and the rest are cavity-nesters. However, the three Osmia species collect soil to build their nests. Life history traits of cavity-nesting species make them particularly suitable for semifield and, to a lesser extent, field tests. Future studies should address basic biology, rearing methods and levels of exposure of ground-nesting SB species.
Article
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Since 1962, the bee has increasingly been employed to monitor environmental pollution by heavy metals in territorial and urban surveys, pesticides in rural areas and also radionuclide presence in the environment. The bee as biological indicator possesses several important morphological, ecological and behavioural requisites, and man's beekeeping assures an unlimited supply. The bee acts as a detector of environmental pollution in two ways, as it signals either via high mortality rates the presence of toxic molecules, or via the residues in honey, pollen, and larvae the presence of heavy metals, fungicides and herbicides that are harmless to it. Bee monitoring also contributes to the ecological impact statement by culminat- ing in the charting of environmental health maps, which include such data as mortality rates, apicide number, type and risk-level of molecules detected, and so forth. These general remarks are briefly exemplified by a few of Author's findings, and by the description of the large scale monitor- ing methodology.
Article
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Samples of honey, pollen and honey bees have been collected in some regions of Italy after the Chernobyl accident, and subjected to gamma spectrometry in order to assess their possible use as markers of the radioactive environmental contamination. Pollen has resulted in the best indicator, since it reflects exactly the air contamination and therefore it is suitable for obtaining a map of fallout. Also bees can be used for the purpose, even if their collection is more difficult, whereas honey gives only an indication.
Article
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Pollinators and pollination are crucial in the functioning of almost all terrestrial ecosystems including those dominated by agriculture because they are in the front line of sustainable productivity through plant reproduction. Pollinators are bioinidicators as individuals and populations in that they can be used to monitor environmental stress brought about by introduced competitors, diseases, parasites, predators as well as by chemical and physical factors, particularly pesticides and habitat modification. Honeybees are useful as samplers of the environments in which they are kept and have been used to assess atmospheric and other types of pollution. Pollinator guildes offer new means of assessing ecosystemic health because the species diversity and abundance relationship is changed from the log-normal standard expected from ecological principles and niche theory.
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Neonicotinoid insecticides have been signaled as an important driver of widespread declines in bee diversity and abundance. Neonicotinoids were registered in the 1990s and by 2010 accounted for one third of the global insecticide market. Following a moratorium in 2013, their use on open-field crops was completely banned in the EU in 2018. Pesticide regulation should be based on solid and updated scientific evidence, whereby products showing unacceptable effects on the environment are not approved. Clearly, pesticide regulation failed to detect the ecological threats posed by neonicotinoids. We argue that at the time neonicotinoids were authorized, risk assessment (RA) protocols were inadequate to detect some of the risks associated with neonicotinoid properties, including high efficacy, long persistence, high systemicity, high mobility, and application versatility. We advocate for the adoption of a more holistic RA approach that should account for: a) temporal and spatial dimensions of pesticide exposure; b) co-exposure to multiple compounds; c) differences among bee species with different life histories in levels of exposure and sensitivity; and d) sublethal effects (mostly ignored in current RA procedures). We also argue that regulatory studies conducted to support pesticide registration should be publicly available, and that pesticide regulation should not be discontinued once a product has been authorized. We should use the knowledge acquired through the neonicotinoid experience as an opportunity to profoundly revise bee RA schemes. These efforts should be initiated promptly; the neonicotinoid story has also taught us that the regulatory system is reluctant to react.
Article
Bioindicators are living organisms such as plants, planktons, animals, and microbes, which are utilized to screen the health of the natural ecosystem in the environment. They are used for assessing environmental health and biogeographic changes taking place in the environment. Each organic entity inside a biological system provides an indication regarding the health of its surroundings such as plankton responding rapidly to changes taking place in the surrounding environment and serving as an important biomarker for assessing the quality of water as well as an indicator of water pollution. Even the health of aquatic flora is best reflected by plankton, which acts as an early warning signal. In this review we have tried to explain the concept behind Bioindicators and plankton, with particular emphasis on their potential to be used as Bioindicators for water quality assessment and outcomes relating to this.