ArticlePDF Available

MONTI SIBILLINI, LA LEGGENDA CTONIA (PARTE 1)

Authors:
  • Independent Researcher

Abstract and Figures

I misteri del Monte Sibilla e dei Laghi di Pilato, situati tra i Monti Sibillini in Italia, costituiscono entrambi enigmi antichi e ancora inspiegati. In due precedenti articoli, "Nascita di una Sibilla: la traccia medievale" e "Una leggenda per un prefetto romano: i Laghi di Ponzio Pilato", abbiamo posto in evidenza due livelli narrativi addizionali, connessi alla figura di Morgana la Fata e alla nota tradizione leggendaria che ha circondato la figura di Ponzio Pilato. Con un terzo articolo, "Monti Sibillini: la leggenda prima delle leggende", abbiamo identificato una serie di aspetti comuni che segnano entrambe le leggende, sia in relazione al Lago di Pilato che alla Grotta della Sibilla, con almeno tre tratti condivisi: leggendarie presenze demoniache; rituali negromantici effettuati presso entrambi i siti; e leggendarie tempeste e devastazioni che si sarebbero levate da ambedue i luoghi. Con un quarto articolo, "Monti Sibillini, un lago e una grotta come accesso oltremondano", abbiamo posto in evidenza il carattere oltremondano che segna il massiccio dei Monti Sibillini, e gli stretti legami letterari che possono essere rilevati tra i racconti leggendari relativi alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato, situati tra i Monti Sibillini, e due notissime narrazioni, di enorme successo, che descrivono due specifici viaggi all'interno delle regioni oltremondane: la leggenda della Sibilla Cumana e la leggenda del Purgatorio di San Patrizio. Con questo conclusivo articolo presentiamo le nostre considerazioni finali e un innovativo modello congetturale in merito alla potenziale origine delle leggende che abitano i Monti Sibillini. Si propone inizialmente un completo riepilogo delle ipotesi che sono state elaborate, attraverso più di centocinquanta anni, da filologi, ricercatori e anche saggisti e scrittori sulla possibile origine dei racconti leggendari connessi alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato, nel tentativo strenuo quanto infruttuoso di disvelare il peculiare carattere che queste montagne sembrano manifestare attraverso i secoli. Successivamente, viene proposta una nuova e originale congettura sull'origine delle leggende dei Monti Sibillini, mai elaborata in precedenza. E la chiave interpretativa posta alla base di questa nuova ipotesi è legata ai terremoti. Fin da tempi molto antichi, quest'area è stata colpita da terremoti particolarmente devastanti, in modo ricorrente. Lo stesso volto delle montagne è stato significativamente mutato dagli effetti degli eventi più intensi. Terremoti di minore intensità si verificano continuamente in questo territorio, molti dei quali percepibili dall'uomo. Vibrazioni e rombi sono spesso udibili. I residenti di oggi sanno bene come un terremoto catastrofico possa avere luogo in ogni momento, annunciato da sequenze di tremiti minori, o anche in modo del tutto inatteso. Essi sanno che la morte può colpire in modo subitaneo, e che nello spazio di pochi secondi la loro stessa vita e quella dei loro familiari può andare incontro a mutamenti drammatici, o addirittura concludersi al di sotto delle macerie di un tetto in fase di collasso, così come effettivamente avvenuto nel 2016. Dopo un'esauriente trattazione del carattere sismico dei Monti Sibillini, viene formulata una congettura relativa ad una possibile antica natura oltremondana del Lago e della Grotta. In un remoto passato, i due elementi di riferimento geografico potrebbero essere stati considerati come punti di pasaggio verso una qualche sorta di presenza demoniaca, un accesso che sarebbe stato possibile aprire per mezzo di rituali negromantici, un punto di contatto con un Aldilà sotterraneo e con le potenze ctonie che leggendariamente vivevano nel sottosuolo. Prima della conquista romana nel terzo secolo a.C. è possibile ipotizzare che le antiche popolazioni di Sabini e Piceni possano avere sviluppato un qualche genere di racconto leggendario, e una potenziale forma di culto, in relazione alla natura e alla venerazione dei terremoti, considerati come demoni o divinità malvagie. In presenza quasi costante di terremoti, dovuti alla sussistenza di un sistema di faglie attive poste al di sotto dei Monti Sibillini, la tradizione locale, attraverso i secoli dell'Età del Ferro, potrebbe avere stabilito dei luoghi di culto montani presso il Lago e la Grotta, dove è possibile che siano stati effettuati rituali negromantici tesi all'ottenimento della cessazione delle sequenze sismiche, al fine di implorare pietà e salvezza. Viene dunque proposto un completo modello congetturale basato su questo ipotetico scenario, con un'approfondita analisi delle motivazioni che dovrebbero condurre la ricerca in questa direzione. Viene inoltre stabilito un collegamento di grande interesse con la tradizione associata alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato in relazione alle leggendarie, devastanti tempeste che si scatenerebbero dai due siti: un chiaro riferimento, benché totalmente trascurato dagli studiosi fino a oggi, alle antiche credenze sull'origine dei terremoti così come riferite da Aristotele, Lucrezio, Seneca e Plinio il Vecchio. Questo articolo conclusivo, assieme alla serie completa di articoli giù pubblicati nell'ambito del progetto "Sibilla Appenninica e Laghi di Pilato: un viaggio nella vera origine di misteriosi racconti leggendari", rende possibile un'approfondita comprensione, mai raggiunta in precedenza, del mitico nucleo dell'affascinante complesso leggendario che abita i Monti Sibillini, nell'Italia centrale. Questo articolo costituisce la Parte 1 dell'articolo completo riguardante la predetta tematica.
Content may be subject to copyright.
MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
MONTI SIBILLINI, LA LEGGENDA CTONIA1
PARTE 1
1. Verso il disvelamento della vera origine del mito
Italia, la dorsale appenninica. I Monti Sibillini, una porzione della lunga
catena montuosa che si estende attraverso l'intera penisola. Il Monte Sibilla
e una Grotta sulla vetta. Il Monte Vettore e un Lago annidato all'interno del
circo glaciale della grande montagna. Due racconti leggendari, la Grotta
della Sibilla e i Laghi di Pilato. Secoli e secoli di visite, narrazioni letterarie
ed esplorazioni.
È giunto oggi il momento di affrontare la più importante, la più critica
questione connessa ai bastioni di roccia che si innalzano nel centro
1 Articolo pubblicato il 25 marzo 2020 su https://www.researchgate.net/ and https://www.academia.edu/
1
dell'Italia, tra le regioni dell'Umbria e delle Marche. Una questione che
riguarda l'origine delle leggende che abitano tra i Monti Sibillini.
Stiamo per disvelare una straordinaria congettura, mai proposta in
precedenza, che renderà possibile una nuova e inusitata comprensione della
struttura leggendaria che è venuta a stabilirsi al centro di questi rilievi
montuosi, dando così origine ai miti della Sibilla Appenninica e del luogo
di sepoltura di Ponzio Pilato, successivamente inseriti ed elaborati nelle
opere quattrocentesche scritte da Andrea da Barberino e Antoine de la Sale:
Guerrin Meschino e Il Paradiso della Regina Sibilla.
Il significativo risultato che stiamo per illustrare nel presente lavoro è il
prodotto di un prolungato impegno di ricerca durato più di due anni. I primi
articoli relativi all'eredità leggendaria che caratterizza i Monti Sibillini (La
grotta della Sibilla Appenninica: ciò che sappiamo, Il mondo della Sibilla:
gli Appennini e i Monti Sibillini, Sibilla Appenninica: il lato luminoso e il
lato oscuro) sono stati pubblicati nel corso dell'ultimo trimestre del 2017.
Con i successivi articoli (I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i
suoi antecedenti: Huon da Bordeaux, I Cavalieri della Sibilla - Guerrin
Meschino e i suoi antecedenti: Ugone d'Alvernia, Il Purgatorio di San
Patrizio, una fonte comune per Guerrin Meschino e Antoine de La Sale),
abbiamo cominciato a investigare i primi indizi che parevano segnalare le
potenziali fonti relative a temi e situazioni contenuti nel romanzo di Andrea
da Barberino e nel resoconto di Antoine de la Sale.
In seguito, è stato possibile identificare due elementi specifici che risultano
essere stati palesemente tratti da tradizioni leggendarie più antiche: il 'ponte
del cimento', analizzato nell'ambito di un successivo articolo (Antoine de
La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla) e le porte
magiche eternamente battenti, la cui ascendenza veniva rintracciata in un
ulteriore articolo (La verità letteraria sulle magiche porte nel "Paradiso
della Regina Sibilla).
Da quel momento in poi, la via era aperta per tentare un nuovo approccio
alla ricerca filologica avente ad oggetto l'intera eredità leggendaria che
dimora tra le vette dei Monti Sibillini. Stava infatti diventando evidente
come quei luoghi fossero segnati da un antico alone negromantico (La
lettera originale di Papa Pio II Piccolomini sulla grotta della Sibilla
pubblicata, Il Lago di Pilato in un antico manoscritto: Pierre Bersuire), e
2
come nessuna tradizione che risalisse all'antichità classica avesse mai
stabilito alcuna connessione tra una delle antiche Sibille e la più recente
Sibilla Appenninica (Una misteriosa citazione da «Primo Cambilunense
Vescovo» svelata, Una Sibilla chiamata Cimmeria: una ricerca sul
potenziale legame con la Sibilla Appenninica, Sibilla Appenninica: un
viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo).
Quel vuoto di secoli poteva infine essere colmato nel corso dell'anno 2019.
Con la pubblicazione di due fondamentali articoli (Nascita di una Sibilla:
la traccia medievale e Una leggenda per un prefetto romano: i Laghi di
Ponzio Pilato) abbiamo potuto dimostrare come la Sibilla Appenninica
discendesse da due personaggi letterari appartenenti alla Materia di
Bretagna e al ciclo arturiano: Morgana la Fata e la sua negromantica
compagna Sebile, che appaiono entrambe in diversi romanzi e poemi
cavallereschi, scritti ben prima del quindicesimo secolo; inoltre, è stato
possibile effettuare una piena ricognizione del racconto leggendario
riguardante il destino di Ponzio Pilato, il prefetto romano che occupa una
posizione di rilievo nei Vangeli, provando così come il mito che racconta
dei suoi molteplici luoghi di sepoltura, distribuiti presso vari siti in Europa,
non abbia nulla a che fare con i Monti Sibillini.
A valle dell'identificazione dei due predetti livelli leggendari addizionali,
con un ulteriore articolo (Monti Sibillini: la leggenda prima delle leggende)
siamo stati in grado di porre in evidenza i tratti originali che, sulla base
delle fonti disponibili, caratterizzano i racconti relativi alla Grotta della
Sibilla e al Lago di Pilato: entrambe le leggende presentano una serie di
aspetti comuni, che comprendono l'effettuazione di rituali negromantici, la
presenza di leggendari esseri demoniaci, e devastazioni che verrebbero a
prodursi da ambedue i siti.
Ma un quarto aspetto condiviso poteva essere parimenti evidenziato: si
trattava di un comune carattere oltremondano, che abbiamo potuto
investigare in dettaglio in un ulteriore articolo già pubblicato (Monti
Sibillini, un Lago e una Grotta come accesso oltremondano). In questo
articolo, abbiamo posto in luce la presenza di specifici elementi narrativi
usualmente reperibili in opere letterarie che rappresentano viaggi visionari
nelle regioni oltremondane. Abbiamo poi ripercorso le numerose
testimonianze letterarie concernenti narrazioni visionarie relative all'Aldilà
nel contesto della cultura occidentale, dall'Odissea di Omero all'Eneide di
3
Virgilio, e poi da Papa Gregorio Magno fino ai sogni visionari elaborati
nell'Irlanda medievale, per giungere infine alla leggenda del Purgatorio di
San Patrizio.
In quello stesso articolo, abbiamo evidenziato le strette connessioni
letterarie che sono rinvenibili tra i racconti leggendari concernenti la Grotta
della Sibilla e il Lago di Pilato, nei Monti Sibillini, e due narrazioni di
grande fama e successo che descrivono due specifici viaggi in regioni
oltremondane: la leggenda della Sibilla Cumana, con il Lago d'Averno e
l'oscura grotta in grado di permettere il passaggio al mondo dei morti, e la
leggenda del Purgatorio di San Patrizio, che pone in scena un ulteriore lago,
Lough Derg, e un'altra sinistra grotta. Abbiamo potuto notare come siano
presenti alcune ricorrenti contaminazioni narrative, che collegano le tre
differenti leggende, seppure mutuamente scorrelate, nella forma di un
visibile trasferimento di temi e situazioni narrative dagli illustri e meglio
noti racconti cumano e irlandese verso un racconto italiano che pare essere
caratterizzato da alcuni tratti geografici e narrativi particolarmente simili,
benché posti all'interno di una diversa ambientazione e malgrado la
completa indipendenza dalle narrazioni leggendarie di Lough Derg e Cuma.
L'ipotesi risultante, e di grande rilevanza, che si è venuta producendo a
valle di quest'ultimo lavoro di ricerca è quella di un leggendario punto di
passaggio verso una qualche tipologia di Aldilà che potrebbe essere stata
localizzata, da un'antica tradizione che ha lasciato alcuni deboli segni nella
letteratura a noi nota, tra i picchi degli Appennini centrali. E i punti di
riferimento geografico relativi a questo mitico accesso sarebbero associati,
proprio come a Cuma e a Lough Derg, allo stesso genere di elementi
naturali, un lago e una grotta: anch'essi marcherebbero dunque una sorta di
leggendario 'hot spot' posto sulla superficie del mondo, un punto dove
sarebbe situato un mitico punto di transito.
In questo contesto di ricerca, assai promettente, numerose questioni
rimanevano ancora irrisolte: perché questo sito Appenninico avrebbe
dovuto essere considerato come un ulteriore punto di passaggio verso un
Aldilà? Se la nostra ipotesi era corretta, a quale tipologia di Aldilà si
sarebbe ottenuto l'accesso? Quale genere di sogni sinistri sarebbero stati
concepiti dagli uomini presso quel Lago e quella Grotta posti sulle
montagne degli Appennini, nell'Italia centrale?
4
Quale leggenda viveva in quest'area prima che i leggendari racconti
medievali che narravano di una Sibilla e di Ponzio Pilato venissero a
stabilirsi proprio qui?
Nel presente - e conclusivo - articolo, andremo a delineare il carattere di
quell'Aldilà che, secondo la nostra investigazione letteraria, filologica e
scientifica, si credeva potesse forse esistere al di sotto delle cime elevate
dei Monti Sibillini.
Vogliamo ribadire con forza come la congettura che stiamo per proporre in
merito al racconto leggendario riguardante i Monti Sibillini debba essere
considerata come un'ipotesi basata su considerazioni scientifiche e fondata
su un approccio del tutto scientista, non essendo macchiata da alcuna
suggestione fantastica o esotica (come, ad esempio, presenze aliene dallo
spazio profondo, complotti templari, esoterismo, astrologia, alchimia,
allineamenti stellari, geomagnetismo, rabdomanzia e altri concetti arcani
e/o pseudoscientifici).
Nondimeno, l'ipotesi che stiamo per enunciare nel presente articolo di
ricerca costituisce fondamentalmente una congettura, per quanto scientifica
essa possa risultare: deve dunque essere considerata come una proposta di
soluzione al leggendario mistero connesso alla presenza di straordinari miti
nel territorio dei Monti Sibillini. In quanto tale, la nostra congettura può
essere certamente sottoposta ad analisi critica, per un'approfondita
valutazione dei caratteri di ragionevolezza e plausibilità, una valutazione
che dovrà essere effettuata da studiosi e ricercatori interessati a compiere
questo tipo di analisi.
Dunque, cominciamo a costruire la nostra soluzione a questo rompicapo:
un leggendario Aldilà immaginato dagli uomini in tempi molto antichi, un
regno ctonio localizzato al di sotto dei bastioni dei Monti Sibillini,
nell'Italia centrale.
Ma prima di procedere con l'illustrazione delle nostre conclusioni,
vogliamo presentare al lettore un riepilogo delle congetture che sono state
elaborate, nel corso di più di centocinquanta anni, da filologi, ricercatori e
anche scrittori e saggisti, in merito alla potenziale origine dei racconti
leggendari connessi alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato. Vedremo
come ci si troverà a viaggiare attraverso le più variegate ipotesi,
5
speculazioni e congetture, nel tentativo risoluto ma anche in qualche modo
frenetico di svelare la vera ragione del peculiare carattere che queste
montagne sembrano manifestare attraverso i secoli, con una significativa
presenza di straordinarie narrazioni leggendarie la cui origine sembra
volere eludere ogni tentativo di pervenire a una più profonda comprensione
dell'intera, affascinante tradizione.
Fig. 1 - L'Italia e i Monti Sibillini, una porzione della catena appenninica
Una comprensione che noi saremo, invece, in grado di raggiungere con la
presentazione della nostra congettura relativa alla presenza di una
leggendaria regione oltremondana.
Ma, prima, iniziamo il nostro viaggio con le numerose ipotesi che sono
state già proposte nei secoli e nei decenni del passato.
2. La lunga traversata in cerca della verità
2.1 Studiosi ottocenteschi alla ricerca delle origini del mito
Dopo la rivoluzione francese e con l'avvento di un'era di progressi
scientifici e tecnologici, i Monti Sibillini e le sue strane leggende non
6
furono più al centro di alcuna diffusa, generale attenzione. Nondimeno,
malgrado la scarsa rinomanza che caratterizzava sia quelle remote
montagne italiane che i bizzarri racconti che in esse vivevano, una
manciata di studiosi ed eruditi, specialmente di origine italiana o comunque
stabilitisi in Italia, continuò a mantenere acceso l'interesse per queste
curiose narrazioni.
Il primo tentativo di affrontare su basi filologiche la questione relativa alla
possibile origine del racconto leggendario che narrava della Grotta della
Sibilla fu condotto da uno studioso e diplomatico tedesco, Alfred von
Reumont, Segretario della Legazione Prussiana in Firenze e Roma nel
corso della metà del diciannovesimo secolo. Nel 1880 egli pubblicò i propri
Saggi di storia e letteratura, redatti in lingua italiana, nei quali ebbe
l'occasione di trascrivere il testo di una conferenza da lui stesso tenuta a
Firenze nove anni prima, dal titolo Il Monte di Venere in Italia. Per la prima
volta, dopo più di due secoli di oblio, la Sibilla Appenninica veniva fatta
oggetto di un'analisi avente carattere scientifico:
Fig. 2 - Il saggio di Alfred von Reumont sul Monte Sibilla, dal suo volume Saggi di storia e letteratura
(Firenze, 1880), p. 378-394
7
«La Valle della Nera, il cui capoluogo è Norcia, giace a settentrione
dell'altopiano reatino [...] Invano si chiede donde a quel paese solitario e
tra' monti nascosto [...] sia venuta questa fama di negromanzia, nemmeno
oggi spenta. [...] Non trovo nemmeno donde derivi il nome di Monte della
Sibilla [...] I luoghi di Virgilio [...] non hanno a che fare con queste
località».
Reumont aggiunge che nel territorio di Norcia si trova anche un Lago, a
proposito del quale egli riferisce che «presso il popolo gli è rimasto il nome
di Pilato, e la credenza di non aver fondo, ma di dar adito al mondo
sotterraneo»: una prima menzione del carattere ctonio e oltremondano del
Lago, un argomento che costituisce anche l'oggetto specifico del presente
lavoro di ricerca.
Ma Reumont, erudito di origine tedesca, che nel proprio articolo non
trascura di citare i molteplici riferimenti letterari alla Grotta della Sibilla e
al Lago di Pilato, includendo nella propria elencazione il Guerrin
Meschino, Antoine de la Sale, Leandro Alberti, Arnold di Harff e molti altri
autori che già conosciamo, non poteva che concludere il proprio intervento
con una appassionata esortazione indirizzata a tutti gli studiosi d'Italia:
«Con questo pongo fine ai presenti cenni. Sarò lieto se ad essi toccherà la
sorte d'invitare un erudito Italiano ad occuparsi di un argomento, il quale
non si potrà pienamente illustrare se non col diligente confronto delle
tradizioni locali».
Più di venti anni dopo, il suo invito sarà finalmente accolto. Nel 1893,
Arturo Graf, letterato italiano e professore presso l'Università di Torino,
pubblica il suo Miti, leggende e superstizioni del medioevo, nel quale egli
inserisce un saggio relativo a Un monte di Pilato in Italia.
Cosa riferisce, Arturo Graf, a proposito dei Monti Sibillini? Nel suo
articolo, egli ripercorre brevemente l'atmosfera leggendaria che circonda
questa regione degli Appennini; eppure, egli non può che dichiarare di non
essere in grado di proporre alcuna congettura ragionevole in merito
all'origine delle due leggende, ormai quasi del tutto dimenticate:
«I monti e il lago di Norcia avevano un'antica riputazione diabolica e
magica diffusa per tutta l'Italia. Quivi ponevasi un antro della Sibilla, che
8
diè luogo a leggende molto simili a quelle sorte in Germania intorno al
Monte di Venere; quivi ancora si raccolse la leggenda di Pilato [...] Quando
la leggenda norcina di Pilato sia nata io non so, vorrei affermare che
qualche concorso di elementi o qualche suggestione non le sieno venuti
d'oltr'alpe. Essa ha perduto ormai ogni celebrità, e appena ne rimase
qualche vestigio tra il popolo di quella provincia [...] sono ben pochi coloro
che conoscano l'esistenza di un monte e di un lago di Pilato fra gli
Apennini, nel cuore d'Italia».
Fig. 3 - L'articolo di Arturo Graf' sul Lago di Pilato, dal suo volume Miti, leggende e superstizioni del
medioevo (Torino, 1893), p. 143-166
Arturo Graf non può che registrare il fatto che le leggende che
raccontavano della presenza di Ponzio Pilato e di una Sibilla in una regione
montuosa dell'Italia centrale non fossero altro che una pallida ombra di ciò
che esse avevano incarnato un tempo. Nelle note aggiuntive al proprio
articolo, egli riferisce le parole a lui indirizzate per lettera da Vincenzo
Ghinassi, uno studioso locale, professore presso il Regio Liceo di Spoleto:
9
«Le immaginose e paurose leggende di altri tempi si vanno scolorando,
attenuando e perdendo anche tra i volghi, e nelle più recondite vallate, loro
ultimo asilo [...] Tra il popolo s'è perduto il ricordo della leggenda antica, e
che a spiegar quel nome un'altra immaginazione si produsse, assai poco
acconcia, a dir vero».
Fig. 4 - Le informazioni fornite da uno studioso locale a proposito delle deboli tracce della leggenda
ancora persistenti tra le genti del luogo alla fine del diciannovesimo secolo, così come riferite da Arturo
GRaf nel suo Miti, leggende e superstizioni del medioevo (Torino, 1893), p. 165
Ghinassi, come riferito da Arturo Graf, racconta che le menti semplici degli
abitanti della regione parevano avere ingenuamente subìto le impressioni
prodotte in loro da un certo numero di fattori evocativi: la desolata Grotta
della Sibilla; le acque rosseggianti del Lago al tramonto; la presenza di una
non meglio specificata erba spontanea in forma di mani umane, come le
mani inchiodate di Nostro Signore; e il Lago stesso, abitato da «pesci di
forme stranissime», probabilmente la più risalente osservazione della
presenza, in quelle acque montane, del famoso Chirocephalus Marchesonii,
il piccolo crostaceo che ivi dimora, «una reminiscenza affievolita degli
antichi demonii».
E dunque, i primi tentativi effettuati da un pugno di eruditi per spiegare
l'origine delle leggende che abitano tra i Monti Sibillini potevano
solamente condurre a conclusioni del tutto parziali e assolutamente
preliminari: nulla era noto a proposito di questi miti, perché nessuno studio
scientifico era stato mai tentato in relazione a queste leggendarie
narrazioni, un tempo assai famose e oggi cadute nell'oblio.
10
Sarebbe stato necessario intraprendere un nuovo sforzo di ricerca, che fosse
basato su nuove metodologie scientifiche. Il tempo era giunto perché alcuni
illustri e celebrati filologi si accingessero a salire i ripidi pendii del Monte
Vettore e del Monte Sibilla, perduti nella lontana regione dei Monti
Sibillini.
2.2 Due eminenti filologi tra gli Appennini
«Si usa chiamare ancor oggi con il nome di Monte della Sibilla una delle
cime dell'Appennino centrale, e tutto il piccolo massiccio che lo circonda
[...] ne ha ricevuto il nome di Monti Sibillini. [...] Non lontano da lì si trova
parimenti il 'lago di Pilato'».
[Nel testo originale francese: «On appelle ancore aujourd'hui Monte della
Sibilla un des sommets de l'Apennin central, et tout le petit groupe qui
l'entoure [...] en a reçu le nom de Monti Sibillini. [...] Non loin de se
trouve également le 'lac de Pilate'...»].
Fig. 5 - L'articolo scritto da Gaston Paris a proposito del Monte Sibilla incluso nel suo volume Légendes
du Moyen Age (Parigi, 1903), p. 79-109
11
È questa l'apertura del saggio Il Paradiso della Regina Sibilla (Le Paradis
de la Reine Sibylle) che è contenuto nel volume Leggende del medioevo
(Légendes du Moyen Age) pubblicato nel 1903 da un grande filologo
francese, Bruno Paulin Gaston Paris, professore di filologia tedesca e
romanza, illustre studioso di letteratura medievale, nonché membro esimio
dell'Académie Française.
Nel proprio articolo, Gaston Paris analizza la vita e le opere di Antoine de
la Sale, con specifico riferimento alla sua quattrocentesca descrizione del
regno della Sibilla posto all'interno di una grotta sulla vetta dell'omonimo
monte.
Si trattava solamente di una fredda, spassionata ricerca filologica avente ad
oggetto un resoconto manoscritto che narrava di un curioso viaggio al
centro dell'Italia effettuato nel corso del medioevo? Niente affatto.
Perché, trenta anni prima, un giovane Gaston Paris era già stato catturato
dal magico incantesimo della Sibilla Appenninica. E, poco prima del
volgere del secolo, egli aveva avuto l'opportunità di realizzare il proprio
sogno: aveva viaggiato personalmente attraverso l'Italia per esplorare
quegli stessi luoghi nei quali Antoine de la Sale aveva ambientato il proprio
meraviglioso racconto:
«E quindi la Sibilla, di recente, ha ricevuto dei pellegrini. [...] Mi ero
ripromesso sin da allora di andare a visitare la grotta misteriosa [...] Ho
potuto realizzare questo progetto nel giugno del 1897; ma, che peccato! [...]
sono stato [...] 'respinto dal vento'. La Sibilla, temendo senza dubbio una
mia investigazione troppo indiscreta, si è avviluppata tra le brume e si è
difesa per mezzo di un gelido alito».
[Nel testo originale francese: «La Sibylle a pourtant récemment revu des
pélerins. [...] Je m'etais promis dès lors d'aller visiter la grotte mysterieuse
[...] J'ai réalisé ce project en juin 1897; mais, hélas! [...] j'ai été [...]
'repoussé par le vent'. La Sibylle, craignant sans doute une investigation
indiscrète, s'est énveloppée de brume et s'est défendue par un souffle
glacé»].
12
Nel suo avventuroso viaggio, egli era stato accompagnato da un altro
illustre filologo italiano, Pio Rajna, che andremo presto a conoscere.
Gaston Paris, il membro più anziano di quella coppia di eruditi, non poté
però raggiungere la cima della Sibilla; nondimeno, la sua presenza
nell'Italia centrale, tra quei remoti picchi dell'Appennino, testimonia
dell'avvento di un'era di rinnovata attenzione e notorietà, una condizione
che le leggende dei Monti Sibillini avrebbero esperimentato negli anni
successivi.
In questa occasione, Gaston Paris non fu in grado di individuare alcuna
specifica ragione per la quale quelle leggende fossero presenti in quella
particolare, isolata porzione d'Italia. Egli, infatti, ebbe la possibilità di
raccogliere solamente ingenui racconti a proposito di fate e danze
fiabesche, così come a lui riferito dai poveri abitanti di Castelluccio di
Norcia:
«Spesso [...] si potevano vedere le fate danzare sui prati, e queste
apparizioni, per quanto assai graziose alla vista, gettavano nell'animo un
vago terrore [...] Talvolta, inoltre, ma è lecito dubitarne, le fate erano state
viste mescolarsi ai salterelli che i villici delle montagne danzavano la sera
al suono delle 'zampogne'. [...] Questa credenza è tutto ciò che sono riuscito
a raccogliere nella zona che possa ricordare l'antica leggenda, e, come si
può notare, non la ricorda che di molto lontano: tale favola si riaggancia
piuttosto alle tradizioni antiche sulle danze delle ninfe, e si ritrova tale e
quale in molte regioni presso le quali non è rinvenibile alcuna storia a
proposito di paradisi sotterranei».
[Nel testo originale francese: «Souvent [...] on voyait les fées danser sur les
prairies, et ces apparitions, toutes gracieuses qu'elles fussent, jetaient dans
l'âme une vague terreur [...] Parfois même - mais cela était douteux - on
avait vu les fées se mêler aux salterelli que les villageois des montagnes
mènent le soir aux sons des 'zampogne'. [...] Cette croyance est tout ce que
j'ai recueilli dans le pays qui puisse rappeler l'ancienne légende, et, comme
on voit, elle ne la rappelle que de très loin: elle se rattache plutòt aux
traditions antiques sur les danses des nymphes et se retrouve telle quelle
dans beaucoup de pays l'on ne connait pas d'histoire de paradis
souterrain»].
13
Fig. 6 - Il passaggio relativo alle fate danzanti tratto dal saggio di Gaston Paris (p. 104 and 105)
Gaston Paris morirà nel 1903, solamente sei anni dopo l'effettuazione della
sua visita presso i Monti Sibillini. E così, fu il suo amico e collega italiano,
Pio Rajna, che si incaricherà di proseguire l'affascinante ricerca che il
filologo francese aveva voluto cominciare.
Pio Rajna, originario dell'Italia settentrionale, era un illustre filologo e
studioso, professore presso le Università di Milano e Firenze, membro
dell'eminente Accademia Nazionale dei Lincei e futuro senatore del Regno
d'Italia. Egli era anche un provetto scalatore, un'abilità da lui acquisita nel
corso delle lunghe escursioni effettuate tra le native Alpi. Così, il 23 giugno
1897, mentre il suo amico Gaston Paris rimaneva in attesa a Castelluccio,
Pio Rajna affrontava un'ardua e infruttuosa scalata al picco del Monte
Sibilla, immerso in una nebbia così fitta da rendere quasi cieco sia lui che
la sua guida locale. Una seconda e più fortunata ascensione veniva condotta
da Rajna il 13 agosto, partendo questa volta dal villaggio di Montemonaco.
La salita veniva seguita da ulteriori escursioni, effettuate nei giorni seguenti
e poi nel successivo anno 1898.
Dell'emozionante avventura vissuta da Pio Rajna in quella remota regione
degli Appennini, egli stesso ci ha lasciato un vivace, affascinante resoconto
nell'articolo Nei paraggi della Sibilla di Norcia, incluso nel volume Studii
dedicati a Francesco Torraca nel XXXVI anniversario della sua laurea
(1912). Ma l'appassionato filologo, in cerca di una verità che
14
sfortunatamente era già andata perduta molti secoli prima, poté recuperare
solamente gli stessi inutili, ingenui racconti che anche Gaston Paris aveva
potuto udire tra i villici del luogo:
Fig. 7 - Il resoconto vergato da Pio Rajna a proposito della sua visita presso i Monti Sibillini così come
riportato nel volume Studii dedicati a Francesco Torraca nel XXXVI anniversario della sua laurea
(Napoli, 1912), p. 233-253
«A Pretara [...] si crede che al tempo dei vecchi le fate, uscite dalla grotta,
venissero tra gli abitanti a ballare, non distinguibili da altro segno, che per
uno scricchiolare delle ginocchia, pari a quello delle capre. [...] Di S.
Leonardo si dice che le fate ci venissero a stendere i panni. [...] Pilato nelle
sue apparizioni al lago si lava le mani nel lago stesso».
I fantasmi dei Monti Sibillini continuarono a vivere nel cuore di Pio Rajna
fino alla sua morte, nel 1930, quando ancora egli manteneva relazioni con
Domenico Falzetti, Fernand Desonay e Giuseppe Moretti, tutti impegnati
nelle nuove attività di scavo sulla vetta del Monte Sibilla. Egli si stava
15
anche occupando di «un problematico libro sulla Sibilla», un'opera che non
riuscirà mai a completare.
Quali informazioni poté recuperare, Pio Rajna, o cosa riuscì egli a
immaginare in merito alla possibile origine della leggenda della Grotta
della Sibilla?
Sfortunatamente, la sua indagine risultò essere infruttuosa. Malgrado ciò,
Pio Rajna, completamente catturato dall'incanto dei luoghi e delle leggende
che dimoravano, scrisse parole che non si collocano troppo lontano da
quella verità che stiamo per illustrare, seppure in forma di congettura, nel
presente articolo di ricerca:
«Sede e tempio agli dèi furono nelle età remote le sommità dei monti [...]
D'altra parte erano sacre le caverne; sacre perché misteriose e tali da parer
adito a regni oltramondani. Si cumulino insieme le due condizioni e si veda
che cosa abbia da resultarne. [...] La grotta della Sibilla ha la prerogativa
singolarissima d'essere situata propriamente alla cima. E quella cima,
rispettabile già per l'altezza sua di oltre due migliaia di metri, ha la
caratteristica ancor più singolare di parer cinta da una corona, ossia da un
simbolo significativo in grado sommo in tutta la storia dell'umanità. Ed
anche una benda sacerdotale, un simbolo di santità, ben si poteva vedere
nella fascia di roccia».
Fig. 8 - Il brano relativo alla potenziale origine della leggenda del Monte Sibilla tratto dall'articolo di Pio
Rajna (p. 252)
Un ingresso verso regioni oltremondane. Un passaggio verso un Aldilà. Pio
Rajna, benché sfortunato quanto agli esiti della propria ricerca, comincia a
cogliere l'immagine di una possibile soluzione all'enigma che abita tra i
Monti Sibillini. Perché, egli aggiunge, non può evitare di albergare nel
proprio cuore «il pensiero che la caverna della Sibilla sia stata un luogo di
16
culto ben prima che Roma distendesse su quella regione il proprio
dominio».
In questo significativo passaggio, il filologo italiano non menziona mai
Ponzio Pilato e il suo Lago. Difatti, sia nel pensiero di Gaston Paris che in
quello di Pio Rajna, il Lago di Pilato pare essere solamente una sorta di
anomalia, un racconto bizzarro e inconferente, posto completamente in
ombra dalla presenza di una ben più illustre narrazione sibillina, così come
appare chiaramente dalle parole scritte dal filologo francese:
«Il nome di questo lago si ricollega anch'esso a una leggenda curiosa, ma
del tutto estranea a quella della quale mi sto occupando qui. [...] Né Pilato
i negromanti hanno nulla a che fare con la loro vicina Sibilla. È solo di
essa che io voglio in questo momento raccontare qui».
[Nel testo originale francese: «Le nom de ce lac se rattache aussi à une
légende curieuse, mais entièrement étrangère à celle dont je m'occupe ici.
[...] Ni Pilate ni les nécromants n'ont rien à faire avec leur voisine la
Sibylle. C'est d'elle seule que je veux présentement parler»].
Dunque, i due filologi stanno ancora trascurando un punto assai importante,
connesso al manifesto carattere oltremondano del Lago di Pilato, un tratto
non differente dal medesimo aspetto che caratterizza anche la Grotta.
Nondimeno, alla fine del diciannovesimo secolo i due scienziati, con la loro
ardita visita presso i Monti Sibillini, aprirono la via a un rinnovato interesse
nei confronti dei racconti leggendari che abitavano quel lontano territorio.
«Chi vivrà vedrà», scriveva Pio Rajna concludendo il proprio articolo.
E il tempo, ormai, è effettivamente arrivato.
Ma il nostro viaggio attraverso gli studi e le ricerche condotte in passato
sull'origine delle leggendarie narrazioni dei Monti Sibillini non è ancora
giunto a conclusione.
Perché altri eruditi erano al lavoro, in quello stesso periodo, sul Monte
Sibilla e sulla sua Grotta. Essi volevano investigare un'ulteriore
connessione. E il nome di quella connessione era 'Tannhäuser'.
17
2.3 Un'appassionata contesa intorno a Tannhäuser
In quello stesso anno, il 1897, mentre Gaston Paris e Pio Rajna esploravano
insieme i Monti Sibillini in cerca di un'antica leggenda, quella stessa
remota porzione degli Appennini, dopo un lungo periodo di oblio, stava
ritornando a essere oggetto di ulteriore attenzione. Un'attenzione che si
stava mutando in una sorta di contesa tra eruditi. E nel cuore della contesa
si trovava un antico cavaliere tedesco: Tannhäuser.
Fig. 9 - L'articolo scritto da Werner Söderhjelm sul Monte Sibilla e Tannhäuser incluso nelle Mémoires de
la Société Néo-philologique à Helsingfors (Helsingfors, 1897), Vol. II, p. 101-167
La leggenda di Tannhäuser, con il suo cavaliere imprigionato all'interno del
magico regno di 'Venusberg', la montagna di Venere, mostrava evidenti
somiglianze con la narrazione relativa a una sensuale Sibilla Appenninica,
nascosta all'interno di un picco dell'Italia centrale. In quell'anno, Werner
Söderhjelm, un linguista di origine finlandese, pubblicò un articolo proprio
su questo argomento, dal titolo Antoine de La Sale et la légende de
18
Tannhäuser. Lo studioso nordeuropeo intendeva sottolineare i comuni temi
letterari che risultavano essere presenti in entrambe le narrazioni, un fatto
assai evidente ma anche del tutto trascurato, in quanto «non è stato ancora
segnalato che di sfuggita nella ricerca letteraria» («mais qui n'a encore été
signalée qu'en passant dans la littérature»), un riferimento ai lavori di
Alfred von Reumont e Arturo Graf.
Dopo avere effettuato un'attenta ricognizione delle due leggende, in parte
basata sull'articolo pubblicato quattro anni prima da Arturo Graf,
Söderhjelm concluse che la descrizione fornita da Antoine de la Sale a
proposito dei cavalieri che si recavano in visita alla Sibilla in Italia
«contiene elementi che non sono reperibili in alcuna delle versioni italiane
[della leggenda], e che sono, al contrario, caratteristiche della leggenda
tedesca» («contient des choses qui ne se retrouvent dans aucune version
italienne mais qui sont, au contraire, caractéristiques de la légende
allemande»).
Così, secondo Söderhjelm, la Sibilla Appenninica, il Monte Sibilla e la
maggior parte della leggenda italiana erano di derivazione germanica, con
Tannhäuser nel ruolo di fonte primaria.
Sappiamo oggi, da una dettagliata analisi condotta nel nostro precedente
articolo Nascita di una Sibilla: la traccia medievale, che il tema letterario
che narra di un regno nascosto governato da una sensuale regina trova
origine in elementi cavallereschi contenuti nella Materia di Bretagna e nel
ciclo arturiano, con Morgana la Fata e Sebile in qualità di personaggi
principali: in questo contesto, possiamo ipotizzare come sia il Monte Sibilla
che il Venusberg di Tannhäuser accogliessero nelle proprie narrazioni i
medesimi elementi fondamentali, tratti dalla stessa fonte comune, da
rintracciarsi nella Materia di Bretagna, con un successivo mescolamento
dei racconti concernenti le due differenti montagne. I due racconti sono
così simili proprio perché traggono origine dalla stessa leggendaria radice.
Ma alla fine del diciannovesimo secolo, la controversia che verteva sulla
supremazia che avrebbe dovuto essere riconosciuta a una leggenda italiana
oppure a un mito germanico stava scatenando una serie di dispute
particolarmente erudite. E il Monte Sibilla poteva così collocarsi
esattamente al centro di una litigiosa attenzione che stava coinvolgendo
numerosi studiosi, anche particolarmente illustri, provenienti da vari Paesi.
19
Gaston Paris rispose alla posizione esplicitata da Söderhjelm con un
proprio articolo, La légende du Tannhäuser, inserito nel suo volume
Légendes du Moyen Age pubblicato nel 1903. Con questo contributo, il
filologo francese sostiene l'idea opposta, secondo la quale il racconto di
Tannhäuser non è che l'adattamento tedesco della leggenda sibillina
italiana, perché la visione contraria proposta dallo studioso finlandese
«sollevava non poche difficoltà» («cette hypothèse soulève de grandes
difficultés»):
Fig. 10 - L'articolo scritto da Gaston Paris su Tannhäuser, dalle Légendes du Moyen Age (Parigi, 1903), p.
113-145
«La leggenda di Tannhäuser, così come essa apparve in Germania nel
quindicesimo e sedicesimo secolo, non è dunque affatto di origine
germanica; essa, invece, risale alla leggenda del 'Monte della Sibilla', della
quale noi possiamo constatare l'esistenza in epoca ben più antica».
[Nel testo originale francese: «La légende de Tannhäuser, telle qu'elle
apparait en Allemagne au quinzième et au seizième siécles, n'est donc pas
d'origine allemande; elle remonte à la légende du 'Monte della Sibilla', dont
nous pouvons constater l'existence à une époque bien plus ancienne»].
20
L'ambiente dei filologi si andava riscaldando. E un nuovo studioso discese
nell'arena, Heinrich Dübi, filologo svizzero nonché esperto scalatore. Nel
1907 egli scrive un lungo articolo dal titolo Tre leggende dell'Alto
Medioevo nel loro viaggio dall'Italia alla Germania attraverso la Svizzera
(Drei spätmittelalterliche Legenden in ihrer Wanderung aus Italien durch
die Schweiz nach Deutschland). E, incredibile a dirsi, due delle tre
leggende analizzate da Dübi sono relative proprio ai Monti Sibillini.
Nella prima parte del suo articolo, Dal prefetto Pilato (Vom Landpfleger
Pilatus), Dübi ripercorre la leggenda medievale connessa ai molteplici
luoghi di sepoltura del cadavere maledetto di Ponzio Pilato, includendo
anche un'ampia trattazione relativa al Lago di Pilato, nei Monti Sibillini,
proponendo inoltre esaustivi riferimenti al Monte Sibilla e al racconto
riferito da Antoine de la Sale, traendo spesso informazioni e citazioni
dall'articolo vergato da Arturo Graf nel 1893.
La terza sezione dell'articolo di Dübi è dedicata, nuovamente, al Monte
Sibilla e alla sua relazione con la leggenda di Tannhäuser. Proponendo
un'osservazione assai significativa e mai segnalata in precedenza, egli
presenta una citazione tratta da un famoso brano scritto da un canonico
svizzero, Felix Hemmerlin, il quale, nella propria opera De Nobilitate et
Rusticitate Dialogus, scritta nel 1444, stabilisce un collegamento diretto e
inequivocabile tra il Monte Sibilla e il Venusberg germanico, sostenendo di
avere ottenuto questa informazione proprio nel corso di un soggiorno in
Italia:
«Inizio con il considerare l'ecclesiastico di Zurigo Felix Hemmerlin, detto
anche 'Malleolus', essendo la sua testimonianza la più antica, e alludendo
egli assai chiaramente al legame tra le due leggende. In effetti, [...] egli si
riferisce [...], nel suo dialogo tra il nobile e il contadino, alle analogie con il
Venusberg. Questo brano, scritto in un latino abbastanza barbaro, inizia in
questo modo: 'Vicino alla città di Norcia e al castello di Montefortino si
trova il Monte Sibilla' [...]. Come Hemmerlin ha potuto sapere da coloro
che hanno familiarità con la zona, queste montagne sono piene di grotte e
cavità che raggiungono l'interno della montagna attraverso passaggi
impraticabili. Quella montagna è chiamata Venusberg perché Venere,
moglie di Vulcano, la rende inseparabile dal fuoco. In queste grotte
dimorano esseri demoniaci, Incubi e Succubi, sotto forma di leggiadre
damigelle che seducono gli uomini venuti da lontano».
21
Fig. 11 - L'articolo di Heinrich Dübi dal titolo Vom Landpfleger Pilatus tratto dal suo saggio Drei
spätmittelalterliche Legenden in ihrer Wanderung aus Italien durch die Schweiz nach Deutschland
incluso in Zeitschrift des Vereins für Volkskunde (Berlino, 1907), p. 42 e 45-65
[Nel testo originale tedesco: «Ich beginne mit dem Züricher Chorherrn
Felix Hemmerlin oder Malleolus, weil sein Zeugnis das älteste ist und er
am deutlichsten den Zusammenhang beider Sagen zu ahnen scheint. In der
Tat verweist [...] seines Dialogs zwischen dem Edelmann und dem Bauern
über die ähnlichen Erscheinungen am Venusberg berichtet habe. Dieser in
ziemlich barbarischem Latein abgefasste Bericht lautet in Kürze
folgendermassen: 'Nahe bei der Stadt Norcia und dem Kastell
'Montifortino' liegt der Sibyllenberg. [...] Wie Hemmerlin deutlich gesehen
und von Ortskundigen erfahren hat, sind diese Berge voll von Höhlen und
Grotten, die bis ins Innere des Berges reichen, und unpassierbaren Gängen.
Der Berg heisst gemeiniglich Venusberg, weil Venus, die Gattin des
Vulcan, hier ihr vom Feuer unzertrennliches Wesen treibt. In diesen Grotten
sind dämonische Wesen, Incubi und Succubi, in der Gestalt schöner
Weiber, die von irgendwoher gekommene Männer betören»].
22
Fig. 12 - L'articolo di Heinrich Dübi intitolato Frau Vrene und der Tannhäuser tratto dal suo saggio Drei
spätmittelalterliche Legenden in ihrer Wanderung aus Italien durch die Schweiz nach Deutschland
contenuto in Zeitschrift des Vereins für Volkskunde (Berlino, 1907), p. 249-264
Con questo passaggio contenuto nel proprio saggio, Dübi accoglie la meno
nota tradizione leggendaria relativa al Monte Sibilla nella ben più famosa e
assai illustre narrazione poetica che riguarda la leggenda tedesca di
Tannhäuser. Ma egli si spinge ancora più oltre, perché il filologo svizzero
sceglie di aderire alla teoria che ipotizza un'origine italiana per il racconto
tedesco:
«Ritengo che questo brano, finora passato quasi inosservato e risalente agli
anni 1410-13, possa molto chiaramente dimostrare che la leggenda di
Tannhäuser nel Venusberg [...] si sviluppò in Italia all'inizio del
quattordicesimo secolo e da lì, attraverso la Svizzera, pervenne in
Germania».
[Nel testo originale tedesco: «Diese bisher fast unbeachtete Erzählung,
welche auf die Jahre 1410 - 13 zurückgeht, scheint mir auf das
allerdeutlichste zu beweisen, dass die Sage von Tannhäuser im Venusberg
[...] um die Wende des 14. Jahrhunderts in Italien ausgebildet war und von
dort durch Vermittlung der Schweiz nach Deutschland gelangte»].
E così la Sibilla Appenninica e la sua montagna italiana vengono a trovarsi
esattamente al centro di un dibattito letterario coinvolgente vari studiosi
appartenenti a diversi Paesi d'Europa.
23
Nel 1908, è il turno di Friedrich Klüge, un altro filologo, stavolta dalla
Germania. Nel saggio Der Venusberg egli rigetta con fermezza l'ipotesi di
una possibile origine italiana della leggenda di Tannhäuser:
Fig. 13 - Il saggio di Friedrich Klüge Der Venusberg, dalla sua opera Bunte blätter (Friburgo, 1908), p.
28-60
«Il racconto leggendario che abbiamo potuto conoscere nel romanzo di
Guerrino e nell'opera di de la Sale non è originario di Montemonaco, il
luogo dove esso è stato raccolto. Viaggiatori di origine tedesca, nel corso
delle proprie visite al famoso Monte Sibilla, devono avere trasportato fin lì
la leggenda di Tannhäuser. E, grazie alle ripetute indagini effettuate dai
Tedeschi in quelle zone, la nostra leggenda relativa a Tannhäuser venne a
stabilirsi gradualmente lì, anche se solo temporaneamente. Ciò che de la
Sale udì laggiù, nel maggio dell'anno 1420, era la leggenda tedesca, che in
effetti narra la storia di un cavaliere proveniente dalla Germania».
[Nel testo originale tedesco: «Die Sagengestalt, die wir im Guerino-Roman
und in la Sales Werk kennen gelernt haben, ist nicht autochthon in
24
Montemonaco, wo man sie erzählte. Deutsche Reisende haben bei ihren
Besuchen auf dem sagenberühmten Monte della Sibilla die deutsche
Tannhäusersage dorthin getragen. Und bei den wiederholten
Nachforschungen, die Deutsche dort anstellten, bürgerte sich allmählich,
wenn auch vorübergehend, unsere Tannhäusersage dort ein. Was la Sale
dort im Mai 1420 erzählen hörte, war die deutsche Sage, wie sie ja auch
von einem deutschen Ritter handelt»].
Ma anche altri studiosi decidono di cogliere l'opportunità per entrare
anch'essi nel dibattito Italia - Germania. Nel 1913 Arthur F. J. Remy,
ricercatore di origine tedesca attivo presso la Columbia University a New
York, pubblica un articolo che intende illustrare lo stato dell'arte in
relazione all'intera questione, con il significativo titolo The origin of the
Tannhäuser-Legend - The present state of the question. E Remy sottoscrive
convintamente l'idea di un'origine germanica per la leggenda italiana:
Fig. 14 -Il saggio The origin of the Tannhäuser-Legend - The present state of the question di Arthur F. J.
Remy's, in The Journal of English and Germanic Philology (Illinois, 1913), Vol. XII, no. 1, p. 32-77
25
«Sicuramente Kluge aveva ragione quando, di fronte a questa evidenza,
egli sostenne l'origine germanica della leggenda di Tannhäuser contro
Gaston Paris, e affermò che il racconto contenuto nella 'Salade' non era che
l'eco di una storia tedesca. [...] Dalle prove fin qui proposte, io deduco che
la leggenda di Venere e della sua favolosa montagna ebbe origine in
Germania attraverso una fusione tra l'idea celtica concernente una sensuale
fata e regina con la tradizione tedesca dei regni nanici e delle corti imperiali
poste all'interno di montagne. In Germania questa fiaba avrebbe assunto in
modo naturale la forma di un paradiso collocato in una collina cava. La fata
fu chiamata Venere perché la dea pagana risultava essere assolutamente
familiare grazie alla poesia goliardica e a quella dei Minnesänger. [...]
Siamo dunque perfettamente giustificati se guardiamo alla leggenda del
Tannhäuser come a una leggenda germanica».
[Nel testo originale inglese: «Surely Kluge was right, when, in view of this
evidence, he asserted the German origin of the Tannhäuser legend against
Gaston Paris, and claimed that the account in the 'Salade' was but an echo
of the German story. [...] From the evidence thus far presented I infer that
the legend of Venus and her fabled mountain arose in Germany thru a
fusion of the Celtic conception of the amorous fairy-queen with the
German traditions of dwarf-kingdoms and imperial courts in the interior of
mountains. In Germany faerie would most naturally assume the shape of a
hollow-hill paradise. The fay was called Venus because the heathen
goddess was thoroughly familiar from the poetry of the Minnesingers and
the Goliards. [...] We are therefore perfectly justified in regarding the
legend of Tannhäuser as a German legend»].
Un tentativo che intendeva porre termine all'intera questione veniva
compiuto nel 1916 da Philip Stephan Barto, uno studioso statunitense, con
l'esaustivo volume Tannhäuser and the mountain of Venus - A study in the
legend of the Germanic paradise. Anche Barto sceglie di sostenere l'ipotesi
di un'origine tedesca per la leggenda del Monte Sibilla:
«La leggenda germanica a proposito di una sensuale Sibilla che vivrebbe
all'interno di una montagna cava con una corte i cui splendori erano
ottenuti per mezzo di miracolosi poteri costituisce la fonte, forse addirittura
di seconda mano, che l'italiano Andrea da Barberino utilizzò quando egli
volle descrivere la grotta dell'amore situata in prossimità di Norcia. Il
Venusberg è di origine tedesca, e non si tratta altro che di una più tarda
26
denominazione dell'antico paradiso germanico, al quale il primitivo nome
da associarsi era quello di 'Gral'».
[Nel testo originale inglese: «The German legend of an amorous Sibyl
dwelling within a hollow mountain in a court the splendors of which were
maintained by some miraculous agency is the source which the Italian
Barbarino used, even at second hand perhaps, in describing the love grotto
near Norcia. The Venusberg is of German origin and is but a later
appellation for the ancient Germanic paradise to which the first name to be
attached was that of the 'Gral'»].
Dalla Finlandia alla Francia. Dalla Svizzera alla Germania, e poi fino agli
Stati Uniti d'America. All'inizio del ventesimo secolo, il mondo intero
sembra essersi accorto del fatto che un monte dell'Italia centrale, una vetta
perduta nel mezzo dei Monti Sibillini, un massiccio montuoso quasi del
tutto sconosciuto, era segnato da una potente carica mitica, con stretti,
incontestabili legami con leggende di grandissima fama, come la leggenda
tedesca di Tannhäuser e il ciclo narrativo di Re Artù.
Fig. 15 - Il saggio di Philip Stephan Barto dal titolo Tannhäuser and the mountain of Venus - A study in
the legend of the Germanic paradise (New York, 1916)
27
Il Monte Sibilla con la sua Grotta e il vicino Lago di Pilato erano, ancora
una volta, al centro della scena, dopo secoli di sostanziale oblio.
Eppure, nessuno di quegli studiosi, benché coinvolto in una prolissa
diatriba in merito alla vera origine della leggenda di Tannhäuser, si stava
veramente occupando della questione fondamentale, che verteva sulla
genesi delle leggende relative alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato.
Perché il problema non era se Tannhäuser venisse prima del Monte Sibilla,
o viceversa.
Il problema reale, che stiamo per andare a risolvere nella presente ricerca,
era: perché i Monti Sibillini parevano agire come un mitico punto di
riferimento geografico, un 'hot spot' nei confronti di tutto questo materiale
leggendario? La risposta a questa domanda sarà proposta nel corso dei
prossimi paragrafi.
Ma, prima di cominciare ad affrontare questo tema assolutamente
affascinante, dobbiamo ancora proseguire con il nostro riepilogo dei
molteplici tentativi di studiare e analizzare le narrazioni leggendarie che
dimorano tra gli Appennini centrali.
Stiamo entrando nel ventesimo secolo, e alcuni studiosi, non direttamente
coinvolti nell'improduttiva contesa Tannhäuser - Monte Sibilla, inizieranno
a percorrere, anche se con passi esitanti, il sentiero che condurrà alle più
straordinarie scoperte in relazione a queste affascinanti leggende.
2.4 Studiosi sulla pista giusta
In quello stesso inizio di ventesimo secolo, vi erano studiosi che non
stavano prendendo parte all'improduttivo dibattito su dove collocare
l'origine della leggenda relativa a un'incantata montagna dell'amore, se in
Germania o in Italia.
Piuttosto, essi attaccano la leggenda da una direzione differente.
28
Nel 1903, Lucy Ann Paton, una ricercatrice presso il Radcliffe College a
Cambridge, Massachusetts, pubblica il proprio volume Studies in the fairy
mythology of Arthurian romance (Studi nella mitologia delle fate del
romanzo arturiano), in cui si comincia a individuare una specifica
ascendenza per la Sibilla Appenninica, benché in maniera solamente
incidentale all'interno della ricerca della Paton, nell'ambito della Materia di
Bretagna e dei personaggi letterari di Morgana la Fata e della sua
compagna 'Sebile':
«[Nel ciclo arturiano] Sebile non ha una propria storia individuale nei
romanzi che noi possiamo rintracciare [...] ma generalmente essa non è
altro che l'ombra di Morgana. Non c'è da dubitare che questa figura
discenda dalla Sibilla. Antoine de la Sale, nella 'Salade', riferisce una
leggenda popolare da lui appresa nel corso di una visita al Monte Sibilla,
uno dei picchi dell'Appennino in prossimità di Norcia. [...] Questo legame
tra la Sibilla e la regina Sibilla è illustrato in modo ancora più chiaro da
Andrea da Barberino, il quale nel 'Guerrin Meschino' racconta
sostanzialmente la medesima storia, derivata evidentemente da una fonte
comune alla leggenda riferita da Antoine de la Sale. [...] le due fonti si
sostengono l'una con l'altra, Antoine de la Sale ponendo in scena materiale
di origine puramente celtica, e Andrea da Barberino conservando in modo
più marcato il carattere sibillino della fata [...] Entrambe le fonti mostrano
tendenze che sono spesso presenti nelle tradizioni leggendarie medievali
relative alle fate [... con] l'inclusione di elementi tradizionali sia celtici che
classici nei racconti popolari».
[Nel testo originale inglese: «[In the Arthurian cycle] Sebile has no
individual history in the romances that we can trace [...] but as a rule she is
merely a shadow of Morgain. There is little question that she is descended
from the Sibyl. Antoine de la Sale in ' La Salade' repeats a popular legend
that he had learned in a visit to the Mont de la Sibylle, one of the peaks of
the Apennines near Norcia. [...] The connection between the Sibyl and the
queen Sibylle is shown more clearly by Andrea da Barberino, who in
'Guerrino il Meschino' tells substantially the same story, evidently derived
from a common source with the legend reported by Antoine de la Sale. [...]
The two sources supplement each other, Antoine's representing purer Celtic
material, Andrea's preserving more distinctly the Sibylline character of the
fay [...] Both sources show tendencies that are often displayed in mediaeval
29
fairy lore [... with] the merging of Celtic and classical tradition in popular
story»].
Fig. 16 - Il passaggio di Lucy Ann Paton relativo a Sebile contenuto nel saggio Studies in the fairy
mythology of Arthurian romance, Boston, 1903 (pagine 52 e 53, nota a pié di pagina n. 2)
È questa la stessa linea di ricerca da noi sviluppata nel nostro precedente
articolo Nascita di una Sibilla: la traccia medievale: un primo passo, del
tutto obbligato, da compiersi nell'investigazione che intenda occuparsi delle
vera origine delle leggende dei Monti Sibillini, in quanto è proprio questo
passaggio a rendere possibile l'identificazione di uno strato narrativo
addizionale, di origine estranea, che deve essere necessariamente rimosso
se vogliamo mettere in luce il cuore più interno e più vero della leggenda.
Dunque, è Lucy Ann Paton a effettuare la prima mossa, anche se Arthur F.
J. Remy, uno dei ricercatori da noi citati nel precedente paragrafo,
pienamente coinvolto nella contesa filologica attorno a Tannhäuser, non si
dichiarerà d'accordo con la posizione della Paton.
Malgrado ciò, la strada risulta ora aperta verso una nuova visione della
tradizione sibillina. Lo studioso italiano Ferdinando Neri, nel suo Le
tradizioni italiane della Sibilla (1913), scriverà infatti le seguenti parole:
30
«Il paradiso della Sibilla deve allora porsi a riscontro delle terre incantate
[...] Nella poesia cavalleresca è la terra di féerie, il regno di Morgana,
Avalon [...] Sibilla: questo era un nome di fata, e sempre insieme con
Morgana appare [in varie opere cavalleresche]».
Fig. 17 - L'articolo scritto da Ferdinando Neri sulle tradizioni popolari concernenti le Sibille, contenuto
nel saggio Studi Medievali, Vol. IV (193), p. 213-230
E proprio a Ferdinando Neri l'autore della presente ricerca deve rivolgere
un'espressione di gratitudine assai speciale, a motivo di un indizio
fondamentale e di grande acutezza che l'erudito italiano menziona nelle
successive righe all'interno della propria opera:
«Si può procedere nel confronto, ed osservare che le tradizioni di Norcia,
seguite nel Guerino, la Salade, [...] si collegano con un gruppo di fiabe note
nel folk-lore per i temi del 'mondo sotterra' [...]: le porte di metallo, che
battono continuamente, vigilate da leoni, o da mostri...».
31
Fig. 18 - Il brano relativo alle porte di metallo eternamente battenti vergato da Ferdinando Neri nel
proprio saggio (p. 229-230)
È questa la prima traccia che, in relazione alla presenza delle peculiari
porte metalliche eternamente battenti nella descrizione che Antoine de la
Sale offre a proposito della Grotta della Sibilla, ha condotto l'autore della
presente serie di articoli verso l'investigazione di quei meccanismi magici
in eterno movimento che risultano essere descritti in molti romanzi e poemi
cavallereschi: meccanismi caratterizzati da un'illustre ascendenza indietro
nei secoli fino all'Eneide virgiliana e al mito greco delle Simplègadi, in
ambientazioni che sono tipicamente connesse a descrizioni di regioni
oltremondane e di magici regni sotterranei.
L'ipotesi di una discendenza della Sibilla Appenninica italiana dalla
Materia di Bretagna è stata posta in evidenza anche da Walter Pabst, nel
proprio volume Venus und die missverstandene Dido: Literarische
Ursprünge des Sibyllen- und des Venusberges (1955). Il filologo tedesco ha
ipotizzato un passaggio di temi e situazioni tipici della tradizione arturiana
verso l'Italia, a seguito dell'invasione della Sicilia da parte dei Normanni
nell'undicesimo secolo, rilevando la presenza di un poema arturiano
ambientato nell'Italia meridionale, una circostanza letteraria da noi
ampiamente descritta nel nostro precedente articolo Nascita di una Sibilla:
la traccia medievale:
«Il complesso Artù-Morgana, che si insediò in Sicilia contestualmente alla
conquista normanna, ha parzialmente trasformato i propri caratteri da
fiabeschi a demoniaci. [...] Così è anche certo che non furono appassionati
italiani dell'esotico a trapiantare la 'saga' di Morgana in Sicilia, ma soggetti
di origine nordica. Nell'antico poema francese 'Floriant el Florete', l'Etna è
32
[...] considerato come la dimora di Morgana, e la 'materia di Bretagna' è
trasferita presso il vulcano meridionale assieme alla sorella di Re Artù».
Fig. 19 - Il saggio di Walter Pabst dal titolo Venus und die missverstandene Dido: Literarische Ursprünge
des Sibyllen- und des Venusberges (Amburgo, 1955), con una citazione da p. 82
[Nel testo originale tedesco: «Der unter normannischer Herrschaft nach
Sizilien verpflanzte Artus-Morgana-Komplex hat seine märchenhaften
Züge dort teilweise ins Teuflische verkehrt. [...] So ist es auch sicher, daß
nicht Italiener, sondern nordische Exotisten die 'Sage' der Morgana nach
Sizilien verpflanzten. In dem altfranzösischen Gedicht 'Floriant el Florete'
ist [...] der Ätna als Wohnsitz der Morgana bezeichnet, und mit König
Arthurs Schwester wird die 'matière de Bretagne' auf den südlichen Vulkan
versetzt»].
Malgrado ciò, Walter Pabst, così come anche altri ricercatori fino ai nostri
giorni, si trova a trascurare il punto fondamentale relativo alla presenza di
un'ulteriore, potente leggenda posta solamente a pochi chilometri di
distanza dalla Grotta della Sibilla. Il mito che riguarda il Lago di Pilato
viene infatti rimosso, in quanto considerato come una questione secondaria
e sostanzialmente di scarso interesse:
33
«Né l'origine dei negromanti, quella della leggenda di Pilato saranno
oggetto di esame».
[Nel testo originale tedesco: «Hier können weder die Ursprünge der
Nekromanten- noch die der Pilatuslegende untersucht werden»].
In ogni caso, questa nuova e promettente linea di ricerca avente ad oggetto
la Grotta italiana della Sibilla, nel contesto della Materia di Bretagna,
seppure senza che venga preso in considerazione il racconto leggendario
relativo al Lago di Pilato, sarà infine confermata e avallata da un celebre
studioso e illustre professore, una delle maggiori autorità nel campo della
tradizione letteraria del Medioevo, della Materia di Bretagna e del ciclo
arturiano: Roger Sherman Loomis, membro eminente della Columbia
University.
Nel 1959, come abbiamo già avuto modo di illustrare nel nostro precedente
articolo Nascita di una Sibilla: la traccia medievale, Roger S. Loomis
scrive un saggio fondamentale, Morgain la Fée in oral tradition, nel quale
l'illustre studioso sostiene con forza la visione relativa a un trasferimento
letterario della leggenda di Morgana la Fata, e dell'incantatrice Sebile,
verso uno specifico scenario italiano, quello dei Monti Sibillini:
«Il racconto straordinario prodotto all'inizio del quindicesimo secolo da
Andrea da Barberino a proposito della visita di Guerrino il Meschino
presso la dimora della fata Alcina [il nome che rimpiazzerà quello della
Sibilla nell'edizione del 1689 - nota dell'autore] [...] consiste
sostanzialmente nell'elaborazione di una visita presso la dimora di Morgana
la Fata. [...] Benché lo scenario geografico posto su di una montagna in
prossimità di Norcia negli Appennini centrali sia descritto con accuratezza,
il tema principale deve essere stato tratto da qualche versione di una visita
all'incantato palazzo di Morgana [...] La natura di Alcina è ben spiegabile,
dunque, in quanto racchiude aspetti caratteristici di Morgana e della
Sibilla».
[Nel testo originale inglese: «The extraordinary account given early in the
fifteenth century by Andrea da Barberino of the visit of Guerino il
Meschino to the abode of the fay Alcina [the name replacing the Sibyl in
the 1689 edition - editor's note] [...] was actually an elaboration of a visit to
the abode of Morgain la Fée. [...] Though the geographical setting on a
34
mountain near Norcia in the central Apennines was described with
accuracy, the main theme must have been taken from some version of the
visit to Morgain's enchanted palace. [...] In spite of the obvious changes
and literary embellishments, the account of Guerino's visit to the Sibyl's
sensual Paradise is manifestly derived from some version of Morgain's
faery Paradise [...] Alcina's nature is best explained, then, as uniting
characteristic features of Morgain and the Sibyl»].
Fig. 20 - Il saggio di Roger S. Loomis dal titolo Morgain la Fée in oral tradition (da Romania, tomo
LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pagine 337-367)
Questo articolo di primaria rilevanza, una vera pietra miliare nella ricerca, è
rimasto sostanzialmente ignoto ai vari studiosi italiani che si sono occupati
del mito della Sibilla Appenninica nei decenni successivi, non risultando
quasi mai citato nei volumi e negli articoli prodotti in Italia sull'argomento
dopo la sua data di pubblicazione, finché esso non è stato preso
35
nuovamente in considerazione dall'autore del presente articolo nel corso
dell'anno 2019.
Prima, però, di giungere fino ad anni così recenti, dobbiamo ancora
illustrare gli ulteriori contributi alla ricerca sulla tradizione sibillina così
come proposti, alla metà del ventesimo secolo, da altri appassionati
studiosi: un filologo, Fernand Desonay, e un musicista e direttore
d'orchestra originario di Norcia, Domenico Falzetti.
Essi tenteranno di giungere al nucleo più antico della leggenda.
Sfortunatamente entrambi non riusciranno a raggiungere questo obiettivo,
perché gli sforzi da essi effettuati li condurranno verso una direzione errata.
Un vicolo cieco, dopo il quale la ricerca sui Monti Sibillini si troverà
bloccata sul medesimo sterile terreno per molti decenni.
2.5 Cibele, un percorso fallace
È nel corso degli anni 1920 che i tentativi di comprendere il mistero dei
Monti Sibillini si trasformano in un vero e proprio sforzo fisico, con
l'obiettivo di conquistare una via d'accesso ai recessi interni della Grotta
della Sibilla, il cui ingresso era da lungo tempo ostruito e impraticabile.
Uno sforzo che sarebbe risultato solo parzialmente fruttuoso, con gli strati
di durissima roccia che avrebbero sostanzialmente respinto ogni tentativo
di penetrare all'interno delle cavità che, forse, si trovavano al di sotto del
suolo. Inoltre, si trattò di uno sforzo che non contemplò alcuna attività da
condursi presso il Lago di Pilato, il quale era considerato come un contesto
mitico del tutto differente e assai meno affascinante: una valutazione
assolutamente erronea, determinata da un'analisi insufficientemente
approfondita del significato e delle connessioni interne che segnavano
l'intera tradizione leggendaria che abitava tra le vette dei Monti Sibillini.
Anche se esula dagli scopi del presente articolo il ripercorrere le varie
campagne di scavo condotte durante questo periodo, dobbiamo ricordare
come, sulla scia di una rinnovata attenzione nei confronti della Grotta della
Sibilla e del suo antico enigma, squadre di scavatori siano state presenti
sulla vetta del Monte Sibilla negli anni 1920, 1926, 1930, 1945, 1946 e
36
1953, senza contare le numerose attività di scavo illegale, condotte da
cacciatori di tesori, che hanno danneggiato il sito nel corso dei medesimi
anni e anche successivamente.
Tra le figure principali che si occuparono della promozione e
organizzazione di molti dei predetti tentativi, troviamo Fernand Desonay e
Domenico Falzetti.
Fernand Desonay era un illustre filologo, professore presso l'Università di
Liegi, in Belgio. Egli fu un membro insigne dell’illustre Académie Royale
de Langue et de Littérature Françaises de Belgique, e, fatto ancor più
significativo, il principale traduttore e curatore delle edizioni critiche delle
opere quattrocentesche scritte da Antoine de La Sale. Profondamente
affascinato dal mito sibillino, egli si era recato in visita presso il picco del
Monte Sibilla, per la prima volta, nel 1929, e aveva successivamente preso
parte alle campagne di scavo condotte nel 1930 e nel 1953, con ulteriori
visite effettuate nel 1948 e 1956, nutrendo così il proprio sogno relativo a
un occulto reame sibillino celato al di sotto della vetta di una montagna
italiana, così come descritto dal suo amatissimo autore medievale.
Come è naturale, Desonay non condivideva affatto la teoria che assegnava
alla Germania il ruolo di terra d'origine della leggenda di Tannhäuser. Nel
suo articolo Le fonti italiane della leggenda di Tannhäuser (Les sources
italiennes de la légende de Tannhäuser, 1945), dopo avere ripercorso gli
articoli pubblicati in precedenza da Gaston Paris, Heinrich Dübi e Philip
Stephan Barto, egli proponeva una propria personale ipotesi in merito alla
nascita della misteriosa leggenda relativa a una Sibilla Appenninica:
«Sulla base delle risultanze dei miei due viaggi e degli scavi effettuati nella
grotta, mi permetto di presentare una nuova proposta di soluzione. Io penso
che il mito della Sibilla debba risalire al culto pagano di Cibele, la 'Magna
Mater' dei romani, dèa delle montagne, dei laghi, delle fonti, onorata
tramite un culto erotico all'interno della grotta rituale, al di sotto della
corona simbolica».
[Nel testo originale francese: «M'aidant des résultats de mon double voyage
et des fouilles dans la grotte, je me permets de présenter un essai de
solution neuve. A mon sentiment, le mythe de la Sibylle doit remonter au
cult païen de Cybèle, la 'Magna Mater' des Romains, déesse des montagnes,
37
des lacs, des fontaines, honorée d'un culte érotique à l'intérieur de la grotte
rituelle, sous la couronne symbolique»].
Fig. 21 - L'articolo di Fernand Desonay sul Monte Sibilla contenuto nel suo Depaysement - Notes de
critique et impressions (Liegi, 1945), p. 120-146)
La posizione di Desonay costituisce un'evoluzione dell'ipotesi già espressa
da Pio Rajna nel 1912. E in effetti il filologo belga fa uso, nelle frasi
successive, delle medesime parole impiegate più di trenta anni prima dallo
studioso e alpinista italiano.
Nella visione di Desonay, Cibele rappresenta un buon candidato al fine di
giustificare la possibile presenza di un possibile sito cultuale presso la
Grotta posta sulla vetta della montagna:
«Il culto di Cibele, introdotto in Roma dalla Frigia nell'anno 204 a.C.,
aveva conosciuto, in età imperiale, una notevole diffusione tra le regioni
38
montuose dell'Appennino, e in modo particolare ai piedi dei Monti
Sibillini. [...] Cibele è una divinità coronata: Cibele 'turrita' o 'turrigera' [...]
Ora noi sappiamo che la Grotta della Sibilla si apre sotto la 'corona' della
montagna. Cibele è onorata come divinità delle acque, dei laghi e delle
fonti. Ora noi sappiamo che un lago, identificato come 'il lago della regina
Sibilla' nel manoscritto di Chantilly, si trova sulla montagna, non lontano
dalla grotta. [...] Io credo che l'equazione sia evidente: Cibele uguale
Sibilla».
[Nel testo originale francese: «Le culte de Cybèle, introduit de Phrygie à
Rome en l'annèe 204 avant Jésus-Christ, avait pris, à l'époque impériale,
une grande diffusion à travers les régions montagneuses de l'Apennin, et
tout particulièrement au pied des Mons Sibyllins. [...] Cybèle est une déesse
couronnée: Cybele 'turrita' ou 'turrigera' [...] Or nous savons que la Grotte
de la Sibylle s'ouvre sous la 'couronne' de la montagne. Cybèle est honorée
comme la déesse des eaux, des lacs et des fontaines. Or nous savons qu'un
lac, dit 'le lac de la royne Sibile' dans le manuscrit de Chantilly, dort sur la
montagne, non loin de la grotte. [...] A mon sentiment, l'équation apparait
évidente: Cybèle égale la Sibylle»].
In tempi successivi, continua Desonay, su questo culto originale e presso
questo stesso sito, un ulteriore livello leggendario avrebbe depositato una
narrazione aggiuntiva, riguardante l'effettuazione di visite presso un regno
occulto e sensuale:
«Le leggende medievali sono nate, per la maggior parte, presso quei popoli
che più erano innamorati del fantastico, abituati come essi erano a vivere
tra le brume, sulle coste della Scozia, d'Irlanda o della Bretagna. [...] È
altamente probabile che la leggenda della Sibilla, anch'essa, abbia
un'origine celtica. Nella versione originale, deve essersi trattato del
soggiorno, inizialmente definitivo e in seguito temporaneo, di un felice
mortale presso una dèa. [...] Tale è la forma della leggenda, che deve essere
transitata dalla Francia fino in Italia, contestualmente alla materia di
Bretagna».
[Nel testo originale francese: «Les légendes médievales sont nées, pour la
plupart, chez les peuples qui aiment davantage le fantastique, habitués
qu'ils sont à vivre parmi les brouillards, sur les côtes d'Ecosse, d'Irlande ou
de Bretagne. [...] Il est hautement probable que la légende de la Sibylle, elle
39
aussi, a une origine celtique. Dans la version originelle, il doit s'agir du
sejour, définitif d'abord, transitoire ensuite, d'un mortel trop hereux chez
une déesse. [...] Telle est la forme de la légende, qui aura passé de France
en Italie, en même temps que la matière de Bretagne»].
Successivamente, la congettura di Desonay sarà ulteriormente sviluppata da
René Herval, uno storico francese, nel proprio articolo Dal Monte italiano
della Sibilla al Venusberg tedesco (Du Mont italien de la Sibylle au
Vénusberg allemand, 1962), con l'enunciazione di una connessione tra il
Lago di Pilato e la leggendaria tradizione relativa a Cibele:
«È noto che, dove esisteva il culto di Cibele, veniva parallelamente
celebrato quello di Attis, suo giovane amante [...] Attis era raffigurato con il
capo coperto da un berretto frigio, detto 'pileus'. Si diceva dunque di lui [...]
che egli era 'pileatus'. Da 'pileatus' a 'Pilatus' la differenza non è che di una
singola lettera [...] È possibile parimenti rinvenire reminiscenze dell'antico
culto nella leggenda che ci mostra il corpo del preteso Pilato mentre viene
trainato fino al lago del Monte Vettore da alcuni buoi. A Roma [...] una
solenne processione conduceva, in un carro attaccato a questo genere di
animali, la statua di Cibele fino alle rive del fiume Almone, affluente del
Tevere. Quando il corteo giungeva presso quel luogo, il sacerdote gettava la
statua nell'acqua e procedeva alla 'lavatio' o 'purificazione' [...] è possibile
che la statua del dio 'pileatus' abbia subito una 'lavatio' analoga nel lago del
Monte Vettore. Attis e Cibele, trasformati in Pilato e in Sibilla...».
[Nel testo originale francese: «On sait que, là où existait le culte de Cybèle,
était célébré parallèlement celui d'Attis, son jeune amant [...] Attis était
représenté coiffé du bonnet phrygien ou 'pileus'. On disait donc de lui [...]
qu'il était 'pileatus'. De 'pileatus' à 'Pilatus' la différence n'est que d'une
seule lettre [...] On retrouve également des réminiscences de l'ancien culte
dans la légende qui nous montre le corps du prétendu Pilate trainé jusqu'au
lac du Vettore par des boefs. A Rome [...] une procession solennelle
conduisait dans un char attelé de ces animaux la statue de Cybèle jusqu'aux
rives de la rivière Almo, affluent du Tibre. Lorsque le cortège était parvenu
en cet endroit, l'archigalle plongeait cette statue dans l'eau et procédait à la
'lavatio' ou purification [...] il est possible que la statue du dieu 'pileatus' ait
subi une 'lavatio' analogue dans le lac du Mont Vettore. Attis et Cybèle,
transformés en Pilate et en Sibylle...»].
40
Fig. 22 - Il contributo di René Herval concernente la leggenda della Sibilla contenuto nel Précis
analitique des traveux de l'Académie des Sciences, Belle-Lettres et Arts de Rouen - 1960 1961 1962
(Fécamp, 1962), p. 163-181
Stranamente, Fernand Desonay sembra rifiutare completamente la linea di
investigazione che conduce da Antoine de la Sale e dal Guerrin Meschino
indietro nel tempo verso più antichi romanzi cavallereschi, così come
correttamente osservato da Walter Pabst e Roger S. Loomis, e come
pienamente confermato dall'autore del presente articolo in un precedente
lavoro (Nascita di una Sibilla: la traccia medievale). In una successiva
edizione italiana del suo Les sources italiennes de la légende de
Tannhäuser (Le fonti italiane della leggenda del Tannhäuser, 1963), egli
scriverà esplicitamente:
«A parer suo [di Pabst], il racconto di Andrea da Barberino deve essere
considerato come una pura finzione derivata da diverse fonti letterarie:
Virgilio, Ovidio e tutta la tradizione medioevale delle Sibille [...] Io non
sono convinto».
Perché Fernand Desonay appare così restio a prendere in considerazione
un'origine cavalleresca per il racconto narrato nel quattordicesimo secolo
41
dal suo autore più amato, Antoine de la Sale? E perché egli salta
direttamente alla dèa Cibele, con un balzo che risulta essere
particolarmente goffo?
Fig. 23 - Le fonti italiane della leggenda del Tannhäuser, l'articolo di Desonay incluso nel volume Il
Paradiso della Regina Sibilla, un libro curato da Fernand Desonay e Domenico Falzetti e avente ad
oggetto la leggenda del Monte Sibilla (Norcia, 1963), p. 16-58
Come abbiamo già potuto osservare nei nostri precedenti articoli, Nascita
di una Sibilla: la traccia medievale e Una leggenda per un prefetto
romano: i Laghi di Ponzio Pilato, la presenza di un livello leggendario
medievale che avvolge le narrazioni relative alla Grotta della Sibilla e al
Lago di Pilato non può essere certo negata: il tocco dei personaggi che
appartengono alla Materia di Bretagna, Morgana la Fata e Sebile, è palese
nel regno nascosto della Sibilla; e, in modo analogo, i principali elementi
del racconto medievale di Ponzio Pilato sono manifestamente visibili.
Ma Fernand Desonay desidera intensamente che il resoconto scritto da
Antoine de la Sale sia reale.
La Sibilla occultata tra gli Appennini è divenuta il suo sogno personale, una
fantasia così magica e affascinante da indurlo a spingere i suoi passi fin
42
sulla cima di quella remota montagna, per molteplici volte nel corso di
diversi decenni. Egli è una figura nota ai contadini e alle guide di Norcia e
Montemonaco. È un sognatore. Ed è lui a scrivere le parole più preziose,
caratterizzate da un'ideale bellezza, a proposito del proprio sogno
nell'articolo Les sources italiennes de la légende de Tannhäuser:
«Io sogno la Sibilla. Il mio sguardo va, va... Sale lungo le coste dei monti,
supera i dirupi... Sotto la corona di roccia, ecco la dèa, - è lei! nostalgica
ispiratrice del più bello dei sogni umani...».
[Nel testo originale francese: «Je songe à la Sibylle. Mon regard va, va... Il
escalade les rampes des montagnes, franchit les précipices... Sous la
couronne de rochers, voici la déesse, - c'est elle! - inspiratrice nostalgique
du plus beau des songes humains...»].
Nel cuore di Fernand Desonay, quel sogno doveva essere reale. Egli non
avrebbe mai riconosciuto, seguendo in questo modo i più reconditi,
immaginifici moti del proprio animo, che il resoconto di Antoine de la Sale
potesse essere considerato come una mera copia di una qualche fiabesca
narrazione estranea giunta dalla Germania o dalla Francia, venuta a
stabilirsi su di un picco desolato, svuotato di ogni incantata, originale
carica mitica. Un vano racconto per sempliciotti.
Fig. 24 - Le poetiche parole scritte da Fernand Desonay sulla Sibilla Appenninica nel suo Depaysement -
Notes de critique et impressions (Liegi, 1945)
E così, egli preferì negare la manifesta evidenza di una chiara discendenza
medievale per la sua Sibilla, tentando invece di introdurre l'idea di una
derivazione ben più illustre, risalente all'antichità classica: Cibele, a
proposito della quale non è stata mai rinvenuta alcuna traccia o menzione
che sia relativa a una possibile venerazione o a un centro cultuale situato
presso la Grotta della Sibilla, né nelle fonti letterarie conosciute, né presso
il sito vero e proprio. E, in aggiunta a ciò, con l'introduzione di un'ulteriore,
43
maldestra spiegazione proposta da René Herval, che coinvolgeva Attis,
Pilato, un berretto frigio e una cerimonia antico-romana con i buoi,
nell'impossibile tentativo di sospingere la figura di Cibele anche nelle
acque del Lago.
Vedremo, invece, come non vi sia alcuna necessità di inserire
coattivamente la dèa Cibele nelle cavità della Grotta della Sibilla o nel
Lago di Pilato, affinché il sogno di Desonay possa avverarsi.
Infatti, quella speciale carica mitica che il filologo belga stava cercando, e
della quale temeva la possibile assenza, è effettivamente presente presso
entrambi i siti posti tra gli Appennini, il Lago e la Grotta. Vedremo, in
effetti, come questa carica mitica debba essere connessa alla presenza di un
leggendario Aldilà, di un genere che Fernand Desonay non poté certo
immaginare, a causa della mancanza di una piena comprensione della
peculiare, terrificante natura di quella particolare porzione di landa
montuosa.
E dunque, la 'traccia Cibele' deve essere considerata come una falsa pista:
una congettura che fu introdotta con l'intento di conferire un alone di antica
'santità' al sito della Grotta della Sibilla, ma in merito alla quale non
sussiste la benché minima evidenza. Anche se, come vedremo, una qualche
sorta di 'santità' può essere effettivamente ipotizzata per quei luoghi, ma su
basi differenti, come avremo modo di illustrare più avanti in questo stesso
articolo di ricerca.
Malgrado tutto ciò, possiamo anche osservare come Cibele non costituisca
l'unica falsa pista nella quale ci imbatteremo presso la dimora della Sibilla.
Ulteriori tracce, ancor più audaci e ancor meno dotate di fondamento,
saranno proposte da Domenico Falzetti in quegli stessi anni.
Nella propria qualità di appassionato, affascinato investigatore del mistero
sibillino, come il suo amico Fernand Desonay, Falzetti proporrà ulteriori
congetture a proposito degli dèi o delle dèe i cui nomi dovevano essere
ipoteticamente invocati al fine di rendere la Grotta della Sibilla un antico
sito di culto.
44
2.6 Ulteriori divinità e ulteriori percorsi fallaci: Domenico Falzetti
«A noi par di aprire un uscio spalancato dicendo che l'origine più remota
delle leggende dei Monti Sibillini va ricercata proprio nel periodo in cui
l'uomo del Centro-Italia viveva nelle caverne; e che i temi primari ed
essenziali delle varie leggende sono derivati via via dal naturalismo,
dall'animismo, dalla divinazione, e dai riti delle religioni greca, etrusca e
romana; i quali riti avevano appunto un aspetto deprecatorio e magico.
Mentre i temi secondari e prettamente medievali derivano dal
cristianesimo, dai Longobardi, e dagli eretici umbro-marchigiani del sec.
XIV».
Sono queste le parole scritte da Domenico Falzetti nel suo articolo Come
nacquero le leggende dei Monti Sibillini, contenuto nel volume Il Paradiso
della Regina Sibilla (1963), nel quale è presente anche un contributo
vergato da Fernand Desonay, suo amico e compagno di investigazione
nell'enigma sibillino.
Fig. 25 - Come nacquero le leggende dei Monti Sibillini, l'articolo di Domenico Falzetti contenuto nel
volume Il Paradiso della Regina Sibilla, un libro curato da Fernand Desonay e Domenico Falzetti e
avente ad oggetto la leggenda del Monte Sibilla (Norcia, 1963), p. 59-121
45
Domenico Falzetti non era uno studioso. Negli anni 1950 egli era un noto
musicista italiano, che dirigeva il famoso 'Coro dei Mille Piccoli Cantori'
formato da una compagine di mille bambini. Originario di Norcia, il suo
cuore era occupato, oltre che dalla musica, anche da un'altra ardente
passione: quella per la leggenda della Sibilla Appenninica.
Falzetti salirà sulla cima di quella montagna, fino all'elusiva caverna, in
qualità di membro di varie spedizioni di scavo: la prima volta nel 1920, poi
nel 1925 e nel 1926; successivamente, si recherà ancora sulla vetta
nell'agosto del 1930, con Fernand Desonay; e, infine, nel 1953,
nuovamente con il filologo belga.
Con il volume pubblicato nel 1963, Domenico Falzetti intendeva
riepilogare decenni di personale indagine in merito alla leggenda della
Grotta della Sibilla. Egli percepiva che quella cima, sulla quale dimorava
una leggenda così potente, dovesse avere un carattere sacro, che una remota
antichità aveva tramandato fino al medioevo: una posizione alla quale
anche noi aderiamo pienamente, come in effetti andremo a sostenere nel
presente articolo. Ma la metodologia applicata da Falzetti per giustificare il
proprio punto di vista non può essere condivisa, in quanto egli ricorre
frequentemente a affermazioni prive di riscontri e a deduzioni
sostanzialmente arbitrarie, per quanto affascinanti esse possano risultare.
Falzetti sceglie di percorrere un cammino assai arduo, non sottoscrivendo
l'ipotesi più semplice e naturale proposta da Fernand Desonay a proposito
della possibile presenza, sul picco del Monte Sibilla, di un luogo di culto
dedicato alla dèa Cibele, il candidato più ovvio quando si voglia assegnare
un seggio divino a quella cima montuosa:
«L'amico carissimo il Prof. Fernando Desonay, [...] adducendo ampi e
documentati particolari, sostiene la tesi secondo cui l'Oracolo
dell'Appennino [...] doveva essere dedicato alla Magna Mater Cibele. [...]
Per le ragioni portate dal Desonay, dal Rajna e da altri studiosi, è da
ritenere una tesi validissima e piena di fascino; ma noi, traendo spunto dalle
fonti locali [...] e dalla storia, riteniamo che sia più vicina alla realtà la
nostra teoria».
E veramente Falzetti trae idee e suggestioni dalla leggendaria storia di
Norcia, proponendo una serie di antiche divinità che, secondo le scarse
46
evidenze archeologiche oggi disponibili, risultavano essere venerate
nell'area dei Monti Sibillini:
«Nemesi, divinità greca, vegliava su la vita morale degli uomini e ne
puniva le colpe. [...] Un reperto arcaico di notevole importanza per il nostro
argomento e che dimostra la fondata tradizione su Nemesi, è una statuetta
della dea rinvenuta nella necropoli di Forca di Ancarano (Norcia). [...] La
dea etrusca Nortia [...] era principalmente onorata a Bolsena [...]. A noi
sembra logico ritenere che la figura in bronzo trovata nella necropoli di
Ancarano e dal Guardabassi descritta come Nemesi, debba ritenersi per
Nortia. [...] Il passaggio da Nemesi a Nortia si è dovuto verificare nel
tempo in cui gli Etruschi vieppiù fecero sentire la loro possanza, e forse nel
tempo in cui con i loro commerci dilagarono verso il Piceno [...] e cioè nel
VII sec. a. C.».
Nemesi, Nortia e gli etruschi, con la loro influenza sul territorio di Norcia.
Gran parte di queste frammentarie informazioni sono reperite da Falzetti
nell'opera di Feliciano Patrizi-Forti, uno storico ottocentesco originario di
Norcia, che scrisse il volume Memorie Storiche di Norcia. A propria volta,
Patrizi-Forti aveva tratto le proprie note da precedenti autori vissuti nel
sedicesimo e diciassettesimo secolo, quali Padre Fortunato Ciucci e
Tommaso Guerrieri.
Ma quasi nulla di ciò che Falzetti scrisse può essere rinvenuto in autori
vissuti nell'epoca dell'antichità classica.
Malgrado l'intrinseca incertezza delle informazioni reperite, il modello
teorico di Falzetti diviene sempre più complesso, a mano a mano che egli si
addentra più in profondità nella propria elaborazione:
«Fortuna, presso i Romani, era la dea del destino [...]. Ci par quindi
naturale supporre che i sacerdoti dell'Oracolo di Nortia [...], constatando
che gli attributi e i poteri della dea Nortia erano pressoché gli stessi di
quelli della dea Fortuna, abbiano nuovamente concluso convenir loro di
assimilare Nortia a Fortuna coniando, per titolo, la frase: 'Nortia dea della
Fortuna'».
Infine, con un'interpretazione assai estensiva di un brano tratto dall'autore
latino Trebellio Pollione, che menziona una visita effettuata dall'imperatore
47
Claudio II il Gotico presso un non meglio identificato oracolo posto tra gli
Appennini nell'anno 268 d.C., Falzetti desume che l'oracolo di
Nortia/Fortuna debba essere identificato con quello stesso 'Oracolo degli
Appennini'.
Fig. 26 - Un disegno raffigurante la dea Nortia così come presentata da Domenico Falzetti nel proprio
articolo Come nacquero le leggende dei Monti Sibillini, contenuto nel volume Il Paradiso della Regina
Sibilla, un libro curato da Fernand Desonay e Domenico Falzetti e avente ad oggetto la leggenda del
Monte Sibilla (Norcia, 1963), p. 76-77
L'appassionato investigatore continua con un'ulteriore pletora di
affermazioni indimostrabili, coinvolgenti la diaspora ebraica e il giungere
degli Ebrei nel centro dell'Italia, lo scontro tra il paganesimo e la nuova
fede cristiana, l'arrivo di Goti e Longobardi, i movimenti ereticali del
medioevo con il loro peculiare carattere demoniaco.
Ma l'intera dissertazione è intessuta di numerosi paralogismi, basati su
mere supposizioni, nell'assenza di ogni specifico sostegno storico e in
mancanza di documentazione che possa corroborare i punti proposti. Ecco
di seguito alcuni esempi di affermazioni non provate, sostenute solamente
dal vivo desiderio dell'autore di avvalorare le proprie ipotesi:
48
«Da questo stato di cose è facile capire come fluttuante fosse divenuto
l'omaggio al culto dell'Oracolo di Nortia [...] Nella campagna e sui Monti
Sibillini il paganesimo resisteva più che altrove per la presenza
dell'Oracolo del Monte della Sibilla [...] Si sparse a un tratto la voce (e
certamente durante le lotte di cui abbiamo detto sopra) che la Sibilla
Cumana, scomparsa dalla Grotta di Cuma, si fosse trasferita nella Grotta
del Monte Sibilla [...] Viene quindi di conseguenza supporre che molti temi
delle leggende medievali dei Monti Sibillini, quali gli amori, le belle
donne, ecc., siano di quel tempo, e ispirate dai negromanti francesi».
Il risultato finale di questa incerta metodologia è una sorta di cronologia
congetturale, elaborata da Falzetti per fissare le varie fasi che la Grotta
della Sibilla avrebbe conosciuto nel corso dei millenni:
«Dal 3000 al 1500 a.C. [...] la conca di Norcia, i Monti Sibillini e quindi
anche la grotta, furono abitati da una popolazione il cui nome non è ancora
noto, e che fu sottomessa dai 'Siculi'. In detto periodo la Grotta fu sede di
un 'Capotribù' o sacerdote [...] nel 1497, indigeni e Pelasgi, per difendersi
da un eventuale ritorno dei Siculi, fondarono quella città che più tardi fu
chiamata Nortia = Norza = Norsa = Nursia = Norcia [...] La decadenza
degli Etruschi e il fiorire della divinazione in Roma, specialmente nel
periodo che precede l'Impero, furono i fattori che fecero obliare l'oracolo di
Norcia [...] Verso il 500 d.C. l'Oracolo di Nortia dea della Fortuna decadde;
e su insinuazioni di Ebrei e di cristiani, il vecchio oracolo sacerdotale fu
sotituito con un oracolo sibillino [...] I Longobardi vi aggiunsero i loro riti,
determinati da un paganesimo basato sul naturalismo più accentuato [...]
Nel periodo 1320-1330 d.C., gli eretici e i ribelli umbro-marchigiani [...]
importarono nella zona dei Monti Sibillini gran parte delle più trite arti
della magia francese».
Dove si arriva, con tutto ciò?
Non si arriva da nessuna parte.
L'intera elaborazione proposta da Domenico Falzetti, benché assolutamente
affascinante, è viziata dalla sostanziale mancanza di ogni base storica e
scientifica, nell'assenza quasi totale di evidenze archeologiche e di
documentazione a supporto, che possa risalire al primo medioevo e
all'antichità classica.
49
L'idea di un culto che possa essere stato ipoteticamente presente sulla cima
del Monte Sibilla non deve certo essere rifiutata in modo completo, come
avremo modo di vedere con la prosecuzione del presente articolo di ricerca.
Nondimeno, ogni congettura che coinvolga Cibele, Nemesi, Nortia,
Fortuna o qualsivoglia ulteriore divinità non può che costituire una mera
esercitazione di nomenclatura, se non supportata dalla seppur minima
evidenza, o, in assenza di tali evidenze, quantomeno dall'esposizione di una
ragione specifica per la quale la presenza di un particolare culto divino
presso quel particolare luogo, Grotta della Sibilla e Lago di Pilato, debba
essere ipotizzata.
E così l'entusiastico saggio scritto da Domenico Falzetti non deve essere
considerato come un contributo scientifico alla comprensione del
leggendario enigma che vive tra i Monti Sibillini; il suo lavoro deve
piuttosto essere letto come una sincera e incondizionata professione
d'amore per il mito della Sibilla Appenninica, un sogno caramente
custodito nel profondo della sua anima. Giulia, sua figlia, ebbe l'occasione
di scrivere le seguenti parole, particolarmente tenere, nel ricordo di suo
padre:
«Un fascino misterioso, un'attrazione che non ho mai troppo capito o
analizzato, spinse mio padre, Domenico Falzetti, a salire ripetutamente
sulla impervia vetta del Monte Sibilla' e fare di quel nome e delle leggende
che lo hanno reso famoso, il fine principale del suo lavoro, e della sua
vita».
Così, nella nostra opinione, il percorso seguito da Falzetti costituiva una
nuova falsa pista, non diversa dal sentiero che Fernand Desonay aveva
tracciato in direzione di un'altra divinità, Cibele.
Possiamo osservare ulteriori percorsi fallaci nell'ambito di questa lunga
ricerca della verità in relazione alla Sibilla Appenninica?
Sì, ne esistono altri. Perché stiamo ora per confrontarci con un'altra
sconcertante interpretazione del mito che abita i Monti Sibillini. E, questa
volta, si tratta di matriarcato, e di emancipazione femminile.
50
2.7 Teorie infondate: una Sibilla femminista
Nella storia delle eredità culturali, si verificano sovente casi in cui un fatto,
un elemento oppure un fenomeno storico, frutto precipuo della propria
epoca, viene letto da successivi interpreti come essi vorrebbero che fosse:
alla luce delle loro stesse vite, dei propri tempi e delle proprie particolari
convinzioni, omettendo così di confrontarsi con il fatto storico in modo
onestamente scientifico, e con buona pace di ogni comune buon senso.
Questo è anche il caso della leggenda della Sibilla Appenninica, la quale,
nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, poté godere anch'essa
della possibilità di subìre un tale discutibile processo di mutazione.
Il più eloquente esempio di distorta rappresentazione della mitica tradizione
che abita tra i Monti Sibillini ci è offerto dall'operazione culturale condotta
da Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, scrittrice italiana, nonché poeta e
combattente della Resistenza contro le truppe naziste durante la Seconda
Guerra Mondiale, meglio nota con il nome di Joyce Lussu.
Non costituisce certo l'obiettivo del presente articolo il ricostruire l'eroica,
poliedrica figura di Joyce Lussu, che nel corso del ventesimo secolo fu
protagonista di lunghe e appassionate battaglie, condotte sia in Italia che
all'estero, per la liberazione di popoli oppressi, come in particolare i Curdi,
e per l'emancipazione femminile.
Per quanto la sua figura possa risultare affascinante, Joyce Lussu, la cui
famiglia era originaria delle Marche, si avventurò in una discutibile
manipolazione culturale, nel momento in cui la scrittrice si trovò a
confrontarsi con la leggenda della Sibilla Appenninica, un argomento che
sarà da lei affrontato negli anni della maturità.
Nel suo volume Il Libro delle Streghe - Dodici storie di donne
straordinarie: maghe, streghe e sibille (1990), Lussu propose una propria
personale visione di cosa fosse una 'sibilla', gettando così una luce assai
peculiare su tutta la leggenda sibillina:
«La sibilla è l'immagine di una donna saggia e serena, che ama la vita e la
gente, che raccoglie e custodisce la conoscenza affinché tutti possano
maturarne i fiori e i frutti, che non ha bisogno di fare della sua scienza un
51
segreto e della sua autorità una fortezza da difendere con le armi, è il
simbolo di una scelta diversa di civiltà e di convivenza, memoria tenace di
una società senza guerre e senza servi dominati col terrore».
Fig. 27 - Il Libro delle Streghe - Dodici storie di donne straordinarie: maghe, streghe e sibille di Joyce
Lussu (Ancona, 1990)
Ma questa descrizione così gentile, immaginifica, idealizzata di una 'sibilla'
deve essere associata anche alla leggendaria Sibilla degli Appennini? La
risposta è affermativa, così come apertamente specificato dalla scrittrice:
«Io vivo in campagna, nelle Marche meridionali, nella valle di un fiume
che si chiama Tenna […]; le sue sorgenti si trovano sul monte Sibilla, non
lontano dalla grotta dove si dice abitasse, generazione dopo generazione,
una donna molto saggia e molto colta, che conosceva il presente e il
passato e faceva ipotesi attendibili sul futuro. In realtà la grotta, arieggiata
da un torrente sotterraneo e coperta di neve per molti mesi, serviva solo
come deposito per la conservazione delle scorte, e la Sibilla, come ovunque
le sue consorelle, viveva in una casa normale».
52
E, in un altro libro (Il libro perogno - Su donne, streghe e sibille, 1982),
l'autrice esplicita ulteriori dettagli:
«Ogni insediamento, dopo la rivoluzione del Neolitico, aveva la sua sibilla
[... con] il compito di non dimenticare, di tramandare la cultura di comunità
pacifiche schiacciate dall'efficienza delle armi; clandestinamente in attesa
di più mature prese di coscienza generali e collettive».
Cosa c'è di reale nella visione proposta da Lussu a proposito della propria
femminile Sibilla? Esiste una corrispondenza tra la Sibilla rappresentata da
Lussu, con la sua asserita sorellanza di 'sibille' distribuite tra i villaggi del
Neolitico, e gli studi filologici sulla Sibilla degli Appennini, così come essa
emerge dagli scritti di Antoine de la Sale, Andrea da Barberino e dalle
testimonianze manoscritte che raccontano di un'ascendenza cavalleresca
dalle incantatrici Morgana e Sebile? E sussistono legami di sorta tra quella
Sibilla e le negromantiche descrizioni concernenti la Sibilla Appenninica
che sono rinvenibili in Leandro Alberti, Crespeto e molti altri autori?
No, non esiste alcuna corrispondenza tra la Sibilla di Lussu e la
documentata tradizione che narra di una Sibilla dimorante tra le vette dei
Monti Sibillini.
Come abbiamo avuto modo di illustrare in precedenti articoli (Nascita di
una Sibilla: la traccia medievale, Monti Sibillini: la leggenda prima delle
leggende, Monti Sibillini, un Lago e una Grotta come accesso
oltremondano), la leggendaria figura della Sibilla Appenninica, e i siti dove
si trovano sia la Grotta che il Lago di Pilato, sono tutti segnati, sin dalle più
risalenti testimonianze letterarie a noi note, da un alone assolutamente
oscuro, con una demoniaca presenza rilevabile in entrambi i luoghi,
negromanzia praticata sia alla Grotta che presso il Lago, e uno spaventoso
carattere oltremondano per i due punti di riferimento che costituiscono il
segno geografico della leggenda.
In aggiunta a tutto ciò, in un ulteriore articolo (Sibilla Appenninica: il lato
luminoso e il lato oscuro) abbiamo potuto rilevare come questa sinistra
rinomanza abbia attraversato molti secoli, e non sia mai stata sostituita da
alcuna gioiosa immagine di un'amichevole Sibilla pacifista, impegnata a
dispensare saggi consigli alle donne del luogo.
53
Fig. 28 - Il libro perogno - Su donne, streghe e sibille di Joyce Lussu (Ancona, 1982)
La nozione proposta da Joyce Lussu a proposito della Sibilla Appenninica,
una leggenda specifica dotata della propria specifica storia letteraria,
benché questa storia appartenga alla stessa terra d'origine dell'autrice,
risulta essere grandemente distorta sulla base delle convinzioni sociali e
politiche sostenute dalla scrittrice e attivista, che dedicò gran parte della
propria vita a molteplici battaglie per il miglioramento della condizione
femminile e contro la distruttiva cultura della guerra. Nella visione di
Lussu, la Sibilla Appenninica diviene un modello iconico per tutte le donne
che vogliano conseguire la propria liberazione in un mondo dominato dai
maschi:
«Alle donne hanno sempre tolto qualche cosa: autonomia, autorità, identità.
Portano i segni di adattamenti forzosi, di rinunzia a una parte di se stesse,
di mortificazioni secolari, di mutilazioni profonde, di violenze subite che
generano paure, inganni, meschinità».
La visione presentata da Joyce Lussu si colloca nel sentiero definito da
Marija Gimbutas, l'archeologa e antropologa lituana, che nel volume The
Civilization of the Goddess (1991) propose una controversa teoria a
54
proposito dell'asserita, indimostrata esistenza di una società matriarcale
preistorica, governata da donne e contraria alla guerra, successivamente
sconfitta e rimpiazzata in tutta Europa da una cultura maschilista e
bellicista dopo il 3.500 a.C.
Ma cosa ha che fare, tutto questo, con le leggende che vivono tra i Monti
Sibillini?
La risposta è: quasi nulla. La tradizione documentale a noi disponibile non
consente di fornire il benché minimo supporto all'interpretazione che
propone l'idea di una Sibilla Appenninica in qualità di femminile
messaggera di una lontana era di prosperità e pace. Un'era la cui
leggendaria esistenza è sostenuta solamente da Marija Gimbutas, mentre gli
storici sono convinti che anche nel remoto passato le società umane
praticavano la guerra così come si continua a fare oggi, nell'usuale contesto
in cui lotte cruente hanno luogo tra gruppi umani in reciproca
competizione, al fine di appropriarsi di risorse disponibili ma limitate.
Oltre a Joyce Lussu, anche altri autori e studiosi contemporanei parrebbero
avere trascurato o anche totalmente tralasciato, più o meno
intenzionalmente, i segni demoniaci che marcano il sito sibillino. Malgrado
ciò, è possibile affermare che il carattere positivo, matriarcale di una saggia
Sibilla, in un suo supposto ruolo di regina, profetessa e insegnante di saperi
artigianali presso le comunità femminili locali, non è mai esistito.
La Sibilla Appenninica non è mai stata una sorta di improbabile
anticipatrice di moderne istanze femministe: questo tratto non è
assolutamente rinvenibile in alcuna delle antiche fonti riguardanti la Sibilla
degli Appennini, e non dispone di alcun fondamento filologico conosciuto,
né della benché minima evidenza scientifica.
Cibele, Nortia, Nemesi, Fortuna, e ora anche una dèa sibillina dai tratti
quasi femministi: tutte queste figure costituiscono false piste, percorsi
fallaci che conducono in direzione del nulla, incapaci di provvedere alcun
fondato indizio a proposito di ciò che la Sibilla, effettivamente, possa avere
rappresentato.
Per tornare su terreni più solidi, dobbiamo rivolgerci a una straordinaria
figura di studioso che, in età assolutamente giovanile e tramite un solo,
55
incisivo lavoro scientifico, risalente al 1947, impresse la corretta direzione
alla complessa investigazione concernente le origini del leggendario
racconto della Sibilla Appenninica.
Un contributo del tutto straordinario, come avremo modo di vedere nel
prossimo paragrafo.
2.8 Il sentiero corretto: la straordinaria lezione di Luigi Paolucci
Nel 1947, uno studente ventiduenne originario di Montemonaco, una
piccola cittadina adagiata di fronte alla vetta coronata del Monte Sibilla,
nell'Appennino centrale, discuteva la propria tesi di laurea presso la Facoltà
di Lettere dell'Università di Roma La Sapienza. Il suo relatore era Paolo
Toschi, un illustre filologo che, a propria volta, era stato uno degli allievi di
Pio Rajna.
Quel giovane era Luigi Paolucci. Il titolo della sua dissertazione era La
Sibilla Appenninica. E, per quanto giovanissimo, con il suo brillante
contributo egli riuscì immediatamente a ricondurre la discussione da una
pletora di immaginifiche congetture verso la logica del ragionamento
argomentativo, in una direzione maggiormente appropriata e certamente
assai più produttiva.
«Quel che a noi importa considerare è che le suddette Sibille [classiche]
non hanno relazione alcuna col nostro caso e che nell'epoca pagana la
grotta famosa degli Appennini non è stata assolutamente recesso di una
Sibilla. Tale è la deduzione autorizzata dall'assenza completa di qualsiasi
testimonianza in proposito [...] Pilato non ha certo nulla a che fare con i
nostri monti».
In poche frasi, il giovane studente, impegnato nella presentazione della
propria tesi di laurea, smantella senza alcuna fatica i numerosi
convincimenti illusori che ancora oggi sono sostenuti dagli appassionati
estimatori di questa leggenda: un obiettivo che anche noi abbiamo
perseguito nei nostri precedenti articoli Sibilla Appenninica: un viaggio
nella storia alla ricerca dell'oracolo e Una leggenda per un prefetto
56
romano: i Laghi di Ponzio Pilato, utilizzando però più di 200 pagine di
elucubrazioni.
Fig. 29 - La Sibilla Appenninica di Luigi Paolucci (Firenze, 1967)
Ma il brillante studente non si fermava certamente qui, non sottraendosi
alla responsabilità di elaborare una decisa critica alle ardite ipotesi proposte
dai più eminenti filologi del suo tempo, tra i quali Fernand Desonay e Pio
Rajna:
«Diremo in breve che il Desonay da uno studio sommario e superficiale
delle più antiche tradizioni locali, seguendo una sua idea fissa [...] si spinge
alla dimostrazione dell'antica esistenza nella grotta di un culto dedicato a
Cibele. Premettiamo che dal canto nostro non accettiamo le idee del
Desonay, anche perché fra tutti gli argomenti addotti [...] nessuno ci sembra
tale da impegnare seriamente l'esistenza di un simile culto».
Chiaro e netto. Di nuovo, Luigi Paolucci pone in evidenza tutte le
incongruenze e i paralogismi che segnano il ragionamento di Fernand
57
Desonay, Pio Rajna e Domenico Falzetti, tutti così intensamente affascinati
dal leggendario racconto di una Sibilla Appenninica da dimenticare il
dovere di fondare le proprie ipotesi sui dati storici e sul buon senso, così
come noi stessi abbiamo osservato in precedenti paragrafi nel corso di
questo stesso articolo di ricerca.
E quando altri studiosi, nel sostenere l'idea della presenza di un'antica
divinità, e invocando fantasiosamente l'ipotesi che la parola 'Cibele' possa
essere derivata dalla trasformazione dell'assonante vocabolo 'Sibilla',
Paolucci risponde seccamente:
«Ricordiamo brevemente [...] che il C di Cibele è duro in latino come lo è
in greco [...] e che mai può essersi verificato il fenomeno suddetto».
Ma Paolucci non intende certo confinare la Sibilla Appenninica nell'ambito
di un vano, illusorio regno di sogni. Egli è invece convinto che la potenza
mitica del luogo, nutrita da secoli di elaborazioni narrative popolari, possa
nascondere un'effettiva verità, e un possibile luogo di culto, anche se egli
non ritiene che Cibele possa costituire la risposta più corretta:
«Chi ci ha seguito nella breve critica, fatta alla ipotesi del Desonay, avrà
notato come non la sua intenzione di risalire ad epoche e culti remoti, su
cui fondare miti e leggende più recenti, ci sia parsa condannabile.
L'indirizzo che il Belga ha ereditato da Pio Rajna anche per noi risponde ad
una intuizione profonda. Noi vogliamo soltanto, se è comune convinzione
che qualsiasi leggenda sia sotto qualche aspetto prodotto di una precedente
tradizione, vogliamo che, questo risalire al passato, avvenga gradualmente
e in un secondo tempo, dopo l'esame preliminare delle leggende e delle
tradizioni medievali».
Fig. 30 - Un passaggio metedologico contenuto nella tesi La Sibilla Appenninica di Luigi Paolucci
(Firenze, 1967), p. 15
58
Ancora una volta, utilizzando una manciata di frasi, Luigi Paolucci riesce a
riassumere la propria acuta visione relativa a un processo di ricerca
circostanziato ed esaustivo, quale esso dovrebbe sempre essere: prima di
tutto, è necessario identificare e analizzare i livelli leggendari di origine
medievale; solo successivamente il ricercatore sarà autorizzato ad
affrontare il livello inferiore e più antico delle leggende della Grotta della
Sibilla e del Lago di Pilato. E questa è esattamente l'attività da noi
effettuata nel corso degli ultimi due anni, con i nostri precedenti articoli
Antoine de La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla, La
verità letteraria sulle magiche porte nel 'Paradiso della Regina Sibilla',
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale, Una leggenda per un prefetto
romano: i Laghi di Ponzio Pilato; e, poi, con i nostri ulteriori articoli Monti
Sibillini: la leggenda prima delle leggende e Monti Sibillini, un Lago e una
Grotta come accesso oltremondano.
È in questo modo che Paolucci delinea il percorso corretto che un'indagine
realmente scientifica, condotta in relazione all'enigma sibillino, dovrebbe
seguire. La tradizione medievale, il livello più recente, connesso alla
comparsa del nome della Sibilla, deve essere studiata per prima, senza porsi
alla ricerca di candidati occasionali, scelti tra le nebbie oscure
dell'antichità, che siano caratterizzati da una connotazione divina:
«Pretendiamo che il metodo di ricerca non prescinda ma si basi anzitutto
sullo studio delle tradizioni più recenti, poiché in caso contrario a parte
l'incongruenza della ricostruzione che deve svolgersi necessariamente dal
presente al passato, dal certo all'incerto dato che le uniche testimonianze
sono quelli di tempi recenti; in caso contrario correremmo il pericolo di
non saper più trovare il nesso tra il prima e il poi, precisamente come è
accaduto al Desonay che invano ha cercato di ricollegare Cibele alla
Sibilla».
Mai parole più chiare furono scritte su questo specifico argomento. La
straordinaria intuizione di Paolucci fu quella di comprendere come la
chiave alla soluzione dell'enigma dei Monti Sibillini consistesse nel
dipanare, con avveduta cautela, un complicato «complesso di motivi
estranei e sovrapposti». Un processo di scioglimento che doveva avere
inizio a partire dai livelli aggiuntivi, di origine medievale, che narravano di
una Sibilla e di un prefetto romano, per poi muovere indietro nel tempo,
fino al nucleo più vero della leggenda.
59
Un nucleo antico, come scrisse Paolo Toschi nella propria introduzione
all'edizione a stampa del saggio di Paolucci, che avrebbe potuto fornire una
risposta definitiva alla più fondamentale di tutte le domande:
«Ma perché proprio in questi determinati luoghi e non in altri abitava la
Sibilla, e i maghi vengono a consacrare il libro del Comando? Si è portati
così quasi insensibilmente, a risalire al problema della fonte prima, alle
origini del mito».
Fig. 31 - La problematica questione centrale da porsi al cuore dell'analisi dei racconti leggendari che
vivono tra i Monti Sibillini così come menzionata da Paolo Toschi nella tesi La Sibilla Appenninica di
Luigi Paolucci (Firenze, 1967), p. XV
Sfortunatamente, Luigi Paolucci non si addentrò oltre lungo questo
straordinario sentiero da lui stesso tracciato. Egli decise infatti di percorrere
un differente percorso professionale, finché purtroppo la sua vita non ebbe
termine, negli anni della primissima maturità. Era l'anno 1959.
È dunque un onore, per noi, potere proseguire il suo lavoro di ricerca
seguendo un'intuizione che è del tutto simile alla penetrante visione che
egli volle esplicitare alla metà del ventesimo secolo. Un'intuizione che
traemmo, come spiegato in un precedente paragrafo, da un articolo di
Ferdinando Neri, con il suo accenno alle «porte di metallo, che battono
continuamente» rinvenibili in antiche fiabe che narrano di regioni
oltremondane, e che aprì la via a una produttiva ricerca condotta attraverso
il livello medievale dei racconti leggendari che abitano i Monti Sibillini;
un'intuizione che Luigi Paolucci aveva avuto anch'egli, seguendo
un'analoga modalità operativa logico-razionale.
E riteniamo, ora, di essere pronti a effettuare un tentativo risolutivo al fine
di portare a compimento la sua opera incompiuta.
60
2.9 Ventunesimo secolo, un sostanziale vuoto nella ricerca
Se abbandoniamo il ventesimo secolo e procediamo a saltare nel
ventunesimo, è possibile reperire nuove indagini o ulteriori ricerche
aggiornate che riguardino il mistero dei racconti leggendari che vivono tra i
Monti Sibillini?
In effetti, si riesce a reperire solamente un piccolo numero di contributi
scientifici. La limitata presenza di volumi e articoli dal carattere
sufficientemente significativo è eclatante. E questa modesta presenza è
rinvenibile solo in Italia, in assenza di qualsivoglia produzione scientifica
che risulti essere pubblicata da ricercatori originari di altri Paesi.
Solamente una minima quantità di libri e articoli scientifici, classificabili
come contributi di livello quantomeno universitario e prodotti sulla base
degli standard tipici della ricerca internazionale, risultano essere stati
pubblicati su queste tematiche in anni recenti, e comunque solamente in
Italia. Nessuna di queste produzioni si occupa di investigare la questione
delle origini delle leggende relative alla Grotta della Sibilla e al Lago di
Pilato, un argomento che pare essere affrontato solamente dalla serie di
articoli Sibilla Appenninica - Il Mistero e la Leggenda, elaborati dall'autore
della presente ricerca a partire dall'anno 2017.
In Italia, Sonia Maura Barillari, filologa e docente presso l'Università di
Genova, è stata negli ultimi anni tra i pochi studiosi a confrontarsi con
successo con le leggende dei Monti Sibillini, in un contesto di grande
preparazione filologica. Con il suo articolo La città delle dame: la
sovranità ctonia declinata al femminile fra l'Irlanda e i Monti Sibillini
(2009), Barillari approfondisce il contesto narrativo oltremondano nel quale
i racconti di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale devono essere
collocati dall'interprete. L'articolo presenta un'analisi comparativa tra
Guerrin Meschino e il più antico poema Huon di Bordeaux. E, in esso, i
caratteri comuni che connettono il racconto sibillino con la leggendaria
tradizione relativa al Purgatorio di San Patrizio sono evidenziati e
analizzati. È inoltre possibile menzionare anche l'interessante articolo,
elaborato da Barillari, dal titolo Il 'probematico libro sulla sibilla': uno
scritto inedito di Pio Rajna e le carte autografe preliminari alla sua
ultimazione (2010), che racconta di Pio Rajna e del suo personale rapporto
con l'enigma sibillino.
61
Fig. 32 - L'articolo di Sonia Maura Barillari La città delle dame: la sovranità ctonia declinata al
femminile fra l'Irlanda e i Monti Sibillini, contenuto in L'Immagine Riflessa - Testi, società, culture,
numero speciale su Medioevo folklorico. Intersezioni di testi e culture, XVIII (Alessandria, 2009), p. 87-
121
Barillari rappresenta probabilmente il solo ponte culturale esistente, in
Italia e all'estero, che ponga in contatto entrambe le tradizioni, quella
italiana della Sibilla Appenninica e le sue connessioni letterarie
nordeuropee, che puntano alla Materia di Bretagna e al Purgatorio di San
Patrizio: senza questo genere di mediazione, il salto esistente tra le due
tradizioni culturali non può essere attraversato, e la Sibilla degli Appennini
appare proiettarsi in un vuoto che è causato solamente dalla sostanziale
carenza di competenze, in Italia, in merito ad argomenti quali il romanzo
cavalleresco e la tradizione visionaria relativa ai viaggi nell'Aldilà,
tipicamente oggetto dell'attenzione di studiosi provenienti da altri Paesi, i
quali, a propria volta, non sono soliti confrontarsi con le tematiche italiane
connesse alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato.
Con L'ultima Sibilla (2012), Maria Luciana Buseghin, antropologa
culturale italiana, ha elaborato il più completo volume di riferimento in
62
merito alla tradizione letteraria connessa alla Sibilla Appenninica: la sola
guida completa ed esaustiva che sia stata pubblicata in Italia negli ultimi
decenni, in relazione a un argomento così affascinante e ricco di
collegamenti intertestuali e interdisciplinari.
Fig. 33 - L'ultima Sibilla di Maria Luciana Buseghin (Pescara, 2012)
Tra i volumi maggiormente significativi, citiamo Il Paradiso della Regina
Sibilla (2001), un'edizione critica del testo di Antoine de la Sale tratta dal
manoscritto conservato a Chantilly, un'opera utilissima e di elevata qualità
curata dalla studiosa svizzera Patrizia Romagnoli; e Andrea da Barberino,
Il Guerrin Meschino, edizione critica secondo l'antica vulgata fiorentina
(2005), fondamentale lavoro di ricerca elaborato da Mauro Cursietti sui
manoscritti esistenti, benché la congettura proposta dall'autore in merito
alla localizzazione delle montagne sibilline presso Lucera, nella regione
meridionale della Puglia, non possa essere condivisa, a fronte in una vasta e
illustre tradizione letteraria che pone indubitabilmente la Sibilla
Appenninica in Norcia, e a motivo dell'ulteriore osservazione in base alla
quale Lucera giace in un'area di pianura, in assenza di significativi rilievi
che siano posti nelle vicinanze.
63
Fig. 34 - Il Paradiso della Regina Sibilla di Patrizia Romagnoli (Verbania, 2001) e Andrea da Barberino,
Il Guerrin Meschino, edizione critica secondo l'antica vulgata fiorentina di Mauro Cursietti (Roma-
Padova, 2005)
Vogliamo anche citare un significativo articolo pubblicato da D. Aringoli,
B. Gentili, G. Pambianchi dell'Università di Macerata e Anna Maria
Piscitelli dal titolo The contribution of the 'Sibilla Appenninica' legend to
karst knowledge in the Sibillini Mountains (2007), un resoconto scientifico
relativo all'indagine geologica condotta sul picco del Monte Sibilla
nell'anno 2000.
Nel 2015 Tea Fonzi, ricercatrice presso l'Università di Macerata, ha
pubblicato un interessante articolo (La Sibilla dell'Appennino: una risorsa
dimenticata), nel quale la Sibilla degli Appennini è segnalata come una
«risorsa dimenticata» che dovrebbe invece essere oggetto di rinnovato
interesse in considerazione dell'evidente potenziale in termini di giacimento
culturale e come fattore di attrazione turistica.
In questo vasto territorio, non sufficientemente presidiato dalla ricerca
ufficiale, grande spazio è reso disponibile a contributori privi di ogni
scientificità e affidabilità, i quali hanno pubblicato, in anni recenti, una
64
serie di dubbie teorie, congetture e infondate illazioni sull'origine del mito
della Sibilla Appenninica.
Molti scrittori ed esperti locali hanno proposto le proprie opinioni, in
romanzi di fantasia o saggi pseudoscientifici, a proposito delle affascinanti
leggende che dimorano tra le creste dei Monti Sibillini. Giuliana Poli, con
il suo L'Antro della Sibilla e le sue Sette Sorelle (2008), ha elaborato un
fantasioso modello coinvolgente alcune piccole chiese antiche presenti nel
territorio, in un legame cosmico con la Sibilla e la costellazione della
Vergine. Enrico Tassetti, nel suo romanzo Il segreto della Sibilla Pastora
(2015), inizia un viaggio che parte dai dipinti di Guercino, Guido Reni e
Nicolas Poussin in cerca della Sibilla Appenninica. Alessandro Menghini,
docente presso l'Università di Perugia, nel suo L'enigma del monte della
Sibilla (2008), ripercorre i passi di Guerrin Meschino e Antoine de la Sale
lungo i sentieri montani asseritamente percorsi dal cavaliere eroe e dal
cortigiano provenzale. Americo Marconi, con La Sibilla, ha tracciato una
via dell'anima attraverso i propri ricordi dei Monti Sibillini. Giovanni
Rocchi, prolifico autore locale, con il suo La Sibilla e i Piceni (1998)
sostiene che la Sibilla Appenninica debba essere associata all'antica
popolazione dei Piceni, che vissero in antico tra gli Appennini e il mare
Adriatico. Massimo Spagnoli dichiara la propria perplessità in relazione
all'intero mito e ai suoi estimatori nel volume La Sibylla Appenninica -
Mitologia e mitomania, notando correttamente come la leggenda non sia
originale dei luoghi in esame, e che è possibile effettivamente individuare
un gran numero di connessioni letterarie con precedenti tradizioni.
Fig. 35 - Romanzi e saggi non professionali sulla Sibilla Appenninica
In ultimo, ma non meno significativamente, nel 2010 l'autore della presente
ricerca pubblicava un romanzo, L'Undicesima Sibilla, in cui alcuni dei temi
che sono stati in seguito sviluppati nella serie di articoli scientifici Sibilla
65
Appenninica - Il Mistero e la Leggenda venivano già menzionati in forma
preliminare, con il conferimento di un carattere oltremondano alla figura
della Sibilla e una connessione con la peculiare natura dei Monti Sibillini.
Fig. 36 - Il romanzo L'Undicesima Sibilla di Michele Sanvico
Per un sentimento di umana pietà, non menzioneremo in questa sede le
chiacchiere diffuse dagli sciocchi appassionati di arti magiche o anche dai
seguaci o avversari di quelle presenze demoniache che molti ancora
pensano possano abitare i Monti Sibillini, come se il Medioevo non si fosse
già concluso da svariati secoli.
E dunque, dove si va da qui in poi?
Si va direttamente avanti. Avanti verso il cuore più vero di un antico
enigma. La strada è ora aperta.
Non è rimasto più nulla, per noi, da completare prima di compiere il nostro
sforzo finale per gettare luce sulla vera origine dei racconti leggendari che
vivono tra i Monti Sibillini.
66
Cominciamo quindi questo viaggio conclusivo e definitivo nel nucleo più
interno del mistero della Sibilla Appenninica e del Lago di Pilato.
3. Nel cuore originario del mito
Finalmente siamo giunti fin sull'orlo del mistero dei Monti Sibillini.
Con Sibilla Appenninica - Il Mistero e la Leggenda abbiamo pubblicato una
serie di articoli a partire dal 2017 e nel corso degli anni successivi.
Abbiamo accertato la sussistenza di livelli leggendari aggiuntivi, di origine
medievale, che celano la vera natura mitica della Grotta della Sibilla e del
Lago di Pilato, con la presenza non pertinente di una Sibilla e di un prefetto
romano, traendo entrambe queste figure origine da narrazioni estranee
provenienti dall'Europa settentrionale. Successivamente, abbiamo
determinato i tratti leggendari, comuni e originali, che segnano sia il Lago
che la Grotta, con i loro demoni, i loro negromanti e le particolari tempeste.
Poi, abbiamo ipotizzato come il Lago e la Grotta possano essere stati
considerati, in tempi molto antichi, come punti di ingresso verso un qualche
genere di Aldilà, nel contesto di una serie di peculiari racconti visionari che
sono parte della più antica tradizione culturale occidentale, comprendente i
Cimmeri di Omero e l'Averno cumano di Virgilio, e con numerose
testimonianze letterarie di epoca medievale, originatesi in modo particolare
in Irlanda, tra le quali, in particolare, la leggenda del cavaliere Owein e del
Purgatorio di San Patrizio.
Come avevamo osservato nella parte conclusiva del nostro precedente
articolo Monti Sibillini, un Lago e una Grotta come accesso oltremondano,
tutti gli indizi sembrano indicare come in questo specifico luogo d'Europa,
tra i Monti Sibillini, presso un Lago e una Grotta, uomini mortali come
Enea, come Owein, possano avere tentato di effettuare un accesso a un
mondo differente, normalmente proibito ai viventi: una regione di morte,
un regno che parrebbe essere stato posto sotto il dominio di entità non
umane, apparentemente caratterizzate da una natura divina e terribile. Un
Aldilà ctonio, sotterraneo.
67
Un ingresso verso una qualche sorta di demoniaca presenza,
leggendariamente ipotizzata. Un accesso che poteva essere dischiuso
tramite rituali negromantici. Un punto di contatto con regioni oltremondane
sotterranee. Un 'hot spot', una frattura praticata nelle montagne che avrebbe
permesso di stabilire un'agghiacciante comunicazione con i poteri ctoni che
dimoravano nelle profondità della terra. Un'interruzione nella continuità del
nostro mondo ordinario.
Stiamo per rispondere a due domande fondamentali e spaventose. La lunga
ricerca delle risposte a questi interrogativi è durata diversi secoli, a partire
dall'epoca di Antoine de la Sale fino ad arrivare a Fernand Desonay e Luigi
Paolucci.
Fig. 37 - Il Monte Vettore e i Monti Sibillini illuminati dai raggi obliqui del tramonto
E le domande sono:
1) perché questo sito appenninico sarebbe stato considerato come un
ingresso verso regioni oltremondane?
2) se la nostra ipotesi è corretta, di quale genere di Aldilà si trattava? Quale
sorta di terrificante sogno fu concepito dagli uomini presso il Lago e la
Grotta posti tra le montagne dell'Appennino centrale?
68
Come abbiamo affermato nella parte iniziale del presente articolo, l'ipotesi
che stiamo per enunciare nei prossimi paragrafi costituisce
fondamentalmente una congettura, per quanto essa possa essere qualificata
come scientifica; la congettura che sarà delineata dovrà infatti essere
considerata come una proposta di soluzione al leggendario enigma
connesso alla presenza di miti straordinari dimoranti tra i Monti Sibillini. In
quanto tale, la nostra congettura può essere certamente sottoposta ad analisi
critica per un completo apprezzamento in merito ai caratteri di
ragionevolezza e plausibilità. Essa, quindi, non dovrà mancare di essere
oggetto di un'ulteriore, qualificata valutazione in merito alla sua effettiva
validità, una valutazione che potrà essere condotta da studiosi e ricercatori
interessati ad approfondire queste specifiche tematiche.
Iniziamo dunque il nostro conclusivo viaggio attraverso la formazione di
una congettura relativa alla potenziale motivazione per la quale un Lago e
una Grotta posti tra i Monti Sibillini, in Italia, possano essere stati
trasformati dagli uomini, in tempi assai antichi, in un possibile, leggendario
passaggio verso un Aldilà.
Come scrivemmo nel nostro precedente articolo, menzionato poco sopra,
riteniamo che l'ipotetica credenza leggendaria relativa a un punto di
ingresso verso una mitica regione oltremondana situata nel centro dell'Italia
sia stata segnata da un carattere del tutto spaventoso e terrificante.
Un passaggio, una fenditura nel nostro mondo, aperta tra le creste
montuose sulla spinta di un terrore puro e ancestrale. Terrore per la propria
vita. Terrore per il destino della propria famiglia. Terrore per la rovina della
propria terra.
Perché, nella nostra ipotesi, la natura di questo Aldilà sibillino risulterebbe
essere strettamente connessa alla natura di questa porzione degli
Appennini, e a una specifica, agghiacciante parola. Una parola che è in
grado di scatenare le più profonde paure che si nascondono nell'animo
umano.
E questa parola è terremoto.
69
4. La terra dei terremoti
4.1 Un visitatore agghiacciante e inatteso
Il cielo può essere sereno oppure nuvoloso. Può darsi che stia nevicando, o
piovendo, o anche che caldi raggi di sole risplendano sulla terra. Può
accadere durante il giorno, o nel bel mezzo della notte, oppure giusto prima
dell'alba.
Non puoi sapere quando arriverà. Eppure, un giorno, esso arriverà.
Dapprima, giunge il rombo. Un suono funesto, demoniaco, che procede
dalle profondità del sottosuolo, aumentando progressivamente di intensità
proprio al di sotto dei piedi, come un maligno titano che annunci la propria
terrificante visita.
Poi, arriva la scossa. Il mondo comincia a tremare, piano inizialmente, con
un movimento lento e sussultorio, su e giù, e poi ancora su e giù, in modo
tale da non potere più mantenere una posizione eretta, mentre il rombo
diviene più profondo e si trasforma in un sovrumano ruggito.
Ora la terra comincia a oscillare, da destra a sinistra, e poi da sinistra a
destra, e di nuovo da destra a sinistra, mentre le prime porzioni di intonaco
già cominciano a staccarsi dalle mura, e gli animali, impazziti, innalzando
versi stentorei e terrorizzati, corrono attorno scompostamente in cerca di
scampo, come cadaveri privi di volontà che siano stati repentinamente
resuscitati dal mondo dei morti.
E, infine, la superficie stessa della terra si solleva. La bestia urla con furia
immane; come un sudario, la sua voce di tuono copre ora i lamenti d’orrore
dei viventi. Il mondo esplode dall’interno; le mura si aprono, i tetti,
scrollati freneticamente, franano e si sgretolano; le pietre divelte, le tegole
spezzate, le travi di legno mozzate si schiantano al suolo, seppellendo e
schiacciando ogni cosa, carne e sangue e detriti, mentre per lunghi, infiniti
secondi la scossa prosegue, batte, si accanisce, percuotendo la terra e gli
uomini come un martello brandito e manovrato dalle mani insensate di un
folle.
70
Poi, tutto è morte, distruzione e silenzio.
La bestia è venuta, e se ne è andata. Ancora essa ricomincia a dormire, e a
sognare; e lunghi anni trascorreranno nuovamente prima che si risvegli
un’altra volta.
Ma tu sai, tutti sanno che, un giorno, o una notte, essa ritornerà ancora. Lì,
negli stessi luoghi.
Lì. Tra i Monti Sibillini.
Perché i Monti Sibillini sono terra di terremoti. Sin dalla più remota
antichità. Sin da età perdute nel ricordo degli uomini.
È proprio nell'area dei Monti Sibillini, nel centro dell'Italia, che i terremoti
sono particolarmente frequenti. E fortemente distruttivi.
Fig. 38 - La città di Arquata, posta al confine meridionale dei Monti Sibillini, distrutta dai terremoti del
2016
71
Questo fatto è divenuto un'evidenza manifesta in quelle fatali giornate, il 24
agosto e il 30 ottobre 2016. In quella prima data, nella notte, alle 3.36,
mentre l'intera regione stava dormendo, un potente terremoto, del tutto
repentino, colpì i Monti Sibillini dai suoi confini meridionali. Le città di
Amatrice, Accumoli e Arquata furono rase al suolo, e Castelluccio di
Norcia, posto su di una collina al centro della catena montuosa, fu
parzialmente demolito. Trecento vite furono il prezzo che, quella notte, gli
uomini dovettero pagare alle potenti forze nascoste nel sottosuolo.
Due mesi più tardi, dopo una serie di ulteriori scosse che vennero a
originarsi presso la porzione settentrionale del massiccio, un secondo,
gigantesco colpo si abbatté sull'intera regione, un sisma il cui epicentro
andò a localizzarsi in prossimità della città di Norcia: Castelluccio fu
completamente spazzata via, e la stessa Norcia fu pesantemente
danneggiata, anche se essa venne in gran parte risparmiata grazie alla
completa e previdente ricostruzione diretta dal Sindaco Alberto Novelli più
di trenta anni prima, a valle di un precedente terremoto.
Fig. 39 - Il piccolo borgo di Castelluccio di Norcia assiso su di una collina posta di fronte al Monte
Vettore, devastato dai terremoti del 2016
72
Perché il 19 Settembre 1979 un altro terremoto aveva colpito il lato
occidentale dei Monti Sibillini. E nel 1971 ulteriori ondate sismiche
avevano scosso la stessa area. In aggiunta a tutto ciò, se procediamo più
indietro nel tempo, arriviamo fino al devastante terremoto che ebbe luogo il
22 agosto 1859, ancora tra i rilievi montuosi che si innalzano tra il Monte
Vettore e Norcia. Quella volta, il mostro sotterraneo ebbe a reclamare più di
cento vite:
«Il calore era stemperato e soffocante: il cielo presentavasi ingombro di
nuvoloni bruttamente torbidi, scomposti, ed accampati in aria,
segnatamente verso Sud-Ovest, in senso orizzontale. [...] Una validissima e
veementissima scossa sussultoria accompagnata da cupo e profondo rombo
simile al bombire di un gran tuono [...] precedé altre sei terribili scosse
ondulatorie, or orizzontali, compiutesi, come pare, nello spazio di sei, o
sette minuti secondi».
Fig. 40 - Il terremoto del 22 agosto 1859 dalla Relazione del terremoto che desolò Norcia... scritta
dall'abate Leopoldo Mannocchi (Roma, 1860), p. 9 e 11
73
Spostiamoci ancora più indietro nel tempo, finché non arriviamo a
imbatterci in altro rovinoso terremoto che devastò Norcia e i Monti
Sibillini. Era il 12 maggio 1730 e le onde sismiche causarono la morte di
diverse centinaia di persone:
«Il 12 maggio, alle 10 di sera, fu percepita a Roma una potente scossa di
terremoto particolarmente violenta, che durò circa 6 minuti [...] essa ha
abbattuto quasi tutte le case della piccola città di Norcia, dove numerose
persone risultano essere state seppellite dalle macerie [...] Vi sono state a
Norcia tre scosse, di cui l'ultima è stata così violenta che tutti gli edifici
della città ne sono stati rivoltati da cima a fondo».
[Nel testo originale francese: «Le 12. Mai, vers les 10. heures du soir, on
sentit à Rome une secousse de tremblement de terre assez violente qui dura
environ 6 minutes [...] elle a abbatu presque toutes les Maisons de la petite
Ville de Norcia, où plusieurs personnes ont été ensevelies sous les ruins [...]
Il y a eu à Norcia trois secousses, dont la derniere a été si violente, que
toutes les Maisons de la Ville ont été renversées de fond en comble»].
Fig. 41 - Una relazione relativa al terremoto del 1730 apparsa nel Mercure de France, Vol. I, giugno 1730
(Parigi, 1730), p. 1223 e 1224
74
Andiamo ancora più indietro, e il nostro viaggio deve retrocedere
solamente di una manciata di decenni nel tempo prima di trovare il più
devastante terremoto che mai abbia colpito i Monti Sibillini negli ultimi
secoli. Il 14 gennaio 1703 un evento terribile si abbatté sull'intera contrada:
«La sera del 14 gennaio seguente, alle 1:45 della notte, mentre il cielo era
nuvoloso e piovigginoso, sopravvenne un terremoto così spaventoso che in
un momento Norcia, Cascia, Preci e numerosi altri luoghi ad essi prossimi
ne risultarono totalmente distrutti, e più di 800 persone perirono sotto le
rovine. [...] Esso era stato annunciato, per così dire, da diverse scosse, che
avevano fatto tremare una parte dell'Umbria».
[Nel testo originale francese: «Le soir du 14. Janvier suivant, environ à une
heure et trois quarts de nuit, par un temps couvert et pluvieux, il survint un
Tremblement de Terre si épouventable, qu'en un moment, Norcia, Cascia,
le Preci, et quantité d'autres liex du voisinage, en furent entierement
renversez, et plus de 800 personnes y perirent sous les ruines. [...] Il avoit
été annoncé, pour ainsi dire, par diverses secousses, qui avoient agité une
partie de l'Ombrie»].
Fig. 42 - Il terremoto del 1703 descritto nel Journal des Sçavans, Vol. XXXV (Amsterdam 1707), p. 250
e 249
75
Si trattò di un vero e proprio cataclisma, come annotò un altro cronista con
parole agghiaccianti:
«Ma il più lagrimevole, e che per la sua grand'estensione pose in
grandissima costernazione tutta quasi l'Italia, fu nel 1703, al cui
spaventoso, e lungo traballar della terra, la sera delli 14. di Gennaio, ad
un'ora, e quasi tre quarti di notte, alle rovine di tutta la Provincia della
Montagna s'unì la total eversione della metà della sua povera Norcia,
restando l'altra parte superiore, se non interamente atterrata, così maltrattata
ne' suoi Edifizj, che tutti aprendosi in orribili bocche di spaventose fissure,
minacciavano l'imminente pericolo di vita agli Abitatori infelici».
Fig. 43 - Il terremoto del 1703 descritto nella Cronologia della provincia serafica riformata dell'Umbria,
o d'Assisi divisa in tre libri raccolta, ordinata, e data in luce dal padre Antonio d'Orvieto (Perugia, 1717),
p. 269
E se ci spingiamo ancor più indietro, ci troviamo a raggiungere il 1
dicembre 1328, quando un altro terribile terremoto sopravvenne su quella
terra:
«Nel detto anno M.cccxxviii. all'entrante di Dicembre furono diversi
tremuoti nella Marca, nelle contrade di Norcia, per modo che quasi la
76
magiore parte della detta città di Norcia subissò, et caddono le mura della
città, et le torri, et case, et palazi, et chiese, et della detta rovina perché fue
subita, et di notte morirono più di cinque mila persone».
Fig. 44 - Un terremoto verificatosi nel 1328 descritto da Giovanni Villani nelle sue Croniche (Venezia,
1537), p. 196
Se proseguiamo a ritroso fino a raggiungere l'epoca romana, troviamo che
nell'anno 268 a.C., mentre le truppe di Roma si trovavano impegnate in una
guerra con le antiche popolazioni dei Piceni vicino alla città di Asculum,
nel versante orientale dei Monti Sibillini, nel pieno dello scontro ebbe
luogo un terribile terremoto («tremente inter proelium campo»), così come
riferito dallo scrittore latino Lucio Anneo Floro, vissuto nel secondo secolo,
nelle sue Epitomae de Tito Livio.
E ancora più indietro, ancora più indistinta tra le nebbie del tempo,
possiamo cogliere una fugace visione della catastrofe che colpì la Norcia
antica, e osservare i suoi templi crollare, «Nursiae aedes sacra terrae motu
disiecta», così come riportato da Giulio Ossequente, un autore latino, nel
racconto conciso, sfuggente, contenuto nel suo Prodigiorum Liber. Era
l'anno 99 a.C., profilantesi in modo distante e offuscato attraverso i
precipizi infiniti del tempo.
77
Fig. 45 - Il passaggio relativo a un terremoto occorso in prossimità di Ascoli tratto dall'opera Epitomae de
Tito Livio di Lucio Anneo Floro (manoscritto risalente al nono secolo Pal. Lat. 894 conservato presso
l'Universitätsbibliothek di Heidelberg), folium iniziale e folium 12v
Fig. 46 - Il riferimento a un antico terremoto avvenuto a Norcia dal Prodigiorum Liber di Giulio
Ossequente (da una preziosa edizione stampata nel 1508 by Aldo Pio Manutio), p. 495 e 511
78
Sempre più indietro è possibile andare, attraverso una storia che è ormai
perduta, ma non completamente: utilizzando le tecniche della
paleosismologia, tramite lo scavo di trincee nel terreno, così come è stato
effettuato nei dintorni della città di Norcia (Paolo Galli et al., Holocene
paleoseismology of the Norcia fault system (Central Italy), 2018; Fabrizio
Galadini et al., Paleoseismology of silent faults in the Central Apennines
(Italy): the Mt. Vettore and Laga Mts. Faults, 2003), possiamo esplorare le
linee di faglia che sono celate al di sotto della superficie del suolo. E ciò
che troviamo è spaventoso: è possibile rinvenire le tracce di terrificanti
eventi sismici, congelati negli strati dislocati di materiale, che portano i
segni di terremoti di formidabile intensità databili intorno al secondo secolo
a.C., e a un intervallo temporale che va dal settimo al quinto secolo a.C.,
con tracce di ulteriori eventi in prossimità del nono secolo a.C. e anche di
ulteriori terremoti collocabili migliaia di anni prima, nel 1.600 a.C. e nel
4/5.000 a.C.
Fig. 47 - Una trincea scavata al fine di effettuare investigazioni paleosismiche nella zona a nord di Norcia,
con l'evidenza di effetti di terremoti sulla linea di faglia nascosta dai sedimenti superficiali; i ricercatori
hanno stimato che la dislocazione mostrata in figura possa risalire all'VIII sec. a.C. (Paolo Galli et al.,
Holocene paleoseismology of the Norcia fault system (Central Italy), in Tectonophysics, Vol. 745, 2018, p.
166)
79
Terremoti. Onde sismiche che, in modo ricorrente, colpiscono Norcia e
l'intero massiccio dei Monti Sibillini. Nel corso di molti millenni. E
l'ipocentro, il punto di origine di queste improvvise e distruttive
convulsioni della terra, spesso si trova esattamente al di sotto dello stesso
rilievo montuoso. A circa dieci chilometri di profondità.
Perché i Monti Sibillini, così come anche l'intera catena degli Appennini in
Italia, ma con una specifica, ricorsiva suscettibilità, costituisce uno dei
punti di frattura tra due titaniche strutture geologiche.
Come andremo a vedere nel prossimo paragrafo.
4.2 Fratturazioni nella terra e tensioni titaniche
Zona Sismica 1: è questa la classificazione del versante occidentale dei
Monti Sibillini nella Mappa di Classificazione Sismica elaborata dal
Dipartimento della Protezione Civile italiana. Essa esprime il massimo
livello di rischio in relazione all'elevata probabilità di occorrenza di
terremoti, con un rischio medio-massimo che, invece, caratterizza l'altro
versante, quello orientale.
L'intera catena degli Appennini, nelle sue sezioni centrale e meridionale, è
classificata come Zona 1. Ma i Monti Sibillini costituiscono una porzione
molto speciale di questa dorsale a elevato rischio sismico: essi sono infatti
posizionati proprio in corrispondenza del limite settentrionale della carta
del rischio; ed è in questo specifico punto che enormi faglie sono nascoste
al di sotto dei rilievi, con una significativa capacità di scatenare eventi
catastrofici caratterizzati da considerevoli intensità sismiche. Intensità che
possono potenzialmente raggiungere una magnitudo di 7.0, la più elevata
nell'ambito dell'intera penisola italiana.
La penisola italiana è al centro di un titanico scontro tra due gigantesche
porzioni della crosta terrestre: la placca eurasiatica e quella africana, che
tendono mutuamente a collidere alla velocità di circa 6 millimetri all'anno
(Paolo Galli et al., The awakening of the dormant Mount Vettore Fault,
2018).
80
Fig. 48 - Mappa di Classificazione Sismica elaborata dal Dipartimento della Protezione Civile italiana
Ma questa collisione non è caratterizzata da un confronto aperto e
direttamente frontale. Le due placche si sfidano reciprocamente attraverso
l'interposizione di una terza placca, più piccola, secondo alcuni una sezione
avanzata della zolla africana: è la placca adriatica, una porzione allungata
della crosta terrestre che giace al di sotto del mare Adriatico, e i cui bordi
corrono lungo la catena Appenninica e la linea costiera della Croazia
(Nicola D'Agostino et al., Active tectonics of the Adriatic region from GPS
and earthquake slip vectors, 2008).
La placca adriatica: con il proprio movimento antiorario, essa produce un
effetto diverso e opposto sullo specifico processo di interazione tra le due
placche principali, l'eurasiatica e l'africana, nella zona della linea
appenninica: le due gigantesche strutture, lungo la dorsale montuosa
italiana, tendono ad allontanarsi l'una dall'altra, con una velocità di
espansione stimata tra i 3 e i 5 millimetri all'anno (Christian Bignami et al.,
81
Volume unbalance on the 2016 Amatrice - Norcia (Central Italy) seismic
sequence and insights on normal fault earthquake mechanism, 2019).
Fig. 49 - Un'immagine artistica delle linee di contrasto tra le placche africana ed euroasiatica, con la
placca adriatica posta in evidenza
Questo processo distensivo, che ha avuto probabilmente inizio già nel tardo
Pliocene, tre milioni di anni fa, si realizza lungo una direttrice
nordorientale-sudoccidentale, perpendicolarmente alla catena appenninica.
Come risultato di questa immensa trazione, la crosta si è spaccata e
fratturata: lunghe linee di faglia, parallele agli Appennini, si sono aperte in
profondità nella roccia, come se una titanica fisarmonica fosse espansa da
gigantesche mani che ne tirassero entrambi gli estremi, aprendone il
mantice fino al punto di rottura.
Lo sforzo ciclopico che agisce sulla dorsale appenninica ha condotto
all'apertura di vasti bacini intermontani (Paolo Galli et al., op. cit.). A mano
a mano che le due opposte placche esercitano la propria trazione in
direzioni opposte, l'Appennino tende a cedere, sprofondando, essendosi
così venuti a creare estesi altipiani e ampie vallate negli spazi resi
disponibili. Questo è ciò che è accaduto nel lato occidentale dei Monti
Sibillini, con la presenza di due vaste estensioni pianeggianti poste tra gli
82
impervi rilievi: la Piana di Santa Scolastica, presso la quale si trova la città
di Norcia, e il Pian Grande, situato ai piedi del Monte Vettore.
Fig. 50 - La dislocazione causata dai terremoti in relazione alla placca adriatica (frecce rosse) in
allontanamento dalla placca africana (nella porzione inferiore dell'immagine) ( (Nicola D'Agostino et al.,
Active tectonics of the Adriatic region from GPS and earthquake slip vectors), in Journal of Geophysical
Research, Vol. 113, 2008)
Fig. 51 - I due bacini intermontani situati nel lato occidentale dei Monti Sibillini, con le frecce gialle
indicanti la titanica trazione esercitata dalle placche tettoniche che tendono ad allontanarsi l'una dall'altra
nella regione
83
Ampie pianure, coltivabili, produttive, nascoste tra torreggianti montagne:
una sorta di inaspettato tesoro per gli antichi abitanti di questa meravigliosa
regione, così come è ancora oggi per i moderni residenti.
Un tesoro. Ma anche un sinistro avvertimento, e una maledizione.
Perché l'intero territorio è soggetto, senza requie alcuna, alla possente
trazione esercitata dal confronto tra le placche africana ed eurasiatica, nel
loro incessante moto di allontanamento l'una dall'altra.
Perché, in questa area, così fertile, così apparentemente accogliente, l'intera
landa risulta essere fratturata.
Fig. 52 - Le linee di faglie attive oggi conosciute nell'area localizzata nel versante orientale dei Monti
Sibillini, con indicate in rosso le faglie coinvolte nel terremoto verificatosi il 30 ottobre 2016 (immagine
elaborata sulla base di un diagramma contenuto nel Rapporto di sintesi sul terremoto in Centro Italia
magnitudo 6.5 del 30 ottobre 2016 pubblicato dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)
Nell'area dei Monti Sibillini, presso il lato occidentale del Monte Vettore,
sono presenti numerose linee di faglia. Esse sono disposte lungo ranghi
scaglionati, o 'echelon', ogni fratturazione essendo lunga da 1 a 3
84
chilometri, con una lunghezza totale dell'intero sistema di faglie pari a circa
30 chilometri. Secondo i ricercatori, queste dimensioni di faglia sono
tipicamente in grado di sviluppare sufficiente energia da generare terremoti
di magnitudo fino a 7.0.
E, quando le faglie si rompono, la terra sovrastante collassa.
4.3 Il segno sul volto della montagna
Un collasso. Questo è esattamente ciò che è avvenuto il 30 ottobre 2016,
con un devastante terremoto di magnitudo 6.5, e che ha avuto
probabilmente luogo anche nel corso dei terremoti del passato (Bignami et
al., op. cit.).
Fig. 53 - La dislocazione dal versante occidentale dei Monti Sibillini a seguito della sequenza sismica
occorsa nel 2016, quando il Pian Grande si è abbassato di 1 metro (area blu nel diagramma) (Christian
Bignami et al., Volume unbalance on the 2016 Amatrice - Norcia (Central Italy) seismic sequence and
insights on normal fault earthquake mechanism, in Nature - Scientific Reports, 9:4250, 2019).
85
Durante quell'evento, il Pian Grande ha ceduto, con uno spostamento verso
il basso di un metro rispetto alla sua precedente posizione. L'intero
altopiano, e metà del Monte Vettore con esso, si è abbassato, con il collasso
della crosta, verso una nuova condizione di stabilità.
Tutto questo ha avuto luogo molte, molte volte, in modo ricorsivo,
attraverso vari millenni. Le trincee scavate a Norcia e di fronte al Monte
Vettore in cerca di dislocamenti paleosismici, occultati in profondità nel
terreno, mostrano l'effettiva realtà di tutto ciò.
Ma la più spaventosa, la più manifesta evidenza di questo medesimo
fenomeno si trova proprio innanzi alla vista di tutti.
È necessario, solamente, sostare nel mezzo del Pian Grande, e sollevare gli
occhi.
Quando si guarda in direzione del Monte Vettore, è possibile vedere una
grande striscia che ne segna il versante occidentale. Una striscia di nuda
roccia. Alta, in alcuni punti, fino a 25 metri.
Fig. 54 - Il versante occidentale del Monte Vettore con la grande linea di faglia chiamata 'Strada delle
Fate'
86
I semplici villici la chiamano 'Strada delle Fate' e lo sciocco racconto ad
essa connesso è riferito da Paolo Toschi nella sua introduzione al saggio di
Luigi Paolucci La Sibilla Appenninica, che abbiamo avuto modo di
menzionare in un precedente paragrafo:
«Una sera le fate, di cui la Sibilla era regina, chiesero il permesso di andare
al ballo notturno che si teneva all'Infernaccio. Andate pure - disse la Sibilla
- ma ricordatevi di ritornare dentro la grotta prima dell'alba [...] Mossero
liete le fate alla danza. [...] Ad un tratto, all'orizzonte, s'accenna il primo
lucore dell'alba. Sorprese, sbigottite, colte dall'ansia e dallo spavento,
s'affrettano le fate in folle corsa verso la grotta. [...] Esse corrono
disperatamente [... con i loro] piedi di capra [...] Tutta una striscia della
montagna, lungo la costa del Vettore, fu così pesticciata dall'affannoso
correre delle fate, che la traccia ne è rimasta tuttora. E quando il dorso
montuoso campeggia netto nell'azzurro, a una certa altezza, una striscia più
chiara ben si distingue. I contadini del luogo se l'additano: è il cammino
delle fate».
Questo è l'ingenuo racconto che viene ancora narrato tra i residenti.
Ma la vera natura di quella striscia è del tutto differente. E completamente
agghiacciante.
Perché quella fascia, che corre attraverso il fianco del Monte Vettore, a
un'altitudine di circa duemila metri, è il segno di qualcosa che conosciamo.
Terremoti. Terremoti di distruttiva potenza.
La 'Strada delle fate' non è strada percorsa da alcuna fata. È
un'impressionante, gigantesca linea di faglia. Una frattura, lo spezzarsi
della montagna stessa sotto la rabbiosa potenza delle più devastanti onde
sismiche.
Terremoto dopo terremoto, attraverso i millenni, la spinta distensiva che
agisce su quella porzione degli Appennini ha abbassato l'intera distesa del
Pian Grande. E l'immenso Monte Vettore, che innalza le proprie creste nel
mezzo della faglia, è stato trascinato giù con esso, fratturandosi nel
processo. La sua porzione occidentale ha seguito il Piano nella sua
dislocazione verso il basso; le creste e la parte orientale hanno invece
87
opposto resistenza, lottando per mantenere la propria posizione ed
elevazione.
Fig. 55 - La titanica linea di faglia che corre attraverso il Monte Vettoreì
E la montagna, l'intera montagna, da nord a sud, si è semplicemente
spaccata. Lungo la linea di faglia che è conosciuta con il puerile, pittoresco
nome di 'Strada delle Fate'.
Tali sono le titaniche forze che operano tra i Monti Sibillini.
E, nel prossimo paragrafo, avremo modo di vedere ulteriori esempi a
proposito degli straordinari, sovrumani effetti prodotti da queste forze
sotterranee. Effetti che sono intagliati sulle imponenti, precipiti creste di
queste montagne.
4.4 Il pugno furente di un titano
La 'Strada delle Fate' non è l'unico segno lasciato dalla terrificante potenza
dei terremoti sulla carne di pietra dei Monti Sibillini.
Dopo ogni devastante terremoto, i popoli che hanno abitato queste
montagne, che si tratti di pastori del diciottesimo secolo con i propri
armenti o di veterani dell'antica Roma con le proprie assegnazioni
centuriali, hanno potuto osservare gli effetti del pugno di un titano sulle
88
circostanti montagne. E, certamente, la loro reazione non può essere stata
che di reverenziale timore. Come accade anche ai nostri giorni.
Possiamo infatti immaginare come le loro sensazioni non fossero
particolarmente diverse da ciò che gli uomini possono provare oggi nel
proprio animo nel contemplare le titaniche ferite inferte alle pareti rocciose,
ai precipizi e alle creste dalle onde sismiche che hanno colpito i Monti
Sibillini, prima il 24 agosto 2016, e poi il 30 ottobre 2016.
Fig. 56 - La nuova linea di faglia apertasi sui pendii del Monte Vettore al di sotto della 'Strada delle Fate'
nel 2016
Nel corso di quella prima notte, sui pendii del Monte Vettore, proprio al di
sotto della 'Strada delle Fate', una nuova fratturazione è improvvisamente
apparsa: chilometri e chilometri segnati da un'ulteriore spaccatura, appena
generatasi, e secondaria rispetto alla faglia principale che corre sullo stesso
versante a una maggiore altitudine. Successivamente, il secondo terremoto
ha esteso e allargato quella fessurazione, che ancora oggi è visibile lungo il
fianco della montagna.
Sotto la straordinaria spinta di uno dei più intensi terremoti degli ultimi tre
secoli, il Monte Vettore si fratturava nuovamente. E, in pochissimi secondi,
89
chilometri di solida roccia scivolavano contro adiacenti chilometri di pietra.
Chilometri che si sono abbassati, strisciando gli uni contro gli altri, fino a
quasi due metri. In pochi terrificanti istanti, l'intera montagna si è mossa.
Fig. 57 - Dislocazione della faglia del Monte Vettore come risultato della sequenza sismica verificatasi
nel 2016; a sinistra, una sezione della faglia prima dei terremoti; a destra, l'abbassamento del versante
osservato nel medesimo punto dopo i terremoti (elaborazione su immagini di A. Notaro e P. Galli)
Fig. 58 - L'abbassamento della 'Strada delle Fate' sul Monte Vettore (adattamento da Paolo Galli et al.,
The awakening of the dormant Mount Vettore Fault, in Tectonics, 38, 2018)
90
La 'Strada delle Fate', la gigantesca linea di faglia che corre attraverso il
Monte Vettore, veniva parimenti coinvolta: il suo margine inferiore cedeva
anch'esso, con un'ulteriore fessurazione che è chiaramente visibile lungo il
versante, poco al di sopra della nuova frattura.
L'impressione che rimane nell'occhio dell'osservatore che vive la propria
vita nel ventunesimo secolo, facendo diretta esperienza di un evento così
enorme e così catastrofico, è immensa: una forza emergente dal sottosuolo
ha potuto spezzare la montagna, per tutta la sua lunghezza.
Il pugno di un titano ha colpito i Monti Sibillini con la propria sovrumana
potenza. E ulteriori, spaventosi effetti possono essere parimenti osservati.
Dalle cime stesse del rilievo montuoso fino ai sottostanti altipiani.
Fig. 59 - Le creste che sovrastano il circo glaciale del Monte Vettore fratturate dalla spinta esercitata dai
terremoti nel 2016
Durante la sequenza sismica del 2016, le creste arcuate del Monte Vettore
hanno ingaggiato una prodigiosa battaglia con le forze imperative che
stavano trascinando il Pian Grande giù verso un livello di stabilità posto a
quota minore. Nel corso di questa lotta, e come prodotto delle possenti
trazioni applicate alle rocce terminali della montagna, le scogliere più
91
elevate ne sono risultate spezzate, con larghe fessurazioni che sono venute
a determinarsi nella solida pietra delle creste sommitali: un segno della
potenza delle forze sovrumane all'opera durante i più intensi terremoti.
Sulla superficie del Pian Grande, lo straordinario mare d'erba circondato
dalle montagne, una grande cavità circolare si è spalancata nel mezzo della
distesa erbosa: una bocca oscura, normalmente celata al di sotto delle zolle,
un cedimento causato dall'improvviso collasso di una cavità sotterranea
scavata nella roccia dalle acque piovane. Una visione di un mondo
sotterraneo occultato al di sotto dei passi ignari percorsi dagli uomini.
Fig. 60 - La cavità nel Pian Grande prodotta dal collasso del sottostante strato di roccia a seguito
dell'azione delle onde sismiche nel 2016
E poi, una serie di spaventosi segni lasciati dal terremoto sull'intero
territorio dei Monti Sibillini: frane, strade crollate, stupefacenti
cambiamenti nelle portate delle sorgenti e nella circolazione delle acque
sotterranee.
E, infine, l'effetto più abominevole di tutti: distruzione, e morte.
92
Questo è ciò che gli uomini e le donne della nostra era hanno potuto vedere
e vivere nell'anno 2016, in un'epoca nella quale la gente sa bene cosa sia un
terremoto, e la scienza è in grado di fornire risposte esaurienti in merito
all'origine delle scosse telluriche e ai meccanismi ad esse sottesi, anche se
ancora il sapere scientifico non è capace di formulare previsioni
relativamente al momento in cui questi eventi possano verificarsi.
Ma cosa possiamo dire degli uomini e delle donne vissuti in antico, quando
nessuna conoscenza scientifica a proposito della natura dei terremoti era
disponibile e il terrore colpiva, con la più pervasiva efficacia, i cuori e le
menti delle popolazioni che vivevano nella regione dei Monti Sibillini?
Prima di affrontare questo affascinante argomento, dobbiamo approfondire
ulteriormente il carattere dei terremoti, co come essi si manifestano in
questa specifica area.
Come abbiamo potuto vedere nel presente paragrafo, i terremoti nei Monti
Sibillini costituiscono una realtà assolutamente tangibile. Essi si rendono
visibili. Essi possono essere quasi toccati. Ed essi possono anche essere
uditi.
Un'agghiacciante voce dal mondo infero. Come avremo modo di vedere nel
prossimo paragrafo.
4.5 La belva che si nasconde negli abissi
Vivere tra i Monti Sibillini, oggi come nel medioevo o al tempo dei romani,
significa talvolta fare esperienza di fatti straordinari, o anche addirittura
sovrumani. Un'esperienza sinistra.
Gli scenari naturali sono semplicemente meravigliosi e caratterizzati da una
bellezza assoluta, che colpisce l'animo. Sia che si vada a vivere presso il
lato occidentale della catena montuosa, non lontano dall'imponente e
massiccia sagoma del Monte Vettore, una nave titanica che emerge
dall'oceano d'erba del Pian Grande; oppure, che si viva al di sotto delle
nuvole rapidamente trascorrenti sulla vetta coronata del Monte Sibilla, nel
93
versante orientale, in entrambi i casi i Monti Sibillini paiono essere avvolti
da un incantesimo segnato da un quieto, vibrante senso di aspettazione.
Perché tutti sanno che esso è sempre presente. In attesa. Pronto per un
nuovo risveglio.
Tra i Monti Sibillini, è sempre possibile udire la sua voce. Proveniente da
ogni direzione, e talvolta direttamente dalle profondità della terra.
Nelle notti d'estate o durante le lunghe sere d'inverno, lo si avverte
dapprima attraverso il proprio corpo. Il suono giunge senza alcun
preavviso, echeggiando su tonalità particolarmente profonde; un debole
boato, quasi impercettibile all'inizio, ma che cresce progressivamente fino a
diventare facilmente udibile, pur rimanendo sufficientemente debole da non
riuscire ad allarmare quei visitatori e quegli ospiti non abituati ad
ascoltarne la voce. Ma tutti lo conoscono assai bene, e sanno che ciò che è
appena accaduto, quel rombo attutito che sembra provenire da ogni luogo,
attraversando la campagna circostante, è una flebile, soffocata scossa di
terremoto.
Come esperienza personale accaduta all'autore del presente articolo, che ha
avuto la possibilità di soggiornare a Norcia per prolungati periodi di tempo,
quando la casa è silenziosa e la notte è immobile, è possibile udire il
sinistro, cupo, roboante suono dei terremoti fino a una magnitudo minima
pari anche a 1.3. Questi movimenti sono normalmente avvertiti solo dagli
strumenti sismografici. Nondimeno, esattamente sotto quella casa correva
una delle linee di faglia conosciute; e, quella notte, si trattava proprio di
quella specifica faglia, che segnalava la propria presenza.
Oltre a ciò, ci sono volte, nel mezzo della notte, in cui si giace
addormentati nei propri letti. Ma ci si sveglia, perché il rombo sta
annunciando il proprio arrivo. In pochi momenti, esso è lì accanto a te, e il
tuo letto comincia a tremare debolmente, per un secondo o forse due. Si
rimane immobili, inerti come statue di sale, chiedendo a se stessi se le onde
in arrivo stiano per gonfiarsi manifestandosi in tutta la loro indicibile
potenza, o se si tratti solamente di un piccolo scuotimento, un mero
avvertimento relativo a eventi che dovranno ancora accadere. Poi, esso
abbandona il tuo letto, e la tua casa. Il silenzio torna a regnare nuovamente,
94
e si può tentare di tornare a dormire un altro poco. Questa volta, si è trattato
di un evento avente magnitudo compresa indicativamente tra 2 e 3.
Fig. 61 - Il profilo del Monte Vettore emerge nella notte in apparente immobilità, benché le spinte
geologiche che agiscono in segreto su di esso continuino la propria opera senza mai interrompersi
Il terremoto, la belva che vive nel sottosuolo, è sempre presente. Piccoli
tremori colpiscono i Monti Sibillini ininterrottamente, lungo il corso
dell'anno. Gli epicentri giacciono al di sotto delle città e dei borghi posti nel
versante occidentale, come Norcia e Preci; oppure, presso il lato orientale,
a Montegallo o Montemonaco; o anche ad Arquata del Tronto, ai confini
meridionali del massiccio; oppure, nella regione più settentrionale, a Visso
o Ussita. O anche direttamente nel Pian Grande, vicino al villaggio di
Castelluccio, oppure proprio nel cuore delle montagne, tra le creste
montuose che corrono dal Monte Vettore al Monte Sibilla.
Ovunque l'epicentro possa essere situato, il processo distensivo che agisce
su questa porzione degli Appennini prosegue senza alcuna interruzione,
giorno dopo giorno e anno dopo anno, producendo la propria incessante
trazione sulle linee di faglia che segnano l'intero territorio secondo una
direttrice avente orientamento nordoccidentale-sudorientale.
La voce di questo processo può essere frequentemente udita, talvolta come
un suono sommesso, collocato su una scala di toni assai bassi. Sin da ere
ormai dimenticate, sin dall'età dei romani e anche da epoche ancor più
95
antiche, questa voce ha accompagnato le vite delle popolazioni che hanno
abitato la regione dei Monti Sibillini.
Fig. 62 - Una porzione della sommessa, minacciosa sequenza sismica che ha colpito i Monti Sibillini e
Norcia il 18 settembre 2019
Una belva si nasconde perennemente negli abissi, e chi risiede in questo
territorio lo sa bene. Sovente è possibile udirla, mentre essa dorme il
proprio sonno turbato, agitato, a molti chilometri di profondità.
Così come è accaduto, ad esempio, il 18 settembre 2019, quando una breve,
inquietante sequenza composta da circa 60 piccoli scuotimenti sismici è
proseguita per l'intera giornata, con una frequenza media di un flebile,
quasi impercettibile colpo ogni venti minuti circa. Quasi impercettibile.
Eppure essa era lì. E sia l'orecchio che il corpo potevano debolmente
avvertirla.
E la gente attendeva, in apprensione e angoscia.
Perché essi sapevano che, talvolta, quella voce si tramutava in un urlo
selvaggio e demoniaco. Come avremo modo di vedere nel prossimo
paragrafo.
96
4.6 L'urlo del mostro
C'è un'esperienza assai peculiare che gli uomini e le donne che hanno
abitato tra i Monti Sibillini, nell'Italia centrale, hanno potuto provare
attraverso i secoli e i millenni.
Non stiamo facendo riferimento alla terrificante esperienza di percepire il
suolo al di sotto dei propri piedi mentre viene follemente squassato da onde
sismiche multiple caratterizzate da una magnitudo di 6.5, come durante
quel fatidico giorno del 30 ottobre 2016: inizialmente, le onde primarie, che
giungono direttamente da un ipocentro posto a 10 chilometri in profondità,
colpiscono la superficie della terra con un moto verticale di
estensione/compressione, spingendo un corpo umano pazzescamente verso
l'alto e verso il basso, come in un folle volo; e, alcuni istanti più tardi, con
l'arrivo delle onde secondarie, più lente, uomini e donne ed edifici
cominciano a essere sottoposti a un'oscillazione orizzontale, in direzione
laterale, che risulta essere del tutto travolgente e soverchiante, tanto da
rendere impossibile il mantenimento di una posizione eretta e la fuga dalla
propria casa in fase di crollo attraverso una porta che, forsennatamente,
oscilla e si disloca in tutte le direzioni attorno alla propria posizione di
riposo.
Fig. 63 - Un diagramma che mostra l'arrivo precoce delle onde primarie, seguite in brevissimo tempo
dalle più potenti onde secondarie (fonte: https://geol105.sitehost.iu.edu/)
97
Inoltre, non stiamo nemmeno alludendo alle lunghe, snervanti sequenze di
scosse di assestamento che sempre seguono quel primo terrificante colpo.
Dopo il sisma principale, il terremoto continua a scaricare l'energia
accumulata all'interno degli strati sotterranei di roccia, generando scosse su
scosse, in una serie apparentemente incessante di eventi, sia intensi che
maggiormente deboli, con epicentri che risultano essere distribuiti su tutta
la regione. Un fenomeno che nel 1859 fu registrato anche da Leopoldo
Mannocchi con le parole «il continuo mugghiare e scuoter della terra», e
nel 1703 da Pietro de Carolis, il quale ebbe a scrivere che «in tutto il
tempo, che mi sono trattenuto in queste parti, le scosse de Terremoti
continuamente si sono fatte sentire frequenti, e con violenza».
Stiamo infatti prendendo in considerazione un'esperienza diversa, anche se
assolutamente correlata, e dal carattere integralmente terrorizzante.
Qualcuno la chiama 'l'urlo della montagna'.
Perché la montagna urla. Un grido agghiacciante, che può essere udito al
culmine dei più devastanti terremoti:
«Mi sono precipitata fuori di casa, tutto veniva scrollato paurosamente; ho
visto il prato contorcersi come se fosse un mare agitato dalle onde; e ho
sentito l'urlo che fuoriusciva dalle montagne»; «mentre la mia casa
oscillava ho guardato fuori dalle finestre in direzione del versante, e ho
udito la montagna gridare».
L'autore del presente articolo ha potuto raccogliere questi due racconti dalla
voce di due persone che hanno vissuto l'esperienza del terremoto nel 2016:
la prima è stata raggiunta dalle onde sismiche a Montefortino, presso il lato
orientale dei Monti Sibillini; la seconda è stata sorpresa dal sisma a Norcia,
sul lato occidentale. Ma i due racconti risultano essere praticamente
identici.
Le montagne urlano. Le montagne gridano. Come se esse fossero vive. È
come se stessero gridando dolorosamente, e con furia.
Quale è la ragione scientifica per la quale la gente si trova a udire questo
suono così raccapricciante all'apice dei terremoti più potenti?
Probabilmente, il fattore scatenante non è costituito dalle onde sismiche
98
primarie, che generano un movimento del suolo in bassa frequenza
viaggiando dalle viscere della terra fino all'epicentro localizzato
verticalmente sulla superficie, facendo così della terra sovrastante una sorta
di gigantesco altoparlante, che proietta il suono verso l'alto nell'aria
(Patrizia Tosi, Earthquake sound perception, 2012). Il suono che ne risulta
è un echeggiante boato, che spesso può essere udito subito prima dell'inizio
dello scuotimento, agendo poi come potente accompagnamento sonoro
durante tutto il corso dell'evento.
Ma l'urlo, quella pare essere una storia diversa. Quando le onde secondarie
raggiungono la superficie terrestre e penetrano, con la loro possente spinta
oscillatoria, all'interno dei rilievi montuosi sovrastanti, i monti stessi
cominciano a vacillare, con movimenti in bassa frequenza e ulteriori
interazioni aggiuntive, di più breve periodo, che vengono a crearsi con gli
strati di roccia attraversati dalle medesime onde durante la loro
propagazione.
Il suono risultante è un ruggito profondo, demoniaco, accompagnato da una
sorta di urlo prolungato e disumano, che sembra sorgere dai versanti
martoriati delle montagne.
Fig. 64 - Uno storico articolo scientifico di Charles Davison relativo ai suoni prodotti dai terremoti (1938)
Questo è ciò che le popolazioni che vivono tra i Monti Sibillini hanno
potuto udire il 30 ottobre 2016, e il 14 gennaio 1703, e il 1 dicembre 1328,
e ancora e ancora indietro nel tempo, fino a un distante, perduto passato,
ormai inaccessibile tra le nebbie della lunghissima storia dell'Appennino
99
centrale.
I Monti Sibillini. Montagne che si muovono. Montagne che gridano.
Montagne che scatenano terrore, distruzione e morte su tutta la contrada e
sui suoi terrorizzati abitanti.
Montagne che paiono essere vive. O, apparentemente, abitate da qualcosa
che sembra vivo.
Uno scenario agghiacciante. Nel quale gli uomini potrebbero avere nutrito
sogni di un contatto proibito e impossibile. In un'antichità ormai remota.
Michele Sanvico
100
FINE DELLA PARTE 1
____________
Per il seguito del presente articolo
fare riferimento alla Parte 2
101
ResearchGate has not been able to resolve any citations for this publication.
ResearchGate has not been able to resolve any references for this publication.