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MONTI SIBILLINI, UN LAGO E UNA GROTTA COME ACCESSO OLTREMONDANO (PARTE 2)

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Abstract and Figures

I misteri del Monte Sibilla e dei Laghi di Pilato, situati tra i Monti Sibillini in Italia, costituiscono entrambi enigmi antichi e ancora inspiegati. In due precedenti articoli, "Nascita di una Sibilla: la traccia medievale" e "Una leggenda per un prefetto romano: i Laghi di Ponzio Pilato", abbiamo posto in evidenza due livelli narrativi addizionali, connessi alla figura di Morgana la Fata e alla nota tradizione leggendaria che ha circondato la figura di Ponzio Pilato. Con un terzo articolo, "Monti Sibillini: la leggenda prima delle leggende", abbiamo identificato una serie di aspetti comuni che segnano entrambe le leggende, sia in relazione al Lago di Pilato che alla Grotta della Sibilla, con almeno tre tratti condivisi: leggendarie presenze demoniache; rituali negromantici effettuati presso entrambi i siti; e leggendarie tempeste e devastazioni che si sarebbero levate da ambedue i luoghi. Con il presente articolo affrontiamo un quarto aspetto assai significativo che sembra caratterizzare entrambi i luoghi, la Grotta e il Lago: parrebbe che essi siano stati considerati come una sorta di passaggio verso regioni oltremondane, a motivo della presenza di specifici elementi narrativi, come il 'ponte del cimento', che sono usualmente rinvenibili in tradizioni letterarie che descrivono viaggi visionari nell'Aldilà. Il regno infero e la sua accessibilità ai viventi ha sempre costituito un illustre ed emozionante tema letterario nella produzione della tradizione occidentale, a partire dall'antichità classica, attraversando il Cristianesimo delle origini e percorrendo i secoli del Medioevo. Dall'"Odissea" di Omero all'"Eneide" virgiliana, da Papa San Gregorio Magno ai sogni visionari originati nell'Irlanda medievale, e fino alla leggenda del Purgatorio di San Patrizio, gli uomini hanno sempre sognato il sogno della vita oltre la vita, con le sue ombre, i suoi demoni e le sue torture. Nella presente ricerca ripercorriamo i principali esempi letterari concernenti le visioni narrative dell'Aldilà nella cultura occidentale. Inoltre, vengono posti in evidenza gli stretti legami letterari che possono essere rilevati tra i racconti leggendari relativi alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato, situati tra i Monti Sibillini, e due notissime narrazioni, di enorme successo, che descrivono due specifici viaggi all'interno delle regioni oltremondane: la leggenda della Sibilla Cumana, con il Lago d'Averno e la tenebrosa grotta che permetteva di accedere al regno dei morti, e la leggenda del Purgatorio di San Patrizio, che pone in scena un altro lago, Lough Derg, e un'altra sinistra caverna. Nel presente articolo mostreremo le ripetute contaminazioni che hanno avuto luogo tra i temi narrativi che connettono le tre diverse, e sostanzialmente irrelate, leggende, nella forma di un palese trasferimento di temi narrativi e situazioni dagli illustri e ben noti racconti cumano e irlandese, verso un racconto italiano che sembra essere caratterizzato da alcuni tratti narrativi e geografici comuni, anche se localizzato in una differente ambientazione, e malgrado la sua sostanziale indipendenza dalla narrazioni che riguardano Lough Derg e Cuma. Una contaminazione che ha percorso i secoli del Medioevo, transitando lungo invisibili flussi narrativi orali, e infine materializzatisi all'interno delle opere quattrocentesche vergate da Antoine de la Sale e Andrea da Barberino. L'ipotesi che ne deriva, dalle significative conseguenze, è costituita dalla possibilità che un leggendario punto di passaggio verso un qualche genere di Aldilà possa essere stato localizzato, da una tradizione molto antica che avrebbe lasciato labili tracce nella letteratura conosciuta, tra le vette degli Appennini nell'Italia centrale. E i segni rilevanti relativi a questo mitico punto di passaggio sarebbero stati associati, proprio come a Cuma e a Lough Derg, allo stesso tipo di forme geografiche, un lago e una grotta: entrambi avrebbero segnalato la presenza di un leggendario 'hot spot' sulla superficie della Terra, presso il quale un mitico punto di ingresso oltremondano sarebbe stato localizzato. In tale scenario, varie questione vengono lasciate aperte al termine del presente articolo: per quale motivo questo sito appenninico avrebbe dovuto essere considerato come un ulteriore punto di ingresso verso l'Aldilà? Se la nostra ipotesi fosse corretta, di quale sorta di regione oltremondana si sarebbe trattato? Quale genere di sogni spaventosi avrebbero concepito gli uomini presso il Lago e la Grotta situati tra le montagne dell'Appennino centrale? Quale leggenda viveva in quest'area prima che i leggendari racconti medievali relativi a una Sibilla e a Ponzio Pilato si stabilissero in questi luoghi? L'evidenziazione del carattere oltremondano che marca il massiccio dei Monti Sibillini, in Italia, può condurre la ricerca verso una maggiore comprensione del nucleo mitico del complesso leggendario che abita queste imponenti montagne italiane, aprendo una nuova strada che sarà pienamente percorsa in un futuro, e conclusivo, articolo, attualmente in corso di preparazione. Questo articolo costituisce la Parte 2 dell'articolo completo riguardante la predetta tematica, ed è anche parte di una serie completa di articoli sulla vera origine delle leggende della Sibilla Appenninica e dei Laghi di Pilato, una serie che comprenderà ulteriori articoli i quali saranno in grado di fornire nuove, inedite informazioni in merito a questa affascinante tematica.
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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
MONTI SIBILLINI, UN LAGO E UNA GROTTA COME
ACCESSO OLTREMONDANO1
PARTE 2
3.10 Accedere al Purgatorio da Lough Derg
Alla metà del dodicesimo secolo, una leggenda irlandese narrava il
racconto di un uomo, un valente cavaliere di nome Owein, che avrebbe
viaggiato, vivente, nell'Aldilà cristiano, popolato di terrificanti demoni. E
quel viaggio non sarebbe stato effettuato nel corso di una mera visione, ma
con il suo stesso corpo fisico, accedendo a un punto di passaggio posto in
una tenebrosa grotta conosciuta con il nome di 'Purgatorio di San Patrizio'.
1 Articolo pubblicato il 2, 3, 5, 7, 9, 12, 16, 19, 21 febbraio 2020
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_Otherworld.asp)
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Quel racconto leggendario era stato riferito da Henry di Saltrey nel suo
Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, nella forma di un veridico
resoconto a lui narrato da un monaco, Gilberto di Lincoln. Eppure, in
quello stesso racconto Henry di Saltrey non fornisce mai alcuna
indicazione in merito all'esatta localizzazione di questo fatidico passaggio,
benché egli affermi che esso sarebbe situato in Irlanda.
Fig. 79 - L'Irlanda, la Britannia, l'Islanda e le Isole Orcadi in una miniatura contenuta nella Topographia
Hibernica di Giraldus Cambrensis (manoscritto n. 700, National Library of Ireland, Dublino, folium 48r)
Ma dove si trovava l'ingresso al Purgatorio di San Patrizio?
Henry di Saltrey scrive solamente «in un luogo deserto» («in locum
desertum»), in Irlanda. Ma dove si trovava questo luogo deserto?
Ulteriori informazioni sono reperibili in Giraldus Cambrensis (Gerald of
Wales), ecclesiastico e storico, che scrive negli stessi anni di Henry di
Saltrey. Nella sua Topographia Hibernica, la cui prima revisione risale al
1188, egli inserì un capitolo relativo a un'isola molto speciale, situata nella
porzione settentrionale dell'Irlanda:
«C'è un lago in Ulster che contiene un'isola divisa in due parti. In una parte
si trova una chiesa dal carattere particolarmente sacro, piacevole e ridente a
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vedersi, incomparabilmente illustre perché visitata dagli angeli e da molti
santi uomini. L'altra parte, selvaggia e orribile, si dice che sia abitata
solamente da demoni, e che sempre sia possibile osservare in essa visioni di
demoniache moltitudini e agitazioni».
Fig. 80 - Il brano relativo all'isola dove è situato il Purgatorio di San Patrizio così come appare nella
Topographia Hibernica di Giraldus Cambrensis (manoscritto n. Ff.1.27, Cambridge University Library,
folium 294)
[Nel testo originale latino: «Est lacus in partibus Ultoniae continens
insulam bipartitam. Cujus pars altera, probatae religionis ecclesiam habens,
spectabilis valde est et amoena; angelorum visitatione, sanctorumque loci
illius visibili frequentia, incomparabiliter illustrata. Pars altera, hispida
nimis et horribilis, solis daemoniis ut dicitur assignata; quae et visibilibus
cacodaemonum turbis et pompis fere semper manet exposita»].
La descrizione di Giraldus prosegue presentando ulteriori elementi
sovrannaturali:
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«Questa parte dell'isola contiene nove cavità sotterranee. Se qualcuno
osasse trascorrere una notte in esse, cosa che effettivamente è stata tentata
da uomini assai temerari, il visitatore sarebbe immediatamente rapito dagli
spiriti maligni; e per tutta la notte sarebbe così violentemente torturato,
subendo incessantemente indicibili tormenti di vario genere, con l'acqua e
con il fuoco, che al giungere del mattino solo una minima favilla di vita, se
non alcuna, sarebbe rinvenibile in quel misero corpo. Si dice anche che se
quel visitatore si mostrerà in grado di sopravvivere alle pene a lui inflitte,
egli mai non subirà le più gravi pene dell'inferno, a meno che non si macchi
in vita di peccati gravissimi».
Fig. 81 - Cavità sotterranee e presenze demoniache sull'isola dove è situato il Purgatorio di San Patrizio,
dalla Topographia Hibernica di Giraldus Cambrensis (manoscritto n. Ff.1.27, Cambridge University
Library, folium 294)
[Nel testo originale latino: «Pars ista novem in se foveas habet. In quarum
aliqua si quis forte pernoctare praesumpserit, quod a temerariis hominibus
nonnunquam constat esse probatum, a malignis spiritibus statim arripitur, et
nocte tota tam gravibus poenis cruciatur, tot tantisque et tam ineffabilis
ignis et aquae variique generis tormentis incessanter affligitur, ut mane
facto vix vel minimae spiritus superstitis reliquiae misero in corpore
reperiantur. Haec, ut asserut, tormenta si quis semel ex injuncta poenitentia
sustinuerit, infernales amplius poenas, nisi graviora commiserit, non
subibit»].
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È questo il luogo che stavamo cercando? Sì, ed è lo stesso Giraldus a
confermarlo:
«Questo luogo è chiamato dagli abitanti del posto 'Purgatorio di San
Patrizio'».
Fig. 82 - L'isola menzionata da Giraldus Cambrensis e la sua identificazione con il Purgatorio di San
Patrizio, dalla Topographia Hibernica (manoscritto n. Royal MS 13 B VIII, British Library, folium 15r)
[Nel testo originale latino: «Hic autem locus Purgatorium Patricii ab incolis
vocatur»].
Fig. 83 - Station Island e Lough Derg, Co. Donegal, Irlanda
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E dunque, nell'antica tradizione relativa al Purgatorio di San Patrizio,
troviamo una o più cavità sotterranee e un lago, che costituiscono un
accesso alle regioni infere. Una configurazione che non può non riportare,
alla nostra mente, una configurazione simile che compare anche in Italia,
tra i Monti Sibillini, con un'altra Grotta e un altro Lago, in merito ai quali
stiamo ipotizzando che possa essere esistita una qualche tipologia di
leggendario accesso all'Aldilà.
In ogni caso, consultando i testi vergati da Henry di Saltrey e Giraldus
Cambrensis, non è possibile comprendere dove si trovi esattamente la
posizione di questo speciale lago e di questa peculiare grotta nel territorio
irlandese. Nondimeno, stiamo per scoprire come la localizzazione di quel
lago sia fissata da una tradizione che, per più di novecento anni, è stata
capace di attirare migliaia di visitatori e penitenti fino alle porte di questo
punto di passaggio d'Irlanda verso l'Aldilà.
Stiamo parlando di Lough Derg, un lago situato nella Contea di Donegal, in
Irlanda: l'ingresso tradizionale e storicamente riconosciuto al Purgatorio di
San Patrizio.
3.11 Il Purgatorio di San Patrizio come leggendario ingresso fisico al
mondo infero
Nella parte settentrionale dell'Irlanda, nella Contea di Donegal, si trova una
regione vuota e desolata, ricoperta in massima parte di paludi, brughiere,
stagni e laghi, disseminati tra i bassi altipiani deserti, dove la torba e le
acque costituiscono gli elementi primari sui quali poggiare il proprio piede.
I villaggi sono rari e la presenza umana è quasi invisibile, tra le basse
colline dove l'erica sembra avere stabilito il proprio incontrastato dominio.
Ancora oggi, solamente poche strade attraversano questo isolato,
malinconico territorio.
A partire dal dodicesimo secolo in poi, questo remoto angolo d'Europa
divenne la destinazione di migliaia e migliaia di pellegrini provenienti da
ogni nazione del continente.
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Fig. 84 - La regione del Pettigo Plateau, che si affaccia sul Lough Derg (Co. Donegal, Irlanda)
Essi volevano tutti raggiungere Lough Derg, un piccolo lago dalla forma
irregolare di circa tre chilometri di lunghezza, perduto in un remoto angolo
d'Irlanda. Essi volevano tutti recarsi presso il famoso e leggendario punto
di passaggio verso l'Aldilà. Tutti quei visitatori desideravano che il proprio
sogno, concernente la vita oltre la vita, per quanto demoniaco esso potesse
risultare, si avverasse nel mondo fisico. Essi volevano tutti fare ingresso nel
Purgatorio di San Patrizio.
Perché, al centro di Lough Derg, due isole emergevano dalle acque. La
prima, la più grande, è Saints Island, sulla quale si trovava un insediamento
di frati Agostiniani.
La seconda isola, sinistra e di minori dimensioni, era Station Island. Lì, la
tradizione poneva l'ingresso del Purgatorio di San Patrizio, l'Aldilà al quale
gli uomini viventi potevano avere accesso, così come descritto nelle opere
di Henry di Saltrey e Giraldus Cambrensis.
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Fig. 85 - L'Irlanda e Lough Derg (evidenziato con il cerchio rosso) osservati dal satellite
Cosa trovavano, i pellegrini, al loro arrivo su Station Island? Questo
racconto ci è narrato, tra gli altri, da Thomas Messingham, uno studioso
irlandese vissuto nel diciassettesimo secolo, il quale scrisse un trattato sui
santi d'Irlanda, il Florilegium insulae sanctorum seu Vitae et acta
sanctorum Hiberniae, pubblicato nel 1624. In quest'opera vengono illustrati
in dettaglio i complessi rituali di preparazione, particolarmente
coinvolgenti dal punto di vista emozionale, ai quali i pellegrini venivano
sottoposti prima di entrare nel Purgatorio:
«Per tutto il tempo in cui dimoravano nell'isola, per nove giorni, essi erano
sottoposti a un digiuno basato su pane e acqua [...] Durante il giorno, i
pellegrini dovevano partecipare a tre messe, di mattina, a mezzogiorno e ai
vespri; estenuati, riposavano di notte su giacigli di paglia e strame, senza
coperta, letto o cuscino [...] Dopo essere stati ammessi ai rituali dal Padre
Spirituale che presiedeva al Purgatorio, essi cominciavano un
pellegrinaggio togliendosi sandali e calzari, uscendo dagli edifici dei
canonici per entrare nella Chiesa dedicata a San Patrizio, e facendo
ingresso in essa a piedi nudi; lì si raccoglievano in preghiera e compivano
per sette volte il giro del luogo sacro [...] si recavano poi presso la croce
dell'adiacente cimitero [...] percorrendo un sentiero cosparso di piccole
pietre taglienti raggiungevano il lago [...] dove pregavano Dio e gli angeli e
recitavano le litanie degli Apostoli...».
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Fig. 86 - I rituali ai quali venivano sottoposti i pellegrini prima di entrare nel Purgatorio di San Patrizio,
dal Florilegium insulae sanctorum seu Vitae et acta sanctorum Hiberniae di Thomas Messingham (Parigi,
1624), p. 95
[Nel testo originale latino: «Toto tempore quo morantur in ipsa insula, puta
per novem ipsos dies, ieiunandum erit in pane et aqua [...] Interdiu necesse
habent peregrini ter obire sacras stationes, mane, meridie, vesperi; et lassi
sub noctem recubant in foeno vel stramine, sine stragulo, pulvinari, culcitra
[...] Admissi a Patre Spirituali qui purgatorio preest, ex instituto
Canonicorum ad peregrinationem faciendam exuunt se calceos et caligas, et
Ecclesiam quae Sancto Patricio inscripta est devoti nudipedes ingredientur,
ibique facta oratione, sacros obeunt circuitus introrsum septies in ipso
templo [...] obeunt tum crucem in caemiterio [...] in aspera et plerumque
rupicola semita veniunt ad lacum [...] dum recitant orationem Dominicam,
salutationem Angelicam, et symbolum Apostolorum...»].
I predetti rituali venivano ripetuti per sette giorni di seguito, per poi
crescere in intensità nel corso dell'ottavo giorno. Infine, il nono giorno,
mentre l'attesa per l'imminente visita al Purgatorio andava aumentando così
drammaticamente da divenire quasi intollerabile, gli esausti pellegrini,
ormai oppressi dalla paura, affrontavano lo stadio conclusivo della loro
preparazione spirituale. Il Padre Spirituale ammoniva i pellegrini a
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proposito del pericolo di non essere puri, e prospettava loro gli orrori che
essi avrebbero presto contemplato, così spaventosi da «scuotere gli
insensibili, sconvolgere gli audaci, terrorizzare gli intrepidi»
(«stupidissimus movere, rigidissimus emollire, audacissimus perterrere
possint»). Ricevevano poi la remissione dei propri peccati e la santa
comunione per «proteggere se stessi dai principi e dalle potestà delle
tenebre» («se parent armentque contra principes et potestates tenebrarum»).
Il tempo era ormai giunto per affrontare la fatidica grotta, il passaggio
terreno verso un agghiacciante Aldilà, un'esperienza che veniva annunciata
loro come assolutamente tormentosa e terrificante, e forse addirittura
esiziale per il corpo fisico e l'anima immortale, in una sorta di funerale
della peccaminosa natura umana di quei pellegrini:
«Ecco coloro che stanno per entrare, aspersi d'acqua benedetta di fronte
all'ingresso della spelonca, come se stessero per passare a un altro mondo,
[...] ecco, osservate come gemono e sospirano, [...] con singhiozzi, pianti e
lacrime, tutti entrano nella caverna e, serrato l'ingresso dall'esterno, si
allontanano coloro che avevano accompagnato la cerimonia funebre».
[Nel testo originale latino: «Iam ingressurus, et aqua lustrali respersos in
ostio speluncae, quasi in transitu ad alium orbem, [...] cernere est gementes,
suspirantes, [...] cum singultu, fletu et lachrymis plerique subeunt
speluncam, et accluso deforis ostio, recedunt qui comintabantur funus»].
Fig. 87 - Terrore nel cuore dei pellegrini immediatamente prima di fare ingresso nel Purgatorio di San
Patrizio, dal Florilegium insulae sanctorum seu Vitae et acta sanctorum Hiberniae di Thomas
Messingham (Parigi, 1624), p. 96
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Essi, ora, sono dentro. Nell'Aldilà. Con il loro corpo vivente. Nel
Purgatorio di San Patrizio, nel Lough Derg, Contea di Donegal, in Irlanda.
Non tutti coloro che sono entrati usciranno vivi da quella caverna. Molti
moriranno lì, tra maligne, demoniache visioni.
Ma come si presentava, quella grotta, agli occhi dei pellegrini? Ai tempi di
Thomas Messingham, nella prima metà del secolo diciassettesimo, si
trattava di una cavità dalle dimensioni assai limitate:
«Questa caverna è una piccola cavità scavata nella pietra, così angusta e
dalla volta così ribassata che un uomo di alta statura non potrebbe alzarsi in
piedi, e nemmeno sedersi, a meno che egli non inclini la propria testa; in
questo piccolo spazio è possibile stipare fino a nove uomini seduti, i corpi
curvi [...] la porzione più lontana del pavimento è sostenuta da una grande
pietra, sotto la quale alcuni dicono che si trovi quella voragine e
quell'abisso che, mentre San Patrizio pregava e la terra si apriva, Dio stesso
aveva aperto per suscitare terrore in chi si ostinava a non credere».
[Nel testo originale latino: «Est autem caverna ipsa, lapidea domuncula tam
angustis lateribus, et fornice tam depressa, ut homo procerae staturae adeo
se erigere non posset, ut nec sedere quidem, nisi inclinata cervice valeret,
arcte se comprimunt noveni sibi assidentes et acclinantes [...] et extrema
pavimenti pars substernitur grandi saxo, sub quo produnt aliqui subesse
voraginem illam et foveam, quam orante Sancto, et terra dehiscente, ad
terrorem obstinatorum aperuit Deus»].
Quella cavità, così riferisce Messingham, un tempo era molto più profonda
(«in prima loci institutione profundiorem fuisse»); successivamente, essa
era stata livellata («fundus speluncae complanatus fit, et reliquae terrae
coaequatus») al fine di permettere a più persone di rimanere
contemporaneamente al suo interno.
Prima di essere estratti nuovamente dalla caverna per essere riportati alla
vicina chiesa per i rituali conclusivi, i pellegini venivano lasciati all'interno
di quella cavità per 24 ore («reclusi in isto specu permanserit ieiuni 24
horas»), senza cibo di sorta e provvisti solamente di alcuni sorsi d'acqua da
bere. Una segregazione durissima, nel buio, in un ambiente ristrettissimo,
al limite di ogni sopportabilità, il corpo di ognuno premuto contro i corpi
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degli altri pellegrini, boccheggiando alla ricerca di aria, in uno spazio
limitato che presto si trasforma in una sorta di camera rovente, surriscaldata
dal respiro e dalle deiezioni di nove esseri umani («poenosa sit reclusio tam
arcta, tam obscura, tam diuturna, [...] ab intro aestuante halitu se mutuo
constipantium et suffumigantium in spelunca»).
Fig. 88 - La cavità del Purgatorio di San Patrizio nel diciassettesimo secolo, dal Florilegium insulae
sanctorum seu Vitae et acta sanctorum Hiberniae di Thomas Messingham (Parigi, 1624), p. 96
E, oltre a tutto questo, c'erano le visioni. Visioni di demoni e punizioni.
All'interno del Purgatorio di San Patrizio.
3.12 I sogni nel Purgatorio di San Patrizio
Cosa osservavano i pellegrini durante la loro spaventevole, tormentosa
permanenza nella caverna situata a Station Island, Lough Derg, nella
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Contea di Donegal, in Irlanda? Vedevano veramente, nella realtà effettiva e
con i loro stessi occhi, le incredibili e agghiaccianti torture descritte da
Henry di Saltrey nel suo Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii?
Possiamo cogliere alcune sensazioni di ciò che poteva essere contemplato
nella cavità del Purgatorio andando a leggere un famoso brano scritto da un
pellegrino italiano, Antonio Mannini da Firenze, che ebbe l'ardire di
avventurarsi nel periglioso viaggio verso Lough Derg, nell'anno 1411:
«Veramente io mi credea essere andato e tornato [da Dublino] il più lungo
in tre settimane, ma per la via pericolosa per molte cagioni stemmo in
andare e tornare tre mesi e mezzo».
Questo passaggio è contenuto nel Codice Magliabechiano XXV, 595 (carta
437), conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Andiamo a leggere questo interessante testo nella trascrizione pubblicata da
Ludovico Frati nel Giornale storico della letteratura italiana (Vol. III,
Torino, 1886).
Fig. 89 - Il brano scritto da Antonio Mannini a proposito del suo viaggio al Purgatorio di San Patrizio nel
1411, dal Codice Magliabechiano XXV, 595 (foglio 437), Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze
(trascrizione di Ludovico Frati,Giornale storico della letteratura italiana, Vol. III, Torino, 1886, p. 156)
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Dopo il suo fortunoso arrivo a Lough Derg e Station Island, Antonio
Mannini prese parte ai rituali che precedevano il fatale ingresso nel
Purgatorio, «con le proprie orazioni e sollennità si fanno sopra un morto, né
più né meno». Egli limitò il proprio digiuno a un periodo di soli tre giorni,
a causa della particolare rigidità del clima novembrino. Poi, egli fu
condotto di fronte alla porta del Purgatorio, distante solo pochi passi dalla
chiesa. Il sacerdote pronunciò gli usuali avvertimenti e tentò ancora una
volta di dissuadere il pellegrino dal fare ingresso nel Purgatorio, dicendo
che «molti s'erano trovati drento morti [...] e chi n'usciva per sempre per
paura divenia smemorato»; poi, la porta fu aperta, Magini fu introdotto nel
Purgatorio di San Patrizio, e infine la porta fu serrata dietro di lui.
Completamente terrorizzato, il visitatore italiano del quindicesimo secolo
poté notare, così come abbiamo già avuto modo di vedere nella descrizione
fornita da Thomas Messingham, che quel «luogo è largo tre piedi e lungo
nove et alto tanto che un huomo vi puote stare ginocchione ma non dritto
[...] gl'è a punto come un sepolcro, ché disopra è in volta».
Fig. 90 - Antonio Mannini viene rinchiuso all'interno del Purgatorio di San Patrizio, dal Codice
Magliabechiano XXV, 595 (foglio 437), Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze (trascrizione di Ludovico
Frati,Giornale storico della letteratura italiana, Vol. III, Torino, 1886, p. 160)
Egli restò all'interno del Purgatorio solamente per cinque ore; poi, il
sacerdote pensò che fosse consigliabile riaprire la porta e farlo uscire di lì,
per evitare che il visitatore italiano potesse morire a causa della
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temperatura quasi glaciale. Cosa vide Mannini, in quel luogo? Ecco cosa
egli stesso ci racconta:
«Così orando m'addormentai, o se in estasi l'anima mi fu tratta dal corpo, o
se pure andai col vero corpo, o come io non te lo saprei dire; quello vidi e
quello mi fu mostrato e quel feci non te lo posso scrivere per lettera, né 'l
posso dire se non in confessione».
Fig. 91 - Ciò che Antonio Mannini contemplò all'interno del Purgatorio di San Patrizio, dal Codice
Magliabechiano XXV, 595 (foglio 437), Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze (trascrizione di Ludovico
Frati,Giornale storico della letteratura italiana, Vol. III, Torino, 1886, p. 160)
Egli non scrive di più. Eppure, sappiamo di molti altri testimoni, tra i quali
ad esempio William Staunton, visitatore inglese originario di Duhram, che
il 20 settembre 1409 ebbe demoniache visioni di uomini vestiti di bianco,
demoni e terrificanti tormenti, descritti nel manoscritto Royal MS 17 B
XLIII, conservato presso la British Library a Londra. Altri, invece, non
videro assolutamente nulla, come il monaco olandese che fece ingresso nel
Purgatorio alla fine del quindicesimo secolo e, non avendo esperimentato
alcuna visione, si recò a Roma per lamentarsi di ciò con Papa Alessandro
VI. E il Papa emise un ordine, affinché il falso passaggio all'Aldilà fosse
distrutto. Correva l'anno 1497. Il sito fu poi ripristinato nel 1522, fu oggetto
di visite da parte di altre migliaia di pellegrini, e in seguito nuovamente
demolito nel 1632 per ordine del Lord di Giustizia d'Irlanda, braccio della
Corona inglese. Ma nemmeno questo evento segnava la fine del sito: i
pellegrinaggi proseguirono, e addirittura si intensificarono, nel corso dei
secoli successivi, anche se una cappella fu edificata proprio sopra la grotta
nel 1790, cancellando così ogni traccia della sua precedente esistenza.
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Fig. 92 - Una miniatura raffigurante un vescovo, demoni e anime tormentate, tratta dalla Visione al
Purgatorio di San Patrizio di William Staunton (manoscritto Royal MS 17 B XLIII, British Library,
Londra, folium 132v)
Oggi, il Purgatorio di San Patrizio è ancora lì: un sito turistico e religioso
che attira migliaia di visitatori ogni anno. Naturalmente, oggi la caverna
non è più accessibile, è più possibile rinvenire alcun segno visibile di
essa: i turisti contemporanei possono solamente tentare di immaginare quali
visioni possano avere turbato le anime dei loro predecessori-pellegrini nei
secoli passati.
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Fig. 93 - L'attuale ingresso al parcheggio del Santuario di San Patrizio, sulla costa sudorientale del Lough
Derg, Co. Donegal, Irlanda
Nondimeno, la straordinaria, prorompente capacità di attrazione del
Purgatorio di San Patrizio parrebbe essere rimasta intatta, e la gente ancora
si affolla presso questo remoto lago irlandese. E la ragione di tutto ciò è
connessa alla sua immensa potenza mitica, così come efficacemente
espressa da John Drelincourt Seymour nel saggio St. Patrick Purgatory - A
Maedieval Pilgrimage in Ireland (Dundalk, 1918):
«Come sia stato possibile che il Purgatorio presso Lough Derg abbia potuto
acquistare una reputazione di livello europeo, eclissando con il proprio
splendore ogni altro luogo di pellegrinaggio in Irlanda, non è certo una
questione di facile soluzione; ma sembra probabile che ciò che contribuì
maggiormente al suo successo sia stata la convinzione che nell''Ultima
Thule', il più remoto angolo della terra, ci fosse un reale ingresso all'Aldilà,
o quantomeno alle regioni meno piacevoli di esso - nessun portale
idealizzato intagliato in abbacinante avorio, per mezzo del quale la fantasia
potesse innalzarsi, ma, invece, una grotta o una cavità di pietra, attraverso il
cui 'facilis descensus [Averno]' gli uomini potessero inoltrarsi con il proprio
corpo fisico per contemplare visioni proibite agli occhi dei mortali».
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Cosa c'era di vero, in tutto questo? Esisteva veramente un punto di
passaggio verso il mondo infero, situato in una grotta presso il Lough Derg,
in Irlanda?
Si tratta di una questione fondamentale che intendiamo affrontare più
avanti in questa stessa ricerca: una questione che risulterà essere di enorme
importanza nella nostra investigazione dedicata alle leggende che abitano i
Monti Sibillini, in Italia. E avremo modo di occuparcene nei prossimi
paragrafi.
4. Hot spot, fenditure e punti di riferimento geografico: un terzo passaggio
Nei precedenti paragrafi abbiamo condotto un'ampia disamina in merito
alla tradizione leggendaria occidentale relativa all'Aldilà e ai viaggi
compiuti dagli esseri umani nella vita oltre la vita, nella forma di visioni o
con lo stesso corpo vivente.
Siamo partiti da Odisseo e dalla sua visita presso la terra dei Cimmeri per
effettuare una 'nekyia', un rituale negromantico finalizzato all'evocazione
dei morti. Abbiamo poi considerato Enea e il suo viaggio nella terra della
Sibilla Cumana, un itinerario che costituisce sia una 'nekyia' che una
'catabasi', un'agghiacciante discesa nel regno dei morti. Successivamente,
abbiamo lasciato l'antichità classica e ci siamo avventurati all'interno della
tradizione letteraria cristiana, segnata da viaggi visionari compiuti da anime
ancora viventi in una sorta di sogno o rapimento divino: dalla Visio Sancti
Pauli Apostoli ai Dialoghi scritti da Papa San Gregorio Magno, e poi alle
diverse descrizioni medievali elaborate in Irlanda, tra le quali la Visione di
Sant'Adamnán e la Visione di Tnugdalus. Finché non siamo giunti a Henry
di Saltrey e al suo Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, che descrive un
viaggio reale condotto attraverso l'Aldilà da un uomo vivente con il proprio
corpo fisico. E corpi fisici erano anche quelli delle migliaia di pellegrini
che, a partire dal dodicesimo secolo, e probabilmente anche da tempi più
antichi, raggiungevano Lough Derg, in Irlanda, per attraversare la porta del
Purgatorio di San Patrizio, in cerca di un punto di passaggio fisico dal
mondo dei viventi all'Aldilà, e di una tangibile esperienza della vita oltre la
vita secondo la visione cristiana.
18
Molti altri racconti visionari concernenti viaggi nelle regioni oltremondane
possono essere reperiti nelle tradizioni letterarie dell'antichità classica
(come ad esempio il mito di Orfeo ed Euridice), della prima cristianità (con
gli apocrifi Vangelo di Nicodemo e Apocalisse di San Pietro) e nelle opere
del Medioevo (la Visione di Alberico e molte altre), con esaustivi cataloghi
compilati da C. S. Boswell nel suo An Irish precursor of Dante (Londra,
1908) e Eileen Gardiner (Medieval Visions of Heaven and Hell: A
Sourcebook, New York, 1993). Nondimeno, nel presente articolo abbiamo
potuto ripercorrere alcune delle visioni più significative, attraversando un
percorso bimillenario che culminerà infine con un'opera suprema: il
capolavoro artistico e teologico elaborato da Dante Alighieri con la sua
Divina Commedia, scritta all'inizio del quattordicesimo secolo.
È questo il contesto culturale e mitico nel quale stiamo per andare a
collocare le narrazioni leggendarie che vivono tra i Monti Sibillini, negli
Appennini italiani: la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato.
Nella parte iniziale del presente lavoro di ricerca, abbiamo già avuto
occasione di evidenziare i numerosi indizi che sembrano suggerire una
potenziale natura leggendaria dei due siti come mitici punti di passaggio
verso un Aldilà: il 'ponte del cimento' associato alla Grotta della Sibilla nel
resoconto vergato da Antoine de la Sale; le porte eternamente battenti, un
meccanismo tipicamente connesso a punti di transito verso il
sovrannaturale; il Lago considerato come un luogo di sepoltura per il corpo
di Ponzio Pilato, un genere di localizzazione leggendaria che segna
tipicamente un punto di passaggio verso le regioni infere, un'idea
esplicitamente menzionata anche da Petrus Berchorius proprio in relazione
al Lago. E, inoltre, una peculiare presenza di demoni, sia all'interno della
Grotta che nel Lago, in concomitanza con l'effettuazione di rituali
negromantici presso entrambi i siti.
Nella tradizione europea e occidentale, furono due i luoghi universalmente
noti presso i quali l'Aldilà apriva le proprie terrificanti fauci agli esseri
mortali. Due 'hot spot', due punti ardenti, attraverso i quali agli uomini
viventi era permesso di comunicare con entità leggendarie e sovrannaturali.
Due spaccature, che interrompevano la continuità del nostro mondo fisico e
rendevano possibile l'ingresso dei mortali in regni spaventosi e proibiti.
19
Il primo 'hot spot' si trovava a Cuma, nella regione della Campania, in
Italia. La terra della Sibilla Cumana, colei che in antico condusse Enea
attraverso l'Ade, il regno dei morti. Una paurosa fessura nel mondo dei
vivi. Un lago, l'Averno, e una grotta, i punti di riferimento geografico della
leggenda.
Fig. 94 - Il Lago d'Averno, Cuma, Italia
Il secondo 'hot spot' era localizzato a Lough Derg, nella Contea di Donegal,
in Irlanda. La dimora del Purgatorio di San Patrizio, che apriva la propria
porta agli orrori dell'Inferno. Ancora, una fratturazione nel nostro mondo
fisico, il mondo che Dio aveva creato per i viventi. E, di nuovo, un lago e
una grotta. Punti di riferimento geografico per la leggenda.
Esisteva forse, nella terra d'Europa, un terzo leggendario punto d'accesso
all'Aldilà? Esisteva un terzo, mitico 'hot spot'? È possibile che una 'terza
discontinuità' permettesse, da qualche parte e in qualche modo, un
potenziale contatto e un accesso verso le potenze proibite della vita oltre la
vita?
20
Fig. 95 - Lough Derg, Co. Donegal, Irlanda
Sì, esisteva un terzo ingresso. Un terzo terrificante, fatale 'hot spot'. Una
discontinuità nel continuum della vita mortale. E, ancora una volta, si
trattava di un lago e di una grotta. La Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato.
Due ulteriori, e leggendari, punti di riferimento geografici. Situati negli
Appennini italiani.
Fig. 96 - Laghi di Pilato, Monti Sibillini, Italia
21
Fig. 97 - Tre leggendari punti di ingresso all'Aldilà: il Purgatorio di San Patrizio, Cuma e i Monti Sibillini
È questa l'ipotesi che stiamo provando a esplorare nel presente articolo di
ricerca: secondo una tradizione antica e quasi del tutto dimenticata, i Monti
Sibillini furono forse considerati come un terzo fatidico punto di transito
verso regni che sono normalmente preclusi agli uomini mortali.
E, nei prossimi paragrafi, illustreremo ulteriormente il possibile processo
leggendario che, secondo la nostra ipotesi, potrebbe avere condotto a
questa mitica visione.
4.1 Punti di riferimento geografico: Cuma, un ingresso fisico verso la
leggenda
Nella terra d'Italia, a sud di Roma, l'antica capitale di un impero scomparso,
percorrendo la linea costiera del Mar Tirreno, ci imbattiamo in un territorio
che in antico era indicato come 'Felix', la regione fertile: è la Campania.
22
Campania, la regione dove si trova Napoli, l'antica 'Partenope',
l'insediamento fondato nell'ottavo secolo a.C. da coloni greci, che avevano
stabilito un'altra colonia anche a Cuma, sedici chilometri più a occidente.
Come scrivemmo nel nostro articolo Una Sibilla chiamata Cimmeria: una
ricerca sul potenziale legame con la Sibilla Appenninica, questo era, e
ancora oggi è, un territorio «che è pesantemente e permanentemente
marcato dalle più maestose potenze sotterranee dell'intera Europa. Una
terra benedetta - e maledetta - dagli Dèi Inferi».
Fig. 98 - Il territorio di Cuma nell'odierna regione della Campania, un'immagine che avevamo già
presentato nel nostro articolo Una Sibilla chiamata Cimmeria: una ricerca sul potenziale legame con la
Sibilla Appenninica
Perché è proprio in Campania che uno dei vulcani attivi più pericolosi del
mondo innalza il proprio profilo spezzato: il Vesuvio, la montagna che, nel
79 d.C., scatenò distruzione e morte sulle città romane di Pompei ed
Ercolano. Ed è parimenti in Campania, a est di Cuma e Capo Miseno che
«sin da tempo immemorabile, la terra è stata devastata dalla furia dei
vulcani». Ed è proprio in qui luoghi che si trovano «i celeberrimi Campi
Flegrei, una vasta regione vulcanica che nasconde una delle più pericolose,
e tuttora attive ai nostri giorni, camere magmatiche sotterranee dell'intero
globo».
23
Numerose caldere vulcaniche (Monte Barbaro, il grande cratere degli
Astroni, e molti altri) sono inoltre presenti in quest'area relativamente
ristretta, compreso il piccolo ma impressionante Monte Nuovo, un
minuscolo vulcano formatosi dal nulla in conseguenza di un'improvvisa
eruzione che ebbe luogo tra il 29 settembre e il 6 ottobre 1538. Terremoti,
emissione di gas vulcanici e sensibili spostamenti verticali del terreno (un
fenomeno denominato 'bradisismo') hanno avuto luogo in questa zona da
sempre.
E qui si trova anche un lago, un tempo misterioso e inaccessibile. Il suo
nome è Lago d'Averno.
Fig. 99 - Il Lago d'Averno e la Sibilla Cumana in un dipinto di Joseph Mallord William Turner risalente
all'inizio del diciannovesimo secolo (Tate Gallery, London)
«Averno, completamente circondato in alto da creste, ovunque incombenti
su di esso a meno di un solo varco; oggi coltivato, ma un tempo avvolto da
24
un'inaccessibile selva di grandi alberi, che oscuravano quel lago con ombre
di superstizione».
[Dalla traduzione latina del testo originale greco pubblicata nel 1571:
«Avernus superciliis recta sursum enatis et undique praterquam in aditu
imminentibus, ac nunc quidem cultura elaboratis; olim enim sylva
inaccessa magnarum arborum obsita, ob superstitionem ipsum sinum
obumbrabant»].
Queste parole furono scritte da Strabone, il geografo e storico greco, nella
sua opera Geographica, risalente al primo secolo: un passaggio che
abbiamo già avuto modo di citare nella prima parte del presente articolo di
ricerca. Averno, nell'antichità classica un lago di tenebra e morte: «gli
uccelli che lo sorvolavano», riferisce Strabone, «piombavano nell'acqua,
uccisi dalle esalazioni di quei vapori, così come accade nei luoghi
consacrati a Plutone» («aves quae supervolarent in aquam decidere,
exanimatas aeris exhalatione, quemadmodum i Plutonijs locis fit» in
latino).
E, proprio in questo luogo, Publio Virgilio Marone, nel Libro VI
dell'Eneide, scritta nel primo secolo a.C., collocò l'ingresso all'Ade, l'Aldilà
dell'antichità classica:
Fig. 100 - I versi relativi al Lago d'Averno e alla grotta che conduce all'Ade tratti dall'Eneide di Virgilio,
così come essi appaiono nel manoscritto Latin 7926 databile al nono secolo (Bibliothèque Nationale de
France, Département des Manuscrits, folia 125v e 126r)
«Poi [...] alle gole del fetido Averno arrivarono [...]
C'era una grotta profonda, per vasta voragine orrenda,
difesa dal lago nero e dall'ombra dei boschi.
[...] i Greci chiamarono il luogo col nome d'Aorno [privo di uccelli]».
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[Nel testo originale latino (vv. 201, 237-238 e 242):
«Inde ubi venere ad fauces grave olentis Averni [...]
Spelunca alta fuit vastoque immanis hiatu,
scrupea, tuta lacu nigro nemorumque tenebris,
[...] locum Grai dixerunt nomine Aornon»].
E, sin da età perdute nel mito più antico, questo lago ha sempre costituito il
luogo più acconcio per porre in scena spaventosi incontro con le regioni
infere. La tradizione classica collocò proprio in questo luogo anche la
celeberrima 'nekyia' effettuata da Odisseo nel Libro XI dell'Odissea di
Omero, come lo stesso Strabone ci racconta:
«Coloro che vissero prima di noi, considerarono il Lago d'Averno come il
luogo in cui si svolge il leggendario episodio della negromanzia raccontato
da Omero, tanto da narrare come si trovasse proprio l'oracolo che
otteneva responsi dai morti come se essi fossero vivi: lo stesso oracolo al
quale si rivolse Ulisse».
[Nella traduzione latina dall'originale Greco: «Qui nos aetate antecesserunt,
Necyae Homericae fabulas Averno applicaverunt, atque adeo narrant fuisse
ibi oraculum ubi vita defuncti responsa darent, eoque Ulissem advenisse»].
«Facile [è] la discesa all'Averno - notte e giorno la porta del nero Dite sta
aperta» (nel testo originale latino, vv.126-127: «facilis descensus Averno -
noctes atque dies patet atri ianua Ditis»). Così parla la Sibilla Cumana,
colei che veglia sul fatidico passaggio situato presso il Lago d'Averno, nel
nome della divina Ecate, dea della stregoneria e della negromanzia.
Perché il Lago d'Averno non è nulla di meno che un lago posto in un
cratere vulcanico, e dunque esso stesso una sinistra manifestazione delle
potenze infere.
È della massima importanza il rilevare come, presso il Lago d'Averno, nei
secoli passati si potessero reperire numerose cavità, e che esse fossero
segnate da inquietanti caratteristiche, estremamente significative, così come
riferito da Giuseppe Mormile nella sua Descrittione dell'amenissimo
distretto della citta di Napoli, pubblicata nel 1617:
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«Nell'entrar del Lago Averno nella parte che guarda l'Occidente, per una
picciola e malagevole entrata a man sinistra, che giù ti conduce si discende
alla Grotta, che volgarmente chiamano della Sibilla [...] ma hora è murata,
poiché all'andare innanzi per le cattive essalazioni, molti vi lasciavano la
vita. [...] Dentro il distretto di Cuma è una grotta grande [...] è questa grotta
in molte parti della terra soffocata per causa delle piggie, e così non
potendo l'essalationi salir in alto per rispetto che trovano l'uscite soffocate
riempiono dette caverne, e si corrompono in modo c' chi v'entra, a
manifesto periglio della vita, il che è avvenuto a molti huomini pazzi, che
per voler entrare, s'era vero la cosa, vi si sono rimasti morti dalla
corruttione dell'aria, et gli ignoranti [...] credono che in dette caverne vi
siano grandissimi tesori nascosti, e con pertinacia v'entrano, onde ispesso vi
rimangono morti, e divengono preda del Demonio, che con tali lusinghe
inganna chi a lui crede».
Fig. 101 - I brani che narrano delle pericolose cavità presenti nel territorio di Cuma così come presenti
nella Descrittione dell'amenissimo distretto della citta di Napoli di Giuseppe Mormile (Napoli, 1617, p.
132-133 e 175-176)
Vulcani, esalazioni, acque oscure e insondabili, vibrazioni e tremori. Il
respiro della Terra, che manifesta la propria possente presenza di fronte agli
occhi atterriti degli esseri mortali. E, sin da epoche immemori, i sogni degli
uomini, visioni immaginifiche di regni sotterranei abitati da divinità e
tenebrose descrizioni della vita oltre la vita, cominciarono ad essere attratte
presso questo terrificante sito.
27
Il Lago d'Averno e un'oscura caverna situata nelle vicinanze: due punti di
riferimento geografico che, da meri elementi naturali, furono trasformati
dalle anime terrificate degli uomini in passaggi verso l'Aldilà. Una
fenditura nella continuità del nostro mondo ordinario, la dimora dei
mortali, in grado di fornire un accesso al divino, all'eterno, e a ciò che è
dannato.
Un leggendario 'hot spot', un punto ardente, i cui marcatori geografici erano
un lago e una grotta, che agivano come punti di riferimento grazie alla loro
abilità fisica, naturale e intrinseca, di attirare a sé il mito.
Questa leggendaria trasformazione in 'hot spot' ebbe luogo, probabilmente,
sin da tempi assai antichi, come prodotto delle peculiarità fisiche e
materiali che caratterizzavano questo luogo così meraviglioso: peculiarità
che lo resero in grado di sviluppare una potente capacità attrattiva nei
confronti di narrazioni mitiche altamente emozionali. Vita e morte,
esistenza fisica e Aldilà, mortalità e divinità: le fondamentali speranze, e le
paure, che da sempre vivono nel cuore degli uomini e delle donne
trovarono una dimora congeniale in questa piccola porzione d'Italia e
d'Europa.
Attrazione di miti, generazione di leggende in connessione con specifici siti
geografici. Il nostro lettore ricorderà, forse, come questo sia un tema che
abbiamo sempre considerato come una questione primaria nell'ambito
dell'investigazione che stiamo conducendo a proposito dei Monti Sibillini e
della leggendaria tradizione a essi collegata.
Nel caso di Cuma, possiamo facilmente riconoscere la forza di attrazione
che ha saputo attirare verso questo luogo specifico miti potentissimi quali i
viaggi di Enea e Odisseo alle porte dell'Aldilà. Si tratta proprio della natura
vulcanica del suolo, che comprende piccoli laghi, caverne, esalazioni e
persistenti vibrazioni del suolo: un palcoscenico che risulta essere del tutto
appropriato al fine di ospitare terrificanti narrazioni concernenti regni
sotterranei e sovrannaturali abitati dalle ombre dei morti.
E così il Lago d'Averno e una grotta situata in prossimità (oggi non più
esistente, a causa degli ininterrotti sconvolgimenti della terra che hanno
modificato la conformazione del luogo per millenni) resero Cuma uno dei
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più noti, illustri e celebrati 'hot spot' d'Europa, attraverso cui era consentito,
ai mortali, tentare un mitico accesso all'Aldilà.
Un varco. Una fenditura. Una crepa scavata nel nostro mondo ordinario,
un'agghiacciante frattura praticata attraverso tutte le razionali, rassicuranti
convinzioni che gli uomini possano tentare di preservare nei propri cuori.
E i punti di riferimento geografico, gli emblemi distintivi, sono un lago e
una grotta.
Fig. 102 - Il Lago d'Averno nella Descrittione dell'amenissimo distretto della citta di Napoli di Giuseppe
Mormile (Napoli, 1617, p. 128)
Non sono altro che gli stessi punti di riferimento che influenzeranno il
racconto leggendario che vive tra i Monti Sibillini, come avremo modo di
vedere nel seguente paragrafo.
29
4.2 Le mitiche risonanze tra Cuma e l'Appennino Centrale
È possibile rilevare un collegamento tra la leggenda della Sibilla Cumana,
con il suo Lago d'Averno e il suo accesso sotterraneo all'Ade, a Cuma, e il
racconto relativo a una Sibilla Appenninica, con un altro Lago, un'altra
Grotta e un possibile punto di passaggio verso un Aldilà situato tra i Monti
Sibillini?
Sì, un legame esiste, così come attestato dalle varie testimonianze letterarie
che andremo a ripercorrere nel presente paragrafo. Ma i due racconti
leggendari risultano essere sostanzialmente indipendenti e non correlati:
nessuna antica tradizione ci ha mai consegnato alcun anello di
congiunzione tra le due Sibille e le due rispettive narrazioni leggendarie,
come abbiamo già avuto modo di dimostrare nei nostri precedenti articoli
Una Sibilla chiamata Cimmeria: una ricerca sul potenziale legame con la
Sibilla Appenninica e Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla
ricerca dell'oracolo.
La mutua relazione che sussiste comunque tra le due leggende pare essere
molto più sottile. Si tratta, infatti, di una relazione indiretta. Un legame che
è basato su mitiche risonanze, favorite da una serie di analogie - un lago,
una grotta, un ingresso oltremondano - che le due leggende presentano in
modo assai manifesto, ogni volta che i rispettivi racconti sono narrati di
fronte a un pubblico. Attraverso i secoli, ciò si è tradotto in un conseguente
trasferimento di temi narrativi, da Cuma fino ai Monti Sibillini.
Proviamo allora a ripercorrere questo affascinante processo narrativo. Un
processo orale che ha avuto modo di svilupparsi per secoli e secoli,
iniziando forse sin dall'età romana.
Sin dall'antichità classica, un lago e una grotta a Cuma, in Italia, avevano
costituito un punto di riferimento geografico ben conosciuto, elementi
naturali che si riteneva segnalassero la presenza di un leggendario 'hot
spot': una fenditura praticata nel nostro mondo fisico, ordinario, attraverso
la quale era possibile penetrare in un Aldilà mitico, in particolare quell'Ade
descritto da Publio Virgilio Marone nella sua Eneide.
Ma esistevano anche un altro Lago e un'altra Grotta. Tra gli elevati bastioni
di ciò che oggi conosciamo con il nome di Monti Sibillini, nell'Italia
30
centrale, esisteva un circo glaciale circondato da precipiti pareti di roccia,
al cui fondo si trovavano acque gelide e immote. Ad alcuni chilometri di
distanza, tra le stesse vette e in piena linea di vista, una caverna apriva il
proprio imbocco oscuro sulla cima di un monte coronato.
Fig. 103 - I Laghi di Pilato nel massiccio dei Monti Sibillini
Sin da tempi antichissimi, i due punti di riferimento geografico giacevano
adagiati tra le aspre vette degli Appennini italiani, nella parte centrale della
penisola. E anche questi elementi naturali si trovavano a costituire l'oggetto
di una qualche sorta di racconto leggendario.
Di quale racconto si trattava? Nei nostri precedenti articoli Nascita di una
Sibilla: la traccia medievale e Una leggenda per un prefetto romano: i
Laghi di Ponzio Pilato, abbiamo pienamente dimostrato come le narrazioni
leggendarie concernenti un regno nascosto governato da una sensuale
Sibilla e un luogo di sepoltura per Ponzio Pilato costituissero racconti
estranei, la cui origine era da ricercarsi altrove. Gli indizi che conducono
alla vera, originaria leggenda dimorante tra gli Appennini centrali sono
analizzati in un altro articolo, Monti Sibillini: la leggenda prima delle
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leggende: in esso, abbiamo visto come entrambi i siti posti tra i Monti
Sibillini mostrino di condividere alcuni aspetti comuni. Sia il Lago che la
Grotta videro l'effettuazione di rituali negromantici, praticati presso di essi;
ambedue i siti sono indicati come abitati da una qualche sorta di demoniaca
presenza; entrambi sono connessi a un'idea di devastazione dei territori
circostanti, un effetto che sarebbe generato dai rituali negromantici ivi
praticati. Inoltre, nella prima parte del presente articolo abbiamo mostrato
come ambedue i siti sembrino essere caratterizzati da alcuni aspetti che
sono tipicamente associati a narrazioni letterarie che raccontano di punti di
passaggio verso le regioni infere, tra i quali un 'ponte del cimento', magiche
porte eternamente battenti, e riferimenti assai diretti all'Inferno e ai suoi
abitatori.
Fig. 104 - Il Monte Sibilla nel massiccio dei Monti Sibillini
Il racconto originale relativo al Lago e alla Grotta, che ancora non
conosciamo nel dettaglio, non fu mai fissato su alcun supporto manoscritto,
anche se è possibile rinvenire tracce di esso nelle testimonianze letterarie,
risalenti a un periodo non precedente al quattordicesimo secolo, che
descrivono i due leggendari siti posti nell'Italia centrale.
Nondimeno, c'è uno specifico punto a proposito del quale non è possibile
avere alcun dubbio: benché mai posto per iscritto, il racconto leggendario
relativo al Lago e alla Grotta situati negli Appennini centrali, ha certamente
circolato per secoli e secoli, forse sin dai tempi di Roma antica, ed era
32
narrato da villici, viandanti, cantastorie e uomini di lettere. Le più tarde
testimonianze letterarie oggi disponibili non sono altre che le emergenze,
affioranti e tracciabili, di una qualche sorta di tradizione orale più antica,
che era nota e associata ai due punti di riferimento geografico nascosti tra
gli Appennini sin da epoche remote. Due elementi naturali che esistevano
in quei luoghi da migliaia e migliaia di anni.
In tale contesto, che va dall'antichità classica al medioevo, possiamo
presumere che il Lago e la Grotta, posti tra gli Appennini italiani, si
trovassero già al centro di qualche genere di attenzione emozionale nei
secoli che precedettero il quattordicesimo, in relazione a aspetti e
caratteristiche che sappiamo essere spesso connesse a racconti leggendari
riguardanti mitici punti di passaggio verso l'Aldilà.
Ma, durante i secoli della tarda antichità e del primo medioevo,
qualsivoglia racconto orale possa essere stato narrato a proposito di un
Lago, di una Grotta e di un possibile punto di passaggio verso l'Aldilà,
situato tra gli Appennini centrali, avrebbe immediatamente subìto un
processo associativo con l'antica, famosissima, letterariamente illustre,
largamente conosciuta narrazione concernente Cuma, il Lago d'Averno e
l'ingresso all'Ade, così come reperibile nell'Eneide di Publio Virgilio
Marone.
Fig. 105 - Il Lago d'Averno a Cuma
33
Ogni narratore orale che possa avere avuto occasione di cimentarsi con la
sinistra storia relativa a un Lago e una Grotta oltremondani perduti nel
mezzo degli Appennini avrebbe ottenuto, da quelle persone alle quali fosse
accaduto di ascoltare il suo racconto, una risposta assai naturale e comune:
«Questa storia pare riportare alla mente quella relativa a Cuma, al Lago
d'Averno e all'Ade».
E quindi, è assai probabile che si sia verificato un processo particolarmente
naturale e molto diretto: una contaminazione e una parziale confusione tra
le due diverse narrazioni e i differenti siti: il lago e la grotta in prossimità di
Cuma, e il Lago e la Grotta nascosti tra i picchi di una catena montuosa
posta nell'Italia centrale.
I punti di referimento geografico situati tra gli Appennini non potevano non
attrarre, con una sorta di prevedibile effetto, l'atmosfera e le suggestioni
antiche connesse al regno della Sibilla Cumana: un racconto classico che
pare adattarsi in modo particolare a questo ulteriore scenario leggendario
costituito da un altro Lago e un'altra Grotta, benché situati in un diverso
territorio, e questo a motivo delle manifeste analogie che possono essere
facilmente colte da qualsiasi tipologia di pubblico.
In questo contesto leggendario, il racconto mitico dimorante in Cuma deve
essere stato soggetto a una sorta di migrazione, copiando parzialmente se
stesso tra i Monti Sibillini, a mano a mano che i narratori orali
provvedevano a combinare il nuovo racconto con aspetti tratti dalla
leggenda più illustre e più antica. E, come effetto collaterale scaturente da
questo processo, il meno celebre racconto riguardante i due siti posti
nell'Italia centrale andava certamente guadagnando in credibilità e forza,
grazie al contributo offerto dalla leggenda classica: se al tempo dei romani
un lago e una grotta marcavano già la presenza di un punto d'ingresso verso
l'Aldilà, perché non potere ammettere l'esistenza di un ulteriore passaggio,
specialmente se indicato dalla presenza di una coppia di punti di
riferimento geografico del tutto simili, trattandosi nuovamente di un Lago e
di una Grotta?
E dunque, un racconto originale relativo a un passaggio oltremondano
situato tra gli Appennini poté ricevere supporto narrativo e elementi
aggiuntivi dall'antica leggenda di Cuma, e ciò benché la Sibilla Cumana
non abbia nulla a che fare con la Sibilla Appenninica, sia rinvenibile
34
alcuna fonte classica che attesti qualsivoglia collegamento della Cumana
con gli Appennini, così come abbiamo avuto modo di illustrare in dettaglio
nei nostri precedenti articoli Una Sibilla chiamata Cimmeria: una ricerca
sul potenziale legame con la Sibilla Appenninica e Sibilla Appenninica: un
viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo.
È il sito oltremondano situato tra gli Appennini, caratterizzato da un Lago e
una Grotta, ad attrarre a alcuni riferimenti tipici della Sibilla Cumana,
anch'essa fornita di un proprio lago e di una propria grotta, nel territorio di
Cuma.
E così una Sibilla comincia ad abitare le creste degli Appennini: ma questa
Sibilla è solamente una sorta di copia del personaggio tradizionale
dell'oracolo cumano, che viene trasportato nell'Italia centrale seguendo
un'attrazione che è meramente indotta dalle molte analogie, sia geografiche
che leggendarie, che possono essere percepite tra i due differenti luoghi.
Nella tradizione reale ed effettiva, la leggenda originale relativa alla Sibilla
Cumana non ha collegamenti di sorta con gli Appennini.
Fig. 106 - Enea e la Sibilla Cumana, nel loro percorso attraverso l'Ade posto presso il Lago d'Averno,
incontro il cane tricipite Cerbero nell'Eneide di Virgilio (manoscritto Vat Lat 3225, Biblioteca Apostolica
Vaticana, folium 48v)
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Questo processo risulta essere pienamente visibile nel Guerrin Meschino,
scritto da Andrea da Barberino all'inizio del quindicesimo secolo. In questo
romanzo, è la stessa Sibilla, dotata di poteri oracolari come la profetessa di
Cuma, a proclamare la propria identificazione con la Sibilla Cumana di
fronte al valoroso cavaliere Guerrino:
«Io volgio che tu Sapia el mio nome. Io fui chiamata da Romani chumana
perche io naqui in una Città di champagna chiamata cumana: e stieti al
mondo prima ch'io fussi iudichatta qui mille ducento anni, in po' ché
quando enea vene intalia, io lo menai per tuto lo Inferno, et alora io aveva
Setecento anni».
Fig. 107 - La Sibilla Appenninica si identifica come «Cumana» nel Guerrin Meschino di Andrea da
Barberino (manoscritto n. MA297, Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo, folia 138v e 139r)
E questo legame leggendario con la Sibilla Cumana rimane visibile anche
nel corso dei secoli successivi. Meno di cento anni dopo, l'origine cumana
della Sibilla Appenninica sarà menzionata anche da Ludovico Ariosto, con
le seguenti parole incluse nel poema Orlando Furioso: «la Sibilla Cumea,
la qual ridotta / s’era in quei tempi a la Nursina grotta / su gli aspri monti in
una selva folta / da i luoghi ameni, ove habitava prima». E un ulteriore
affermazione del medesimo tipo, che pone in connessione Cuma e Norcia,
sarà inserita anche nel Canto XXXIII:
36
«La sala ch'io dicea ne l'altro canto,
Merlin col libro, o fosse al lago Averno,
o fosse sacro alle Nursine grotte,
fece far dai demonii in una notte».
Fig. 108 - I passaggi contenuti nell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto a proposito della nuova dimora
della Sibilla Cumana, dalle 'stanze' aggiuntive, e il magico potere sia del Lago d'Averno che delle grotte a
Norcia, dal Capitolo XXXIII (da un'edizione stampata a Lione nel 1556, p. 502 e 307)
Rimane comunque il fatto che nessuna fonte antica attesta in alcun modo la
notizia del passaggio di una Sibilla classica da Cuma ai Monti Sibillini, a
causa di una supposta condanna o sentenza. Le due Sibille sono
fondamentalmente indipendenti e prive di correlazione reciproca, essendo
collegate solamente da un mero trasferimento di temi narrativi favorito
dalle analogie reciproche che segnano sia Cuma che i Monti Sibillini:
luoghi entrambi caratterizzati dalla presenza sia di un lago che di una
grotta, in un contesto narrativo oltremondano.
A valle di questa iniziale fase di contaminazione tra Cuma e gli Appennini,
un ulteriore processo di sovrapposizione comincia inoltre a verificarsi e a
rafforzarsi durante i secoli dell'Alto Medioevo.
Come già abbiamo dimostrato nel nostro precedente articolo Nascita di una
Sibilla: la traccia medievale, con la crescente diffusione della Materia di
Bretagna a del ciclo arturiano in tutta Europa, quel mito appenninico e
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locale attirò una serie di elementi narrativi relativi a Morgana la Fata e
all'incantatrice a lei collegata, Sebile, un'elaborazione nordeuropea
connessa, a propria volta, con le Sibille classiche, attraverso la mediazione
di una tradizione orale che può essere rintracciata nell'Erec, un poema
scritto da Hartmann von Aue nel dodicesimo secolo. Sulla scia del successo
e della diffusa accettazione dei temi letterari proposti nell'ambito della
Materia di Bretagna, la Sibilla degli Appennini acquistò pienamente alcuni
caratteri che sono tipici dell'incantatrice Morgana/Sebile, comprendenti una
corte magicamente occultata, una tendenza a imprigionare coraggiosi
cavalieri, e peculiari aspetti lascivi. Tutte caratteristiche che la Sibilla
Cumana non ha mai conosciuto.
E così, l'ascendenza della Sibilla Appenninica, così come rappresentata
nella letteratura del quindicesimo secolo, deve essere rintracciata indietro
nel tempo non nella Sibilla Cumana, quanto invece nel personaggio di
Morgana/Sebile, che appartiene a una tradizione differente e presenta
collegamenti solamente indiretti con le Sibille classiche.
La Sibilla Appenninica manterrà solamente un singolo aspetto relativo alla
propria controparte cumana: la capacità oracolare, l'abilità di rendere
profezie, un dono al quale Guerrino si rivolgerà allo scopo di ottenere il
disvelamento della propria origine, a lui ignota, e il nome dei propri
genitori.
Dunque, possiamo fondatamente concludere come la relazione tra la nostra
Sibilla degli Appennini e la Cumana non trovi origine in alcuna
connessione diretta sussistente tra i due racconti leggendari; tale
connessione è stata invece favorita da una reciproca somiglianza e affinità
caratterizzante in modo manifesto i due siti: un misterioso lago in entrambi
i luoghi, ambedue ospitanti un'oscura caverna nelle vicinanze, ed entrambi
in grado di costituire un punto di passaggio verso l'Aldilà, sia che si tratti
dell'Ade classico presso Cuma, o di un diverso genere di sotterranea vita
oltre la vita nascosta al di sotto degli Appennini centrali.
Questa somiglianza reciproca è risultata essere così forte e attrattiva da
operare anche in direzione inversa: da un regno cavalleresco ospitante
sensuali godimenti, come la Grotta della Sibilla posta tra i Monti Sibillini, a
un reame simile e parimenti illusorio che alcuni creduli visitatori
nordeuropei vollero cercare proprio nell'area di Cuma, con un ulteriore
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mescolamento coinvolgente le due diverse narrazioni leggendarie. Questo
fenomeno è ben visibile nel De Schismate, un'opera scritta nel 1410 da
Theodericus aus Nieheim (Dietrich di Niem), uno storico tedesco che fu
membro della corte pontificia in Roma:
«Inoltre, a quattro miglia di distanza [da Baia] è visibile il Monte di Santa
Barbara, che si leva sulla pianura, imponente e rotondeggiante. Esso è
chiamato 'Il Gral' da molti tedeschi delusi, i quali affermano, come
sostengono anche molti in quel territorio, che in esso si trovino molti
uomini vivi e viventi fino al giorno del giudizio, che sarebbero dediti ai
piaceri e alle delizie, irretiti in eterno da diabolica lussuria».
[Nel testo originale latino: «Et deinde ad quatuor miliaria prope cernitur
mons sanctae Barbarae in plano campo, eminens et rotundus, quem delusi
multi Alemani in vulgari appellant der Gral, asserentes, prout etiam in illis
regionibus plerique autumant, quod in illo multi sunt homines vivi et
victuri usque ad diem iudicii, qui tripudiis et deliciis sunt dediti, et ludibriis
diabolicis perpetuo irretiti»].
Fig. 109 - Il brano relativo a un demoniaco regno di gioie proibite nascosto in prossimità di Cuma, così
come menzionato nel De Schismate Universali di Theodericus aus Nieheim (da un'edizione stampata a
Strasburgo nel 1609, Libro II, Capitolo XX, p. 99)
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Questo «mons sanctae Barbarae» è il Monte Barbaro, il cono vulcanico che
sovrasta Cuma e il Lago d'Averno: lo scenario appartenente
tradizionalmente alla Sibilla Cumana, che mai abitò alcuna corte occultata
e sensuale. Questo scenario ha evidentemente attratto la favola nordeuropea
che racconta di un regno fatato dell'eterna gioia, una narrazione collegata a
Morgana/Sibilla, totalmente estranea a Cuma, ma che aveva stabilito radici
ben più consistenti e di maggior successo proprio tra i Monti Sibillini.
E dunque, sussiste certamente un intenso legame narrativo tra Cuma e i
Monti Sibillini, favorito dalla presenza di elementi geografici analoghi, un
lago e una grotta, e a motivo di un medesimo carattere oltremondano che
segna entrambi i siti.
Quando ha avuto origine questo legame? La risposta non è nota. La
connessione tra i racconti leggendari che dimoravano presso i due siti si è
stabilita in un passato che oggi non ci è possibile rintracciare, nell'assenza
di testimonianze letterarie specifiche che siano risalenti all'età classica e al
periodo tardoantico, e nell'impossibilità di seguire i percorsi sotterranei e
nascosti della narrazione orale e dei cantastorie, così come questi percorsi
si sviluppavano nell'ascolto popolare e aristocratico.
E disponiamo anche di una sorta di 'pistola fumante', che indica
esattamente verso la direzione da noi indicata: un trasferimento di temi
narrativi da Cuma ai Monti Sibillini.
In effetti, la connessione mitica sussistente tra il racconto ambientato in
Cuma e la leggenda che abitava gli Appennini è ulteriormente attestata in
un manoscritto conservato in Vaticano, da noi già menzionato in un
precedente paragrafo. In esso è possibile rinvenire uno straordinario
diagramma, risalente alla metà del sedicesimo secolo e raffigurante un
viaggio attraverso il territorio dell'Appennino centrale, in cerca della Grotta
e del sinistro Lago. Ma quest'ultimo non è affatto intitolato a 'Pilato'.
L'indicazione vergata dall'ignoto autore del disegno è molto chiara: si tratta,
invece, del «laco averno di Norcia».
C'è un solo 'Lago d'Averno' in Italia, ed è quello che si trova a Cuma.
Eppure, la mitica affinità tra le due leggende risulta essere così intensa che
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il nome del lago citato nell'Eneide di Virgilio, un punto di riferimento
geografico che marca l'ingresso all'Ade, viene trasferito tra gli Appennini, e
associato al nostro Lago demoniaco.
Fig. 110 - I Laghi situati tra i Monti Sibillini denominati come il Lago d'Averno in un diagramma
cinquecentesco rinvenuto nel manoscritto Vat Lat 5241 (Biblioteca Apostolica Vaticana, folium 9v)
E, nel presente articolo, vogliamo aggiungere anche un ulteriore esempio di
potenziale trasmigrazione di temi e immagini letterarie dall'Ade cumano,
così come descritto nell'Eneide, verso la Grotta della Sibilla descritta da
Antoine de la Sale, un trasferimento che non abbiamo avuto occasione di
citare nel nostro precedente articolo La verità letteraria sulle magiche
porte nel 'Paradiso della Regina Sibilla'. Nel corso di quella ricerca
avevamo preso in considerazione le porte di metallo eternamente battenti, il
leggendario meccanismo inserito dall'autore quattrocentesco nella sua
rappresentazione del regno incantato della Sibilla Appenninica:
«... dentro questa caverna, fino alle porte di metallo, che battono giorno e
notte incessantemente, chiudendosi e riaprendosi [...] all'interno della
grotta, vi sono due porte di metallo, le quali giorno e notte sbattono senza
mai fermarsi...»
[Nel testo originale francese: «... dedans ceste cave, jusques es portes de
mettail, qui jour et nuyt et sans ceser battent, cloant et ouvrant [...] à
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l'endroit de la cave, sont les deux portes de metal, qui jour et nuyt batent
sans cesser...»].
Fig. 111 - Le porte eternamente battenti rinvenibili all'interno della Grotta della Sibilla secondo il
Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château
(Musée Condé), Chantilly, folium 11r)
Avevamo visto come i meccanismi di metallo in perenne movimento
fossero tipiche invenzioni letterarie in contesti oltremondani, punti di
passaggio che aprivano le proprie minacciose fauci al fine di potere mettere
alla prova le anime al momento della loro ammissione verso regioni
magiche o oltremondane, con un illustre antecendente rintracciabile nel
magico varco costituito dalle Simplegadi, le rocce che si scontrano,
impedendo il passaggio agli Argonauti. Risultava però mancare una
convincente spiegazione in merito alla ricorrente natura metallica di tali
porte e meccanismi, una spiegazione che possiamo ora rintracciare nella
visionaria, agghiacciante immagine che Publio Virgilio Marone ci fornisce
nel Libro VI dell'Eneide. È qui che sono descritte le spaventose porte del
Tartaro, l'abisso dei malvagi condannati, sorvegliato da una Furia, Tisifone
(vv. 552-556 e 570-573):
«Di fronte, enorme, la porta: resistenti come il diamante i suoi pilastri,
non forze d'uomini, non per mezzo di guerra
possono gli stessi dèi celesti distruggerli; si erge la torre di ferro nell'aria,
e Tisifone siede, avvolta in cruento mantello,
posta a guardia del vestibolo, vegliante notte e giorno, [...]
Continuamente i rei la vendicatrice, con il suo flagello,
colpisce e opprime, avventando con la sinistra
le crudeli serpi [...]
Allora, stridendo sugli orridi cardini, s'aprono
le sacre porte».
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[Nel testo originale latino:
«Porta adversa ingens, solidoque adamante columnae,
vis ut nulla virum, non ipsi exscindere bello
caelicolae valeant; stat ferrea turris ad auras,
Tisiphoneque sedens, palla succincta cruenta,
vestibulum exsomnis servat noctesque diesque, [...]
Continuo sontes ultrix accincta flagello
Tisiphone quatit insultans, torvosque sinistra
intentans angues[...].
Tum demum horrisono stridentes cardine sacrae
panduntur portae»].
Fig. 112 - La torre di ferro dei cancelli del Tartaro dell'Eneide di Publio Virgilio Marone (manoscritto Vat.
Lat. 3225, Biblioteca Apostolica Vaticana, folium 50v)
Di nuovo, troviamo un varco di metallo e meccanismi eternamente
scattanti, un'immagine potente che pertiene tipicamente a narrazioni
oltremondane sin dall'antichità classica, e che rinveniamo successivamente
in un resoconto che riguarda la Sibilla Appenninica e i Monti Sibillini, con
un'illustre ascendenza che può essere rintracciata indietro nel tempo fino al
celebre racconto leggendario connesso a Cuma, alla sua Sibilla e al
passaggio verso un antico Aldilà, l'Ade, e fino al suo abisso più profondo, il
Tartaro.
Seguendo dunque le considerazioni qui illustrate, presentate sia in questa
ricerca che in una serie di precedenti articoli, riteniamo di potere affermare
come la parola chiave in grado di illuminare il racconto leggendario vivente
tra i Monti Sibillini sia Aldilà. Un Aldilà al quale gli uomini hanno creduto
di potere accedere da un punto di passaggio collegato alla presenza di un
Lago e di una Grotta posti tra spaventosi precipizi verticali. E quando
questa storia veniva narrata di fronte a un pubblico, un racconto simile
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balzava in modo del tutto naturale alla mente degli ascoltatori: Cuma, il suo
lago e la sua grotta, il suo Ade, e la sua Sibilla.
Nessuna Sibilla Cumana ha mai abitato tra le vette dei Monti Sibillini. Ogni
riferimento all'oracolo cumano reperibile nel racconto leggendario
concernente la Sibilla Appenninica è il prodotto di un trasferimento di temi
narrativi da Cuma, con il suo lago, la sua grotta e il suo ingresso
oltremondano, fino all'Appennino centrale, con un altro Lago, un'altra
Grotta e, come molti indizi parrebbero indicare, un altro passaggio verso
qualche genere di Aldilà. Tutto questo subiva inoltre un ulteriore
mascheramento con l'aggiunta di uno strato leggendario addizionale di
origine nordeuropea, caratterizzato dalla presenza di una lussuriosa
Sibilla/Sebile/Morgana impegnata a imprigionare coraggiosi cavalieri in un
regno magico e occultato, immerso in una gioia peccaminosa e senza fine.
Questo è tutto? No. Questa vicenda risulta essere ancora più complessa di
come l'abbiamo fin qui descritta. C'è anche un altro punto che intendiamo
rimarcare.
Perché non era, Cuma, l'unica analogia che sussisteva tra la leggenda
appenninica e un mito oltremondano. Un'altra contaminazione tra racconti
differenti era rilevabile nei secoli dell'Alto Medioevo.
Si trattava, ancora una volta, di un lago e di una grotta. Si trattava, di
nuovo, di un Aldilà.
Stiamo parlando del Purgatorio di San Patrizio.
4.3 Punti di riferimento geografico: il Purgatorio di San Patrizio, un
ulteriore punto di passaggio verso il mito
Dopo essere tornati a Cuma, al suo Lago d'Averno e alla sua caverna,
tramite la quale i mortali potevano avere accesso all'Aldilà dell'antichità
classica, rechiamoci ancora una volta in Irlanda e proviamo a riepilogare le
caratteristiche fisiche e geografiche di Lough Derg, il lago che ospitava al
proprio centro una piccola isola e una cavità, la quale forniva un ingresso al
cosiddetto Purgatorio di San Patrizio.
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Come abbiamo avuto occasione di vedere in un precedente capitolo
nell'ambito di questo stesso lavoro di ricerca, Lough Derg è un piccolo lago
situato nella Contea di Donegal, parte della provincia dell'Ulster, in Irlanda,
posto in una regione desolata tra altipiani e basse colline. Acqua e torba
sono i principali elementi presenti nell'area, coperta di brughiere e solo
scarsamente popolata. Nei secoli passati, un viaggio a Lough Derg
costituiva un'impresa scomoda e audace, e, a parte il Purgatorio di San
Patrizio, non ci sarebbe stata ragione alcuna per avventurarsi in
un'esplorazione fino a un luogo così remoto.
Un lago e una grotta: ancora una volta, due punti di riferimento geografico,
i quali, per qualche ragione, sono tramutati in un ingresso verso l'Aldilà.
Come a Cuma, ci troviamo di fronte a un'ulteriore, spaventosa fenditura nel
nostro mondo ordinario, un punto di accesso verso una regione che non
appartiene agli uomini viventi.
Fig. 113 - Una veduta aerea di Station Island, Lough Derg, Co. Donegal, Irlanda
Molti altri laghi si trovano in quella medesima area. Ma solo Lough Derg
divenne quel lago così speciale da contenere un Purgatorio, un leggendario
'hot spot' che giunge a manifestarsi sulla superficie della Terra. E la
domanda è: perché?
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Perché i timori degli uomini relativi a una demoniaca vita oltre la vita,
profondamente radicati nel cuore delle genti del medioevo, andarono a
materializzarsi proprio in quello specifico punto d'Irlanda?
Lough Derg, inoltre, contiene diverse isole. Eppure una sola di esse, la
cosiddetta 'Station Island', fu al centro di una prolungata attenzione
manifestatasi nell'intera Europa. Di nuovo, perché? Gli studiosi ritengono
che la parola 'station' possa indicare un antico avamposto militare, una
'statio' in latino; ma questo non è sufficiente a rendere disponibile alcun
indizio a proposito del motivo per il quale la localizzazione di un passaggio
fisico verso l'Aldilà risulti essere posta proprio su quella piccola isola.
Fig. 114 - Station Island nel diciassettesimo secolo nella mappa contenuta nel De Hibernia et
antiquitatibus ejus, disquisitiones di James Ware (Londra, 1654, p. 191)
Il punto che intendiamo evidenziare è che un luogo molto specifico, nel
nostro mondo fisico, in particolare Lough Derg e la sua grotta, in Irlanda,
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ebbe la capacità di generare, o attrarre a sé, una potente leggenda di questo
genere. E la ragione è forse legata proprio alla particolare natura di quei
luoghi.
Un processo di attrazione che abbiamo già visto operare a Cuma, con la
natura vulcanica di quel territorio, e che - come vedremo - troveremo
all'opera anche nell'area dei Monti Sibillini.
E dunque, come è stato possibile che Station Island abbia attratto un tale
mito? Co come accaduto per Cuma, e come abbiamo già iniziato a
ipotizzare in relazione al caso dei Monti Sibillini (si vedano i nostri
precedenti articoli sull'origine delle leggende della Grotta della Sibilla e del
Lago di Pilato), sembrerebbe che la leggenda del Purgatorio di San Patrizio
sia anch'essa sorta da una particolare condensazione relativa, in modo
specifico, alla natura di questo luogo, la cavità sotterranea presente a Lough
Derg.
Henry di Saltrey la chiama «fossam rotundam», una cavità di forma
circolare presente nel terreno; Giraldus Cambrensis utilizza la parola
«foveas», indicante pozzi o caverne; Thomas Messingham riferisce di una
«caverna», dunque una grotta; Giovanni Mannini descrive un luogo
angusto come un «sepolcro»; Froissart riferisce che quella cavità è come un
«cellier», una sorta di cantina. James Ware, nella sua opera De Hibernia et
antiquitatibus ejus, disquisitiones, fornisce la seguente dettagliata
descrizione dell'aspetto del Purgatorio, così come esso appariva nell'anno
1654:
«Per quanto riguarda la Grotta stessa, essa è ricavata nella nuda roccia, e
ricoperta di larghe pietre, sopra le quali è stata posta della terra erbosa.
Quando la porta viene serrata, solamente una piccola apertura, praticata in
un angolo del soffitto ricurvo, illumina debolmente quel vano. Lo spazio tra
le mura è pari a 16 piedi e mezzo, mentre la larghezza è di circa due piedi
[...] E come è esigua la grotta, così è anche l'Isola».
[Nel testo originale latino: «Ad Antrum ipsum quod attinet, E saxo vivo
constructum est, saxisque latis obtectum, cum terra superimposita gramine
vestita. Clauso ostio, lucem aliquam praebet unica fenestella, in angulo
recurvitatis. Continet in longitudine intra muros 16 pedes et dimidium, in
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latitudine plerumque duos [...] Atque ut specus est exigua, ita etiam et
Insula»].
Fig. 115 - Il brano relativo al punto di ingresso verso il Purgatorio di San Patrizio dalle De Hibernia et
antiquitatibus ejus, disquisitiones di James Ware (Londra, 1654, p. 192)
Come è potuto accadere che una piccola, insignificante grotta d'Irlanda,
perduta in una minuscola isola situata nel mezzo di un remoto lago, a
propria volta posto tra le più inospitali brughiere, abbia acceso i sogni degli
uomini e il loro angoscioso desiderio di potere accedere, anche solo per un
momento, a una visione dell'Aldilà? Quale peculiare condensazione
caratterizzante la natura intrinseca di questo luogo fu capace di attirare una
leggenda così agghiacciante ed emozionale?
Gli studiosi non hanno ancora identificato la reale ragione che si pone alla
base di una fama così straordinaria. Nondimeno, possiamo tentare di
cogliere un indizio in merito a quale possa essere la natura di questa
peculiare condensazione andando a leggere alcune specifiche frasi tratte dal
Florilegium insulae sanctorum seu Vitae et acta sanctorum Hiberniae di
Thomas Messingham, pubblicato nel 1624, dal quale abbiamo già avuto
occasione di proporre alcune citazioni. Secondo Messingham, che a propria
volta cita da David Rothe, un vescovo irlandese, durante il loro soggiorno a
Station Island i pellegrini venivano sottoposti a un trattamento fortemente
debilitante, che li conduceva quasi sull'orlo di una morte per inedia:
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Fig. 116 - Mancanza di cibo ed esaurimento fisico alla base dell'esperienza dei pellegrini prima
dell'ingresso nel Purgatorio di San Patrizio, dal Florilegium insulae sanctorum seu Vitae et acta
sanctorum Hiberniae di Thomas Messingham (Parigi, 1624), p. 95
«Per tutto il tempo in cui essi dimoravano nella predetta isola, vale a dire
per nove giorni, essi digiunavano nutrendosi solamente di pane e acqua,
non però secondo le loro necessità, ma con un solo pasto comprendente
pane azzimo cotto sotto la cenere o su di una graticola; oppure una farina
d'avena cruda, mescolata all'acqua del lago, oppure cotta o raramente
bollita in un calderone, priva di sale e di qualsivoglia altro genere di
condimento; e questo cibo così scarso e malcotto, per quanto irritante per le
loro viscere, era distribuito solo raramente nel corso delle ore della
giornata; parimenti ad essi non era permesso alleviare la loro sete quando
avevano necessità di bere per bagnare le bocche riarse».
[Nel testo originale latino: «Toto tem[po]re quo morantur in ipsa insula,
puta per novem ipsos dies, ieiunandum erit in pane et aqua, non
quomodolibet, sed una refectione ex pane azymo subcineratio, vel cocto in
craticula; aut certe farina avenacea incocta, aqua vero lacustri, sed cocta vel
saltem calefacta in cacabo, citra salem, aut aliud quodcunque
condimentum, atque ista tam cruda et macilenta alimonia, quamvis
frendentibus intestinis non nisi semel degustanda erit spatio vigintiquatuor
horarum, nisi quod aretes fauces licitum sit refrigerare saepius, quando sitis
urgeret»].
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Oltre a ciò, prima di entrare nel Purgatorio, la sete dei pellegrini veniva
finalmente placata somministrando loro una speciale qualità di acqua:
«La qualità di quest'acqua è particolarmente stagnante, e per quanto se ne
voglia bere, non si percepirà alcuna pesantezza, come se essa fluisse da una
sorgente ricca di metalli, fuoriuscendo da una piccola fonte di acqua
minerale dal gusto acido».
[Nel testo originale latino: «Ea vis istius aquae quamvis stagnantis, ut
quamtumvis ex ea te velis ingurgitare, nullum inde gravamen sentias,
perinde ac si ex vena metallica flueret, quod de aqua Spadana ex fonticulo
acido emanante perhibent»].
Fig. 117 - La qualità dell'acqua a Station Island, dal Florilegium insulae sanctorum seu Vitae et acta
sanctorum Hiberniae di Thomas Messingham (Parigi, 1624), p. 95
Dobbiamo certamente ricordare come «i ruscelli che alimentano il lago
scorrono attraverso una vasta estensione di acquitrini e paludi. Inoltre,
numerose sorgenti ferruginose che emergono nel lago e intorno alle sue
rive emettono in modo costante rivoli di acqua rossastra, conferendo così al
lago la sua intensa colorazione», esplicitandosi così la ragione per la quale
il lago è identificato con il suo nome ('Lough Derg', 'Lago Rosso' nell'antica
lingua irlandese), come scrive Daniel O'Connor nel proprio saggio St.
Patrick's Purgatory, Lough Derg (Dublino, 1895).
Dunque, poco prima del passaggio attraverso la porta del Purgatorio, ai
pellegrini veniva fornita un'acqua dal sapore aspro e metallico,
probabilmente la stessa acqua stagnante del lago, ricca di gas e minerali, in
arrivo dalla circostante brughiera torbosa.
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Fig. 118 - Guglielmo di Lisle e l'esperienza del Purgatorio di San Patrizio, dalle Chroniques di Jean
Froissart (manoscritto Français 2646, Bibliothèque Nationale de France, folium 196v)
E possiamo rinvenire un altro significativo indizio nel testo di uno scrittore
medievale francese, Jean Froissart, che ha dedicato alcune frasi al
Purgatorio di San Patrizio nelle sue Chroniques, scritte prima della fine del
quattordicesimo secolo. Al Libro IV, Capitolo CXCVI della sua ponderosa
opera, Froissart riferisce le parole che un gentiluomo inglese, Guglielmo di
Lisle, aveva pronunciato a proposito della sua visita al Purgatorio. E ciò
che ci racconta il nobile anglosassone è di grande rilievo:
«Quando io e il mio compagno attraversammo la porta della cantina che è
chiamata Purgatorio di San Patrizio e discendemmo per tre o quattro passi
(perché vi si discende come se si entrasse in una cantina), un grande calore
ci montò alla testa, e ci sedemmo sul pavimento di pietra, e, così seduti,
fummo travolti da un grande desiderio di dormire, e dormimmo tutta la
notte».
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[Nel testo originale francese: «Quant moy et mon compaignon eusmes
passé la porte du cellier, que on appelle le Purgatoire Saint-Patris et nous
feusmes descendus trois ou quatre pas (car on y descent ainsi que à un
cellier), chalour noust prist ens es testes, et nous asseismes sur les pas qui
sont de pierre, et, nous assis, très-grant voulenté nous vint de dormir, et
dormismes toute la nuit»].
Dormirono. E, durante il sonno, «essi vagarono attraverso incredibili
fantasticherie e sogni meravigliosi; e videro, così a loro parve, pur
dormendo, troppe cose rispetto a quanto essi fossero soliti sognare
dormendo nei propri letti» («ils entrèrent en ymaginations moult grandes et
songes merveilleux, et veoient, ce leur sambloit, en dormant trop plus de
choses qu'ils n'euissent fait en leurs chambres sur leurs lits»). Così essi
pensarono, in seguito, che «si fosse trattato solamente di visioni» («ce soit
toute fantosme»).
Fig. 119 - I sogni di Guglielmo di Lisle all'interno del Purgatorio di San Patrizio così come riferiti nelle
Chroniques di Jean Froissart (manoscritto Français 2646, Bibliothèque Nationale de France, folium 196v)
«Dormire - forse sognare», come direbbe l'Amleto shakespeariano. E
dobbiamo ricordare che anche Antonio Mannini cadde nel sonno: «Così
orando m'addormentai...». E William Staunton scrive le seguenti parole: «E
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rimasi, e in qualche modo mi assopii, e dormii...» («And there y abode,
and sumwhat slumbered and slepte...»).
Dopo avere fatto ingresso nel Purgatorio di San Patrizio, i pellegrini,
esausti a causa dei molti giorni trascorsi in preparazione e penitenza,
stremati a motivo della mancanza di cibo, assiderati del gelido clima
irlandese, oppressi dalle terrificanti suggestioni relative a ciò che li
attendeva all'interno di quella cavità, le loro menti già anticipando le ormai
prossime visione dell'Inferno e dei suoi demoni, il loro ventre traboccante
di stagnante acqua minerale dotata di strane caratteristiche, quando essi
venivano infine confinati all'interno dell'angusta cavità sotterranea, quei
visitatori venivano sopraffatti, nell'aria viziata e priva di ossigeno, da
qualche sorta di vapore mefitico, emesso dai corpi dei loro stessi compagni,
giacenti l'uno accanto all'altro, o forse anche penetrante in quello spazio
dagli strati di torba marcescente che circondava Lough Derg e la sua grotta.
E arrivavano i sogni. Sogni di vita oltre la vita. Sogni dell'Aldilà.
Era tutto questo, forse, quella strana condensazione dalla peculiare natura
che segnava il Purgatorio di San Patrizio, a Lough Derg, in Irlanda? È
possibile che gli incubi visionari esperimentati dai pellegrini fossero
eccitati dai gas e dai vapori mefitici che riempivano il ristretto volume di
quello spazio sotterraneo? Erano forse, quei sogni, potenziati ulteriormente
dall'acqua stagnante che riempiva il loro stomaco, e dall'esaurimento fisico
che colpiva i visitatori del Purgatorio dopo numerosi giorni di digiuno e
rimorsi?
Dobbiamo ricordare come Lough Derg sia situato in un territorio ricco di
torbiere e paludi. E le torbiere, gli acquitrini, le paludi generano
significative quantità di un gas molto particolare: il metano, un gas inodore
e incolore che viene originato dal materiale vegetale marcescente in
ambienti poveri di ossigeno.
Il metano, come è noto agli scienziati, benché non sia un gas tossico, può
provocare fenomeni di asfissia, riducendo i livelli di ossigeno nel corpo e
nel cervello. Le persone esposte al metano provano inizialmente vertigini e
i loro cuori entrano in rapida palpitazione, un sintomo che può essere
facilmente confuso con una sensazione di totale, terrificante paura; poi,
esse cadono addormentate, con un significativo rischio di morte
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sopravveniente durante il periodo di incoscienza. Rispondendo alla carenza
di ossigeno, il corpo tenta di recuperare il prezioso gas dal sangue,
generando un effetto di deidratazione (un sintomo del quale i gestori del
Purgatorio di San Patrizio sembravano essere ben consapevoli, poiché
esortavano i visitatori a bere quanta più acqua possibile prima di entrare
nella cavità, così come riferisce Thomas Messingham).
Fig. 120 - Una vista ravvicinata dell'ingresso al Purgatorio di San Patrizio così come esso appare nella
seconda edizione del De Hibernia et antiquitatibus ejus, disquisitiones di James Ware (Londra, 1658, p.
222)
Con il metano che satura la piccola grotta fino al soffitto, il cervello dei
pellegrini cominciava a soffrire a causa della mancanza di ossigeno. Studi
medici contemporanei mostrano come un processo di asfissia in corso
interferisca con la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore. E la
variazione dei livelli di serotonina può indurre allucinazioni e stati alterati
di coscienza. A tutti gli effetti, uno stato di anossia può essere
accompagnato dalla presenza di esperienze allucinatorie.
Naturalmente, l'autore del presente articolo non è un dottore in medicina e
chirurgia, e certamente esula dallo scopo della presente ricerca
l'effettuazione di ulteriori investigazioni in questa delicata problematica,
54
per quanto promettente e affascinante, che gli studiosi hanno già avuto
occasione di prendere in considerazione in riferimento alle profezie rese
dall'oracolo sibillino presso il Tempio di Apollo a Delfi, in Grecia, sotto
l'influenza di vapori mefitici, seguendo le indicazioni fornite già nel primo
secolo da Plutarco, il grande scrittore greco. E abbiamo anche visto, in un
precedente paragrafo, come vapori mefitici riempissero le cavità presenti
nell'area di Cuma, quelle grotte che molti pensavano di potere identificare
con l'antro della Sibilla Cumana, nelle quali la morte colpiva coloro che
penetravano al loro interno in cerca di tesori e inafferrabili sogni.
Eppure, è chiaro come i racconti leggendari percorrano spesso itinerari
molto strani, e quando essi vengono a stabilirsi in uno specifico luogo,
come Lough Derg, questo luogo non è affatto un luogo qualunque: è
sempre un luogo speciale.
Fig. 121 - Pellegrini attraversano il lago in direzione di Station Island in una stampa dal titolo St.
Patrick's Purgatory, Lough Derg di Daniel O'Connor (Dublino, 1895, p. 208-209)
Come abbiamo già indicato in precedenti paragrafi, l'attrazione di miti e la
generazione di leggende in connessione con una specifica localizzazione
55
geografica costituisce una questione fondamentale che si trova al centro
della nostra investigazione, nel contesto della ricerca che stiamo
conducendo a proposito dei Monti Sibillini e della loro eredità leggendaria.
Un lago, Lough Derg, e la sua mortale cavità: la specifica natura di quel
luogo, forse collegata alla generazione locale di gas mefitici e allucinogeni,
rese disponibile un'ambientazione idonea per rappresentare una terrificante
narrazione concernente il Purgatorio cristiano e i suoi spaventosi tormenti.
Ecco perché il sito del Purgatorio di San Patrizio divenne, come anche
Cuma, un altro famoso 'hot spot', riconosciuto in tutta Europa, in grado di
rendere disponibile agli uomini viventi un ulteriore accesso mitico
all'Aldilà.
È un'ulteriore fenditura. Una nuova crepa. Un'altra frattura scavata nel
nostro mondo ordinario, un altro agghiacciante varco praticato nelle anime
intimorite dei mortali.
Di nuovo, il punto di riferimento geografico, l'emblema distintivo, è
costituito da un lago e da una grotta.
E vedremo come queste stesse considerazioni debbano applicarsi anche al
massiccio dei Monti Sibillini.
4.4 Ulteriori affinità mitiche: Lough Derg e i Monti Sibillini
Nei precedenti paragrafi abbiamo illustrato la mitica narrazione relativa a
Cuma, nella quale sono rappresentati un lago, il Lago d'Averno, e una
grotta situata nelle immediate vicinanze; quest'ultima era ritenuta costituire,
in antico, l'ingresso a un Aldilà. Abbiamo anche evidenziato i collegamenti
narrativi che connettevano il racconto cumano, diffusamente conosciuto in
tutta Europa a motivo della sua presenza nell'Eneide virgiliana, con le
leggende che abitavano i Monti Sibillini, caratterizzati anch'essi da un
proprio Lago e una propria Grotta.
Ma le affinità non terminano qui. Abbiamo anche visto come una terra
dell'Europa settentrionale, l'Irlanda, ospitasse un altro racconto
leggendario: ancora, un lago, Lough Derg, e ancora una grotta, che si
56
reputava potesse fornire l'accesso a un altro Aldilà, il Purgatorio di San
Patrizio. E anche questo racconto era conosciuto in tutta Europa, nella
penisola italiana e, in modo specifico, come vedremo più avanti in questo
medesimo articolo, nella stessa Italia centrale.
Un esempio estremamente significativo della straordinaria notorietà del
Purgatorio di San Patrizio è costituito dalla Legenda Aurea, la raccolta di
racconti concernenti la vita e la morte di più di centocinquanta santi
elaborata da Jacopo da Varagine, un frate domenicano che fu vescovo della
città di Genova, nella seconda metà del tredicesimo secolo.
La Legenda Aurea fu un'opera di grande successo, una sorta di 'best seller'
che ha attraversato molti secoli, con migliaia di manoscritti ancora
sussistenti. La Legenda era considerata come una fonte estremamente utile
al fine di individuare temi ed esempi da impiegare nelle attività di
predicazione, ed era apprezzata da lettori e ascoltatori appartenenti a ogni
estrazione sociale, a motivo delle affascinanti narrazioni in essa contenute
che raccontavano impressionanti, commoventi episodi di martirio subìto da
santi cristiani, uomini e donne, e grazie anche alla grande leggibilità del
testo, redatto in un latino semplice ma comunque fluente.
Fig. 122 - L'indicazione del capitolo dedicato a San Patrizio nell'indice del manoscritto e l'inizio del
medesimo capitolo dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (manoscritto trecentesco Latin 9730,
Bibliothèque Nationale de France, folia 1v e 83v)
57
E, certamente, la Legenda Aurea, nel Capitolo XLIX, posto subito dopo la
sezione dedicata a un veneratissimo santo, Benedetto da Norcia, non
dimenticava affatto di menzionare il Purgatorio di San Patrizio:
«Il Signore comandò dunque che egli [San Patrizio] tracciasse in un certo
luogo un grande cerchio nel suolo, utilizzando il suo bastone, ed ecco che
la terra all'interno del cerchio si aprì e apparve un abisso enorme e
profondissimo; e a San Patrizio fu rivelato che si apriva l'ingresso del
Purgatorio; chiunque fosse disceso in esso, non avrebbe sofferto ulteriori
punizioni, avrebbe fatto esperienza del purgatorio a causa dei propri
peccati. Molti, però, non sarebbero mai tornati da esso, e coloro che fossero
riusciti a ritornare non avrebbero dovuto rimanere in esso se non da un
mattino fino al mattino seguente. E molti, dunque, entrarono, e non ne
tornarono mai più».
Fig. 123 - San Patrizio e l'ingresso al Purgatorio dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (manoscritto
trecentesco Latin 9730, Bibliothèque Nationale de France, folium 84r)
58
[Nel testo originale latino: «Jussu igitur domini in quodam loco magnum
circulum cum baculo designavit et ecce terra inter circulum se aperuit et
puteus maximus et profondissimus ibi apparuit revelatumque est beato
Patricio, quod ibi purgatorii locus esset, in quem quisquis vellet
descendere, alia sibi poenitentia non restaret nec aliud pro peccatis sentiret
purgatorium, plerique autem indem non redirent et qui redirent eos a mane
usque in sequens mane ibidem moram facere oporteret. Multi igitur
ingrediebantur, qui de caetero non revertebantur»].
Questa è la descrizione della leggenda del Purrgatorio di San Patrizio così
come essa viene riferita nel capitolo dedicato al santo irlandese contenuto
nella Legenda Aurea, un passaggio che è manifestamente tratto dal
Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii scritto da Henry de Saltrey.
Jacopo da Varagine, inoltre, non tralasciò di includere, nella propria opera,
l'intero racconto dell'agghiacciante discesa di Owein nel Purgatorio di San
Patrizio; e dunque la sua narrazione prosegue ancora, con una modifica
apportata al nome del protagonista principale:
«Un certo nobiluomo di nome Nicholaus, che molto aveva peccato [...]
volle entrare nel Purgatorio di San Patrizio; e così, per i quindici giorni
precedenti egli si consumò nel digiuno, così come tutti erano soliti fare; in
seguito, la porta fu aperta utilizzando la chiave che era custodita presso
l'abbazia, ed egli discese nella cavità...»
Fig. 124 - Nicholaus e il suo ingresso nel Purgatorio dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine
(manoscritto trecentesco Latin 9730, Bibliothèque Nationale de France, folium 84r)
59
[Nel testo originale latino: «Quidam vir nobilis nomine Nicholaus, qui
peccata multa commiserat [...] purgatorium sancti Patricii sustinere vellet,
cum antea quindecim diebus, ut omnes faciebant, se ieiuniis macerasset,
aperto ostio cum clavi, quae in quadam abbatia servabatur, in praedictum
puteum descendit...»].
Segue poi un lungo resoconto del viaggio di Nicholaus attraverso il
Purgatorio, parimenti tratto dall'opera di Henry di Saltrey. Egli incontra gli
stessi uomini vestiti di bianco, che gli consigliano di invocare il nome di
Gesù nel momento in cui si troverà costretto a subire le terribili torture del
Purgatorio («cum te poenis affligi senseris, protinus clama et dic: 'Jesu
Christe fili Dei vivi miserere mihi peccatori»), un'implorazione alla quale
anche Guerrino il Meschino ricorrerà spesso nel romanzo di Andrea da
Barberino.
Fig. 125 - La salvifica invocazione del nome di Gesù Cristo così come appare nella Legenda Aurea di
Jacopo da Varagine (manoscritto trecentesco Latin 9730, Bibliothèque Nationale de France, folium 85r)
Poi, i demoni iniziano a mostragli le spaventose punizioni inflitte
all'interno del Purgatorio. Le note visioni di fiamme e uncini e demoniache
fruste, che già conosciamo per averle lette in Henry di Saltrey, tra le quali
anche la celeberrima ruota di fuoco («rota maxima erat uncinis ferreis
ignitis plena...») sono descritte anche da Jacopo. E la Legenda Aurea non
omette di menzionare la presenza dell'ormai usuale meccanismo
oltremondano costituito dal 'ponte del cimento', che, come sappiamo,
ritroveremo anche nella Grotta della Sibilla:
«Fu poi condotto in un luogo in cui poté vedere un ponte [...] il quale era
strettissimo e lucido e scivoloso come il ghiaccio, al di sotto del quale
scorreva un grande fiume di fuoco sulfureo, così da far sembrare che fosse
impossibile attraversarlo [...] Egli, con fede, entrò nel ponte ponendo un
piede su di esso, iniziando a pronunciare le parole 'Gesù Cristo ecc.' [...] A
ogni passo egli ripeteva le medesime parole, e così passò senza danno».
60
[Nel testo originale latino: «Ductus igitur ad alium locum vidit quendam
pontem [...] qui quidem erat strictissimus et instar glaciei politus et
lubricus, sub quo fluvius ingens sulphureus et igneus fluebat, super quem
dum se posse transire omnino desperaret [...] confidenter accessit et unum
pedem super pontem ponens, Jesu Christe etc. dicere coepit [...] ad
quemlibet passum eadem verba protulit et sic securus transivit»].
Fig. 126 - Il 'ponte del cimento' come descritto nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (manoscritto
trecentesco Latin 9730, Bibliothèque Nationale de France, folium 84v)
La straordinaria leggenda del Purgatorio di San Patrizio era integralmente
conosciuta in Italia, con la sua grotta descritta da Henry di Saltrey e il suo
lago, menzionato da Giraldus Cambrensis, e infine tramite la completa
illustrazione di essa elaborata da Jacopo da Varagine. E possiamo
facilmente dimostrare come, nel quattordicesimo secolo, la leggenda fosse
pienamente nota anche nell'Italia centrale, in un luogo che distava non più
61
di settanta chilometri dai Monti Sibillini. Nel 1346, Jacopo di Mino del
Pellicciaio, un pittore originario di Siena, dipinse un affascinante affresco
sulla parete del refettorio del convento di San Francesco al Borgo Nuovo, a
Todi, in Umbria. L'affresco rappresenta proprio Il Purgatorio di San
Patrizio: si tratta di una significativa testimonianza del successo di quel
racconto leggendario irlandese in un contesto culturale centroitaliano.
Fig. 127 - Il Purgatorio di San Patrizio, affresco trecentesco dipinto da Jacopo di Mino del Pellicciaio
(Convento di San Francesco al Borgo Nuovo, Todi, Umbria, Italy)
Un lago e una grotta in Irlanda, che rendevano possibile un leggendario
ingresso verso un Aldilà. Un altro Lago e un'altra Grotta, inoltre, nell'Italia
centrale, a proposito dei quali venivano narrate storie di negromanzia e
demoni.
In un precedente paragrafo, abbiamo già avuto occasione di notare come,
nel medioevo, chiunque avesse preservato una seppur minima memoria
dell'antichità classica avrebbe associato quel sito posto tra gli Appenini con
Cuma, il suo lago, la sua grotta e la sua antica Sibilla.
62
Ma anche un'altra associazione risultava possibile.
Tutti, infatti, erano anche a conoscenza della leggenda medievale relativa al
Purgatorio di San Patrizio, con il suo lago e la sua terrificante grotta. Un
racconto leggendario che era riferito anche dalla notissima e largamente
letta Legenda Aurea. Dunque, ogni sinistro racconto concernente un
ulteriore Lago e un'altra Grotta, situati tra gli Appennini e segnati da
caratteri magici o oltremondani, avrebbe immediatamente riportato alla
memoria, nella mente dell'ascoltatore, quel lontano e inquietante
Purgatorio.
I narratori orali e, in tempi successivi, gli uomini di lettere non avrebbero
potuto evitare di introdurre alcune combinazioni tra le due narrazioni,
sostanzialmente estranee l'una all'altra: un lago e una grotta posti
nell'Irlanda settentrionale, e un Lago e una Grotta giacenti in un massiccio
montuoso che è parte della catena appenninica. Esattamente lo stesso
processo di contaminazione, del tutto naturale a mano a mano che un
racconto si espande e raggiunge platee differenti nel corso dei secoli, che
produsse una combinazione tra il racconto sibillino dimorante tra gli
Appennini e la leggenda che viveva a Cuma sin dall'antichità classica.
E dunque, ancora una volta, troviamo che punti di riferimento geografico
posti tra gli Appennini sono in grado di generare un peculiare richiamo nei
confronti di un diverso racconto leggendario, in questo caso proveniente
dall'Iranda: e il risultato consiste nell'incorporazione di temi e suggestioni,
connessi al Purgatorio di San Patrizio, all'interno della tradizione
leggendaria dei Monti Sibillini, malgrado essi siano localizzati in un
territorio del tutto differente.
Ancora una volta, il mitico racconto concernente un accesso oltremondano
accessibile dagli uomini, situato in Irlanda, esperimentò una parziale
migrazione verso l'area dei Monti Sibillini, con la progressiva aggiunta, da
parte dei narratori orali, di dettagli ed emozioni ai propri racconti relativi a
un gelido Lago e a una Grotta posta su di un picco montano, entrambi
perduti in una remota regione degli Appennini italiani. Se un passaggio
verso la vita oltre la vita esisteva in Irlanda, questa circostanza, per quanto
mitica, non poteva che rafforzare e confermare ulteriormente il racconto
italiano, a motivo di una palese analogia sussistente tra i due luoghi,
entrambi segnati dalla presenza di un lago e di una grotta.
63
Naturalmente, il Purgatorio di San Patrizio non ha nulla a che vedere con
gli Appennini: nondimeno, le rispettive narrazioni leggendarie andarono
incontro a un certo grado di combinazione, così come già illustrato nei
nostri precedenti articoli Il Purgatorio di San Patrizio, una fonte comune
per Guerrin Meschino e Antoine de La Sale e Nascita di una Sibilla: la
traccia medievale.
Questo processo può essere rilevato in entrambe le opere letterarie che, nel
quindicesimo secolo, segnarono il punto di partenza del rimarchevole
successo europeo della leggenda della Sibilla Appenninica: il romanzo di
Andrea da Barberino, Guerrin Meschino, e il resoconto di Antoine de la
Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla.
E, naturalmente, entrambi gli autori avevano piena dimestichezza con il
mito relativo a Lough Derg e al suo Purgatorio:
Antoine de la Sale segnala chiaramente questa circostanza quando, nella
propria opera La Salade, egli inserisce un riferimento diretto alla leggenda
irlandese di San Patrizio:
Fig. 128 - L'Irlanda e il Purgatorio di San Patrizio menzionati nell'opera La Salade di Antoine de la Sale
(Parigi, 1527)
64
«L'isola di Irlanda, molto prossima all'Inghilterra, è molto grande e
selvaggia, così come anche i suoi abitanti. Vi si trova una chiesa dedicata a
San Patrizio, e anche la grotta nella quale si dice che si possano vedere le
pene del purgatorio e i tormenti dell'inferno».
[Nel testo originale francese: «L'ysle de yrlande ioinct assez pres
dangleterre est elle moult grande et sausvaige et les gens aussi leglise sainct
Patrisse y est et la est la caue ou se dit que on va veoir les peines de
purgatoire et les tourmens denfer»].
Quando Antoine de la Sale redige il racconto della sua visita a un Lago e a
una Grotta situati nell'Italia centrale, egli introduce nella propria narrazione
alcuni dettagli che paiono essere tratti da materiale estraneo relativo a
viaggi nell'Aldilà, con specifico riferimento alla leggenda che egli ben
conosceva, il Purgatorio di San Patrizio, caratterizzato da un proprio lago e
da una propria grotta. E il primo dettaglio, come avevamo già indicato
all'inizio del presente articolo scientifico, è il 'ponte del cimento':
«Poi si trova un ponte, del quale non si capisce di quale materia sia
costruito, ma si dice che non sia più largo di un piede e sembrerebbe essere
molto lungo. Al di sotto di questo ponte, un grande e spaventoso abisso di
enorme profondità [...] Ma non appena si pongono i due piedi sul ponte,
esso diviene largo a sufficienza; e più si procede innanzi e più esso diviene
largo e l'abisso meno profondo».
[Nel testo originale francese: «Lors trouve-l'on un pont, que l'on ne scet de
quoy il est, mais est advis qu'il n'ait mie un pied de large et semble estre
moult long. Dessoubz ce pont, a très grant et hydeux abisme de parfondeur
[...] Mais aussitost que on a les deux pieds sur ce pont, il est assez large; et
tant vait on plus avant tant est plus large et moins creux»].
Sappiamo che il ponte magicamente stretto è presente in numerori
resoconti di viaggi oltremondani, tra i quali quelli menzionati da San
Gregorio Magno nei Dialoghi, la Visione di Sant'Adamnán e la Visione di
Tnugdalus; ma, nel quindicesimo secolo, chiunque avesse avuto occasione
di leggere le parole scritte da Antoine de la Sale sarebbe tornato, con la
propria mente, al più famoso e più impressionante 'ponte del cimento' di
tutto il proprio genere, vale a dire quello ritratto da Henry di Saltrey nel suo
Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, nonché alla sua successiva
65
descrizione così come riportata nella notissima Legenda Aurea elaborata da
Jacopo da Varagine.
Fig. 129 - Il 'ponte del cimento' inserito da Antoine de la Sale nel suo Paradiso della Regina Sibilla
(manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, folia 11v e 12r)
Oltre a ciò, è possibile anche imbattersi in una straordinaria
contaminazione figurativa tra la leggenda del Purgatorio di San Patrizio e la
descrizione della Grotta della Sibilla così come fornita da Antoine de la
Sale nel suo meraviglioso resoconto miniato Il Paradiso della Regina
Sibilla, contenuto nel manoscritto n. 0653 (0924) conservato presso la
Bibliothèque du Château - Musée Condé a Chantilly, in Francia.
Al foglio 9v, il gentiluomo francese inserisce un ritratto di se stesso mentre,
sulla cima del Monte Sibilla, affronta lo stretto varco di ingresso verso
l'interno della Grotta.
Ma una miniatura straordinariamente simile è contenuta nel manoscritto
Français 1544, conservato presso la Bibliothèque Nationale de France e
databile a più di cinquanta anni prima. Al folium 105r troviamo infatti un
66
pellegrino che, coraggiosamente, fa il proprio ingresso nella grotta che
conduce al Purgatorio di San Patrizio, presso Lough Derg.
Fig. 130 - Antoine de la Sale entra nella Grotta della Sibilla, dal Paradiso della Regina Sibilla
(manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, folium 9v)
Fig. 131 - Ingresso al Purgatorio di San Patrizio da La tres noble et tres merveilleuse Histoire du
purgatoire saint Patrice (manoscritto Français 1544, Bibliothèque Nationale de France, folium 105r)
67
E ulteriori immagini, assai simili, sono rinvenibili nel manoscritto 17275
conservato presso la British Library a Londra: si tratta di due miniature
associate a una versione in lingua francese della Legenda Aurea e alla
descrizione in essa contenuta del Purgatorio di San Patrizio, databile alla
metà del quattordicesimo secolo, un segno evidente di come le
rappresentazioni grafiche relative a un mitico accesso purgatoriale situato
in Irlanda fossero marcatamente simili all'idea di un ingresso a un regno
magico o oltremondano posto tra gli Appennini italiani.
Fig. 132 - Un cavaliere penitente fa il proprio ingresso nel Purgatorio di San Patrizio, da una versione
francese della Legenda Aurea (manoscritto Additional 17275, British Library, Londra, folia 191v e 192v)
Fig. 133 - Un pellegrino entra all'interno del Purgatorio di San Patrizio (manoscritto n. 672-5 II, Morgan
Library, New York, folium 178v)
68
Si tratta di un genere di rappresentazione che possiamo rinvenire anche in
un periodo più tardo, sempre in connessione con il Purgatorio di San
Patrizio e con la Legenda Aurea, come ad esempio la miniatura reperibile
nel manoscritto n. 672-5 II conservato presso la Morgan Library a New
York (folium 178v), risalente alla seconda metà del secolo quindicesimo.
Non siamo oggi in grado di precisare se Antoine de la Sale abbia mai
potuto consultare le versioni francesi della leggenda del Purgatorio di San
Patrizio contenute nei due manoscritti meno recenti, il Français 1544 e
l'Additional 17275; eppure, appare innegabile come sussistano similitudini
tra il Purgatorio in Irlanda e la Grotta della Sibilla in Italia, in termini di
scelte narrative effettuate da Antoine de la Sale nel corso dell'elaborazione
del proprio racconto relativo a una visita presso il punto di ingresso verso
una regione demoniaca nascosta tra gli Appennini in Italia. Perché non
dobbiamo dimenticare, come abbiamo già avuto modo di evidenziare nel
nostro precedente articolo Monti Sibillini: la leggenda prima delle
leggende, che Antoine de la Sale considerava quella Grotta italiana come
un luogo malvagio, abitato da una «falsa Sibilla» («faulse Sibille») di
origine demoniaca, dove gli uomini affrontavano «tutte le apparizioni e
invenzioni diaboliche [...] attraverso le quali i demoni ingannano gli
uomini» («toutes fantosmes et toutes deableries [...] de quoy les deables
decevoient le gens»). Un luogo diabolico, dunque, nel quale dimoravano
malefici demoni, non dissimile dal Purgatorio irlandese.
Se ora andiamo a considerare anche Andrea da Barberino, non possiamo
che imbatterci in ulteriori connessioni e analogie. Lo scrittore italiano
risulta comportarsi, in effetti, in modo alquanto più diretto rispetto allo
stesso Antoine de la Sale. I suoi riferimenti al Purgatorio di San Patrizio
sono così manifesti ed estesi che non è possibile sorvolare su di essi quando
si prenda in mano il volume del Guerrin Meschino.
È proprio alla fine della sezione dedicata alla Sibilla che Andrea da
Barberino spedisce il proprio cavaliere ed eroe, Guerrino, direttamente nel
Purgatorio di San Patrizio, in Irlanda, come penitenza a lui impartita dal
Papa per essersi recato presso la proibita corte della Sibilla Appenninica:
«El santo padre li disse: 'tu sei benedetto" [...] e per penitenzia impose
como lui havea havuto ardire contra el comandamento de la leze de dio de
intrare dove stava la Sibilla et de andare a visitare li idoli [...] chusì volea
69
che per comandamento lui andasse a lo purgatorio de santo Patritio el quale
è sotto l'arcivescovo de Ibernia in l'ixola dita Irlanda».
Dunque, il viaggio di Guerrino attraverso il Purgatorio irlandese segue
immediatamente il suo soggiorno nel regno sotterraneo della Sibilla,
essendo quindi tale viaggio una forma di punizione che viene impartita al
cavaliere a causa della sua visita presso quel reame nascosto: il segno che,
nella mente di Andrea da Barberino, sussiste una chiara connessione
narrativa, risultando la presenza demoniaca all'interno della Grotta della
Sibilla collegata con i demoni della caverna purgatoriale, a motivo di un
comune carattere oltremondano. E vedremo anche come un'identica
evocazione del nome di Gesù Cristo sarà in grado di disperdere le potenze
demoniache presenti in entrambe le cavità, un altro segnale dell'esistenza di
tratti narrativi condivisi che collegano i due episodi.
Fig. 134 - Guerrino viene inviato nel Purgatorio di San Patrizio in Irlanda, dal Guerrin Meschino di
Andrea da Barberino (Capitolo CLVII dell'edizione stampata a Venezia nel 1480)
L'autore del Guerrin Meschino dimostra di essere pienamente informato a
proposito della leggenda irlandese, in quanto il suo eroe e cavaliere affronta
la medesima procedura introduttiva al Purgatorio da noi già rilevata negli
70
scritti di Henry di Saltrey. Al suo arrivo in Irlanda, infatti, egli richiede la
speciale autorizzazione che deve essere rilasciata dal vescovo del luogo. Il
prelato effettua i propri usuali tentativi di dissuadere l'aspirante pellegrino,
rivolgendogli i noti avvertimenti:
«Tu te meti a tanto periculo, ipero che molti vi sono andati che non sono
tornati».
Fig. 135 - Gli avvertimenti del vescovo a Guerrino a proposito dei pericoli che lo attendono all'interno del
Purgatorio di San Patrizio, dal Guerrin Meschino di Andrea da Barberino (Capitolo CLXII dell'edizione
stampata a Venezia nel 1480)
Poi, il vescovo invia Guerrino presso l'isola dove si trova il Purgatorio,
affidandogli una lettera di presentazione da consegnare al priore
dell'adiacente chiesa. Guerrino affronta le nove ordinarie giornate di
digiuno, preghiera e penitenza. Prima di entrare nel Purgatorio, «una
grandissima caverna che andava sotto terra», egli riceve dal priore il
medesimo consiglio che già gli era stato suggerito dai romiti prima di fare
ingresso al'interno della Grotta della Sibilla, con la raccomandazione di fare
uso della medesima invocazione già pronunciata dal cavaliere Owein nel
Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii di Henry di Saltrey:
«Quando tu entrerai nela chaverna, e tu ti segna, et intrato nela chaverna
alzerai la mano a ciello e di' Iesu Nazareno Christo nel tuo nome salvum
me fach'».
E così, Guerrino il Meschino viene chiuso nel Purgatorio di San Patrizio.
Esattamente come il cavaliere Owein.
All'interno del Purgatorio, Guerrino affronta le stesse prove demoniache
che sono descritte nel testo di Henry di Saltrey, con uno sforzo
concomitante, e assai palese, di rivisitare alcuni schemi narrativi contenuti
nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Dopo l'incontro con i soliti
personaggi vestiti di bianche tuniche, Guerrino è rapito dai demoni e
condotto alle punizioni che già conosciamo, compresa la famosa grande
71
ruota fornita di acuminati uncini («grandissima rota con denti de ferro
aguzi»).
Fig. 136 - L'invocazione di Guerrino all'interno del Purgatorio di San Patrizio, la medesima invocazione
già innalzata da un altro cavaliere, Owein, nella medesima situazione, dal Guerrin Meschino di Andrea da
Barberino (manoscritto n. MA297, Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo, folium 157r)
Come avevamo già evidenziato nel nostro precedente articolo Antoine de
La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla, Guerrino si
imbatte anche nell'ormai familiare 'ponte del cimento', che - dobbiamo
ricordare - Antoine de la Sale volle posizionare anche nella Grotta della
Sibilla:
«... e subito fu drito sopra uno ponte che trapassava questo lagune da uno
lato al altro sopra uno grande fiume. E parevali questo ponte tanto sottile,
che uno piede avanti l'altro non li poteva stare. Lui se volse per tornare e
non vide el ponte abasso gli ochi. E vide infinite bocche de grandi serpenti,
e dragoni, e pareva che aspetassero che lui cadesse. Anchora non havea
avuto Guerino magior paura che questa. E tutta via li parea de cadere. E
72
pure saria caduto: ma chiamò el santo nome, e per la soa misericordia el
ponte se li fece largissimo. E passò de là da questo fortunoso passo».
Fig. 137 - I due differenti brani nei quali Guerrino si imbatte nel medesimo ponte magico, dal Guerrin
Meschino di Andrea da Barberino (Capitoli CLXX e CLXXXII dell'edizione stampata a Venezia nel
1480)
L'intera narrazione risulta essere così prolissa e ridondante che Guerrino si
imbatte addirittura in un secondo 'ponte del cimento':
«E vide uno fiume cui atraverso li era uno ponte tanto sutile e streto che lo
non è si picolo animale che havesse potuto passare, tanto era streto. Lui se
fece el segno de la santa croce e recomandose a dio. Fu preso [dai demoni]
e posto suxo el mezo del ponte et ivi lo lassorono, e poi cominciarono a
cridare et a zitarli pietre e pali per modo che el meschino fu per cadere. E
lui se volse indietro per tornare indietro, e non vide ponte. Alhora pose
mente nel fundo de laqua, e lo vide pieno de vermini bruti e serpenti. El
ponte era si stretto che uno pié inanti l'altro non li cadeva. Lui cominciò a
chiamare iesu christo nazareno, e lo ponte si cominciò a largare. E dite
queste parole tre volte, cominciò a cantare 'Domine ne in furore tuo arguas
me', et el ponte se largava, e lui passò».
Dopo questa sovrabbondante descrizione dei tormenti purgatoriali,
Guerrino raggiunge il Paradiso, per essere poi ricondotto dagli angeli
presso la camera iniziale del Purgatorio. La porta viene riaperta e il priore
festeggia il ritorno del cavaliere, incolume, nel mondo dei vivi, secondo la
73
procedura descritta anche da Henry di Saltrey nel suo Tractatus de
Purgatorio Sancti Patricii.
Prima di attraversare per l'ultima volta quella porta, Guerrino rivolge ai
suoi angeli accompagnatori la fatidica domanda a proposito della propria
ascendenza, che continua ad essere a lui ignota. E, finalmente, egli riceve
quella risposta che ha ardentemente cercato di ottenere per tutto il corso del
romanzo:
Fig. 138 - Il lignaggio regale di Guerrino viene a lui medesimo rivelato al termine della sua visita
all'interno del Purgatorio di San Patrizio, dal Guerrin Meschino di Andrea da Barberino (manoscritto n.
MA297, Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo, folia 174v and 175r)
«Io vi priego che vui me insignati chie mio padre [...] Tu sei di schiata
Reale».
E dunque, nell'opera di Andrea da Barberino, Guerrin Meschino viaggia in
un Aldilà sotterraneo nel quale dimorano i demoni e caratterizzato da
purgatoriali tormenti, proseguendo un precedente viaggio compiuto in un
altro regno sotterraneo, quello della Sibilla, parimenti abitato da
demoniache presenze. E il collegamento narrativo tra i due episodi è
confermato dal fatto che qui, nel Purgatorio di San Patrizio, Guerrino trova
infine quella risposta che era stata a lui ripetutamente negata durante il
precedente viaggio oltremondano, quando la Sibilla si era rifiutata di
rivelargli il suo lignaggio:
74
«O sapientissima Sibilla io te prego per la tua virtu chel te sia de piazere de
dirme chui sono li mei antichi et cui e el mio padre e la mia madre [...] Da
mi non saperesti nessuna cossa piui inanzi de quelo che tu sa».
Fig. 139 - La Sibilla Appenninica respinge ogni tentativo effettuato da Guerrino al fine di ottenere una
rivelazione in merito al proprio lignaggio, dal Guerrin Meschino di Andrea da Barberino (pagine 137v e
138r dell'edizione stampata a Padova nel 1473)
I Monti Sibillini e le loro leggende. Il mitico racconto concernente il
Purgatorio di San Patrizio. Entrambi caratterizzati da un lago e una grotta.
Entrambi sono abitati da demoni e sono marcati da caratteri oltremondani.
Non è dunque una sorpresa il fatto di rilevare un trasferimento di temi e
situazioni narrative dall'illustre e ben conosciuto racconto irlandese verso
una storia italiana che presenta alcuni tratti narrativi in comune, malgrado i
due ambiti leggendari risultino essere del tutto indipendenti l'uno dall'altro.
Non esiste alcuna connessione diretta tra le due leggende. Nondimeno, una
contaminazione di temi narrativi è stata certamente favorita dalla presenza
di analogie comuni caratterizzanti in modo manifesto entrambi i siti: due
laghi, due sinistre caverne, ambedue in grado di fornire un accesso verso un
Aldilà, una purgatoriale vita oltre la vita in Irlanda, e un regno sotterraneo e
demoniaco tra gli Appennini italiani. Una contaminazione che ha
attraversato i secoli del medioevo, mediante un flusso invisibile di racconti
e narrazioni orali, materializzatisi infine nelle opere quattrocentesche di
Antoine de la Sale e Andrea da Barberino.
Ed esiste anche un ulteriore, significativo tratto condiviso.
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Per porlo in evidenza, dobbiamo ritornare alle agghiaccianti parole vergate
da Giraldus Cambrensis nella sua Topographia Hibernica, risalente all'anno
1188.
Nel descrivere il Purgatorio di San Patrizio, Giraldus scrive le seguenti
parole:
«C'è un lago in Ulster che contiene un'isola divisa in due parti. [...] L'altra
parte, selvaggia e orribile, si dice che sia abitata solamente da demoni, e
che sempre sia possibile osservare in essa visioni di demoniache
moltitudini e agitazioni [...] Questa parte dell'isola contiene nove cavità
sotterranee. Se qualcuno osasse trascorrere una notte in esse, [...] il
visitatore sarebbe immediatamente rapito dagli spiriti maligni; e per tutta la
notte sarebbe così violentemente torturato, subendo incessantemente
indicibili tormenti di vario genere, con l'acqua e con il fuoco, che al
giungere del mattino solo una minima favilla di vita, se non alcuna, sarebbe
rinvenibile in quel misero corpo».
Fig. 140 - A sinistra: l'isola demoniaca dove è situato il Purgatorio di San Patrizio così come essa viene
descritta nella Topographia Hibernica di Giraldus Cambrensis (manoscritto n. Ff.1.27, Cambridge
University Library, folium 294); a destra: il lago demoniaco di Norcia così come viene menzionato nel
Reductorium Morale di Petrus Berchorius (manoscritto Latin 16786, Bibliothèque Nationale de France,
folium 301v)
[Nel testo originale latino: «Est lacus in partibus Ultoniae continens
insulam bipartitam. [...] Pars altera, hispida nimis et horribilis, solis
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daemoniis ut dicitur assignata; quae et visibilibus cacodaemonum turbis et
pompis fere semper manet exposita [...] Pars ista novem in se foveas habet.
In quarum aliqua si quis forte pernoctare praesumpserit, [...] a malignis
spiritibus statim arripitur, et nocte tota tam gravibus poenis cruciatur, tot
tantisque et tam ineffabilis ignis et aquae variique generis tormentis
incessanter affligitur, ut mane facto vix vel minimae spiritus superstitis
reliquiae misero in corpore reperiantur»].
Ma queste parole richiamano fortemente alla nostra memoria un altro Lago,
e la descrizione che di esso ci fornisce Petrus Berchorius nel
quattordicesimo secolo:
«Tra le montagne che si innalzano in prossimità di questa città [Norcia] si
trova un lago, dagli antichi consacrato ai dèmoni, e da questi visibilmente
abitato [...] quella città, ogni anno, invia un singolo uomo, vivo, oltre le
mura che circondano il lago, a modo di tributo per i dèmoni, i quali subito e
visibilmente lo smembrano e lo divorano; e dicono che se la cit non
facesse questo, il suo territorio sarebbe devastato dalle tempeste».
[Nel testo originale latino: «Inter montes isti civitati proximos esse lacum
ab antiquis daemonibus consecratum et ab ipsis sensibiliter inhabitatum [...]
quia civitas illa omni anno unum hominem vivum pro tributo infra
ambitum murorum iuxta lacum ad daemones mittunt, qui statim visibiliter
illum hominem lacerant et consumunt, quod (ut aiunt) si civitas non facet,
patria tempestatibus deperiret»].
Un lago irlandese con le sue grotte, Lough Derg, e un Lago italiano
sembrano condividere un medesimo, terrificante carattere: entrambi sono
abitati da una medesima specie di demoni; ambedue i luoghi sono
visibilmente e manifestamente abitati da essi; gli uomini che oltrepassano i
loro confini sono immediatamente presi; i loro corpi sono torturati e
straziati.
È chiaro come una contaminazione narrativa abbia avuto luogo tra i due
laghi assolutamente distanti tra di loro.
E crediamo che la parola chiave in grado di spiegare il racconto
leggendario relativo ai Monti Sibillini sia, di nuovo, 'Aldilà'. Un Aldilà al
quale gli uomini hanno creduto di potere accedere attraversando un punto
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di passaggio collegato alla presenza di un Lago e di una Grotta. In modo
del tutto analogo rispetto a un ingresso che si pensava potesse esistere
presso il Purgatorio di San Patrizio, in Irlanda, e a un ulteriore ingresso
situato a Cuma, in Italia.
I tre racconti apparivano essere marcatamente simili. E, in un contesto
leggendario, i Monti Sibillini risultavano essere perfettamente adatti a
ospitare un terzo, fatidico, spaventoso ingresso verso l'Aldilà.
5. Oltre le sovrapposizioni leggendarie, un passaggio ctonio tra gli
Appennini centrali
Al termine del nostro emozionante viaggio attraverso il carattere
oltremondano delle leggende della Grotta della Sibilla e del Lago di Pilato,
situati nel massiccio dei Monti Sibillini, in Italia, proviamo a ricapitolare le
nostre straordinarie scoperte e le ardite, potenzialmente significative ipotesi
da noi enunciate a proposito della sussistenza di un leggendario punto di
passaggio oltremondano che potrebbe essere stato posizionato, secondo una
tradizione assai antica che avrebbe lasciato alcune deboli tracce nella
letteratura a noi nota, proprio tra i picchi dell'Appennino centrale.
Per secoli, tra le creste e i precipizi dei Monti Sibillini, nell'Italia centrale,
due rinomate leggende hanno raccontato storie meravigliose ai cuori degli
uomini, che si recavano da ogni parte d'Europa: la Grotta della Sibilla,
situata sulla cima di un picco coronato; e, solamente a pochi chilometri di
distanza, il Lago di Pilato, circondato da formidabili e precipiti mura di
roccia verticale. Si credeva che una sensuale Sibilla dimorasse in una
Grotta nascosta al di sotto della montagna, in un regno sotterraneo abitato
da leggiadre damigelle dalla demoniaca natura. Si riteneva, inoltre, che un
prefetto romano, quello stesso funzionario che aveva condannato Gesù
Cristo alla morte sulla Croce, fosse stato gettato nelle acque gelide di quel
Lago, il suo cadavere fatto oggetto di maledizione, come se si fosse trattato
di una delle membra stesse del corpo del Demonio. Due autori
quattrocenteschi, Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, scrissero opere
letterarie che menzionavano le due leggende. E la fama dei due siti era
corsa veloce tra le nazioni per centinaia di anni.
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Fig. 141 - Monte Sibilla, massiccio dei Monti Sibillini, Italia
Eppure, qualcosa sembra non tornare.
Come abbiamo avuto modo di discutere in numerosi articoli di ricerca,
precedentemente pubblicati, c'è qualcosa di sbagliato nel complesso
sistema leggendario comunemente accettato: una Sibilla, forse la Cumana;
Ponzio Pilato e il suo tragico destino; secoli e secoli di visite effettuate
presso questi due siti, così isolati e quasi irraggiungibili.
Uno studio dettagliato delle due narrazioni leggendarie mostra chiaramente
come la Sibilla Appenninica non appartenga alla famiglia degli oracoli
classici, ma sia invece una discendente di Morgana la Fata e della sua
negromantica compagna Sebile, due personaggi che fanno parte della
Materia di Bretagna e del ciclo arturiano, posti in scena in molteplici
romanzi e poemi cavallereschi scritti vari secoli prima, in un contesto
letterario nordeuropeo. Un'ulteriore analisi dei racconti protocristiani e
medievali concernenti Ponzio Pilato mostra come i suoi numerosi luoghi di
sepoltura, situati in differenti regioni d'Europa, non abbiano nulla a che fare
con gli Appennini italiani.
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Fig. 142 - Laghi di Pilato, massiccio dei Monti Sibillini, Italia
Così, secondo la nostra visione e a valle delle risultanze delle ricerche da
noi già pubblicate, possiamo convintamente ipotizzare come nessuna
Sibilla abbia mai potuto dimorare tra i picchi dei Monti Sibillini. E nessun
Ponzio Pilato sia mai stato gettato in alcun lago dell'Italia centrale. Le due
narrazioni non appartengono a questo lembo di terra italiana. Le due
famose leggende non sono originali. Ambedue sono giunte qui provenendo
da territori assai distanti.
Ma perché esse sono venute a stabilirsi proprio qui?
Se ci disponiamo a rimuovere i due citati livelli letterari, che dobbiamo
ormai considerare come strati leggendari aggiuntivi, e iniziamo ad
analizzare in dettaglio i sottostanti aspetti che caratterizzano le leggende
che segnano i due siti, la Grotta e il Lago posti tra i Monti Sibillini, ci
imbattiamo in una varietà di tratti comuni: pratiche negromantiche sono
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state effettuate in entrambi i luoghi; si riteneva che i due siti ospitassero
leggendari demoni; tempeste e devastazioni si sarebbero prodotte a seguito
dei proibiti rituali praticati dai negromanti.
Qualcosa si trovava già lì. Qualcosa che non aveva nulla a che fare con
alcuna Sibilla, né con alcun antico prefetto romano. Qualcosa che sembrava
esistere prima che si stabilissero i due livelli leggendari estranei e
addizionali.
Siamo convinti che il percorso corretto da intraprendere, se realmente si
intende svelare il vero nucleo delle leggende che vivono tra i Monti
Sibillini, conduca verso una parola molto specifica, e forse anche inattesa:
Aldilà.
Aldilà: un antichissimo sogno, che gli uomini hanno sognato sin da età
assai remote, in un perenne confronto con la vita e con la morte, la finitezza
e il divino, e, dopo l'ascesa del Cristianesimo, con le verità ultime
concernenti la salvezza e la dannazione.
A un esame più ravvicinato, approfonditamente condotto nell'ambito della
presente ricerca, i racconti leggendari relativi alla Grotta della Sibilla e al
Lago di Pilato appaiono essere caratterizzati da una serie di elementi
narrativi oltremondani. Nel resoconto vergato da Antoine de la Sale, un
'ponte del cimento' sovrannaturalmente sottile si protende attraverso uno
spaventoso abisso, divenendo però più largo a mano a mano che si procede
su di esso, una tipica invenzione risalente ai Dialoghi di Papa Gregorio
Magno, e successivamente presente in molteplici scritti visionari medievali.
Porte di metallo che battono magicamente giorno e notte, con moto
martellante e perenne, risultano essere anch'esse presenti, un genere di
meccanismo che è rinvenibile in precedenti opere letterarie cavalleresche, e
che è connesso a descrizioni oltremondane contenute nell'Eneide e nel mito
greco delle Simplegadi. Stanze di cristallo attendono il visitatore, un chiaro
segno di un'ambientazione oltremondana. E il Lago è apertamente indicato,
in un brano trecentesco tratto da Petrus Berchorius, come un ingresso
infernale. Il Lago stesso è segnalato con il nome di 'Lago Averno' in un
diagramma manoscritto databile al sedicesimo secolo, potendosi così
rilevare una corrispondenza narrativa assai significativa con il notissimo
punto di ingresso all'Ade, posto dalla classicità nel territorio di Cuma.
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Un punto di ingresso verso l'Aldilà: sin da tempi antichissimi è stato questo
l'empio anelito albergato dagli uomini nel proprio cuore. Un sogno, il
desiderio di cogliere una visione della vita oltre la vita, la brama di poter
stabilire un proibito contatto con il mondo dei morti, il tentativo di
realizzare iniqui desideri. E una ricerca delle verità ultime ed estreme.
Nel presente articolo, abbiamo esplorato i numerosi esempi letterari, parte
di una consolidata tradizione occidentale, che narrano leggendari racconti
di punti di passaggio verso l'Aldilà, in forma di 'nekyia', l'evocazione delle
ombre dei morti all'ingresso del regno oscuro, o di 'catabasi', un viaggio che
conduce un uomo mortale attraverso un passaggio e all'interno di una
regione di terrore. Sono questi gli agghiaccianti itinerari percorsi da eroi
visionari nella letteratura oltremondana della cultura occidentale.
Nell'antichità classica, si tratta di Ulisse e della sua visita all'Ade, seguito
poi da Enea e dal suo viaggio nell'Averno, guidato dalla Sibilla Cumana. E,
successivamente, le visioni della prima Cristianità: San Paolo e il suo
visionario sogno dell'Inferno, Papa San Gregorio Magno con il suo soldato,
il primo di una serie di cavalieri che viaggeranno nell'Aldilà. E ancora,
l'Irlanda, con le sue descrizioni medievali di terrificanti itinerari compiuti
tra gli atroci tormenti e le punizioni inflitte ai peccatori: la Visione di
Sant'Adamnán, la Visione di Tnugdalus e il Purgatorio di San Patrizio.
Ma solamente due sono i viaggi da considerarsi come itinerari molto
speciali, straordinari percorsi nell'Aldilà: sono quei viaggi che non sono
compiuti per mezzo di una mera visione, ma nella realtà effettiva. Con il
corpo vivente di un uomo.
Nella tradizione letteraria occidentale, due sono i luoghi più celebri a
partire dai quali potere intraprendere un viaggio così raccapricciante. Due
'hot spot'. Due fenditure praticate nella continuità del nostro mondo
ordinario. Due crepe, spaventosamente aperte verso visioni leggendarie, ma
miticamente reali, di un mondo infero sotterraneo, ctonio.
Il primo luogo si trova a Cuma, presso il Lago d'Averno, nell'Italia
meridionale. E il secondo è il Purgatorio di San Patrizio, a Lough Derg,
nella Contea di Donegal, nell'Irlanda settentrionale.
Presso questi due siti, uomini viventi potevano essere così folli da tentare di
attraversare le porte che mai devono essere oltrepassate. Due punti di
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passaggio verso l'Aldilà. Due ingressi verso una vita oltre la vita abitata da
leggendarie potenze demoniache.
I due tradizionali punti di ingresso erano ampiamente noti, nei secoli del
medioevo, in tutta Europa. Essi erano stati al centro di varie opere
letterarie, dall'Eneide al Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, fino alla
Legenda Aurea. I visitatori si avventuravano in viaggi particolarmente
difficoltosi al fine di raggiungere quei luoghi, con l'obiettivo di vedere con i
propri occhi, e attraversare, i punti di contatto tra due mondi, normalmente
separati: il mondo dei vivi, e il regno dei morti.
Per una strana casualità, non dovuta ad alcuna specifica, rintracciabile
motivazione, ambedue i siti erano indicati da una medesima coppia di punti
di riferimento geografico: un lago e una grotta per entrambi, due elementi
naturali che fissavano con precisione la posizione dei due luoghi sulla
superficie della Terra, ed erano conosciuti come tali.
Perché proprio Cuma e Lough Derg? Perché questi passaggi oltremondani
sono venuti a posizionarsi esattamente presso questi due luoghi? Caverne
esistevano in Cuma, che erano riempite fino alle volte da gas mefitici,
capaci di indurre sogni, e talvolta anche un'orribile morte. Una grotta era
presente anche a Lough Derg: entrando in essa, il sonno travolgeva i già
esausti pellegrini, un sonno che generava sogni e incubi, a motivo, forse,
della mancanza di aria respirabile e anche, è possibile tentare di ipotizzare,
a causa delle presenza di gas velenosi che filtravano dalle paludi torbose.
Il Lago d'Averno e la sua grotta, a Cuma. Lough Derg e un'altra grotta, in
Irlanda. Ma un'altra coppia di punti di riferimento geografico, costituita
ancora da un Lago e da una Grotta, era presente nell'Italia centrale.
Si trattava della Grotta della Sibilla e del Lago di Pilato, posti tra i Monti
Sibillini. Separati da una distanza pari a pochi chilometri.
La medesima configurazione geografica, come a Cuma e a Lough Derg.
Una presenza demoniaca rilevata e rituali negromantici effettuati anche
presso questo terzo sito, in Italia. Caratteri oltremondani, che segnavano
anche questi due luoghi nascosti tra gli Appennini.
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E possiamo anche spingerci fino a ipotizzare che, nei secoli che
precedettero il quindicesimo, quando le narrazioni erano solamente orali e
le immagini fotografiche appartenevano a un futuro distante ancora molti
secoli, la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato fossero fondamentalmente
così vicini da potere essere considerati come un singolo sistema
leggendario, in assenza della differenziazione della quale troviamo oggi
traccia nelle loro diverse intitolazioni, alla Sibilla e a Pilato. Ed è lo stesso
Antoine de la Sale a indirizzare la nostra ricerca in questa direzione,
quando l'autore provenzale pone sulla pergamena le seguenti parole,
all'inizio della propria opera Il Paradiso della Regina Sibilla:
Fig. 143 - L'inizio del Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924),
Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, France, folium 2v)
«Per prima cosa vi narrerò del monte del lago della Regina Sibilla, che è
chiamato da alcuni il monte del lago di Pilato [...] parte del Ducato di
Spoleto nel territorio della città di Norcia».
[Nel testo originale francese: «Et premierement, diray du mont du lac de la
royne sibille, que aucuns appellent le mont du lac de Pillate [...] parties de
la duchié d'Espolit et ou terrouer de la cite de Norse»].
Perché quel Lago non era un Lago di Pilato, ma un Lago della Sibilla, o
anche un Lago di Norcia, così come riferito da Petrus Berchorius nel suo
trecentesco Reductorium Morale. Il Lago e la Grotta nei Monti Sibillini
non sono entità differenti, ma sono parte di uno stesso racconto
leggendario.
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E così abbiamo un lago e una grotta a Cuma, un lago e una grotta in
Irlanda, e un ulteriore Lago e un'altra Grotta nel territorio di Norcia, tra i
Monti Sibillini, con ogni coppia di punti di riferimento geografico facente
parte di uno stesso sistema leggendario locale.
Fig. 144 - Il Monte Vettore con il suo circo glaciale nel quale giacciono i Laghi di Pilato, osservati dai
versanti del Monte Sibilla
Le molte analogie che sono manifestamente rinvenibili tra i tre differenti
siti, tutti comprendenti un lago e una grotta e una tradizione oltremondana
locale, hanno favorito molte contaminazioni narrative, principalmente a
partire dai due luoghi maggiormente famosi in direzione del meno noto sito
appenninico. Attraverso molti secoli, residenti del luogo, viandanti,
cantastorie e uomini di lettere hanno contribuito a spargere la voce a
proposito dell'esistenza di questo straordinario Lago e della vicina Grotta,
occultati tra le creste dell'Appennino centrale, in Italia, aggiungendo ai
propri meravigliosi racconti una molteplicità di elementi narrativi tratti
dalle rinomate narrazioni leggendarie relative alla Sibilla Cumana e al
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Purgatorio di San Patrizio, anch'essi segnati dalla presenza di laghi e grotte.
E così, la tradizione relativa al Lago e alla Grotta posti tra gli Appennini si
trovò a esperimentare un progressivo arricchimento tramite l'inclusione di
elementi oltremondani che facevano tipicamente parte dei celeberrimi
racconti concernenti Cuma e Lough Derg, come il 'ponte del cimento' o le
barriere di metallo eternamente battenti.
Nella nostra epoca contemporanea, l'individuazione di qualsivoglia genere
di connessione tra Cuma, Lough Derg e i Monti Sibillini, benché limitata a
un mero livello narrativo, potrebbe apparire come una congettura ardita e
sostanzialmente infondata. Ma questo accade solamente perché oggi è
difficile discernere un collegamento tra le tre differenti tradizioni
leggendarie, appartenenti a territori diversi tra loro e mutuamente assai
distanti. Malgrado ciò, queste connessioni diventano assolutamente palesi
non solo quando ci si confronti con le testimonianze letterarie che sono
giunte fino a noi, ma anche se siamo capaci di metterci nei panni dell'uomo
del medioevo: a quel tempo, i racconti leggendari relativi a Cuma e al
Purgatorio di San Patrizio erano ben noti, essendo il primo contenuto
nell'Eneide virigiliana, un insigne capolavoro letterario classico, ed essendo
il secondo incluso nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, un 'best
seller' della propria epoca. Dunque, laghi e grotte caratterizzati da aspetti
oltremondani facevano parte di una tradizione stabilita e accettata, sia
classica che medievale: ogni ulteriore Lago e ogni ulteriore Grotta segnata
da caratteri simili sarebbe stata immediatamente posta in relazione con i
due famosissimi racconti leggendari, in un incessante ed estesissimo flusso
di narrazioni orali circolante attraverso i secoli e capace di percorrere
l'intera Europa.
Certamente, i lettori medievali del Guerrin Meschino o del Paradiso della
Regina Sibilla non potevano evitare di correre con il pensiero all'Ade
cumano o al Purgatorio irlandese, in quanto la storia appenninica conteneva
troppe manifeste affinità con i due illustri racconti leggendari. Affinità che
gli uomini del medioevo erano facilmente in grado di riconoscere.
Dall'altro lato, anche gli Appennini non risultavano essere totalmente
sconosciuti all'uomo irlandese del medioevo, per quanto isolato egli fosse.
In una affascinante mappa dell'Europa contenuta in un prezioso esemplare
maoscritto delle opere di Giraldus Cambrensis, Topographia Hibernica e
Expugnatio Hibernica (MS 700, National Library of Ireland, Dublino),
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troviamo, in un medesimo diagramma tracciato da una mano irlandese, sia
l'Irlanda che gli Appennini italiani, segno di una qualche sorte di mutua
consapevolezza, quantomeno a un basilare livello narrativo.
Fig. 145 - L'Irlanda e gli Appennini italiani in una miniatura risalente al tredicesimo secolo contenuta
nella Topographia Hibernica di Giraldus Cambrensis (manoscritto n. 700, National Library of Ireland,
Dublino, folium 48r)
E dunque, dobbiamo considerare la sussistenza di una connessione
narrativa tra Cuma, Lough Derg e i Monti Sibillini con un fatto del tutto
ragionevole. La natura di tale connessione è puramente narrativa, poiché
nessun effettivo legame storico è mai esistito tra la Grotta della Sibilla e il
Lago di Pilato, da un lato, e i racconti leggendari relativi a Cuma e al
Purgatorio di San Patrizio, dall'altro. I tre siti erano collocati in luoghi
troppo distanti tra di loro per potere sviluppare qualsivoglia struttura
leggendaria mutuamente coordinata. Le rispettive tradizioni erano del tutto
indipendenti l'una dall'altra. Solamente una generale affinità, per quanto
chiaramente manifesta, connetteva tra di loro i tre luoghi: presenza di un
lago, presenza di una grotta, e esistenza di un leggendario punto di
passaggio fisico verso un Aldilà, capace di attirare flussi di visitatori, sia
che si trattasse di pellegrini oppure di negromanti.
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Di certo, dopo decine e decine di anni di ricerca scientifica e filologica,
conosciamo molte cose a proposito del Lago d'Averno e di Lough Derg,
con le loro rispettive grotte: sappiamo molto dei racconti leggendari che
riguardano la Sibilla Cumana e il Purgatorio di San Patrizio.
Eppure, non conosciamo ancora nulla a proposito del Lago e della Grotta
annidati tra le vette dell'Appennino centrale, in Italia.
Perché questo sito appenninico avrebbe dovuto essere considerato come un
ulteriore punto di ingresso all'Aldilà?
E, se le nostre supposizioni sono corrette, di quale genere di Aldilà si
trattava?
Tutti gli indizi sembrano indicare come in questa terza, specifica località
europea, tra i Monti Sibillini, presso un Lago e una Grotta, uomini mortali
come Enea, come Owein, abbiano potuto effettuare un tentativo, reale ed
effettivo, di accedere a un mondo differente, normalmente interdetto ai
viventi: un regno di anime prive di vita, una landa che era posta sotto il
controllo di entità non umane, dalla natura terrificante e divina. Un Aldilà
ctonio, sotterraneo.
A Cuma, gli uomini immaginarono sogni di un oltretomba pagano abitato
dalle ombre dei morti. Presso il Purgatorio di San Patrizio, altri uomini
fantasticarono di un inferno cristiano pullulante di demoni e di anime
tormentate.
Ma quale sorta di terrificante sogno fu concepito dagli uomini presso il
Lago e la Grotta posti tra le montagne dell'Appennino centrale?
Non lo sappiamo ancora. Eppure, stiamo cominciando a formulare una
congettura che è relativa alle potenziali ragioni per le quali un Lago e una
Grotta situati tra i Monti Sibillini, in Italia, siano stati trasformati dagli
uomini, nell'antichità, in un possibile, leggendario passaggio verso l'Aldilà.
Un punto di passaggio verso una qualche tipologia di demoniaca presenza.
Un accesso che andava dischiuso utilizzando opportuni rituali
negromantici. Un punto di contatto con un Aldilà sotterraneo. Un 'hot spot',
una frattura scavata nelle montagne allo scopo di stabilire una spaventosa
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comunicazione con i poteri ctonii nascosti nel sottosuolo. Un'interruzione
nel continuum del nostro mondo ordinario, non diverso dall'agghiacciante
varco rappresentato nel 1346 da Jacopo di Mino del Pellicciaio nel suo
affresco Il Purgatorio di San Patrizio, realizzato all'interno del convento di
San Francesco al Borgo Nuovo a Todi.
Fig. 146 - L'ingresso all'Aldilà irlandese, un dettaglio dal Purgatorio di San Patrizio, un affresco
trecentesco dipinto da Jacopo di Mino del Pellicciaio (Convento di San Francesco al Borgo Nuovo, Todi,
Umbria, Italy)
«Descendunt in infernum viventes»: «discendono vivi all'Inferno», così
aveva scritto Petrus Berchorius nel suo trecentesco Reductorium Morale,
citando dal Libro dei Salmi (55:15). Egli scriveva a proposito del Lago di
Norcia, situato tra i Monti Sibillini.
Fig. 147 - Una discesa nell'Inferno, il Lago di Norcia, dal Reductorium Morale di Petrus Berchorius
(manoscritto Latin 16786, Bibliothèque Nationale de France, folium 301v)
Dunque, un accesso a un Aldilà localizzato presso la Grotta della Sibilla e il
Lago di Pilato è forse esistito secondo un'antica tradizione leggendaria,
benché in modo forse differente rispetto alla vita oltre la vita che si riteneva
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potesse essere accessibile da Cuma e Lough Derg. Ma, comunque,
sufficientemente simile da attrarre un flusso ininterrotto di visitatori, per
molti secoli, fino a quel sito remoto, così isolato e difficoltoso da
raggiungere, così come accadeva anche presso il Purgatorio di San Patrizio,
anche se su una scala molto più significativa.
Una nuova ipotesi. Una nuova teoria. Una credenza leggendaria relativa a
un punto di ingresso verso un mitico Aldilà, situato nell'Italia centrale. Di
un genere particolarmente spaventoso, terrificante. Una fenditura nel nostro
mondo, aperta tra le creste montuose - come avremo modo di vedere nella
nostra prossima e ultima ricerca, che sar