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"I corpi intermedi, cuore del Terzo settore", in Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani, Il Mulino 2021

Authors:
  • Percorsi di secondo welfare

Abstract

Se nella fase che stiamo attraversando, in cui bisogni antichi vengono amplificati da nuovi problemi, capire cosa c’è di nuovo da vedere è ancor più difficile, nei cambiamenti che ci stanno investendo accettare la convinzione che non ci sia nulla di nuovo da vedere è un errore assolutamente da evitare. Le organizzazioni di Terzo settore sono nate e cresciute affrontando questo doppio pericolo. Gregorio Arena (paragrafo 2) illustra come hanno potuto farlo ponendo come azimut del loro orizzonte di lavoro la persona intesa come soggetto portatore di bisogni (che la Repubblica deve soddisfare), ma anche di capacità (cui la Repubblica deve dare la possibilità di estrinsecarsi). Edoardo Bressan (paragrafo 3) ci racconta quanto siano profonde e antiche le radici di questo percorso. Le organizzazioni di Terzo settore vengono costituite per mettersi in mezzo fra bisogni e risposte. Sono lenti per mostrare (far vedere) alle energie delle comunità, all’autonoma iniziativa dei cittadini, quanti e quali problemi aspettano una soluzione. Espressione della richiesta di guardare ciò che spesso non si vuole neanche vedere. E sono anche la trama che collega risorse e bisogni, strumenti per prendere la parola e pretendere che lo Stato si assuma la responsabilità di renderla universale ed effettiva. Questi due compiti ne richiamano un terzo obbligatorio: educare alla cittadinanza, cioè mettere ciascuna e ciascuno nelle condizioni di esercitare consapevolmente il proprio protagonismo di cittadina e di cittadino. Claudia Fiaschi (paragrafo 5) portando la voce della principale rete di rappresentanza del Terzo settore ed Eugenio Nunziata (paragrafo 4) ripercorrendo il lungo processo per l'affermazione del diritto ad un progetto di vita per le persone con disabilità ci illustrano gli stop and go di questo cammino e indicano opportunità e insidie presenti e all’orizzonte. Svolgere compiti e funzioni da corpo intermedio di interesse generale per il Terzo settore significa fare in modo che l’insieme di questi obiettivi siano di tutti e di ciascuno. Nella consapevolezza di quanto sia necessario che tutti prendano la parola per rimuovere le cause delle ingiustizie del nostro modello di sviluppo e di quanto sia essenziale la cura di ciascuno per attivare le comunità. E infine comprendere che quel tanto che ancora c’è da fare non potrà farlo da solo e dovrà farlo sempre meno come al solito. Carola Carazzone (paragrafo 6), sulla base del suo lavoro come Segretaria Generale di ASSIFERO, e Franca Maino e Lorenzo Bandera (paragrafo 7), sulla base delle ricerche e delle analisi realizzate dal Laboratorio Percorsi di secondo welfare, disegnano i possibili scenari in cui le organizzazioni di Terzo settore si troveranno a svolgere il proprio ruolo di corpi intermedi prefigurando con chi, chi starà loro accanto e chi di fronte. Speriamo così di avervi fatto venire la voglia di ripartire dal via per chiedersi quando un problema antico come la discriminazione della metà donna dell’umanità sarà dichiarato e affrontato e come verranno coinvolti le giovani e i giovani a cui stiamo addossando tutti i debiti dovuti alle scelte fatte per decenni che la pandemia ci ha costretto a portare in chiaro. Domande da Terzo settore, corpo intermedio di interesse generale. Il presente scritto costituisce il capitolo 4 del volume "Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani", per i tipi dell’Editrice Il Mulino, Bologna 2021, promosso dalla Fondazione Astrid, dalla Fondazione per la Sussidiarietà e dal CNEL, e curato da Franco Bassanini, Tiziano Treu e Giorgio Vittadini. Sergio Silvorri ha scritto il paragrafo 1; Gregorio Arena il paragrafo 2; Edoardo Bressan il paragrafo 3; Eugenio Nunziata il paragrafo 4; Claudia Fischi il paragrafo 5; Carola Carazzone il paragrafo 6; Franca Maino e Lorenzo Bandera il paragrafo 7.
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I corpi intermedi, cuore del Terzo settore1
di Gregorio Arena, Lorenzo Bandera, Edoardo Bressan, Carola Carazzone, Claudia
Fiaschi, Franca Maino, Eugenio Nunziata, Sergio Silvotti
1. Introduzione
“Non si guarda finché non si sa che c'è qualcosa da vedere e soprattutto non si guarda
finché si sa che non c'è nulla da vedere”.
(Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione)
Se nella fase che stiamo attraversando, in cui bisogni antichi vengono amplificati da
nuovi problemi, capire cosa c’è di nuovo da vedere è ancor più difficile, nei
cambiamenti che ci stanno investendo accettare la convinzione che non ci sia nulla di
nuovo da vedere è un errore assolutamente da evitare.
Le organizzazioni di Terzo settore sono nate e cresciute affrontando questo doppio
pericolo.
Gregorio Arena (paragrafo 2) illustra come hanno potuto farlo ponendo come azimut
del loro orizzonte di lavoro la persona intesa come soggetto portatore di bisogni (che
la Repubblica deve soddisfare), ma anche di capacità (cui la Repubblica deve dare la
possibilità di estrinsecarsi).
Edoardo Bressan (paragrafo 3) ci racconta quanto siano profonde e antiche le radici di
questo percorso.
Le organizzazioni di Terzo settore vengono costituite per mettersi in mezzo fra bisogni
e risposte. Sono lenti per mostrare (far vedere) alle energie delle comunità,
Il presente scritto costituirà il capitolo 4 di un volume che raccoglie i risultati della ricerca su Ruolo e problemi dei
corpi intermedi nella società e nella democrazia italiana, promossa dalla Fondazione Astrid, dalla Fondazione per la
Sussidiarietà e dal CNEL, e coordinata da Franco Bassanini, Tiziano Treu e Giorgio Vittadini. Il libro uscirà con il titolo
Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani, per i tipi dell’Editrice Il Mulino, Bologna
2021
1 Questo testo costituisce il report finale del gruppo di lavoro nellambito del progetto che ha dato
vita al presente volume. Sergio Silvorri ha scritto il paragrafo 1; Gregorio Arena il paragrafo 2;
Edoardo Bressan il paragrafo 3; Eugenio Nunziata il paragrafo 4; Claudia Fischi il paragrafo 5; Carola
Carazzone il paragrafo 6; Franca Maino e Lorenzo Bandera il paragrafo 7.
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all’autonoma iniziativa dei cittadini, quanti e quali problemi aspettano una soluzione.
Espressione della richiesta di guardare ciò che spesso non si vuole neanche vedere. E
sono anche la trama che collega risorse e bisogni, strumenti per prendere la parola e
pretendere che lo Stato si assuma la responsabilità di renderla universale ed effettiva.
Questi due compiti ne richiamano un terzo obbligatorio: educare alla cittadinanza, cioè
mettere ciascuna e ciascuno nelle condizioni di esercitare consapevolmente il proprio
protagonismo di cittadina e di cittadino.
Claudia Fiaschi (paragrafo 5) portando la voce della principale rete di rappresentanza
del Terzo settore ed Eugenio Nunziata (paragrafo 4) ripercorrendo il lungo processo
per l'affermazione del diritto ad un progetto di vita per le persone con disabilità ci
illustrano gli stop and go di questo cammino e indicano opportunità e insidie presenti
e all’orizzonte.
Svolgere compiti e funzioni da corpo intermedio di interesse generale per il Terzo
settore significa fare in modo che l’insieme di questi obiettivi siano di tutti e di
ciascuno. Nella consapevolezza di quanto sia necessario che tutti prendano la parola
per rimuovere le cause delle ingiustizie del nostro modello di sviluppo e di quanto sia
essenziale la cura di ciascuno per attivare le comunità. E infine comprendere che quel
tanto che ancora c’è da fare non potrà farlo da solo e dovrà farlo sempre meno come al
solito.
Carola Carazzone (paragrafo 6), sulla base del suo lavoro come Segretaria Generale di
ASSIFERO, e Franca Maino e Lorenzo Bandera (paragrafo 7), sulla base delle ricerche
e delle analisi realizzate dal Laboratorio Percorsi di secondo welfare, disegnano i
possibili scenari in cui le organizzazioni di Terzo settore si troveranno a svolgere il
proprio ruolo di corpi intermedi prefigurando con chi, chi starà loro accanto e chi di
fronte.
Speriamo così di avervi fatto venire la voglia di ripartire dal via per chiedersi quando
un problema antico come la discriminazione della metà donna dell’umanità sarà
dichiarato e affrontato e come verranno coinvolti le giovani e i giovani a cui stiamo
addossando tutti i debiti dovuti alle scelte fatte per decenni che la pandemia ci ha
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costretto a portare in chiaro. Domande da Terzo settore, corpo intermedio di interesse
generale.
2. Gli enti del Terzo settore, corpi intermedi di interesse generale
Il Terzo settore (TS) comprende tutti i soggetti privati che, anziché perseguire i propri
interessi, perseguono “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo
svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale”
(art. 4, 1° comma Codice TS). Questo complesso di soggetti è dunque “terzo” sia
rispetto ai soggetti pubblici, che perseguono interessi pubblici individuati dalle leggi,
sia rispetto ai soggetti privati che perseguono interessi da essi stessi liberamente
individuati.
E infatti in origine l’espressione “Terzo settore” derivava da un’individuazione di
carattere residuale, per cui era Terzo settore tutto ciò che non apparteneva né allo Stato,
né al mercato. Oggi, grazie alla legge di riforma, la situazione si è ribaltata e il Terzo
settore è definito non tanto per esclusione, bensì in positivo grazie al riferimento
all’interesse che esso persegue, l’interesse generale.
Si potrebbe dunque dire che oggi nella società italiana esistono tre grandi poli,
composti ognuno da una pluralità di soggetti anche molto diversi fra loro per funzioni,
dimensioni, organizzazione, risorse, ecc. ma accomunati all’interno di ciascun polo dal
perseguimento del medesimo interesse: il polo dell’interesse generale, rappresentato
dagli enti del TS così come definiti dall’art. 4, 1° comma, Codice TS; il polo degli
interessi privati, rappresentato da tutti i soggetti che perseguono interessi liberamente
individuati diversi da quelli perseguiti dagli enti del TS e dai soggetti pubblici; ed infine
il polo degli interessi pubblici, rappresentato dai soggetti di cui all’art. 1, 2° comma del
D.lgs.165/2001, cioè le amministrazioni dello Stato (ivi comprese le scuole, le
università, gli istituti autonomi case popolari, gli enti strumentali, le camere di
commercio, ecc.) le regioni ed i comuni.
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Gli enti del TS che compongono il polo dell’interesse generale sono diversi dagli altri
soggetti privati, oltre che per l’interesse perseguito, anche perché sono corpi intermedi
molto particolari, in quanto sono “corpi intermedi di interesse generale”.
Questa definizione può sembrare un ossimoro, perché i corpi intermedi sono
formazioni sociali che si collocano, lo dice la parola stessa, in una posizione intermedia
fra il cittadino e le istituzioni per difendere gli interessi particolari delle comunità di
cittadini che essi rappresentano. Tant’è che la degenerazione di questa legittima
funzione dei corpi intermedi è il corporativismo, inteso come atteggiamento egoistico
di quei gruppi che tendono ad affermare i diritti dei propri associati senza tener conto
delle esigenze di altri gruppi, né degli equilibri complessivi.
Eppure, in Italia gli enti del TS sono corpi intermedi che, a differenza di tutti gli altri
corpi intermedi, svolgono attività di interesse generale. Lo riconosce il legislatore (art.
4, comma 1°, Codice del TS) e recentemente lo ha confermato anche la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 131/2020, che ha affermato che “agli enti del TS, al
fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse
generale definiti dal Codice del TS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare
insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale”.
Si può quindi dire che il Terzo settore è un complesso costituito da soggetti privati,
costituiti in corpi intermedi che, a differenza dagli altri soggetti privati e dagli altri
corpi intermedi, perseguono l’interesse generale, non il proprio interesse, inteso sia
come interesse delle organizzazioni del Terzo settore, sia delle persone che ne fanno a
vario titolo parte.
Questo punto è importante perché essere corpi intermedi che perseguono l’interesse
generale crea una responsabilità negli enti del Terzo settore, in quanto la storia insegna
che per una legge che potremmo definire quasi “di natura” qualunque organizzazione
prima o poi tende a diventare autoreferenziale, cioè a dare la priorità agli interessi
(privati) di chi opera al suo interno rispetto a quelli di coloro i cui interessi
l’organizzazione dovrebbe tutelare. Ma per gli enti del Terzo settore
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l’autoreferenzialità è inaccettabile, perché vuol dire venir meno alla propria vocazione
originaria al servizio, appunto, dell’interesse generale.
L’ancoraggio all’interesse generale acquista quindi per gli enti del Terzo settore un
valore esistenziale. Se lo perdono, cadendo nell’autoreferenzialità, diventano corpi
intermedi come tutti gli altri, con il rischio di scivolare addirittura nel corporativismo.
Ma cos’è l’interesse generale per gli enti del Terzo settore? L’art. 5 del Codice del
Terzo settore elenca le attività che si considerano di interesse generale. È un lungo
elenco ma, come tutti gli elenchi, da un lato corre il rischio di non essere esaustivo
(perché la complessità della realtà non si lascia ingabbiare in un elenco), dall’altro
quello di non essere aggiornato (perché la realtà evolve in continuazione). Meglio,
allora, cercare di individuare il nucleo essenziale del concetto di interesse generale.
In questo ci aiuta la Costituzione, il cui art. 3, 2° comma affida alla Repubblica il
compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che […] impediscono
il pieno sviluppo della persona umana […]”. Se tutte le attività della Repubblica (intesa
nella sua accezione più ampia, sia formale, sia materiale) devono essere finalizzate a
garantire la piena realizzazione di ciascun essere umano, dei suoi talenti e dei suoi
progetti di vita, se ne deduce che tale realizzazione è nell’interesse generale, altrimenti
non si impegnerebbero tutte le risorse della “Repubblica” per il raggiungimento di tale
obiettivo.
Del resto, se si guarda bene, tutte le attività di interesse generale elencate all’art. 5 del
Codice del TS hanno appunto come obiettivo, diretto o indiretto, il pieno sviluppo della
persona. E in questa prospettiva in fondo anche gli interessi pubblici possono essere
considerati come la frammentazione in migliaia di centri di riferimento (gli uffici
pubblici) dell’interesse generale attraverso lo svolgimento di singole funzioni
pubbliche che hanno tutte, alla fine, come unico obiettivo il pieno sviluppo della
persona.
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Al centro del concetto di interesse generale, insomma, c’è la persona, intesa come
soggetto portatore di bisogni (che la Repubblica deve soddisfare), ma anche di capacità
(cui la Repubblica deve dare la possibilità di estrinsecarsi), perché se ciascun membro
della società è messo in condizioni di realizzare se stesso o se stessa l’intera società ne
avrà beneficio.
In conclusione, dire che gli enti del Terzo settore sono corpi intermedi di interesse
generale equivale a dire che al centro di tutte le loro attività deve esserci (come di fatto
normalmente c’è) la persona, con i suoi bisogni e le sue capacità.
Essendo anch’essi “Repubblica” (in senso materiale), lo scopo di tutte le loro attività
deve dunque consistere, direttamente o indirettamente, nella creazione delle condizioni
per il pieno sviluppo delle persone. È questo che li legittima come soggetti costitutivi
del polo dell’interesse generale e, da un lato, li distingue nettamente dai soggetti privati,
dall’altro li avvicina invece ai soggetti pubblici con cui, fra le altre cose, possono
instaurare rapporti di collaborazione nell’interesse generale ai sensi dell’art. 55 del
Codice del Terzo settore.
3. Le radici delle ragioni
Se la definizione di Terzo settore è recente, la sua storia viene da lontano, dal “sistema
di carità” dell’Europa moderna, costruito dal cattolicesimo romano e dalle Chiese nate
della Riforma. È il sistema che nell’Ottocento italiano, dopo gli interventi
dell’assolutismo illuminato e dei governi napoleonici, diventa di “pubblica
beneficenza”, restando però legato alla rete di ospedali, istituti di ricovero, opere pie
per il soccorso dei poveri ereditata dal passato e salvaguardata da una legislazione che
ne rispettava le finalità2.
La “gran legge” sulle opere pie del 1862 si mantiene in questo solco, con un notevole
decentramento in favore dei poteri locali, in particolare attraverso l’introduzione delle
Congregazioni di carità a livello municipale nominate dai consigli comunali. La
2 Per una ricostruzione complessiva si veda E. Rossi, S. Zamagni (a cura di), Il Terzo settore
nell’Italia unita, Bologna, il Mulino, 2011.
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situazione è destinata tuttavia a evolversi rapidamente nel quadro di una vasta
trasformazione sociale. Entrano in gioco soggetti diversi, anch’essi antenati degli enti
di Terzo settore: le società di mutuo soccorso, gli istituti per l’educazione dell’infanzia,
le strutture create sia da una rinnovata carità cattolica dall’opera degli istituti religiosi
a quella dell’associazionismo postunitario sia da un’inedita filantropia laica, per
offrire risposte alle necessità crescenti dell’emarginazione urbana, delle famiglie e
delle donne, della disabilità. È quanto emerge dall’inchiesta sulle opere pie presieduta
da Cesare Correnti negli anni Ottanta, con la descrizione di una rete di quasi
ventiduemila enti3.
Non mancano tuttavia disomogeneità e frammentazione negli interventi, che
suggeriscono un riordino da parte del legislatore. L’azione dello Stato si perfeziona, in
un ampio dibattito ma con un’evidente forzatura da parte del governo, grazie alla legge
Crispi del 1890, che trasforma le opere pie in “Istituzioni pubbliche di beneficenza”,
sotto uno stretto controllo pubblico e con l’obbligo della concentrazione nelle
Congregazioni di carità delle opere pie giudicate non più rispondenti alle necessità del
momento, sollevando la protesta del cattolicesimo intransigente e del liberalismo
moderato. Se da un lato la riforma crispina definisce un primo obbligo assistenziale e
apre la strada al diritto all’assistenza, dall’altro limita fortemente la libertà delle
istituzioni. Ma non esclude il mantenimento degli statuti esistenti, prevedendo che le
eventuali modifiche si allontanino il meno possibile dalla volontà dei fondatori, come
pure la possibilità di operare per i comitati di soccorso o per altre strutture al di fuori
del riconoscimento previsto dalla legge, prendendo atto della complessità di altre forme
di aggregazione. Inoltre il Consiglio di Stato accoglie spesso le ragioni di numerose
istituzioni nei confronti dell’assorbimento nelle Congregazioni di carità e
3 Cfr. G. Farrell-Vinay, Povertà e politica nell’Ottocento. Le opere pie nello stato liberale, Torino,
Scriptorium-Paravia, 1997; sul mutuo soccorso, con il riconoscimento delle società del 1886, cfr. M.
Degl’Innocenti, La società volontaria e solidale. Il cantiere del welfare pubblico e privato, Manduria-
Bari-Roma, Lacaita, 2012.
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l’opposizione cattolica, dopo un rifiuto ai limiti della disobbedienza civile, approda alla
via dei ricorsi legali4.
La modernizzazione economica e il decollo industriale del Paese costituiscono, tra la
fine dell’Ottocento e l’età giolittiana, il contesto in cui si definisce la legislazione del
lavoro in campo infortunistico, previdenziale e di malattia, con una progressiva
affermazione dell’obbligo. Nella programmazione degli interventi vengono coinvolte
realtà territoriali e sindacali, amministrazioni comunali, congregazioni di carità, opere
assistenziali sorte in risposta a bisogni emergenti, che sollecitano una più estesa
risposta da parte dello Stato e al tempo stesso quali espressioni di movimenti diversi,
socialista, cattolico, democratico e repubblicano costituiscono una palestra per
l’esercizio di una cittadinanza condivisa. Le importanti realizzazioni previdenziali del
primo dopoguerra soprattutto con i ministeri presieduti da Francesco Saverio Nitti
non giungono tuttavia alla costruzione dello Stato sociale, a causa della
radicalizzazione della lotta politica che travolge l’Italia liberale e apre la strada al
fascismo5. Pur fra varie incertezze, il governo di Mussolini estende a partire dal 1923
il controllo pubblico su quelle che diventano “Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza” (IPAB) nonché sulle congregazioni di carità, dalle quali scompaiono le
rappresentanze elettive e che vengono poi fuse con gli enti assistenziali legati al Partito
nazionale fascista, per dar vita nel 1937 agli Enti comunali di assistenza (ECA)
largamente politicizzati. Negli anni Trenta e Quaranta sorgono gli istituti previdenziali
e mutualistici che definiscono un modello segnato da un accentuato statalismo, da non
poche sperequazioni interne e con un significativo allargamento delle coperture. Certo,
le molteplici funzioni esercitate dai corpi intermedi entrano sempre più nell’orbita di
un sistema controllato dallo Stato6, pur nel quadro di un’ideologia e di una conseguente
4 Si vedano i contributi raccolti in Le riforme crispine, vol. IV, Amministrazione sociale, Milano,
Giuffrè, 1990 (e in particolare P. Cavaleri, Introduzione, pp. 3-21).
5 Cfr. A. Cherubini, I. Piva, Dalla libertà all’obbligo. La previdenza sociale fra Giolitti e Mussolini,
Milano, FrancoAngeli, 1998 e G. Silei, Lo Stato Sociale in Italia. Storia e documenti. Vol. I.
Dall’Unità al fascismo (1861-1943), Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2003.
6 Cfr. M. Ferrera, Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie, Bologna, il
Mulino, 1993, pp. 218-232; F. Bertini, Il fascismo dalle assicurazioni per i lavoratori allo Stato
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narrazione, improntata al corporativismo sulla quale si registra un diffuso consenso nel
mondo cattolico in nome di uno “Stato di solidarietà”7.
Il Terzo settore ritrova un ruolo autonomo nel secondo dopoguerra, in rapporto alla
costruzione del sistema di welfare italiano che svolge coerentemente il dettato
costituzionale, ma deve al tempo stesso confrontarsi con i diversi soggetti sociali in
una più problematica prospettiva di sussidiarietà8. La scelta universalistica, fin dagli
anni Quaranta, conosce un rinvio nonostante un clima favorevole alla sua adozione
per poi essere ripresa alla fine del decennio successivo e nella stagione dell’apertura
a sinistra. Se non si raggiunge subito il risultato auspicato soprattutto dai socialisti, non
si può sottovalutare il cambiamento che le scelte del centro-sinistra implicano,
consentendo di giungere alla riforma sanitaria del 1978, mentre l’attuazione
dell’ordinamento regionale è la premessa del decreto dell’anno precedente che riguarda
la riforma del settore assistenziale che però non procede oltre9.
Il decreto va appunto incontro a una parziale dichiarazione d’incostituzionalità, anche
perché avrebbe comportato una devoluzione ai comuni non solo degli ECA ma anche
di molte IPAB di cui pure una legislazione ostile aveva comunque tutelato l’autonomia,
suscitando una vasta opposizione che coinvolge varie forze politiche e si lega a un
progressivo mutamento nell’opinione pubblica. La dichiarazione da parte della Corte
Costituzionale, nel 1988, dell’illegittimità parziale del primo articolo della legge Crispi
inaugura quindi una nuova cornice istituzionale e la legislazione che si delinea a partire
dagli anni Novanta lo dimostra ulteriormente, valorizzando il volontariato, l’attenzione
sociale, in M. Palla (a cura di), Lo Stato fascista, Milano, La Nuova Italia, 2001, pp. 177-313; C.
Giorgi, La previdenza del regime. Storia dell’Inps durante il fascismo, Bologna, il Mulino, 2004.
7 Cfr. M. Bocci, Oltre lo Stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo
e democrazia, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 197-230.
8 Cfr. L. Violini, G. Vittadini (a cura di), La sfida del cambiamento. Superare la crisi senza sacrificare
nessuno, Milano, BUR, 2012.
9 Cfr. M. Ferrera, V. Fargion, M. Jessoula, Alle radici del welfare all’italiana. Origini e futuro di un
modello sociale squilibrato, Venezia, Marsilio, 2012 e G. Silei, Lo Stato Sociale in Italia. Storia e
documenti. Vol. II. Dalla caduta del fascismo ad oggi (1943-2004), Manduria-Bari-Roma, Lacaita,
2004.
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alla disabilità, la cooperazione e l’associazionismo sociale. Si può giungere così alla
legge quadro sui servizi sociali del 2000 e l’anno successivo al decreto di riordino delle
IPAB, mentre si realizza l’inserimento nella Costituzione, con la riforma del Titolo V,
del principio di sussidiarietà10.
La legge del 2016 sul Terzo settore, il codice del 2017, la recentissima sentenza della
Corte Costituzionale rappresentano allora un cambiamento di paradigma e un punto di
partenza per un percorso ulteriore, che affonda le radici in una tradizione di pluralismo
delle iniziative e di welfare solidale. La ricchezza degli interventi attuati ha avuto
appunto un ruolo insostituibile, espressione della società civile e del suo operoso
sviluppo fra Otto e Novecento.
4. Le ragioni del Terzo settore alla prova dei fattori sociali, economici ed
organizzativi
Un’analisi del rapporto tra corpi intermedi, rappresentanza, democrazia, non può
prescindere da una riflessione sugli aspetti sociali, economici ed organizzativi che
caratterizzano la variegata articolazione del Terzo settore e le diverse modalità con le
quali tali attori interpretano nel concreto il ruolo affidatogli. A prescindere dalle
definizioni e dalle categorie rinvenibili nella letteratura giuridica, l’osservazione della
realtà aiuta a riconoscere alcune caratteristiche intrinseche di tali soggetti che
influiscono sulle modalità di esercizio del loro ruolo:
- la dimensione orizzontale: se partiamo da un criterio di segmentazione fondato
sugli interessi individuali e collettivi di cui si fanno portatori, nella normativa
del Terzo settore sono identificati 26 cluster. In ognuno di questi cluster gli
organismi del Terzo settore nel perseguimento della propria missione
concorrono con altri attori aventi forme giuridiche differenti; eppure tutti essi
si configurano come corpi intermedi e dichiarano di rappresentare quegli
specifici interessi. Per esemplificare, nel campo della disabilità e della non
10 Cfr. E. Bressan, Le vie cristiane della sicurezza sociale. Un dibattito fra i cattolici italiani 1931-
2002, Milano, CUEM, 2009, pp. 65-85.
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autosufficienza riconosciamo una molteplicità di attori: associazioni,
cooperative e imprese sociali nate dal volontariato e dagli operatori del settore,
aziende di servizio nate da istituzioni religiose, imprese di servizi sociosanitari.
Una gamma molto eterogenea di motivazioni, di interessi e modelli operativi.
Ognuno con una diversa radicazione nella popolazione dei disabili, delle
famiglie, degli operatori, più o meno forte nella capacità di interpretarne i
bisogni. Una “rete organizzativa naturale”11 che sarebbe da disegnare e
studiare, per poi scoprire che in quella rete da tempo è venuta a mancare la
funzione di indirizzo, programmazione, coordinamento e controllo (il ruolo di
“agenzia strategica” che istituzionalmente è affidato a Regione e ASL), che
dovrebbe farsi carico di animare adeguati livelli di cooperazione e
convergenza di tutti gli attori verso l’interesse generale.
- la dimensione verticale: la funzione di un corpo intermedio dovrebbe essere
tesa a colmare la distanza tra le istituzioni e gli interessi ed i bisogni emergenti.
Quella distanza è spesso percepita dai cittadini come incolmabile. La funzione
di un organismo operante nel Terzo settore dovrebbe essere anche quella di
dare evidenza e rappresentanza a problematiche di interesse generale a
vantaggio non solo dei soggetti rappresentati ma indirettamente anche della
collettività che trarrebbe vantaggio dal soddisfacimento di tali interessi. Tale
distanza “incolmabile” nella realtà è coperta da strati diversi costituiti da
organismi che, seppure riconducibili all’interno del Terzo settore, si collocano
a livelli e con funzioni diverse. Potremmo riconoscere un primo livello
costituito da organismi associativi “di base”, tesi ad aggregare individui che
esprimono bisogni a cui cercano una risposta con impegno volontaristico e
mutualistico. Organismi di secondo livello, che tendono a verticalizzare la loro
azione, aggregando interessi omogenei, per “dare voce” ad interessi di
11 F. Butera, Il castello e la rete. Impresa, organizzazioni e professioni, Milano, Franco Angeli, 2008.
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carattere generale in una logica di affermazione di diritti. Organismi di terzo
livello che aggregano attorno a sé interessi di carattere più generale con
l’intento di far “massa critica” nel rapporto con le istituzioni. Per
esemplificare, nel campo della disabilità e della non autosufficienza
riconosciamo al primo livello una miriade di associazioni di utenti, familiari,
volontari, che si fanno carico di organizzare servizi cercando di colmare spazi
che le politiche pubbliche hanno lasciato vuoti, come nel caso dell’AISM o
della Lega del Filo d’Oro. Al secondo livello sono riconoscibili organismi
associativi in cui si ritrovano gli interessi di singole “filiere” (ciechi, SLA,
autismo, ecc.) come lo erano un tempo gli enti morali. Al terzo livello, invece,
riconosciamo la Federazioni FISH e FAND destinate per missione ad
aggregare per fare rappresentanza nel rapporto con le istituzioni sovraordinate.
Questo ecosistema si è modificato nel tempo nel rapporto tra l’associazionismo di base,
Terzo settore e sistema del welfare. Come illustrato nel paragrafo precedente un lungo
percorso ha segnato delle trasformazioni e condotto alla situazione attuale.
Concentrandoci sui bisogni legati al mondo della disabilità12, dopo le iniziative di tipo
filantropico-caritativo di inizio secolo e quelle mutualistico-corporativo del ventennio,
negli anni Cinquanta per la prima volta avviene un tentativo da parte della società civile
di diventare soggetto attivo dell’associazionismo. Si tenta di portare avanti una
concezione diversa da quella dominante sino ad allora, di tipo caritatevole e coattiva,
che guardi di più alla dimensione abilitativa e socioeducativa tesa all’integrazione
sociale dei soggetti più deboli. Nel campo della disabilità, nel 1954 si forma l’AIAS
associazione di famiglie con al proprio interno membri spastici; nel 1958 l’ANFFAS
associazione di famiglie con ragazzi con ritardo cognitivo, e nel 1964 la Lega del Filo
d’Oro per i sordociechi; in tutti e tre casi le promotrici sono donne. Le tante iniziative
associative si muovono su due linee: fare dei servizi “in proprio” laddove quelli
esistenti non rispondono alle esigenze, e spingere le Istituzioni a farsene carico. A
12 G. Vicarelli, Istituzioni, Servizi e Famiglia: scenari in cambiamento, in Atti assemblea nazionale
Lega del Filo d’oro, giugno 2019.
G. ARENA, L. BANDERA, E. BRESSAN, C. CARAZZONE, C. FIASCHI, F. MAINO, E. NUNZIATA, S.
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partire dal 1978, con la nascita del Servizio Sanitario Nazionale, in Italia diventa
dominante l’urgenza di dare concreta attuazione al dettato costituzionale.
In questo nuovo contesto molte delle istanze dell’associazionismo degli anni precedenti
si strutturano, molti dei servizi che si era tentato di creare sono riconosciuti nel Servizio
Sanitario e da questo finanziati. Quello che le famiglie avevano sostenuto in
precedenza diventa in qualche misura realtà. Interessante è che in questa nuova fase il
dinamismo delle famiglie e delle associazioni, affidandosi al servizio pubblico e
immaginando di avere raggiunto l’obiettivo, si raffredda.
Ma già a partire dagli anni Duemila, ancor più con la crisi economica del 2008, le
conquiste che si riteneva di avere in qualche modo stabilizzato, sono messe in
discussione. Si pensava che l’intervento universalistico del Servizio Sanitario
Nazionale, il diritto all’integrazione sociale e lavorativa, e l’approccio di tipo socio-
educativo-riabilitativo fossero ormai dei punti fermi, punti di non ritorno.
Invece, negli ultimi anni si è dovuto fare i conti con una cultura, una politica e una
concezione che ha riportato il settore della non autosufficienza alle forme di
marginalità o di separatezza dei periodi precedenti. Minori risorse, minori servizi
pubblici, minore competenza, più liste di attesa, maggiore segregazione. Va in crisi il
modello di intervento dei sistemi territoriali socio-educativo-riabilitativo-
assistenziali13. Quegli organismi perdono di vista le loro finalità e si elevano i muri
della autoreferenzialità. L’azione progettuale dei servizi territoriali rischia il più delle
volte di ridursi in azioni collocatorie all’interno di un sistema di organismi accreditati,
in gran parte riconducibili al Terzo settore. La maggior parte se non la totalità di sistemi
di finanziamento dei servizi è ancora oggi ancorata alla logica della “retta” e della
“struttura”, piuttosto che a quella del “progetto di vita” individualizzato. È un sistema
13 S. Zorzi, Disabilità e servizi: cambiamento e resistenza al cambiamento, in Percorsi di secondo
welfare, 1/2020.
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che premia il carico assistenziale, non l’esito migliorativo. Tali organismi risultano
poco incentivati a cambiare prospettiva.
Negli ultimissimi anni sono riconoscibili alcuni segni di reazione da parte
dell’associazionismo. Le famiglie, gli utenti, i volontari, si stanno infatti rimettendo in
gioco, l’immobilismo degli anni Novanta, che sembrava un immobilismo di delega, si
sta trasformando. Si può osservare lo sviluppo di nuovi modelli operativi fondati
sull’autoorganizzazione dal basso, destinati a produrre servizi molto più appropriati e
specialistici, con standard qualitativi molto più elevati di quelli del servizio pubblico.
Ciò grazie all’estendersi di pratiche professionali di fundraising che vanno ad
aggiungere risorse a quelle derivanti dai contributi pubblici.
Nel Terzo settore c’è un nuovo dinamismo ed il convincimento che non ci si può
fermare anzi bisogna entrare nelle attività delle Istituzioni, sedersi ai tavoli, stare nelle
consulte, negli organi di governo degli enti accreditati che gestiscono i servizi, con
forme di monitoraggio e valutazione dei servizi.
Quello che le associazioni hanno capito è che bisogna proporre modelli di co-
evoluzione14, i quali sono molto più complessi della collaborazione; co-evoluzione
vuol dire che le associazioni non stanno fuori a guardare o a collaborare, ma stanno
dentro e mettono in moto un processo di “evoluzione con”, con tutti i rischi che questo
comporta.
Per tornare alla domanda principale riguardo il rapporto tra gli organismi del Terzo
settore, il loro ruolo di corpo intermedio, la rappresentanza, e la democrazia,
l’osservazione della realtà pone in evidenza alcune questioni dirimenti:
- rappresentanza e democrazia. I corpi intermedi sono altro rispetto ai cittadini,
oppure sono forme aggregative di cittadini, o sono l’uno e l’altro? Se svolgono
realmente una funzione aggregativa, o quantomeno di ascolto dei bisogni, in
che ruolo è opportuno che si collochino nel rapporto con le istituzioni, a tutela
di quali interessi? E quando intendono rappresentare quei bisogni con quali
14 Vicarelli G., in Percorsi di secondo welfare, 1/2020.
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meccanismi garantiscono quella rappresentanza, in che forma e con quale
legittimazione, con quale rispetto per i meccanismi democratici?
- sussidiarietà e contiguità con le istituzioni. Molti organismi del Terzo settore
al fine di trarre vantaggio per gli interessi che intendevano rappresentare, si
sono preoccupati di elevare nel tempo il livello di interlocuzione con il potere
amministrativo e politico; ciò ha prodotto talvolta una eccessiva contiguità con
tali poteri, sino ad aver prodotto una “tecnocrazia” che si muove oramai
orizzontalmente da un ambito all’altro, alterando l’equilibrio degli interessi in
gioco. Cos’è che può preservare un corpo intermedio dal rischio di
autoreferenzialità, o dal rischio di chiudersi nella difesa di rendite di posizione
perdendo di vista i bisogni che vorrebbe rappresentare?
- sussidiarietà e logiche economiche. In quest’ambito s’inserisce l’annosa
questione del finanziamento dei servizi e dei meccanismi che regolano
l’accesso ai fondi pubblici. Paradossale che quei meccanismi di sussidiarietà
che avrebbero dovuto orientare comportamenti competitivi virtuosi
nell’intendimento di innalzare il livello della risposta ai bisogni espressi dai
cittadini, abbiano fatto prevalere interessi privatistici, contrapposizione,
abbassamento del livello dei servizi in quantità e qualità, indifferenziazione e
despecializzazione, reazioni a difesa di rendite di posizione consolidatesi nel
tempo. Molti organismi del Terzo settore vengono risucchiati in una gestione
economicistica, attente più a rendere efficiente l’uso delle risorse acquisite dal
pubblico, con un livellamento verso il basso dei servizi, piuttosto che attivare
meccanismi per acquisire risorse aggiuntive per l’autofinanziamento, e
impegnarsi nel rinvigorire la relazione con gli interessi rappresentati e con la
società civile al fine di onorare pienamente la propria funzione di interesse
generale.
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5. La forza delle ragioni e le insidie della prassi
5.1 Premessa
Come evidenziato nei capitoli precedenti, gli Enti del Terzo settore (ETS), nella loro
qualità di corpi intermedi, hanno vissuto alterne vicende nel corso della loro storia,
spesso contrastati e vessati proprio per le importanti funzioni da loro svolti.
Infatti, gli ETS sono per mandato sia strumento di e per l’organizzazione delle risposte
ai problemi dei singoli e delle comunità, sia espressione di proposta politica, aspetti
entrambi generati dell’autonoma iniziativa dei cittadini attivi.
Tale duplicità interroga riguardo a come è stato e come potrà evolversi in futuro il
rapporto tra questi due ruoli e se ve ne sia uno prevalente sull’altro. Per provare a
rispondere a tale domanda riteniamo utile delineare sinteticamente i punti di forza così
come le fragilità degli ETS.
Forza
Gli ETS trovano il loro fondamento nell’ambito delle formazioni sociali di cui all’art
2 Cost. Occorre innanzitutto chiarire che gli ETS non derivano la propria esistenza
dagli spazi lasciati liberi dai fallimenti dello Stato o del mercato. Se così fosse,
basterebbe che i primi due settori funzionassero a dovere per vedere svanire gli ETS.
Invece essi esistono, indipendentemente da Stato e mercato, perché sono in primo
luogo il frutto della socialità umana che si organizza promuovendo istanze di
partecipazione e di cambiamento. Essi hanno pertanto una propria intrinseca ragion
d’essere basata:
- nel loro modo di essere, creando luoghi di partecipazione attiva per esprimere in
forma organizzata la socialità umana proponendosi quali “palestre di democrazia”;
- nel loro modo di operare, generando relazioni fra le persone e fra le organizzazioni;
- in ciò di cui si occupano, prendendosi cura di persone in condizioni di fragilità e di
beni comuni.
Il bene “prodotto” dagli ETS è la creazione di fiducia e capitale sociale. Gli ETS
generano le precondizioni sia della sfera economica sia della sfera politica,
costituendone l’indispensabile fondamenta. Gli ETS sono nel contempo anche
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protagonisti in entrambe le sfere: da un lato, creano occupazione per oltre 850.000
dipendenti e mobilitano oltre 5,5 milioni di volontari, generando una esperienza di
economia sociale unica in EU; dall’altro interagiscono con le Istituzioni pubbliche
anche attivando processi co-programmazione e co-progettazione15.
Al pari di altri corpi intermedi sono portatori di una impegnativa responsabilità: sia
verso i milioni di cittadini che costituiscono gli ETS al fine di promuovere una società
aperta, solidale ed inclusiva, in attuazione degli artt. 2 e 3 Cost.; sia verso la Repubblica
e l’insieme delle comunità tramite il confronto con le pubbliche istituzioni.
Vi è però una caratteristica che differenzia gli ETS da altri corpi intermedi: infatti,
mentre in genere questi ultimi sono portatori di interessi particolari16, gli ETS invece
sono, dal singolo ente sino all’ente di rappresentanza, soggetti che realizzano attività
di interesse generale. Una differenza che acuisce la responsabilità di ciascuno e di tutti
e che, fra l’altro, porta ad una significativa diversa prospettiva per un corpo intermedio,
passando dal “rappresentare chi” al “rappresentare per”17.
Quali sono allora le funzioni che sono chiamati a svolgere gli ETS in qualità di corpi
intermedi? In base all’esperienza possiamo indicarne almeno quattro:
- Advocacy, raccogliendo le istanze di una comunità e operando perché entrino
nell’agenda politica, anche accompagnando le proprie richieste con ipotesi e
proposte;
- Esperienze pilota, promuovendo, grazie al loro radicamento nei territori e la capacità
di coglierne le criticità, sperimentazioni e esperienze tese a dare una prima risposta,
nel frattempo che il tema sollevato entri nell’agenda politica;
15 Cfr. art 55 del D. Lgs. 117/17 e sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale.
16 Cfr i dati della indagine IPSOS di cui al capitolo (...)
17 cfr. Enzo Ruliani, Rappresentare “chi” o rappresentare “per”? Dalla conta al dialogo, in
Rappresentanza: modelli e prospettive per il Terzo settore, Aiccon 2005,
https://mk0wwwaicconitmky98w.kinstacdn.com/wp-content/uploads/2017/01/Atti_GdB_2005.pdf.
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- Protagonisti assoluti in diversi ambiti, tanto che il loro venir meno metterebbe a
grave rischio la stessa tenuta di interi comparti;
- Contaminazione e ibridazione: relazionandosi con gli altri corpi intermedi e
proponendo valori e principi tesi a promuovere la relazionalità e un modello di
sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile.
Occorre infine sfatare un luogo comune: ETS = welfare. In realtà le centinaia di
migliaia di ETS svolgono le funzioni sopra richiamate in quasi ogni ambito di attività,
mobilitando decine di migliaia di lavoratori o volontari, come attestano i dati del
Censimento 2011 dell’ISTAT18.
Fragilità
Accanto a fattori esogeni quali le generali spinte alla disintermediazione avanzate, da
un lato, dagli interessi economici delle major informatiche e, dall’altro, da alcuni
movimenti politici, che qui non si ha lo spazio di analizzare, i rischi per gli ETS
vengono innanzitutto dal proprio interno, e sono i più pericolosi. La più rilevante
criticità risiede proprio nel venire meno della consapevolezza del proprio ruolo
politico, abdicando dalle proprie funzioni per ripiegarsi nel più semplice compito di
“fornitore di servizi”, assumendo alla fine un ruolo ancillare verso le istituzioni
pubbliche e, smarrendo le proprie peculiarità, diventando simili agli altri attori
economici.
Gli ETS a fronte di una storica capacità di aggregare bisogni e diritti, collegare mondi
diversi, indicare possibili risposte, mobilitare risorse nascoste rischiano di perdere
progressivamente la capacità di essere strumento di rivendicazione e di proposta
politica nella lotta alle diseguaglianze e per un’effettiva e necessaria redistribuzione
delle risorse. Così facendo finisce per trascurare il compito di mettere in relazione la
tessitura “orizzontale” di bisogni e diritti con l’azione “verticale” di rivendicazione. Il
risultato rischia di essere un tessuto sociale e politico debole riducendo la propria
capacità di produrre fiducia.
18 Cfr. https://www.forumterzosettore.it/2020/08/03/ambiti-di-intervento-degli-ets-dati-censimento-
istat-2011/
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Conclusioni
Gli ETS rischiano di essere uno strumento di servizio forte ma una espressione di
proposta politica insufficiente rispetto alle potenzialità.
Come spiegato nel paragrafo a cura di Edoardo Bressan19, fin dalle origini quello che
oggi chiamiamo Terzo settore ha rappresentato la base per testimoniare l’esigenza di
risposte adeguate e universali ai bisogni e diritti delle persone e delle comunità
incarnando istanze di cambiamento sociale e politico.
In questi ultimi anni vi è il rischio di un appiattimento verso la semplice erogazione di
servizi, accontentandosi di alleviare le più rilevanti criticità ma senza contestare le
causa delle diseguaglianze che le originano e, di fatto, quasi ponendosi,
paradossalmente rispetto alle proprie origini, in posizione di conservazione sociale.
Forse in questo ha giocato anche il fatto che sinora non vi era una definizione giuridica
di ETS in grado di fissare in modo chiaro e condiviso i principi e i valori che
accomunano centinaia di migliaia di enti, ponendosi quale punto di riferimento di
costante richiamo a principi, valori e finalità.
L’approvazione del Codice Terzo settore e la preziosa definizione di ETS offre quindi
un importante ancoraggio affinché gli enti possano riflettere su sé stessi e riprendano e
aumentino la consapevolezza del proprio ruolo politico e sociale. Solo così facendo
potranno continuare ad essere un punto di riferimento per l’intera collettività20 ed
essere attori protagonisti autorevoli.
6. Le ragioni della collaborazione: l’interesse generale della filantropia
istituzionale
Assifero, come associazione italiana delle fondazioni di famiglia, di impresa e di
comunità, ha fortemente voluto e si è adoperata con determinazione per ottenere il
riconoscimento delle fondazioni ed enti filantropici nel Codice del Terzo settore.
19 Vedi paragrafo 3 del presente capitolo.
20 Cfr i dati della indagine IPSOS di cui al capitolo (…)
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Tale scelta, basata su una visione moderna e strategica della filantropia istituzionale, è
stata fondamentale sia per sancire l’appartenenza delle fondazioni ed enti filantropici
al Terzo settore come corpi intermedi di interesse generale (e non meramente
privatistico), sia per superare la vecchia concezione di fondazioni ed enti di erogazione.
A partire dal 2017, quindi, le fondazioni ed enti filantropici sono a tutti gli effetti
riconosciuti non più come meri patrimoni destinati ad uno scopo, da gestire con il
massimo rendimento finanziario al fine di distribuire gli utili in attività di beneficienza,
ma come parte integrante della società civile, forme sociali di partecipazione alla
democrazia, allo sviluppo umano del nostro paese e attori chiave nella creazione di
capitale sociale.
Come scrive Gregorio Arena21, in seguito alla riforma, il Terzo settore non è più
definito in negativo (tutto ciò che non è Stato né mercato), ma in positivo come insieme
di enti capaci di perseguire l’interesse generale, concetto ribadito con chiarezza dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n. 131/2020 che chiama gli ETS alla co-
programmazione con la Pubblica Amministrazione.
Le fondazioni filantropiche sono al pari di tutti gli ETS corpi intermedi che
perseguono un interesse generale, enti senza fini di lucro che stabilmente catalizzano
risorse, principalmente ma non solo economiche, provenienti da diverse fonti e le
ridistribuiscono sotto diverse forme elargizioni, investimenti, beni, servizi per il
bene comune e finalità di utilità sociale, solidarietà e sviluppo umano, sociale,
economico, civile, culturale, ambientale.
Questo passaggio è fondamentale per il superamento di una concezione invece
meramente erogativa che vedeva in un’ottica di controparti gli enti del Terzo settore
come destinatari passivi delle erogazioni delle fondazioni quali enti distributori di
oboli.
Per una ventina d’anni, infatti, in Italia, anche per una sorta di isomorfismo rispetto
alle fondazioni di origine bancaria come istituite nel 1999, le fondazioni e gli enti
filantropici sono stati definiti e percepiti come enti di erogazione.
21 Vedi paragrafo 2 del presente capitolo.
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La tendenza a far coincidere l’identità delle fondazioni con l’attività erogativa è
estremamente limitata e limitante e non dà conto del valore e delle potenzialità di questi
enti.
Innanzitutto, significa trasformare un mezzo in un fine.
Le erogazioni non sono un fine, sono solo uno strumento meglio, uno dei vari
strumenti attraverso cui le fondazioni filantropiche perseguono l’interesse generale e
i propri obiettivi di missione per il bene comune.
In secondo luogo, fa implicitamente intendere che le erogazioni siano l’unica leva a
disposizione delle fondazioni. Ma il portfolio a loro disposizione per perseguire i propri
scopi istituzionali è molto più diversificato e trasformativo e include, per esempio:
l’attivazione di relazioni e connessioni, l’impiego del patrimonio in investimenti
correlati alla missione o in investimenti in economia reale o energie rinnovabili, la
presentazione di garanzie e prestiti, l’accreditamento di enti del Terzo settore presso
altri partner strategici, il dialogo strategico con altri attori, pubblici e privati, che hanno
a cuore il benessere della comunità, la sperimentazione di policies.
Tecnicamente si definisce continuum of capital, l’insieme delle varie forme di capitale
finanziario, economico, immobiliare, relazionale e intellettuale che le fondazioni ed
enti filantropici sono in grado di mettere a sistema per finalità di interesse generale.
Ben lungi dunque dall’essere meri “enti erogatori” o peggio sofisticati bancomat, le
fondazioni ed enti filantropici oggi possono essere enti attivatori di capitale sociale, di
partecipazione democratica e di sviluppo umano e sostenibile.
Di fronte alla complessità delle sfide globali che abbiamo dinanzi, le fondazioni ed enti
filantropici stanno infatti assumendo un nuovo ruolo politico e sociale.
A differenza di tutti gli altri donatori, in particolare pubblici, sono politicamente e
finanziariamente indipendenti e, pertanto, godono di una libertà strategica, una
flessibilità e agilità di azione uniche, oltre che di un orizzonte di tempo di lungo
periodo.
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Il valore aggiunto, l’unicità del valore delle fondazioni filantropiche sta proprio nella
ricchezza privata che possono mettere a disposizione del bene comune, nella qualità
dei loro asset, non nella quantità, visto che anche messe tutte insieme non potrebbero
mai sostituire i budget pubblici.
Di fronte a politiche economiche e sociali costrette a occuparsi del contingente, le
fondazioni, ben lungi dall’essere meri erogatori-tampone, oggi sono probabilmente tra
gli attori più capaci di innovazione e cambiamento sociale, più efficaci nel rimettere al
centro dell’azione politica e sociale il sostegno a processi partecipativi in grado, non
solo di gestire risposte, ma di costruire il futuro, investendo nel medio-lungo periodo e
assumendosi rischi di sperimentare ed, eventualmente, di sbagliare.
Proprio per le loro caratteristiche precipue, le fondazioni ed enti filantropici possono
sviluppare strumenti di azione e modalità di supporto coerenti ed adeguati alla
complessità e velocità delle sfide odierne. Mi riferisco in particolare alla necessità di
superare le modalità di finanziamento vincolate ad output e microattività di progetti di
breve periodo, ribaltando cicli di dipendenza che negli ultimi 40 anni hanno
caratterizzato tanta parte della progettazione sociale e del rapporto donatori-
beneficiari22 e costruendo alleanze e partnership strategiche su missioni, che scardinino
la relazione erogatore- beneficiario di progetto, verso un modello in cui il partner
finanziatore e quello implementatore stanno in una relazione di partnership strategica
e reciprocità vitale e non di dipendenza top-down.
In questo quadro strategico, è fondamentale il ruolo e valore aggiunto delle reti e reti
nazionali, corpi intermedi di interesse generale di secondo e terzo livello.
Anche in questo caso, il riconoscimento all’interno del Codice del Terzo settore
obbliga a discernere tra le associazioni di categoria, gruppi di interesse finalizzati alla
difesa di interessi particolari o alla fornitura di servizi, e le reti, che ambiscono a
svolgere un ruolo politico in una visione sistemica, non particolaristica, di contributo
all’interesse generale. Queste reti diventano attivatori, incubatori, sviluppatori,
22 In merito, Carola Carazzone http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/due-miti-da-
sfatare-evitare-l’agonia-progetti-del-terzo-settore
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attraverso il coordinamento, la messa in rete delle informazioni, la moltiplicazione dei
risultati, la disseminazione di soluzioni innovative, la condivisione di esperienze non
riuscite, lo sviluppo di pensiero critico, l’elaborazione di standard di qualità,
l’apprendimento tra pari, la rappresentanza, la partecipazione a tavoli istituzionali.
Allo stesso tempo, oggi, abbiamo nuovi potenti mezzi di conoscenza e azione per
raggiungere obiettivi di impatto oltre qualunque aspettativa, anche solo di pochi anni
fa.
Le grandi sfide odierne (pandemie, aumento delle diseguaglianze, populismo,
razzismo, xenofobia, crisi climatica) insegnano, e il Covid-19 lo ha reiterato in modo
brutale, che non è più il tempo del solipsismo per nessuno, nemmeno per chi gode di
autonomia finanziaria. La necessità di nuovi approcci multi-stakeholder e
profondamente collaborativi è impellente. Le reti sono corpi intermedi capaci di
contribuire direttamente ad un nuovo modello di sviluppo umano e sostenibile le cui
pietre angolari sono ancorate nelle comunità ma costantemente e indissolubilmente
connesse, attraverso le reti, a livello nazionale e internazionale.
A noi, dunque, l’onore e onere di contribuire a realizzare, con umiltà e coraggio, un
sistema filantropico informato, connesso ed efficace per il nostro paese come parte
organica e integrante dell’ecosistema Terzo settore.
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7. Filantropia istituzionale: le ragioni del cambiamento
Come è stato approfondito in altre parti del presente capitolo, gli enti di Terzo settore
possono essere considerati “corpi intermedi di interesse generale”. Questo significa che
nello svolgimento delle proprie attività tali organizzazioni, lo ricordiamo brevemente,
assumono una triplice funzione: attraverso di esse i cittadini possono impegnarsi per
perseguire obiettivi appunto di interesse generale (rispondere a bisogni sociali
condivisi, impegnarsi nella cura dei beni comuni, tutelare il patrimonio artistico,
ambientale e culturale, etc.); danno voce ai cittadini per spingere il pubblico ad
occuparsi di determinate tematiche tramite il ricorso a interventi e servizi che tutelino
specifici diritti; assumono una dimensione formativa fungendo da “palestre” in cui le
persone hanno l’opportunità di crescere come cittadini, determinando così un beneficio
non solo per i singoli ma per l’intera comunità. Nel presente paragrafo si intende porre
l’accento su come alcune organizzazioni dell’ecosistema non profit operino seguendo
queste direttrici, avendo però come target non i cittadini ma piuttosto altri soggetti di
Terzo settore. L’obiettivo è di inquadrare il ruolo assunto da alcune realtà “di secondo
livello”23 per stimolare la capacità di advocacy e di crescita sistemica di altre
organizzazioni, spesso di minori dimensioni. Negli ultimi anni, infatti, sono sempre più
numerosi i casi di soggetti appartenenti a quella che comunemente si indica come
“filantropia istituzionale”24 che hanno cominciato in maniera più o meno consapevole
e sistematica ad accompagnare le organizzazioni del Terzo settore in un processo di
crescita che possa incentivare la loro capacità di azione quali corpi intermedi di
interesse generale.
23 Con tale termine intendiamo quelle organizzazioni che intervengono a tutela dei bisogni
prevalentemente senza interventi diretti nei confronti dei beneficiari ma attraverso il sostegno
economico e non solo verso soggetti, prevalentemente del Terzo settore, che operano a tal fine.
Possiamo pertanto considerarli a un livello “superiore” “secondo” appunto in quanto punto di
riferimento di plurimi soggetti che a vario titolo operano come corpi intermedi di interesse generale.
24 Organizzazioni che, secondo la definizione di Assifero (https://assifero.org/filantropia-
istituzionale-definizione/), catalizzano stabilmente risorse, principalmente economiche, provenienti
da varie fonti e le ridistribuiscono sotto diverse forme elargizioni, beni, servizi per finalità di
solidarietà e di progresso sociale, culturale, civile.
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Dal nostro osservatorio25 questa dinamica è evidente soprattutto nel campo del welfare
che, sotto pressione ormai da alcuni decenni a causa di fattori strutturali (come scarsa
crescita economica, invecchiamento demografico, stagnazione del mercato del lavoro,
mutamento della struttura familiare e sociale) e contingenti in primis la crisi
economica del 2008 e, più recentemente, la pandemia da Covid-19 vede nel
protagonismo di queste realtà un fattore particolarmente interessante26. Grazie al
supporto delle organizzazioni “di secondo livello” si è infatti assistito allo sviluppo di
forme sempre più significative di “welfare comunitario” in cui sono state incentivate
sinergie più o meno intense per ridefinire obiettivi e beneficiari degli interventi sociali
insieme allo sviluppo di inediti sistemi di governance per la loro realizzazione27, ma
interventi simili sono riscontrabili anche in ambito culturale e con riferimento alle
politiche ambientali. Da parte di molti soggetti della filantropia istituzionale si
evidenzia, in particolare, un orientamento al “cambiamento sociale”, ovvero
all’adozione di interventi sistematici e strategici volti a consolidare e dare continuità e
stabilità ad azioni innovative così da ridefinire attori, ruoli e servizi all’interno dei
sistemi locali28. Questo paradigma si fonda su tre strategie che appaiono
particolarmente interessanti ai fini del nostro ragionamento.
25 Il Laboratorio Percorsi di secondo welfare (https://www.secondowelfare.it/), che dal 2011 si occupa
di studiare i cambiamenti sociali nel nostro Paese ponendo particolare attenzione al contributo offerto
da quelle realtà private, sia profit che non profit (aziende, organizzazioni del Terzo settore, sindacati,
associazioni datoriali), che sussidiariamente si affiancano al welfare pubblico per sviluppare beni e
servizi capaci di rispondere ai crescenti rischi e bisogni sociali dei cittadini.
26 Per approfondire: F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Nuove alleanze per un welfare che cambia.
Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia, Torino, Giappichelli, 2019.
27 Cfr. L. Bandera, Welfare Comunitario: dinamiche ed esperienze su cui riflettere, Rivista Solidea,
n. 1, 2019.
28 Per approfondire si veda anche: E. Cibinel, Dall’innovazione al cambiamento: una nuova sfida per
le Fondazioni di origine bancaria, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Nuove alleanze per un welfare
che cambia. Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia, Torino, Giappichelli, 2019.
S.C. Mendel e J.L. Brudney, Doing Good, Public Good, and Public Value. Why the Differences
Matters, in «Nonprofit Management & Leadership», vol. 25, n. 1, 2014, pp. 23-40; J. Whitman,
Evaluating Philanthropic Foundations According to Their Social Values, in «Nonprofit Management
& Leadership», vol. 18, n. 4, 2008, pp. 417-434.
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Il primo riguarda “il raggiungimento della propria mission” da parte delle istituzioni
filantropiche che, come accennato, operano finanziando progetti e iniziative messe in
campo da organizzazioni che già operano sui rispettivi territori. Questo modus
operandi stimola la creazione di capitale sociale sul territorio, rafforza i legami
all’interno della comunità e favorisce rapporti di fiducia che costituiscono il tessuto
stesso della società civile. Il secondo canale riguarda la creazione di “spazi terzi” che
rendono possibili collaborazioni tra i vari attori, sia pubblici che privati: nella
costituzione di partenariati territoriali le istituzioni filantropiche creano e guidano spazi
che forniscono la “cornice” entro cui i diversi soggetti possono incontrarsi in un’ottica
di collaborazione e non-competizione. In questi spazi neutrali gli enti del Terzo settore
ma anche Pubbliche amministrazioni e le realtà del mondo produttivo, quando si
ritiene utile un loro coinvolgimento possono trovare i tempi e i modi per immaginare,
progettare e sperimentare nuovi approcci e interventi. Il terzo canale attraverso cui si
sostanzia il cambiamento sociale è l’accompagnamento che le istituzioni filantropiche
svolgono proprio all’interno degli “spazi terzi”: esse non solo forniscono un luogo
neutro e “formalizzato” entro cui partenariati pubblico-privati possono incontrarsi
liberamente, ma offrono un supporto professionale e professionalizzante perché queste
collaborazioni possano avere successo. Le istituzioni filantropiche, essendo esse stesse
“terze” e indipendenti, possono infatti superare dinamiche e ostacoli organizzativi e
istituzionali che frenano gli altri attori coinvolti e, grazie al loro ruolo di “costruttori di
ponti”29, creano condizioni e contesti in grado di alimentare processi collaborativi.
Negli ultimi quindici anni le fondazioni italiane, in quanto istituzioni filantropiche, si
sono rivelate protagoniste sempre più importanti tra i corpi intermedi del nostro Paese,
divenendo il centro di reti ampie e articolate nate per affrontare in maniera strategica e
sistematica problemi emergenti sui diversi territori. Un ruolo assunto in primo luogo
grazie alla loro capacità di erogare risorse economiche più o meno importanti e quindi
di sostegno concreto a iniziative che altrimenti, con ogni probabilità, non potrebbero
29 H.K. Anheier, Philanthropic Foundations in Cross-National Perspective: A Comparative
Approach, in «American Behavioral Scientist», vol. 62, n. 12, 2018, pp. 1591-1602.
G. ARENA, L. BANDERA, E. BRESSAN, C. CARAZZONE, C. FIASCHI, F. MAINO, E. NUNZIATA, S.
SILVOTTI - I CORPI INTERMEDI, CUORE DEL TERZO SETTORE
ISSN 2038-1662 27
vedere la luce ma anche e soprattutto per un approccio volto ad accompagnare il
Terzo settore nella costruzione di capacità di risposta a vari livelli tramite lo sviluppo
di nuove competenze, know-how e idee condivise. In questo senso occorre citare
anzitutto le Fondazioni di origine bancaria30 che, nonostante minori risorse a
disposizione31, hanno dato vita a sinergie sempre più strette con enti del Terzo settore
presenti sui propri territori contribuendo spesso a rafforzare la loro capacità
operativa32. Ci sono poi le Fondazioni di impresa, costituite da aziende che mirano a
realizzare interventi filantropici di varia natura, che nonostante rappresentino una
percentuale ancora modesta nell’insieme delle fondazioni italiane (sia in termini
numerici che di risorse economiche) stanno a loro volta contribuendo (anche grazie
all’erogazioni di risorse) in maniera crescente all’innovazione degli strumenti e degli
interventi sociali promuovendo l’empowerment dei destinatari e sistemi di governance
condivisa33. O, ancora, appare molto significativo il ruolo assunto dalle “giovani”
Fondazioni comunitarie che come si evince già dal nome hanno come mission lo
sviluppo del benessere della comunità che vive in un dato territorio attraverso strumenti
30 Di cui si parla, seppur da altri punti di vista, anche nel Capitolo (…)
31 Le erogazioni delle Fondazioni di origine bancaria sono legate ai rendimenti dei loro patrimoni
dove un ruolo molto significativo è rivestito dalle azioni delle banche conferitarie che, in questi
anni di turbolenze finanziarie, sono tendenzialmente calati. Per comprendere e approfondire storia,
sviluppo e meccanismi che regolano il sistema della Fob si rimanda a: G.M. Cavaletto, Il welfare in
transizione. Esperienze di innovazione attraverso le Fondazioni, Torino, Giappichelli, 2015; L.
Bandera, Sperimentazioni a sostegno delle reti, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Primo Rapporto
sul secondo welfare in Italia, Torino, Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi, 2013; G.
Pastori e G. Zagrebelsky (a cura di), Fondazioni bancarie: una grande riforma da consolidare,
Bologna, Il Mulino, 2011; G.P. Barbetta, Le Fondazioni. Il motore finanziario del Terzo settore,
Bologna, Il Mulino, 2013; G.P. Barbetta, Le fondazioni di origine bancaria: dalla nascita per caso
all’esercizio dell’innovazione sociale, in G. Turati, M. Piacenza e G. Segre (a cura di), Patrimoni e
scopi. Per un’analisi economica delle fondazioni, Torino, Fondazione Agnelli, 2008.
32 Emblematico in questo senso è il progetto “Welfare in Azione
(http://welfareinazione.fondazionecariplo.it/it/) di Fondazione Cariplo, che ha permesso di sostenere
sperimentazioni “dal basso” per dar vita a risposte più efficaci, efficienti ed eque ai bisogni sociali
delle comunità, che nascessero sui territori, dai territori e per i territori.
33 Cfr. O. De Gregorio, C. Lodi Rizzini e F. Maino, Le Fondazioni di impresa in Italia. Rapporto di
ricerca 2019, Fondazione Bracco, Fondazione Sodalitas e Percorsi di secondo welfare, 2019.
ASTRID
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e attività che aiutino a catalizzare risorse economiche, sviluppare idee, sostenere e
aggregare organizzazioni del Terzo settore per affrontare i bisogni emergenti34.
Si tratta di una capacità che appare ancor più fondamentale nell’attuale contesto di crisi
imposto dall’epidemia da Covid-19. Di fronte alle crescenti difficoltà del sistema
pubblico nell’affrontare le nuove e complesse necessità dei cittadini, le Fondazioni si
sono infatti dimostrate pronte a supportare gli enti del Terzo settore (che hanno
anch’essi subito forti contraccolpi a causa del lockdown) sostenendo ovunque possibile
i loro interventi in risposta alla crisi sanitaria prima e quella economica-sociale poi. La
sfida che attende gli enti filantropici nei prossimi mesi è dunque quella, in questo
contesto di crescente difficoltà, di non disperdere quanto capitalizzato fino ad ora
mantenendo e possibilmente rafforzando la propria capacità di dar vita ad azioni
fondate35, strategiche e condivise che alimentino modelli di governance multiattore e
forme di “sussidiarietà reticolare”36 capaci di incentivare il protagonismo degli enti del
Terzo settore quali corpi intermedi di interesse generale.
34 Cfr. L. Bandera, G.P.Barbetta, S. Cima e F. Petrolati, Fondazioni di comunità. L’esperienza di
Fondazione Cariplo, Quaderni dell’Osservatorio, Fondazione Cariplo, n. 31, 2019.
35 Con il termine “fondate” si fa riferimento al fatto che le azioni promosse dalle Fob si basino su
solidi riferimenti teorici ed empirici e vedano il coinvolgimento di professionisti esperti (interni o
esterni all’organizzazione) in grado di validarle. Per approfondire il punto si rimanda a E. Cibinel,
Dall’innovazione al cambiamento: una nuova sfida per le Fondazioni di origine bancaria, in F.
Maino e M. Ferrera (a cura di), Nuove alleanze per un welfare che cambia. Quarto Rapporto sul
secondo welfare in Italia, Torino, Giappichelli, 2019.
36 A. Quadrio Curzio, Esperienze di comunità, esercizi di democrazia. Il ruolo delle Fondazioni a
vent'anni dalla legge Ciampi, Atti del Convegno, Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio
Spa, Roma, 17 maggio 2019.
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Article
Philanthropic foundations are seen as enterprises committed to building what they view as a better world. Their visions of a better world are described in terms of social values that represent preferred end states for society or means of achieving such states. This article describes a procedure in which a foundation's espoused social values, made explicit, may serve as a referent to evaluate the foundation's performance. The process by which social values are determined is offered as a means to promote critical and reflective discourse not only within the foundation but with the public, especially those affected by the foundation's work.
  • . L Cfr
  • Welfare Bandera
  • Comunitario
Cfr. L. Bandera, Welfare Comunitario: dinamiche ed esperienze su cui riflettere, Rivista Solidea, n. 1, 2019.
Fondazioni di origine bancaria sono legate ai rendimenti dei loro patrimonidove un ruolo molto significativo è rivestito dalle azioni delle banche conferitarie -che, in questi anni di turbolenze finanziarie, sono tendenzialmente calati
  • Delle Le Erogazioni
Le erogazioni delle Fondazioni di origine bancaria sono legate ai rendimenti dei loro patrimonidove un ruolo molto significativo è rivestito dalle azioni delle banche conferitarie -che, in questi anni di turbolenze finanziarie, sono tendenzialmente calati. Per comprendere e approfondire storia, sviluppo e meccanismi che regolano il sistema della Fob si rimanda a: G.M. Cavaletto, Il welfare in transizione. Esperienze di innovazione attraverso le Fondazioni, Torino, Giappichelli, 2015; L.
Le Fondazioni di impresa in Italia. Rapporto di ricerca 2019, Fondazione Bracco, Fondazione Sodalitas e Percorsi di secondo welfare
  • O Cfr
  • C Gregorio
  • F Lodi Rizzini E
  • Maino
Cfr. O. De Gregorio, C. Lodi Rizzini e F. Maino, Le Fondazioni di impresa in Italia. Rapporto di ricerca 2019, Fondazione Bracco, Fondazione Sodalitas e Percorsi di secondo welfare, 2019.
Esperienze di comunità, esercizi di democrazia. Il ruolo delle Fondazioni a vent'anni dalla legge
  • A Quadrio Curzio
A. Quadrio Curzio, Esperienze di comunità, esercizi di democrazia. Il ruolo delle Fondazioni a vent'anni dalla legge Ciampi, Atti del Convegno, Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, Roma, 17 maggio 2019.