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FAGGIOLI, R (2011), FARE ESPERIENZA SULLA PELLE. LA FORMAZIONE DI ESPERIENZA
PROFESSIONALE NEI DOCENTI NEOASSUNTI DI SCUOLA DELL’INFANZIA. ENCYCLOPAIDEIA,
JOURNAL OF PHENOMENOLOGY AND EDUCATION 29, XV. BONONIA UNIVERSITY PRESS
Fare esperienza sulla pelle.
La formazione di esperienza professionale nei docenti
neoassunti di scuola d’infanzia
Raffaella Faggioli
Scuola Primaria “P. Bertolini” – Zola Predosa (BO)
ABSTRACT
Gli studi sui processi di formazione iniziale degli insegnanti sono molteplici, ma lo sviluppo del
processo di formazione professionale in un contesto reale, potenzialmente assai rilevante, è un
fenomeno poco analizzato in Italia, per lo meno all’interno di una prospettiva qualitativa,
permeabile alla rappresentazione che ne hanno i protagonisti stessi. L’articolo vuole sollecitare
questa angolazione del dibattito, offrendo, come spunto, i dati emergenti da una ricerca Grounded
Theory, che ha, come focus, i significati attribuiti dagli insegnanti di scuola dell’infanzia alla
formazione di esperienza professionale iniziale. La specificità metodologica del lavoro è data dalla
postura del ricercatore: un’insegnante. I risultati della ricerca suggeriscono una struttura di
significati centrata su due categorie che descrivono la formazione di esperienza come un processo
adattivo, situato e, d’altra parte, strettamente connesso alle relazioni fortuite occorrenti tra esperti
e inesperti. Relazioni che sembrano esprimersi all’interno di una sorta di paradosso nel quale pare
essere imprevedibilmente alienata l’idea dei partecipanti di poter contribuire al miglioramento.
Elementi che incalzano riflessioni critiche e domande ulteriori.
Parole chiave: Scuola dell’Infanzia – Docenti – Formazione Iniziale – Esperienza Professionale –
Inserimento
Doing experience on skin. The formation of professional experience in newly hired preschool
teachers.
FAGGIOLI, R (2011), FARE ESPERIENZA SULLA PELLE. LA FORMAZIONE DI ESPERIENZA
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Numerous are studies on initial education processes of teachers but the development of professional
training in a real context, potentially very relevant, is not an analyzed phenomenon in Italy,
especially in relation with a qualitative point of view, which is permeable to participants’
representations of it. The article would like taking into account this point of view, giving, as
indications, meanings preschool teachers give to training of initial professional experience. The
methodological specificity of the contribution is the researcher’s posture: a teacher. Research’s
results suggest a meanings’ structure centred on two main categories that describe the training of
experience as an adaptive process, situated, and, on the other hand, strictly connected to fortuitous
relationships occurring between experts and laypersons begginers. Those relationships seem
having meaning within a sort of paradox where participants’ idea of being able to enhance work
context is unforeseeably alienated. Those elements propose further critical questions.
Keywords: Preschool – Teachers – Initial Training beginners teacher’s training – Professional
Experience - Induction
Introduzione al tema: la formazione iniziale dei docenti neoassunti
La crescente attenzione europea al tema della formazione dei docenti - in un panorama di
governance variegato e complesso - è sottolineata da una considerevole produzione di documenti e
indagini. Già nei documenti di Eurydice del 2002 e del 2004 si segnalava la questione urgente della
trasformazione della classe docente in relazione al flusso in uscita delle vecchie generazioni e il
problema della mancanza di attrattiva della professione. Nel Quaderno Bianco
1
è stimato un
prevedibile turn over del 34% e 44% del corpo docente nei prossimi 15 anni. Valore che coglie solo
in parte l’entità del cambiamento che la scuola italiana conoscerà nel presente decennio e
indirettamente rimarca il tema della tenuta dei sistemi scolastici e del loro miglioramento.
Considerando l’evoluzione del processo nel mondo nord americano - iniziato e gestito da più di un
ventennio - la razionalizzazione dei criteri per le assunzioni, la qualità della formazione iniziale e
sul campo, paiono decisive alla luce delle incombenti sfide educative assegnate ai sistemi europei.
L’indagine sul profilo degli insegnanti italiani, sintetizzate nel Rapporto Annuale redatto
dalla Fondazione Agnelli (2008), indica alcune criticità: l’invecchiamento del corpo docente, la
frammentazione formativa dei curricula in ingresso, l’inefficacia delle strategie d’insegnamento e
l’insoddisfazione per i meccanismi di reclutamento e retribuzione. Gli insegnanti assunti nelle
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scuole italiane negli ultimi anni sono per il 60% privi di laurea nella scuola dell’infanzia mentre il
56% degli insegnanti di scuola primaria non ha mai completato un percorso universitario, in
entrambi gli ordini hanno, però, maturato esperienza professionale attraverso lunghi iter di
precariato (una media di circa 5 anni di precariato, con punte molto più alte in Italia meridionale).
A fronte di tale percentuale di docenti neoassunti privi di preparazione universitaria, il Decreto
ministeriale n. 61 del 10 luglio 2008 prevede un ambiente formativo obbligatorio rivolto a tutte le
tipologie di insegnanti neoassunti (dall’infanzia alle superiori). Si tratta di una formazione che si
sviluppa nell’arco dell’anno, cosiddetto, di prova, quello che segue la nomina in ruolo; le attività
formative previste sono di un massimo di 40-50 ore, articolate in 20-25 ore in presenza e 20-25 ore
di e-learning. Lo sviluppo della professionalità docente nell’anno di prova, si realizza poi all’interno
dell’istituzione scolastica, quale sede naturale di confronto e di condivisione delle scelte educative;
qui il neoassunto è affiancato da un insegnante più esperto, detto tutor, che dovrebbe accompagnare
il candidato durante l’anno ma che non ha alcun rapporto con l’ambiente di formazione
obbligatoria. Il candidato, oltre ad operare nell’ambiente integrato e-learning/presenza, deve
documentare l’esperienza con una relazione finale discussa davanti al “comitato di valutazione”,
composto da personale di ruolo interno all’istituzione in cui opera e presieduto dal dirigente
scolastico dell’istituzione di appartenenza.
L’esperienza di formazione italiana è monitorata nell’ambiente PuntoEdu
2
e presenta dati
quantitativi interessanti: l’esperienza della frequenza al corso obbligatorio risulta adeguata alle
aspettative dei neoassunti per la maggioranza degli intervistati; il rapporto tra docenti neoassunti e
colleghi, tutor o anziani, è considerato una componente essenziale nella formazione in servizio, la
percentuale di risposte è notevolmente superiore al valore raggiunto dalla formazione teorica
frontale e online (86,7% contro il 70%). Il tema della formazione sul campo e del rapporto tra
esperti e inesperti, è dunque centrale. Una questione ribadita anche dalle numerose ricerche
internazionali sul tema del mentoring.
Gli scopi del lavoro
Il presente contributo riguarda le caratteristiche di questa fase della formazione, detta sul campo, e
restituisce i dati e le analisi ricavate da una ricerca sull’esperienza di formazione dei docenti
neoassunti di scuola dell’infanzia, che ho condotto nella Provincia di Bologna. Una direzione di
ricerca che si sostanzia con un’ambizione specifica, dovuta alla mia particolare posizione: sono
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un’insegnante – non insegno nella scuola dell’infanzia ma ovviamente sono direttamente implicata
e coinvolta nella discussione sulla qualità della formazione e sulla professionalità docente. La mia
attenzione a quel particolare fenomeno è, dunque, motivata da un vissuto professionale ingombrante
ma concreto e dal desiderio di individuare possibilità di trasformazione impreviste. La difficoltà
metodologica più evidente, determinata dalla mia posizione di insider, è assunta in partenza come
una tonalità specifica della ricerca: indagare fenomeni messi in luce da pressioni e urgenze
percepite direttamente con l’intento di trovarne possibili direzioni trasformative; sfida questa che ha
preteso un faticoso lavoro di esplicitazione della sostanza di queste pre-comprensioni per poi
sospenderne l’evidenza, alla ricerca di un fenomeno che non si intendeva comunque alla portata
dello sguardo. Questa disagevole posizione mi è parsa essere, in questo particolare momento
storico, interessante se paragonata alla tensione emancipatoria del nativo, protagonista dell’insider
research, con tutte le implicazioni metodologico-politiche di questo approccio.
3
La domanda di ricerca nasce, infatti, nel caldo autunno del 2008, quando il dibattito politico
italiano è acceso dalle novità introdotte dalla Legge 133 del 6 agosto 2008, e il Decreto Legge 137
dell’1 settembre 2008 (convertito nella Legge 169, 30 ottobre 2008.)
4
Un dibattito provocato da scelte economico politiche, argomentate attraverso una prepotente
delegittimazione della qualità del lavoro docente in relazione alla spesa nazionale per la scuola
pubblica (campagna avvenuta di concerto all’approvazione legislativa, attraverso un utilizzo
compulsivo dello spazio mediatico, corroborata da ipotesi dedotte da indagini di tipo economico e
rilevazioni internazionali, fra tutte OCSE-PISA). Un clima nel quale pareva che l’interesse dei
poteri forti si concentrasse nel ribadire la marginalità culturale e politica della categoria docente, in
favore di un impegno a modificarne dall’alto le lacune.
La scelta di ascoltare le voci degli insegnanti neoassunti in quel particolare clima non fu,
però, provocatoria, piuttosto maturata nella sensazione cogente che la qualità della formazione in
ingresso, e non solo la quantità degli ingressi, fosse, comunque, una preoccupazione resistente tra i
docenti, aldilà della polemica politica, e che ciò costringesse a una riflessione seria; d’altra parte
una scelta segnata da un’esigenza di rigore nell’approccio di ricerca. Posizione che costringeva a
esplicitare le assunzioni alla base del processo epistemico, e a porre in discussione le implicazioni
politiche del mio approccio. Luigina Mortari sottolinea come
la visione della conoscenza, così com’è concepita dal costruttivismo, introduce nel fare
scienza, il problema di una scienza con coscienza, che impone al soggetto epistemico di
interrogarsi sul senso delle teorie che va elaborando e delle conseguenze che essa può
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comportare, non solo in termini epistemologici e scientifici ma pratici, sociali e politici. […]
Il ricercatore, quindi, sia che si muova sul piano della ricerca teoretica sia di quella empirica,
non può non fare propria la responsabilità etica che consiste nel vigilare e rendere
trasparente, e perciò negoziabile, il processo epistemico attivato.” (Mortari, 2007, p. 227)
Il mio approccio alla pedagogia e alla ricerca in educazione è segnato dalla mia formazione
e relazione con la fenomenologia, in particolare dal lavoro e dagli studi di Piero Bertolini e dei suoi
allievi. L’indagine scientifica in educazione è motivata, non tanto, a conoscere
“la realtà esterna in quanto presuntivamente dotata di strutture oggettive e assolutamente
vere; (…) ma come un processo dinamico e dialettico (dunque storicamente condizionato)
nel quale ciò che conta è la relazione tra soggetto e oggetto e di conseguenza l’essere in
quanto si manifesta e si rivela” (Bertolini, 1998, p. 337).
Un approccio prevalentemente qualitativo al fenomeno educativo che, come ben chiarisce
Bertolini stesso, è volto a “cogliere gli aspetti soggettivi (e intersoggettivi) che qualificano la realtà
umana” nella convinzione che ciò che interessa indagare “sono i vissuti, le rappresentazioni e le
visioni del mondo di coloro che ne sono i protagonisti” (Bertolini, 2006, p. 412). Nonostante la
seduzione che l’approccio critico ha esercitato su di me, nativa e coinvolta in queste particolari
circostanze storiche, l’interesse o, meglio ancora, la fedeltà al fenomeno o ai fenomeni oggetto della
mia domanda di ricerca pareva concretizzarsi meglio attraverso una difficile - talvolta dolorosa -
operazione di sospensione della mia postura critica, politica e biografica, in favore di un’apertura a
sguardi altri e posizioni altre, nonché a improvvisi ribaltamenti. Una sospensione che è stile
fenomenologico, ma anche politico: liberandomi da costruzioni e schemi predefiniti, addirittura da
vincoli ideologici, potevo forse ritrovare quella molteplicità di significati (che chiamo democratica)
dai quali esercitare, infine, una qualche considerazione critica e politica cogente.
L’oggetto della presente ricerca è, dunque, l’esperienza di formazione professionale sul campo,
intendendo con questo termine indicare le diverse dimensioni che caratterizzano la formazione di
esperienza in un contesto reale. Una definizione volutamente ampia, sottratta provvisoriamente ai
modelli teorici pedagogici e psicologici a buon diritto inclusi nella letteratura sul tema - ma aperta e
flessibile a essere ripensata ed eventualmente co-costruita solo alla fine del processo di analisi, con
l’ambizione che tale ri-costruzione potesse attivare processi di miglioramento condivisi. Ho inteso
quindi:
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- “penetrare” il fenomeno dell’inserimento lavorativo nei luoghi in cui esso accade, a partire
dal main concern dei soggetti coinvolti;
- esplorare un ambiente lavorativo scolastico nei suoi meccanismi, categorie, relazioni, che
originano quello che i soggetti considerano l’essere capaci, ovvero la competenza
professionale;
- cominciare a delimitare il possibile significato, o i significati, che i soggetti in quel contesto
attribuiscono al concetto stesso di formazione di competenza professionale.
Riflessioni metodologiche: la Grounded Theory
Il passaggio successivo, la scelta del metodo di ricerca, è stato dettato da alcune considerazioni
conseguenti la postura sopra descritta e il fenomeno oggetto del mio interesse:
- la dinamicità del processo di formazione iniziale sul campo;
- la centralità della comunicazione, quindi del linguaggio, nella significazione della
costruzione delle competenze iniziali;
- la necessità di una presa di distanza cognitiva che un processo descrittivo-analitico, ricorsivo
poteva garantirmi;
- l’obiettivo di utilizzare le emergenze del percorso di ricerca assieme ai protagonisti della
ricerca stessa.
Per questo motivo il metodo Grounded Theory (GT) utilizzato per la costruzione del progetto di
ricerca, l’analisi e la raccolta dei dati, mi è parso coerente con la mia postura di ricerca - almeno in
relazione all’approccio costruttivista che si riferisce all’esperienza metodologica della ricerca
sociale rappresentato da Kathy Charmaz (2005) - nella specificità del fenomeno di mio interesse.
Come ha sottolineato Luigina Mortari, “che la Grounded Theory interpreti, anche se non
dichiaratamente, la postura fenomenologica è evidente dal momento in cui l’obiettivo di questo
metodo di ricerca viene identificato nel costruire una teoria che sia fedele all’area di indagine”
(Mortari, 2006, p. 151). Un realismo non oggettivistico che nell’approccio della GT costruttivista
intende la conoscenza come “frutto di una costruzione reciproca fra il ricercatore e i soggetti della
ricerca e quindi pone al centro dell’indagine come dati di ricerca più che i fatti la dimensione del
significato” (Tarozzi, 2008, p. 34).
A livello metodologico essa implica una straordinaria complessità, il ricercatore è piantato a
terra, non elabora ipotesi astratte nel silenzio del suo studio, deve restare fedele al dato così come si
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presenta, tuttavia nel procedere euristico intravede delle categorie che sono la traccia concettuale
delle relazioni tra i vari significati dati al fenomeno, rinvenute attraverso un’analisi che non è
soggettiva ma intersoggettivizzata dal rapporto con i dati e con i soggetti dai quali tali dati
provengono. È in questa costante ed esplicita comparazione tra categorie induttivamente emergenti
e dati raccolti che si stabilisce la coerenza e il rigore del metodo.
La GT ha, poi, l’ambizione di produrre risultati rilevanti per chi opera in quel campo e poter
essere trasformabile in decisioni e cambiamenti e, proprio per questo, mi pareva prestarsi agli
obiettivi di un’insegnante. Le caratteristiche metodologiche della GT sono, comunque, tali da
restituire rilevanza teorica anche al di fuori del campo indagato, cioè sono potenzialmente in grado
di far emergere una teoria radicata sui dati, quindi empirica, e allo stesso tempo aperta al confronto
e alla riflessione con modelli teorici generali, elemento più che rilevante per gli obiettivi di un
ricercatore.
Le strategie di raccolta dati
Sia le strategie di raccolta dati che le caratteristiche del campionamento sono state disegnate in una
fase iniziale e continuamente ripresi lungo il percorso di analisi e codifica, così come il metodo
della GT suggerisce.
Gli strumenti di raccolta progettati in modo diversificato a seconda della fase del processo:
- osservazioni etnografiche in contesto formale e codifica delle note di campo nella fase
iniziale, per l’individuazione dei temi ricorrenti e dei soggetti ritenuti utili al
campionamento finalizzato;
- l’analisi testi extant per la progettazione delle interviste e l’analisi del linguaggio da
utilizzare nella costruzione e nella conduzione delle interviste;
- nella fase di raccolta dati vera e propria si sono scelte invece interviste aperte rivolte al
campionamento finalizzato, registrate;
- infine le interviste strutturate registrate, rivolte al campionamento teorico, dirette alla
saturazione dei dati emergenti.
La prima fase di ricerca è costituita da un’osservazione partecipata delle sedute del Comitato
di Valutazione, il comitato che per legge dispone del superamento dell’anno di prova. I soggetti
partecipanti dell’osservazione erano tutte donne: 12 candidate all’esame finale dell’anno di prova (5
insegnanti di scuola dell’infanzia e 7 di scuola primaria); 4 membri stabili del comitato di
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valutazione (tre insegnanti esperte di scuola primaria e 1 di scuola dell’infanzia); 1 dirigente
scolastica; 5 tutor (insegnanti esperti di scuola dell’infanzia 2 e insegnanti di scuola primaria 3) che
seguivano le candidate durante l’anno di prova e accompagnavo durante il colloquio finale.
L’analisi delle note di campo ha permesso di focalizzare l’attenzione sulla relazione tra
neoassunte e tutor, relazione all’interno della quale pareva esprimersi più vistosamente
l’attribuzione di significato all’idea di competenza.
Le note e i memo metodologici sottolineano alcune questioni che ho trovato interessanti: il
comitato è l’organismo che dovrebbe valutare il profilo dei docenti durante l’anno di prova. Tale
valutazione, continuamente esplicitata nei passaggi comunicativi interni al comitato di valutazione
(quando la candidata non è presente), è espressa nella comunicazione diretta con la candidata solo
se questa è ritenuta “brava”. Il comitato pare negoziare internamente questioni relative alla qualità
del profilo atteso, ma contemporaneamente non si sente autorizzato a esprimerle, se non attraverso
sfumature e toni o giudizi di tipo relazionale: umile, disponibile, attento (dove il maschile non è
mio). Il non detto o, meglio, il non legittimamente ammesso, rivela, invece, caratteristiche salienti
di questo processo.
La costruzione e la conduzione delle interviste per la raccolta dei dati, così come è stata
utilizzata in questo lavoro, hanno messo in gioco tutte le implicazioni e i limiti della mia particolare
posizione di insider. Una lunga riflessione sui risultati ottenuti nelle prime interviste di prova ha
evidenziato quanto lo strumento dovesse e potesse adattarsi alla specificità della ricerca, pena una
dolorosa perdita di qualità e di ricchezza dei dati (Sorzio, 2005). L’intervista è il luogo in cui la
distanza e il coinvolgimento, la relazione tra i soggetti (intervistato e intervistatore) nonché la loro
rappresentazione sociale, sembrano realizzarsi nel modo più evidente. L’idea iniziale di
minimizzare la mia posizione all’interno delle istituzioni scolastiche, oltre a rischiare di essere
eticamente poco corretta, mi portava paradossalmente a neutralizzare anche il mio interesse per i
partecipanti e per il tema stesso. Nel contributo di Andrea Fontana e James Frey “From natural
stance to political involvement” (Fontana & Frey, 2008) gli autori analizzano gli sviluppi storici
dell’intervista nella ricerca qualitativa a partire da una necessaria presa di distanza da un’idea di
intervista neutrale. Essi propongono, tra gli sviluppi possibili, un’idea di intervista empatica, non
diretta a estrarre significati manipolando il contratto di fiducia implicito nell’atto comunicativo, ma
piuttosto a far emergere le voci degli intervistati con una posizione etica in favore dei gruppi e dei
soggetti studiati. Il fatto di esplicitare la mia intimità con i temi, i problemi presentati, ha
sicuramente performato la direzione delle interviste, permettendo di ottenere una imprevedibile
immediatezza nel linguaggio e una disponibilità dei partecipanti ad affrontare senza troppi pudori
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temi scabrosi ma a mio avviso essenziali. Kathy Charmaz (2004) osserva quanto e con quale
profondità sia necessario entrare in relazione con le persone intervistate, in modo tale che esse
esprimano la loro rappresentazione di vissuti intimi e profondi.
La struttura delle interviste utilizzate per la raccolta dei dati ha avuto, dunque, una direzione
empatica.
Da intervista a N2, dicembre 2008:
R: Da quanti anni lavori qui in questa scuola?
N2 praticamente sono qui a Bologna da otto anni, di cui due sono stata a Y (nome comune) poi a Z
(nome comune) poi sono venuta qua e da allora insomma ho sempre fatto supplenze qui…
R: hai sempre lavorato nella scuola dell’infanzia?
N2: sì sì, sempre scuole dell’infanzia, solo all’inizio visto che sono anche nella graduatoria della
primaria, ho fatto delle supplenze, ma però è stata la prima esperienza poi del resto io provengo
dalla privata, e quindi di conseguenza avendo punteggio per l’infanzia ho sempre privilegiato
questo ordine di scuola… poi del resto mi piace quindi
R: tu hai fatto… quindi sei entrata in ruolo con il concorso?
Le interviste del campione teorico sono state focalizzate solo su alcuni temi individuati nella
codifica, in questo caso le domande erano più restrittive ma la forma dell’intervista sempre attenta a
questo principio di apertura relazionale e legittimazione.
Il campionamento finalizzato e teorico
Il data collection è guidato da un purposive sampling: soggetti ritenuti rilevanti sulla base della
domanda di ricerca. In questo particolare caso individuati attraverso il procedimento analitico delle
note di campo e dell’analisi dei testi sopra descritte. Nei passaggi successivi il campionamento
teorico prende nuove forme e si direziona verso domande e soggetti che elaborino ulteriormente le
relazioni tra i dati già in possesso.
Il purposive sampling ha compreso insegnanti neoassunti privi di esperienza pregressa (2),
insegnanti esperti tutor di docenti neoassunti (2), e insegnanti neoassunti con anni di precariato alle
spalle (1). Un campione che si è caratterizzato, in questa fase, con una delimitazione del contesto di
ricerca a una sola istituzione della provincia bolognese; scelta dovuta all’esigenza di facilitare il mio
accesso al campo, e soprattutto all’esigenza di utilizzare il feed back della ricerca per un progetto di
formazione dei neoassunti interno all’istituto.
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Il campionamento teorico
Nel corso di questo lavoro la direzione dei dati mi ha portato ad aprire il setting ad altri
contesti e a muovere dall’idea iniziale di formazione di esperienza nei primi anni di ruolo verso una
domanda di ricerca focalizzata sulla formazione di esperienza nei primi anni di lavoro nella scuola
dell’infanzia, tout court, a prescindere dall’assunzione (2 soggetti intervistati). Inoltre il campione si
è spostato anche verso categorie di soggetti che ancora non sono in servizio nella scuola
dell’infanzia ma stanno affrontando la formazione sul campo attraverso il tirocinio universitario (1
soggetto), considerata la lacuna riscontrata in relazione alla formazione teorica esplicita.
Nel passaggio insisto, però, nel tenere aperta la comparazione tra i dati provenienti da
insegnanti esperti (2 soggetti intervistati) e insegnanti di ruolo inesperti (1 soggetto intervistato),
perché questo mi permetteva di far dialogare i significati espressi dalle due posizioni, conservava
sensibilità rispetto alle dinamiche di mentoring, questione che, nell’analisi, risultava essere
progressivamente centrale ma densa e opaca.
Analisi dei dati
A partire dai principi della GT le osservazioni radicate nei dati concretizzano la direzione
dell’analisi (Cherubini, 2008). A partire dalla codifica aperta, fino all’organizzazione e
gerarchizzazione della codifica focalizzata e teorica, i dati si prestavano facilmente a una
classificazione o, meglio, era molto facile individuare dei gruppi di significato ma tali gruppi erano
fortemente invischiati l’uno all’altro, pertanto una loro suddivisione netta poteva sembrare
arbitraria.
N2: la mia preoccupazione era quella di non riuscire a gestire il gruppo… e poi comunque… sono
sempre stata sempre umile… diciamo come persona, ho sempre valorizzato, persone che avevano
più esperienza di me, quindi di conseguenza… ho fatto tesoro dei loro consigli e tutto quanto. Io
nella mia prima esperienza mi hanno preso in prova (ndr si parla di scuola privata), quindi dovevo
dimostrare e la cosa che mi ha fatto veramente piacere… è stata quella che, io non avevo
esperienza quindi avevo tanto da imparare però avevo la volontà, ci credevo e quindi di
conseguenza quella che osservava, l’insegnante che aveva più esperienza che l’avevano presa
proprio per decidere chi doveva rimanere perché lì è un terno al lotto… perché lì la possibilità non
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c’è quindi per il punteggio si fanno grossi sacrifici… di conseguenza… io non ho mai percepito
nulla se non cento mila lire che all’epoca erano niente… non servivano neanche…
R: lavorarvi gratis
N2 praticamente lavoravo gratis… e questa ha detto che le altre praticamente non… facevano…
ma non… non con tanta voglia, con tanta volontà, invece questa ha apprezzato la mia umiltà a
iniziare questo percorso.
Come esemplificato nella porzione di intervista riportata le azioni intraprese nella fase di
formazione iniziale, erano basate in gran parte sull’osservazione di insegnanti esperti e sulla
costruzione di relazioni di aiuto e di supporto ma questo tipo d’azione era considerata possibile in
presenza di caratteristiche soggettive e attitudinali, come la disponibilità e l’umiltà. Le etichette
aperte suddivise in gruppi di significato tra “risolvere problemi” e “essere una brava insegnante”
parevano strettamente connesse, a volte non distinguibili; questione che si riscontrava anche nelle
interviste delle esperte.
T2: la fatica delle nuove è prendersi il tempo, la fatica di osservare prendersi il tempo con i bimbi
per vedere la situazione… le persone motivate hanno un po’ questa fretta di fare di dimostrare di
proporre ai bimbi, di produrre un po’ questo. Ho notato che quando invece riescono a prendersi
questo tempo quindi a osservare anche chi ha più esperienza per poi chiedere delle cose per poi
farle proprie… perché poi non è che devono seguire. È questa per me un po’ la chiave, riuscire a
prendersi il tempo fa molta fatica perché si sente come se è lì e non fa niente, capito, si sente
inadeguata incapace, invece io insisto molto su: prenditi il tempo, ti devi prendere il tempo quando
ti senti nel clima quando ti senti proprio che fai parte del gruppo, quando ti senti integrata davvero
a quel punto poi incominci ma non aver fretta.
La gerarchizzazione e messa in relazione dei concetti emergenti nella codifica focalizzata e
teorica conferma la suddetta polarizzazione. Sono due le direzioni di significato che raccolgono i
concetti emergenti: a) le azioni intraprese per l’iniziale costruzione di competenze e b) il profilo
biografico e attitudinale dell’insegnante. Sia per quantità sia per complessità, alcuni concetti
sembrano essere più decisivi di altri all’interno delle macrocategorie. I gruppi di significato
individuati all’interno delle due macrocategorie sono delimitati semanticamente al loro interno ma
condizionati da altrettanti gruppi esterni appartenenti all’altra macrocategoria: per esempio
osservare gli insegnanti esperti per imparare è un’azione importante, tuttavia è condizionata dalla
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relazione instaurata con l’insegnante osservato o osservante (molto spesso dalla caratteristica
attitudinale dell’umiltà, disponibilità e apertura).
Gli elementi cosiddetti attitudinali sono sintetizzati in un concetto che io ho chiamato profilo
percepito. In secondo luogo, le interviste raccoglievano descrizioni di esperienze centrate sul
concetto di problema, “incontrare problemi e risolvere problemi”; nella macrocategoria “processi di
formazione di esperienza” ho, quindi, raggruppato e classificato tutti i dati relativi ai significati
attribuiti a queste azioni. All’interno di quest’ultima, le azioni intraprese per costruire relazione tra
insegnanti esperti e inesperti sono predominanti e descritte attraverso azioni che definiscono
problemi e soluzioni di problemi: sostegno - mancato sostegno, aiuto - chiusura, supporto – critica,
ecc. All’interno di questi è, comunque, numericamente predominante l’idea di osservazione degli
insegnanti esperti, concetto che talvolta sfocia nell’imitazione.
Tabella 1 Codifica focalizzata
CATEGORIA
INDICE CODIFICA
ESSERE NEOASSUNTI
28
avere esperienze lavorative altre
3
non avere formazione universitaria
1
età elevata
1
non avere esperienza: supplenti
1
provenire dal precariato
22
COME MAI QUI?
18
cogliere l'occasione
11
provare piacere
3
sentire la missione
2
voler fare la maestra
2
ESSERE BRAVI INSEGNANTI
61
avere capacità di gestione
2
(NEOASSUNTI O INESPERTI)
avere iniziativa
1
avere motivazione
17
essere aperti
5
essere bravi
1
essere determinati
2
essere disponibili
2
essere puntuali
1
essere tranquilli
3
essere umili
9
essere versatili
1
sapersi mettere in discussione
7
non essere polemici
4
non essere troppo propositivi
1
saper decentrare
6
USARE MODELLI OPERATIVI
18
avere una visione burocratica della
scuola
1
mettere il bambino al centro
5
usare strategie di lavoro con schede
2
usare metodi poco innovativi
10
INCONTRARE PROBLEMI NEL CONTESTO
EDUCATIVO
10
doversi mettere in discussione
1
scontrarsi con i bambini reali
8
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difficoltà a creare ambiente positivo
1
INCONTRARE PROBLEMI
6
scontrarsi con i tempi decisionali
3
CONTESTO ISTITUZIONALE
scontrarsi con la burocrazia
2
non trovare soddisfatto il bisogno di
aggiornamento
1
RELAZIONE ESPERTE/INESPERTE
55
mettersi in relazione d'aiuto
15
proporre relazioni alla pari
17
proporre relazioni asimmetriche
23
RISOLVERE I PROBLEMI ATTRAVERSO la
relazione E/I
25
affiancare
9
chiedere
5
condividere
5
confrontarsi
5
seguire i consigli
1
RISOLVERE I PROBLEMI CON AZIONI
INDIVIDUALI
20
conoscere la burocrazia
1
fare aggiornamento
1
fare cose pratiche
6
usare strategie di gestione
1
usare metodo poco innovativi
1
imparare con l'esperienza
3
strategie di gestione delle dinamiche
2
strategie di lavoro con schede
2
studiare
2
RISOLVERE I PROBLEMI ATTRAVERSO
L’OSSERVAZIONE
22
osservare il bambino
1
osservare gli esperti
19
RISOLVERE I PROBLEMI CON AZIONI
ISTITUZIONALI
presentare la scuola
1
Tornare nello stesso posto
8
TOTALE
273
Le macrocategorie e il modello emergente
I due nuclei centrali rappresentati dal profilo attribuito o percepito e dai processi che intervengono
nella costruzione di esperienze, sono compresi, quindi, all’interno di attribuzioni di significato che
solo superficialmente sembrano essere distinte. La seconda strutturata e strutturabile, la prima
accidentale e occasionale, dettata dalla presenza o dall’assenza di caratteristiche ritenute
indispensabili ma non intenzionalmente formate né formabili: la disponibilità, l’apertura, l’umiltà,
l’occasione lavorativa, la sede di servizio, ecc. Più profondamente, però, le relazioni tra esperte e
inesperte, sulle quali si basano molti degli elementi utili alla soluzione di problemi, quindi i processi
di formazione di esperienza, dipendono dalle caratteristiche caratteriali dei soggetti stessi. Infine,
tali caratteristiche si polarizzano su attributi relativizzati, cioè significati da giudizi formulati in
relazione (disponibilità, umiltà, sapersi mettere in discussione, ecc). La motivazione si descrive
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attraverso azioni di richiesta d’aiuto e modalità operative esplicite, connesse con atteggiamenti di
disponibilità e umiltà, posti in relazione con attitudini quasi vocazionali “devi voler passare
qualcosa agli altri”. Non c’è ricorso alla formazione come strategia di soluzione dei conflitti o delle
divergenze “solo noi anziane andiamo ai corsi”, piuttosto un bisogno immediato di pratiche,
“devono far vedere che producono”, “lavorano come in ufficio”.
Il modello parrebbe, quindi, descrivere un sistema di significati che nella loro relazione
reciproca si muovono in direzione ambigua e paradossale. La sintesi di questa sensazione analitica
giunge da un’affermazione: l’esperienza si fa sulla propria pelle (soprattutto si impara con
l’esperienza cioè è lì… perché molte volte leggi delle cose però poi nella realtà ti ritrovi delle
situazioni che vanno gestite al momento. Ci stanno diversi suggerimenti che magari uno può aver
letto da qualche parte però ogni esperienza si fa sulla propria pelle…) Nel testo originale
dell’intervista sopra citato, il senso dell’affermazione riguarda una considerazione generica, un
luogo comune, il fatto che la giovane insegnante avesse bisogno di situazioni qui e ora e che la
formazione di esperienza fosse, comunque, un percorso pratico individuale (o lasciato
all’individuo). La forma linguistica, però, è radicata al suo significato letterale ed evoca un’idea che
accoglie l’ambiguità e la vischiosità dei dati: l’idea di pelle. Il significato di formazione di
esperienza verso il quale si direzionano i dati pare essere una formazione fatta a proprie spese,
senza sconti, e contemporaneamente in relazione costante con altri; la pelle di cui si parla non è solo
quella dei singoli soggetti, ma pare essere quella dei colleghi e dei bambini. Un’idea di formazione
professionale quasi dettata da questioni soggettive, di pelle, attitudini, carattere, occasioni, storie da
una parte e, dall’altra, un’esperienza strutturata attraverso processi intersoggettivi, ancora una volta
di pelle. Ma la prima tensione tende a condizionare la seconda e viceversa. L’espressione, dunque, è
qui riutilizzata a riassumere un procedere ambiguo e contraddittorio dei dati.
Nell’interpretazione delle relazioni reciproche che occorrono tra le categorie del modello ci
si ritrova intrappolati in una visione del processo che se sottolinea la centralità dell’osservazione
degli esperti, la relazione di aiuto e supporto del team, ma tale centralità è considerata possibile in
un “solo se”.
Figura 1 Il modello emergente
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Discussione
Fare esperienza sulla pelle: un doppio legame nella comunicazione di
senso?
Il senso della costruzione di esperienze formative nell’inserimento nella scuola pare costruirsi
all’interno di una struttura di significato paradossale. Il concetto di doppio legame individuato da
Gregory Bateson, inizialmente nella famosa ricerca “Naven” del 1958 e poi elaborato da Paul
Watzlavick (1997) e dalla scuola di Palo Alto, rivela la presenza, nella comunicazione, di congegni
chiusi e asfittici, dai quali gli autori ricavano strutture di analisi per interpretare e comprendere la
strutturazione di forme patologiche. La trappola del doppio legame consiste nel rendere impossibile
la determinazione delle rispettive posizioni degli interlocutori in un sistema di comunicazione
circolare e chiuso. In essa gli interlocutori, lanciando all’altro messaggi ambigui, smentiscono se
stessi, rendendo inidentificabile la soluzione ai problemi presentati e anche la propria posizione
(Dallari, 2005). L’ambiguità che si manifesta nel senso e nei sensi dati alla formazione iniziale dei
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docenti inesperti e neoassunti e nella parallela significazione dei docenti esperti, assume a mio
avviso la forma di un doppio legame quando pone in relazione simmetrica e reciproca emergenze di
tipo strutturabile, i processi adeguati alla costruzione di competenze, con elementi dati
occasionalmente e fortuitamente - caratteristiche attitudinali e biografiche - facendo corrispondere
l’una all’altra in un rimando circolare e inestricabile.
Il continuo ricorrere, nel definire le caratteristiche attitudinali adeguate al ruolo - le stesse
che poi permettono di costruire relazioni efficaci alla formazione di esperienza professionale - al
concetto di umiltà, disponibilità e capacità di mettersi in discussione, condurrebbe, per esempio, a
una inevitabile ma grottesca ingiunzione “devi essere umile”, nella quale si stenta a cogliere il
soggetto di tale ingiunzione (umile nei confronti di chi?). “Sii modesto e umile” diventa, quindi,
essenzialmente una modalità di costruzione di relazioni professionali non necessariamente
connotate verso la qualità del lavoro e l’acquisizione di competenze, eppure considerato essenziale
alla formazione delle stesse ma, d’altro canto, ambiguamente rivolta genericamente ad altri da sé.
Così come la necessità di osservare modelli esperti per imparare, si rinchiude nell’occorrenza di
un’attitudine e disponibilità degli inesperti a cogliere tali modelli come efficaci, e degli esperti a
proporli come efficaci, il tutto sulla base del conforto di una relazione umana positiva; la
motivazione è vista dagli esperti nel continuo domandare ma, d’altro canto, solo nella possibilità
degli inesperti di intrecciare legami relazionali nei quali è lecito domandare. Viceversa gli inesperti
considerano l’apertura mentale e l’umiltà una caratteristica necessaria al bravo insegnante esperto
al fine del mentoring: farsi aiutare, osservare sino a copiare, è possibile se la persona è disponibile,
aperta. Se nelle relazioni tra le varie categorie quest’ambiguità si riduce a un meccanismo che
chiamerei adattivo, nella complessiva relazione tra le macrocategorie individuate, questa ambiguità
si rivela espressa da un duplice e contraddittorio senso dato all’intero fenomeno della formazione
iniziale. Il doppio legame espresso nella categoria centrale “fare esperienza sulla pelle”
riassumerebbe, dunque, questa ambivalenza del senso dato al fare esperienza. Un’idea di pelle che,
infine, pare appartenere a tutti e a nessuno, e un’idea di pelle - così ambiguamente definita - da cui
dipendono i processi più rilevanti di costruzione di competenza, dai quali poi dipende la pelle
stessa. In ciascuna di queste delimitazioni si coglie una visione etero - riferita (paradossalmente
generata dalla presenza di elementi soggettivi) del processo di costruzione di competenze
professionali, sia che si tratti della relazione tra esperte e inesperte, sia della relazione inversa. I
tutor “ lasciano da soli”o i “tutor ti danno regole come ai bambini” e, ancora, parlando dei
neoassunti, si dice “chi è motivato chiede, la motivazione sta nel fare domande”, “ se non fai
domande e ti chiudi nella tua classe…”. L’ambiguità che si intravede nel senso dato al fenomeno, il
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come i docenti pensano si sviluppi e si possa sviluppare il fenomeno formazione iniziale degli
insegnanti, assomiglia a qualcosa di fatalmente accaduto o a qualcosa che fatalmente accadrà se. Si
impara osservando i modelli esperti ma per osservare occorre essere aperti (a cosa? E a chi? ), quasi
un “inshallah” corale e generale, seguito da una serie di accidenti. L’abitudine a entrare e uscire
dalle scuole per anni, la vita dei precari, è considerata una soluzione, perché permette di fare
esperienza sulla propria pelle. Ma anche questa possibilità è percepita, all’interno di questi dati,
dipendere dagli stessi meccanismi casuali. Le persone facendo, imparano a fare. Osservando gli
esperti, imparano a operare. Cosa osservano e cosa imparano è relativo al contesto relazionale.
Nulla o poco è pensato derivare dalla riflessione.
La presente analisi sembra descrivere processi di formazione di expertise (Ajello & Ghione,
2000) di stampo cognitivista con competenze professionali situate, fortemente contestualizzate e
relazionali, radicate nelle pratiche sociali, nelle routine, che le plasmano e le modellano. Ed è molto
distante da proposte più articolate come in Perrenoud (1999), in Frabboni (2005) o in Damiano
(2007), a mio avviso omogenee almeno su una questione di fondo: la formazione come progetto,
come proiezione della professionalità in un tempo futuro. I processi adattivi sono schiacciati su
un’attualità che si performa in un futuro che non ha immaginato. Proiettare e progettare competenze
professionali verso una visione etica - facendo leva sulla dimensione deontologica della professione
- in uno sforzo teso verso una società e una comunità futuribile, non è un’ingenua visione
ideologica, ma parrebbe l’unica strategia razionale all’interno del paradigma della complessità,
nell’evanescenza delle strutture e dei bisogni e nella costante dialettica tra caducità dei saperi e
moltitudine delle informazioni (Morin, 1999).
Qui si tratta, invece, di competenze adeguate al contesto educativo in cui i partecipanti
operano, relativamente alla costruzione di relazioni professionali e modelli operativi educativi, e di
adattare caratteristiche soggettive a questi contesti. L’apparente neutralità del concetto di expertise e
l’apparente casualità dei processi di formazione che sembrano emergere in questo lavoro, portano
con sé implicitamente o esplicitamente una posizione teorica e ideologica non neutrale. Identificare
le competenze necessarie alla funzione dell’insegnamento con la capacità di risolvere problemi
pratici attraverso l’esperienza sul campo, in un modello relazionale e situato, attraverso meccanismi
di osservazione e riproduzione di expertise, comporta - almeno implicitamente - una visione
dell’educazione come processo di adattamento del sistema alle occorrenze sociali e culturali della
società e, sempre più spesso, del mercato. Quale è la rappresentazione del mestiere che noi
partecipanti consegniamo almeno implicitamente in questo lavoro?
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Implicazioni teorico-politiche: responsabilità e trasformazione
Se il Legislatore insiste sulla modificazione dei programmi e degli ordinamenti dei vari livelli
dell’istruzione e tenta di portare a compimento un progetto di monitoraggio e valutazione della
qualità della scuola, nel farlo non ha ancora previsto un investimento economico e culturale
straordinario. Distrazione che potrebbe essere interpretata come uno dei tanti sintomi di
schizofrenia teleologica tipica del sistema Paese; qualunque sia l’opinione in risposta a questa
critica, mi pare che la ricerca educativa debba giocare un ruolo più incisivo; una scesa in campo
urgente proprio nei luoghi dove la latitanza delle soluzioni e l’ambiguità delle proposte innovative
non è neppure percepita. Se inizialmente mi sembrava importante porre riparo alla tendenza al
discredito o alla difesa ad oltranza dei sistemi educativi pubblici - attitudine basata spesso su
impressioni generali e teoriche - il limitato contributo di questo lavoro spinge il mio sguardo oltre
questa emergenza: siamo noi insegnanti a essere alienati da pregiudizi e meccanismi occasionali e a
non cogliere il nostro spazio di responsabilità sui processi. Pensare le politiche scolastiche a partire
da dati empirici scientificamente analizzati - a partire dalla scienze pedagogiche dunque e non
soltanto statistiche - e alimentare il dibattito pedagogico sulle politiche scolastiche attraverso analisi
rigorose e dati, sembrerebbe oggi un’azione culturale estremamente difficile ma forte. La forza
della ricerca educativa, infatti, non si manifesta soltanto nel permettere di radicare idee e progetti in
un terreno meglio conosciuto ma è anche nel riportare la tensione trasformativa nel campo
d’indagine, una tensione che è di per sé foriera di miglioramento. A questo mio appello e
conseguente dichiarazione d’impegno, devo aggiungere la constatazione che il dibattito interno,
solo in minima parte originato da esiti di ricerche empiriche, è ancor meno orientato a considerare
esiti che tengono conto della qualità oltre che della quantità dei fenomeni osservati. Si tratta di
ribadire la necessità di compensare con un approccio dal basso, bottom up, i modelli generali sui
quali si costituiscono universi culturali, immagini di competenza professionale - e anche stereotipi.
E, nel farlo, non si vuole semplicisticamente contrapporre il paradigma quantitativo a quello
qualitativo, più realisticamente si intende evidenziare, di entrambi, l’ambizione trasformativa. Dei
metodi qualitativi la capacità di contenere e raccogliere dimensioni sottili e profonde, altri sguardi,
particolarmente interessanti quando si tratta di progettare e riprogettare sistemi sociali reali. La
formazione sul campo potrebbe essere un tema esemplare in questo senso.
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Limiti e sviluppi
Lo studio è basato su un’analisi Grounded Theory, pertanto le proprietà, la codifica e le categorie
emergenti sono relative al contesto in cui è avvenuta la ricerca. Considerando il campione -
individuato all’interno di circoli didattici di scuole statali della provincia bolognese, con
caratteristiche simili almeno ai profili statistici nazionali (Indagine nuovi docenti , 2006; Rapporto
Annuale, Fondazione Agnelli, 2008)
5
ma non sulla base della loro rappresentatività - i risultati di
questa non possono costituire rilevanza al di fuori di quel preciso contesto, inizialmente talmente
circoscritto da poter essere addirittura considerato un’analisi di caso. È necessaria una ricerca molto
più ampia e accurata per poter penetrare profondamente all’interno della percezione della
formazione di professionalità negli insegnanti, cogliere la forza delle relazioni tra i concetti
emergenti, o ancora più precisamente all’interno di questi. La ricerca qualitativa del resto non è
ossessionata dall’idea di sviluppo di una precisa teoria, almeno nella fase embrionale, ma piuttosto è
interessata alla capacità descrittiva di quella teoria in relazione ad un fenomeno, alla sua capacità
generativa e certamente alla sua rilevanza scientifica (Cherubini, 2007).
Il modello che emerge è, dunque, allo stato attuale, una delle possibili sintesi teoriche delle
rappresentazioni dei partecipanti in quel dato contesto: entro questi limiti dovrebbe poter esercitare
una qualche funzione trasformativa.
Nonostante le innumerevoli limitazioni del percorso in relazione agli obiettivi iniziali, credo
di poter concludere che le emergenze non siano irrilevanti: la tendenza dei partecipanti ad attribuire
scarso significato alla formazione teorica e pratica strutturata (al tirocinio universitario, per
esempio) e la prevalenza di modalità adattive e relazionali, la tendenza a rappresentare i processi
come qualcosa che accade sulla propria pelle, descriverebbe una certa cultura della formazione.
L’ambiguità delle politiche sostenute da molte parti, sono elementi che a mio avviso collimano con
questa cultura e hanno poco a che vedere con un’idea di formazione connotata da elementi di
sistematicità o, per lo meno, di intenzionalità. Sarebbe, dunque, essenziale esaminare la portata
delle decisioni politiche all’interno dei sistemi e poter osservare come tali decisioni collaborino alla
costruzione di modelli professionali e culturali non sempre espliciti. D’altro canto la tendenza a
reiterare processi adattivi di formazione di competenze professionali rischia d’essere un nodo
centrale, considerate le attuali proposte innovative: quello che ci si deve chiedere, data la necessità
di innalzare la qualità dei sistemi educativi e della professionalità docente, è se - e come - la
misurazione di standard di qualità possa in qualche modo implementare modalità adattive consone
al ruolo, perfezionarle, scardinarle, oppure semplicemente rafforzarne l’intrinseca staticità.
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PROFESSIONALE NEI DOCENTI NEOASSUNTI DI SCUOLA DELL’INFANZIA. ENCYCLOPAIDEIA,
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Raffaella Faggioli: [inserire qui le note biografiche, di massimo 50 parole].
Contatti: [inserire qui indirizzo completo e indirizzo di posta elettronica dell’autore di riferimento]
Note
1
Il Quaderno Bianco sulla Scuola, redatto a settembre 2007 in collaborazione tra l’allora Ministro della Pubblica
Istruzione Fioroni e il Ministro dell’Economia e delle Finanze Padoa-Schioppa, segnala, tra l’altro, la necessità di
razionalizzare il rapporto docenti- alunni e di procedere all’istituzione di percorsi di valutazione delle scuole (p. VII,
paragrafo 4.5). Ciò a sottolineare come il tema del taglio delle risorse - la razionalizzazione - proceda da qualche tempo
assieme al tema della valutazione della qualità dei servizi.
2
L’Attività di monitoraggio PuntoEdu per la Formazione Neoassunti 2008 (Report finale Gennaio 2009): i neoassunti
devono compilare un questionario on-line nella fase finale della formazione, il questionario chiede di valutare la qualità
delle proposte formative e alcuni elementi della propria esperienza professionale
3
Being native è uno dei termini utilizzati nel dibattito metodologico sugli sviluppi della ricerca qualitativa all’interno
delle comunità indigene o marginali. Yvonna Lincoln e Normann Denzin arrivano a proporre l’affrancamento della
metodologia della ricerca qualitativa da prospettive imperialiste e analizzano il ruolo dell’Indigenous Reaserch, come
possibile riferimento a una visione non colonialista della ricerca sulle culture altre . Essere nativi è, in questo contesto,
utilizzato provocatoriamente con questo legame iperbolico, alludendo alla possibilità di essere in ricerca all’interno di
una comunità (in questo caso professionale) marginalmente coinvolta nei processi di strutturazione del potere. Il
termine nativo vuole evocare la posizione degli insider researchers, nella sua evoluzione critica ed etica. (Lincoln &
Denzin, 2008).
4
Nell'ambito degli obiettivi di razionalizzazione di cui all'articolo 64 del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti (previsti dal comma 4 del medesimo
articolo 64) e successivi.
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5
Le ricerche quantitative svolte in questi ultimi anni sul profilo anagrafico e professionale dei neoassunti in Italia ed in
Emilia Romagna (2007-2008, Gli insegnanti neoassunti, Fondazione Agnelli) confermano che i neoassunti nella scuola
dell’infanzia italiana sono insegnanti con una media di età di 41 anni, di sesso femminile (96,5%), con una percentuale
di non laureati del 59,7%, e di provenienza geografica varia, con una percentuale interessante, il 22%, che rileva la
residenza in altre regioni (2006, Indagine nuovi docenti,Ufficio Scolastico Regionale per L’Emilia Romagna) e con una
media di circa 5 anni di precariato nella regione Emilia Romagna. Nei campioni della presente ricerca i soggetti
individuati corrispondono a queste caratteristiche medie, fermo restando che l’individuazione di soggetti privi di
esperienza pregressa ha ridotto la scelta dei possibili interlocutori e forzato le caratteristiche del campionamento verso
un profilo anagrafico e professionale che certamente non descrive un fenomeno diffuso: pare infatti sempre più raro
incontrare giovani insegnanti immessi in ruolo senza un iter di precariato significativo.