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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
NASCITA DI UNA SIBILLA: LA TRACCIA MEDIEVALE1
PARTE 2
14. Lo straordinario viaggio da Famurgan alla Sibilla Appenninica
Nel precedente articolo, abbiamo visto come una inattesa connessione sia
stata stabilita, nell'anno 1185, tra Morgana la Fata, uno dei personaggi
principali del ciclo cavalleresco arturiano, e una delle Sibille classiche:
entrambe considerate come abilissime nell'arte della stregoneria, in grado
di comunicare con il mondo ctonio e i suoi demoni, e capaci di fornire
responsi oracolari, anche utilizzando la negromanzia, una pratica empia e
1 Articolo pubblicato il 22, 23, 25, 27, 29, 31 gennaio 2019 e il 1, 2, 5, 9, 11, 12, 13, 15 febbraio 2019
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_SibylsCore.asp)
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proibita. Ed entrambe vengono associate a Erichto, l'esecrabile strega
dell'antica Grecia, descritta nel primo secolo dall'autore latino Marco
Anneo Lucano nella sua Pharsalia.
Questa connessione, in precedenza non sufficientemente presa in
considerazione dagli studiosi, benché nota e conosciuta, è contenuta in
Erec, un poema cavalleresco scritto dal cavaliere e poeta tedesco Hartmann
von Aue.
Quale è il significato di tutto ciò, se un significato è rinvenibile, in
relazione all'investigazione che stiamo conducendo in merito all'enigma
della vera origine del racconto leggendario concernente una Sibilla
Appenninica?
È possibile supporre che alcuni dei tratti oscuri, sinistri, relativi alla nuova
Morgana, in origine una benigna profetessa guaritrice e in seguito
trasformatasi in una strega e negromante dopo l'Erec di Hartmann von Aue,
possano essersi trasferiti, nel corso dei secoli e attraverso una tradizione sia
orale che letteraria, su di un'altra tenebrosa figura, quella di una Sibilla
Appenninica?
Fig. 51 - «Sibilla» e «Famurgan» come appaiono nell'Erec di Hartmann von Aue (Folium 40v del Codex
Vindobonensis Ser. Nova 2663 Ambraser Heldenbuch)
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Possiamo veramente enunciare l'impegnativa ipotesi che la Sibilla
Appenninica possa semplicemente rappresentare un ulteriore strato
aggiuntivo, un elemento cavalleresco addizionale che nasconde la più
genuina natura del nucleo profondo della narrazione leggendaria che
riguarda i Monti Sibillini, in Italia?
Possiamo arditamente spingerci fino a congetturare che la figura
leggendaria di Morgana la Fata possa essere stata trapiantata e adattata
presso gli Appennini italiani, generandosi così, in questo modo, da quello
che potrebbe apparire come un nebuloso, insondabile vuoto, il mito di una
Sibilla Appenninica?
Lo stretto sentiero che stiamo per percorrere si presenta come
assolutamente singolare e sconcertante. Eppure, vedremo come le stesse
deduzioni che stiamo per trarre, in modo del tutto indipendente e per
quanto strabilianti esse possano apparire, siano state in realtà enunciate
molti anni fa da uno dei più grandi studiosi statunitensi della Materia di
Bretagna e del ciclo arturiano, Roger Sherman Loomis.
Ma cominciamo da quel dodicesimo secolo nel quale Hartmann von Aue
scrisse Erec, e andiamo alla ricerca, lungo le successive centinaia di anni,
di ulteriori indizi che possano fornire una crescente evidenza di una stretta
relazione tra Morgana, le Sibille, e la Sibilla Appenninica.
Iniziamo dunque a sfogliare un altro strato, pesantissimo, opaco, di quello
schermo che ricopre la più genuina essenza della Sibilla degli Appennini.
15. Morgana, una montagna incantata, un luogo di gioie e piaceri
Stiamo per intraprendere un viaggio che inizia da Morgana la Fata e si
inoltra attraverso la letteratura cavalleresca: al termine di questo percorso,
si staglierà l'oscuro, sinistro profilo della Sibilla Appenninica.
Muoviamo i nostri primi passi a partire da uno dei capolavori della
letteratura cavalleresca di lingua tedesca: il poema Parzival, scritto da
Wolfram von Eschenbach al principio del tredicesimo secolo, circa venti
anni dopo l'Erec di Hartmann von Aue. Stiamo per rinvenire significative
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tracce relative a Morgana all'interno di uno dei manoscritti maggiormente
completi contenenti il testo del poema: si tratta del manoscritto n. 857
conservato presso la Stiftsbibliothek, la biblioteca dell'abbazia bendettina
di San Gallo, in Svizzera, risalente al 1260 circa.
E cosa troviamo nel Parzival? Nuovamente, ci imbattiamo in Famorgan, o
Morgana la Fata. E, per la prima volta, la sorellastra di Re Artù viene
nominata in connessione con qualcosa di nuovo, un aspetto di grande
rilevanza, di un genere mai apparso in precedenza nell'ambito della
tradizione letteraria relativa a Morgana: una montagna incantata.
Tutto questo accade nel Capitolo VIII, al verso 400.8, in cui il cavaliere
Galvano incontra un altro cavaliere, il re Vergulaht:
«Mazadan portò la famiglia [di Vergulaht] - dalla montagna di Famorgan -
la sua origine scaturiva dalle fate» (nel testo originale in antico tedesco:
«sin geslaehte sante Mazadan - fur den berch ce Famorgan - sîn art was von
der feien»).
Fig. 52 - L'associazione tra Morgana la Fata e una montagna così come appare al Folium 115 del
manoscritto n. 857 (Parzival) conservato presso la Stiftsbibliothek dell'Abbazia di San Gallo, Svizzera
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E più avanti, nel poema, al Capitolo IV, verso 496-8, la medesima
associazione tra Morgana e una montagna viene stabilita ancora una volta,
quando un altro cavaliere si esprime nel seguente modo:
«Ho anche ingaggiato molti cavallereschi combattimenti di fronte alla
montagna di Famorgan» (nel testo originale in antico tedesco: «Ich hân
ouch manege tjost getan vor dem berch ze Famorgan»).
Fig. 53 - La montagna di Famorgan dal Folium 142 del manoscritto n. 857 (Parzival) conservato presso la
Stiftsbibliothek dell'Abbazia di San Gallo, Svizzera
Dunque, Morgana non risulta essere associata solamente a un'isola magica,
quella di Avalon, così come riferito da Goffredo di Monmouth nella Vita
Merlini e nella Historia Regum Britanniae, risalenti alla prima metà del
dodicesimo secolo, opere radicate in una tradizione ancora più antica: ora,
per la prima volta in assoluto, ci imbattiamo in un riferimento letterario in
cui viene stabilita una connessione tra Morgana e una montagna speciale,
incantata. Si tratta di «dem berch ze Famorgan». Con il Parzival di
Wolfram von Eschenbach viene quindi intrapreso un piccolo, significativo
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passo in direzione di una fata malvagia che vivrebbe sulla cima o all'interno
di un picco montuoso.
È tutto? No, perché Parzival nasconde al proprio interno un ulteriore
indizio che ci avvicina ancora di più a una Sibilla Appenninica.
In due ulteriori passaggi (Capitolo I, verso 56.19 e Capitolo XII, verso
585.15), Morgana viene posta in relazione con un attributo particolarmente
significativo, quello di una magica «Terra della Gioia»:
«Il Re Mazadan fu il loro padre - una fata condusse il Re a Morgana - il suo
nome era Terra-della-Gioia / [...] Quando Mazadan era un re - il quale fu
condotto da Morgana la Fata presso Terra-della-Gioia» (nel testo originale
in antico tedesco: «der zweier vatr hiez Mazadan - den fuort ein feie in
Morgan - diu hiez Terre de lascoye / [...] Sît her von Mazadane - den ze
Famurgane - Terre delascoye fuorte - den iwer chraft do ruorte»).
Fig. 54 - La Terra-della-Gioia di Morgana menzionata al Folium 20 (sopra) e al Folium 166 (sotto)
del manoscritto n. 857 (Parzival) conservato presso la Stiftsbibliothek dell'Abbazia di San Gallo, Svizzera
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E dunque non solo Morgana è associata a una montagna, ma essa è anche
in relazione con una magica terra nella quale il piacere e la gioia sembrano
predominare. Benché Wolfram von Eschenbach sembri volere collegare il
nome 'Terra-della-Gioia' a una fata, molti studiosi ritengono che questo
appellativo possa costituire un riferimento, erroneamente interpretato, ad
Avalon, il luogo incantato, l'"Isola Fortunata" nella definizione
tramandataci da Goffredo di Monmouth.
In ogni caso, qualcosa sta lentamente mutando nella figura e nei tratti di
Morgana la Fata: da una benigna guaritrice dimorante in un'isola dai
caratteri celestiali, a una potente strega e negromante, una fata che viene
menzionata in relazione a una montagna e a un luogo di piacevoli gioie.
Una relazione che - non dobbiamo dimenticarlo - viene anche stabilita in
un'altra opera cavalleresca risalente al tredicesimo secolo, Floriant et
Florète, che abbiamo già avuto modo di considerare in un precedente
articolo. In quel poema, avevamo trovato Morgana la Fata abitare il
Mongibello, o Monte Etna, nell'Italia meridionale.
«Tre fate provenienti dal mare - La regina d'esse è chiamata - Morgana, la
sorella di re Artù [...] e se ne tornarono indietro - Verso il Mongibello
diressero il proprio cammino - dove si trovava il loro castello [...] Sappiate,
vedendo con i vostri occhi e senza menzogne - Che questo castello
[Mongibello] è incantato; - Sappiate che questa è la verità: - Nessun uomo
può qui giungere a morte».
[Nel testo originale in antico francese: «Trois fées de la mer salée - La
mestresse d'aux ert nommée - Morgain, la suer le roi Artu - [...] Aitant s'en
tornernet, - Vers Mongibel s'acheminerent - Quar c'estoit lor mestre chastel
[...] - Sachiès de voir et sanza mentir - Que cist chastuaus [Mongibel] si est
feez; - Sachiéz que ço est veritez: - Nus hons ne puet caienz mori»].
Ci stiamo veramente avvicinando alla nostra quattrocentesca Sibilla
Appenninica, una maga la cui dimora giace in una magica caverna posta al
di sotto di una montagna italiana, presso la quale vengono offerte gioie
sensuali e senza fine a cavalieri valenti e ingenui?
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Forse. Eppure, il percorso di avvicinamento verso una Sibilla Appenninica
non è affatto terminato. Un passo ulteriore attende ancora di essere
intrapreso, nella direzione di una sensuale, lussuriosa incantatrice. E questo
è ciò che si verificherà in un contesto letterario di lingua francese, con il
trasferimento e l'adattamento della Materia di Bretagna in un differente
ambito culturale.
Stiamo per assistere a un'ulteriore trasformazione di Morgana la Fata, così
come essa apparirà nel romanzo Lestoire de Merlin: una seducente
negromante, una signora delle tenebre la cui fascinazione adescatrice ben
potrà indurre un cavaliere in tentazione. Come vedremo nel prossimo
articolo.
16. Morgana, una maga lasciva e seducente
Poco a poco, passo dopo passo, ci stiamo avventurando lungo un percorso
appena visibile eppure marcatamente sostanziale, il quale sta conducendo
la nostra investigazione da Morgana la Fata, una delle più antiche figure
appartenenti alla Materia di Bretagna e al ciclo arturiano, verso la Sibilla
Appenninica, dimorante al di sotto di una montagna che innalza la propria
cima tra gli Appennini d'Italia.
Abbiamo cominciato da Morgana e dalla sua rappresentazione originaria in
qualità di profetessa e benigna guaritrice, presto tramutatasi in un'abile
negromante e fata malvagia, in stretto contatto con le potenze infere,
nonché in associazione con una montagna e con una qualche sorta di regno
di delizie. Nelle opere medievali contenenti questi riferimenti, la montagna
di Morgana non pare affatto essere collocata tra le cime degli Appennini.
Stiamo ora per assistere alla successiva fase di questa trasformazione. E lo
faremo aprendo le pagine di pergamena di un prezioso manoscritto miniato
(Additional MS 10292) conservato presso la British Library a Londra; un
manoscritto che contiene, tra molte affascinanti miniature, anche una bella
immagine che ritrae il giovane Artù nel momento stesso in cui egli estrae la
magica spada regale dalla roccia.
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Fig. 55 - Il giovane Artù estrae la spada dalla roccia (Lestoire de Merlin, manoscritto Additional MS
10292, British Library, folium 99r)
Questo manoscritto, risalente al 1316, testimonia della grande diffusione
della Materia di Bretagna tra i lettori di lingua francese, tramite ciò che gli
studiosi chiamano il Lancillotto-Graal o il Ciclo in Vulgata, un processo
elaborativo che aveva già avuto inizio nella prima parte del tredicesimo
secolo.
Il manoscritto contiene Lestoire de Merlin (La Storia di Merlino) e, in esso,
possiamo rinvenire una nuova e straordinaria descrizione di Morgana la
Fata. Al Folium 152r, possiamo trovare ancora la Morgana che già
conosciamo, negromante esperta e saggia sapiente:
«[...] Morgana, che era stata una diligente allieva di Merlino [...] molte
meraviglie egli le aveva insegnato d'astronomia e negromanzia ed ella le
aveva ottimamente apprese» (nel testo originale in antico francese: «[...]
Morgain de merlin qui moult estoit boine clergesse [...] maintes merveilles
li aprinst dastrenomie et dingremance et ele les detint moult bien»).
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Fig. 56 - Morgana esperta incantatrice da Lestoire de Merlin (manoscritto Additional MS 10292, British
Library, folium 152r)
Ma, successivamente, al Folium 177r, questa descrizione assume una
tonalità del tutto differente. All'inizio, l'autore ribadisce ancora la grande
padronanza acquisita da Morgana in tutte le arti:
Fig. 57 - Un altro passaggio relativo a Morgana tratto da Lestoire de Merlin (manoscritto Additional MS
10292, British Library, folium 177r)
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«era una allieva di grande talento - e d'astronomia ella tutto conosceva
perché da Merlino aveva ogni cosa appresa - [...] e aveva imparato così
tanto che ella fu chiamata, dalle genti della sua terra e del mondo intero,
Morgana la Fata, sorella di Re Artù, a causa delle meraviglie che fu capace
di compiere nel paese».
[Nel testo originale in antico francese: «si estoit a merveilles boine
cleriesse - et dastrenomie savoit ele asses car merlins len avoit aprinse - [...]
et tant aprinst qui puis fu ele des gens del pais et de la terre appelee
morgain la fee la seror le roy artu por les merveilles que ele fist puis el
pais»].
E poi, le parole più sbalorditive:
«Questa Morgana era una giovane damigella, molto gaia e vivace - ma
molto era oscura nel viso, d'un incarnato tornito senza essere né troppo
magra, né troppo grassa - ma molto era essa invitante e attraente nel corpo,
e le membra aveva così ben formate e languide e graziose - Ma essa era la
più ardente femmina di tutta la Britannia, e la più lasciva».
[Nel testo originale in antico francese: «Icele morgain iert iouene damoisele
et gaie durement et moult enuoisie - mais moult estoit brune de vis et dune
roonde charneure ne trop maigre ne trop cras - mais moult estoit aperte et
avenans de cors et de menmbres si estoit droite et plisans a merveilles et
bien chantans - Mais ele estoit la plus chaude feme de toute la grant
bertaigne et la plus luxurieuse»].
Fig. 58 - Tratti sensuali associati a Morgana come presentati in Lestoire de Merlin (manoscritto
Additional MS 10292, British Library, folium 177r)
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Ed eccoci arrivati: un ulteriore passo nella trasformazione di Morgana la
Fata in qualcosa di diverso è stato compiuto, con l'apparizione di
un'impura, lasciva peccatrice la quale, nei versi che seguono, seduce il
cavaliere Guyomar e ha un incontro con lui.
E questo nuovo, voluttuoso tratto di Morgana non abbandonerà mai più la
sorella di Artù. Ad esempio, lo rinveniamo nuovamente ne Le Livre de
Lancelot del Lac, un ulteriore romanzo francese facente parte del Ciclo in
Vulgata. Andiamo a consultare il seguente brano, tratto dal manoscritto
Add. MS 10293 (Folium 169v) conservato presso la British Library e
risalente all'inizio del quattordicesimo secolo:
«Era laida e ardente di lussuria» (nel testo in antico francese: «Elle fu laide
et chaude de luxure»).
Fig. 59 - Morgana come lasciva incantatrice da Le Livre de Lancelot del Lac (manoscritto Additional MS
10293, British Library, folium 169v)
Con Lestoire de Merlin e Le Livre de Lancelot del Lac, Morgana ha assunto
un nuovo tratto aggiuntivo, che contribuisce ad avvicinarla ulteriormente
alla malvagia maga e profetessa che conosciamo dal romanzo Guerrin
Meschino di Andrea da Barberino:
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«una bella donna piu che li ochii soi mai havesse veduto; [...] quella e
madona la Sibilla [...] Era in lei tuta belleza et honesta; li membri soi era de
smesurata zentileza de grandezza piu che comuneuale e tanta colorita che
quasi del suo proposito el cauo [...] mostrandoli la sua belleza e le sue
bianche carne e le mamelle che pareano proprio che fosseno da volio
[avorio]».
Fig. 60 - Una selezione di brani tratti dal Guerrin Meschino nei quali è rappresentata una Sibilla
particolarmente sensuale (dai Capitoli CXLV e CXLVII dell'edizione stampata a Venezia nel 1480)
Nondimeno, questa graduale trasformazione non è ancora giunta al proprio
termine. Nel prossimo articolo, assisteremo a un'altra mutazione dei
caratteri distintivi di Morgana. Questa volta, si tratterà di una nuova
inclinazione, espressa dalla fata, concernente la segregazione di valorosi
cavalieri all'interno di incantate prigioni: una predilezione che la Sibilla
Appenninica condividerà anch'essa. Come avremo modo di vedere nel
seguente articolo.
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17. Vari cavalieri imprigionati da diverse fate
È del tutto palese come il personaggio letterario di Morgana, la sorellastra
di Re Artù, nei poemi e romanzi che costituiscono la Materia di Bretagna,
abbia subìto un processo di trasformazione nel corso dei secoli dodicesimo,
tredicesimo e quattordicesimo, come tutti i ricercatori hanno già da tempo
avuto modo di rimarcare nell'ambito di un vasto repertorio di studi
scientifici.
L'aspetto interessante di tutto ciò è che il percorso evolutivo compiuto da
Morgana sembrerebbe dirigersi, senza affatto deviare, verso una figura non
particolarmente differente da quella Sibilla Appenninica che già
conosciamo, un personaggio apparso praticamente dal nulla all'inizio del
quindicesimo secolo.
Siamo o non siamo sulla strada giusta? Forse sì, perché non dobbiamo fare
altro che seguire i passi successivi nell'evoluzione di Morgana la Fata per
rinvenire interessantissimi risultati ulteriori.
Andiamo ad aprire nuovamente le pagine di pergamena di Le Livre de
Lancelot del Lac, così come contenute nel manoscritto miniato Add. MS
10293 conservato presso la British Library a Londra, databile all'inizio del
quattordicesimo secolo. Al Folium 167r, ci imbattiamo in un'altra
peculiarissima caratteristica, specificamente riferita a Morgana la Fata.
Perché Morgana, dolente e rabbiosa a causa di una questione d'amore
conclusasi sfavorevolmente, ha lanciato un incantesimo su di una vallata,
che viene dunque trasformata in un magico luogo di prigionia per cavalieri:
«una valle [...] dalla quale nessun cavaliere né i suoi amici potrebbero mai
uscire se vi entrassero - se albergasse nel loro animo un falso amore [...] La
valle era piena di cavalieri ed era circondata dall'aria - E non appena un
cavaliere vi faceva ingresso - non avrebbe potuto uscirne - non gli sarebbe
stato permesso di uscirne perché era un cavaliere [...] Tale era la valle -
tanto che quelli del paese la chiamavano la Valle Senza Ritorno - E altri la
Valle dei Falsi Amanti».
[Nel testo originale in antico francese: «vn val [...] que iamais a nul ior nen
isteroit sez amis ne chevaliers qui y entrast aussi - portant quil eust vers
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amors fausse [...] Li vals estoit tous plains de chevaliers et estoit tous
enclos del air - Et si tost com vns chevaliers y entrast - ia puis issuee ne
entree ni veist - ne nen peust issir pourcoi il fust chevaliers [...] En tel
maniere estoient el val - si lapeloient cil del pais le val sans retor - Et li
autre le val des faus amans»].
È dunque chiaro come Morgana condivida un'altra significativa
caratteristica con la Sibilla degli Appennini: entrambe mostrano una
specifica inclinazione al confinamento di cavalieri all'interno di un qualche
genere di luogo di restrizione, delimitato grazie alla stregoneria, la grotta
della Sibilla per l'abitatrice dei Monti Sibillini e la Valle Senza Ritorno per
la maga arturiana.
Fig. 61 - La Valle Senza Ritorno di Morgana da Le Livre de Lancelot del Lac (manoscritto Additional MS
10293, British Library, folia 167r e 167v)
Nondimento, la grotta della Sibilla era un luogo di eterne gioie, ben fornito
di ogni sorta di cibi e ricchezze, e rallegrato dalla presenza di damigelle
bellissime e sensuali. Cosa possiamo dire, invece, della Valle Senza
Ritorno? Vediamo cosa ci racconta il manoscritto:
«E vi erano alcuni cavalieri che avevano con sé le proprie amanti, e i propri
scudieri che dai rispettivi possedimenti portavano loro beni e vesti e uccelli
e cibi - E quindi essi disponevano di tutto ciò che un cuore d'uomo possa
desiderare - e vi erano anche delle bellissime dimore [...]»
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Fig. 62 - Vita di delizie presso la Valle Senza Ritorno di Morgana, da Le Livre de Lancelot del Lac
(manoscritto Additional MS 10293, British Library, folium 167v)
[Nel testo originale in antico francese: «Et de tels y auoit qui y orent lor
amies par amors auec euls et lor ualles qui de lor terres lor aportoient lor
aportoient lor relies et lor reubes et lor oisiaus et qui lor atornoient lor
viandes - Et neporquant il auoient quant que a cors domme puet apartenir -
et moult y auoit de beles mesons [...]».
Un episodio analogo viene raccontato ne Le Livre d'Artus, un ulteriore
romanzo appartenente al Ciclo in Vulgata (Bibliothèque Nationale de
France, Département des Manuscrits, Français 337). Morgana la Fata,
respinta dalla Regina Ginevra a seguito di un'inappropriata vicenda
amorosa, fugge nella foresta di Sarpenic e, grazie al potere della sua magia,
«si fece costruire una dimora dove abitare, la più bella dimora del mondo»
(nel testo originale in antico francese: «fist faire sales por ester les plus
beles du monde»). E lì, la maga allestì un suo luogo di prigionia (Folia
187v e 188r):
«Tanto lanciò Morgana il suo incantesimo [...] con tale forza che tutti i
cavalieri e tutte le dame che non fossero in amore sinceri [...] mai non
potessero uscirne se vi fossero entrati».
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[Nel testo originale in antico francese: «si gita Morganz son enchantement
[...] qui ot tel force que tuit li chevalier et toutes les dames qui eussent
fausse en lor amors [...] sil i entrassent iamet ne sen issent»].
Fig. 63 - L'incantato luogo di confinamento per cavalieri predisposto da Morgana, da Le Livre d'Artus
(manoscritto Français 337, Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, folia 187v e
188r)
Fig. 64 - I cavalieri sono costretti a permanere nella Valle Senza Ritorno creata da Morgana, da Le Livre
de Lancelot del Lac (manoscritto Additional MS 10293, British Library, folium 168r)
Certamente, sussistono varie differenze tra i due luoghi di prigionìa, quello
creato da Morgana e quello della Sibilla, perché la Valle Senza Ritorno
permette agli scudieri di andare e venire da quel luogo, che trattiene in
prigionia i soli cavalieri; inoltre, la Valle contiene anche delle cappelle
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presso le quali prendere parte ai servizi religiosi: due caratteristiche che
non sono di certo disponibili nella grotta della Sibilla.
Eppure, l'impressione generale è quella di una medesima tipologia di luogo
magico, destinata al confinamento dei cavalieri: ogni personaggio di
siffatto rango, una volta entrato, «è costretto a rimanervi» («il y est remes a
force» nel Lancelot). Entrambi i luoghi sono governati da un'analoga regina
malvagia. Ed entrambi i luoghi, benché rappresentino il prodotto di arti
negromantiche, offrono una vita di gioie e delizie, un ricordo dell'antica
Avalon, l'isola incantata della guaritrice Morgana.
Morgana la Fata e la Sibilla Appenninica. Due figure che sembrano
avvicinarsi sempre più l'una all'altra, mentre i secoli continuano a scorrere.
Solo un'incorporea illusione? Solamente una chimerica fantasia?
No, per nulla. Perché, come potremo vedere nel prossimo paragrafo, il
personaggio di Morgana comincerà effettivamente a fondersi con quello di
una Sibilla. E non sarà solo questione di mescolanze di tratti e
caratteristiche, come già abbiamo avuto modo di rilevare.
Si tratterà, invece, di una questione ben più sostanziale. Una questione di
nomi.
18. Morgana, Sebile e un cavalier meschino
Con questa serie di articoli, stiamo cercando di svelare la vera essenza della
leggenda della Sibilla Appenninica. A questo scopo, stiamo cercando di
rimuovere le molteplici sovrastrutture letterarie che sono state poste al di
sopra del mito sibillino nel corso dei secoli.
L'ipotesi che stiamo considerando si basa sulla congettura che la figura
della Sibilla degli Appennini sia stata sostanzialmente derivata da un
profilo ben più antico: quello di Morgana la Fata, un personaggio di
primaria rilevanza nell'ambito del ciclo arturiano.
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Ma cosa possiamo affermare, fino a questo momento? Che genere di
risultati siamo stati in grado di conseguire, finora? Proviamo a ricapitolare
le nostre iniziali scoperte.
Successivamente alla nostra verifica del fatto che nessuna Sibilla
Appenninica viene mai menzionata nell'antichità, e considerando come
numerosi episodi narrativi, contenuti in precedenti romanzi cavallereschi,
sembrino porre in scena una serie di situazioni già da noi rilevate
nell'ambito della letteratura concernente la Sibilla degli Appennini, con
Morgana la Fata raffigurata in un ruolo assai simile, quantomeno
nell'ambito di una specifica occorrenza (Floriant et Florète), come
abitatrice di una montagna italiana (un vulcano siciliano), abbiamo
cominciato proprio dalla stessa Morgana e dalla sua originale
rappresentazione in qualità di profetessa e benigna guaritrice. Una
descrizione che, successivamente, ha subìto una drastica mutazione nella
direzione di una fata malvagia e di un'abile negromante, in stretta relazione
con le potenze del mondo infero, e con uno specifico parallelismo stabilito
con le Sibille classiche nell'Erec di Hartmann von Aue. Oltre a tutto questo,
la letteratura cavalleresca ha cominciato a porre in relazione Morgana con
una montagna e con un qualche genere di regno di delizie. Inoltre, si è
cominciato a rappresentarla come una donna lussuriosa, in effetti la più
lussuriosa dell'intera Britannia. Infine, essa ha cominciato a manifestare
una propensione verso il confinamento di cavalieri in un luogo chiuso e
incantato, nel quale essi potessero comunque vivere una vita di gioie senza
fine.
Dall'altro lato, sappiamo che la Sibilla Appenninica era un'esperta
negromante e una maga malvagia, che abitava una dimora sotterranea,
sepolta al di sotto di una montagna. Si trattava di un essere lascivo, che
amava trattenere i cavalieri in visita come prigionieri all'interno della sua
residenza nascosta, per immergerli in una vita di gioie sensuali e senza fine.
È sufficiente, tutto questo, per potere sostenere l'idea di una Sibilla
Appenninica probabilmente ispirata alla figura di Morgana la Fata?
Potrebbe trattarsi, soltanto, di banali coincidenze? Solo di mera casualità?
Di corrispondenze ovvie, che possono certamente capitare, con una certa
frequenza, nell'ambito di un contesto letterario cavalleresco?
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La risposta è sicuramente negativa. Non si tratta di semplici coincidenze.
Esiste infatti una stretta connessione tra Morgana e le Sibille. E questa
connessione viene affermata ancora una volta - dopo essere stata dichiarata
da Hartmann von Aue nel suo Erec, risalente al 1185 - in Le Livre de
Lancelot del Lac, il romanzo francese che già abbiamo avuto modo di
considerare nei precedenti articoli, e che è databile all'inizio del
quattordicesimo secolo, e forse a tempi ancora più antichi.
Proviamo a volare di nuovo attraverso i fogli del manoscritto Add. 10293,
conservato presso la British Library a Londra. Al Folium 281v troviamo un
episodio assolutamente significativo, relativo a un Lancillotto dormiente
nella foresta, colto in tale vulnerabile condizione da tre fate. Tre fate, delle
quali una è Morgana, e una seconda è portatrice di un nome che non pare
essere affatto il prodotto di un caso:
Fig. 65 - Il brano su Morgana, la Regina di Sorestan e Sebile da Le Livre de Lancelot del Lac (manoscritto
Additional MS 10293, British Library, folium 281v)
«Mentre Lancillotto si trovava così addormentato [...] di lì passò una
Regina che regnava sulla terra di Sorestan [...] Ed essa notò il cavallo di
Lancillotto che brucava dell'erba [...] Così chiamò altre due dame delle
quali una aveva nome Morgana la Fata - e l'altra Sebile - E queste erano le
due donne al mondo che più sapevano di incantamenti, a meno della Dama
del Lago».
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[Nel testo originale in antico francese: «quant lancelot fu remes dormant
[...] par illuec passa une Royne qui estoit raine de la terre de sornestan [...]
Et elle regarda le cheval lancelot qui paissoit de lerbe [...] Si apela ii dames
dont li vne auoit anon Morgue la fee - et l'autre sebile - Et ce estoient les ii
femmes del monde qui plus sauoient denchantemens sans la dame del
lac»].
Chi troviamo qui in questa assai distinta compagnia, comprendente una
regina e la fata, a noi ben nota, Morgana? Troviamo nientemeno che
«Sebile», l'antica parola francese per 'Sibilla'. E ci viene anche detto che
Morgana e Sibilla sono le più grandi maghe dell'intero mondo, oltre alla
Dama del Lago (un altro personaggio che interpreta un ruolo importante
nella Materia di Bretagna, a lei appartenendo il braccio che emerge dalle
acque di un lago incantato per consegnare a Re Artù la spada Excalibur).
Un supremo potere magico che, come abbiamo visto, era già stato
menzionato in precedenza da Hartmann von Aue, il quale aveva esplicitato
un paragone simile nel proprio poema Erec.
Fig. 66 - Il nome e il personaggio «Sebile» così come appare nel Le Livre de Lancelot del Lac
(manoscritto Additional MS 10293, British Library, folium 281v)
Ancora una volta, Morgana e Sibilla - che appare in altri manoscritti del
Lancelot anche come «Sebille» o «Sibile», come segnalato da H. Oskar
Sommer - manifestano la loro stretta relazione: ora esse si mostrano mentre
viaggiano assieme, con una Sibilla incarnata in un personaggio letterario
del tutto nuovo, una strega che pare rappresentare una sorta di identità
alternativa della stessa Morgana, essendo dotata di poteri comparabili.
Cosa intendono fare, le due dame, del povero Lancillotto addormentato? Se
ricordate, entrambe condividono una medesima passione per il
confinamento di coraggiosi cavalieri in luoghi di prigionia. E, infatti, esse
21
trasportano Lancillotto fino al loro castello, per poi ridestarlo. Ma non lo
riconoscono, ed egli si premura di non rendere loro noto il suo nome.
Ora la Regina di Sorestan, Morgana la Fata e Sebile, nel loro abbigliamento
più seducente, chiedono allo sbalordito cavaliere di fare la propria scelta:
quale delle tre egli deciderà di eleggere come propria amante? Egli, però, si
rifiuterà di scegliere, una gravissima offesa per le tre sensuali signore (che
sono ritratte assieme in una bella miniatura contenuta nel Folium 281v).
Fig. 67 - La miniatura che ritrae Morgana, la Regina di Sorestan e Sebile da Le Livre de Lancelot del Lac
(manoscritto Additional MS 10293, British Library, folium 281v)
Poco dopo, quando una damigella, incaricata di prendersi cura di lui nella
prigionia, gli chiede di rivelarle il suo nome, egli tristemente le svela la
propria identità, quella di uno sfortunato cavaliere che aveva perduto il
proprio padre, la propria successione e il proprio lignaggio:
«Il mio nome è Lancillotto del Lago, il Meschino».
[Nel testo originale in antico francese: «iou ai a non lancelot del lac li
mescheans»].
22
Fig. 68 - Lancillotto svela il proprio name e la propria meschina condizione a una damigella in Le Livre
de Lancelot del Lac (manoscritto Additional MS 10293, British Library, folium 282r)
E così, abbiamo una Sibilla e un cavalier meschino: Lancillotto del Lago.
Il profumo della giusta pista sta ora diventando sempre più intenso, se solo
pensiamo alla Sibilla Appenninica e al cavaliere eroe che la incontrerà nel
romanzo quattrocentesco di Andrea da Barberino: Guerrino, conosciuto
come il «Meschino».
«Meschino»: la parola italiana che corrisponde con esattezza all'antica
parola francese «mescheans».
Morgana e la Sibilla Appenninica si stanno ora quasi toccando con la punta
delle loro letterarie, magiche dita. Un emozionante incontro che sembra
avere luogo dopo l'attraversamento, da parte delle due incantatrici, di un
mitico ponte che si protende, con un lungo arco, sopra un abisso di secoli.
19. Morgana e Sebile insieme nella stessa compagnia
Nei precedenti paragrafi, abbiamo posto in evidenza le molteplici
sovrastrutture letterarie che sono state aggiunte alla leggenda della Sibilla
Appenninica, nella forma di episodi, narrazioni e situazioni che risultano
essere presenti nel Guerrin Meschino di Andrea da Barberino e nel
Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale, e la cui origine può
23
essere rintracciata in più antichi romanzi cavallereschi, opere poste per
iscritto nel corso del Medioevo. Successivamente, abbiamo seguito le
tracce di Morgana la Fata, i cui tratti sono andati modificandosi nel corso
dei secoli, finché essa non si è trasformata in una figura assai simile a
quella della Sibilla Appenninica. Abbiamo anche visto come Morgana e le
Sibille classiche risultino essere strettamente collegate, a partire dell'Erec di
Hartmann von Aue e passando per Le Livre de Lancelot del Lac, in cui un
personaggio di nome «Sebile» viene rappresentato come una amica e
frequentatrice di Morgana, nonché come una potente maga.
Questa Sebile è descritta anche in altri luoghi come un'intima conoscente di
Morgana e di altre potenti negromanti. Andiamo a considerare il racconto
narrato nell'antico romanzo Prophécies de Merlin, un'opera redatta,
secondo gli studiosi, attorno al 1275, forse in Italia, a Venezia. Disponiamo
di un bellissimo esemplare di questo romanzo, contenuto nel manoscritto
Additional 25434 conservato presso la British Library di Londra, databile
all'inizio del quattordicesimo secolo.
Fig. 69 - Il passaggio su «Sebile l'enchanterresse» tratto dalle Prophécies de Merlin (manoscritto
Additional MS 25434, British Library, folium 173r)
In questa narrazione, è possibile rinvenire un divertente episodio
concernente Sebile, Morgana, una Regina di Norgales e una dama di
Avalon (trattata in questa sede come un personaggio diverso da Morgana).
Tutte queste figure sono descritte come abilissime maghe, e Sebile è
24
apertamente definita come «l'incantatrice». Il brano pone in scena un
curioso combattimento magico tra la dama di Avalon, da un lato, e le altre
tre fate dall'altro, in due successive fasi. La dama di Avalon, però, risulta
essere assai più potente e, utilizzando i propri anelli magici, è in grado di
respingere tutti gli incantesimi scagliati contro di essa da Sebile, dalla
Regina di Norgales e poi anche da Morgana, lasciando le negromanti «tutte
nude e vergognose» («furent toutes nues et eles erent honte» in antico
francese).
Fig. 70 - La Regina di Norgales e Sebile sconfitte dalla dama di Avalon, dalle Prophécies de Merlin
(manoscritto Additional MS 25434, British Library, folium 174v)
Malgrado ciò, Sebile e le altre sono descritte come grandi amiche, e
l'episodio termina con la dama di Avalon che abbraccia le altre fate con
affetto («lors li giete la dame davalon les bras au col» in antico francese):
«La dama di Avalon ne ebbe grande gioia e divertimento, e altrettanto
grande fu la gioia della Regina di Norgales e di Sebile l'incantatrice».
Fig. 71 - Sebile l'Incantatrice condivide un medesimo sentimento di gioia con la dama di Avalon, dalle
Prophécies de Merlin (manoscritto Additional MS 25434, British Library, folium 174v)
25
[Nel testo originale in antico francese: «Agrant ioie et agrant fete eu la
dame davalon et mout fust grande ioie de la reyne de norgales et de sebile
lenchanterresse»].
Ancora una volta, possiamo vedere un'antica fonte letteraria affermare
come Morgana la Fata e Sebile l'Incantatrice fossero grandi amiche. E
anche potentissime maghe. I due personaggi si conoscevano bene e si
mostravano assieme sulla scena, condividendo una medesima narrazione e
uno stesso magico episodio. E sembrerebbe che l'intero racconto possa
essere stato scritto a Venezia: ciò significherebbe che più di cento anni
prima dell'apparizione di una Sibilla Appenninica, gli amanuensi italiani
fossero ben a conoscenza della stretta relazione che sussisteva tra Morgana
e Sebile.
E giunge anche il tempo in cui questa intima conoscente di Morgana va
direttamente a sostituire Morgana medesima nel suo ruolo di signora di un
magico castello: sarà addirittura la Sibilla, «Sebile», la dama nella quale ci
imbatteremo dopo avere attraversato il portale incantato e avere fatto
ingresso nella stregata dimora.
Questo è esattamente ciò che ha luogo in Huon de Bordeaux, il poema
epico risalente al tredicesimo secolo da noi già considerato in un
precedente articolo. E questo accade proprio oltre i flagelli metallici che
frustano e colpiscono incessantemente nell'aria (un'altra rappresentazione
delle magiche porte di metallo che Antoine de la Sale inserirà
successivamente nel proprio resoconto della sua visita alla grotta della
Sibilla):
«Il figlio di Sewin [Huon], originario di Bordeaux, assestò tre colpi molto
forti sul bacile d'oro [che si trovava accanto ai due guardiani di bronzo].
Una giovane nel palazzo udì il suono, Sebile era il suo nome, fanciulla di
grande bellezza» [nel testo originale francese: «Li fieus Sewins, de Bordiax
la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande
fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté; Si
tost comme ot le bacin d'or sonner, A le fenestre s'en est venue ester, et voit
Huon qui veut laiens entrer»].
E ci sono anche esempi in cui questa «Sebile» ricompare al fianco di
Morgana, in un medesimo scenario fiabesco nel quale viene descritto un
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luogo incantato connesso a un qualche genere di montagna. Tutto ciò
accade ne La Chanson d'Esclarmonde, un poema che racconta ulteriori
gesta di Huon de Bordeaux, e il cui testo può essere consultato nel
manoscritto L.II.14 conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria
di Torino (folia 354v-374r), risalente, secondo gli studiosi, all'anno 1311. In
questo articolo, seguiremo la trascrizione fornita da Max Schweigel nel
1889.
Il Re Huon e la sua amante Esclarmonde vengono trasportati fino alla
magica terra di Monmur, della quale il re è Auberon (un personaggio che in
seguito apparirà nel Sogno di una notte di mezza estate di William
Shakespeare con il nome di 'Oberon'). In questo luogo, a dare loro il
benvenuto è una distinta compagnia di fatate figure:
«A Monmur [...] Le quattro dame [...] - Dama Oriande, dama Marse, Sebile
e Morgana - che è così buona - e tanti miracoli seppe mostrare» (nel testo
originale francese: «a Monmur [...] Les IV dames [...] - Dame Oriande
dame Marse i sera Sebile et Morgue - qui tant de bonté a - et nostres sires
tel miracle i moustra»).
Fig. 72 - Sebile e Morgana insieme nella Chanson d'Esclarmonde (manoscritto L.II.14, Biblioteca
Nazionale Universitaria di Torino, dal verso 3205 così come trascritto in Esclarmonde, Clarisse et
Florent, Yde et Olive: Drei Fortsetzungen der Chanson von Huon de Bordeaux, nach der einzigen Turiner
Handschrift zum erstenmal veröffenlicht di Max Schweigel, Marburg, 1889)
27
E dunque, Sebile è ora pienamente arruolata come fata amica di Morgana,
in un magico luogo che è la dimora della gioia e dell'eterna giovinezza. Un
luogo, Monmur, che si trova all'interno di una montagna:
«Ognuna delle dame si presenta a Esclarmonde - Dama Oriande la prende
per la mano - E dama Morgana la prende per l'altra [...] - Dama Sebile la
aiuta ad alzarsi [...] - Al paradiso terrestre - Alla fontana della giovinezza
che lì si trova - furono subito al solo pensiero - Sotto la montagna ciascuno
trova la propria gioia - Le quattro dame tutte insieme la presero - E
gettarono Esclarmonde nella fontana - E per tre volte ciascuna ve la gettò -
Ed essa divenne bellissima e più non ebbe dolore - Così giovane divenne
quando ne uscì - Solo trent'anni essa avrà - fino a che il mondo non finirà».
Fig. 73 - La magica montagna menzionata nella Chanson d'Esclarmonde (manoscritto L.II.14, Biblioteca
Nazionale Universitaria di Torino, dal verso 3318 così come trascritto in Esclarmonde, Clarisse et
Florent, Yde et Olive: Drei Fortsetzungen der Chanson von Huon de Bordeaux, nach der einzigen Turiner
Handschrift zum erstenmal veröffenlicht di Max Schweigel, Marburg, 1889)
[Nel testo originale francese: «A Esclarmonde cascune deles va - Dame
Oriande par la main prise la - et dame Morgue par lautre le gbra [...] -
Dame Sebile au leuer li aida [...] - En paradis terrestre par dela - A la
fontaine de Jouent quil i a - tantost i furent ele devisa - Sus la montaigne
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cascune joie a - Les IV dames cascune prise la - En la fontaine
Esclarmonde bouta - Et par III fois cascune le bouta - Adont fu bele ne nule
dolour na - Si jou(e)ne fu quant on len resaca - a XXX ans deage ou pint
sera - Dusque adont que li mons finera»].
E anche un'altra magica montagna viene qui menzionata, un monte che già
conosciamo:
«Grande fu la gioia che regnò - Ma questa gioia non a lungo durò - Perché
Re Artù verso il Mongibello [il Monte Etna] doveva partire» (nel testo
originale francese: «Grans fu la joie que on i demena - Mais cele joie out
petit lor dura - Car rois Artus a Mongibel sen va»).
Fig. 74 - Il Mongibello (il Monte Etna in Italia) menzionato nella Chanson d'Esclarmonde (manoscritto
L.II.14, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, dal verso 3456 così come trascritto in Esclarmonde,
Clarisse et Florent, Yde et Olive: Drei Fortsetzungen der Chanson von Huon de Bordeaux, nach der
einzigen Turiner Handschrift zum erstenmal veröffenlicht di Max Schweigel, Marburg, 1889)
E così, un filo dorato snodantesi attraverso i secoli pare connettere
Morgana a Sebile. Le due figure sembrano essere così strettamente
connesse l'una all'altra da non essere rappresentate solamente come
compagne, ma anche come personaggi quasi intercambiabili.
E, nel quattordicesimo secolo, circa un centinaio di anni prima che fossero
vergati Guerrin Meschino e Il Paradiso della Regina Sibilla, entrambe le
fate, Morgana e Sebile, risultano essere legate a una montagna
d'incantamento, nella quale è possibile esperimentare giovinezza eterna e
piaceri senza fine.
Stiamo forse avvicinandoci, ancora di più, alla nostra Sibilla Appenninica?
Certamente. E andremo a compiere un un ulteriore passo in avanti nel
prossimo paragrafo.
29
20. Re Artù vive in eterno presso la Sibilla (anziché Morgana)
Sibilla e Morgana, Morgana e Sibilla. Mentre i secoli trascorrono, le due
leggendarie figure sembrano mescolarsi sempre di più, come se esse
dovessero alla fine convergere verso un unico, singolo personaggio
letterario.
Disponiamo di un'ulteriore evidenza, quasi incredibile a leggersi, di questo
processo di graduale combinazione, un'evidenza che giunge fino a noi dal
nucleo più profondo del ciclo arturiano: il mito che concerne la
prosecuzione della vita di Re Artù, il quale, secondo la leggenda, starebbe
ancora vivendo una vita immortale nell'isola di Avalon, sotte le cure
benigne della propria sorellastra Morgana, in attesa dell'arrivo del giorno in
cui egli sarà di nuovo chiamato nella storia in qualità di re regnante.
In un precedente articolo, abbiamo visto come questa leggenda abbia subìto
un assai significativo trasloco da Avalon a una montagna d'Italia, il vulcano
Etna, così come narrato in Floriant et Florète, un poema cavalleresco
risalente alla seconda metà del tredicesimo secolo, con Morgana trapiantata
direttamente in terra italiana: un indizio altamente significativo, il quale ci
segnala come Morgana la Fata e la Sibilla Appenninica possano essere
molto più vicine di quanto non si possa immaginare.
Oltre a questo, siamo anche in grado di rinvenire un altro straordinario
indizio: ci arriva dal Wartburgkrieg, un'opera illustre tratta dalla letteratura
medievale in lingua tedesca, la quale ci racconta di una leggendaria tenzone
poetica che avrebbe avuto luogo presso il Castello di Wartburg, in Turingia,
nell'anno 1207.
Di questa sfida, che rende disponibili agli studiosi preziose informazioni in
merito alla poesia cantata dai menestrelli germanici nel corso del
Medioevo, abbiamo un affascinante resoconto contenuto nello Jenaer
Liederhandschrift, un manoscritto risalente al quattordicesimo secolo (Ms.
El. f. 101) conservato presso la Thüringer Universitäts- und
Landesbibliothek a Jena, in Germania.
E questo manoscritto, al Folium 135r, nel quale viene riportato il duello
poetico tra Wolfram von Eschenbach e Klingsor d'Ungheria, presenta un
30
riferimento diretto, significativo e inaspettato a Re Artù e al luogo del suo
eterno riposo. Ma, in esso, non appare né Avalon, né Morgana.
C'è, invece, una montagna. E una Sibilla:
«Felicia, figlia di Sibilla,
e Giunone, che con Artù dimorano nella montagna,
hanno carne e ossa come noi li abbiamo.
[...] Essi vivono ancora nel pieno vigore [...]
Artù vive nella montagna come un eroe [...]
La figlia di Sibilla, Felicia
e Giunone sono entrambe là con Artù».
Fig. 75 - Re Artù vive in eterno al di sotto di una montagna insieme a una Sibilla dal Wartburgkrieg
(manoscritto El. f. 101 Jenaer Liederhandschrift, Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek in Jena,
Germany, folium 135r)
[Nel testo in antico tedesco: «Felicia, sibillen kint,
Unde iuno, die mit arthus in dem berge synt,
Die habent vleisch sam wir unde ouch gebeyne.
31
[...] sie lebent noch in vreche [...]
Wie arthus in dem berge lebe und ouch der helde mere [...]
Sybillen kynt felicia
Unde iuno, die synt beyde myr arthuse da»].
Ancora una volta, Morgana la Fata e una Sibilla mostrano di intrecciare i
propri ruoli leggendari. Nel Wartburgkrieg, una Sibilla prende
completamente il posto di Morgana nel suo ruolo fondamentale in qualità
di guaritrice di Artù e di compagna della sua eterna vita senza morte ad
Avalon.
E la stessa Avalon si muta in una montagna. Esattamente come in Floriant
et Florète, in cui Avalon si era trasformata nel Monte Etna.
Sembra proprio che una Sibilla, il cui ruolo come incantatrice potente
quanto la stessa Morgana era già stato esplicitato dal poeta tedesco
Hartmann von Aue, risulti anche essere pienamente autorizzata a indossare
gli abiti stessi della sorellastra di Re Artù per recitare i ruoli narrativi tipici
di Morgana, in qualità di personaggio genuino e del tutto originale nel
contesto della Materia di Britannia e del ciclo Arturiano.
Fig. 76 - Re Artù e una Sibilla dal Wartburgkrieg (manoscritto El. f. 101 Jenaer Liederhandschrift,
Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek in Jena, Germany, folium 135r)
Il tempo è ormai giunto affinché nasca una Sibilla degli Appennini, che
dovrà ereditare molti dei tratti che sono tipicamente associati a Morgana la
Fata, con una dimora incantata da collocare al di sotto di una remota
montagna d'Italia.
32
Malgrado ciò, abbiamo ancora spazio per proseguire con la nostra
investigazione, in modo da reperire ulteriori esempi di una stretta affinità
tra le due dame leggendarie. Perché, di esempi, ve ne sono ancora: un
ulteriore segno del fatto che non ci troviamo affatto sulla strada sbagliata.
Come avremo modo di vedere nel prossimo paragrafo.
21. Morgana e Sibilla allo specchio
Stiamo ora per giungere a secoli meno remoti. Stiamo per abbandonare il
periodo centrale del Medioevo per addentrarci in un'era successiva e più
tarda, approssimandoci sempre di più a quell'inizio del quindicesimo secolo
in cui la stella della nostra Sibilla Appenninica cominciò a brillare con tutta
la propria potenza.
Stiamo giungendo alla metà del quattordicesimo secolo, un periodo nel
corso del quale la tradizione concernente Morgana la Fata ha già percorso
un lungo viaggio attraverso il tempo, mostrando una significativa tendenza
a combinarsi e intrecciarsi con storie e leggende che narravano di magiche
Sibille, rappresentate come specificamente associate alla stessa sorellastra
di Re Artù.
Ma la Sibilla Appenninica non è ancora apparsa, e il personaggio di
Morgana è ancora forte; nondimeno, essa sta marcatamente assumendo
molti dei tratti che saranno propri della Sibilla di Norcia.
Andiamo a prendere in considerazione un'opera di grande interesse, Ly
Myreur des Histors (Lo Specchio delle Storie), scritto da Jean des Preis
d'Outremeuse, un autore originario di Liegi, nella seconda metà del
quattordicesimo secolo. La sua cronaca, composta di quattro libri, è una
sorta di storia del mondo, che ha inizio con il leggendario Diluvio
Universale e termina con gli anni che lo stesso autore stava vivendo. Ne
esistono vari manoscritti, conservati presso la Bibliothèque Royale de
Belgique a Bruxelles (n. 10455-10462 e altri). In questo articolo, seguiremo
la trascrizione fornita da Stanislas Bormans nel 1877.
33
Fig. 77 - La prima pagina e la frase introduttiva di Ly Myreur des Histors (manoscritto 10455,
Bibliothèque royale de Belgique, Brussels, folium 1r)
È nel Libro II (Tomo IV della trascrizione) che incontriamo, di nuovo,
Morgana la Fata («Morghe») e la sua isola incantata, Avalon. A quell'isola,
giunge un cavaliere: il suo nome è Ogier il Danese, egli serve Carlomagno,
e si trova ad essere gettato in quel luogo a seguito di un naufragio.
Su quell'isola, c'è qualcosa. È il castello di Morgana. Un luogo del piacere,
un luogo della gioia. E la fata invita il cavaliere a fare ingresso nella
propria residenza:
«Vengo a chiedervi di venire ad albergare presso il Castello delle Delizie.
Lì non troverete alcun altro uomo se non Artù, mio fratello [...] Nessun
uomo è lì, se non damigelle».
[Nel testo originale in antico francese: «je vous veng queirir por venir en
castel Plaisant herbegier. Ilh n'y at nul homme que Artus, mon frere, [...] Ilh
n'y at plus homme, fors que damoisellez»].
34
Fig. 78 - Il brano relativo al «castel Plaisant» di Morgana da Ly Myreur des Histors (nella trascrizione di
Stanislas Bormans, Bruxelles, 1877, p. 51)
Un castello di delizie, colmo di damigelle. Un castello che è incantato («li
castel est i lis faieis»). Un castello che è nascosto ad ognuno, e non può
essere percepito se non da suoi stessi abitanti («castel Plaisant, qui astoit
invisible à cascon fors à cheauz de laiens»). Un castello di negromanzia,
fatto d'aria e di illusioni («et n'astoit que vens et fantomme»):
«E [Merlino] insegnò quell'arte a Morgana, la sorella di Re Artù, e a molte
altre donne del reame di Britannia, mostrando ad esse l'antica saggezza,
come costruire una dimora fatta di pura aria per abitare in essa senza mai
invecchiare. Questo incantamento Morgana lo conosceva meglio ancora di
Merlino; e fece il Castello delle Delizie dove essa abitava; e in esso si
trovavano molte donzelle»
[Nel testo originale in antico francese: «Et [Merlin] aprist la science à
Morghe, le serour le roy Artus, et à pluseurs altres femmes de la royalme de
Bretangne, en enformant elles de la scienche perpetuee, à faire habitations
pour demoreir à touz jours sens avilhier et de pure aire. Cheste faierie ensi
par destinee Morghe en soit plus ancors que Merlin; et fist le castel Plaisant
où ilh habitoit; et oit deleis li des pucieles asseis»].
35
Fig. 79 - Il passaggio che narra dell'abilità di Morgana nel materializzare dimore incantate da Ly Myreur
des Histors (nella trascrizione di Stanislas Bormans, Bruxelles, 1877, p. 53 e 54)
Il castello di Morgana sta ora cominciando ad assomigliare alla grotta della
Sibilla Appenninica, così come essa sarà descritta, circa cinquanta anni più
tardi, da Andrea da Barberino nel suo Guerrin Meschino.
E le analogie non finiscono qui. Il castello e la grotta condividono una
medesima abbondanza di ricchezze:
Fig. 80 - Il brano sul castello incantato di Morgan da Ly Myreur des Histors (nella trascrizione di
Stanislas Bormans, Bruxelles, 1877, p. 52)
«lì vi sono molti deliziosi giardini, e tutt'intorno alberi che portano ogni
genere di frutta, dagli odorosi profumi. E il castello era fatto di
meravigliosi rubini, smeraldi, zaffiri, diamanti, berillio e di ogni sorta di
36
pietre preziose; [...] tutte le tavole erano fatte di puro oro, i letti di
calcedonio e zaffiro...».
[Nel testo originale in antico francese: «jardins y at mult dilicieux, et toute
altour arbres de toutez manerez de fruitez, qui getent grant odour. Et fut li
casteais fais de fins rubis, esmeraide, saphier, dyamans, et de jacinte, de
perilh, et de toutez pires precieuses; [...] les tablez sont trestout de fin or;
les lithier de calcidoine et de saphir...»].
Ma, d'altra parte, il castello di Morgana è un castello di piaceri («castel
Plaisant»), e noi sappiamo dal racconto riguardante la Sibilla Appenninica
che esiste una specifica modalità per offrire il vero piacere a un coraggioso
cavaliere:
«Dame e donzelle stavano lì, avvenenti e seducenti, senza commettere
peccato; molta era la lussuria, e la voglia di ricevere cortesi attenzioni».
[Nel testo originale in antico francese: «Dammes et puciellez astoient là
desduisantez sens pechiez faire; luxure heent mult, et sont desirantes
cortoisie»].
E infine, proprio come nei più reconditi recessi della grotta della Sibilla,
nessuno mai può invecchiare, perduto nei piaceri senza fine e dimentico del
mondo esterno.
«Qui io [Morgana] dimorerò fino al giorno del giudizio [...] e ogni giorno
vivrò nell'età di trenta anni [...] Lì Ogier abitò per lungo tempo [...]; e ogni
giorno è in gioia, pace e santità; [...] e quando ebbe venti anni, trascorsi otto
giorni, egli più non seppe di trovarsi lì, e tutto dimenticò del mondo».
Fig. 81 - Morgana e il suo castello incantato da Ly Myreur des Histors (nella trascrizione di Stanislas
Bormans, Bruxelles, 1877, p. 56)
37
[Nel testo originale in antico francese: «Chiens demoreis jusqu'al jour de
jugement [...] et toudis haitiez en eage de XXX ans [...] Là est Ogier
demoreit lonc terme [...]; et est toudis en joie, pais et sancteit; [...] et quide
XX ains avoir; passeit VIII jours, ihl ne seit là ilh est, ilh at tout obliieit le
monde»].
Fig. 82 - Ancora Morgana e il suo castello incantato da Ly Myreur des Histors (nella trascrizione di
Stanislas Bormans, Bruxelles, 1877, p. 56 e 58)
Questo, dunque, è il castello di Morgana. Un luogo di eterna gioia e
ricchezze e incantamenti. Solamente cinquanta anni dividono questo regno
di delizie dalla caverna, ancora di là da venire, della Sibilla Appenninica.
E possiamo mostrare ancora un ulteriore esempio. Una Sibilla, un luogo
invisibile, incantato, una dimora nella quale il tempo sembra possedere un
proprio passo magicamente rallentato. Si tratta, forse, di un luogo posto tra
gli Appennini?
Niente affatto. La storia è ambientata in Britannia, prima dell'avvento del
regno di Re Artù. Leggendola, non possiamo evitare di andare con il
pensiero alla nostra Sibilla degli Appennini, come avremo modo di vedere
nel prossimo articolo.
22. Sebille e il suo invisibile castello (nell'antica Britannia)
«Due damigelle vennero [presso i due cavalieri] e presero ciascuno di essi
per una mano, e li condussero in una bella camera dove essi si liberarono
38
delle proprie armi e si rivestirono con nuovi indumenti. Fatto ciò, le
damigelle li guidarono fino a una sala dove si trovava Sebille, la Dama del
Lago. Quando ella li vide giungere, li ricevette onorevolmente [...] Signori,
disse Sebille, le tavole sono pronte per la cena, venite a lavare le vostre
mani, così li prese per le mani e si lavarono. Ella volle sedere accanto al Re
e pose Floridas al proprio fianco».
[Nel testo originale in antico francese: «deux damoiselles furent illes
appareillies qui les prindrent chacun par la main les menerent en une belle
chambre ou ils se desarmerent et revesturent de nouveaux habiz. ce fait
elles les menerent en la sale ou sebille la dame de leanc estoit Laquele
quant elle les ver venir elle les receuyt honnourablement [...] Seigneurs dist
sebille les tables sont mises pour le soup venez laver si les print par les
mains et laverent. Elle fist seoir le roy puis elle au pres et Floridas au pres
delle»].
Fig. 83 - Due valorosi cavalieri in visita presso un incantato castello la cui signora è «Sebille» dal
Perceforest (manoscritto 3483, Bibliothèque de l'Arsenal, Parigi, folia 116v e 117r)
Questo brano è forse tratto da un'antica edizione in lingua francese del
Guerrin Meschino di Andrea da Barberino? Quella bella sala è forse sepolta
al di sotto del Monte Sibilla, negli Appennini italiani? Quella Sibilla
(«Sebille») è la Sibilla Appenninica?
39
Potrebbe certamente essere così, perché l'episodio qui riportato potrebbe
apparire come una copia di una situazione del tutto analoga esperimentata
dal cavaliere Guerrino al momento del suo ingresso, per la prima volta,
all'interno della grotta della Sibilla.
Invece, ci troviamo nell'antica Britannia, e stiamo leggendo un passaggio
tratto da Perceforest, un romanzo cavalleresco risalente al quattordicesimo
secolo, il quale non ha relazione alcuna con gli Appennini, né con la Sibilla
Appenninica.
Fig. 84 - L'inizio del romanzo cavalleresco Perceforest, o Premieres croniques de la Grant Bretaigne que
nous appellons a present Angleterre (manoscritto 3483, Bibliothèque de l'Arsenal, Parigi, folium 10r)
Si tratta, banalmente, solo di una situazione tipica, facilmente rinvenibile in
tutti i romanzi cavallereschi? Sì, certamente. Nondimeno, alcune specifiche
corrispondenze risultano essere assai sbalorditive. Se andiamo a prendere
in considerazione le frasi contenute al Folium 114v e successivi nel
manoscritto n. 3483 conservato presso la Bibliothèque de l'Arsenal a Paris,
40
scopriamo che molti tratti che andranno a distinguere la nostra Sibilla
Appenninica sono presenti anche in quest'opera, che racconta vicende
cavalleresche ambientate al tempo in cui Re Artù non era ancora re.
I due cavalieri citati in precedenza sono Re Alessandro e Floridas. Nel
corso della loro ricerca attraverso la Britannia, essi si imbattono in un
castello assai peculiare:
«Fu loro detto che essi si trovavano presso la Dama del Lago. Dunque dove
vive ella, chiese il Re. Sire, rispose uno di loro, ella vive qui di fronte a voi
[...] disse lo scudiero che [il suo castello] non poteva essere visto [...] Il Re
rispose che in quella terra non vi era né castello, né magione. Sire, gli fu
detto, con il vostro perdono, lì vi è luogo acconcio a ricevere Re
Alessandro. Mi sembra, disse il Re, che questo sia da vedersi. Sire,
aggiunse lo scudiero, la Dama del Lago ha talmente acconciato questo
luogo per mezzo di fatati incantamenti che il castello non può essere veduto
[...] Parola mia, disse il Re, tu mi racconti meraviglie. In verità, Sire, disse
ancora lo scudiero, lì dentro ve ne sono di ben più grandi».
Fig. 85 - Il castello incantato di Sebille dal Perceforest (manoscritto 3483, Bibliothèque de l'Arsenal,
Parigi, folium 114v)
41
[Nel testo originale in antico francese: «nous sommes dirent ils a la dame
du lac adont dist le roy ou demeure elle sire dist lun deulx elle demeure cy
devant [...] dist le vallet on ne le puet veoir [...] dist le roy esse dedens terre
il ny a dont ne chastel ne maison Sire sauls votre grace car il y a lieu et fust
pour recevoir le roy alexandre Il me semble dist le roy quon le verroit. Sire
dist le vallet la dame de leans la telement ordonne par fes enchantemens
quon ne le puet veoir [...] Certes dist le roy tu me dis merveilles. En verite
sire dist il elle y sont assez plus grandes»].
E dunque, la Dama del Lago, il cui nome scopriremo in seguito essere
«Sebille», è la signora di un incantato castello, nascosto alla vista degli
uomini. Proprio come un regno occultato al di sotto di un picco degli
Appennini.
E cosa accade, solitamente, in questo genere di luoghi?
«Nessuno poteva lasciare quelle selve a causa degli incantesimi, e inoltre
nessuno vi sarebbe potuto entrare che ne fosse potuto anche uscire».
[Nel testo originale in antico francese: «ne pouvoit homme yssir des forests
par les enchantemens et aussi nuls ny entroit qu en peust partir»].
Fig. 86 - Fatati incantamenti avvolgono la foresta circostante nel Perceforest (manoscritto 3483,
Bibliothèque de l'Arsenal, Parigi, folium 115r)
Dunque questa Sebille è signora di un reame che non può non ricordarci un
regno governato da un'altra Sibilla, quella degli Appennini. E il tempo,
all'interno di quel reame, ha un comportamento alquanto strano, come
scopriranno i due nobili cavalieri con grande sconcerto, essendosi essi
limitati a chiedere a Sebille alloggio per una singola notte:
42
«Quando la dama ebbe ascoltato la richiesta del Re, ella decise che avrebbe
fatto ben diversamente, a modo suo: perché il Re e Floridas dimorarono in
quel luogo quindici giorni, e pensarono di esservi rimasti solamente per una
notte».
[Nel testo originale in antico francese: «Quant la dame eut entendu le roy
elle sapesa quelle en seroit autrement come elle fist car le roy et floridas y
demourerent quinze iours et ny penserent davoir este que une nuit»].
Fig. 87 - La peculiare velocità del tempo all'interno del castello incantato di Sebille dal Perceforest
(manoscritto 3483, Bibliothèque de l'Arsenal, Parigi, folium 115r)
Ma il tempo costituisce una strana variabile anche all'interno della grotta
della Sibilla, in Italia, luogo nel quale i visitatori permangono eternamente
giovani e dimenticano del tutto l'esistenza del mondo esterno.
Per completezza di informazione, Sebille risulterà essere assai più fortunata
della propria controparte italiana, la Sibilla Appenninica: nel Perceforest,
infatti, essa riuscirà a sedurre Re Alessandro, e il prodotto di questa unione
sarà proprio Re Artù.
Secondo gli studiosi, Perceforest è stato posto per iscritto meno di cento
anni prima dell'apparizione letteraria della Sibilla Appenninica.
Tutto pare ora essere pronto, dunque, per la trasformazione finale: il
trasferimento della leggenda di Morgana all'interno di un picco solitario,
perduto tra gli Appennini italiani, nella forma della compagna e amica della
stessa Morgana, Sebille, altrimenti detta Sibilla.
Stiamo finalmente per assistere alla nascita di una Sibilla.
43
23. Una ricapitolazione e una cruciale affermazione in merito alla Sibilla
degli Appennini
È giunto il momento di ricapitolare e riassumere la lunga investigazione da
noi condotta attraverso vari secoli alla ricerca delle radici medievali della
nostra quattrocentesca Sibilla Appenninica, ripercorrendo le molte scoperte
rinvenute sfogliando i numerosi manoscritti antichi contenenti gli illustri
romanzi e poemi cavallereschi risalenti al Medioevo.
Abbiamo cominciato il nostro viaggio dopo esserci accertati, in una
precedente serie di articoli (Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia
alla ricerca dell'oracolo), come nessun riferimento a una Sibilla degli
Appennini possa essere reperito nel contesto della letteratura medievale e
latina: nessun autore, nessuna opera, nessuna cronaca, nessun saggio antico
riportano la benché minima menzione di una Sibilla che possa avere
dimorato presso un sito oracolare posto tra le vette della catena montuosa
che oggi identifichiamo come Monti Sibillini, posti in una fascia degli
Appennini che corre attraverso l'Italia centrale, tra le regioni dell'Umbria e
delle Marche.
Fig. 88 - Il lato nordorientale dei Monti Sibillini, parte degli Appennini nell'Italia centrale
È questo il motivo per il quale la Sibilla Appenninica parrebbe essersi
palesata solamente all'inizio del quindicesimo secolo, emergendo da un
misterioso vuoto: nessun indizio della sua presenza è rinvenibile prima che
44
fossero scritte le due opere fondamentali le quali, per prime, ne attestano
l'esistenza, Guerrin Meschino di Andrea da Barberino e Il Paradiso della
Regina Sibilla di Antoine de la Sale.
Dopo esserci accertati di ciò, abbiamo cominciato a muoverci adottando un
differente punto di vista, e stabilendo una nuova ipotesi di lavoro: la natura
più profonda della leggenda della Sibilla Appenninica sembrerebbe essere
occultata e nascosta alla vista da una serie di stratificazioni e aggiunte
narrative, le quali sarebbero andate ad ammantare la vera essenza del mito
sibillino nel corso del Medioevo, vale a dire nel volgere delle diverse
centinaia di anni che precedono quel quindicesimo secolo il quale ha visto
la comparsa della Sibilla degli Appennini. È dunque necessario andare a
rimuovere quelle stratificazioni se vogliamo veramente tentare di
contemplare e comprendere ciò che la leggenda della Sibilla Appenninica
risulti essere nella sua effettiva realtà.
Fig. 89 - Il magico ponte ritratto in Il Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale (manoscritto n.
0653 (0924), Bibliothèque du Château - Musée Condé, Chantilly, Francia, folium 10v)
I primi indizi che sembrano puntare proprio in questa direzione sono quelli
relativi al magico ponte e alle porte incantate poste in scena da Antoine de
la Sale nel suo famoso resoconto di una visita effettuata presso la grotta
della Sibilla: questi due elementi letterari sono stati infatti tratti da
tradizioni diverse, ben più antiche, e inseriti integralmente nella propria
narrazione dall'autore provenzale, così come abbiamo avuto modo di
45
dimostrare in precedenti articoli dedicati a questo argomento (Antoine de
La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla e Il Paradiso
della Regina Sibilla - La verità letteraria sulle magiche porte nascoste nel
Monte Sibilla).
In seguito, abbiamo rinvenuto ulteriori indizi, benché relativi a un
differente aspetto di quelle sovrapposizioni schermanti che abbiamo
intenzione di rimuovere: abbiamo infatti reperito una serie di elementi
narrativi, incorporati nel Guerrin Meschino, che risultano essere stati tratti
da precedenti romanzi cavallereschi, nessuno dei quali relativo a vicende
ambientate tra i Monti Sibillini.
Ad esempio, nell'Huon d'Auvergne ci siamo imbattuti in un episodio
concernente una dama oracolare, negromantica e dotata di grande saggezza,
associata a una montagna, e innanzi alla quale il cavaliere-eroe viene
introdotto da tre damigelle, per essere indotto nel peccato tramite illusorie
visioni di affascinante bellezza. Si tratta di un passaggio che Andrea
Barberino conosceva molto bene, in quanto egli lo inserì nella propria
versione dell'Ugone redatta in lingua italiana, intitolata Ugone d'Avernia. È
possibile che Andrea da Barberino abbia copiato la propria malvagia Sibilla
dalla magica dama che compare nell'Huon d'Auvergne e nel suo stesso
Ugone? Forse. Ma le somiglianze non si fermano certo qui, perché non è
difficile imbattersi in ulteriori, rimarchevoli corrispondenze.
Fig. 90 - Il cavaliere in visita al Papa da Il Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale
(manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château - Musée Condé, Chantilly, Francia, folium 17r)
46
Sia nell'Huon de Bordeaux che nell'Ugone d'Avernia, abbiamo trovato
passaggi in cui il protagonista principale si reca in viaggio a Roma allo
scopo di ottenere il perdono per i propri peccati, brani descritti con parole
che presentano una stretta analogia con le analoghe situazioni contenute nel
Guerrin Meschino e nel Paradiso della Regina Sibilla.
Nell'Ugone d'Avernia e nel Guerrin Meschino rinveniamo un medesimo
episodio che coinvolge il cavaliere protagonista e uno o più eremiti, recanti
una croce tra le mani. Nell'Ugone d'Avernia, il protagonista viaggia
attraverso la regione italiana della Calabria al fine di ottenere informazioni
in merito al luogo dove trovare l'ingresso dell'Inferno: una domanda simile
a quella che viene posta dall'eroe principale nel Guerrin Meschino, ed
esattamente nella stessa identica regione di Calabria, alla ricerca della
dimora della Sibilla. In Claris et Laris, una fatata damigella aiuta il
protagonista principale a uscire dal reame incantato in cui egli si trova
confinato: la medesima tipologia di mano amica viene tesa sia a Guerrino
nel Guerrin Meschino, sia a Lancillotto in Le Livre de Lancelot del Lac.
Inoltre, ciò che si rinviene è che, come ben sanno gli studiosi, la grotta
della Sibilla non costituisce affatto il solo e unico esempio di luogo
occultato, nascosto alla vista e talvolta situato nel sottosuolo o associato a
una montagna, ricolmo di magnifici palazzi e verdeggianti giardini, nonché
abitato da una maligna entità, sovente una sorta di dama tenebrosa, sovente
caratterizzato dall'offerta, ai visitatori, di peccaminosi piaceri. Abbiamo
infatti reperito questo tipo di schema narrativo in Huon d'Auvergne, Ugone
d'Avernia, Li Hauz Livres du Graal, Claris et Laris.
47
Fig. 91 - Il picco coronato del Monte Sibilla nei Monti Sibillini
Di fronte a tutto ciò, abbiamo reputato come fosse arrivato il momento per
imprimere alla nostra ricerca una direzione nuova e ardita, con l'obiettivo di
rimuovere tutti gli strati addizionali che nascondono il nucleo più vero della
leggenda concernente la Sibilla Appenninica: abbiamo dunque deciso di
promuovere lo schema narrativo relativo al reame incantato - uno degli
aspetti fondamentali della nostra leggenda - al rango di potenziale
candidato alla rimozione, sussistendo chiari segni di come esso possa
costituire meramente un suggestivo, ma estraneo, elemento aggiuntivo di
epoca medievale. Contenente una Sibilla parimenti estranea.
Perché qualcosa di ancor più stupefacente accade in quello stesso Huon da
Bordeaux: all'interno di un magico castello, protetto da un meccanismo in
eterno movimento (che ci ricorda le magiche porte descritte da Antoine de
la Sale), abbiamo trovato una giovane dama. Il cui nome è «Sebile»,
l'antica parola francese per Sibilla.
La coincidenza appare essere strabiliante. In mezzo a una vasta selezione di
nomi medievali potenzialmente assegnabili a una dama dimorante in un
incantato castello, lo sconosciuto autore di Huon sceglie esattamente
«Sibilla».
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E qualcosa di ancor più strabiliante accade in Claris et Laris: la signora
dell'incantato castello, che contiene le usuali damigelle e giardini e
ricchezze, è Morgana la Fata.
Il colpo finale ci viene offerto da Floriant et Florète, un altro romanzo
cavalleresco: anche qui c'è una dama, ed essa è signora di un regno
incantato posto al di sotto di una montagna. Una montagna italiana, il
Monte Etna, in Sicilia. E - di nuovo - si tratta di Morgana.
Morgana la Fata, la sorella di Re Artù. Uno dei personaggi principali
appartenenti alla Materia di Bretagna e al ciclo arturiano.
E così, ci troviamo ad avere a che fare con Sibilla, Sebile e Morgana. Tutte
in relazione con incantati reami, i quali condividono caratteristiche simili.
Abbiamo allora cominciato a investigare la figura e i tratti di Morgana la
Fata, oggetto di approfondite ricerche da parte dei moderni studiosi:
oracolo, maga e guaritrice, descritta per la prima volta da Goffredo di
Monmouth, e associata all'incantata isola di Avalon, terra benedetta, nella
quale, secondo la leggenda, Re Artù sta ancora vivendo una vita senza fine.
Fig. 92 - Sibilla dal Guerrin Meschno di Andrea da Barberino (edizione stampata a Venezia nel 1480),
Sebile dalle Prophécies de Merlin (manoscrittoAdditional MS 25434, British Library, folium 173r),
Morgana la Fata da Lestoire de Merlin (manoscritto Additional MS 10292, British Library, folium 177r)
È possibile che Morgana abbia qualcosa a che fare con le Sibille?
Sì, con assoluta certezza. Una connessione diretta tra di esse viene infatti
stabilita, nel dodicesimo secolo, da Hartmann von Aue nel suo poema Erec,
nel quale egli ritrae Morgana la Fata come una potentissima, malvagia
negromante. Potentissima, come una Sibilla, scrive von Aue (riferendosi
forse alla classica Cumana, a motivo della tradizione negromatica ad essa
associata).
49
E le scoperte non terminano qui. Abbiamo infatto trovato come Morgana
non sia posta in relazione solamente con una leggendaria isola, Avalon, ma
anche con una sorta di mitica montagna. Si trattava del Monte Etna in
Floriant et Florète. E una montagna appariva anche nel Parzival di
Wolfram von Eschenbach, dove viene affermato come Morgana provenga
da una montagna assai speciale, un luogo incantato, una «Terra della
Gioia».
Oltre a ciò, troviamo anche che nell'Lestoire de Merlin e in Le Livre de
Lancelot del Lac, Morgana la Fata viene descritta come una saggia dama,
una sapiente e - introducendo un aspetto nuovo, mai apparso in precedenza
- come una femmina estremamente sensuale, «la più ardente femmina di
tutta la Britannia, e la più lasciva».
Abbiamo dunque cominciato a comprendere come, sin dal Medioevo,
Morgana e la Sibilla Appenninica abbiano iniziato a condividere molti
aspetti, in comune tra le due figure: il dominio su un luogo incantato;
un'approfondita, estesa conoscenza delle arti magiche; straordinari poteri
negromantici; una montagna speciale ad esse associata; una tendenza alla
concupiscenza sensuale; un luogo di gioia e delizie.
E le analogie hanno continuato a susseguirsi. Morgana presenta anche una
propensione all'imprigionamento di cavalieri all'interno della propria
magica dimora, proprio come la Sibilla Appenninica. In Le Livre de
Lancelot del Lac, ella lancia un incantesimo su di una valle nella quale
confinare i cavalieri: la «Valle Senza Ritorno», un luogo di delizie nel quale
la vita può essere goduta in pienezza, ma comunque una prigione. Un luogo
simile viene da essa creato in Le Livre d'Artus, nel quale i cavalieri possono
fare ingresso, ma viene loro impedito di uscire.
Ma la nostra straordinaria storia procede ben oltre. Mentre Morgana la Fata
appare convergere in modo crescente verso la figura della Sibilla
Appenninica, anche la Sibilla pare compiere alcuni passi in direzione di
Morgana.
In Le Livre de Lancelot del Lac, ci imbattiamo direttamente in «Sebile»
come appartenente al gruppo di fate guidato da Morgana. E - di nuovo - ci
viene detto che entrambe rappresentano le più potenti maghe e incantatrici
50
del mondo intero. Morgana, Sebile e una terza fata rapiscono Lancillotto
per condurlo nel loro castello, una conferma della comune tendenza alla
cattura e al confinamento di cavalieri allo scopo di indurli in tentazione.
E quali parole rivolge Lancillotto alle sensuali dame? Egli si presenta
dicendo «il mio nome è Lancillotto del Lago, il Meschino». Egli pronuncia
esattamente lo stesso aggettivo che sarà in seguito utilizzato da Andrea da
Barberino come appellativo per il proprio cavaliere-eroe Guerrino.
Fig. 93 - Guerrino è associato all'appellativo «Meschino» nel Guerrin Meschino di Andrea da Barberino
(manoscritto n. MA297, Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo, capitolo VII); il medesimo appellativo è
assegnato da Lancillotto a se stesso in Le Livre de Lancelot del Lac (manoscritto Additional MS 10293,
British Library, folium 282r)
E «Sebile l'incantatrice» è posta in scena nuovamente nelle Prophécies de
Merlin, ancora in qualità di compagna di Morgana la Fata; e di nuovo in
Huon de Bordeaux, all'interno di un incantato castello sorvegliato da
magici meccanismi di metallo; e, ancora, nella Chanson d'Esclarmonde,
assieme a Morgana, entrambe dimoranti sotto una montagna in un regno di
perfetta gioia ed eterna giovinezza.
Rinveniamo anche Sebile in una finale, acrobatica trasformazione che la
tramuta nella stessa Morgana: questo è ciò che accade nel Wartburgkrieg,
dove la figlia di una Sibilla viene presentata come la regina di un incantato
reame nel quale Re Artù vive la propria vita senza fine, un ruolo che è
tradizionalmente assegnato a Morgana.
E, nel Wartburgkrieg, l'incantato reame è situato al di sotto di una
montagna.
Siamo poi arrivati, infine, ad esempi letterari che rendono disponibili
evidenze strabilianti e palesi di una progressiva convergenza tra le figure di
51
Morgana e della Sibilla Appenninica, con una sorta di totale
intercambiabilità tra le due.
Solamente una cinquantina d'anni prima dell'apparizione di una Sibilla
degli Appennini, nell'opera Ly Myreur des Histors, è Morgana la Fata a
presiedere un «Castello delle Delizie», ricolmo di ogni sorta di giardini,
pietre preziose e tesori, e contenente una corte di leggiadre, voluttuose
damigelle, in cerca di piacere e in apparenza immuni dal peccato;
nondimeno, l'intero castello non è che il prodotto degli incantamenti di
Morgana, e tutto, là dentro, è frutto di illusione. In quel luogo, i cavalieri
perdono ogni ricordo del mondo esterno, e vivono felicemente in un'eterna
giovinezza immersa in ogni sorta di delizie. E nel Perceforest, è invece
Sebille a essere signora di un invisibile castello, nascosto alla vista grazie
alla magia, nel quale nessuno può entrare, e dal quale non è possibile
uscire, dove un cavaliere può dimenticare il mondo e il tempo. E questo
castello di Sebille, come occorre rimarcare, non sorge affatto tra gli
Appennini, ma piuttosto in Britannia.
Indizi, tracce, evidenze, chiare connessioni: tutto ciò che abbiamo potuto
reperire all'interno degli antichi manoscritti, quei manoscritti che
trasmettono fino al nostro tempo attuale la tradizione letteraria del mondo
cavalleresco medievale, mostrano come Morgana la Fata, un antichissimo,
fondamentale personaggio appartenente al ciclo arturiano, e la
quattrocentesca Sibilla Appenninica risultino essere strettamente collegate
l'una all'altra.
Esse sono così fortemente intrecciate che l'una discende dall'altra.
La Sibilla Appenninica pare essere il prodotto del trasferimento della
tradizione leggendaria relativa a Morgana la Fata, già associata alle Sibille
e a Sebile, a propria volta maga e incantatrice, dalla Materia di Bretagna
fino a un remoto, misterioso picco che si innalza in Italia, tra gli Appennini.
Sembrerebbe, dunque, che il Monte Sibilla abbia assunto su di sé un
modello leggendario assai più antico, definito nei secoli precedenti
nell'ambito di un contesto letterario cavalleresco, le cui radici affondano
negli antichi territori di Britannia, Francia e Germania.
Nessuna Sibilla ha mai abitato al di sotto del Monte Sibilla, in Italia.
52
Fig. 94 - Una delle numerose pregevoli miniature contenuta nel manoscritto Additional MS 10292
(folium 188r) conservato presso la British Library a Londra, e contenente le opere cavalleresche L'estoire
del Saint Graal e Lestoire de Merlin, affiancata a un'evocativa immagne del Monte Sibilla
Ed è questa la ragione per la quale, quando si vanno a interrogare i secoli
che hanno preceduto il quindicesimo, non è possibile trovare alcuna traccia
della Sibilla Appenninica: non c'era nessuna Sibilla Appenninica da trovare,
né nel Medioevo né al tempo di Roma antica. Le sole tracce visibili sono
quelle lasciate da Morgana e dalla sua magica compagna Sebile.
Così, nessuna Sibilla Appenninica è mai esistita.
Andiamo a vedere, nel prossimo articolo, se questa affermazione, della
massima importanza e gravida di notevolissime conseguenze, possa essere
definitivamente e incontrovertibilmente confermata, oppure no.
24. La Sibilla Appenninica, ombra di Morgana
Nella nostra precedente serie di articoli Sibilla Appenninica: un viaggio
nella storia alla ricerca dell'oracolo, scrivemmo che «la Sibilla
Appenninica, apparsa all'improvviso, nel quindicesimo secolo, nelle opere
di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, parrebbe avere trovato origine
in uno sconcertante nulla, come un veliero che emerga repentinamente
dalle fitte nebbie che ammantano il mare, con tutti i suoi alberi e pennoni e
sartiami sfavillanti di una luce splendidamente sinistra».
53
Ma questo è accaduto perché avevamo inizialmente indirizzato la nostra
investigazione verso la ricerca delle possibili tracce lasciate, nella storia e
nella letteratura, da una Sibilla degli Appennini; e queste tracce non
esistono, perché nessuna Sibilla Appenninica è mai esistita né in epoca
medievale, né in epoca classica.
Al contrario, ci siamo imbattuti in una moltitudine di tracce, in una grande
quantità di impronte, in una messe di evidenze chiare e manifeste di come
il leggendario racconto della Sibilla Appenninica scaturisca, in realtà, da
una più antica tradizione letteraria: quella concernente Morgana la Fata,
una figura primaria appartenente al mondo cavalleresco della Materia di
Bretagna, la cui leggenda appare essere specificamente connessa alla
Sibille classiche e alle loro abilità magiche e negromantiche, con una vera e
propria personificazione di questo legame in un personaggio di nome
Sebile, compagna di Morgana in diversi romanzi e poemi cavallereschi e
spesso del tutto intercambiabile con la sorella di Artù nel ruolo di malvagia
signora di luoghi magicamente incantati.
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Fig. 95 - Una visione artistica di un veliero che emerge da dense nebbie, così come accadde alla Sibilla
Appenninica all'inizio del quindicesimo secolo (immagine composita elaborata dall'Autore)
E dunque, possiamo ribadire, con confidente determinazione, la nostra
ardita ipotesi: nessuna Sibilla ha mai dimorato all'interno del Monte Sibilla,
in Italia.
La Sibilla Appenninica è il risultato del trapianto di una diversa leggenda,
estranea ai luoghi, in una specifica montagna italiana, posta al centro della
dorsale appenninica che corre in terra d'Italia. Un adattamento di una
tradizione inglese, francese e tedesca relativa a Morgana la Fata e alla sua
compagna Sebile, una lontana discendente delle Sibille classiche,
adattamento applicato a un peculiare sito perduto tra le creste dirupate di
ciò che oggi identifichiamo con il nome di Monti Sibillini.
55
La Sibilla Appenninica, quindi, non è altro che una delle stratificazioni
addizionali che nascondono e oscurano la vera origine della leggenda
italiana. Uno strato che aveva necessità di essere rimosso.
Si tratta solamente di un'ipotesi delirante? Un'affermazione bizzarra,
fondata meramente su inconsistenti somiglianze rilevate tra due diverse
figure letterarie - Morgana la Fata e la Sibilla Appenninica - che nulla
hanno in realtà a che vedere l'una con l'altra?
Stiamo solamente confrontandoci con una vuota fantasticheria, proposta da
un ricercatore un po' troppo immaginifico nell'ambito di un articolo
certamente interessante, ma del tutto infondato?
La risposta è no. Perché molti altri studiosi, anche assai illustri, hanno
avuto modo di esaminare questa stessa idea: la Sibilla Appenninica, come
prodotto di una diversa tradizione, da rinvenirsi tra romanzi cavallereschi
ben più antichi, in relazione a tratti letterari tipicamente associati a
Morgana, così come riportato da Maria Luciana Buseghin nel suo esaustivo
saggio L'Ultima Sibilla, pubblicato nel 2012.
Già nel 1903, Lucy Ann Paton, nel volume Studies in the fairy mythology
of Arthurian romance, ebbe occasione di scrivere che «generalmente
[Sebile l'incantatrice] non è che l'ombra della stessa Morgana», e che sia
Guerrin Meschino che Il Paradiso della Regina Sibilla costituiscono «fonti
[che] si sostengono l'una con l'altra, Antoine de la Sale ponendo in scena
materiale di origine puramente celtica, e Andrea da Barberino conservando
in modo più marcato il carattero sibillino della fata [...] Entrambe le fonti
mostrano tendenze che sono spesso presenti nelle tradizioni leggendarie
medievali relative alle fate [... con] l'inclusione di elementi tradizionali sia
celtici che classici nei racconti popolari».
Lo studioso italiano Ferdinando Neri, nel suo Le tradizioni italiane della
Sibilla (1913) scrive che «il paradiso della Sibilla deve allora porsi a
riscontro delle terre incantate [...] Nella poesia cavalleresca è la terra di
féerie, il regno di Morgana, Avalon [...] Sibilla: questo era un nome di fata,
e sempre insieme con Morgana appare [in varie opere cavalleresche]».
56
Fig. 96 - Il brano di Lucy Ann Paton su Sebile contenuto in Studies in the fairy mythology of Arthurian
romance, Boston, 1903 (pagine 52 e 53, nota n. 2)
Fig. 97 - Il passaggio sulla Sibilla da Le tradizioni italiane della Sibilla di Ferdinando Neri (in Studi
medievali, Torino, 1912-1913, pag. 228)
57
Ma la conferma più significativa del modello che stiamo proponendo in
relazione all'origine cavalleresca della Sibilla Appenninica ci viene fornita
da un celebre studioso e illustre professore, una delle maggiori autorità nel
campo della tradizione letteraria del Medioevo, della Materia di Bretagna e
del ciclo arturiano.
Fig. 98 - Roger Sherman Loomis
Il suo nome è Roger S. Loomis. Egli fu l'autore di un articolo scientifico
nel quale viene affermato, con esatta precisione, questo stesso punto: la
Sibilla Appenninica è il prodotto di un adattamento della tradizione
leggendaria concernente Morgana la Fata a una specifica località posta tra
gli Appennini, nel centro dell'Italia.
Andiamo dunque a vedere, nel prossimo articolo, ciò che il Professor
Loomis, eminente studioso della Columbia University, ebbe a scrivere a
proposito di Guerrin Meschino e del Paradiso della Regina Sibilla. E in
merito alla Sibilla degli Appennini.
25. La Sibilla degli Appennini e la sua derivazione dalla maga sorella di
Re Artù
Nel 1959, Roger Sherman Loomis scrisse un saggio fondamentale,
Morgana la Fata nella tradizione orale (Morgain la Fée in oral tradition),
che è rimasto sostanzialmente ignoto ai vari studiosi italiani che si sono
occupati, nei decenni successivi, del mito della Sibilla Appenninica,
58
risultando raramente citato nei volumi e negli articoli usciti in Italia
sull'argomento successivamente alla sua pubblicazione.
Fig. 99 - L'articolo di Roger S. Loomis su Morgana la Fata nella tradizione orale (da Romania, tomo
LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pagine 337-367)
Si tratta di un emozionante esempio di riflessione scientifica prodotta da un
grande ricercatore e specialista del settore, una delle massime autorità per
quanto concerne la Materia di Bretagna. E le sue conclusioni sono
perfettamente identiche ai risultati ottenuti dall'autore del presente articolo,
pur se il contributo di Loomis è stato da me reperito solamente al termine
della mia ricerca, che dunque non ha subìto l'influenza, in qualsivoglia
senso, della posizione espressa dall'illustre e autorevole studioso.
Roger S. Loomis conferma totalmente il medesimo scenario che abbiamo
inteso tratteggiare nel presente articolo: l'origine del mito di una Sibilla
Appenninica non deve essere ricercata tra gli Appennini italiani, essendo la
Sibilla il prodotto di un trapianto letterario della leggenda di Morgana la
59
Fata, e dell'incantatrice Sebile, all'interno di una specifica ambientazione
italiana, quella dei Monti Sibillini.
«Il racconto straordinario», scrive Loomis, «prodotto all'inizio del
quindicesimo secolo da Andrea da Barberino a proposito della visita di
Guerrino il Meschino presso la dimora della fata Alcina [il nome che
rimpiazzerà quello della Sibilla nell'edizione del 1689 - nota dell'autore]
[...] consiste sostanzialmente nell'elaborazione di una visita presso la
dimora di Morgana la Fata. [...] Benché lo scenario geografico posto su di
una montagna in prossimità di Norcia negli Appennini centrali sia descritto
con accuratezza, il tema principale deve essere stato tratto da qualche
versione di una visita all'incantato palazzo di Morgana».
Fig. 100 - Le parole di Roger S. Loomis sul Guerrin Meschino in Morgana la Fata nella tradizione orale
(da Romania, tomo LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pagine 347-348)
Dunque, secondo Loomis, il quale conosceva perfettamente tutti i brani
letterari che abbiamo avuto modo di proporre all'attenzione del lettore nella
presente opera, la Sibilla Appenninica non è che il frutto di una tradizione
letteraria assai illustre, relativa a Morgana la Fata. Ci troviamo quindi, su
questo punto, in pieno accordo con Loomis, concordando inoltre con il
grande studioso anche in merito alla sua ulteriore riflessione su questo
tema:
«Malgrado gli ovvi cambiamenti e gli abbellimenti letterari, il resoconto
della visita di Guerrino al sensuale paradiso della Sibilla è in tutta evidenza
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derivato da una qualche versione del Paradiso fatato di Morgana, non
dissimile da quello descritto in Claris et Laris. [...] La natura di Alcina è
ben spiegabile, dunque, in quanto racchiude aspetti caratteristici di
Morgana e della Sibilla».
Fig. 101 - La Sibilla Appenninica e Morgana considerate da Roger S. Loomis in Morgana la Fata nella
tradizione orale (da Romania, tomo LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pag. 350)
Inoltre, Loomis mostra come rigettare nel modo più corretto una
prevedibile critica che potrebbe essere opposta nei confronti di una
sostanziale identificazione della Sibilla Appenninica con Morgana: come è
possibile che un personaggio tradizionale appartenente al ciclo arturiano
abbia potuto trasferirsi dall'antica Britannia fino al centro dell'Italia?
La risposta giunge in modo assai naturale: si tratta esattamente di ciò che è
accaduto nella realtà dei fatti, così come attestato dalle indiscutibili
evidenze ben note a tutti gli studiosi:
«Se può sembrare difficile convincersi come le leggende concernenti
Morgana e la sua valle incantata possano avere viaggiato fino a un monte
dell'Italia centrale, non dimentichiamoci del fatto che la tradizione della
sopravvivenza di Artù nella felice isola di Avalon, sulla quale è Morgana a
governare, è riuscita ad arrivare addirittura più lontano, fino a trovarsi
associata al Monte Etna».
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Fig. 102 - La migrazione di temi arturiani dalle isole britanniche fino all'Italia nell'analisi elaborata da
Loomis in Morgana la Fata nella tradizione orale (da Romania, tomo LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pag.
350)
E così le leggende arturiane hanno vissuto e prosperato tra i lettori e il
pubblico di spettatori d'Italia, così come attestato dalla stessa fortuna del
romanzi cavallereschi rimaneggiati da Andrea da Barberino, redatti in
lingua italiana per l'intrattenimento di uomini e donne che vivevano nella
nostra penisola. E, in Italia, questo processo di diffusione era già attivo
molto tempo prima che Andrea da Barberino cominciasse a vergare le
proprie opere, grazie a una incontenibile irradiazione su base orale, così
come efficacemente rimarcato da Loomis:
«Deve essersi verificata una prodigiosa circolazione di racconti a proposito
della magica regina, trasportati di bocca in bocca, in parte per mezzo di
forme complesse elaborate da intrattenitori professionali, e in parte nelle
forme più semplici della chiacchiera locale e della narrazione dei
viaggiatori», perché sarebbe «andare contro ogni evidenza il voler negare la
potenza e la persistenza della tradizione orale nel plasmare la Materia di
Bretagna».
Il ciclo arturiano, muovendo dalla Britannia e viaggiando attraverso
Francia e Germania, circolava attraverso l'Italia nella forma sia di romanzi
cavallereschi che di racconti e narrazioni orali, rappresentati nelle
pubbliche piazze, agli angoli delle strade, durante le fiere e i mercati, in
occasione delle feste di paese e nella ricorrenza delle più importanti
celebrazioni religiose.
«Se sia stato Andrea da Barberino», prosegue Loomis, «il responsabile di
questa fusione tra Sibilla e Morgana per generare un singolo personaggio, e
della localizzazione del paradiso di Morgana nel Monte Sibilla, non è dato
sapere [...] Sappiamo anche, dalla testimonianza resa disponibile da
scrittori di quel tempo, che questi sviluppi costituivano un fenomeno
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largamente orale, e che solamente dopo che le leggende erano state
l'oggetto della voce popolare e, forse, di rappresentazioni
professionalmente eseguite, solo successivamente gli uomini di lettere le
ponevano per iscritto e le rielaboravano su pergamena».
Fig. 103 - Narrazione di storie e racconti cavallereschi nell'elaborazione di Roger S. Loomis in Morgana
la Fata nella tradizione orale (da Romania, tomo LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pagine 366-367)
Roger S. Loomis non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro di
questo. Se vogliamo comprendere l'origine letteraria di una figura come
quella della Sibilla Appenninica, dobbiamo rivolgerci a Morgana la Fata e
al mondo all'interno del quale la sua tradizione è stata oggetto di secoli di
elaborazioni, trasformazioni e adattamenti. Un mondo fatto di romanzi e
poemi cavallereschi, cantastorie di professione che si spostavano da un
luogo all'altra dell'Europa, e un potente procedimento creativo orale per
mezzo del quale la Materia di Bretagna è transitata attraverso un numero
infinito di comunità, ambienti culturali e ambiti geografici locali differenti,
subendo una continua trasformazione nei temi e nei tratti pur rimanendo
all'interno di un medesimo scenario narrativo, pienamente in grado di
adattare se stesso ai bisogni, ai gusti e alle aspettative di ogni genere di
pubblico.
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Fig. 104 - Andrea da Barberino, Morgana, la Sibilla Appenninica e la diffusione di narrazioni orali in
Morgana la Fata nella tradizione orale (da Romania, tomo LXXX, n. 319, Parigi, 1959, pagine 350 e
352)
Ormai, questa lunga fase della nostra ricerca del nucleo più vero della
leggenda della Sibilla Appenninica è quasi completata. Nondimeno, è
necessario pronunciare ancora alcune parole finali.
Parole conclusive, per terminare questo emozionante, straordinario viaggio
nel mondo della cavalleria. E per dare inizio a una nuova sorprendente
investigazione, che ci porterà fino a toccare, con la punta delle nostre dita,
la natura più profonda della leggenda sibillina. Che deve, ancora, essere
svelata.
26. È questa la fine della leggenda della Sibilla Appenninica?
Quando abbiamo cominciato la nostra ardita ricerca sulla vera origine della
leggenda della Sibilla Appenninica, scrivemmo che saremmo andati a
rimuovere tutte le sovrastrutture letterarie che sono andate sovrapponendosi
al racconto sibillino nel corso dei secoli, eliminando tutti quegli strati
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concentrici che ne avviluppano e ne soffocano il fondo mitico più vero, con
l'obiettivo di liberare la sua figura spazzando via gli elementi narrativi che
sono stati aggiunti nel tempo alla sua storia, elementi che sono stati tratti da
differenti racconti leggendari.
La nostra intenzione era quella di disperdere quell'impenetrabile nebbia che
aveva accompagnato la sua repentina apparizione all'inizio del
quindicesimo secolo, quando due diversi autori, Andrea da Barberino e
Antoine de la Sale, narrarono nelle rispettive opere di una Sibilla dimorante
in una remota regione montuosa dell'Appennino centrale, in Italia.
Ora, queste sovrastrutture letterarie e strati concentrici e schermi narrativi
sono stati spazzati via, insieme a quella nebbia imperscrutabile che
occultava la vera discendenza di quella Sibilla. Una Sibilla la cui origine è
rintracciabile in un'antica tradizione concernente Morgana la Fata e i
racconti cavallereschi che sono parte della Materia di Bretagna.
Siamo ora in grado di fornire una risposta a molte delle domande (anche se
non a tutte, come vedremo più oltre) che avevamo avuto modo di delineare
all'inizio della nostra investigazione.
La tradizione relativa a una Sibilla Appenninica, vivente al di sotto del
Monte Sibilla, costituisce un racconto nativo, totalmente locale, originatosi
nel territorio dei Monti Sibillini? La risposta è no, in quanto la Sibilla
manifesta il segno marcato, inequivocabile dell'influenza prodotta dal
mondo della letteratura e delle tradizioni cavalleresche, e una specifica
discendenza da uno dei principali personaggi appartenenti al ciclo
arturiano, Morgana la Fata.
Si tratta di una leggenda realmente generatasi all'interno della zona del
Monte Sibilla, o proviene essa, invece, da un trasferimento in questi luoghi
di un racconto originatosi in aree culturali differenti e in una diversa area
geografica, successivamente adattato e trapiantato in questa specifica,
peculiare porzione di territorio? È certamente così, avendo avuto modo di
illustrare come questa Sibilla costituisca il risultato finale di un processo
evolutivo che si è infine stabilito nell'area conosciuta oggi sotto il nome di
Monti Sibillini.
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Veramente quella Sibilla ha affrontato un lungo cammino attraverso i secoli
e oltre quell'impenetrabile nebbia, dopo avere iniziato il proprio viaggio
nell'antichità ed essersi mantenuta completamente invisibile, finché non è
emersa nel quindicesimo secolo? In un certo senso, la risposta è
affermativa. Ma quella Sibilla, in viaggio nel tempo, non proveniva dagli
Appennini, trattandosi invece di un personaggio facente parte di una
tradizione, sia letteraria che orale, il cui progenitore è Morgana, una figura
strettamente connessa alle Sibille e successivamente trasformatasi in una
fata chiamata Sebile. Perché Morgana la Fata e la sua compagna hanno
lasciato una grande quantità di impronte lungo tutta la storia della
letteratura cavalleresca, mostrando significative somiglianze tra di esse e
con la stessa Sibilla Appenninica: una molteplicità di sparse, variegate
evidenze letterarie che confermano totalmente questo scenario.
È possibile che la Sibilla costituisca il più recente risultato di qualche
strana condensazione di quella nebbia, così fitta, così vorticante, nella quale
il suo mito abbia potuto prendere forma non nell'antichità, ma, invece, non
molto lontano nel tempo, poco prima dell'inizio del quindicesimo secolo?
Sì, almeno parzialmente. La Sibilla Appenninica è scaturita, con grande
probabilità, da una tradizione orale esplicatasi nel corso del
quattordicesimo secolo, per poi essere rappresentata e trovare una propria
stabilità in opere letterarie quali Guerrin Meschino e Il Paradiso della
Regina Sibilla. Nondimeno, la nebbia vorticante dalla quale essa si è
originata conteneva già, nei secoli precedenti, le sue antecedenti, Morgana
e Sebile.
E, a questo punto della nostra ricerca, possiamo accingerci a ridisegnare
l'immagine che avevamo proposto all'inizio della nostra investigazione,
riempiendo i vuoti nella nebbia con l'inserimento delle impronte in
cammino lasciate dalla Sibilla (Sibilla, Sebile, Sibillen, Sebille), in viaggio
attraverso i secoli ed emergente finalmente al principio del quindicesimo
secolo, con le opere di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale: un lungo
itinerario, al termine del quale la Sibilla Appenninica si profila in tutto il
suo splendore contro l'oscurità della storia.
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Fig. 105 - L'immagine che avevamo presentato nel paragrafo iniziale del presente articolo e in Sibilla
Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo, ora integrato con le tracce lasciate dalla
Sibilla nella sua qualità di compagna di Morgana (immagine composita elaborata dall'Autore)
Eppure, possiamo dire che questo sia tutto?
Stiamo forse percorrendo un sentiero che ci condurrà verso una triste
destinazione finale, consistente meramente in un increscioso, imbarazzante
declassamento della Sibilla Appenninica, da mito originale e indipendente a
banale adattamento di leggende sviluppatesi altrove?
Stiamo forse affermando che questa Sibilla sia una sorta di mito 'fasullo',
ora che esso è stato spogliato di tutto il suo scintillante apparato
cavalleresco, ed esposto in tutta la sua nudità quale vuoto contenitore di un
racconto leggendario che appartiene ad altre nazioni, altre genti, altre
illustre tradizioni mitiche, con particolare riferimento a quelle concernenti
la Materia di Bretagna?
È forse questa la fine della leggenda della Sibilla Appenninica?
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No. Non è affatto la fine. Un enigma vibra ancora, con il suo oscuro,
sinistro bagliore, sui remoti picchi dei Monti Sibillini. Nel centro dell'Italia.
Come vedremo nel prossimo e conclusivo paragrafo.
27. L'enigma è ancora nascosto tra le montagne
Nel precedente articolo, abbiamo presentato le conclusioni del nostro lungo
studio sulla vera origine della leggenda della Sibilla Appenninica.
I risultati mostrano come la Sibilla degli Appennini discenda da un'illustre
categoria di fate rappresentate nell'ambito della Materia di Bretagna. Si
tratta, con grande probabilità, di un adattamento dei personaggi di Morgana
la Fata e Sebile, con insediamento di queste figure in una specifica
ambientazione italiana, quella dei Monti Sibillini.
Fig. 106 - La Sibilla Appenninica come «Sibilia» dal Guerrin Meschino di Andrea da Barberino
(manoscritto n. MA297, Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo, Capitolo CLIII)
Una discendenza che pare presentarsi in modo addirittura tangibile se
andiamo ad aprire le pagine di una delle più antiche versioni disponibili del
Guerrin Meschino, quella contenuta nel manoscritto n. MA297 conservato
presso la Biblioteca Civica 'Angelo Mai' a Bergamo. In questa versione,
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risalente al 1468, la Sibilla Appenninica non viene indicata con l'usuale
parola italiana 'Sibilla', rinvenibile nelle successive edizioni a stampa, ma
come «Sibilia»: un nome inusuale, la cui pronuncia italiana risulta essere
significativamente simile a quella della parola francese 'Sebile'.
Morgana, Sebile, Sibilia, Sibilla Appenninica. Una discendenza che
certamente necessiterà di ulteriori approfondimenti e ricerche; nondimeno,
pensiamo che il presente studio, autorevolmente confortato dalle analoghe
conclusioni espresse in passato da Roger S. Loomis, possa indicare la
giusta direzione da seguire per giungere a una piena comprensione
dell'antico mistero e dell'illustre tradizione concernente questa Sibilla
italiana.
Eppure, questa non è affatto la fine della leggenda della Sibilla
Appenninica.
Perché Morgana e Sebile, per quanto affascinanti queste figure possano
essere, non sono sufficienti a spiegare il perché tutto questo sia avvenuto.
Il suo enigma, l'enigma della Sibilla degli Appennini, è tutto fuorché
risolto.
Perché, ancora, non abbiamo potuto fornire una risposta a due fondamentali
domande, le più difficili tra quelle che enunciammo all'inizio della nostra
ricerca: è possibile che la Sibilla sia sorta da una particolare condensazione
relativa, in modo specifico, alla natura di questi luoghi, i Monti Sibillini? È
forse nato qui il nucleo originale della leggenda della Sibilla Appenninica,
trattandosi, per qualche motivo, di un genere di luogo particolarmente
speciale?
Come abbiamo avuto modo di illustrare, sappiamo per certo che la Sibilla
degli Appennini è stata modellata attorno a temi leggendari aggiuntivi tratti
da altri racconti e altre storie, in particolare dalla Materia di Bretagna e dal
ciclo arturiano. Ma perché questi racconti e queste storie hanno deliberato
di stabilirsi proprio qui, tra i Monti Sibillini?
Morgana la Fata, Sebile l'incantatrice, il ponte magicamente sottile, le porte
eternamente sbattenti, il sito oracolare, le visite a un regno sotterraneo e
nascosto: perché tutti questi straordinari elementi narrativi sono venuti a
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stabilirsi precisamente in questo punto, perduto tra i contrafforti montuosi
degli Appennini italiani?
Nessuno studioso ha mai affrontato questo problema. Non troviamo
risposte, a questo proposito, né in Roger S. Loomis, né in Lucy Ann Paton,
Ferdinando Neri o presso alcun altro studioso. Nessun articolo scientifico è
stato mai dedicato a questa fondamentale questione.
Il leggendario materiale narrativo appartenente alla tradizione di Morgana e
delle Sibille avrebbe ben potuto insediarsi in qualsiasi altra località in Italia
o altrove, depositando la propria carica mitica in un luogo differente, in
modo tale da stabilire una nuova leggenda, relativa a un incantato paradiso,
in Toscana, o in Piemonte, o in Sicilia, come in effetti è accaduto per il
Monte Etna, o anche in Sardegna. Altrove. Ovunque.
Ma la leggenda si è stabilita esattamente qui: proprio nel mezzo dei Monti
Sibillini.
Quale sorta di magnetica attrazione ha attirato i magici racconti del ciclo
arturiano sulla sinistra vetta del Monte Sibilla? Per quale genere di fatale
combinazione la Materia di Bretagna è venuta ad arrestarsi, come una sfera
carambolante sul disco di una roulette, precisamente nella posizione
segnata da questa isolata montagna italiana?
La terra d'Italia è popolata da centinaia e centinaia di picchi e vette
montuose: perché questi non si sono rivelati sufficientemente adatti a
ospitare una leggenda di fate e incantati reami?
Perché proprio il Monte Sibilla?
La nostra emozionante inchiesta non è affatto finita. Abbiamo rimosso le
pesanti stratificazioni cavalleresche che occultavano alla vista il nucleo più
profondo, più autentico della leggenda della Sibilla Appenninica. Abbiamo
trovato Morgana la Fata e Sebile. Ma, ancora, non abbiamo raggiunto il
vero nucleo del mito.
C'è qualcosa di più. Qualcosa di sinistro, qualcosa di oscuro che ha
magnetizzato tutta questa potenza narrativa mitica, sia letteraria che orale,
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attirandola verso questo specifico punto della Terra: una montagna d'Italia,
perduta nel mezzo degli Appennini.
Fig. 107 - Una vetta e un mistero: il Monte Sibilla
È necessario procedere oltre. Dobbiamo sfogliare completamente i
rimanenti livelli addizionali che ancora nascondono il punto focale,
primario della leggenda del Monte Sibilla. Il punto dal quale tutto è
cominciato.
Il nostro lavoro non è ancora finito. Il mistero non è ancora risolto.
L'enigma si trova ancora lì.
Perché la leggenda della Sibilla Appenninica non è affatto morta. Vogliamo
afferrare con le nostre mani il suo segreto più definitivo. Vogliamo sapere
chi essa realmente sia.
La caccia alla Sibilla Appenninica non è terminata.
E siamo ora pronti, come vedremo in una prossima serie di articoli che
andremo presto a pubblicare, per il passo decisivo e finale.
Un passo che ci svelerà la reale natura, e il vero sembiante, della Sibilla
degli Appennini.
Michele Sanvico
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FINE DELLA PARTE 2
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Per la prima parte del presente articolo
fare riferimento alla Parte 1
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