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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
UNA SIBILLA CHIAMATA CIMMERIA: UNA RICERCA SUL
POTENZIALE LEGAME CON LA SIBILLA APPENNINICA1
1. Cuma e Norcia
La Sibilla Appenninica, o Sibilla di Norcia, è stata per molti secoli al centro
di un'attenzione affascinata e ininterrotta, a partire dal romanzo
quattrocentesco Guerrin Meschino di Andrea da Barberino fino a giungere
alle esplorazioni compiute nel tardo diciannovesimo secolo dal filologo Pio
Rajna, per giungere infine sino a tempi recentissimi. Decine e decine di
opere letterarie hanno menzionato questa Sibilla e i luoghi della sua
leggenda, descrivendo un oracolo che si troverebbe nascosto al di sotto
della massa rocciosa del Monte Sibilla, nella regione dei Monti Sibillini,
una porzione della catena degli Appennini.
Fig. 1 - Una visione del Monte Sibilla, la vetta situata tra gli Appennini
1 Articolo pubblicato l'8, 10, 14, 18, 24, 29 giugno e 1, 3, 9, 12, 15 luglio 2018
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_SibylsApennine.asp)
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Secondo Andrea da Barberino, la Sibilla Appenninica deve essere
identificata con la Sibilla Cumana, una delle Sibille classiche incluse
nell'antica elencazione tramandataci da Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio,
un autore vissuto nel quarto secolo. È la Sibilla stessa, nel romanzo scritto
da Andrea da Barberino, a dichiarare esplicitamente la propria origine:
«Io voglio che tu sapi el mio nome. Io fui chiamata da Romani chumana
per che io naqui in una cità de campagna che ha nome chumana: e stete al
mondo inanzi che io fosse iudicata in questa parte mille e ducento anni, che
quando Enea vene i queste parte zoe in Italia, io lo menai per tuto lo
inferno: e havea alhora sete cento anni [...] E nel suo tempo [Tarquinio
Prisco] mandareno li Romani a domandare lezie [leggi]: et io mandai a loro
nove libri de lezie. Et in quello tempo per mia scientia mandai a domandare
de stare in questa vita: tanto quanto el mondo de durare, et che el dreto
iudice vignerà a giudicare».
Fig. 2 - Il brano sulla Sibilla Cumana così come appare in una versione del Guerrin Meschino di Andrea
da Barberino pubblicata a Venezia nel 1480
2
In questo brano, Andrea da Barberino fa esplicito riferimento a tutti i
principali attributi che caratterizzano la Sibilla Cumana nella tradizione
antico-romana: il suo ruolo in qualità di guida nell'Oltretomba così come
illustrato da Publio Virgilio Marone nell'Eneide (Libro VI); i nove libri di
oracoli sibillini offerti al Re Tarquinio, così come riferito da Lattanzio; il
leggendario racconto della sua immortalità, narratoci da Publio Ovidio
Nasone nelle sue Metamorfosi.
Andrea da Barberino ci propone anche una spiegazione in merito alla
ragione per la quale la Sibilla Cumana avrebbe trasferito la propria dimora
presso una remota montagna dell'Italia centrale. La Sibilla afferma infatti di
essere stata «iudicata in questa parte», una frase che pare riferirsi ad
un'altra antica leggenda, risalente agli albori della Cristianità: la Sibilla, una
vergine così come anche Maria e maestra di quest'ultima, avrebbe
accarezzato l'idea di potere essere lei stessa a portare nel proprio grembo il
figlio di Dio; ma Dio stesso, che già aveva prescelto Maria Vergine,
deliberò di punire quella Sibilla per la propria blasfema arroganza. E
quando Guerrino tenta di informarsi su dove egli debba recarsi per
incontrare la Sibilla, un uomo gli risponde nel modo seguente:
«Io ho udito dir che ze la savia Sibilla la quale si è vergene in lo mondo che
la credea che dio scendesse i(n) lei qua(n)do incarnò in Maria vergine. E
per questo lei desperò e fu ziudicata per questa casone in queste
montagne».
Ma è la stessa Sibilla del Guerrino a voler precisare che lei medesima non
ha proprio nulla a che fare con la Santa Vergine, perché quella storia
sarebbe connessa ad un'altra e diversa Sibilla, l'Albunea (meglio nota come
Sibilla Tiburtina). Infatti, quando Guerrino si rivolge all'oracolo
chiedendole se fosse lei quella che avrebbe desiderato vedersi «conceduta
la divina providentia la gratia che tu fosti maestra de quela verzene in cui
incarnò el Salvatore de la humana natura», la Sibilla gli risponde con fare
alquanto seccato, affermando che
«[...] ella non essere stata quella che insegna a nostra donna [...] La Sibilla
che tu voi dire have nome Albunea».
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Nel sedicesimo secolo, l'origine cumana della Sibilla Appenninica viene
citata anche da Ludovico Ariosto. L'autore dell'Orlando Furioso scrive
infatti i seguenti versi:
«la Sibilla Cumea, la qual ridotta / s’era in quei tempi a la Nursina grotta /
su gli aspri monti in una selva folta / da i luoghi ameni, ove habitava
prima».
La Sibilla Appenninica e la Sibilla Cumana: pare che un legame
estremamente stretto connetta tra di loro i due oracoli. Eppure, sussiste
anche l'evidenza di una seconda tradizione, differente da questa già citata,
che emerge consultando un diverso volume pubblicato nel 1568.
Quel volume è la Topographia Sanctorum Christi Martyrum, scritto da
Francesco Maurolico, il quale pare raccontarci una storia differente.
Secondo quanto afferma Maurolico, la Sibilla di Norcia sarebbe da
identificarsi con un'altra Sibilla: la Cimmeria.
Ma chi è la Sibilla Cimmeria? È forse inclusa anch'essa nella classica
elencazione comprendente dieci Sibille tramandataci da Lucio Cecilio
Firmiano Lattanzio nel quarto secolo? E cosa afferma esattamente
Maurolico a proposito del potenziale legame che sussisterebbe tra la Sibilla
Cimmeria e la Sibilla di Norcia?
Proveremo ora a intraprendere un nuovo, misterioso percorso nel
leggendario mito della Sibilla. Non perdete l'opportunità di camminare su
strade in precedenza quasi completamente sconosciute attraverso
l'affascinante, enigmatico segreto della Sibilla Appenninica.
2. L'ipotesi cimmeria
Nel romanzo quattrocentesco Guerrin Meschino, Andrea da Barberino ci
presenta una Sibilla che vivrebbe al di sotto di una montagna posta non
lontano da Norcia: un oracolo che descrive se stesso come la Sibilla
Cumana, trasferitasi tra le vette degli Appennini, e dunque molto lontano
dall'antica città di Cuma.
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Eppure, l'abate Francesco Maurolico, un erudito vissuto in Messina nel
sedicesimo secolo, dichiara di non essere affatto d'accordo con questa
identificazione. In vari passaggi della sua Topographia Sanctorum Christi
Martyrum, pubblicata nel 1568, egli si presenta come convinto sostenitore
dell'ipotesi che la Sibilla Appenninica coincida in realtà con la Sibilla
Cimmeria, uno dei dieci oracoli classici elencati nella notissima opera di
Lattanzio De divinis institutionibus, risalente al quarto secolo.
In un precedente articolo, abbiamo già avuto occasione di pubblicare i
riferimenti proposti da Maurolico in merito alla Sibilla di Norcia; li
riproponiamo integralmente qui, per maggiore comodità del lettore:
«Ameria, città dell'Italia posta nella regione Sabina. Da questa città l'autore
denomina la 'Sibilla Emeria', che altri chiamano 'Cimeria' a causa
dell'incertezza sul luogo; essa vive nell'antro di Norcia, ed è diversa sia
dalla Cumana che dalla Tiburtina [...] Norcia, una città d'Italia nella regione
del Piceno, vicino alla quale si trova l'Antro della Sibilla Cimeria, e il lago
dei Dèmoni [...] La quarta Sibilla è la Cumea, di cui parla Nevio nei suoi
libri dedicati alla Guerra Punica, a anche Pisone nei suoi annali; dal castello
Cimerio, conosciuto anche con il nome di Antro nursino, che alcuni
chiamano con il nome corrotto di 'Cymea' o 'Cymica' [...] Cuma, città della
Campania nel golfo di Baia. Qui fu la Sibilla Cumana, chiamata anche
Deifobe, che alcuni indicano come Cimmeria o Cymica, se questa non
fosse un diverso oracolo posto nella caverna di Norcia».
[Nel testo originale latino: «Ameria civitas Italiae in Sabinis. Hinc
denominat author Sybillam Emeriam, quam alii Cimeriam vocant ab
oscuritate loci, et in Nurcinis antris habitantem, atque a Cumana, et a
Tyburtina diversam [...] Nurcia civitas Italiae in agro Piceno, iuxta quam
est Antrum Sibyllae Cymeriae, et lacus Daemonum [...] Quartam Cumaema
in Italia, quam Nevius in libris belli punici, Piso autem in annalibus
nominat; ex Cimerio oppido, sive Antro nurcino, quae corrupto forte verbo
Cymea, vel Cymica vocetur a nonnullis [...] Cumae Campaniae civitas in
sinu Baiarum. Hic fuit Cumana Sibylla, quae Deiphobe vocatur, quae a
nonnullis Cimmeria, vel Cymica dicitur, nisi haec alia sit ex antro
Nurcino»].
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Fig. 3 - Il Martyrologium di Francesco Maurolico, nell'edizione originale pubblicata a Venezia nel 1568,
con la sezione aggiuntiva relativa alla Topographia Sanctorum Christi Martyrum, che contiene numerosi
passaggi concernenti la Sibilla di Norcia
Nella Topographia redatta da Maurolico, comprendente un catalogo di
luoghi presso i quali si rivela la presenza di Dio sulla terra, egli dichiara
ripetutamente come la Sibilla di Norcia non abbia nulla a che fare con la
Sibilla Cumana, in quanto l'ascendenza della prima sarebbe da riferirsi ad
una ben diversa Sibilla classica. Maurolico non mostra alcuna esitazione: la
Sibilla di Norcia è l'Emeria - o Cimeria, Cymeria, Cymea, Cymica,
Cimmeria - la quale visse nell'antichità in una piccola città chiamata
Ameria o Cimeria, che sarebbe sorta nelle vicinanze di Norcia, dove si
trova la grotta della Sibilla.
Francesco Maurolico aveva ragione? Esisteva veramente un villaggio il cui
nome era Ameria o Cimeria in prossimità di Norcia? La Sibilla
Appenninica discende veramente dalla Sibilla Cimmeria? E cosa significa
veramente 'Sibilla Cimmeria'?
In un precedente articolo, abbiamo anche visto come Maurolico non abbia
tratto queste affermazioni dalla sua fonte primaria, l'opera Mappemonde
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Spirituelle di Jean Germain, compilata nel quindicesimo secolo. Inoltre, a
titolo di integrazione rispetto a ciò che scrivemmo in quell'articolo,
possiamo oggi mostrare come Maurolico abbia ricavato parte delle
informazioni da lui riportate in merito alla quarta Sibilla da un ulteriore
volume seicentesco (che lo stesso Maurolico cita nelle sue note introduttive
alla Topographia). In effetti, possiamo ritrovare quasi le stesse parole
menzionate da Maurolico in relazione alla «Ameria civitas» all'interno
della Cosmographia di Claudio Tolomeo, nella versione pubblicata a Ulm
da Johann Reger nel 1484. Questo libro contiene infatti un «Registrum
Alphabeticum» introduttivo, nel quale sono elencati un gran numero di
nomi di luoghi ai quali Tolomeo ha fatto riferimento, e - sotto la lettera 'A' -
ecco cosa possiamo leggere:
«Ameria (Libro 2, Capitolo 1, Tavola 6 dell'Europa). Qui è nata la quarta
Sibilla. La Sibilla Emeria è nata in Italia, essendo conosciuta anche come
Chimica, vestita con un azzurro abito dorato, con lunghi capelli che le
scendono su entrambe le spalle, e giovane; di lei così parlò Ennio: nel
primo decano della Vergine, una fanciulla sorgerà di bellissimo aspetto,
lunghi i capelli, assisa su di un trono e intenta a nutrire un bambino, al
quale darà il nutrimento opportuno, che è latte inviato dal cielo».
[Nel testo originale latino: «Ameria li 3 ca 1 ta 6 europe Hic nascitur quarta
sibilla. Sibilla emeria in ytalia nata, alias chimica vestita celestia veste, de
aurata capillis per scapulas spartis et iuvenis, de qua enni ait. In prima facie
virginis ascendit puella pulchra facie, plixa capillis, sedens super sedem
stratam nutrit puerum, dans ei ad comedendum ius proprium, id est lac de
celo missum»].
Cosa significa tutto questo? Chi è veramente la quarta Sibilla? Perché essa
viene rappresentata in questo modo così peculiare? E perché Maurolico, nel
menzionare la sconosciuta città di «Ameria», sembrerebbe riferirsi proprio
a questo brano, benché il testo tratto dal Tolomeo nella versione di Reger
non contenga affatto alcun riferimento a Norcia e alla Grotta della Sibilla?
L'intera questione pare presentarsi nel modo più complicato e, a prima
vista, assolutamente sconcertante. Eppure, noi tenteremo comunque di
risolvere i molti enigmi nascosti nei brani che abbiamo citato, assegnando
un'identità e un luogo di nascita alla quarta Sibilla, la Cimmeria.
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Fig. 4 - Il brano su 'Ameria' e la quarta Sibilla contenuto nella Cosmographia di Tolomeo curata da
Johann Reger, un volume pubblicato a Ulm nel 1486
Per una migliore comprensione di tutto ciò, dobbiamo però ripartire
dall'enumerazione delle dieci Sibille classiche tramandataci da Lucio
Caecilio Firmiano Lattanzio, per affrontare, nel corso di un vero e proprio
incontro ravvicinato, la Sibilla originale, quella Cimmeria.
3. L'enigma della quarta Sibilla
Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, un autore protocristiano del quarto
secolo, non era affatto un personaggio secondario: egli fu infatti consigliere
di elevatissimo rango dell'Imperatore Costantino il Grande, nonché
precettore di Crispo, figlio dello stesso Imperatore.
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Nella sua opera più nota, De Divinis Institutionibus, egli riporta una
significativa citazione tratta da Marco Terenzio Varrone, il quale, a propria
volta, in un libro andato oggi perduto, stabilisce quello che è considerato
come l'elenco canonico delle dieci Sibille appartenute al mondo classico.
«È noto come le Sibille siano state in numero di dieci. Tutte furono
elencate [da Marco Varrone] sulla base degli autori che scrissero a
proposito di ognuna. La prima fu la Persica, che fu menzionata da
Nicanore, il quale celebrò le gesta di Alessandro il Macedone. La seconda,
Libica...»
Fig. 5 - Il brano sulle Sibille contenuto in una preziosa edizione dell'opera De Divinis Institutionibus di
Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio stampata nel 1465 presso l'abbazia benedettina di Subiaco
[Nel testo originale Latino: «Ceterum Sibillas decem numero fuisse.
Easquem omnes [M. Varro] numeravit sub auctoribus, qui de singulis
scriptitarunt. Primam fuisse de Persis, cujus mentionem fecerit Nicanor, qui
res gestas Alexandri Macedonis scripsit. Secundam Libicam...»].
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Tali sono le parole di Lattanzio, che avremo modo di considerare in
maggior dettaglio in un futuro articolo. Per il momento, ci limiteremo ad
analizzare ciò che egli scrive a proposito dellla Sibilla Cumana e della
Cimmeria.
Quello che segue è ciò che scrive Lattanzio in merito alla Sibilla di Cuma,
così come tratto da una preziosissima edizione dell'opera De Divinis
Institutionibus stampata presso l'abbazia benedettina di Subiaco nel 1465, e
contenente il racconto del beffardo episodio relativo ai libri offerti al Re di
Roma dall'astuto oracolo:
«... La settima fu Cumana, chiamata Amaltea, che alcuni chiamano
Demofile; di lei si narra come avesse portato al re Tarquinio Prisco nove
libri, chiedendo per essi trecento filippi [una moneta aurea dell'antico regno
di Macedonia], e di come il re si fosse rifiutato di pagare un prezzo così
elevato e si fosse preso gioco della follia della donna; e di come essa, di
fronte agli occhi del re, avesse bruciato tre di quei libri, per poi chiedere,
per i restanti, il medesimo prezzo. Tarquinio ancor più grande reputò essere
la pazzia di quella donna; e quando ella ebbe bruciato tre ulteriori libri,
perseverando nel richiedere lo stesso prezzo, il re infine si convinse e
acquistò i tre libri che rimanevano per trecento monete d'oro. Tale numero
fu poi incrementato, dopo la ricostruzione del Campidoglio, essendone
acquisiti altri presso molte città dell'Italia e della Grecia, e in particolare da
Eritre, e portandoli a Roma, a qualsiasi Sibilla fossero essi appartenuti».
[Nel testo originale latino: «Septimam Cumanam nomine Amaltheam, quae
ab aliis Demophile nominatur; eamque novem libros attulisse ad regem
Tarquinium priscum, ac pro eis trecentos philippeos postulasse; regemque
aspernatum pretii magnitudinem, derisisse mulieris insaniam: illam in
conspectu regis tres combussisse, ac pro reliquis idem pretium postulasse:
Tarquinium multo magis mulierem insanire putasse. Quae denuo tribus aliis
exustis, cum in eodem pretio perseveraret, motum esse regem, ac residuos
trecentis aureis emisse: quorum postea numerus sit auctus, Capitolio
refecto, quod ex omnibus civitatibus et Italicis, et Graecis, et praecipue
Erythraeis coacti, allatique sunt Romam, cuiuscumque Sibyllae nomine
fuerunt»].
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Questo è quanto riporta Lattanzio a proposito della Cumana. Ma cosa
afferma il nostro autore, invece, in merito alla Sibilla Cimmeria? Nella
classica elencazione redatta dal consigliere imperiale, quest'ultima compare
nella quarta posizione, come possiamo leggere in un preziosissimo
manoscritto dell'opera De Divinis Institutionibus risalente al
quattordicesimo secolo e conservato presso la Bibliothèque Nationale de
France (Latin 1665):
«La quarta è Cimmeria, in Italia, che Nevio menziona nei suoi libri sulla
guerra punica e Pisone nei propri annali».
[Nel testo originale latino: «Quartam Cimmeriam in ytalia, quam Nevius in
libris belli punici Piso in annalibus nominat»].
Secondo quanto riferisce Lattanzio, la Sibilla Cimmeria - così come anche
la Cumana e la Tiburtina - è una Sibilla italica. Ma dove era collocato il suo
santuario? È possibile che fosse situato tra i monti dell'Appennino?
Lattanzio, a questo proposito, non dice nulla.
Fig. 6 - La quarta Sibilla in un manoscritto dell'opera De Divinis Institutionibus risalente al
quattordicesimo secolo (Bibliothèque Nationale de France - Latin 1665)
Potremmo forse tentare di rivolgerci ai due autori classici menzionati in
questo brano, «Nevio» e «Pisone», dai quali Lattanzio trasse i propri
11
riferimenti alla Sibilla Cimmeria. Purtroppo, però, le opere di questi due
autori sono andate perdute: esse non esistono più, e così non possiamo più
leggere ciò che fu scritto in questi antichi libri.
Gneo Nevio, un poeta epico nato in Campania nella prima metà del terzo
secolo a.C., fu l'autore di un Bellum Punicum, un'opera poetica che narrava
le vicende della Prima Guerra Punica e le storie della fondazione di Roma:
di questo libro, sopravvivono oggi soltanto cinquanta piccoli frammenti
testuali, e nessuno di essi è relativo al tema degli oracoli sibillini.
Lucio Calpurnio Pisone Frugi è stato console romano nell'anno 133 a.C. Fu
l'autore degli Annales, un'opera sulle origini e sulla storia di Roma. Anche i
volumi di Pisone sono andati perduti, e nessuno dei frammenti
sopravvissuti riguarda le Sibille.
Fig. 7 - Sibilla Cumana, rappresentata da Domenico Zampieri, il 'Domenichino', in un dipinto conservato
presso la Galleria Borghese in Roma
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E dunque, in quale altro modo possiamo tentare di disvelare l'origine e la
collocazione della Sibilla Cimmeria?
La risposta non è poi così distante dai nostri occhi. O, per essere più
specifici, non è così lontana da un luogo che già conosciamo.
Questo luogo non si trova tra gli Appennini, come saremmo certamente
lieti di scoprire. Il posto giusto, per quanto possa apparire strano, è sempre
e ancora Cuma: la Sibilla Cimmeria pare possedere una stretta relazione
con l'oracolo cumano. Andiamo a investigare perché.
4. La Sibilla dai molti nomi
È possibile che la quarta Sibilla, menzionata da Lattanzio, scrittore del
quarto secolo, nella propria celebre elencazione con l'appellativo di
«Cimmeria», sia collegata in qualche modo con il settimo oracolo
contenuto nella stessa lista, la «Cumana»?
Effettivamente si comincia a dubitare di ciò quando si prendano in
considerazione differenti edizioni antiche dell'opera De divinis
institutionibus di Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio. Perché la quarta Sibilla
non viene affatto chiamata sempre 'Cimmeria', come avevamo rilevato nel
manoscritto latino n. 1665 conservato presso la Bibliothèque Nationale de
France.
A titolo di esempio, andiamo a considerare nuovamente la preziosa
edizione stampata a Subiaco nel 1465, uno dei primi volumi a stampa mai
prodotti in Italia. Qui, il brano sulle Sibille si presenta nel seguente modo:
«Quartam Cumeam in italia, quam nevius in libris belli punici, piso in
annalibus nominant».
La quarta Sibilla si è dunque trasformata in «Cumeam», un appellativo che
pare mostrare una palese somiglianza con quello che qualifica la Sibilla
Cumana.
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Fig. 8 - Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio e le sue De Divinis Institutionibus (Subiaco, 1465) con il
passaggio sulla quarta Sibilla
E troviamo lo stesso aggettivo anche in varie versioni manoscritte
dell'opera di Lattanzio. Se andiamo a prendere una pregevole edizione
napoletana, databile al quindicesimo secolo e redatta con un'elegante grafìa
in stile italico (Bibliothèque Nationale de France, Département des
Manuscrits, Latin 1674), ecco cosa possiamo trovare:
Fig. 9 - Il De Divinis Institutionibus di Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, il brano sulla quarta Sibilla
come è rinvenibile in una versione manoscritta redatta a Napoli nel quindicesimo secolo (Bibliothèque
Nationale de France, Latin 1674)
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«Quartam Cumeam in italia, quam Nevius in Libris belli punici, Piso in
annalibus nominent».
Di nuovo, la nostra Sibilla Cimmeria si è mutata in una Sibilla Cumea. E si
noti che nulla, a questo stadio della nostra ricerca, pare finora condurci in
direzione dei racconti leggendari che riguardano la 'Sibilla Appenninica'.
E la confusione non termina certo qui, perché la nostra Sibilla continua a
vedere modificate le proprie attribuzioni. Saltiamo infatti nel tempo e nello
spazio fino alla rinomata abbazia benedettina di San Gallo, posta ai piedi
delle Alpi dell'Appenzell, in Svizzera. Qui, nella splendida e affascinante
Sala della Biblioteca, un gioiello del diciassettesimo secolo, è conservato
uno degli ultimi esemplari che esistano al mondo degli Oracula Sibyllina,
un volume stampato tra il 1461 e il 1465.
Gli Oracula Sibyllina costituiscono uno tra gli esempi più risalenti di quella
riconfigurazione in senso cristiano della classica lista delle dieci Sibille
definita da Lattanzio, sulle orme di autori quali Agostino di Ippona e
Isidoro di Siviglia, i quali avevano affermato, molti secoli prima, come le
Sibille facessero parte del grande disegno predisposto da Dio affinché fosse
preannunciata al mondo l'Incarnazione del Cristo. In questo libro, per la
prima volta, le Sibille sono elencate in numero di dodici, con l'inserimento
di due oracoli aggiuntivi, la Sibilla Agrippina e la Sibilla Europea.
Ed ecco cosa ci dice il libro di San Gallo a proposito della nostra
enigmatica Sibilla Cimmeria:
«La Sibilla Cyemeria, di anni diciotto, nata in Italia, della quale scrive
l'astrologo Albumazar, in un appropriato vaticinio, che una vergine allatterà
un bambino».
[Nel testo originale latino: «Sibilla Cyemeria annorum XVIII in ytalia nata
de qua scribit albumazar astrologus vaticinatur commodo virgo lactat
puer»].
Dunque adesso la nostra Sibilla Cimmeria - come tutte le altre Sibille - è
stata pienamente arruolata in qualità di araldo della venuta di Cristo,
essendo stata anche dotata - e parimenti accade a tutti gli altri oracoli
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sibillini - di un'opportuna profezia a tema, indicata nella didascalia posta al
di sotto della raffigurazione, un annuncio profetico che prefigura una
fanciulla (la Vergine Maria) la quale nutrirà un figlio (Gesù) con il proprio
latte:
«Nella prima decade del segno della Vergine, una vergine sorgerà, pura e
onesta e dal volto armonioso, lunghi i capelli, assisa su di un trono e intenta
a nutrire un fanciullo dando a lui del latte, fanciullo che le genti chiamano
Gesù...».
[Nel testo originale latino: «In prima facie virginis ascendit virgo quedam
honesta et munda et est pulchra facie prolixi capilli sedens super sedem
stratam nutriens puerum dans ei ad comedendum lac quem quedam gens
vocat Jhesum»].
Fig. 10 - La quarta Sibilla negli Oracula Sibyllina (1461 - 1465, San Gallo, Svizzera)
16
Come si può notare, la materia sta diventando ancor più complicata e
intricata. E chi è mai «Albumazar l'astrologo»? Questo nuovo elemento,
che va a caratterizzare ulteriormente la Sibilla Cimmeria, necessita
certamente di ulteriore investigazione; e sicuramente non è nemmeno
l'unico.
Perché, proseguendo con la nostra ricerca, scopriamo che la nostra Sibilla
Cimmeria è destinataria di ulteriori attributi, nonché di nuove e presunte
citazioni. Entriamo allora nelle pagine di un libro estremamente raro: gli
Opuscula, un'opera miscellanea scritta da Filippo Barbieri, un frate
domenicano nato a Siracusa nel 1426. In un'edizione del libro di Barbieri
stampata nel 1520, i primi tre oracoli sono denominati con gli stessi
appellativi già reperiti nel De divinis institutionibus (Persica, Libica,
Delfica); ma, poi, ci imbattiamo in nuovi stupefacenti nomi attribuiti alla
quarta Sibilla:
«Sibilla Chimeria, nata in Italia, conosciuta anche come Chimica, vestita
con un dorato abito celestiale, i capelli che le scendono spartiti sulle spalle,
e giovane; di lei così parlò Ennio: nel primo periodo della Vergine una
fanciulla sorgerà, dal volto armonioso, lunghi i capelli, assisa su di un
trono, intenta a nutrire un fanciullo, sostentandolo con appropriato
nutrimento, un latte inviato dal cielo».
[Nel testo originale latino: «Sybilla chimeria in Italia nata, alias Chimica,
vestita celestina veste deaurata capillis per scapulas spartis, et iuvenis de
qua Ennius sic ait: in prima facie virginis ascendit puella pulchra facie
prolixa capillis; sedens super sedem stratam, nutrit puerum, dans ei ad
comedendum ius proprium, idest lac de celo missum»].
La Cimmeria, ora divenuta «Chimeria» e annunciante quasi la medesima
profezia che abbiamo avuto occasione di vedere negli Oracula Sibyllina
conservati a San Gallo, si è appena guadagnata un ulteriore appellativo:
«Chimica», e proprio con questo nome essa apparirà spesso in successivi
cataloghi di Sibille. Troviamo anche che l'antico autore latino Ennio viene
qui menzionato come fonte di una citazione concernente questa Sibilla,
mentre sparisce del tutto il riferimento a «Albumazar l'astrologo». Infine,
troviamo anche qui le stesse parole che avevamo già potuto reperire nella
Cosmographia di Claudio Tolomeo, nella versione pubblicata a Ulm da
Johann Reger nel 1484: «... vestita celestia veste, de aurata capillis per
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scapulas spartis et iuvenis, de qua enni ait...», una delle fonti utilizzata da
Francesco Maurolico per scrivere i suoi brani sulla quarta Sibilla.
Fig. 11 - Gli Opuscula di Filippo Barbieri (edizione 1520), la Sibilla Cimmeria
E così, la nostra erratica Sibilla Cimmeria sembra sfuggire ad ogni nostro
tentativo di investigazione: essa appare di volta in volta, attraverso i secoli,
con differenti appellativi, attributi e riferimenti a precedenti fonti letterarie.
E continua a risultare mancante ogni possibile connessione con la
leggendaria tradizione della Sibilla Appenninica, un legame che solo
Francesco Maurolico, l'abate siciliano, pare sostenere.
Dunque cosa possiamo fare ora?
C'è ancora un passo che dobbiamo intraprendere: dobbiamo tornare alle
radici del racconto mitico che narra della Sibilla Cimmeria / Cumea, un
sentiero già indicatoci dallo stesso Lattanzio nel suo trattato De divinis
institutionibus. Dobbiamo tornare a Cuma, l'antica colonia fondata dai
Greci nell'Italia meridionale, e dimora ancestrale della settima Sibilla.
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E là, forse, potremo trovare quelle risposte che stiamo ancora così
ardentemente cercando.
5. Albumazar e la trasformazione in Sibilla cristiana
Prendendo le mosse da una collezione di brani tratti dalla Topographia
Sanctorum Christi Martyrum di Francesco Maurolico, stiamo tentando di
verificare se un Sibilla denominata 'Cimmeria' possa avere avuto una
relazione di qualche genere con la Sibilla di Norcia, dimorante nel cuore di
una montagna facente parte della catena degli Appennini, così come
sostenuto dallo stesso Maurolico.
Fig. 12 - Una veduta panoramica del Monte Sibilla, il picco che si innalza nell'Italia centrale, oggetto di
una tradizione leggendaria antica ed enigmatica
Nel corso della nostra ricerca, ci siamo però imbattuti in una serie di
ostacoli inattesi.
Innanzitutto, la Sibilla Cimmeria, inclusa nella classica elencazione
contenente dieci Sibille delineata da Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio nel
suo De Divinis Institutionibus, un'opera latina redatta nel quarto secolo, si
presenta nelle diverse versioni oggi disponibili con il nome di «Cumea», un
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attributo che sembra comportare una stretta connessione con la Sibilla di
Cuma, anch'essa elencata dal Lattanzio.
Inoltre, abbiamo evidenziato come non sia oggi possibile procedere ad una
indagine di quegli autori classici menzionati da Lattanzio stesso in
relazione alla Sibilla Cimmeria (e cioè Marco Varrone, Gneo Nevio e Lucio
Calpurnio Pisone Frugi), perché le opere scritte da costoro non sono
purtroppo sopravvissute fino ai nostri giorni, a meno di singoli frammenti,
del tutto irrilevanti per la nostra ricerca.
Se trasferiamo la nostra indagine verso secoli meno remoti, andando a
compulsare libri antichi e rarissimi quali gli Oracula Sibyllina, conservati
presso l'Abbazia di San Gallo in Svizzera, e gli Opuscula di Filippo
Barbieri, entrambi risalenti al quindicesimo secolo ed entrambi contenenti
riferimenti alla nostra enigmatica Sibilla Cimmeria, troviamo che essa si
ripropone alla nostra attenzione con nuovi e diversi nomi - «Cyemeria»,
«Chimeria», «Chimica». E ancora, essa comincia anche ad apparire come
un oracolo cristiano, una profetessa che avrebbe preannunciato la venuta
del Cristo sulla terra per mezzo di una sorta di visione riguardante una
fanciulla dai lunghi capelli, assisa su di un trono e intenta a nutrire un
bimbo con il proprio latte: una palese prefigurazione di Gesù e della
Vergine Maria. E, addirittura, nuovi autori antichi vengono tirati in ballo:
Ennio, scrittore della Roma antica, e un certo «Albumazar l'astrologo».
A questo punto della nostra ricerca, una grande confusione sembra regnare,
sovrana e incontrastata, sull'intera materia.
Saremo mai in grado di dipanare il filo di questa intricata matassa? Il nostro
motto è: mai disperare. Proviamo a sfogliare assieme i molti veli che
oscurano la tradizione leggendaria della Sibilla Cimmeria, provando a
diradarli singolarmente ad uno ad uno.
Come primo passo, cominciamo a liberarci di «Albumazar», l'astrologo.
Mostreremo come questo autore non aggiunga nulla alla nostra
investigazione dedicata all'origine della Sibilla Cimmeria e alla sua
possibile relazione con le montagne dell'Appennino.
Chi è 'Albumazar'? Albumazar è Abu Ma'shar, uno dei più grandi astronomi
islamici del passato, vissuto a Baghdad nell'ottavo secolo. Fu l'autore di
20
alcune celebri opere astrologiche, tra le quali l'Introductorium maius in
astronomiam, largamente conosciuta in Europa a partire dal secolo
dodicesimo.
Nel 1133, Johannes Hispalensis tradusse l'opera di Albumazar in lingua
latina. E proprio all'interno del manoscritto Lat 14704, conservato presso la
Bibliothèque Nationale de France e contenente la traduzione redatta da
Johannes Hispalensis, veniamo a trovarci di fronte alla fonte originale della
profezia di orientamento cristiano che sarà in seguito attribuita alla Sibilla
Cimmeria:
«Vergine [il segno zodiacale] [...] Nella sua prima decade [una suddivisione
del medesimo segno] [...] una fanciulla sorgerà, vergine bellissima e onesta
e pura, lunghi i capelli, dal viso armonioso, con due spighe nella mano; ed
è assisa su di un trono, intenta a nutrire un fanciullo, sostentandolo con
appropriato nutrimento [...] e il fanciullo è chiamato tra le nazioni con il
nome di Gesù...».
[Nel testo originale latino: «Virgo [...] ascendit in prima facie illius puella
[...] et est virgo pulcra atque honesta et munda, prolixi capilli et pulcra
facie, habens in manu sua duas spicas; et ipsa sedet super sedem stratam et
nutrit puerum, dans ei ad commendendum ius [...], et vocant ipsum puerum
quedam gens Ihesum...»].
Nel brano tratto da Albumazar, un segno zodiacale è portatore di una
visione degli eventi futuri, in particolare della nascita di Gesù, un bimbo
affidato alle cure di una pura vergine, Maria. Nel testo di Albumazar,
inoltre, non è presente il minimo riferimento ad alcuna Sibilla.
Ma per i successivi esegeti di orientamento cristiano l'occasione deve
essere apparsa troppo ghiotta: il racconto oracolare proposto dal
miscredente Albumazar si presentava come assolutamente perfetto al fine
di rendere evidente il grande piano di Dio avente per oggetto
l'Incarnazione. La dolce profezia di una Santa Vergine che allatta Gesù,
originariamente presentata in relazione al segno zodiacale della Vergine,
era perfettamente adattabile ad un'altra e diversa testimone del grandioso
progetto divino: una virginale Sibilla, intenta a preannunciare l'inizio della
nuova era cristiana, così come già sostenuto molti secoli prima da Agostino
di Ippona.
21
Fig. 13 - Il brano concernente la profezia relativa al segno zodiacale della Vergine nell'Introductorium
Maius in Astronomiam, la traduzione in lingua latina effettuata da Johannes Hispalensis del saggio
astrologico di Albumazar (Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Lat 14704)
E così il racconto di Albumazar fu modificato per essere abbinato ad una
delle Sibille incluse nella lista di Lattanzio, la Cimmeria. A questo scopo,
negli Oracula Sibyllina di San Gallo, che abbiamo avuto modo di vedere
nel precedente articolo, la Sibilla Cimmeria è raffigurata assieme ad un
cartello che riporta le stesse identiche parole reperibili in Albumazar («In
prima facie virginis ascendit virgo quedam honesta et munda et est pulchra
facie prolixi capilli...»). E lo stesso testo troviamo negli Opuscula di
Filippo Barbieri («... sedens super sedem stratam, nutrit puerum, dans ei ad
comedendum ius proprium, idest lac de celo missum»).
E in una diversa traduzione dell'Introductorium in astronomiam di
Albumazar, pubblicata a Venezia nel 1506, il brano concernente il segno
zodiacale della Vergine è accompagnato dall'immagine di una fanciulla dai
lunghi capelli, con in mano delle spighe, che pare quasi indistinguibile
dalla raffigurazione tipica di una Sibilla.
22
Fig. 14 - Il medesimo passaggio così come appare in un'edizione a stampa dell'Introductorium in
Astronomiam di Albumazar (Venezia, 1506)
Ed eccoci arrivati: la trasformazione della Sibilla Cimmeria / Cumea tratta
da Lattanzio è ora completa. Grazie all'evocativo testo scritto da un antico
astronomo islamico, ben conosciuto in Europa attraverso le traduzioni delle
sue opere in lingua latina, ci troviamo ad avere una Sibilla che opera in
qualità di araldo per conto di Dio, fornendo un annuncio incontrovertibile e
veritiero del futuro approssimarsi della Salvezza.
Ecco dunque perché il racconto profetico di Albumazar divenne, nel
dodicesimo e tredicesimo secolo, uno dei soggetti favoriti trattati dai
predicatori cristiani impegnati a convincere il popolo del fatto che la
nascita del Cristo fosse stata preannunciata in anticipo da veggenti pagane,
così come segnalato da alcuni studiosi (Marie-Thérèse d'Alverny, 1984). E,
nei secoli successivi, la Sibilla Cimmeria continuerà il proprio viaggio
attraverso la storia accompagnata dalla profezia a lei riferita,
opportunamente trascritta su di un apposito cartiglio, così come appare, ad
esempio, in un pregevole medaglione cinquecentesco affrescato su una
delle pareti della 'Sala delle Sibille' nel Museo Civico Casa Cavassa di
Saluzzo (Cuneo).
Il risultato di tutto ciò è stato il pieno arruolamento della Sibilla Cimmeria
nell'esercito cristiano. Malgrado ciò, né Albumazar, né la Santa Vergine, né
il fanciullo, né tutto l'apparato cristiano che abbiamo appena illustrato ci
aiutano ad avvicinarci di un singolo passo alla vera origine del mito della
23
Sibilla Cimmeria. Si tratta, come abbiamo visto, solamente di una falsa
pista.
Fig. 15 - La Sibilla Cimmeria, medaglione affrescato di epoca cinquecentesca, Museo Civico Casa
Cavassa, Saluzzo (Italy)
Per potere raggiungere il nucleo della leggenda che riguarda la Sibilla
Cimmeria, dobbiamo abbandonare i secoli del Cristianesimo e tornare
indietro nel tempo fino all'età classica.
Laggiù troveremo, finalmente, le risposte che stiamo da lungo tempo
cercando.
24
6. L'oracolo dei Cimmeri
Ci troviamo ancora sulle tracce della Sibilla Cimmeria, il quarto oracolo
menzionato nella classica lista delineata da Lucio Cecilio Firmiano
Lattanzio nel quarto secolo. Una Sibilla che, in alcune versioni delle De
Divinis Institutionibus di Lattanzio viene indicata come 'Cumea', un
appellativo che riporta alla mente del lettore la parola 'Cuma', la città della
Campania nella quale profetava la Sibilla Cumana, la quale, a propria volta,
è presente nella lista di Lattanzio con il numero sette.
Ma dove si troverebbe la Sibilla Cimmeria? Secondo Francesco Maurolico,
autore siciliano del sedicesimo secolo, essa sarebbe originaria di una città
chiamata «Ameria», oppure di un villaggio il cui nome è «Cimerio», situato
in prossimità delle grotte di Norcia, in modo tale da far corrispondere la
Sibilla Cimmeria con la Sibilla Appenninica, che dunque non sarebbero
altro che il medesimo oracolo.
Eppure, a sostenere questa identità è solamente Maurolico (e Padre
Fortunato Ciucci da Norcia, che nel diciassettesimo secolo, citerà brani
tratti da Maurolico).
Nessun altro autore od opera riferisce di una simile identificazione, né le
fonti primarie di Maurolico (il Mappemonde Spirituelle di Jean Germain,
che abbiamo avuto occasione di considerare in un precedente articolo), né
altre fonti quali gli Oracula Sibyllina o gli Opuscula di Filippo Barbieri.
Se vogliamo arrivare alla verità, non abbiamo allora altra scelta: dobbiamo
volgerci verso il passato e tornare agli autori della classicità.
La chiave di tutto questo problema si trova nella vera natura e identità del
popolo conosciuto con il nome di 'Cimmèri'. Oggi, molti sono convinti che
i Cimmèri siano stati un'antica popolazione tribale vissuta nella regione del
Caucaso. In effetti, il loro nome è mezionato dallo storico greco Erodoto,
ed essi sono inoltre divenuti parte di una più diffusa cultura popolare
contemporanea grazie ai racconti fantasy di Conan il Cimmero, ideati dal
narratore americano Robert E. Howard, in cui i Cimmèri sono rappresentati
come appartenenti ad una cultura di origine celtica e nordeuropea.
25
Ma si tratta solamente di una tradizione secondaria, benché certamente la
più nota tra il grande pubblico, riguardante il popolo dei Cimmèri.
Perché se andiamo a ricercare i Cimmèri nella letteratura della classicità,
non troviamo né Celti né tantomeno il Caucaso: ci troviamo, invece, ad
essere riportati verso un luogo che già conosciamo. E lo conosciamo bene,
grazie ad una famosa, notissima Sibilla.
E questo luogo è Cuma.
Perché, se è vero che le opere di antichi autori quali Gneo Nevio e Lucio
Calpurnio Pisone Frugi - che parlarono della Sibilla Cimmeria, come ci
racconta Lattanzio - sono andate sfortunatamente perdute, nondimeno
esistono altri e diversi autori i cui testi sono giunti fino a noi. E tutti loro,
tutti insieme, ci raccontano la stessa identica storia: i Cimmèri vivevano
nell'Italia meridionale, e precisamente in prossimità della città di Cuma
Fig. 16 - L'antica Cuma così come appare in un dettaglio tratto dalla Tabula Peutingeriana, copia del
tredicesimo secolo su pergamena di una mappa stradale romana originale - Österreichische
Nationalbibliothek, Codex Vindobonensis 324).
Ascoltiamo allora le antiche voci che ci raccontano questa incredibile
storia. E cominciamo con il grido di battaglia innalzato secoli fa da
Annibale, il grande generale cartaginese:
26
«Soldati [...] io vi imploro, siate ancora una volta degni della fama che
segue il vostro nome, e richiamate nei cuori la gloriosa battaglia di Canne!»
[Nel testo originale latino: «Miles [...] obtestor, dignos iam vosmet reddite
vestra quam trahitis fama et revocate in pectore Cannas»].
Sono queste le parole riferiteci da Silio Italico, console e poeta dell'antica
Roma, il quale scrisse il suo poema Punica alla fine del primo secolo. In
quest'opera, Silio descrive l'angoscioso senso di impotenza che si era
impossessato dell'animo di Annibale dopo la vittoriosa battaglia di Canne,
seguita da una lunga, oziosa permanenza del suo esercito nella città
campana di Capua. Annibale non riesce a rendere produttive le vittoriose
azioni da lui condotte contro i Romani, mentre i suoi soldati perdono
progressivamente la propria bellicosa determinazione tra banchetti e piaceri
d'ogni genere.
In questo contesto, Annibale viene accompagnato dai notabili del luogo in
una visita della circostante regione, che contiene molte meraviglie e
paesaggi rimarchevoli, molti dei quali connessi alla natura vulcanica
dell'intera zona. Al generale cartaginese viene mostrata Baia, luogo di
villeggiatura alla moda posto sulle rive del Mar Tirreno, e il Lago Lucrino,
conosciuto anche con il nome di Cocito (proprio come il fiume che scorre
nell'Ade dell'antica Grecia), e poi il Lago d'Averno, detto anche Stige
(come un altro dei fiumi appartenenti al mondo greco dell'oltretomba), e
infine le vicine paludi, ricolme di tenebrose leggende collegate al mondo
dei morti.
È a questo punto che ad Annibale vengono rivolte le seguenti parole
(Punica, Capitolo XII, v. 130-133, così come esse appaiono in un'antica
edizione a stampa pubblicata a Venezia nel 1483):
«Non lontano da quei luoghi, avvolti nella tenebra e sprofondati per lunghe
ere nelle nebbie infere, le dimore dei Cimmèri giacquero nell'ombra livida;
e molto si racconta della notte profonda di quella città sotterranea».
[Nel testo originale latino: «Ac iuxta caligante situ longumque per aevum
infernis pressas nebulis pallente sub umbra Cymmerias iacuisse domos
noctemque profundam Tartareae narrant urbis»].
27
Fig. 17 - I Cimmèri menzionati nell'opera Punica di Silio Italico, da un'antica edizione stampata a Venezia
nel 1483
Le dimore sotterranee dei Cimmèri. Un luogo di mistero e di tenebra, che
giace in prossimità del Lago Lucrino, del Lago d'Averno, e di Baia.
E cioè, nelle vicinanze di Cuma.
I Cimmèri non sono Celti. Nell'antichità, era proprio nella regione di Cuma
che era situata la città Cimmeria, un luogo di tenebra e assenza di luce.
Ecco come Sesto Pompeo Festo - autore del secondo secolo che scrisse
un'opera dal titolo De Verborum Significatione (Sul significato delle
parole), in seguito integrata dal monaco benedettino Paolo Diacono - ci
presenta i misteriosi Cimmèri:
«Cimmèri sono detti quegli uomini che abitano le terre soggette al rigore
del freddo, quali furono situate tra Baia e Cuma, in quella regione dove una
vasta, profonda valle è circondata da un'alta cresta; lì mai riesce a giungere
né il sole del mattino, né quello della sera».
[Nel testo originale latino: «Cimeri dicuntur homines, qui frigoribus
occupatas terras incolunt, quales fuerunt inter Baias et Cumas in ea regione,
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in qua convallis satis eminenti iugo circumdata est, quae neque matutino,
neque vespertino tempore sole contingitur»].
Fig. 18 - La voce relativa ai Cimmèri nel De Verborum Significatione di Sesto Pompeo Festo da un
manoscritto quattrocentesco (Bibliothèque Nationale de France, Latin 7662)
Non c'è alcun dubbio. Forse i Cimmèri di Erodoto hanno realmente
percorso le steppe del Caucaso, ma si tratta di altri e diversi 'Cimmèri'.
Esisteva invece, nell'Italia antica, una popolazione che dimorava nella
provincia della Campania, in quella regione dove la terra stessa era avvolta
nella magia, che trovava origine nella natura vulcanica del suolo. E molti
autori ci raccontano questa storia.
Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, risalente al primo secolo,
afferma nel Libro III che «sulla costa [troviamo] Cuma, colonia calcidica,
Miseno, il porto di Baia, Bacoli, il Lago Lucrino e quello d'Averno, che si
trova vicino al luogo dove un tempo sorgeva la città dei Cimmèri; e poi
Pozzuoli, una volta chiamata colonia della Dicaearchia, poi i Campi
Flegrei, la palude Acherusia in prossimità di Cuma [...] e inoltre Ercolano,
Pompei...».
[Nel testo originale latino: «in ora [...] cumae chalcidesium, misenum,
portus baianus, bauli, lacus lucrinus et avernus cimmerium iuxta quem
oppidum quondam; deinde puteoli colonia dicerachea dicti, postquem
phlegei campi. Acherusia palus Cumis vicina [...] herculaneum,
pompeii...»].
29
Fig. 19 - La Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (Venezia, 1469) con il brano relativo ai Cimmèri
E nel terzo secolo, Licofrone di Calcide, nel poema Alexandra (v. 695 - Fig.
5), scriverà di Ulisse e di come l'eroe si fosse «spinto oltre il luogo di
sepoltura del suo timoniere Baio [la moderna Baia] e la dimora dei
Cimmèri e la pianura Acherusia...», nuovamente collocando i Cimmèri
nelle immediate vicinanze di Cuma.
Fig. 20 - Licofrone di Calcide, il passaggio tratto dal poema Alexandra nel quale si rinviene una menzione
a proposito dei Cimmèri
30
Ma è Strabone, lo storico e geografo greco, a fornirci il riferimento più
completo a proposito dei Cimmèri all'interno della sua notissima opera
Geographica, risalente al primo secolo. Nel Libro V, Strabone descrive
Cuma, Capo Miseno, le paludi chiamate con il nome 'Acherontia' (un altro
nome corrispondente a uno dei fiumi che scorre nell'Ade degli antichi
Greci), Baia, il Lago Lucrino, e il tenebroso, agghiacciante Lago d'Averno:
«Averno, completamente circondato in alto da creste, ovunque incombenti
su di esso a meno di un solo varco; oggi coltivato, ma un tempo avvolto da
un'inaccessibile selva di grandi alberi, che oscuravano quel lago con ombre
di superstizione».
Fig. 21 - Strabonis Rerum Geographicarum pubblicato nel 1571 a Basilea, con il passaggio relativo al
Lago d'Averno e ai Cimmèri
[Dalla traduzione latina del testo originale greco pubblicata nel 1571:
«Avernus superciliis recta sursum enatis et undique praterquam in aditu
31
imminentibus, ac nunc quidem cultura elaboratis; olim enim sylva
inaccessa magnarum arborum obsita, ob superstitionem ipsum sinum
obumbrabant»].
E lì, secondo quanto ci racconta Strabone, c'era non solo la dimora dei
Cimmèri, ma anche quella del loro oracolo:
«Il Lago d'Averno era considerato come un luogo dedicato a Plutone, e si
credeva che lì abitassero i Cimmèri [...] Eforo sosteneva che quel luogo
fosse dei Cimmèri; egli affermava che essi dimorassero in luoghi
sotterranei, detti 'argille', e che si incontrassero per mezzo di tunnel
sotterranei, e che tramite le stesse vie introducessero i visitatori presso il
loro oracolo, posto in profondità nella terra; essi si procuravano da vivere
scavando i metalli, e grazie a ciò che guadagnavano da coloro che si
recavano all'oracolo. [...] Inoltre, secondo un'antica traadizione coloro che
servono l'oracolo non possono mai vedere la luce del sole, e solamente di
notte essi possono uscire dalle fessure della terra».
[Nella traduzione latina: «Nam et Avernum p loco Plutoni dicato deputabat,
et Cimmerios ibi fuisse indicatu habitare [...] Ephorus vero Cimmeriis
locum illum dicans, hos abitare ait in subterraneis aedificiis, quas argillas
vocent, ac per fossas quasdam inter se comeare, hospitesque eadem via in
oraculum adducere alte infra terram conditum, victum eos metallis
effodiendis quarere, et ab ii accipere qui oraculum consulunt [...]. Porro qui
apud oraculum illud degunt, eos more a maioribus accepto nunquam videre
solem sed noctu ex hiatibus terrae prodire»].
Ci stiamo avvicinando sempre di più alla vera origine della Sibilla
Cimmeria. Siamo giunti a Cuma e alle rive del Lago d'Averno, nella
regione della Campania. E sappiamo, ora, che i misteriosi, leggendari
Cimmèri vivevano in dimore sotterranee, e controllavano un oracolo,
profondamente sepolto in un tempio ipogeo.
Questo oracolo era una Sibilla?
Sì, lo era. Era una Sibilla dei Cimmèri. Come scopriremo nel prossimo
paragrafo.
32
7. Una Sibilla nel sottosuolo presso il Lago d'Averno
Seguendo le orme lasciate dalla Sibilla Cimmeria nel corso dei secoli,
siamo tornati indietro nel tempo sino all'età classica, quando l'Italia
meridionale era un territorio dai magici scenari per i molteplici
insediamenti ivi stabiliti dai coloni provenienti dalla Grecia.
Nella zona costiera posta tra Cuma, il Monte Procida e il Capo Miseno,
Baia e Pozzuoli, si trovava una regione che era il regno misterioso abitato
da immani potenze sotterranee: un'area vulcanica, viva e attiva oggi come
allora, dove si trovava il tenebroso Lago d'Averno, circondato da
incombenti colline e protetto da una foresta impenetrabile. Proprio lì aveva
la propria dimora un popolo antico, i Cimmèri, i quali vivevano nel
sottosuolo.
Fig. 22 - Una visione del Lago d'Averno, uno specchio d'acqua di origine vulcanica situato in Campania,
come appare ai nostri giorni
E questo popolo serviva un oracolo, nascosto alla vista e posto nel
sottosuolo. Un oracolo che vaticinava interrogando i morti, così come ci
racconta Strabone nella sua opera Geographica:
«Coloro che vissero prima di noi, considerarono il Lago d'Averno come il
luogo in cui si svolge il leggendario episodio della negromanzia raccontato
da Omero, tanto da narrare come si trovasse proprio lì l'oracolo che
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otteneva responsi dai morti come se essi fossero vivi: lo stesso oracolo al
quale si rivolse Ulisse».
[Nella traduzione latina dall'originale Greco: «Qui nos aetate antecesserunt,
Necyae Homericae fabulas Averno applicaverunt, atque adeo narrant fuisse
ibi oraculum ubi vita defuncti responsa darent, eoque Ulissem advenisse»].
Ma chi era a stabilire la comunicazione tra il mondo dei morti e quello dei
vivi, uomini mortali in cerca di oracolari responsi?
Si trattava di una Sibilla.
Andiamo infatti a leggere un significativo passaggio tratto dall'Origo
Gentis Romanae, un'opera del quarto secolo attribuita all'autore latino Sesto
Aurelio Vittore. Il brano racconta di Enea, l'eroe troiano appena giunto in
Italia dopo la distruzione della sua città e della sua gente:
«Enea seppellì su quella spiaggia la madre di Eusino, uno dei suoi
compagni, deceduta a causa dell'età avanzata; la seppellì vicino alla palude
che si trova tra Miseno e l'Averno, ed ecco da dove quel luogo trasse il
proprio nome. E quando venne a sapere che nel villaggio, chiamato
Cimbarione, una Sibilla cantava ai mortali il futuro, egli vi si recò e,
avendo chiesto un responso a proposito del suo stesso destino, ed
essendogli stato proibito di seppellire in Italia la sua congiunta Prochyta, a
lui consanguinea, che egli aveva lasciato in buona salute, si affrettò a
tornare presso la flotta, e trovò che veramente ella era morta...».
[Nel testo originale latino: «Aeneam in eo litore Euxini cuiusdam comitis
matrem ultime aetatis affectam circa stagnum, quod est inter Misenon
Avernumque, extulisse atque inde loco nomen inditum; cumque
comperisset ibidem Sibyllani mortalibus futura praecinere in oppido, quod
vocatur Cimbarionis, venisse eo sciscitatum de statu fortunarum suarum
aditisque fatis vetitum, ne is cognatam in Italia sepeliret Prochytam,
cognatione sibi coniunctam, quam incolumem reliquerat. Et postquam ad
classem rediit repperitque mortuam...»].
Nella città dei Cimmèri («Cimbarionis» in Strabone), nascosta nel
sottosuolo e posta tra Capo Miseno e il Lago d'Averno, operava una Sibilla,
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che profetava per mezzo di responsi ottenuti interrogando le anime dei
morti.
Siamo riusciti dunque, finalmente, ad arrivare fino alla Sibilla Cimmeria:
essa era un'ulteriore Sibilla italica, inclusa nell'elencazione classica definita
da Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, che comprendeva anche due ulteriori
Sibille originarie dell'Italia, la Cumana e la Tiburtina. E la sua dimora si
trovava al di sotto delle colline che circondavano il Lago d'Averno, non
lontano da Cuma e Napoli.
Fig. 23 - L'Origo Gentis Romanae in un'antica edizione stampata a Parigi nel 1588, con il brano relativo a
una Sibilla profetante presso il Lago d'Averno
E la Sibilla Cumana? Cosa possiamo dire a proposito di questa Sibilla, il
cui tempio oracolare era anch'esso presente proprio nella medesima area? E
cosa possiamo ora affermare in merito alla supposta connessione - così
come rivendicata da Francesco Maurolico nel sedicesimo secolo - tra la
Sibilla Cimmeria e quella Appenninica, la cui dimora si trova invece in una
regione d'Italia totalmente differente? Sembrerebbe proprio, adesso, che
tutti i pezzi del rompicapo comincino ad incastrarsi tra loro, e ciò che i vari
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elementi reperiti cominciano ad indicare non pare che vada a stabilire
alcuna relazione tra le due Sibille.
Proveremo a rispondere a queste intricate questioni nel prossimo paragrafo.
8. Cuma, terra di dèi inferi
Dopo avere attentamente esaminato una pluralità di fonti letterarie antiche,
abbiamo scoperto come la Sibilla Cimmeria sia appartenuta all'area del
Lago di Averno, situata nella regione chiamata Campania: ad un solo
miglio di distanza dal sito tradizionale presso il quale si ritiene che la
Sibilla Cumana rendesse i propri responsi oracolari, nell'antica città di
Cuma.
Questo risultato - già ben noto agli studiosi - non dovrebbe essere
considerato come del tutto inatteso. Quando abbiamo dato inizio alla nostra
investigazione, abbiamo potuto osservare, come già notato in passato da
molti ricercatori, come nella classica enumerazione redatta da Lattanzio e
concernente dieci oracoli la settima Sibilla fosse la Cumana, e la quarta la
Cimmeria; eppure, in alcune versioni del De Divinis Institutionibus di
Lattanzio, la quarta Sibilla appare con l'attributo di 'Cumaea': un
appellativo che non può non riportare alla nostra mente l'antico nome di
Cuma, fornendoci così un potente indizio utile ad identificare verso quale
direzione volgere la nostra ricerca.
E, finalmente, siamo riusciti a rintracciare la Sibilla Cimmeria esattamente
nell'area di Cuma. Ma come è possibile che vi fossero due differenti Sibille
nella medesima area, una Cumana e una Cimmeria?
Come prima cosa, dobbiamo fissare bene in mente quale sia la
peculiarissima natura di questa porzione della terra d'Italia.
Proviamo a volare insieme su questo angolo di Campania, nell'Italia
meridionale, prendendo in considerazione la mappa qui allegata: stiamo
sorvolando un territorio che è pesantemente e permanentemente marcato
dalle più maestose potenze sotterranee dell'intera Europa. Una terra
benedetta - e maledetta - dagli Dèi Inferi.
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Ad est di Cuma e Capo Miseno, sin da tempo immemorabile, la terra è stata
devastata dalla furia dei vulcani. Ci troviamo nei celeberrimi Campi
Flegrei, una vasta regione vulcanica che nasconde una delle più pericolose,
e del tutto attive ai nostri giorni, camere magmatiche sotterranee dell'intero
globo.
Lo stesso Lago di Averno, al centro dell'immagine, è un lago formatosi
all'interno di un cratere vulcanico, un tempo circondato da tenebrose colline
ricoperte da boschi spaventevoli. Strabone racconta di come «gli uccelli
che lo sorvolavano piombassero nell'acqua, uccisi dalle esalazioni di quei
vapori, così come accade nei luoghi consacrati a Plutone» («aves quae
supervolarent in aquam decidere, exanimatas aeris exhalatione,
quemadmodum i Plutonijs locis fit» in Latino). E ulteriori, numerose
caldere vulcaniche (Monte Barbaro, il grande cratere degli Astroni, e molti
altri) sono inoltre presenti nella porzione superiore dell'immagine,
compreso il piccolo ma impressionante Monte Nuovo, un minuscolo
vulcano formatosi dal nulla in conseguenza di un'improvvisa eruzione che
ebbe luogo tra il 29 settembre e il 6 ottobre 1538. Terremoti, emissione di
gas vulcanici e sensibili spostamenti verticali del terreno (un fenomeno
denominato 'bradisismo') hanno avuto luogo in questa zona da sempre.
Fig. 24 - Il territorio di Cuma nell'odierna regione della Campania
37
Non c'è dunque da meravigliarsi se questa terra sia stata da sempre
considerata come sacra alle divine potenze del sottosuolo. Nel Libro 6
dell'Eneide, Publio Virgilio Marone invia Enea fino alle spiagge di Cuma,
in cerca dell'ingresso al mondo sotterraneo dei morti, «guardato dal nero
lago e dall'oscurità delle selve» («tuta lacu nigro nemorumque tenebris» in
latino). E, secondo molti studiosi, il Lago Averno era effettivamente
considerato dagli antichi Romani come il punto di ingresso all'Ade.
In questo contesto così altamente evocativo hanno avuto modo di radicarsi
ben due differenti tradizioni sibilline: l'oracolo Cumano e quello Cimmerio.
Eppure, nessuna delle due tradizioni - benché entrambe risultino essere
menzionate in vari brani letterari tratti da diversi autori sia greci che latini -
sembra essere facilmente documentabile dal punto di vista storico e
archeologico, come avremo modo di vedere nel prossimo paragrafo.
9. Cumana e Cimmeria, una sola Sibilla per Cuma
Cuma, una delle più antiche colonie greche nell'Italia meridionale, fondata
a metà dell'VIII secolo a.C., una città che fu considerata come sacra alle
divinità ctonie a causa della peculiarissima natura vulcanica di quel
territorio.
Come abbiamo avuto modo di vedere, sulla base della documentazione
disponibile relativamente alle tradizioni di Roma antica, Cuma ospitava
due specifici oracoli sibillini: la Sibilla Cumana e la Sibilla Cimmeria.
Si trattava veramente di oracoli differenti? Esisteva una relazione tra di
essi? Esistono ancora resti visibili dei relativi luoghi di culto? Cosa
possono raccontarci oggi, di esse, l'archeologia e le moderne ricerche
storiche?
Prendiamo in esame la profetessa di maggior fama, la Sibilla Cumana: il
settimo oracolo, nell'elencazione classica di Lucio Cecilio Firmiano
Lattanzio. Essa fu anche celebrata da Virgilio nel sesto libro dell'Eneide,
con versi immortali: «enigmi paurosi essa canta mugghiando nell’antro, la
verità avvolgendo di tenebra» [«Cumaea Sibylla - horrendas canit ambages
antroque remugit - obscuris vera involvens» in latino]. E non possiamo
38
nemmeno dimenticare l'impressionante immagine di una Sibilla decrepita e
soggetta ad un invecchiamento senza fine, tramandataci da Publio Ovidio
Nasone nelle sue Metamorfosi, con un tocco finale dipinto per noi da Gaio
Petronio Arbitro nel suo Satyricon, nel quale una Sibilla Cumana ormai
avvizzita e ridotta ad un essere minuscolo, confinata in un'ampolla, implora
i suoi visitatori affinché le sia finalmente concessa una morte
misericordiosa.
Fig. 25 - La Sibilla Cumana e la Sibilla Cimmeria così come appaiono nel manoscritto Latin 920, un
preziosissimo Libro delle Ore risalente all'anno 1427, conservato presso la Bibliothèque Nationale de
France e originariamente realizzato per Louis de Laval, aristocratico francese vissuto nel quindicesimo
secolo
La tradizione letteraria concernente la Sibilla Cumana appare dunque
indubitabile, e pare effettivamente che essa descriva una qualche tipologia
di oracolo realmente esistente in tempi molto antichi.
Eppure, l'intera materia non pare affatto presentarsi come definitivamente
consolidata. L'Antro della Sibilla scoperto a Cuma nel 1932 da un
archeologo italiano, Amedeo Maiuri, e mostrato oggi ai turisti non è affatto
39
riconosciuto dagli studiosi come l'autentico sito presso il quale la Sibilla
Cumana rendeva i propri vaticini. Nessuna evidenza archeologica in grado
di confermare questa attribuzione è stata mai reperita nei locali sotterranei.
E nessun sito manifestamente, indubitabilmente oracolare è stato mai
identificato nell'attuale area dell'antica Cuma.
Il vero problema, infatti, è che già nell'antichità la Sibilla Cumana non era
più attiva da lungo tempo. Quando Virgilio, Ovidio, Petronio e Lattanzio
scrivono le rispettive opere, la Sibilla ha già compiuto la propria
trasformazione da oracolo a leggenda nebulosa e remota, perduta tra le
nebbie del passato. I Romani non conobbero né videro mai questa Sibilla
nella sua tangibile realtà, in quanto essa già apparteneva, ormai, al lontano
passato della Cuma greca, che fu conquistata dai Romani nell'anno 338
a.C., quattrocento anni dopo la fondazione dell'insediamento. Rieuwerd
Buitenwerf, uno studioso olandese, afferma con un'incisiva osservazione a
proposito dell'oracolo cumano che «la sua esatta localizzazione era stata già
da tempo dimenticata all'epoca in cui Virgilio visitò Cuma».
Nel quarto secolo dell'era cristiana, Cuma si era già trasformata in una
rinomata attrazione per i turisti dell'epoca, i quali - esattamente come
accade anche oggi - volevano visitare il luogo dove aveva profetato la
leggendaria Sibilla cantata da Virgilio. E la gente del luogo non si tirava
certamente indietro nel narrare ai visitatori paganti ciò che essi volevano
sentirsi dire, come ci viene raccontato nell'Esortazione ai Greci (Capitolo
39), testo in lingua greca attribuito a S. Giustino Martire:
«Facilmente apprenderai la retta religione [...] dall'antica Sibilla, che
insegnò attraverso una sorta di mirabile ispirazione per mezzo di responsi
oracolari [...] Si racconta di come essa rendesse le proprie profezie in una
certa città chiamata Cuma, a sei miglia da Baia (dove si trovano le acque
calde della Campania). Quando giungemmo in città, visitammo un certo
luogo nel quale si poteva vedere una grande basilica, tagliata all'interno di
una grande roccia [...] La gente, alla quale era stata tramandata questa
tradizione locale dai propri avi, ci raccontò che questo era il luogo in cui la
profetessa era solita pronunciare i propri oracoli. [...] Quando fummo in
città, potemmo apprendere queste cose da coloro che erano soliti fare da
guida ai visitatori, per mostrare loro i luoghi notevoli. [...] Ci mostrarono
anche [...] un piccolo contenitore, fatto di bronzo, all'interno del quale essi
affermavano che fossero ancora custoditi i suoi resti».
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Fig. 26 - Il brano sulla Sibilla Cumana tratto dall'Esortazione ai Greci, redatta nel quarto secolo da un
autore indicato dagli studiosi come 'Pseudo-Giustino'. L'edizione greco-latina presentata in figura fu
pubblicata a Oxford nel 1703
[Nella traduzione latina dal testo greco originale: «Perfacile autem vobis
erit rectam religionem [...] a veteri Sibylla ex afflatu quodam mirifico per
sortes ac responsa vos docente percipere. [...] Eam in Campaniae [...] in
urbe quadam cui Cumae nomen est, sexto a Baiis (qui locus thermas
Campanas habet) lapide, oracula edidisse. Vidimus nos ea in urbe cum
essemus, locum quendam, in quo ingentem basilicam, uno fabrefactam
saxo contemplati sumus [...] ubi responsa eam dedisse affirmabant illi, qui
res patrias a majoribus suis traditas acceperint. [...] Quin ipsi quoque, cum
in ube ea essemus, indicibus, qui hospites ad ea, quae visenda sunt, ducere
solent, ostendentibus [...] vidimus loculum quendam ex aere elaboratum ubi
reliquias ejus servari dicebant»].
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E così la presenza reale, attuale della Sibilla Cumana e del suo tempio
oracolare pare ormai essere andata perduta per sempre, e questa perdita
aveva già avuto luogo quando i Romani conquistarono Cuma per se stessi.
E la Sibilla Cimmeria? Se adesso cominciamo a prendere in considerazione
la Sibilla dei Cimmèri, le nebbie della storia non possono che apparire
ancor più fitte di fronte ai nostri occhi. Proviamo a disperderle, almeno in
parte, nel prossimo paragrafo.
10. La Sibilla Cimmeria, antecedente della Cumana
Quando l'Impero Romano giungeva all'apice della propria potenza, anche i
Cimmèri erano già divenuti un popolo leggendario, svanito da tempo dal
teatro della storia, proprio come accaduto anche alla Sibilla Cumana,
scomparsa già da molti secoli. Per gli stessi Romani, i Cimmèri non
costituivano altro che un flebile ricordo: una popolazione leggendaria, le
cui dimore sotterranee, un tempo celate in prossimità del Lago d'Averno,
non esistevano già più sin dall'epoca in cui Roma era ancora giovane. Ai
nostri giorni, nemmeno le più insignificanti vestigia di quelle residenze
occultate nella terra, né di quei tunnel, possono essere più rintracciate in
alcun modo, e questa impossibilità risulta essere tanto più evidente quando
si considerino i terremoti e gli eventi catastrofici che hanno ripetutamente
colpito il Lago d'Averno e i Campi Flegrei nel corso dei secoli (pensiamo,
ad esempio, al sisma del 1538, in concomitanza del quale un piccolo
vulcano, il Monte Nuovo, si innalzò dalla terra nel corso di una manciata di
giorni).
Malgrado ciò, Strabone, che scrive nel primo secolo, ci rende disponibile
un dettaglio aggiuntivo di grande rilevanza:
«Successivamente i Cimmèri furono distrutti da un certo re, al quale i
responsi oracolari non risultarono graditi; ma la sede dell'oracolo esiste
ancora oggi, benché essa sia stata trasferita in altro luogo».
[Nella traduzione latina dall'originale greco: «postea temporis Cimmerios
fuisse deletos a rege quodam, cuius eventa oraculum non comprobassent,
sedem oraculi alio translatam etiamnun durare»].
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Fig. 27 - Strabonis Rerum Geographicarum nell'edizione pubblicata nel 1571 a Basilea, con il passaggio
relativo ai Cimmèri
Secondo quanto riferisce Strabone, ai suoi tempi i Cimmèri erano stati già
spazzati via secoli prima. In un altro passaggio da noi già menzionato, è lo
stesso Strabone ad aggiungere che «Eforo riteneva che fosse questo il luogo
dei Cimmèri, a proposito dei quali egli affermava che risiedessero in
dimore sotterranee» [«Ephorus vero Cimmeriis locum illum dicans, hos
abitare ait in subterraneis aedificiis» in latino]. Ed Eforo era uno storico
locale, che visse a Cuma nel corso del quarto secolo a.C. (le sue opere
purtroppo non esistono più).
Ciò significa che i Cimmèri svanirono dallla zona del Lago d'Averno secoli
e secoli prima dell'arrivo dei romani a Cuma, ma «la sede dell'oracolo
esiste ancora oggi, benché essa sia stata trasferita in altro luogo».
È possibile ipotizzare che la Sibilla Cimmeria, la quale forniva responsi
oracolari presso un sito sotterraneo nell'area di Cuma, interrogando i morti
tramite pratiche negromantiche, abbia subìto un trasferimento presso un
altro e diverso santuario, situato nella medesima area cumana, a seguito
della distruzione della propria sede originale, e che il nome assunto dalla
Sibilla nel nuovo sito sia proprio 'Cumana'?
È possibile che l'antica, originale Sibilla Cimmeria abbia acquisito il nome
finale di 'Sibilla Cumana', dopo l'abbandono del proprio precedente sito
sotterraneo, a causa dell'obliterazione dello stesso?
Secondo molti studiosi, la risposta a queste domande sarebbe positiva.
Jacques Hergon, un celebre latinista francese, e altri ricercatori (Luca
Antonelli) considerano la Sibilla Cimmeria come la più antica profetessa
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attiva nell'area cumana, operante con tecniche di tipo negromantico. In
seguito, dopo la distruzione del tempio sotterraneo originale, l'oracolo si
sarebbe trasferito in un diverso sito posto nell'area centrale di Cuma,
assumendo il nome di 'Sibilla Cumana' e rendendo le proprie profezie
mediante scrittura di vaticini eseguita su di una pluralità di foglie di
quercia, abbandonate poi al libero gioco del vento («volent rapidis ludibria
ventis», come racconta Virgilio), in modo tale da rendere il responso
oracolare sostanzialmente incomprensibile.
Dunque, la Sibilla Cimmeria e la Sibilla Cumana non sarebbero altro che la
medesima profetessa, la prima rappresentando semplicemente il nome più
antico della seconda.
Questa identificazione sarebbe in grado di spiegare in modo del tutto
esaustivo quella sospetta confusione tra i vari appellativi attribuiti alla
quarta Sibilla, così come indicati nelle differenti versioni dell'antica
enumerazione delineata da Lattanzio: 'Cimmeria', secondo alcune di esse, e
'Cumana' in altri manoscritti. Secondo questa ipotesi, la quarta Sibilla
sarebbe fondamentalmente identica alla settima, la Cumana, ma ad essa
sarebbe attribuito il nome originale e più antico.
E anche un altro peculiare enigma letterario, connesso alla descrizione della
Sibilla Cumana così come proposta da Virgilio nella sua Eneide, potrebbe
trovare, in questo modo, la propria corretta soluzione.
Nel libro VI, Virgilio racconta di come, dopo il suo arrivo a Cuma, «il pio
Enea ascenda la cittadella, retta dal glorioso Apollo, recandosi all'antro
profondo, orrendo e appartato della Sibilla» («pius Aeneas arces, quibus
altus Apollo presidet horrendaque procul secreta Sibyllae antrum immane
petit» in latino). Egli sta per visitare quella che deve essere identificata
come la Sibilla Cumana, la quale fornisce i propri responsi esprimendo la
voce e la volontà del dio greco Apollo:
«Tali sono le redini che Apollo scuote nella furente profetessa, e tali gli
speroni che il dio le urge nel petto».
[Nel testo originale latino: «ea frena furenti concutit et stimolos sub pectore
vertit Apollo»].
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Ma poi, successivamente, nel medesimo libro, la Sibilla ordina a Enea di
presentare un'offerta a Ecate, la dea greca associata alla stregoneria e alla
negromanzia, e il rituale viene posto in atto in una grotta posta presso il
Lago d'Averno. Ora, la Sibilla ha assunto tutti gli attributi della più antica
profetessa Cimmeria:
«Una profonda spelonca era lì, una vasta, immensa fenditura, difficile da
penetrare, protetta dal lago nero e dalla tenebra delle selve [... Enea] pone
l'offerta sul fuoco sacro, dono copioso, evocando Ecate con la propria voce,
invocando i cieli e il vasto Erebo».
[Nel testo originale latino: «Spelunca alta fuit vastoque inmanis hiatu,
scrupea, tuta lacu nigro nemoremque tenebris [...] ignibus imponit sacris,
libamina prima, voce vocans Hecaten caeloque Ereboque potentem»].
Nei brani qui citati, Virgilio non starebbe facendo altro che porre in scena i
due differenti aspetti della Sibilla Cimmeria / Cumana: la profetessa che si
avvale di arti negromantiche (Cimmeria) e l'oracolo di Apollo (Cumana).
Due diverse rappresentazioni della stessa Sibilla: la Sibilla di Cuma.
Fig. 28 - Enea e la Sibilla Cumana rappresentati nel manoscritto Vat. Lat. 3225 (folium 45v)
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Una Sibilla che riemerge dalle nebbie di un passato perduto e quasi
dimenticato, così come rappresentata nel preziosissimo manoscritto miniato
dell'Eneide (Vat. Lat. 3225) conservato presso la Biblioteca Apostolica
Vaticana: uno dei reperti manoscritti più antichi dell'intero mondo classico
romano, risalente addirittura al quarto secolo, con una stupenda immagine
di Enea e del suo compagno Acate raffigurati mentre si presentano innanzi
alla Sibilla Cumana e al suo tempio apollineo
Ci stiamo avvicinando sempre di più al termine del nostro incredibile
viaggio attraverso il mito e le tradizioni sibilline. È giunto ora il momento
di rispondere alla domanda iniziale, quella che ci eravamo posti quando
abbiamo cominciato il nostro percorso: la Sibilla Appenninica, la Sibilla di
Norcia, è forse collegata in qualche modo con la Sibilla Cimmeria, così
come sostenuto da un abate siciliano vissuto nel sedicesimo secolo,
Francesco Maurolico, nella sua Topographia Sanctorum Christi Martyrum?
La risposta, adesso, ci appare assolutamente chiara. E andremo ad
esplicitarla nel prossimo paragrafo.
11. Lunga è la strada dalla Sibilla Cimmeria agli Appennini
Quando abbiamo cominciato la nostra investigazione attraverso il mito
delle Sibille Cimmeria e Cumana, abbiamo preso le mosse da una serie di
brani scritti da Francesco Maurolico nel 1568.
Nella sua Topographia Sanctorum Christi Martyrum, Maurolico si
esprimeva nel seguente modo:
«La quarta Sibilla è la Cumea, di cui parla Nevio nei suoi libri dedicati alla
Guerra Punica, a anche Pisone nei propri annali; dal castello Cimerio,
conosciuto anche con il nome di Antro nursino, che alcuni chiamano con il
nome corrotto di 'Cymea' o 'Cymica' [...] Cuma, città della Campania nel
golfo di Baia. Qui fu la Sibilla Cumana, chiamata anche Deifobe, che
alcuni indicano come Cimmeria o Cymica, se questa non fosse un diverso
oracolo posto nella caverna di Norcia [...] Ameria, città dell'Italia posta
nella regione Sabina. Da questa città l'autore denomina la 'Sibilla Emeria',
46
che altri chiamano 'Cimeria' a causa dell'incertezza sul luogo; essa vive
nell'antro di Norcia, ed è diversa sia dalla Cumana che dalla Tiburtina [...]».
Quando la nostra ricerca ha avuto inizio, non abbiamo potuto evitare di
pensare che le parole di Maurolico fossero affette da un qualche genere di
confusione, essendo evidente il suo palese tentativo di avallare l'idea che la
Sibilla Appenninica, la cui leggenda riguarda una grotta collocata tra le
montagne che si innalzano in prossimità di Norcia, nell'Italia centrale,
dovesse essere identificata con la quarta Sibilla elencata nella lista di
Lattanzio, la Cimmeria.
Ma Maurolico era veramente nel giusto?
La risposta corretta è no. E, forse, da un certo punto di vista, anche sì.
Maurolico, infatti, ha ragione quando afferma che la Sibilla Cimmeria o
Cumea o Chimica, la quarta Sibilla, appartiene a Cuma, come noi stessi
abbiamo potuto dimostrare per mezzo della nostra investigazione. Invece,
egli risulta essere in tutta evidenza inconsistente quando dichiara che la
Cimmeria «è diversa [...] dalla Cumana».
Inoltre, egli prende un abbaglio quando manifesta di voler riporre ogni sua
certezza nell'infondata ipotesi che la Sibilla di Norcia possa essere la Sibilla
Cimmeria di Lattanzio, il quarto oracolo sibillino contenuto
nell'enumerazione classica, basando la propria convinzione sul nome di un
villaggio che esisterebbe nelle vicinanze della Grotta di Norcia, e il cui
nome sarebbe - secondo Maurolico - 'Cimerio' o 'Amerio'.
Questa affermazione di Maurolico è totalmente errata. Abbiamo infatti
pienamente dimostrato come, nella tradizione antica, la città dei Cimmèri
fosse unanimemente collocata, da tutti gli autori classici, presso Cuma,
nella provincia italica della Campania. Dunque, i Cimmèri non avevano
nulla a che fare con gli Appennini, e parimenti nulla avevano a che fare con
Norcia. E la quarta Sibilla, la Cimmeria, non è affatto una Sibilla di Norcia,
ma una Sibilla di Cuma, come positivamente e indubitabilmente affermato
da tutti i riferimenti testuali classici oggi disponibili.
Ma perché Maurolico cadde in questo errore?
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Le sue fuorvianti affermazioni appaiono suscitare ancor maggiore
perplessità quando si consideri che l'identificazione di Cuma come luogo
originale presso il quale la quarta Sibilla, Cimmeria, vaticinava non
costituiva affatto informazione ignota ai contemporanei di Maurolico. Gli
studiosi del suo tempo e dei secoli successivi, infatti, erano in grado di
leggere i testi degli antichi autori esattamente come noi facciamo oggi, e
potevano reperire gli stessi elementi informativi che anche noi abbiamo
potuto ritrovare ai nostri giorni: i Cimmèri vivevano a Cuma, e
disponevano di una propria Sibilla oracolare, che era chiamata 'Cimmeria',
traendo il proprio nome dall'appellativo stesso di quel popolo.
Fig. 29 - De Civitate Dei di Agostino d'Ippona in un'edizione commentata stanpata ad Anversa nel 1576.
L'appendice comprende un commento elaborato da Juan Luis Vives nel 1523, nel quale è possibile
rinvenire una peculiare menzione a proposito della quarta Sibilla.
Prendiamo, ad esempio, un'opera scritta nel 1523 da Juan Luis Vives, un
noto erudito spagnolo del sedicesimo secolo, un libro pubblicato in Anversa
nel 1576. Nel commentare un famoso brano tratto da La Città di Dio di
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Agostino di Ippona (Libro XVIII, Capitolo XXIII), nel quale Agostino
arruola le Sibille tra gli araldi pagani della Salvezza, Juan Luis Vives cita la
famosa lista di dieci Sibille originariamente contenuta nelle Divinae
Institutiones di Lattanzio.
Ma, quando egli arriva alla quarta Sibilla, Vives riferisce le parole di
Lattanzio aggiungendo ad esse una frase ben significativa:
«La quarta [Sibilla è] la Cumea in Italia, di cui parla Nevio nei libri
dedicati alla Guerra Punica, e anche Pisone nei propri annali. Alcuni la
chiamano Italica, dalla città dei Cimmèri posta in prossimità di Cuma in
Campania».
[Nel testo originale latino: «Quarta [Sibylla est] Cumaea in Italia, quam
Naevius in libris belli Punici, Piso in annalibus nominat. Hanc alij Italicam
nuncupant, ex Cimerio Campaniae vicino Cumis oppido»].
Juan Luis Vives non avrebbe potuto essere più chiaro: la quarta Sibilla è un
oracolo italiano attivo in una piccola città posta presso Cuma. E
l'appellativo della città - come già sappiamo dalle fonti antiche - è
Cimmeria.
E proviamo a considerare un'altra opera diffusa nel secolo successivo, il
Lexicon Geographicum, pubblicato da uno studioso francese, Michel
Antoine Baudrand, nel 1652. Sotto la lettera 'C', troviamo un ulteriore,
chiarissimo riferimento alla città dei Cimmèri:
«Cimmèri, popolazione della Campania, nell'area di Baia e del Lago
d'Averno, la cui città fu chiamata Cimmeria, presso cui si trova l'antro della
Sibilla, 'la grotta della Sibilla', 1 miglio da Baia e 3 miglia da Pozzuoli».
[Nel testo originale latino: «Cimmerij item, pop. Campaniae, apud Baias et
lacum Avernum, quorum opp. Cimmerium fuit, ubi antrum Sibyllae, 'la
grotta della Sibilla', a Baiis 1 a Puteolis 3 milia passuum»].
Ed ecco che, di nuovo, anche nel diciassettesimo secolo i Cimmèri
venivano posizionati presso il Lago d'Averno, quindi molto lontano
dall'Appennino umbro-marchigiano, dove si trova Norcia.
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Fig. 30 - Il Lexicon Geographicum di Michel Antoine Baudrand pubblicato a Parigi nel 1652, nel quale è
presente una voce relativa ai Cimmèri
Ed ecco un ulteriore interessantissimo esempio, a noi proveniente dal
secolo ancora successivo. Nel 1767, un aristocratico ed erudito italiano,
Cesare Orlandi, nato in una città dell'Umbria e la cui famiglia era originaria
delle Marche, pubblicò una edizione aggiornata di un'opera molto rinomata,
il cui titolo era Iconologia, originariamente data alle stampe da Cesare Ripa
nel 1593. Nella propria edizione riveduta e ampliata, Cesare Orlandi inserì
anche un'intera sezione dedicata alle Sibille, ed ecco ciò che egli scrisse a
proposito della Cimmeria:
«Sibilla Cumea, ovvero Cimmeria: [...] Costei nacque in Cuma, o in
Cimmerio paese vicino a Cuma nella Campagna di Napoli. Da molti è
chiamata Italica, e si crede che abbia vaticinato in Italia poco dopo
l'incendio di Troia; e di questa con tutta ragione si può pensare che fosse la
stessa che la Cumana. Di più, non pochi riferiscono, che fosse Costei quella
Sibilla, alla quale finge Virgilio nel lib. 6 Eneid. di esser ricorso per
consiglio».
Cesare Orlandi ha forse scritto che la Sibilla Cimmeria presenta una
qualsivoglia connessione con una Sibilla degli Appennini? Niente affatto.
E, in effetti, questo elemento appare essere estremamente significativo:
perché Cesare Orlandi era nato a Città della Pieve, città dell'Umbria, e la
sua famiglia proveniva da Fermo, nelle Marche: se una qualsiasi relazione
50
fosse realmente esistita tra la Cimmeria e una Sibilla di Norcia - città posta
esattamente tra l'Umbria e le Marche - Orlandi lo avrebbe certamente
saputo, e lo avrebbe sicuramente riferito e scritto. Ma egli non lo fa.
Fig. 31 - L'Iconologia di Cesare Ripa in una versione riveduta e ampliata pubblicata da Cesare Orlandi a
Perugia nel 1767, con una sezione sulle Sibille comprendente un passaggio sulla Sibilla Cimmeria
Dunque, nessun dubbio può ancora sussistere in merito al fatto che gli
eruditi e gli studiosi del tardo Rinascimento, nonché i letterati dei secoli
successivi, avessero piena cognizione della reale origine della Sibilla
Cimmeria: essi sapevano che quell'oracolo aveva reso i propri vaticini
nell'area di Cuma, e che non esisteva alcun motivo o ragione per collegare
in alcun modo quella Sibilla con la catena degli Appennini.
È quindi un dato di fatto che Maurolico risulta trovarsi dal lato del torto.
Ma come è possibile che egli si dichiari così sicuro della propria
convinzione a proposito dell'identificazione tra Sibilla Appenninica e
quarta Sibilla di Lattanzio?
Benché non disponiamo attualmente di alcuna informazione decisiva in
merito a questa specifica questione, tenteremo comunque di concludere la
51
nostra ricerca con alcune considerazioni finali, che andremo a esplicitare
nel prossimo (e ultimo) paragrafo.
Fig. 32 - La quarta Sibilla, Cumea o Cimmeria, raffigurata nell'edizione dell'Iconologia di Cesare Ripa
pubblicata nel 1767
12. Il cammino verso la vera origine del mito sibillino
Abbiamo compiuto un lungo viaggio attraverso i secoli alla ricerca della
quarta Sibilla, la Cimmeria. Siamo risaliti da Francesco Maurolico, un
abate siciliano vissuto nel sedicesimo secolo, fino a Lucio Cecilio Firmiano
Lattanzio e ad altri autori latini e greci della classicità, tra i quali Silio
Italico, Sesto Pompeo Festo, Plinio il Vecchio, Licofrone di Calcide, Sesto
Aurelio Vittore, Publio Virgilio Marone, San Giustino Martire e Strabone.
Abbiamo consultato i volumi di Andrea da Barberino, di Filippo Barbieri e
dell'astronomo islamico Albumazar, e poi i quattrocenteschi Oracula
Sibillina e brani tratti da autori più recenti quali Juan Luis Vives, Michel
Antoine Baudrand e Cesare Orlandi.
Abbiamo dimostrato come tutti gli indizi connessi alla Sibilla Cimmeria
conducano a Cuma, nella regione italiana della Campania. Solamente
l'abate Francesco Maurolico pare distaccarsi da questa visione del tutto
unanime, in quanto egli solo asserisce come la quarta Sibilla, la Cimmeria,
sia in realtà la Sibilla Appenninica di Norcia.
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Allo stadio attuale della nostra ricerca, non possiamo stabilire per quale
motivo Maurolico (e, in tutta apparenza, solamente Maurolico) attesti
questa posizione. Non è stato per noi possibile rintracciare alcuna ulteriore,
e precedente, fonte letteraria che sostenga questa medesima idea.
Eppure, una flebile traccia sembra apparire tra le opere, i brani, i passaggi e
le citazioni che si riferiscono al mondo degli oracoli sibillini: la Sibilla
Appenninica pare presentare un qualche tipo di velato, indecifrabile
collegamento con la Sibilla Cumana / Cimmeria, così come attestato da
Andrea da Barberino nel romanzo quattrocentesco Guerrin Meschino e da
Francesco Maurolico nella propria Topographia.
In altre parole, una qualche sorta di nesso indistinto, enigmatico si starebbe
delineando tra gli Appennini, che si ergono in prossimità di Norcia, e
Cuma.
Ancora non sappiamo in cosa possa consistere esattamente questa
relazione. O, meglio, abbiamo già una specifica idea in merito a questa
tematica così altamente affascinante, ma questa idea è ancora inespressa.
Un'ipotesi oscura, che Sibilla Appenninica - Il Mistero e la Leggenda ha
intenzione di approfondire e sviluppare in futuri articoli, non ancora
pubblicati.
Per il momento, vogliamo lasciare il lettore con le suggestioni legate
all'antica città, da lungo tempo perduta, dei Cimmèri, con tutto il suo
fascino misterioso e arcano, in grado di avvincere poeti e letterati di ogni
epoca. Un mistero sul quale abbiamo tentato di gettare luce, percorrendo gli
stretti sentieri tracciati da una pluralità di autori di saggi, romanzi e poemi
nel corso di molti secoli.
Un viaggio arcano che vogliamo concludere con le parole scritte dal più
grande poeta di ogni tempo, Omero, nella sua Odissea. Qui, nel Libro 11,
egli così ci racconta del tenebroso mistero dei Cimmèri:
«Essa [la nave di Ulisse] ai confini arrivò dell'Oceano corrente profonda, là
dei Cimmèri è il popolo e la città, di nebbia e nube avvolti. Mai su di loro il
sole splendente guarda coi raggi, né quando sale verso il cielo stellato, né
quando verso la terra ridiscende dal cielo, ma notte tremenda grava sui
mortali infelici».
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Fig. 33 - Il sentiero che conduce alla leggendaria vetta del Monte Sibilla, avvolta nell'ombra
Ulisse approda «al luogo che indicò Circe»: «la casa dell'Ade», presso cui
egli effettua il più spaventoso dei riti, l'evocazione dei morti
dall'Oltretomba, la cosiddetta 'nekya'.
Sibilla Appenninica, Sibilla Cumana, Sibilla Cimmeria, il mondo
sotterraneo dei morti. Un mistero leggendario che pare trovare le proprie
origini nei più nascosti recessi del tempo, e della mente umana.
Michele Sanvico
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