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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
LA LETTERA DI PAPA PIO II PICCOLOMINI SULLA
GROTTA DELLA SIBILLA PUBBLICATA OGGI PER LA
PRIMA VOLTA (CON NUOVE INFORMAZIONI)1
1. Una lettera quattrocentesca che menziona il 'Venusberg'
È con grande piacere che Sibilla Appenninica - Il Mistero e la Leggenda è
orgogliosa di presentare alla comunità dei ricercatori e al grande pubblico
la famosa lettera scritta nella prima metà del secolo quindicesimo da un
granda Papa, Pio II Piccolomini, nella quale si parla del Monte Sibilla.
È infatti la prima volta che questa lettera viene mostrata nella sua versione
originale manoscritta, conservata presso la Bibliothèque Nationale de
France (Département des Manuscrits, Latin 8578). L'elegante calligrafia è
di mano dello stesso Papa, Enea Silvio Piccolomini, erudito, poeta e
scrittore, il quale aveva deciso all'epoca di copiare in un unico volume
manoscritto tutto il proprio epistolario relativo al periodo precedente
l'elezione al soglio pontificio. Il volume contiene anche un'elegante
miniatura che mostra Papa Piccolomini seduto al banco da copista tipico
del suo tempo.
Ma l'aspetto più interessante di tutto ciò è che la Lettera n. LXXIII presente
nel manoscritto contiene la versione originale del celebre testo redatto
dall'allora trentanovenne Piccolomini a proposito della Sibilla Appenninica.
Fino ad oggi, questa lettera era nota solamente grazie alla versione a
stampa pubblicata a Basilea nel 1551.
1 Articolo pubblicato il 27 febbraio e il 2 e 8 marzo 2018
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_SibylsFortune.asp)
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E vedremo che, dalla lettura di questa versione originale, mai pubblicata in
precedenza, sarà possibile rilevare almeno un paio di nuove e significative
informazioni.
Fig. 1 - La pagina iniziale del manoscritto Latin 8578 conservato presso la Bibliothèque Nationale de
France e contenente una serie di lettere vergate da Enea Silvio Piccolomini nella prima metà del
quindicesimo secolo
La Sibilla Appenninica. La sua montagna e la caverna sulla cima, in Italia.
Un mistero che, proprio durante il secolo quindicesimo, veniva portato
all'attenzione di un pubblico più vasto tramite le opere letterarie di Andrea
da Barberino e Antoine de la Sale. Un enigma che, secondo Felix
Hemmerlin, canonico e polemista zurighese, pareva presentare una stretta
connessione con il leggendario racconto tedesco relativo a Tannhäuser e al
Venusberg, la montagna che nascondeva al proprio interno il magico regno
della Dea Venere.
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Nella prima metà del quindicesimo secolo, quando il suo papato non ha
ancora avuto inizio, Silvio Enea Piccolomini riceve la visita di una persona
che pone al futuro pontefice domande molto particolari. E così egli decide
di scrivere al proprio amato fratello Gregorio, allo scopo di reperire
ulteriori informazioni. Quello che segue è il testo della lettera inviata da
Silvio Enea a suo fratello il giorno 15 gennaio 1444.
Il titolo della lettera non lascia spazio a dubbi: è «De Monte Veneris», un
riferimento diretto alla leggenda di Tannhäuser. E alla Sibilla italiana:
Fig. 2 - Il principio della lettera di Enea Silvio Piccolomini sul 'Venusberg'
«Enea Silvio Segretario Imperiale invia i propri cari saluti a Gregorio
giureconsulto, suo fratello. È venuto da me proprio ora il latore della
presente il quale mi ha posto questa domanda: se io fossi a conoscenza
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dell'esistenza di un Monte di Venere in Italia. Infatti, afferma il mio
visitatore che qui si possano apprendere le arti magiche, delle quali è
assetato il suo signore, un eminente astronomo Sassone».
[Nel testo originale latino: «Aeneas Silvius Imperialis Secretarius S.P.D.
(salutem plurimam dicit) Gregorio iuriconsulto fratri suo. venit ad me hac
hora lator presentium ex me quesitum: an veneris montem apud italiam
scirem. Nam ibi magicas artes tradi dicebat, cuius avidus esset herus suus
qui Saxo est summus astronomus»].
Dunque qualcuno, assistente presso un illustre studioso tedesco di quel
tempo, era in cerca di informazioni a proposito della magica montagna che
pareva levarsi in Italia ed era conosciuta come 'Venusberg', il nome del
monte che appare nella leggenda di Tannhäuser.
Ed ecco la notevole risposta fornita da Piccolomini. All'inizio, egli appare
dubbioso e perplesso:
«Gli ho risposto che ero a conoscenza di un Porto di Venere, che qualcuno
chiama Venerio, il quale si trova vicino a Luni, tra i monti della Liguria,
dove io trascorsi tre notti mentre mi trovavo in viaggio per Basilea. So
anche che esiste un monte, in Sicilia, che si chiama Erice, sacro a Venere.
Ma non ho mai avuto contezza che in questi luoghi si insegni alcunché di
magico».
[Nel testo originale latino: «Dixi me scire portum Veneris. Alii venerii
dicunt qui est prope lunam inter Ligusticos montes, quo in loco tres noctes
egi dum Basileam peterem. Inveni etiam apud siculos montem fore, qui
Herix appellatur, Veneri sacer. Sed in his locis nihil accepi magicum
tradi»].
Poi, però, il grande erudito italiano pare ricordare qualcosa:
«Mentre parlavamo, mi venne in mente che esiste un lago, in Umbria, detta
anche provincia del Ducato, non lontano dalla città di Norcia, dove
un'impervia montagna ospita una immane caverna, attraverso la quale
scorrono le acque. Mi ricordo di aver sentito dire che lì si trovano streghe e
demoni e ombre notturne, un luogo nel quale coloro che posseggono un
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animo audace possono ascoltare le voci degli spiriti malvagi, parlare con
loro ed apprendere le arti magiche».
Fig. 3 - Le parole scritte nella lettera di Enea Silvio Piccolomini che riguardano la montagna e il lago
situati in prossimità di Norcia
[Nel testo originale latino: « Inter conferendum autem venit in mentem
lacum esse in umbria, quae provincia ducatus dicitur, non longe ab Urbe
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Nursia ubi preruptus mons ingentem speluncam facit per quam aquae
fluunt. Illic memini audisse me striges esse et demones ac nocturnas
umbras, ubi qui audaces animo sunt, spiritus nequam audiunt,
alloquunturque et artes ediscunt magicas»].
Questa lettera fornisce una conferma indipendente del fatto che, nel
quindicesimo secolo, il Lago di Pilato e la Grotta della Sibilla erano
conosciute nel contesto di un raffinato ambiente composto da uomini di
lettere e studiosi di grande erudizione. E questa fama non era fondata
solamente sulla presenza di una Sibilla oracolare: si trattava di un luogo
dove ad essere praticata era la magia nera, e la nomea di questa particolare
caratteristica si stava diffondendo, a quel tempo, in tutta Europa.
Il testo qui presentato non costituisce affatto una novità: la lettera di Pio II è
stata pubblicata più volte in passato, e in tempi più recenti era stata
presentata da Giuseppe Santarelli nel volume Le Leggende dei Monti
Sibillini (1974 - 1979).
Eppure, Santarelli non poté accedere alla lettera contenuta nel nostro
manoscritto: egli fu in grado di riportare solamente il testo contenuto nella
versione stampata nel 1551 a Basilea. E questa versione a stampa contiene
alcuni errori.
E così, nel continuare la nostra analisi della versione originale manoscritta
della lettera di Papa Pio II, potremo reperire alcuni nuovi elementi mai
notati prima, che solo Sibilla Appenninica - Il Mistero e la Leggenda sarà
in grado di proporre all'attenzione del pubblico nel prossimo paragrafo.
2. Un lago, una montagna e una caverna: un argomento assai delicato
trattato con la massima prudenza
Quando, nella prima metà del quindicesimo secolo, Silvio Enea
Piccolomini, illustre esponente di una eminente famiglia italiana originaria
della Toscana, cardinale di Santa Romana Chiesa, studioso ed erudito, fu
oggetto della visita di una persona interessata alla magia e alle arti oscure,
egli assunse un atteggiamento estremamente cauto. Nella sua posizione, la
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questione sarebbe potuta diventare esplosiva, nel caso la sua lettera fosse
caduta nelle mani sbagliate.
Così, leggendo oggi le sue parole, possiamo percepire tutta la circospezione
da lui utilizzata nel redigere la lettera indirizzata a 'suo fratello' Gregorio.
Egli sa come potere aiutare il suo visitatore, conosce la tenebrosa fama del
Monte Sibilla e del Lago di Pilato, luoghi presso i quali viene praticata la
stregoneria, tramite l'evocazione di entità maligne; eppure, egli scrive di
averne solo un labile ricordo, di averne solamente udito parlare. E, per
buona misura, il futuro Papa non dimentica di aggiungere le seguenti parole
(vedere figura):
«Queste cose io non le vidi mai, né mai mi curai di vederle. Perché ciò che
si apprende a mezzo di peccato, è molto meglio ignorare del tutto».
[Nel testo originale latino: «haec non vidi, nec vidisse curavi. Nam quod
peccato discitur melius est ignorasse»].
Fig. 4 - Un'immagine composita illustrante i Laghi di Pilato e il Monte Sibilla, con la frase vergata da
Enea Silvio Piccolomini nella propria lettera: egli ha cura di dichiarare di non avere mai vissuto alcuna
esperienza personale in relazione alle arti magiche
Detto ciò, è chiaro però come il cardinal Piccolomini non intenda
semplicemente licenziare il proprio importante visitatore, il servitore di un
illustre personaggio, inviato presso di lui «da un eminente astronomo
Sassone» che è «assetato» di arti magiche. Egli è così desideroso di
compiacere l'assistente dello studioso da affidarlo nelle mani del proprio
corrispondente, il giurista Gregorio, inviando il servitore dell'illustre
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astronomo dalla Carinzia, in Austria, fino a Siena in Italia (vedremo
successivamente, in questo articolo, per quale ragione Silvio Enea si trovi
in Carinzia e quale sia l'esatta identità di Gregorio), insieme con la lettera
da lui stesso vergata e alcune pressanti raccomandazioni:
«Ora, in questa faccenda faresti anche a me cosa gratissima, perché la
persona che mi ha inviato questo messaggero è il Duca di Sassonia, uomo
tanto eminente quanto potente».
[Nel testo originale latino: «Nam et ipse mihi et tu in hoc rem gratissimam
facietis, is enim qui nuntium hunc mittit medicus est ducis Saxoniae, homo
tum dives tum potens»].
Ma perché l'assistente del medico e astronomo avrebbe dovuto
intraprendere un viaggio fino a Siena? Piccolomini ha intenzione di
organizzare un abboccamento tra l'inviato dell'astronomo e un altro
personaggio senese, probabilmente un anziano erudito, il quale potrebbe
essere in grado di fornire ulteriori informazioni sulla magica caverna e sul
lago:
«Malgrado la mia scarsa conoscenza della materia, Savino, il grande
conoscitore del diritto civile che possiede un'abitazione tra le pubbliche
locande situate in prossimità di Porta Camollia [una delle porte della città
di Siena n.d.r.], mi assicurò che tutte queste cose sono vere, mi fece
menzione del lago e mi descrisse il luogo; tutto questo, però, mi è sfuggito
dalla memoria, la quale è più scivolosa di un'anguilla; così ti prego, se
Savino fosse ancora vivente, di condurre quest'uomo a lui, e di
raccomandarglielo».
[Nel testo originale latino: «Sed Savinus iuris civilis peritus qui apud
Camillinam inter publica diversoria domum habuit, haec mihi vera esse
asseveravit, lacum nominavit et locum descripsit, sed ista ex memoria
fugerunt, quae labilior est anguillis: ideo te rogo, si Savinus vivit, hunc
virum ut ad se ducas sibique eum commendes»].
Il futuro Papa, nella sua lettera, professa apertamente la propria ignoranza
in merito a quella montagna italiana presso la quale sarebbe praticata la
magia nera e protesta di non avere interesse alcuno né a conoscere oltre, né
a ricordare di più.
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Ma pensiamoci bene: chi consiglierebbe mai, ad un uomo importante, di
viaggiare dall'Austria all'Italia al mero scopo di incontrare un anziano
signore, solo per la narrazione di una favoletta? Chi invierebbe mai una
persona, che opera per conto di un illustre studioso, il medico personale di
un Duca, verso un viaggio futile e improduttivo? Giochereste realmente un
tale scherzo al servitore di un «uomo tanto eminente quanto potente»?
Ovviamente, tutto questo è impossibile. Silvio Enea Piccolomini, a quel
tempo segretario imperiale ed esperto diplomatico, ben conosceva ciò di
cui egli dichiarava di non ricordarsi affatto, ben rammentava quelle
informazioni che sembravano essere, nella sua memoria, «più scivolose di
un'anguilla». Egli era più che sicuro che tutto ciò fosse assolutamente vero.
Egli credeva nella storia del Monte Sibilla.
Fig. 5 - Enea Silvio Piccolomini nel proprio abito pontificale come appare nella miniatura che apre la
raccolta di lettere contenuta nel manoscritto Latin 8578
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Sulla cima di una montagna, vicino alla città di Norcia, esistevano una
caverna e un lago dove veniva utilizzata la magia nera. E non si trattava di
una semplice voce. Si trattava di qualcosa per la quale valeva la pena
mettersi in viaggio.
Piccolomini non menziona mai la parola 'Sibilla'. È chiaro, comunque,
come questo sia il medesimo luogo descritto anche da Antoine de la Sale e
Andrea da Barberino nelle loro opere risalenti al quindicesimo secolo. E
Silvio Enea pone l'accento sul fatto che, in quel luogo, il ruolo principale
sia giocato dalla magia nera. Una considerazione fondamentale, di primaria
importanza, che torneremo ad approfondire in futuri articoli.
Ma la nostra ricerca sulla lettera di Pio II non è ancora finita. Dobbiamo
menzionare alcune ulteriori informazioni. Perché molti studiosi, che in
precedenza hanno citato questa lettera in relazione alla Sibilla Appenninica,
hanno compiuto in realtà un certo numero di errori: in primis, il luogo dal
quale Silvio vergò la propria missiva; in secondo luogo, la data di
redazione della lettera; e, infine, l'identità di Gregorio, il 'fratello' al quale
la missiva è indirizzata.
Così, avremo modo di fornire tutte le corrette informazioni sulla lettera di
Piccolomini. Nel prossimo paragrafo.
3. Omissioni e imprecisioni nell'edizione delle lettere del Piccolomini
pubblicata nel 1551
Un cardinale, Silvio Enea Piccolomini, che nel 1458 diventerà Papa con il
nome di Pio II. Una lettera, che egli scriverà dopo avere ricevuto la visita di
un messaggero a lui inviato da un illustre personaggio, astronomo e medico
personale di un duca germanico. La fama tenebrosa del Monte Sibilla, in
Italia, con la sua caverna e il vicino lago, presso i quali molti ritenevano
che fosse praticata la negromanzia. Un'impressionante testimonianza in
merito al fatto che quella montagna italiana rappresentava tutto fuorché un
luogo ordinario: non si trattava affatto, semplicemente, di uno degli
innumerevoli picchi che costellavano la catena dell'Appennino, lungo la
spina dorsale dell'Italia.
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Ma quando fu scritta quella lettera di Piccolomini, e dove, e a chi fu
indirizzata?
Gli studiosi che, in anni recenti, si sono interessati al testo di Piccolomini
nell'ambito dei propri studi sulla leggenda e sulle tradizioni relative alla
Sibilla Appenninica, hanno commesso una serie di errori.
Attualmente, sussiste la convinzione che la lettera sia stata redatta da Silvio
Enea nel 1431, nel corso del suo viaggio verso il Concilio di Basilea, che si
sarebbe tenuto in quel medesimo anno, e che il messaggio sia stato
indirizzato a Giorgio, suo fratello.
Ma tutti questi elementi risultano essere errati.
L'equivoco nasce dal fatto che i predetti studiosi non hanno avuto la
possibilità di visionare il manoscritto originale della lettera, che noi stiamo
invece presentando in questo articolo; essi poterono prendere in
considerazione solamente la versione a stampa del messaggio, pubblicata a
Basilea da Henrichum Petri nel 1551, la quale contiene un certo numero di
omissioni e imprecisioni.
Fig. 6 - La versione a stampa delle lettere di Enea Silvio Piccolomini pubblicata nel 1551 da Henrichum
Petri, con la lettera «A proposito del Monte di Venere»
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Andiamo a considerare l'anno e il luogo in cui la lettera fu scritta: la
versione a stampa non contiene alcun riferimento a tali dettagli; al
contrario, la data e il luogo di redazione sono chiaramente indicati nella
parte finale della versione originale manoscritta (vedere figura):
«[...] Fai pure come se tu fossi me: e ciò che tu desideri, io eseguirò.
Stammi bene, mio caro. Scritto a San Vito di Carinzia nel giorno XV
gennaio 1444».
[Nel testo originale latino: «[...] Finge te esse me: et quid tunc velles, id
facito. Vale optime. Ex sancto vito carinthia die XV ianuarii
M.CCCC.XXXX.IIII»].
Fig. 7 - La parte finale della lettera di Piccolomini con l'indicazione della data e del luogo in cui la lettera
fu scritta
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Nel 1444, Piccolomini era infatti segretario di Federico III, Duca di Stiria,
Carinzia e Carniola, in Austria, e Re dei Romani, titolo che precedeva la
formale incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero. Questo
fatto è ulteriormente confermato dall'intestazione della lettera, nella quale
Piccolomini dichiara di rivestire il ruolo di «Imperialis Secretarius», una
posizione che egli non occupava affatto nel 1431.
La versione a stampa del 1551 contiene anche un ulteriore errore:
nell'intestazione, si legge «a Giorgio giureconsulto, suo fratello» («Georgio
Iuriconsulto fratri suo», in Latino). Ma Enea Silvio non aveva un tale
fratello. In effetti, la versione manoscritta ci racconta una storia differente:
«a Gregorio giureconsulto, suo fratello» («...Gregorio iuriconsulto fratri
suo»).
Il nome giusto non è 'Giorgio', ma 'Gregorio', e quest'ultimo è Gregorio
Lolli, un giovane cugino di Silvio Enea. Lolli, originario di Siena, divenne
intimo amico di Silvio Enea Piccolomini quando questi compì diciotto anni
e decise di trasferirsi nella città toscana per frequentare la locale Università.
I due amici condividevano la stessa passione per lo studio degli autori latini
e per la storia classica. Lolli si laureò in legge nel 1441, e viveva ancora in
Siena quando Piccolomini gli indirizzò quella lettera a proposito del
'Venusberg' nel 1444. Essi intrattenevano un frequente scambio epistolare, e
proprio a causa dell'amicizia e del mutuo rispetto che li legava essi si
apostrofavano, l'uno con l'altro, con l'epiteto di 'fratello'.
E dunque, cosa ci racconta, oggi, questa lettera? Da questo testo, veniamo a
conoscenza del fatto che, nel 1444, Silvio Enea Piccolomini decise di
affidare l'assistente di un importante personaggio, un membro eminente
della corte del Duca di Sassonia, ad un proprio stretto conoscente di Siena,
affinché fosse organizzato un incontro con un anziano giureconsulto,
Savino, il quale disponeva di specifiche informazioni a proposito della
fama oscura che avvolgeva una montagna e un lago che giacevano vicino
alla città di Norcia. Il Monte Sibilla e il Lago di Pilato.
Ci rimane ora il difficile compito di svelare l'identità dello sconosciuto
astronomo sassone, il medico personale del Duca di Sassonia. Chi era
costui?
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Non siamo stati purtroppo in grado di rintracciare il suo nome, benché gli
indizi disponibili non siano certo insufficienti.
Sappiamo che nel 1444 la Sassonia, un territorio della Germania
settentrionale ('Sachsen' in tedesco), era suddivisa in due aree: il Saxe-
Wittenberg, governato da Federico II il Mansueto ('Friedrich, der
Sanftmütige'); e il Saxe-Lauenburg, retto da Bernardo II. Ma non erano
solo questi personaggi a potersi chiamare Duchi di Sassonia, in quanto altri
parenti potevano fregiarsi del medesimo titolo (ad esempio, Wilhelm III, un
fratello minore di Federico).
Chi di loro disponeva di un medico personale e di un astronomo?
Praticamente tutti, come tutti gli aristocratici di elevata estrazione al
governo in quegli anni. Conosciamo molti nomi di studiosi, astronomi e
medici vissuti in quel periodo storico in Germania e in Austria: da Johann
Schindel a Johannes Müller 'il Regiomontano', da Bernhard Walther a
Georg von Peuerbach, e molti altri. Eppure, nessuno di questi sembra
essere stato operativo esattamente in quegli anni, o essere stato di origine
sassone, o avere operato in qualità di medico personale di un duca sassone.
E il nome maggiormente promettente, quella di Nicola Cusano (Nicolaus
Cusanus), il grande filosofo, diplomatico, astronomo e medico tedesco, che
fu una stretta conoscenza di Silvio Enea Piccolomini e che certamente si
sarebbe rivolto al suo grande amico per ottenere informazioni su di un
Venusberg italiano, sfortunatamente non sembra avere avuto nulla a che
fare con la Sassonia o con i duchi sassoni.
E così, siamo costretti a lasciare agli studiosi professionisti, esperti nella
storia dell'antica Sassonia germanica, l'arduo compito di ricercare, tra gli
antichi documenti, l'identità dell'astronomo sassone al quale si riferiva il
Piccolomini.
In ogni caso, un fatto risulta essere assolutamente indubitabile: nel 1444 il
Monte Sibilla e il suo lago erano già un luogo famigerato, dove si diceva
venisse praticata la negromanzia. Senza specifici riferimenti ad alcuna
Sibilla.
Si tratta di un indizio di grande importanza per una più approfondita
conoscenza della vera natura della magica montagna e del lago che, nel
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quindicesimo secolo, erano considerati quali luoghi estremamente speciali.
Luoghi che valeva la pena di visitare, nel caso qualcuno fosse stato
interessato all'evocazione di dèmoni.
Luoghi che erano forse già noti, per questo uso così peculiare, sin da tempi
molto più antichi.
Michele Sanvico
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