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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
I CAVALIERI DELLA SIBILLA - GUERRIN MESCHINO E I
SUOI ANTECEDENTI: UGONE D'ALVERNIA1
1. "Ugone d'Alvernia" e il suo legame con la leggenda della Sibilla
Appenninica
Come illustrato in un precedente articolo, siamo oggi alla ricerca di indizi
che possano guidare gli studiosi verso una migliore comprensione delle
fonti letterarie utilizzate da Andrea da Barberino nel suo romanzo
cavalleresco Guerrin Meschino e da Antoine de la Sale nel suo Il Paradiso
della Regina Sibilla.
Da dove trassero, quei due autori, le idee per alcuni specifici episodi
presenti nelle loro opere? Esiste un antenato letterario di episodi quali le
porte metalliche in perenne movimento presentate ne Il Paradiso della
Regina Sibilla, o il viaggio a Roma per implorare l'assoluzione papale così
come descritto in Guerrino, nel Paradiso e anche nel Tannhäuser?
Sappiamo che un tale antenato è da identificarsi, quantomeno in parte, in
Huon da Bordeaux, un poema cavalleresco risalente al tredicesimo secolo,
redatto in lingua francese: si tratta di un poema che include specifici
episodi poi inseriti in opere redatte almeno centocinquanta anni più tardi
dai predetti autori, Andrea da Barberino e Antoine de la Sale.
Eppure, questo progenitore non è l'unico.
1 Pubblicato il 2 gennaio 2018
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_LegendOrigin.asp)
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Stiamo infatti per rivolgere la nostra attenzione verso un altro Huon: questa
volta andremo a considerare Huon d'Auvergne, detto in italiano Ugone
d'Alvernia, un altro poema cavalleresco appartenente ad un'antica
tradizione letteraria franco-italiana, del quale sopravvivono quattro
manoscritti (Berlino, Torino, Padova, Bologna) databili tra il 1341 e il
1441, in grado di fornire una testimonianza di grandissimo interesse in
relazione a una filiazione letteraria che sembra radicarsi in un passato
antico di molti secoli.
Ugone d'Alvernia - proprio come il suo omonimo Huon da Bordeaux, come
Guerrin Meschino e come il nobile tedesco menzionato da Antoine de la
Sale - è un cavaliere e un membro dell'aristocrazia. È il protagonista
principale di una narrazione che racconta di gesta eroiche e tradimenti,
viaggi in terre lontane ed esplorazioni di luoghi incantati. Come per l'Huon
da Bordeaux e per Guerrino, anche questo Ugone vive e agisce all'epoca
dell'Imperatore Carlomagno e della sua stirpe.
Esiste una relazione tra Huon d'Auvergne e la leggenda della Sibilla
Appenninica?
La risposta è affermativa. Questo valente cavaliere, infatti, attraversa una
serie di avventure che sembrano presentare una stretta connessione con il
magico mondo della Sibilla Appenninica, così come a noi tramandato in
altre opere, anche se nessuna diretta menzione alla Sibilla risulta essere
inserita nell'Huon d'Auvergne.
Un episodio che colpisce particolarmente il lettore è contenuto nel
Manoscritto n. 32 conservato presso la Biblioteca del Seminario Vescovile
di Padova. Al foglio 59, Ugone d'Alvernia è in viaggio presso il fiume
Tigri. Ed è qui che egli incontra tre bellissime damigelle:
«Tre damigelle [...] ognuna di esse di grande bellezza - i loro occhi
splendenti e bianche le loro guance - di color vermiglio come rose novelle -
Sulle spalle le belle braccia - Innanzi ai loro petti i seni danzavano».
[Nel testo originale franco-italiano: «tre damissele [...] De gran beleça fo
çascuna d'eles - Li so ochi à vari e blanche lor maseles - Color vermeio
como ruoxe noveles - Sulle spale pendeano lor dreçe beles - Davanti lo·sso
peti ponceano le so mameles»].
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Questa scena è significativamente simile a quella descritta da Andrea da
Barberino nel Guerrin Meschino, nella quale il protagonista, già inoltratosi
all'interno degli oscuri recessi della grotta della Sibilla, si trova a bussare ad
una porta fiancheggiata da due dèmoni scolpiti:
«Queste erano tre damigelle tanto polite e belle che lingua mai non lo
potrebe dire tanto era la loro beleza».
Fig. 1 - Una pagina tratta da uno dei quattro manoscritti sopravvissuti recanti l'Huon d'Auvergne,
conservato presso la Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova
Poi Guerrino incontra la Sibilla, la quale si presenta a lui «mostrandoli la
sua belleza e le sue bianche carne e le mamelle che pareano proprio che
fossero da volio».
Solamente un tipico episodio cavalleresco, con bellissime fanciulle intente
ad irretire il cavaliere senza macchia, senza alcuna relazione con la
leggenda sibillina?
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Pensiamo che la cosa non possa essere così semplice. Perché nel brano
tratto da Huon troviamo anche alcuni versi ulteriori, che ci sembrano essere
particolarmente singolari. Quando Huon chiede alle damigelle da dove esse
provengano, la risposta che viene fornita dalle fanciulle suona così:
«Tu devi sapere che il nostro capitano
è una dama di qui della montagna.
Né Medea né Elena furono mai così belle,
nessuna così saggia fu mai nella Bretagna
Ella è regina della negromanzia
molto più di tutti i maestri di Toledo e della Spagna»
[nel testo originale franco-italiano:
«Tu dé saver ch'el nostro capetaine
È una dame de çà da la montagne.
No fo si bela Medea ni Helaine,
Nian si savia fui in Bertagne;
De negromencia ella è sovraine,
Plui che no sé sença ingagne
Tuti li maistri de Toleta ni de Spagne»].
E aggiungono inoltre: «ella conosce tutto il latino delle arti magiche - se
saprai domandare e ben raccontare [...] - potrai conoscere come recarti fino
al monte dell'inferno» [nel testo originale franco-italiano: «de negromançia
sa tuto lo latin - Se tu te saveré domandar e contar a lei ben vexin [...] - E
può saver da lie tuto lo train - Como tu anderé al munte inferin»].
E così, una 'dama della montagna' presiede una corte di magnifiche
fanciulle, rilasciando responsi oracolari ai visitatori che si recano presso di
lei: sembra proprio di udire un'eco, per quanto fievole, della Sibilla
nascosta tra i suoi picchi appenninici. E quella dama è onorata come
«savia»: esattamente la medesima parola utilizzata da Andrea da Barberino,
nel proprio romanzo, per definire la Sibilla!
La Sibilla Appenninica descritta nel Guerrin Meschino e ne Il Paradiso
della Regina Sibilla proviene forse da un antico modello di signora degli
incantesimi contenuta in un precedente poema cavalleresco, Huon
d'Auvergne?
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Prima di tentare di rispondere a questa domanda, proviamo a continuare il
nostro viaggio all'interno di Huon: come si vedrà, troveremo molte altre -
incredibili - corrispondenze.
2. La corte incantata e la magica regina dell'Huon
Continuiamo a ricercare le impronte della Sibilla Appenninica all'interno
dell'Huon d'Auvergne, un poema epico comprendente episodi i quali
sembrerebbero costituire gli antecedenti di sequenze narrative presenti
nella letteratura sibillina (Guerrin Meschino, Il Paradiso della Regina
Sibilla).
Abbiamo già visto come il protagonista del poema, Huon d'Auvergne, si
imbatta in tre damigelle e in una corte incantata, governata da una dama
meravigliosa la quale presenta molti tratti in comune con la nostra Sibilla.
Esattamente come Guerrin Meschino, Huon segue le fanciulle e viene
condotto alla presenza della bellissima signora di quel luogo, ma - proprio
come alla corte sotterranea della Sibilla Appenninica - un malvagio
incantesimo sta operando sul coraggioso cavaliere: «il demonio adoperava
tutta la sua potenza - per condurlo in una maligna condizione» [«che·llo
diavollo adoverave la sso possançe - de condurlo a malvasse sentançe»]. La
magia del meraviglioso castello nel quale egli è introdotto risulta essere
così intensa che Huon non può che trovarsi a pensare, tra sé e sé, «mai non
curerav'io in Alvernia torner».
Ma questo non è altro che lo stesso magico incantamento che tratteneva
prigionieri quei cavalieri in visita presso il regno fatato della Sibilla
Appenninica.
Quando Huon viene ammesso alla presenza della regina («la raina»), i suoi
occhi si posano su di una donna dalla straordinaria bellezza; eppure, il
nostro coraggioso cavaliere «sa per certo che la sua bellezza era falsa e
vana» («sapié per certaine - che sso belleça era falssa e vaine»). Queste
parole ci ricordano l'invocazione pronunciata da Guerrino nel proprio cuore
quando egli venne a trovarsi di fronte alla Regina Sibilla e alla sua divina
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bellezza: «disse tre volte Iesu christo nazareno libera me da questi
incantamenti».
Nell'Huon d'Auvergne, la regina tenterà di indurre Huon a peccare - lo
stesso peccato di lussuria con il quale anche la Sibilla Appenninica tentava
di irretire i propri visitatori: e Huon innalzerà esattamente la stessa
lamentazione - «soccorri il tuo servo, Gesù di Nazareth» [«Secori lo to
servo, naçareno Jexhu»] - pronunciata anche da Guerrin Meschino quando
si troverà in una identica situazione di pericolo nel romanzo di Andrea da
Barberino: «Iesu christo nazareno fame salvo».
Fig. 2 - Una preziosa miniatura raffigurante un cavaliere e una regina, tratta da un manoscritto contenente
il romanzo Yvain
Alla fine, sia Huon che Guerrino riusciranno a preservare intatta la propria
purezza: essi resisteranno alle malvagie tentazioni offerte loro dalle
rispettive regine, tutti gli incantamenti scompariranno e i due cavalieri
potranno lasciare, ancora senza macchia, i due magici regni.
La regina di Huon e la Sibilla Appenninica - entrambe provenienti dalle
montagne, esperte nelle arti negromantiche, al centro di splendide corti,
regni d'illusione, descritte come donne sapienti e in grado di fornire
responsi oracolari, bramose di impadronirsi delle anime dei visitatori,
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precipitandoli nel peccato: è possibile che la Sibilla descritta nelle opere di
Andrea da Barberino e Antoine de la Sale discenda da un modello più
antico, già contenuto nel poema epico Huon d'Auvergne (a propria volta
basato su tradizioni orali ancora più antiche)?
La risposta è... forse! Ma prima di fornire un responso più preciso, andremo
a verificare le ulteriori corrispondenze sussistenti tra Huon e le opere
letterarie che narrano della Sibilla Appenninica.
Perché - è palese - esistono ulteriori, evidenti corrispondenze. Che andremo
a porre in evidenza nel prossimo capitolo.
3. Un ponte assai stretto e una porta di metallo eternamente battente
Guerrin Meschino e Il Paradiso della Regina Sibilla: due notissime opere
letterarie, risalenti all'inizio del quindicesimo secolo, che rappresentano le
pietre fondanti della leggenda della Sibilla Appenninica. Ma a quali
precedenti narrazioni si sono ispirate?
Apparentemente, quei due componimenti non si sono ispirati a nessuna
opera antecedente: sembra proprio che essi abbiano trovato origine in un
vero e proprio vuoto letterario. Ma questo non è affatto vero: questo vuoto
è in realtà pieno di tracce elusive, contenute in un insieme di poemi
cavallereschi ancora più antichi. Abbiamo visto, infatti, come Huon da
Bordeaux, opera risalente al tredicesimo secolo, includa temi narrativi che
risultano essere rinvenibili anche nella successiva letteratura sibillina.
E anche un ulteriore Ugone - in francese Huon d'Auvergne, un poema epico
reperibile in manoscritti risalenti al quattordicesimo secolo e provenienti da
tradizioni orali ancor più antiche - sembra descrivere una malvagia regina
con caratteri simili a quelli della Sibilla Appenninica.
Ma proseguiamo nel nostro approfondimento. Se continuiamo a scorrere il
testo dell'Huon d'Auvergne, ci imbattiamo in nuove, sbalorditive
corrispondenze con la leggenda della Sibilla.
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Nell'antico poema epico, il valoroso cavaliere Ugone d'Alvernia
intraprende una soprannaturale esplorazione dell'Inferno, secondo un
modello già descritto da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. Nel
corso di questo viaggio, al di là del Limbo e oltre un castello ospitante le
anime di pagani illustri, Huon si imbatte in qualcosa che già ben
conosciamo nel contesto della leggenda della Sibilla: un insondabile abisso,
e un ponte molto speciale che lo attraversa.
«Lì non vede ponte fatto di legno, né di pietra,
Ma un asse solamente si trovava lì.
La malvagità di quel ponte vi voglio raccontare:
Sopra è acuminato come una punta di freccia
E più che spada esso è in grado di tagliare,
E nessuno può passare oltre quell'acqua
Se non attraverso quel ponte che sto per raccontare.
Ugo lo vede, e molto comincia a piangere
[...] Prima si segna al viso con la croce,
Poi si avventurano sul ponte a piccoli passi,
Tanto che di quel ponte raggiungono l'altro estremo».
[Nel testo originale Franco-Italiano al folio 101 recto del manoscritto
padovano:
«No llì vete ponte de legname ni de piere,
Ma un stangon lì vè desovra stere.
La crudelitade del ponte ve voio contere:
Desovra è agudo como quarel d'açere
E pluy ca spada ello taia volentiere,
E algun non può oltra quela aqua paxere
Se no per quel ponte ch'io vo contere.
Ugo lo guarda, molto prexe a llarmoiere,
[...] primamente se fè la croxe al vis,
Po se meteno su per lo ponte a pas petis,
Tanto che sono olltro el pont sulla ris»].
Il ponte sull'abisso: un sentiero magico, paurosamente sottile, lungo il quale
il peccatore che tenti il passaggio non può che cadere nell'oscurità, ma che
accoglie il transito del fedele, risultando solo un'illusione il suo essere
tagliente, la sua ampiezza che si allarga quando il vero credente in Dio ne
accetta la sfida.
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È lo stesso ponte che troviamo ne Il Paradiso della Regina Sibilla di
Antoine de la Sale, sepolto profondamente al'interno del Monte Sibilla e
della sua caverna:
«Poi si trova un ponte, del quale non si capisce di quale materia sia
costruito, ma si dice che non sia più largo di un piede e sembrerebbe essere
molto lungo. Al di sotto di questo ponte, un grande e spaventoso abisso di
enorme profondità [...] Ma non appena si pongono i due piedi sul ponte,
egli diviene largo a sufficienza; e più si procede innanzi e più esso diviene
largo e l'abisso meno profondo» [Nel testo originale francese: «Lors
trouve-l'on ung pont, que on ne scet de quoy il est, mais est advis qu'il n'est
mie ung pied de large et semble estre moult long. Dessoubz ce pont, a très
grant et hydeux abisme de parfondeur [...] Mais aussitost que on a les deux
pieds sur le pont, il est assez large; et tant va on plus avant et plus est large
et moins creux»].
Un ponte - notiamo qui incidentalmente - che proviene da un passato ancor
più remoto, perduto nelle nebbie del Medioevo, come illustreremo meglio
in un prossimo articolo.
Questo è tutto? Niente affatto.
Perché, solamente alcuni folia più avanti nel manoscritto padovano, quando
Huon arriva al castello di Lucifero, ci imbattiamo in un'ulteriore luogo
narrativo, reperibile anche nel testo di Antoine de La Sale:
«Alto è il palazzo, una torre si erge di fronte,
Non è di pietra come di solito son fatte le torri;
Questa è d'acciaio e di ferro temperato;
Alte sono le mura che circondano il palazzo,
Di fronte è un portale custodito da due leoni,
E il portale ha natura tale
Che non appena esso viene aperto,
non esiste lama tanto tagliente e affilata
che tagli così dolcemente come quella porta fa;
ella altro non fa che chiudersi e aprirsi».
[Nel testo originale franco-italiano al folium 105 verso e 106 recto:
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«Alto è el pallaço, una tore davanti lì à,
No è de piere como le tore se fa,
Ançy è d'açalle e de fero tenperà;
Alti son li muri ch'el palaço cricundà,
Davanti à una porta che do lion guardà,
E quele porte tal natura si à
Si tosto como elle averte incontenente se serà,
El non è raxori tanto taienti e filà
Che taia cossì soave como quele porte fa;
De serar e de avre alltro elle non fa»].
Incredibilmente, questa non è che la descrizione del meccanismo di metallo
che sferza «senza requie estate e inverno», già da noi incontrato nell'Huon
da Bordeaux, un altro poema cavalleresco, e anche ne Il Paradiso della
Regina Sibilla di Antoine de la Sale, con le sue porte metalliche «che
giorno e notte sbattono senza arrestarsi mai, aprendosi e chiudendosi» («qui
jour et nuyt et sans ceser battent, cloant et ouvrant»)! Un altro tema
narrativo molto antico, appartenente a tradizioni medievali che si perdono
nel tempo.
Fig. 3 - Pagine iniziali di un'edizione ottocentesca dell'Ugone d'Avernia e di una più antica edizione del
Guerrin Meschino
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Appare dunque chiaro come sussistano connessioni specifiche tra Huon
d'Auvergne e la tradizione letteraria sibillina: il racconto mitico della Sibilla
sembra avere ereditato alcuni peculiari attributi che, un tempo, sono
appartenuti a precedenti rifugi di 'cattivi' apparsi in poemi cavallereschi
maggiormente risalenti nel tempo.
Ma questi poemi più antichi erano noti ad autori come Antoine de la Sale e
Andrea da Barberino?
La risposta è sì. De la Sale fu cortigiano e uomo di lettere. Andrea da
Barberino fece qualcosa di ancor più significativo: alla fine del
quattordicesimo secolo, egli scrisse una traduzione italiana dell'Huon
d'Auvergne: un romanzo il cui titolo è Ugone d'Avernia, una sorta di
Guerrin Meschino contenente le gesta e le avventure di Huon, in versione
arricchita rispetto ai manoscritti originali dell'Huon d'Auvergne.
Alla fine di questa analisi, possiamo quindi affermare come la tradizione
leggendaria relativa alla Sibilla Appenninica contenga motivi letterari tratti
da precedenti poemi cavallereschi: questi motivi vengono assegnati da
illustri letterati (Andrea da Barberino e Antoine de la Sale) ad un luogo
specifico, e alla sua caverna, localizzati su di un remoto picco degli
Appennini - il quale, per qualche ragione, costituiva già un punto
d'attrazione per visitatori interessati alla negromanzia e a magici regni
nascosti.
Tutto ciò appare costituire un'area di grandissimo interesse per
l'effettuazione di ulteriori ricerche.
Michele Sanvico
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