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SIBILLA APPENNINICA, IL MISTERO E LA LEGGENDA - SIBILLA APPENNINICA: IL LATO LUMINOSO E IL LATO OSCURO

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Il mistero del Monte Sibilla, in Italia, è un enigma antico e ancora inspiegato. La montagna innalza il proprio picco tra l'Umbria e le Marche. La grotta sulla cima è stata oggetto di visite, per secoli, da parte di uomini provenienti da ogni parte d'Europa, in cerca del leggendario reame sotterraneo della Sibilla degli Appennini. Una ricerca che non si è ancora conclusa. Con questo articolo Michele Sanvico ripercorre le tracce della leggenda attraverso la storia, con specifico riferimento alla nomea acquistata come mera favola per sempliciotti e creduloni e - da un punto di vista marcatamente più oscuro - alla fama sinistra diffusasi tra i negromanti di tutta Europa.
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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
SIBILLA APPENNINICA: IL LATO LUMINOSO E IL LATO
OSCURO1
1. Leandro Alberti e la «volgata fama»
Il mito della Sibilla Appenninica ha attraversato molti secoli, destando in
tutta Europa l'affascinato interesse di personaggi estremamente differenti
tra di loro.
Nel corso del suo lunghissimo viaggio, la leggenda è stata oggetto di una
vasta molteplicità di speculazioni letterarie. Tra la grande varietà di
citazioni rinvenibili in moltissimi autori, andremo a porre in evidenza due
sottogruppi particolari: i brani scritti da coloro i quali respingevano e quasi
deridevano i racconti che venivano narrati a proposito della Sibilla
Appenninica, in quanto stupide favole per sempliciotti e creduloni; e -
dall'altro lato - le citazioni tratte da personaggi che non gradiremmo
incontrare in una strada poco frequentata nel bel mezzo della notte: gente
che praticava arti proibite, e pensava che la leggenda della Sibilla potesse
essere tutto tranne che uno scherzo.
Cominciamo allora con una delle descrizioni relative alla tradizione
sibillina maggiormente improntata allo scetticismo: un brano tratto da
Leandro Alberti, un frate dominicano vissuto nel sedicesimo secolo, autore
di un'opera storico-geografica di grande fortuna, la Descrittione di tutta
l'Italia, pubblicata nel 1550.
1 Pubblicato il 18, 19,20, 21, 27, 29 e 31 ottobre 2017
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_SibylsFortune.asp)
1
Alberti comincia la propria descrizione illustrandoci tutta la magnificenza e
l'imponenza dei Monti Sibillini:
«[...] ove è molto alto esso Appennino. Quivi si partisse questa parte de'l
Piceno da i monti de i Norsini: Vero è che sopra quel luogo ove è Arquata,
tanto si alza l'Apennino, che se istesso se supera in altezza, cioè che avanza
tutti gli altri suoi continouati gioghi siano di quanta altezza possono. Et per
tanto è addimandato questo monte Vettore. Quivi è partito il territorio
Piceno da'l Norsino».
Fig. 1 - Un'impressionante visione dei Monti Sibillini, uno scenario all'interno del quale diversi racconti
leggendari hanno trovato dimora per molti secoli
Il frate domenicano era un uomo brillante, un erudito e un predicatore di
grande esperienza; così, quandi si tratta di considerare le strane favole che
si narrano attorno alla Grotta della Sibilla e al vicino lago, egli non si lascia
affatto convincere:
«Vedesi alla parte de quest'altissimo monte, (che riguarda all'oriente) quel
tanto famoso Lago de'l quale se dice che vi appareno i demoni costretti
dagli incantatori, & che qui vi parlano con essi. Che se così fusse sarebbe
cosa molto biasimevole, & tali incantamenti meriterebbero gravissime
punitioni secondo le leggi Canoniche & Imperiali: Io credo che siano tutte
2
favole e menzogne, come poi dimostrerò descrivendo la Grotta della
Sibilla».
Fig. 2 - La Descrittione di tutta l'Italia di Leandro Alberti, nell'edizione originale pubblicata nel 1550, con
il brano dedicato alla Grotta della Sibilla
Ed ecco la descrizione della grotta, luogo spaventevole nella sua oscura,
formidabile apparenza, rivestita però di ciò che Leandro Alberti
stigmatizzava come sciocche dicerìe:
«Veggionsi in questo paese gli altissimi monti dell'Appennino, sopra uno
de li quali appare edificato il Castello de'l Monte di S. Maria in Gallo. A cui
è vicina (però in detto Apennino) la larga, horrenda & spaventevole
spelunca nominata Caverna della Sibilla: De la quale è volgata fama, (anzi
pazzesca favola) esser quivi l'entrata per passare alla Sibilla, che dimora in
un bel Reame, ornato di grandi & magnifici Palaggi, habitati da molti
popoli, pigliando amorosi piaceri ne detti Palaggi, & Giardini con vaghe
damigelle...».
Nel prossimo paragrafo, vedremo come Leandro Alberti continuerà a
riportare notizia della grotta e della sua fama: una rinomanza che pareva
attirare ogni sorta di sprovveduti sin lassù, fin nello sperduto cuore dei
Monti Sibillini.
3
2. Leandro Alberti, «Anchora essendo fanciullo»
Se fossimo in cerca di un autore dei secoli passati del tutto intenzionato a
non sottoscrivere i racconti relativi alla Sibilla Appenninica, dovremmo
rivolgerci al frate domenicano Leandro Alberti. Come anticipato nel nostro
precedente post, infatti, il nostro storico e geografo non mostra di provare
alcuna remora quando si tratta di demolire l'illustre leggenda. E il suo stile
di scrittura diviene addirittura giocosamente ironico:
Fig. 3 - Un'altra visione del territorio dei Monti Sibillini, nel quale misteriosi racconti fiabeschi sembrano
essere avvolte nelle nebbie d'alta montagna
«In vero ella è cosa molto maravigliosa, che siano passati tanti anni, ne li
quali si dice esser stata ritrovata questa Caverna, & esser quivi la Sibilla, &
che mai non sia stato fatto alcuna memoria d'essa da Strabone, ne da Plinio,
ne da altro curioso scrittore, & vestigatore delle cose rare. Vedemo pur
esser stato molto diligente Strabone in discrivere le Grotti, & spelunche,
che sono a Cuma, a Baia, & a Napoli, & parimente Plinio rammentando i
miracoli della Natura, & mai pur una minima parola hanno scritto di quella
Grotta, ò vero della favola volgare di essa [...] Et per tanto si deve tener
4
essere favole & bugie tutte quelle cose narrate di detta Caverna, & Laghi,
& cose da recitare per trastullo & piacere».
E questo non è tutto. L'Alberti riporta anche quel racconto, ridicolmente
divertente, a proposito di quei «Thedeschi huomini dotti & pratici» che
decidono di spingersi fino ai famosi Laghi di Pilato, «con gran spesa», per
consacrare i loro libri magici ai dèmoni lacustri - del tutto immaginari - e
ritrovandosi così «uccellati», e costretti a riprendere il cammino del ritorno
verso la natìa Germania «maledicendo se & gli altri, questi per haver
divolgate queste favole, & se per haverle tanto facilmente credute».
«Credo non esser molto tempo», prosegue ancora l’Alberti, con perfidia
velata, dissacrante, «che siano state volgate queste favole di detta Caverna
[…]. Perché se fossero stati osservati dagli antiqui, non dubito che ne
sarebbe stato fatto memoria, sicome e fatto dell’Oracolo di Delpho, di
Podalirio, dell’Averno, & dell’Antro, & Spelunca della detta Sibilla
Cumea, & parimente de molti altri luoghi, sicome di spelunche, Laghi,
Alberi, Fiumi, Fontane, Selve, Tempii, Sacelli, & simili altri Oracoli, ove
davano risposta i bugiardi Demonii per ingannare gli huomini».
Fig. 4 - Un brano tratto dalla Descrittione di tutta l'Italia di Leandro Alberti
Ecco dunque come Leandro Alberti, uomo di grandissima esperienza e
intelligenza, distrugge infine la leggenda di una Sibilla tra gli Appennini.
Correva l'anno 1550 e Alberti ha appena enunciato le parole che
costituiranno il maggior problema storico, ancor oggi irrisolto, della ricerca
5
contemporanea sulla Sibilla Appenninica: la sua oscura, enigmatica
discendenza dalle Sibille classiche e la mancanza di qualsivoglia menzione
letteraria negli autori di Roma antica.
Eppure, l'unica concessione che l'esperto scrittore si permette di accordare
al mito non è di poco momento: si tratta, infatti, di un tributo alla potenza
della leggenda sibillina, al potere del sogno e della favola.
Anche Leandro Alberti, in effetti, era rimasto colpito e affascinato da quel
racconto leggendario. A quell'epoca non era che un bambino, e noi
possiamo oggi immaginare i suoi occhi meravigliati e spalancati, mentre
quel bimbo ascoltava ancora una volta il racconto senza tempo della Sibilla
Appenninica:
«Queste & altre simil favole si sogliono narrare dal volgo, di questa
caverna della Sibilla, si come io ricordo havere udito narrare in casa di mio
padre alle donne, (anchora essendo fanciullo) per trastullo & piacere».
Malgrado tutta la sua fredda, logica razionalità, anche lui era stato reso
prigioniero dal magico incanto della Sibilla.
3. Flavio Biondo e «le poltronarìe de la negromantia»
Un altro autore del tutto contrario ad esprimere apprezzamento nei
confronti della leggenda della Sibilla Appenninica è Flavio Biondo, il
grande storico, nonché antesignano della moderna archeologia, vissuto
nella prima metà del quindicesimo secolo.
Nella sua Italia illustrata, pubblicata in lingua latina nel 1474 e
successivamente tradotta in italiano nel 1542, Biondo dedica poche righe
alla nostra Sibilla, mostrando chiaramente di non provare alcuna
inclinazione verso quella che egli reputava essere una sciocca dicerìa:
«Su nei monti altissimi nel colmo de l'Apennino, che è dirimpetto a queste
terre, vi ha un'altra terra chiamata di S. Maria in Gallo, presso a la quale
proprio ne l'Apennino è una gran caverna chiamata volgarmente la Grotta
de la Sibilla, e poco più su è quel lago famoso nel territorio di Norcia, dove
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dicono falsamente, che in vece di pesci, è pieno di demoni, e la fama così
de la grotta, come del lago ha ne di nostri tirati molti pazzi dati a queste
poltronarìe de la negromantia, et avidi di sapere et intendere di queste
novelle magiche, e più ne secoli passati, come si raggiona, gli ha tirati dico
a sallire su questi altissimi monti, et alpestri, con gran fatica, e vana».
Fig. 5 - L'Italia illustrata di Flavio Biondo, con un'affascinante stampa di una Sibilla ritratta sul
frontespizio della traduzione in lingua italiana curata da Lucio Fauno e pubblicata nel 1542
E così, molti rinomati uomini di lettere - benché disposti ad includere
menzioni della caverna sibillina e del lago all'interno delle proprie opere
letterarie, per mero scrupolo di completezza - consideravano i due racconti
leggendari come stupide favole, tali da poter essere di interesse solamente
per ignoranti e sempliciotti.
Eppure, non tutti, in Europa, la pensavano così. Alcuni personaggi
prendevano la caverna della Sibilla e il lago molto sul serio.
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Tremendamente sul serio. Gente che non disdegnava di praticare quelle che
il Biondo aveva definito le «poltronarìe de la negromantia».
Fig. 6 - Il brano sulla Sibilla Appenninica tratto dall'edizione italiana de l'Italia illustrata di Flavio
Biondo
Fig. 7 - Il brano sulla Sibilla Appenninica tratto dall'edizione originale latina de l'Italia illustrata di
Flavio Biondo (1474)
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Fig. 8 - Mai pubblicato prima: il medesimo brano tratto dal manoscritto originale vergato da Flavio
Biondo (Ottoboniano Latino n. 2369 dalla Biblioteca Apostolica Vaticana)
E - come vedremo nel prossimo paragrafo - non si trattava certo di persone
con il quale sarebbe stato piacevole avere a che fare.
4. Giovanni Tritemio e il demone sotterraneo
La leggenda della Sibilla Appenninica: un racconto fiabesco, un viaggio nel
mistero, un sogno cavalleresco di avventura e ardimento, o anche una
sciocca narrazione per sempliciotti e creduloni. Questo è il lato luminoso
del mito.
Esiste, però, anche un lato oscuro. Un racconto di magia e incantesimi, di
ingannevoli illusioni e arti tenebrose. Fin da quando furono narrati per la
prima volta i racconti di Guerrin Meschino e Antoine de La Sale, la Sibilla
Appenninica si è presentata come uno spirito maligno, in cerca di anime
delle quali impossessarsi e capace di trasformare se stessa in disgustosi
serpenti.
Questo lato oscuro della Sibilla era ben conosciuto in tutta Europa, come
attestato dalle numerose citazioni rinvenibili in tutti i secoli e presso tutti i
paesi.
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Fig. 9 - Una visione sinistra e tenebrosa del panorama dalla cima del Monte Sibilla nell'attimo incantato
che precede l'alba
Per comprendere la ragione di questa fosca nomea, dobbiamo ritornare alle
radici della cultura magica rinascimentale, e in particolare a Giovanni
Tritemio, un abate benedettino di origine tedesca vissuto a cavallo tra il
quindicesimo e il sedicesimo secolo, divenuto uno dei più importanti
esponenti di una lunga tradizione connessa allo studio dell'occulto e del
mistero.
Nella sua opera Liber octo questionum ad Maximilianum Cesarem, una
serie di risposte a domande postegli dall'Imperatore Massimiliano I,
pubblicata nel 1540, Tritemio dedica la sesta risposta (Questio sexta) al
potere della magia nera (De potestate maleficarum), definendo una
classificazione dei dèmoni sulla base dei luoghi presso i quali essi si
trovarono a cadere originariamente dal cielo al principio del mondo.
Una classe specifica è dedicata al 'genus subterraneum', e cioè a quegli
spiriti maligni che, dal cielo, sprofondarono fino alle regioni sotterranee
della terra:
10
«Il quinto genere è chiamato sotterraneo: coloro che dimorano nelle
spelonche e caverne e cavità delle remote montagne. E questi dèmoni sono
estremamente pericolosi: si impadroniscono specialmente di coloro che
scavano gallerie e cercano metalli, e di chi è alla ricerca di tesori nascosti
sotto la terra: sono particolarmente desiderosi di nuocere al genere umano.
Essi sono inoltre in grado di suscitare venti e fiamme dalle fenditure della
terra. E scuotono le fondamenta degli edifici».
[Nel testo originale latino: «Quintum genus subterraneum dicitur: quod in
speluncis et cavernis montiumque remotis concavitatibus demorant. Et isti
daemones affectione sunt pessimi: eosque invadunt maxime qui puteos &
metalla fodunt, & qui thesauros in terra latentes querunt: in pernicie
humani generis paratissimi. Hiatus efficiunt terrae ventosque flaminomos
suscitant: & fundamenta edificiorum concutiunt»].
Ma cosa ha a che fare, tutto questo, con la Sibilla Appenninica? Andiamo a
leggere il passo successivo, andando a trovare nuove interessanti
corrispondenze con la nostra leggenda:
«Talvolta, di notte, escono in moltitudini dalle montagne e inscenano danze
meravigliose e spettacolari nei campi, per poi subitamente sparire al
comando di uno di loro, di cui temono l'imperio, ritornando così nei loro
nascondigli sotterranei. Qualche volta è anche possibile udire, tra le loro
schiere, il suono tintinnante di campanelli».
[Nel testo originale latino: «Noctibus aliquu de montibus turmatim egressi
mirandas stupendasue in campis ducunt choreas: & quali uni ducis
metuentes imperium, subito evanescunt ad signum: & ad sua diverticula
revertuntur. Interdum nolarum inter eos auditur sonit»].
Tutto ciò non può non riportarci alla mente le fate danzanti con piedi
caprini che scendevano di notte dal Monte Vettore, secondo la nota
tradizione locale viva nell'area dei Monti Sibillini. Ma c'è ancora qualcosa
di più:
«Essi non chiedono di meglio che suscitare terrore e stupefazione nel cuore
degli uomini. È noto inoltre che in alcuni casi essi abbiano condotto uomini
tra i più semplici fino ai segreti recessi delle loro montagne, mostrando loro
11
meravigliose illusioni: come se ivi fossero da trovarsi le aule degli uomini
beati».
[Nel testo originale latino: «Nihil magis querunt quam metum hominum &
admirationem. Unde habemus compertum quod simpliciores hominum
quosdam nonnumquam in sua latibula montium duxerunt stupenda
mirantibus ostendentes spectacula: et quasi beatorum ibi sint mansiones
amicos se virorum mentiuntur.»]
Si tratta di un'interessantissima corrispondenza con la leggenda della
Sibilla Appenninica: il magico regno sotterraneo, ricolmo di palazzi e
tesori, nella gioia perfetta di una vita eterna da viversi nell'amore di
affascinanti damigelle. Ma è solo un'illusione malefica, un trucco
ingannevole giocato agli uomini da un dèmone del sottosuolo.
Fig. 10 - Il Liber octo questionum ad Maximilianum Cesarem di Johannes Trithemius, con la sezione
dedicata ai demoni sotterranei
Potrebbe trattarsi di un'infondata, equivoca interpretazione del mito della
Sibilla Appenninica? La risposta è che non c'è nulla di infondato. Perché
siamo in grado di reperire un'ulteriore menzione, riferita a quanto qui sopra
illustrato, all'interno di un altro volume scritto nel secolo successivo.
12
E questo libro, il cui autore è Martino Delrio, un gesuita fiammingo,
arruolerà esplicitamente la Sibilla Appenninica nella quinta classe di
Tritemio: nulla di più e nulla di meno di un accreditato 'demone
sotterraneo'.
5. Martino Delrio e le illusioni «de Specu Nursino»
Continuiamo il nostro viaggio attraverso il lato oscuro della leggenda della
Sibilla Appenninica: il cuore tenebroso di una tradizione che, per secoli, ha
esercitato una incredibile capacità di attrazione su maghi e negromanti di
tutta Europa, fino ad una remota regione montuosa situata al centro
dell'Italia, i Monti Sibillini.
In un precedente post, abbiamo visto come nel 1540 Giovanni Tritemio
avesse introdotto una classificazione degli spiriti maligni, tra i quali egli
aveva definito uno specifico sottogruppo di malvagi 'demoni del
sottosuolo'.
Che relazione poteva avere tutto questo con la Sibilla Appenninica? Un
legame, in effetti, molto stretto. Sarà infatti Martino Delrio, un sacerdote
fiammingo vissuto nella seconda metà del sedicesimo secolo, membro della
Compagnia di Gesù, che posizionerà la nostra Sibilla direttamente
all'interno della quinta classe di Tritemio dedicata ai demoni sotterranei.
Delrio aveva compilato un ponderoso trattato sulla magia nera, il
Disquisitionum magicarum libri sex, pubblicato nel 1599. Nel Libro II, alla
Questione 27 relativa alle maligne apparizioni, egli ripercorre in dettaglio
la classificazione definita da Tritemio. Giunto alla quinta classe, Delrio
riporta il passo di Tritemio nel quale si parla della sinistra abitudine dei
demoni sotterranei di adescare gli uomini «fino ai segreti recessi delle loro
montagne, mostrando loro meravigliose illusioni». Ed ecco cosa scrive
subito dopo:
«È proprio da questi inganni che sono si sono originate le favole a
proposito del monte di Venere, di cui si fa menzione nella lettera di Papa
Pio II e nella descrizione della Grotta della Sibilla nella regione di Ancona
13
riportata da Antoine de la Sale; e anche della montagna delle femmine
Bianche vicino Kempenfent, e del 'monte delle Donne elfiche' nel
Brabante; e in Italia a proposito della Caverna di Norcia e della Sibilla che
lì risiederebbe, della quale fece menzione Pio II nell'epistola 46».
[Nel testo originale latino: «Ex huiusmodi ludibriis natae sunt fabulae de
monte Veneris, cuius mentio apud Pium II in epistola et Speluncae Sibyllae
quam in Ancona decsribit Antonius de la Sale; et montis Albarum
foeminarum apud Kempenfent, et in Branbantia 'den Alvinnen berch'; et in
Italia de Specu Nursino et de Sibylla illic degente, cuius meminit D. Pius II
[in] epistola 46...»]
Fig. 11 - Le creste dei Monti Sibillini avvolte in una luce sospesa e soprannaturale
E così, la Sibilla Appenninica - la stessa entità descritta da Antoine de la
Sale nel suo Paradiso della Regina Sibilla, la cui caverna era stata
menzionata anche in una lettera quattrocentesca scritta da Papa Pio II (la
vedremo in un prossimo post) - era stata ufficialmente arruolata tra i ranghi
ingloriosi di un esercito di malvagi dèmoni: uno spirito maligno
dell'oltretomba, associato alle favolose 'montagne della dèa Venere', i monti
14
dell'amore incantato, in merito ai quali venivano raccontate molte storie
soprattutto nei Paesi del nord Europa (e uno di questi racconti era quello di
Tannhäuser).
Con Martino Delrio, il lato oscuro della Sibilla Appenninica, già resosi
apparente almeno due secoli prima, diviene manifesto nell'ambito del
dibattito culturale in corso sulla magia tra i secoli sedicesimo e
diciassettesimo.
Tutti, ma proprio tutti - compresi certi equivoci personaggi interessati alle
arti magiche, e la stessa Chiesa - sono ora informati del fatto che tra le
montagne di Norcia si trova una caverna, nella quale abiterebbe un qualche
genere di essere soprannaturale: un 'punto caldo', dove una fessurazione nel
nostro mondo materiale rende possibile il passaggio verso un mondo
spirituale sinistro e terrifico.
Fig. 12 - Le Disquisitionum magicarum libri sex di Martino Delrio, con il brano che menziona la Sibilla
Appenninica
15
E Martino Delrio non si trattiene dal fornirci ulteriori informazioni su
questo tema. Egli cita da un altro autore, il cui nome è 'Crespeto'. E questo
Crespeto, come riferitoci da Delrio, afferma che qualcuno avrebbe avuto
l'incredibile, straordinaria possibilità di incontrare la Sibilla: un incontro
diretto e personale con la Sibilla Appenninica di Norcia. Questa persona
avrebbe addirittura potuto contemplare le sembianze della demoniaca
Sibilla.
Chi era Crespeto? Che cosa aveva scritto esattamente? E chi era quell'uomo
mortale che aveva potuto incontrare la leggendaria Sibilla Appenninica?
Le risposte a queste stupefacenti domande saranno presentate nel prossimo
paragrafo.
6. Crespeto e le sembianze della Sibilla
Stiamo per fare ingresso negli aspetti più oscuri della leggenda della Sibilla
Appenninica. Ci stiamo approssimando sempre di più al cuore tenebroso
del mito, così come recepito lungo centinaia e centinaia di anni in un
contesto poco raccomandabile composto da sedicenti maghi e incantatori,
alla ricerca di un sacrilego punto di accesso al potere personale, alla
ricchezza e al successo, abbagliati dalle seduzioni del male e in cerca di un
aiuto impossibile, da reperirsi, come in un incubo, tra i picchi remoti dei
Monti Sibillini.
«Sappiamo attraverso la testimonianza di alcuni famosi Incantatori i quali
furono catturati a Mantova nell'anno 1586, nel mese di Novembre, con i
loro libri magici che essi stavano portando alla Sibilla per consacrarli per i
fini che abbiamo in precedenza illustrato...».
È questo l'incredibile principio di un brano mai pubblicato in precedenza,
scritto da Pierre Crespet, conosciuto anche come 'Crespetus', un monaco
celestiniano di origine francese (1534 - 1594) che aveva viaggiato
attraverso l'Italia per visitare i monasteri appartenenti alla Congregazione
dei Celestini (incluso forse quello situato a Norcia). Nel suo trattato De la
hayne de Satan et malins esprist contro l'homme, lungo ben 900 pagine e
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pubblicato a Parigi nel 1590, egli ci parla estesamente della Sibilla - e non
di una Sibilla qualsiasi, ma proprio della Sibilla Appenninica di Norcia.
Crespeto ci presenta una narrazione alquanto sinistra: un processo penale
tenuto a Parigi contro un sedicente incantatore, che si era recato in Italia al
Monte della Sibilla: un documento unico, in grado di fornire allo storico
una significativa messe di informazioni sull'importanza della Grotta della
Sibilla a quell'epoca.
Fig. 13 - Un'elaborazione artistica del Monte Sibilla circondato da oscuri vapori (immagine composita
creata da Michele Sanvico)
«Non ometterò di riferire a proposito di un significativo discorso tratto da
un processo», racconta Crespetus, «che fu fatto contro un famoso mago
chiamato Domenico Mirabello, italiano nativo di Arpino, e contro la sua
matrigna Marguerite Garnier, i quali furono entrambi arrestati a Mantova
con i loro libri di magia, che essi stavano portando alle Sibille, divinità dei
maghi, per essere consacrati, al fine di potenziarli come ho già spiegato. Il
detto Mirabello depose innanzi ai giudici affermando che un altro suo
compagno chiamato lo Scotto, che aveva per lungo tempo agito in Francia
come famoso Negromante, e aveva posto in scena delle dimostrazioni della
sua arte davanti a Principi & Signori che erano stati alla sua scuola, e nulla
di buono ne avevano appreso, che egli era stato a consultare la famosa
Sibilla che i viaggiatori in Italia affermavano trovarsi in una grotta o cava
in prossimità della città di Norcia in Italia».
[Nel testo originale francese (Livre I, Discours 6): «Je ne veux obmettre un
notable discours tiré d'un procés qui a esté fait d'un insigne magicien
17
nommé Dominique Mirabille Italien natif d'Arpine & à sa belle mere
Marguerite Garnier, qui furent apprehendez à Mante avec leur livres de
magie qu'ils portoient aux Sibylles deesses des magiciens pour etre
consacrez, à fin d'avoir plus d'effet comme j'ay dit ailleurs, ledit Mirabille
deposa devant les juges qu'un autre sien compagnon nommé l'Escot qui a
long temps rodéen France fameux Necromantie, & a joué des tours de son
mestier devant les Princes & Seigneurs qui ont esté à son escole & n'y ont
rien appris de bon, qu'il avoit esté consulter la Sibylle fameuse que les
voyageurs d'Italie asseurent etre en une grotte ou carriere proche de la ville
de Nurse en Italie la quelle il dit estre de basse stature assise en une petite
chaise les cheveux pendans jusque à terre, laquelle luy donna un livre
consacré, & luy meit dans un agneau qu'il avoit au doigt un esprit, par le
moyen desquels livre & esprit il eust la puissance d'aller en tous lieux où il
souhaittoit estre transporté moyenant que le vent ne fust contraire»].
Fig. 14 - Pierre Crespet (Crespetus), De la hayne de Satan et malins esprist contro l'homme, nel quale è
contenuto un riferimento alla Sibilla Appenninica
L'Italia, Norcia, la Sibilla, i libri magici, gli incantatori: tutto questo è stato
oggetto di dibattito innanzi ad un giudice francese, a Parigi, nel 1586,
regnante il Re Enrico III. Il mito leggendario della Sibilla Appenninica era
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evidentemente considerato come un argomento estremamente sensibile,
quantomeno da un punto di vista religioso, e per nulla da derubricarsi come
una mera, vuota favola.
Continuiamo con la nostra lettura tratta da Crespeto. I Giudici stanno
interrogando il mago di origine italiana. Certamente, egli è sottoposto a
terribili torture. La Corte ha intenzione di esaminarlo approfonditamente
per verificare ogni dettaglio di questa sinistra vicenda. Ed ecco dunque le
parole di Domenico Mirabelli, l'uomo che afferma di avere veduto la
Sibilla:
«... Egli [Mirabelli] disse che la Sibilla era di bassa statura, seduta su di una
piccola sedia, i lunghi capelli sciolti fino a terra».
La Sibilla. Così come era apparsa ad un testimone torturato, forse
agonizzante; la Sibilla, seduta nella sua caverna posta tra le cime
dell'Appennino italiano, nell'anno 1586. Sono queste le sole parole,
pervenuteci attraverso secoli di saggi e opere letterarie, che descrivano le
sembianze osservate della Sibilla Appenninica.
Ma perché maghi e incantatori si mostravano così bramosi di recarsi fino ai
lontani Monti Sibillini, in Italia, per incontrare la Sibilla? Crespeto ci
fornisce la risposta, grazie al fatto che la lista dei desideri di quei
negromanti era a portata di mano, a disposizione dei giudici, vergata in
modo manifesto su di un foglio di carta destinato ad essere consegnato alla
stessa Sibilla:
«Nella richiesta che venne loro trovata indosso, da presentarsi alle Sibille
che presiedevano alla Negromanzia e alla Magia, erano contenute queste
cose, che essi supplicavano le Sibille di consacrare i loro libri in modo tale
che gli spiriti maligni facessero tutto ciò che fosse loro ingiunto nel corso
dell'evocazione senza loro nuocere, apparendo in piacevole forma di uomo
[...] e che fossero pronti a venire di notte come di giorno, quando fossero
stati evocati. Le supplicavano inoltre di apporre ai loro libri magici, che
erano in numero di tre, il proprio marchio, affinché essi risultassero più
potenti al fine di poter richiamare i detti spiriti, e che essi non fossero mai
arrestati dalla Giustizia, e anche che risultassero favoriti in tutte le loro
imprese, amati sommamente da Re, Principi e grandi Signori, che non
19
perdessero mai ai giochi d'azzardo, e potessero anche godere della fortuna e
guadagnare quanto volessero».
[Nel testo originale francese (Livre I, Discours 15): «Toutesfois on sait par
la deposition de quelques fameux Magiciens qui furent saisis à Mante l'an
1586, au mois de Novembre, avec leurs livres qu'ils portoient à la Sibylle
pour consacrer aux fins que nous dirons ailleurs, que les cercles se font,
afin que le diable n'ait entree ou force sur ceux qui l'invoquent & appellent
à leur secours, & sont munis de croix & autres expiations que le diable
redoubte. Car en la requeste qu'on leur trouva pour presenter au Sibylles
qui president sur la Necromance, & Magie, ces choses estoient contenues,
qu'ils supplioient les Sibylles de consacrer leur livres à tels effects que les
mauvais esprits fissent tout ce que leur seroit enjoint par leur coniuration
sans faire aucun mal, apparoissans en forme de bel homme, & qu'on ne fust
contrainst de faire aucun cercle n'y en leurs maisons, ny aux champs, &
qu'ils fussent prompts à venir de nuist & de jour, quand ils seroient
evoquez. Les supplioient aussi d'apposer à leurs dits livres de Magie, qui
estoient trois en nombre, leur caractere, afin qu'ils eussent plus de
puissance pour appeller lesdits esprits, & qu'ils ne fussent repris de Iustice,
ains qu'ils fussent fortunez en toutes leurs entreprises, bien aymez des Roys
Princes, & grands Seigneurs, ne perdissent jamais aux jeux, ains fussent
chanceux & gaignassent quand ils voudroient, que leurs ennemis ne
pourtassent nuysance».]
Secondo il testimone, i desideri di Domenico Mirabelli furono
effettivamente esauditi: «la Sibilla gli diede un libro consacrato, & mise in
un anello che egli aveva al dito uno spirito, per mezzo dei quali libro e
spirito egli avrebbe avuto il potere di recarsi in ogni luogo egli avesse
desiderato di essere trasportato, a condizione che il vento non gli fosse
contrario».
Dunque, ecco perché il Monte della Sibilla raggiunse una fama di tale
portata attraverso l'Europa intera. Il racconto fiabesco di una Sibilla
magica, una veggente, come nel romanzo Guerrin Meschino, ma anche un
potente dèmone come in questo fosco resoconto tratto da un processo
penale, era ampiamente noto ed in grado di attrarre ogni sorta di viaggiatori
fino agli elevati picchi del Massiccio dei Monti Sibillini.
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Era capace, la Sibilla, di donare fortuna ai propri visitatori? Non sempre, e
di certo non nel presente caso. Spesso, il destino personale del supplice non
si conformava alle aspettative che il medesimo desiderava, come in effetti
accadde a Domenico Mirabelli da Arpino e alla sua matrigna Marguerite
Garnier:
«Essi chiesero anche alla Sibilla che gli spiriti non mentissero loro; ma essi
furono comunque condannati, gettati nel rogo & bruciati a Parigi assieme ai
loro libri, affinché si sappia che il demonio è il vero ingannatore e
seduttore, e che tutti coloro che si associano ad esso sono Idolatri, e
saranno puniti».
[Nel testo originale francese (Livre I, Discours 15): «[...] à la charge aussi
que les mauvais esprits ne seroient point menteurs, mais ils furent
condamnez, au feu & bruslez à Paris avec leurs livres, afin qu'on sache que
le diable est vrai trompeur & seducter, & tous ceux qui luy adherent sont
Idoatres & reprouvez»].
Quanti di questi sedicenti maghi si sono recati fino al Monte Sibilla, nel
corso di così tanti secoli, per implorare gli stessi, proibiti servigi? Nel
prossimo post, analizzeremo più approfonditamente le parole di Crespeto,
rilevando alcune significative connessioni con il mito del Lago di Pilato e
altri racconti leggendari.
7. La belva dalle profondità della terra
Nel corso del nostro lungo viaggio attraverso il lato oscuro della Sibilla
Appenninica, ci siamo imbattuti nelle opere semidimenticate di Giovanni
Tritemio (1540), Pierre Crespet (1590) e Martino Delrio (1599): secondo
questi autori, la Sibilla era una sorta di dèmone sotterraneo, uno spirito
malvagio e infido in cerca di anime da catturare e intento ad adescare gli
uomini all'interno di sconosciuti recessi sotterranei, facendo uso di
affascinanti illusioni.
Cosa possiamo dunque aggiungere in merito a questo 'demone' così
profondamente letterario?
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In primo luogo, possiamo rammentare quell'ulteriore passaggio tratto da
Crespeto, nel quale egli afferma che «si dice anche che le dette Sibille
prendano piacere a custodire pecore ed agnelli, e a conversare con le
greggi, e questa è la ragione per la quale i pastori ne avrebbero maggiore
conoscenza rispetto ad altri»: una conferma del carattere pastorale della
tradizione sibillina, probabilmente originatasi già in età preromana nel
contesto di un sapere tradizionale precristiano.
[Nel testo originale di Crespeto: «Il dist aussi que lesdictes Sibylles
prennent plaisir à garder les brebis & agneaux, & à converser aux
troupeaux, qui est la raison pourquoi les bergers en ont plustot
cognoissance que les autres, si est-ce que le berger qui accusa ledictes
magiciens apprehendé avec eux fut estouffé par le diable en prison & trainé
avec eux au supplice sur une claye tout mort pour servir de spectacle ou on
devroit mettre tous ceux qui gastent & perdent les hommes, les bestes, &
les champs par leurs charmes & magie»].
In secondo luogo, Crespeto ci fornisce un'ulteriore conferma a proposito di
un fatto di particolare importanza, già a noi noto tramite brani reperiti in
altri autori: l'ingresso della caverna era sorvegliato, proprio per impedire ai
negromanti di penetrare al suo interno. Ecco cosa scrive Pierre Crespet nel
suo volume: «egli [Domenico Mirabelli] disse inoltre che il Papa fa
attentamente sorvegliare la detta caverna dove si trova la citata Sibilla, al
fine di impedire ogni comunicazione con essa, e dunque non ci sono che
quei maghi in grado di rendersi invisibili che possano entrare in contatto
con essa». Si tratta di una conferma ufficiale, riferitaci da un membro della
Chiesa, che la Chiesa stessa temeva quella lunga ed apparentemente
ininterrotta teoria di negromanti che tentavano di raggiungere la caverna
sulla cima. E abbiamo visto - a giudicare dai brani che abbiamo reperito -
che avevano buone ragioni per albergare tali timori.
[Nel testo originale di Crespeto: «Dit davantage que le Pape fait
soigneusement garder la ditte carriere est la ditte Sibylle, pour
empescher la communication avec elle, & n'y a que ceux qui sont
magiciens, & y peuvent invisiblement entrer qui la puissent aborder, à
cause que quand on communique avec elle, soyt magicien ou autre, les
tempestes & foudres s'esmouvent horriblement par tout le païs, & afin
qu'on ne pense ceci estre fabuleux»].
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Ma, oltre a quanto sopra menzionato, la terza e più importante
considerazione è che «quando un negromante o chiunque altro entra in
contatto con la Sibilla», afferma ancora Crespeto, «tempeste e fulmini si
sollevano orribilmente per tutta la contrada». Perché questa tipologia di
"demone sotterraneo", come aggiunge Tritemio, è «in grado di suscitare
dalle fenditure della terra venti e fiamme. E scuotono le fondamenta degli
edifici».
Fig. 15 - I Monti Sibillini, in Italia, una regione frequentemente scossa da devastanti terremoti
Essi possono scuotere gli edifici dal cuore della terra.
Ora è dunque chiara la connessione diretta, o più esattamente la perfetta
sovrapposizione, tra i due leggendari racconti, quello relativo alla Sibilla e
la tradizione concernente il Lago di Pilato, secondo la quale tempeste
devastanti si sollevano quando i libri magici sono consacrati presso le sue
rive, come narrato da Antoine de La Sale e Arnold di Harff: la caverna o il
lago, non c'è differenza tra i due luoghi, in quanto in entrambi i casi le
acque, i cieli e la terra sembrano partecipare della medesima, violentissima
convulsione.
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E questa terribile convulsione, questa furiosa agitazione, che «scuote le
fondamenta degli edifici» con orribili contorcimenti del corpo titanico della
terra - una punizione per gli uomini quando sono messi in atto empi
tentativi di entrare in comunicazione con entità maligne per conseguire
poteri proibiti - queste convulsioni hanno un nome.
Quel nome è terremoto.
In questo scenario, tutto ciò sembra confermare ulteriormente il fatto che il
mito della Sibilla Appenninica non è niente altro che il terrore che vive nel
cuore degli uomini per l'abominevole, improvvisa distruzione che risale
talvolta dalle profondità degli abissi: dalla misteriosa, insondabile tenebra
che giace al di sotto degli Appennini.
Michele Sanvico
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