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MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
LA GROTTA DELLA SIBILLA: CIÒ CHE SAPPIAMO1
Il mistero del Monte Sibilla, in Italia, è un enigma antico e ancora
inspiegato. La montagna innalza il proprio picco tra l'Umbria e le Marche.
La grotta sulla cima è stata oggetto di visite, per secoli, da parte di uomini
provenienti da ogni parte d'Europa, in cerca del leggendario reame
sotterraneo della Sibilla degli Appennini. Una ricerca che non si è ancora
conclusa.
Nel corso dei secoli, la grotta sulla cima del Monte Sibilla è stata al centro
di molteplici sforzi nel tentativo di penetrare all'interno dei suoi segreti
meandri. Ma entrare non è mai stata una questione di facile soluzione, in
quanto l'accesso alla grotta sarebbe stato sigillato per ordine papale. Come
riportato da vari scrittori del passato, la città di Norcia fu costretta a serrare
l'ingresso alla grotta affinché gli incantatori non potessero guadagnare
l'accesso alle sale più interne per mettere «in opra l'esecranda dottrina». Nel
Paradiso della Regina Sibilla, Antoine de la Sale racconta che nel
quattordicesimo secolo Papa Urbano ordinò che il sentiero che conduce alla
corona del Monte Sibilla fosse distrutto, facendo anche «colmare l'entrata»,
in quanto negromanti provenienti da vari luoghi d'Europa erano soliti
recarsi presso la vetta della Sibilla per consacrare i propri libri magici alle
potenze delle tenebre.
Questo articolo ripercorre una parte delle informazioni disponibili in merito
a quella grotta così sinistra, informazioni tratte da varie fonti differenti. Un
viaggio nel mistero che continua ancora, nel nostro tempo presente.
1 Pubblicato tra giugno 2016 e settembre 2017
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_MountSibyl.asp and
http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_SibylsCave.asp)
1
1. Una vivida descrizione del Monte Sibilla: immagini di Fernand Desonay
Il filologo belga Fernand Desonay era così affascinato dalla leggenda della
Sibilla Appenninica da recarsi più volte sul Monte Sibilla. Dovremmo
lasciarci guidare dalle appassionate parole da lui scritte a proposito delle
sue visite, perché ci mostrano quanto intensamente possa operare la magia
dell'antico racconto incentrato su questa famosissima montagna:
«Il 26 agosto 1929 ho potuto contemplare, dall'alto del dorso di un piccolo
asino bruno, i giochi della nebbia sui versanti dell'Appennino... [...]
L'aspetto di queste montagne vi stringe il cuore; il silenzio tutt'attorno, si
direbbe che vi paralizzi. Eccolo dunque il Vettore, con il lago di Pilato! È
proprio lassù che sono sorti i culti antichi e le leggende!... Stiamo per
partire alla scoperta del mistero. [...] Porto con me nella tasca il testo di
Antoine de La Sale; perché intendo controllare tutte le indicazioni
topografiche contenute nel manoscritto di Chantilly. Dopo molti sforzi,
siamo infine arrivati ai piedi della “corona”. La Sale dice che si tratta di
una parete di roccia alta circa cinque metri, “tagliata nella montagna lungo
tutta la circonferenza”. È esatto. Vista da lontano, questa corona può dare
l'impressione di una fortezza, o di un tempio. Di certo, tutto questo è molto
pittoresco; e quasi non si può credere che possa trattarsi di una formazione
naturale; una tale massa che schiaccia la montagna in forma di cupola deve
avere colpito molto l'immaginazione.»
[Nel testo originale francese: «Le 26 août 1929, je pouvais contempler, du
haut de l'échine d'un petit âne brun, les jeux de la 'nebbia' sur le pentes de
l'Apennin... [...] L'aspect de ces montagnes vous serre le coeur; le silence
d'alentour, on dirait qu'il vous paralyse. Voilà donc le Vettore, avec le lac de
Pilate! C'est là-haut qu'ont surgi les cultes antiques et les légendes!... Nous
partirons à la découverte du mystère. [...] J'ai dans ma poche le texte
d'Antoine de La Sale; car je veux contrôler toutes les indications
topographiques du manuscrit de Chantilly. Après de longs efforts, nous
sommes arrivés au pied de la “couronne”. La Sale dit qu'il s'agit d'une
roche haute de cinq mètres environ, “taillée dans la montagne sur tout le
pourtour”. C'est exact. Vue de loin, cette couronne peut donner l'impression
d'une forteresse, voire d'un temple. Certes, tout ceci est fort caractéristique;
et l'on ne peut croire qu'il s'agisse d'une formation naturelle: pareille masse
qui écrase la montagne en forme de coupole a dû frapper l'imagination.»]
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Fig. 1 - Monte Sibilla, la montagna che innalza la propria vetta coronata in Italia, tra le regioni
dell'Umbria e delle Marche
Fernand Desonay ha nutrito un sogno speciale a proposito del Monte
Sibilla. Egli ci ha lasciato parole preziose e di perfetta bellezza a proposito
del suo sogno, parole che sono solito citare nel corso delle mie
presentazioni sulla leggenda della Sibilla. Recentemente, mi è capitato di
trovare finalmente le sue parole nel testo francese originale, contenute
nell'articolo Le fonti italiane della leggenda di Tannhäuser. Voglio ora
condividerle con tutti gli appassionati di questa antica leggenda:
«Je songe à la Sibylle. Mon regard va, va... Il escalade les rampes des
montagnes, franchit les précipices... Sous la couronne de rochers, voici la
déesse, - c'est elle! - inspiratrice nostalgique du plus beau des songes
humains...»
«Io sogno la Sibilla. Il mio sguardo va, sale ancora... Si inerpica lungo le
coste dei monti, scavalca i dirupi... E, sotto la corona di roccia, ecco infine
la divinità - è lei! - l'ispiratrice perduta del più bello dei sogni degli
uomini...».
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Fig. 2 - Monte Sibilla e le sognanti parole scritte da Fernand Desonay
2. La grotta al tempo dei Romani
Oggi nessuno può essere in grado di dire quale aspetto potesse avere la
caverna della Sibilla nell'antichità.
Di certo, sulla cima del Monte Sibilla c'era una grotta, che forniva un
accesso alle viscere della montagna attraverso le sue fauci oscure. Si
trattava forse di uno speciale luogo di culto dedicato a qualche antica
divinità-madre? Alcuni pensano che sul posto potesse sorgere un tempio
rupestre, con colonne lavorate e iscrizioni legate al nome della dea Cibele,
ma nessuna evidenza è mai stata trovata che potesse confermare queste
ipotesi.
Cosa c'era sul Monte della Sibilla in età romana? Dopo avere risalito il
ripidio pendio montano, il visitatore avrebbe raggiunto il picco della
Sibilla, un sito cultuale totalmente isolato posto ad un'altezza di più di
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duemila metri. Nulla avrebbe accompagnato il credente se non il vento
gelido e le stelle lontane nel cielo. Lassù la caverna buia, tra i pilastri e gli
architravi intagliati nella roccia, avrebbe atteso che i visitatori si
spingessero al suo interno. Nella grotta, nessuno oggi può dire cosa
attendesse quegli uomini: un altare, un fuoco rituale, un oracolo, delle
profezie. Forse una Sibilla, come quella di Delfi, in Grecia: «Sibilla»,
scrive Plutarco nell'opera 'De Pythiae Oraculis', «che pronuncia con bocca
folle parole senza riso».
3. Una visita alla Sibilla risalente al 1420
Nel 1420, un gentiluomo francese, Antoine de La Sale, saliva al Monte
della Sibilla. Perché quest'uomo, venuto da una nazione così lontana, si era
spinto fino ad ascendere un picco remoto, nascosto nel mezzo degli
Appennini? Seicento anni fa, quella montagna aveva già conquistato la sua
strana nomea: de La Sale aveva infatti udito il racconto di quella vetta, la
quale avrebbe nascosto la residenza segreta di una profetessa e
sacerdotessa, la Sibilla Appenninica.
Sulla cima si apriva l'imbocco di una grotta: si trattava della porta d'accesso
ad un regno sotterraneo, sepolto al di sotto della roccia del monte. Un
labirinto di cunicoli e aule tenebrose avrebbe dato accesso ad un
meraviglioso regno ignoto: fantastici palazzi e bellissime damigelle e
gemme preziose sarebbero stati nascosti nelle viscere della montagna.
Egli aveva udito tutto ciò. E aveva deciso di recarsi lassù, per indagare di
persona quei luoghi. E, effettivamente, riuscì ad entrare in quella grotta.
Dal piccolo villaggio di Montemonaco parte un ben noto sentiero verso il
Monte Sibilla. Si tratta dello stesso percorso scelto da Antoine de La Sale
nel 1420, con il suo seguito di villici e di cavalli, quando egli decise di
ascendere la montagna per visitare la magica grotta. Una tortuosa strada si
snoda lungo il fianco del Monte Sibilla, con curve e controcurve, fino al
'Rifugio Sibilla', un luogo di sosta per escursionisti e mountain biker. Da lì
in poi, il sentiero si inoltra lungo lo scosceso pendio erboso, fino a
raggiungere le alte creste che conducono direttamente al picco della Sibilla.
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Nel percorrere la dorsale rocciosa, osservando i precipizi senza fondo che
si aprono su entrambi i lati del sentiero, tornano alla mente le parole scritte
da Antoine de La Sale molti secoli fa: «ne fault point qu’il face vent»,
occorre che non ci sia vento, affinché non si corra il rischio di venire gettati
nell'abisso infinito, che si apre di fronte ai nostri occhi come paurose fauci
spalancate.
Antoine de la Sale ci ha lasciato un disegno di grandissimo interesse: i
Monti Sibillini sono ritratti con tutti i loro elementi più affascinanti, gli
stessi che hanno attirato viaggiatori da tutta Europa per secoli.
Fig. 3 - Il Monte Sibilla e i Monti Sibillini illustrati nel disegno incluso nell'edizione a stampa del 1572
di La Salade di Antoine de la Sale
Sul lato sinistro dell'immagine, si erge una grande montagna con un lago
sulla cima: è «Il Lago della Sibilla» («Le Lac de la Sibille» nella didascalia
francese), noto oggi come il Lago di Pilato. Sulla destra, il Monte Sibilla
(«Le mont de la Sibille»), con la sua imponente corona («la couronne du
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mont») e, proprio sulla vetta, un'oscura apertura: è la grotta della Sibilla, o
«l'ingresso della caverna» («l'entrée de la cave»). Al centro, la vallata dove
il piccolo villaggio di Foce («Fogia») custodisce il sentiero che conduce al
lago.
È questa la mappa disegnata da Antoine de La Sale, il gentiluomo francese
che si recò al Monte Sibilla il 18 maggio 1420, raccontando la propria
escursione nell'opera Le Paradis de la Reine Sibylle. Questa versione della
mappa è contenuta nell'edizione a stampa del Paradis, pubblicata a Parigi
nel 1527.
La mappa costituisce un ulteriore significativo esempio della grandissima
fama della quale hanno goduto i Monti Sibillini nei secoli passati in tutti i
Paesi d'Europa. Il lago sinistro con i suoi demoni, la grotta oscura ritenuta
il regno di una Sibilla erano incastonati in un unico, irripetibile scenario
costituito da un panorama pittoresco e sublime e da tradizioni ricche di
affascinante emozione: una combinazione che avrebbe spinto schiere di
nobili, cavalieri, avventurieri e cacciatori di tesori fino a questa remota
contrada di montagne e precipizi.
Fig. 4 - L'esplorazione della Grotta della Sibilla compiuta da Antoine de La Sale nel 1420 come
raffigurata in un manoscritto conservato a Chantilly (Francia)
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Dopo essere giunto sulla cima, Antoine de la Sale sarebbe effettivamente
entrato in quella caverna e avrebbe scritto un resoconto di quanto aveva
potuto osservare nella parte più esterna di quelle aule sotterranee. Alla luce
della sua torcia, Antoine de La Sale – egli stesso uno straniero, un francese
– avrebbe notato una serie di «iscrizioni incise»: si trattava di nomi di
stranieri, «Hans Wan Banborg», «Thomin Le Pons» e altri ancora.
Perché uomini provenienti da nazioni remote si erano recati in Italia fino a
quella montagna perduta e alla sua grotta? Quale segreto era custodito al di
sotto dell'enorme massa di roccia che formava quel monte?
Che cosa stavano cercando? E perché la gente continua a recarsi, ancora
oggi, sul Monte della Sibilla?
Quella montagna nasconde un segreto. E l'enigma è ancora lì, ai nostri
giorni: nello stesso identico punto, come molti secoli fa.
4. La caverna sigillata
Attraverso i secoli, la grotta sulla cima del Monte Sibilla è stata oggetto di
molteplici tentativi tesi a penetrare nei suoi recessi più segreti.
Per molti secoli la sua fama era corsa per l'Europa, tanto che moltitudini di
viaggiatori indesiderati erano solite recarsi dalla Germania e da altri Paesi
nordeuropei in questi luoghi proprio per visitare la caverna.
Non si trattava di semplici turisti. Essi erano anche maghi ed esoteristi, i
quali si spingevano fino a queste montagne per consacrare i propri libri
magici e per mettere «in opra l'esecranda dottrina», come testimoniato nel
1650 da Padre Fortunato Ciucci, un erudito locale.
La città di Norcia, che all'epoca controllava il territorio dove si trovava la
grotta, «fu forzata […] chiudere l’entrata alla falsa Sibilla come oggidì si
trova». Tutto ciò accadeva nel diciassettesimo secolo, ma i tentativi di
penetrare nella caverna ed incontrare la favolosa Sibilla non terminarono
certo con il volgere di quel secolo.
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Un racconto simile viene proposto anche da Antoine de la Sale, secondo cui
un pontefice del quattordicesimo secolo aveva fatto anch'egli chiudere
l'ingresso alla grotta.
5. L'evocazione delle nubi
L'esplorazione della Grotta della Sibilla non è stata mai un compito facile,
sia in passato che ai nostri giorni.
Fig. 5 - Panorama dalla cima del Monte Sibilla con nuvole rapidamente trascorrenti
Chiunque abbia mai tentato di raggiungere la vetta del Monte Sibilla sa
bene come la leggendaria profetessa disponga di molti mezzi per impedire
ai visitatori indesiderati di porre il piede sulla sua rupe: all'improvviso, nubi
vorticanti cominciano a riempire il cielo, trasportate da un vento freddo e
umido, mentre pesanti frustate di pioggia iniziano a colpire il viso del
viandante: è il segnale che occorre tornare indietro, e in fretta, perché la
Sibilla Appenninica non ha alcuna intenzione di darci il benvenuto.
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Giovanni Battista Lalli, un poeta nursino vissuto nel secolo diciassettesimo,
ha potuto esperimentare di persona questo fenomeno, come egli stesso ci
racconta nel suo poema "Gerusalemme desolata":
«E se quivi appressarsi alcun s'accinge,
Ch'à lei no piaccia, e d'introdur no'l degna;
Con diverse maniere il risospinge
Da quell'impresa, che tentar disegna.
D'atre, e gravide nubi hor l'aria cinge,
Che ria tempesta à partorir ne vegna;
Hor minacciosa, ogni pietà sbandita,
Contro di quel l'horrende belve irrita.»
6. Un poeta nursino del diciassettesimo secolo incontra la Sibilla
Appenninica: Giovanni Battista Lalli
Nel 1629 Giovanni Battista Lalli, studioso e letterato originario di Norcia,
pubblicò un poema dedicato all'imperatore romano Tito, Gerusalemme
Disolata. La nonna dell'imperatore, Vespasia Polla, era nata all'interno di
una famiglia aristocratica che aveva le proprie radici nella Norcia antica, e
l'intento di Lalli era quello di rendere onore alla fama e alle gesta di uno dei
figli più illustri della sua terra.
Nel descrivere le schiere di soldati che sostenevano Tito nella sua
campagna vittoriosa per la conquista di Gerusalemme nel 70 d.C., Lalli ci
presenta due generali, Leonzo e Fuscone, che si erano uniti alle legioni
romane come contingente proveniente «di Norsia antica dal nevoso
monte». Leonzo, uomo ormai anziano, racconta a Tito di come, all'epoca
della propria giovinezza, egli avesse accompagnato la madre di suo padre,
Vespasia, fino alla grotta della Sibilla: ella voleva interrogare l'oracolo per
conoscere i destini e la futura fortuna del proprio nipote ancora bambino, il
futuro imperatore Tito.
Ed ecco la descrizione della caverna della Sibilla, così come riportata nel
proprio poema dal Lalli, il quale aveva certamente avuto l'opportunità di
vedere la grotta così come essa appariva ai visitatori all'inizio del
diciassettesimo secolo:
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«E di Vittor già superata, e vinta,
con sudor molto, la scoscesa altezza;
Pervenne à l'antro, che ne le profonde
Viscere sue, la saggia Donna asconde.
S'apre la bocca horribilmente oscura
Di quella immane Sibillina grotta;
Ove il Sol mai non entra, ò l'aria pura;
Ma 'l fosco horror perpetuamente annotta:
Ben hà di ferro il cor chi s'assicura
D'entrarvi, e da timor l'alma incorrotta;
Perch'in guardia di lei, Draghi e Pantere
Stanno, e cento Idre spaventose, e fere»
Fig. 6 - Edizione del 1630 della Gerusalemme Disolata con il brano relativo alla Grotta della Sibilla
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Le parole del Lalli sono particolarmente evocative, e sembrano essere
ricolme di profonda e sincera emozione: si tratta di una descrizione
particolarmente veritiera di come doveva apparire quella grotta all'inizio
del diciassettesimo secolo. Il Lalli deve avere effettivamente osservato, con
i propri occhi, l'ingresso della caverna, riportandone un'impressione forte e
particolarmente vivida.
A quel tempo, la grotta era oscura, e fredda, e profonda, e terrificante: una
visione che di certo non poteva essere dimenticata facilmente, e una
ragione in più in grado di spiegare la fama sinistra della quale la caverna
godeva tra i viaggiatori provenienti da ogni parte d'Europa.
7. Scavando nella Grotta della Sibilla
In tempi più recenti, la Grotta della Sibilla è apparsa ai visitatori come una
cavità occlusa, posta sulla cima deserta di una montagna. Nel 1885,
Giovambattista Miliani, un membro della famiglia che avrebbe fondato le
storiche Cartiere di Fabriano, appassionato escursionista, si spinse fin sulla
cima del Monte Sibilla, attratto, come molti altri in passato, dal misterioso
richiamo che si innalzava dall'antica leggenda.
Ciò che egli trovò sulla vetta fu «un cumulo di pietre rimosse». Nessuna
traccia dell'imbocco della caverna era più visibile. L'accesso al regno della
Sibilla era definitivamente chiuso, sepolto per sempre sotto una solida
montagna di roccia.
Perché la grotta posta sulla cima del Monte Sibilla non è stata mai oggetto
di tentativi di scavo?
In realtà, ciò ha avuto luogo più volte.
La prima di una serie di moderne campagne di scavo ebbe luogo nell'anno
1920, a seguito di un'ondata di rinnovato interesse per la caverna causato
dalla crescente attività di ricerca sulla leggenda, le sue origini e le sue
connessioni storiche effettuata da numerosi scienziati e filologi. Fu dunque
creato un comitato a Montemonaco, il piccolo villaggio posto proprio al di
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sotto della cima della Sibilla: si trattava del 'Comitato per gli scavi nella
grotta del Monte Sibilla', promosso da Mario Monti Guarnieri.
Gli scavi cominciarono nel mese di agosto, al fine di trarre vantaggio dal
bel tempo e dal cielo privo di nubi. I risultati iniziali furono assolutamente
promettenti: fu infatti liberata dalla terra una sezione dell'ingresso alla
grotta, «una bassa caverna di qualche metro, ove male e curvi si accede. Un
angolo della caverna discende sensibilmente verso il basso e sembra esser
l’inizio di una galleria discendente a mò di scala per dar adito ad una
susseguente grotta, di cui l’attuale caverna non sarebbe che il vestibolo. Ma
essa è stata riempita con grosse e piccole pietre».
Fig. 7 - Monte Sibilla, scavi sulla vetta nel 1920
Sulla cima coronata del Monte Sibilla gli scavi procedono alacremente.
Presso l'ingresso della caverna, gli uomini lavorano di pala e di piccone con
grande entusiasmo, nella speranza di riuscire a penetrare nei recessi più
nascosti della grotta. A quel tempo, l'imbocco tenebroso della grotta era
ancora visibile: una cavità buia sotto l'impietosa luce solare che inondava la
vetta a mezzogiorno, una condizione quasi insopportabile per gli uomini
impegnati in quella rischiosa spedizione.
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Ma, pochissimi anni dopo - quando il Comitato avrebbe ottenuto il
supporto di membri importanti del Partito fascista per una nuova tornata di
scavi – l'ingresso della caverna sarebbe di nuovo sparito tra i detriti e le
rocce spezzate: ignoti cercatori di tesori avevano infatti tentato, senza
successo, di accedere alla grotta, causando ulteriore distruzione e
danneggiando irreparabilmente la porzione esterna della cavità.
E questo era solo l'inizio.
8. La Sibilla Appenninica nel periodo del Fascismo: Giuseppe Moretti
Gli italiani non hanno mai raggiunto il livello di malvagia follìa al quale
sono pervenuti i Nazisti, con la loro malsana fascinazione per l'occultismo
e l'esoterismo; nondimeno, il potere di attrazione della leggenda della
Sibilla Appenninica è risultato essere così potente da ammaliare, seppure
per ben più positive motivazioni scientifiche e culturali, anche un elemento
importante dell'amministrazione dell'Italia Fascista, negli anni '20 dello
scorso secolo: Giuseppe Moretti.
Fig. 8 - Giuseppe Moretti (a destra) con un fregio appena dissotterrato a Roma e appartenente all'Ara
Pacis
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Moretti è stato un archeologo professionale e dotato di grande talento, il
quale ha ricoperto incarichi istituzionali di elevatissimo livello durante il
regime fascista: fu infatti nominato Soprintendente alle Antichità del Lazio
e direttore del Museo Nazionale Romano. Nel 1937, gli fu affidato il
difficile compito di condurre le complesse attività di scavo, nel centro
storico di Roma, per il recupero dei frammenti dell'Ara Pacis di Augusto
(cfr. immagine), il loro restauro ed il riposizionamento in un sito diverso
lungo le rive del Tevere, dove è possibile ammirarli ancor oggi.
Prima di assumere il prestigioso incarico romano, Moretti era stato a capo
della Soprintendenza alle Antichità delle Marche e degli Abruzzi. Oltre a
ciò, egli era anche originario delle Marche: aveva vissuto la propria
infanzia a San Severino Marche - alle porte del massiccio dei Monti
Sibillini - conosceva dettagliatamente la favola della Sibilla, cosicché il suo
animo non poteva evitare di subire l'influsso antico che fuoriusciva da
quella caverna tenebrosa che si apriva sulla cima della montagna.
Così, nel 1926, quando il Senatore Pio Rajna - il filologo che era parimenti
affascinato dalla medesima leggenda - sottopose alla sua attenzione la
possibilità di effettuare una nuova campagna di scavo, egli non esitò: pale e
picconi vennero trasportati di nuovo sulla cima del Monte Sibilla, questa
volta sotto il controllo della Soprintendenza. I risultati giunsero in fretta: i
sondaggi preliminari dimostrarono che una cavità sotterranea era
effettivamente esistente, essendo accessibile «attraverso una singolare
fenditura aperta tra i filoni obliqui di roccia». Essa, però, «non ha più di
otto metri di lunghezza,quattro di larghezza e tre metri di altezza», non
evidenziando inoltre alcun accesso «alle sale o agli ambulacri o alle
voragini interne. Vuoto è rimasto solo il vestibolo».
La magia nascosta era di nuovo all'opera, come nei secoli già trascorsi:
degli uomini si trovavano sulla cima della montagna, come moderni
cavalieri, in cerca del regno segreto della Sibilla. Ma la profetessa non
avrebbe lasciato che il suo segreto fosse svelato così facilmente. E
Giuseppe Moretti, scienziato appassionato e di esperienza, non poté fare
altro che scrivere le seguenti frasi nel proprio rapporto relativo alla
campagna di scavo: «solo un foro lascia supporre che siano esistite e
ancora esistano, se non le aule che la leggenda aveva mutate in paradiso
della Regina Sibilla, almeno altre cavità a cui la presente sia di vestibolo».
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Il sogno non poté essere portato alla luce del mondo reale. La grotta
resisteva ancora ad ogni tentativo di penetrare al suo interno. La Regina
Sibilla era ancora occultata sotto immani spessori di roccia. Ma il cuore
dell'uomo aveva effettuato un ulteriore tentativo di svelare il mistero: una
catena di ricerche che è radicata nel più antico passato e che continua
ancora oggi.
9. Scavi e scavatori alla grotta della Sibilla: un racconto di Fernand
Desonay
Il filologo belga Fernand Desonay partecipò a varie campagne di scavo
effettuate sul picco del Monte Sibilla. Nel 1930, egli scrisse questa
emozionante relazione a proposito delle attività di ricerca condotte sulla
cima. Ecco, nel suo racconto, cosa trovò all'epoca:
«L'anno successivo, ebbi l'occasione di fare, in compagnia di alcuni amici
italiani, tra il 15 e il 18 agosto 1930, una seconda visita, più fruttuosa, alla
grotta dell'Appennino. Il nostro piccolo gruppo aveva lasciato Norcia la
mattina del 15 agosto. Il 16, ci trovammo presso un bivacco di pastori, a
1800 metri di altitudine. Il 17, di mattina, giungemmo infine alla grotta,
verso le otto. Che pace attorno alla Sibilla, in prossimità del paradiso!...
La grotta era del tutto sottosopra. Recenti lavori di scavo ne avevano
modificato completamente l'aspetto. L'apertura del sotterraneo ricoperta. Si
notavano alcuni ammassi di pietre frantumate. Gli inesperti scavatori,
considerata la pena che si erano data, sarebbero anche riusciti a scoprire
qualcosa, se solo avessero seguito con maggiore sicurezza la traccia
dell'antica cavità, anziché dirigere gli sforzi in una direzione errata. Un
grosso blocco di roccia, che pastori superstiziosi avevano fatto rotolare un
tempo davanti all'ingresso, si trovava completamente messo a nudo; il suo
aspetto non era affatto quello di una pietra originatasi dallo scavo.
I miei compagni ed io, cominciammo a ripulire il terreno tutt'attorno alla
grossa pietra. E poco dopo, in basso, sulla sinistra, riuscimmo a scoprire il
sotterraneo...».
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Fig. 9 - Il resconto scritto da Fernand Desonay in relazione agli scavi effettuati sul Monte Sibilla nel
1930
[Nel testo originale in lingua francese: «L'année suivante, j'eus l'occasion
de faire, en compagnie de quelques amis italiens, entre le 15 et le 18 août
1930, une seconde visite, plus fructueuse, à la grotte de l'Apennin. Notre
petite troupe avait quitté Norcia dans la matinéé du 15 août. Le 16, nous
nous trouvions dans un campement de bergers, à l'altitude de 1800 mètres.
Le 19 [erroné pour le 17 - note du rédacteur] au matin, nous attegnions la
grotte, vers le 8 heures. Quelle paix autour de la Sibylle, dans le voisinage
du paradis!... La caverne était sens dessus dessous. De récents travaux
d'exploration en avaient complètement modifié l'habitus. Masquèe
l'ouverture du souterrain. On distinguait quelques amas de pierres gluantes.
Les fouilleurs inexpérimentés, vu la peine qu'ils s'étaient donnée, auraient
peut-être réussi à découvrir quelque chose si, au lieu de prendre une
mauvaise direction, ils avaient suivi avec plus de confiance le tracé de
l'antique terrier. Un gros quartier de roche, que des bergers superstitieux
avaient fait rouler autrefois devant l'ouverture, se trouvait complètement
mis à nu; son aspect n'était pas celui d'une pierre de rapport. Mes
compagnon et moi, nous commençâmes à déblayer le terreau tout autour de
la grosse pierre. Et bientôt, en bas, vers la gauche, nous découvrîmes le
souterrain....»]
Continuiamo dunque con la descrizione lasciataci da Desonay
relativamente alla piccola spedizione del 1930:
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«...E poco dopo, in basso, sulla sinistra, riuscimmo a scoprire il sotterraneo.
Dopo un'ora di sforzi, eravamo riusciti a praticare una apertura profonda
circa due metri. La cavità si apriva verso l'interno. Io stesso, aiutandomi
con una torcia, potei distinguere distintamente, proprio in fondo al nostro
scavo, l'abisso. Uno di noi credette addirittura di percepire una leggera
corrente d'aria che proveniva dall'interno. Illusione?... Bisogna dire che
colui che sosteneva questo dettaglio era uso a lavori di questo genere.
Per meglio renderci conto delle reali condizioni, pensammo di legare una
pietra all'estremità di una corda: la nostra idea era quella di spingere questa
pietra nel foro, per poter misurare la profondità dell'abisso. Una prima
pietra non risultò essere sufficientemente pesante da poter tendere la corda.
Una seconda, di dimensioni maggiormente rispettabili, non entrava affatto
facilmente: allora la spingemmo, credendo di poter vincere la resistenza del
terreno tutt'attorno: ma, disdetta!, essa si incastrò nel buco, e non fu
possibile farla muovere in alcun modo. Vista la mancanza di strumenti
idonei, dovemmo forzatamente renderci conto dell'inutilità dei nostri sforzi,
e abbandonare gli scavi. Ed ecco perché, un poco malinconici e molto
pensierosi, non ci restò che riprendere la via del ritorno».
Fig. 10 - Il resoconto vergato da Fernand Desonay (a destra) sugli scavi condotti sul Monte Sibilla nel
1930
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Malgrado l'infruttuoso tentativo, Fernand Desonay avrà un'ulteriore
opportunità di esplorare il mistero della Sibilla. Ciò accadrà ventitré anni
dopo, quando lo studioso raggiungerà nuovamente la cima della montagna,
assieme ad Annibaldi e alla sua squadra ben equipaggiata.
[Nel testo originale francese: «Et bientôt, en bas, vers la gauche, nous
découvrîmes le souterrain. Après une heure d'efforts, nous avions pratiqué
une ouverture profonde d'environ deux mètres. Le vide béait vers
l'intérieur. Moi même, m'aidant d'une torche, j'aperçus distinctement, tout
au fond de notre excavation, le gouffre. Un d'entre nous crut même déceler
un léger courant d'air en provenance de l'intérieur. Illusion?... Pourtant,
celui qui affirmait ce détail a l'habitude des travaux de l'espèce.
Afin de mieux nous rendre compte de la réalité, nous songeâmes à lier une
pierre à l'extrémité d'une corde: notre intention était de pousser cette pierre
dans le vide, pour measurer la profondeur du gouffre. Une première pierre
n'était pas assez pesante pour tendre la sonde. Une seconde, de dimensions
plus respectables, n'entrait pas bien; nous la poussâmes, croyant vaincre la
résistance du terreau tout autour: hélas! elle s'encastra dans le boyau, et il
ne nous fut possible de la faire bouger... Vu la manque d'instruments
idoines, il nous fallut bien nous convaincre de l'inutilité de nos efforts,
abandonner les fouilles. Et c'est pourquoi, un peu mélancoliques, nous
reprîmes, bredouilles, le chemin du retour.»]
10. Scavi e scavatori alla grotta della Sibilla: la campagna del 1953
Dopo due appassionate conferenze sulla leggenda della Sibilla Appenninica
tenute da Fernand Desonay a Roma all'inizio del 1953, nell'estate di quello
stesso anno venne organizzata, sui Monti Sibillini, una nuova campagna di
scavi. La campagna era guidata da Giovanni Annibaldi, il Soprintendente
alle Antichità delle Marche, e di essa facevano parte Fernand Desonay e
Domenico Falzetti.
Non si trattava di un piccolo gruppo: vi erano infatti «operai, guardie
forestali e vigili del fuoco, muniti del materiale indispensabile», come
riferito da René Herval nella sua relazione Du Mont italien de la Sibylle au
Vénusberg allemand.
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«Si constatò allora che la grotta aveva dovuto subire le scosse del terremoto
del 1 dicembre 1328», aggiunge Herval, «e che, a causa di questo fatto,
l'interno ne era stato ostruito da blocchi di pietra e detriti. A circa sei metri
di profondità, sotto i crolli, furono scoperti un soldo tornese di Enrico II,
uno sperone e un coltello: ciò indicherebbe che la grotta riceveva ancora
visitatori un secolo e mezzo dopo il passaggio di Antoine de la Salle».
Fig. 11 - Gli scavi del 1953 sulla vetta del Monte Sibilla
«A causa dell'ostacolo opposto alle investigazioni dagli antichi cedimenti,
la squadra del 1953 fu costretta a battere a propria volta in ritirata [come
già era accaduto nel 1930], ma questo primo sondaggio profondo aveva
permesso di constatare come ci si trovasse in presenza di immensi
sotterranei.»
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Come sempre, la Sibilla aveva eluso ogni tentativo di penetrare nella sua
grotta e di svelare il suo segreto preservato da secoli.
Fig. 12 - Gli scavi del 1953 sulla vetta del Monte Sibilla
[Nel testo originale francese: «La dernière en date des tentatives faites pour
scruter les mystères de la Sibylle fut réalisée en 1953 sous la direction du
surintendant des Archives des Marches, le professeur Giovanni Annibaldi,
accompagné d'ouvriers, de gardes forestiers et de pompiers, munis du
materiél indispensable. On constata alors que la grotte avait dû être
ébranlée par le tremblement de terre du 1er décembre 1328 et que
l'intérieur en était, de ce fait, obstrué par les blocs de pierre et les gravats. A
six mètres de profondeur environ, on découvrit sous les décombres un sol
tournois de Henri II, un éperon et un couteau: ceci indiquerait que la grotte
recevait encore des visiteurs un siècle et demi après le passage d'Antoine de
la Salle. En présence de l'obstacle opposé aux investigations par les anciens
éboulements, l'équipe de 1953 dut battre à son tour en retraite, mais ce
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premier sondage profond avait permis de constater qu'on se trouvait en
présence d'immenses souterrains.»]
11. Affrontando la Sibilla: tecnologia innovativa contro antichissimo
incanto
Nell'autunno del 2000, una spedizione che portava con sé un ingombrante
macchinario risaliva il Monte Sibilla fino alla cima. Gli esploratori erano
determinati a sfidare l'antica profetessa utilizzando la tecnologia più
evoluta: il georadar.
Fig. 13 - Monte Sibilla, il diagramma della campagna completata sulla cima nell'anno 2000
«L'area non è molto spaziosa», scrissero poi, «è circondata da precipizi, ed
è situata su di un pendio estremamente ripido, raggiungibile solo con
difficoltà». Avevano dovuto rinunciare all'utilizzo del classico metodo
sismico (eccessivamente distruttivo) e avevano quindi deciso di eseguire
una campagna di analisi basata sul georadar, che offriva il vantaggio
aggiuntivo di permettere «un più facile trasporto del macchinario in sito».
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Posizionarono quindi l'apparato in numerosi punti situati lungo una griglia
predeterminata sul picco del Monte Sibilla (vedere figura), lanciando
contro la superficie rocciosa della Sibilla potenti impulsi radio a
microonde, in grado di penetrare all'interno del suolo. In questo modo,
riuscirono a coprire circa 9 chilometri lineari in prossimità dell'ingresso
crollato della grotta.
I risultati furono sorprendenti (vedere figura). Gli impulsi riflessi,
riverberati dalle sottostanti strutture sotterranee, resero possibile
«individuare chiaramente una frattura nel sottosuolo», scrissero, «che si
estende grossolanamente in direzione E-W per emergere in direzione sud».
Si trattava di «cavità orizzontali e verticali, con un'ampiezza media di circa
2 metri (fino ad una larghezza massima di 8 metri), situati a profondità
variabili tra i 10 e i 14 metri». Lo sviluppo orizzontale dei vuoti nascosti
raggiungeva «una dimensione massima pari a circa 300 m, con gallerie di
alcuni metri di diametro, localizzate a differenti profondità».
Fig. 14 - Il Monte Sibilla in un diagramma 3-D basato sui segnali riflessi rilevati dal georadar
Possibile che la Sibilla Appenninica stesse realmente per arrendersi e
disvelare tutti i propri segreti? La risposta - sfortunatamente - è negativa:
come gli stessi ricercatori scrivono nella relazione scientifica pubblicata nel
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2007 a cura della Geological Society di Londra, la successiva fase
investigativa, che avrebbe comportato l'esecuzione di fori di assaggio sulla
cima della montagna, «fu inaspettatamente resa impossibile da un diniego
opposto dall'Ufficio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e da altre
istituzioni locali».
E così, i secreti della Sibilla rimangono ancora oggi inviolati.
12. La grotta della Sibilla, oggi
Fig. 15 - La Grotta della Sibilla come appare oggi
Oggi, la grotta della Sibilla è adagiata all’interno di un modesto
avvallamento, sul fianco del costone rivolto verso il lato meridionale della
rupe. Il suolo erboso, interrompendo la propria rarefatta irregolarità, lascia
spazio ad una sorta di scavo, evidentemente eseguito nella roccia viva della
vetta, ricolmo di detriti e di macigni frantumati, frutto dello sgretolamento
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della stessa pietra, della stessa matrice che costituiva la mole della
montagna. Tubi di metallo arrugginito, frammenti di travi in legno, resti di
assi marcite emergono ancora da quel coacervo di massi percossi,
violentati, testimoni ormai decrepiti dei tentativi, infruttuosi e devastanti, di
penetrare con la forza all’interno della caverna.
Questo, dunque, è ciò che resta, oggi, della famosa grotta della Sibilla. Un
mistero che è ancora irrisolto.
Michele Sanvico
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