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Geography Notebooks – 3 (2020) 2 - https://www.ledonline.it/Geography-Notebooks/
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3 (2020)
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The Territories of Political Ecology:
Theories, Spaces, Conict
Edited by
Michele Bandiera and Valerio Bini
Editorial
I territori dell’ecologia politica: teorie, spazi, conflitti 11
Michele Bandiera - Valerio Bini
Introduction
Ripoliticizzare le questioni socioecologiche. Intervista 27
a Marco Armiero
Michele Bandiera - Valerio Bini
L’ecologia politica come campo di riconcettualizzazione 33
socio-ambientale: governance, conflitto e produzione di spazi politici
Andrea Zinzani
Distributive ecological conflicts
Usi comunitari e conservazione della natura nell’area protetta 53
di Ndoinet (foresta Mau, Kenya): elementi di conflitto
Stefania Albertazzi
Gestire o nascondere i conflitti socio-ambientali? La Social Licence 73
to Operate nelle attività petrolifere dell’Amazzonia ecuadoriana
Alberto Diantini - Salvatore Eugenio Pappalardo - Daniele Codato
Massimo De Marchi
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(Agro)ecologia politica dei conflitti per la terra e il cibo in Ecuador 93
Isabella Giunta
Para una ecología política del agua: análisis de la periferia 111
metropolitana de Río de Janeiro (Brasil)
André Santos da Rocha - Leandro Dias de Oliveira
Beyond the dichotomy nature
/
culture
Experimental practice in the ruins of the Green Revolution: 129
commoning with/in a water-scarce field
Pietro Autorino
L’insostenibile leggerezza della sostenibilità: i limiti dell’attuale 147
ecopolitica
Isabella Capurso - Emilano Tolusso - Andrea Marini - Luca Bonardi
The place of a socio-cultural environment in climate change 167
discourse
Charles W. Recha
Fuori dal comune: incontri tra commons e prospettive decoloniali 183
in Chiapas e Bolivia
Miriam Tola
Il metodo del vivente. L’ecologia politica e la rielaborazione 201
del discorso geografico
Salvo Torre
Divenire terra, divenire plastica: rappresentazioni della Postnatura 217
Angela Delgado
Works in progress
L’ecologia politica latinoamericana dei movimenti indigeni 223
in Ecuador: il caso della CONAIE
Matteo Bronzi
Dall’ecologia politica attraverso il Capitalocene per una società 235
ecologica
Gioacchino Piras
Caccia e bracconaggio come conflitti socio-ambientali in Africa: 247
violenza, ineguaglianze e politiche (neo)coloniali
Marta Pegorini
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Geographical approaches
Gentrification e urban gardening a Berlino. Riflessioni 259
da Tempelhofer Feld e Prinzessinnengärten
Sara Giovansana - Giacomo Zanolin
Interdisciplinary perspectives
The entrepreneurial orientation of women entrepreneurs 289
in the Guadalajara Metropolitan Area as a path to sustainability
Francisco Navarrete-Baez - Patricia Orozco - Jorge Virchez
Il metodo del vivente
L’ecologia politica e la rielaborazione
del discorso geografico
Salvo Torre
Università degli Studi di Catania
doi: https://dx.doi.org/10.7358/gn-2020-002-torr
Abstract
Political ecology debate reshaped the relationship between the two subjects
assumed to be fundamental in human geography, man and nature, and criticised
their scientific status. Feminist political ecology and decolonial debate adopted
a different perspective on the subjectivities that inhabit human communities.
Political ecology recent debate suggest that the role of geographical knowledge in
the construction of social hierarchies has to be reconsidered. In this framework,
nature as a political project, could be analysed restructuring the methods of geo-
graphical research. In the recent re-elaboration of post-Marxist political ecology
and world-ecology, for instance the new methods of investigation are related to
the study of internal contradictions and social conflicts. The article suggests to
consider the fundamental contradiction between capital and living being as a
principle of general analysis of the relationship between human communities and
biomes and as the core of the construction of a method of geographical analysis.
Keywords: radical ecology; living being; methodology; cultural geography.
Parole chiave: ecologia radicale; vivente; metodologia; geografia culturale.
1. Tregrandifrattureepistemologiche
Alla fine degli anni Novanta del Novecento, proprio nella fase in cui
l’ecologia politica si stava affermando a livello internazionale come un
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campo di pensiero critico, alcuni autori si affrettarono a dichiararne il
fallimento (Low and Gleeson 1998; Walker 2005). Le modalità con cui
si era sviluppato un campo di riflessione definibile come ecologia politi-
ca pesavano in parte su tale giudizio, ma probabilmente l’attenzione che
buona parte delle scienze sociali iniziava a riservare alle problematiche
ecologiche portava a fornire giudizi lapidari e soprattutto a sperare di
potersi liberare da una serie di contraddizioni irrisolte che erano state
evidenziate dalle riflessioni dei decenni precedenti. Tra le varie voci, An-
drew Vayda e Bradley Walters (1999) lasciavano intendere che l’ecologia
politica fosse sostanzialmente destinata a scomparire, spiegando in un
loro saggio che il motivo per cui non sarebbe mai diventata una disci-
plina stabilmente riconosciuta era che non aveva saputo costruire delle
contro-narrazioni convincenti rispetto a quella imperante, non aveva pro-
dotto un paradigma né era stata in grado di produrre delle proposte di
ridiscussione interne al dibattito scientifico. Nonostante non condivida
l’impianto di quell’articolo, ciò che vorrei sostenere è proprio che negli
ultimi anni l’ecologia politica si sta ridefinendo come un campo di azione
intellettuale, in termini ampi, scientifici e di dibattito politico, e sta rea-
lizzando esattamente ciò che Vayda e Walters ritenevano che non avrebbe
potuto fare, sta cioè costruendo delle narrazioni alternative e ha posto in
termini espliciti quei problemi che nel modello kuhniano rappresentano
le anomalie destinate a innescare la ricerca di nuovi paradigmi interpre-
tativi (Kuhn 1962). La riflessione che si sta articolando dipende anche
dalla crisi dei modelli neoliberali e dal diffondersi incessante dei conflitti
ambientali. Sembra chiaro cioè che si è manifestata una forte pressione
sociale, rappresentata anche dai movimenti per la giustizia climatica, che
spinge a rivedere i metodi e l’impianto stesso delle narrazioni sulla crisi.
Vayda e Walters si rivolgevano ad un dibattito che era nato all’ini-
zio degli anni Ottanta, riferendosi ad alcuni precedenti, soprattutto
provenienti dalla geografia culturale e sociale, ma sostanzialmente teso
a costruire una nuova narrazione tecnica e parziale sulle problematiche
ambientali. Tutta quella riflessione si muoveva nell’ambito della ricerca
di soluzioni all’interno dei processi economici. Land Degradation and
Society, il testo di Blaikie e Brookfield (1987), prodotto alla fine di quella
stagione e citato più volte come prodotto indispensabile per la definizione
del nuovo campo di riflessioni, definisce l’ecologia politica come qualcosa
che discende dall’incorporazione della questione ambientale nell’econo-
mia politica. I due autori escludevano dalla loro riflessione il pensiero
critico e riducevano la questione ai termini della ricerca di elementi ag-
giuntivi all’analisi generale. Il risultato era un’involontaria riduzione del
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potenziale di tutto il discorso. Nel loro testo facevano inoltre dipendere
la marginalità ambientale dai processi che determinano quella sociale,
collocando il problema in un quadro che dipende propriamente dall’e-
conomia politica. Quella di Blaikie e Brookfield finisce con il sembrare
una marginalità senza cause specifiche, risolvibile all’interno del sistema
produttivo. Si tratta di una costruzione che si rivela molto compatibile
con quella relativa alle esternalità negative e con la lettura neoliberale
della questione ambientale. La storia del dibattito andrebbe probabil-
mente rivista seguendo anche i mutamenti sociali, perché ciò che in quel
momento veniva presentato come oggetto di un campo di indagine non
corrispondeva affatto né alle origini del dibattito né a quanto elaborato,
ad esempio, a partire dalla metà degli anni Sessanta dal pensiero ecologi-
sta, dall’écologie politique di André Gorz o nella nascita dei primi grandi
movimenti ecologisti. Il problema di fondo è che la definizione data dal
dibattito della fine degli anni Ottanta era effettivamente nuova, non di-
pendeva dalla genealogia che gli autori ricostruivano né realmente aveva
molti punti di contatto con le rivendicazioni dei movimenti sociali.
Solo nel decennio successivo alla pubblicazione del testo di Blaikie e
Brookfield si sono prodotte una serie di novità, soprattutto conflittuali,
tra le differenti interpretazioni che possono essere considerate la reale
origine del dibattito attuale. L’ecologia politica attuale dipende infat-
ti da tre grandi fratture che si determinano negli anni Novanta: quella
dell’ecomarxismo con la famiglia socialista, quella dell’ecofemminismo
con il pensiero femminista e con quello ecologista e quella del pensiero
decoloniale con tutto l’apparato epistemologico delle scienze occidentali.
Senza questi grandi momenti di vero e proprio conflitto teorico non è
possibile comprendere le proposte innovative che stanno emergendo e
che richiedono sostanziali mutamenti nell’impianto dell’analisi geogra-
fica o antropologica (O’Connor 1987; Leff 2015; Barca 2016; Pellizzoni
2016; 2020; Salleh 2016).
Le prime riflessioni avanzavano una serie di critiche che avevano pro-
posto un campo unitario di azione e sostenevano la necessità di ridiscute-
re gli assiomi della relazione tra società e natura. La questione ecologica
andava rintracciata nelle forme dell’organizzazione sociale, in altri ter-
mini bisognava politicizzare l’ecologia. Ancora negli anni Novanta parte
del dibattito si è concentrato sulle environmental politics o sulla questione
della politicizzazione dell’ambiente (Bryant and Bailey 1997; Stott and
Sullivan 2000). La questione della politicizzazione divenne presto anche
quella su cui tutta l’area della critica neoliberale attaccava l’ecologia poli-
tica. In quel contesto l’idea che sostanzialmente si trattasse di un dibatti-
Il metodo del vivente
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to che ruotava intorno alla questione del potere sembrava quindi trovare
riscontro in molti studi.
Un mutamento significativo adesso è rappresentato dal fatto che la
critica attuale sta spostando l’attenzione verso la sostituzione delle cate-
gorie storiche e dei metodi di analisi. L’ecologia politica si sta definendo
proprio come il campo privilegiato in cui si incontrano il pensiero radica-
le, la critica ecologica, il pensiero femminista e quello decoloniale. Il pri-
mo passaggio è che questo incontro consente di costruire una narrazione
differente della storia degli ultimi secoli, in cui la comprensione del ruo-
lo della relazione storica tra la biosfera e le comunità umane è centrale.
L’espansione europea, l’imperialismo ecologico e la ristrutturazione dei
modelli di dominio patriarcale determinano la nascita della modernità
capitalista, definiscono le forme dell’organizzazione sociale e la visione
del mondo che diventa imperante. Natura, uomo, società sono cioè ter-
mini che vanno decostruiti perché considerati sostanzialmente errati e
incompatibili con le nuove proposte di analisi teorica.
2. Lecontro-narrazionidell’ecologiapolitica
L’ecologia politica si trova dunque in una fase cruciale, di grande rie-
laborazione teorica, non è la prima della sua strana e altalenante storia,
dopo quella che ne ha segnato la nascita o quella che ne ha scandito la
diffusione nel dibattito accademico. Negli ultimi anni però si è aperta la
possibilità che assuma un ruolo diverso, più forte anche all’interno del
dibattito scientifico. Si tratta di quel ruolo specifico assunto dalle teorie
che hanno avuto la capacità di rappresentare uno spazio di dialogo aper-
to con le dinamiche di trasformazione sociale. La situazione è cambiata
anche a causa della lunga serie di processi e di eventi che scandiscono la
trasformazione socio-ambientale generale e la crisi socio-ecologica glo-
bale, come le pandemie e il surriscaldamento globale. Allo stesso modo
l’aumento esponenziale del numero di conflitti ambientali ha costretto a
rivedere l’impianto interpretativo generale, i metodi con cui venivano stu-
diati i processi e la narrazione criminalizzante che spesso è stata adottata
dalla ricerca sociale, costringendo buona parte delle scienze a ripensare
al proprio ruolo in relazione ai conflitti sociali. Un primo elemento di
questa fase di transizione è la constatazione delle difficoltà epistemologi-
che, dell’impossibilità di definire la crisi attuale in termini socio-ecologici
complessivi senza modificare l’impianto della ricerca e i riferimenti inter-
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pretativi. La stessa idea di crisi socio-ecologica rappresenta infatti un pro-
blema insormontabile per i paradigmi tradizionali, obbliga ad una rilet-
tura differente dei processi di funzionamento della società, chiarisce che il
problema del limite non può essere considerato come un fattore esterno
al sistema sociale ed economico. Il raggiungimento del limite è il prodotto
della storia degli ultimi secoli. La crisi socio-ecologica impone una rilet-
tura differente di quei problemi che sono stati definiti come effetti delle
attività umane, che in questo quadro vanno riportati in termini analiti-
ci all’interno dei processi di funzionamento generali del sistema. Non si
tratta cioè di ricorrere, come fa buona parte del dibattito dell’economia
politica, alla definizione delle esternalità negative, ma di considerare le
crisi ecologiche come un elemento essenziale per il funzionamento dei
sistemi sociali, dei rapporti sociali di produzione. Questa riflessione com-
porta la necessità di comprendere il funzionamento di un sistema sociale
che si nutre delle crisi ecologiche, le produce e si riproduce grazie ad esse.
L’esigenza di ridiscutere gli elementi fondanti dell’analisi è probabil-
mente anche il frutto della difficoltà di riadattare le teorie classiche sulla
crisi alla situazione attuale, non solo per la dimensione che ha assunto,
ma anche per le modalità con cui si sta esprimendo. L’ecologia politica si
sta ridefinendo anche per la sua capacità di fornire un quadro di sintesi e
un campo comune plurale di elaborazione, in cui i diversi livelli di criti-
ca si possono sovrapporre, ma richiede l’elaborazione di modelli radical-
mente differenti per l’interpretazione della realtà. Nella sua declinazione
post-strutturalista era stata interpretata come il risultato delle riflessioni
sulla questione del potere. Le modalità con cui erano state poste le varie
problematiche, così come i casi studio che sono stati utilizzati, hanno
evidenziato però come in generale il tentativo di ricondurre il dibattito a
quei termini non abbia funzionato. Nelle sue declinazioni attuali l’ecolo-
gia politica si scontra quindi proprio con il tentativo realizzato a partire
dalla metà degli anni Ottanta di costruire una narrazione molto riduttiva
sulla portata delle questioni che pone e che hanno ormai una loro storia.
Il nuovo campo di ricerca è stato definito ancora come quello dell’interse-
zione tra società umana, ambiente biofisico e economia politica (Schmink
and Wood 1987; Smith and Reeves 1989; Little 2006) con ampi riferi-
menti ad una storia che non ha effettivamente alcuna continuità.
Frank Thone nel brevissimo testo della sua rubrica di divagazioni
ecologiche pubblicata sulla Science Newsletter del 1935, indicato spesso
come l’atto di nascita della disciplina, esprimeva una serie di considera-
zioni abbastanza innovative per l’epoca, ma non sosteneva in alcun modo
l’esistenza di un campo definibile come ecologia politica, inventava l’e-
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spressione per spiegare che nelle due colonne della sua rubrica avrebbe
parlato del rapporto tra interessi geopolitici, militari e risorse ambienta-
li. L’espressione era presente solo nell’occhiello del titolo. Si trattava di
una riflessione sulle possibilità di esplosione di un conflitto tra Russia e
Giappone e peraltro l’articolo conteneva parecchie sintesi che oggi defi-
niremmo portatrici di un pensiero coloniale (alcune considerazioni sulle
attività produttive dei nativi nordamericani o sulle tradizioni delle popo-
lazioni della Mongolia).
Il racconto sulle origini che si è affermato alla fine degli anni Ot-
tanta tradisce la mancanza di un quadro più ampio, molti lavori passano
direttamente dall’uso del termine da parte di Thone (1935) ad una serie
di articoli dei primi anni Settanta, tra cui un testo di Eric Wolf (1972) o
la critica di Hans Magnus Enzensberger (1974). Ma anche Eric Wolf in
“Ownership and Political Ecology” non citava mai le due parole insieme
all’interno del testo e concludeva che: “In order to prove or disprove such
guesses we shall need to combine our inquiries into multiple local eco-
logical contexts with a greater knowledge of social and political history,
the study of inter-group relations in wider structural fields” (Wolf 1972,
202). Si trattava cioè di un tentativo di definire una declinazione politica
delle problematiche ecologiche collocandola all’interno del dibattito sulle
analisi dei gruppi sociali. Sicuramente il testo contiene già alcuni sugge-
rimenti di studio come quello di porre attenzione alla relazione tra le esi-
genze della società e gli ecosistemi locali o al peso che le diverse forme di
proprietà terriera esercitano sull’evoluzione degli ambienti. Si tratta però
di questioni che erano già presenti nel dibattito scientifico. Anche il testo
di Hans Magnus Enzensberger “A Critique of Political Ecology” (1974)
critica le implicazioni dell’uso politico dell’ecologia, non si riferisce in
alcun modo all’esistenza di un campo specifico di analisi.
Questa pausa di almeno trentacinque anni, generalmente indicata
nelle ricostruzioni genealogiche, non è mai avvenuta, è stata in realtà
riempita dall’affermazione della geografia culturale statunitense, dalla
nascita dell’ecologia radicale e dall’evoluzione delle riflessioni di molti
nuovi movimenti politici (Benegiamo et al. 2020). Tanto che è possibi-
le considerare la geografia culturale come il campo in cui per la prima
volta si esprimono alcune questioni, come ad esempio l’inesistenza del
binomio natura/cultura. Proprio nei testi di Carl Sauer, indicati più volte
(Sauer 1925; 1941) come precedenti del dibattito, si trovano ad esempio
riferimenti alla necessità di studiare la relazione tra le forme della pro-
prietà e l’evoluzione dei biomi. Considerare il paesaggio come il prodotto
di fattori culturali, significava nelle riflessioni del geografo statunitense
Salvo Torre
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superare i modelli meccanicisti e aprire una riflessione sull’impossibilità
di seguire le dicotomie cartesiane su cui era strutturato il sapere geogra-
fico. Il punto è che diversi dei testi che Sauer aveva prodotto nell’arco di
un quarantennio avevano una finalità strettamente metodologica, erano
costruiti come base per un discorso che mirava a trasformare una disci-
plina che manteneva il ruolo storico di sostegno alle politiche di espan-
sione coloniale o alla definizione dei conflitti geopolitici. Non sembra
ancora esserci un equivalente negli studi di ecologia politica, soprattutto
per la grande differenza nelle metodologie adottate e per la pluralità di
discipline coinvolte. Mentre la necessità di superare gli elementi delle
scienze occidentali che hanno contribuito alla costruzione della moder-
nità capitalista resta una rivendicazione del pensiero radicale. Tutto il
dibattito dipende molto più dai classici del pensiero ecologico dei pri-
mi anni Sessanta, come Our Synthetic Environment di Murray Bookchin
(1962) o Silent Spring di Rachel Carson (1963) e dalla rielaborazione che
ne è stata fatta. Il momento di passaggio essenziale è l’opportunità offerta
dalle riflessioni di André Gorz come Écologie et politique (1975) e Écologie
et liberté (1977) che offrono al dibattito che si sviluppa nei decenni suc-
cessivi un piano di possibile convergenza per le questioni che vengono
poste dalle nuove analisi critiche.
Se si parte dalla prospettiva dell’ecologia politica critica allora il pro-
blema riguarda principalmente la questione del funzionamento del siste-
ma e quella della transizione verso una società differente. La nascita di
Capitalism Nature Socialism nel 1988 rappresenta un passaggio fonda-
mentale di questo percorso, soprattutto perché dà vita a quella che oggi
potremmo chiamare ecologia politica radicale. Ecología Política, la rivista
intorno a cui si raccoglie il pensiero della decrescita catalana, nasce nel
1990, Écologie et politique nel 1992, Capitalismo Natura Socialismo (che
muterà nome in Ecologia politica) nel 1991, il Journal of Political Ecology
nel 1994, EcoRev nel 1999. Complessivamente si definiscono come spazi
in cui si ridiscute in termini critici postmarxisti la struttura della relazio-
ne tra la società umana e la biosfera. Nonostante ciò c’è una forte riserva
evidente nella maggior parte degli studi a produrre una definizione.
I testi che definiscono quest’area ruotano in sostanza intorno al pro-
blema delle crisi economiche alla loro relazione con quelle ecologiche.
Le modalità con cui André Gorz aveva ridefinito tutto il problema, so-
prattutto in relazione alla categoria di lavoro umano, sono in quel con-
testo fondamentali, ma il pensiero di Gorz non è mai stato realmente
rilevante nel dibattito di queste riviste. Tutte ospitano le riflessioni di
James O’Connor, soprattutto i saggi in cui illustra la sua teoria sulle crisi
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del capitalismo, spostando l’attenzione sulla contraddizione tra le rela-
zioni di produzione capitalista e le condizioni di produzione (O’Connor
1991). O’Connor, ad esempio, non considera probabile un’alleanza con
l’ecofemminismo o con i movimenti ambientalisti, ritiene che si collo-
chino ancora nel campo liberale e che la produzione intellettuale che
proviene da quel campo miri sostanzialmente alla conservazione del siste-
ma sociale. Nonostante ciò la sua attività è essenziale perché si articolino
intorno ad una serie di riviste le riflessioni molto varie di pensatrici e
pensatori che rimettono in discussione le analisi sul funzionamento del
sistema capitalista. Il problema delle crisi del capitalismo non sono dun-
que i limiti, è ancora in termini strettamente marxisti l’esplosione delle
contraddizioni, non di quelle interne alle relazioni sociali, ma di quelle
relative alle condizioni di produzione, primariamente a quelle costituite
dalle risorse biologiche, definite ancora come natura. Sebbene la que-
stione sia molto presente nel dibattito dei primi anni Novanta, si trat-
ta ancora di un passaggio della riflessione, soprattutto perché gli attori
principali della riflessione di O’Connor sono ancora gli stati, considerati
per ovvi motivi strumenti essenziali per i processi di accumulazione e
luoghi dell’espressione politica della contraddizione tra il capitalismo e le
forze di riproduzione. La discussione su quella che O’Connor definisce
la seconda contraddizione del capitale è fondamentale perché negli anni
successivi nasca un dibattito sulla reinterpretazione delle crisi ecologiche,
che negli ultimi mesi ha ripreso vita nelle interpretazioni della crisi at-
tuale. Si svolge però necessariamente nel solco della nascita delle teorie
sulla globalizzazione (Amin 1989).
In occasione dei venticinque anni di Ecología Política, Yoan Martínez
Alier fornisce forse la prima definizione ospitata sulle pagine della ri-
vista e si spinge a dire che: “La ecología política estudia los conflictos
socioambientales, quién gana y quién pierde en estos conflictos (que es-
tamos recopilando en el EJAtlas, www.ejatlas.org). Los conflictos tie-
nen resultados, consiguen unos logros, tienen unas consecuencias […]”
(Martínez Alier 2016). Non è una definizione teoretica, ma suggerisce
una possibilità metodologica, una disciplina si definisce indiscutibilmen-
te anche per il proprio oggetto di studi. In quel testo Alier riapre anche
la questione della valorizzazione e della commensurabilità, questioni che
hanno definito il dibattito sulla crisi del capitalismo per un paio di secoli.
Nello stesso numero Stefania Barca (2016) rivendica il ritorno alle rifles-
sioni sul lavoro come motore della trasformazione ambientale, spostando
l’asse dell’osservazione su uno dei punti fondamentali, soprattutto per la
possibilità che offre di rileggere la storia degli ultimi secoli.
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3. Alcunequestionidimetodo
La citazione diffusa del saggio pubblicato sulla New Left Review da
Enzensberger (1974) è un indicatore chiaro dell’assenza di uno statuto
preciso e di una visione riconosciuta sulla storia del dibattito. Si tratta
di un campo che possiede una critica prima ancora di avere una propria
definizione teorica. All’atto di nascita, il Center for Political Ecology, ad
esempio, non fornisce una precisa idea, se non quella propria della po-
liticizzazione dell’ecologia. Una disciplina che non accetta un metodo è
‘indisciplinata’ secondo la definizione che ne danno Marco Armiero, Ste-
fania Barca e Irina Velicu (2019). Non si muove nel solco della struttura-
zione degli statuti disciplinari per come sono stati definiti nell’accademia
ottocentesca, soprattutto perché richiede l’apertura di spazi di confronto
più che di metodologie chiuse. Probabilmente il motivo per cui la mag-
gior parte del dibattito a partire dai primi anni del nuovo millennio si
svolge all’interno della geografia è proprio questa esigenza di costruire
ragionamenti di sintesi.
Il campo si definisce meglio per le sue difficoltà che per la presenza
di testi normativi. Una grande difficoltà si esprime ad esempio nell’im-
possibilità di riportare il dibattito sulla sostenibilità all’interno del campo
dell’ecologia politica. Nonostante l’importanza assunta dal tema, sono
proprio le critiche alla categoria di sostenibilità a definire meglio le pe-
culiarità del dibattito. Un altro esempio può essere dato dai primi studi
che mettono in crisi il concetto di adattamento. In generale la gran parte
delle riflessioni che tende a sottrarre le questioni ecologiche agli studi
esclusivamente settoriali si ritrova in questo campo. Esiste ovviamente
una stretta relazione anche con i primi testi che segnano l’irruzione del
post-strutturalismo nel dibattito geografico, così come degli studi sulla
decolonizzazione e negli ultimi anni sulla globalizzazione. Karl Zimmerer
e Thomas Bassett (2003) hanno provato a realizzare una classificazione
che prevedeva quattro approcci che sintetizzavano complessivamente le
grandi aree del dibattito, ma anche le narrazioni dominanti dal punto
di vista teorico: environmental politics of social and institutional practices,
‘discursive turn’; political economy of nature and commodification; politi-
cized biogeophysical changes; feminist political ecology. In realtà tutte queste
distinzioni sembrano essere progressivamente scomparse nei due decenni
successivi alla pubblicazione del lavoro dei due studiosi. Nel frattempo ci
sono categorie del dibattito scientifico che sono sconfinate in quello pub-
blico, assunte però come semplici riferimenti alle questioni ecologiche.
Nelle poche ricostruzioni prevale sostanzialmente ancora l’idea di un di-
Il metodo del vivente
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battito interno agli studi di carattere ecologico, in parte negando il valore
politico generale che il dibattito assume sin dall’origine, in parte negando
il posizionamento dei diversi autori. L’ecologia politica viene rappresen-
tata ancora come un filone interno alle riflessioni sull’ambiente biologico.
L’intera storia delle idee ambientaliste in realtà sembra fortemente per-
meata dalla necessità di liberarsi dall’ambito ristretto degli studi speciali-
stici, per proporre letture generali delle trasformazioni sociali, non solo
campi di produzione di sapere tecnico. Noel Castree (2015) sostiene ad
esempio che l’ecologia politica, nelle sue varie permutazioni, offra un
quadro analitico ampliato e apertamente normativo rispetto a quelli im-
piegati nel tipo di ricerca che si basa sulla dicotomia uomo/ambiente.
La seconda vita dell’ecologia politica dipende dunque strettamente
dalla confluenza nell’alveo delle riflessioni che propone di alcuni grandi
filoni di pensiero critico non facilmente inquadrabili nelle grandi fami-
glie teoriche della tradizione occidentale, l’ecomarxismo, l’ecofemmini-
smo, il pensiero decoloniale. Il dibattito più recente, se riletto nel suo
complesso sta iniziando a fornire dei quadri interpretativi più ampi; rica-
vare una proposta di metodo dalla lettura del dibattito è ancora difficile,
ma iniziano ad essere presenti alcuni elementi molto chiari. Ad esempio
rispetto all’impianto che ha guidato la geografia umana e l’antropologia
culturale fin dalla loro nascita, l’ecologia politica pone problemi di carat-
tere metodologico molto seri. La prima questione è sostanziale, non solo
di carattere lessicale, si tratta di modificare le categorie considerate alla
base della definizione della disciplina. Uomo e natura, come categorie
universali a-storiche non esistono. Si tratta di due categorie che sinte-
tizzano un grande progetto politico di appropriazione del mondo, non di
due termini neutrali, cioè del progetto politico di appropriazione colo-
niale del pianeta che ha segnato l’esperienza della modernità. Seguendo
questo assunto, si pongono diverse questioni, si sperimentano cioè alter-
native alle forme di interpretazione che ruotano intorno a questi termini.
Si può dire anche che l’ecologia politica sia quel campo di riflessione
in cui è fondamentale la critica alla categoria di natura. A partire dalle
tesi di Ariel Salleh (1997) che la ritiene un progetto politico, fino alla
rilettura che ne fa Martínez Alier (2009), la natura va considerata co-
me la categoria che è stata costruita allo scopo di realizzare un processo
di appropriazione. Nella versione neomarxista, Jason Moore la definisce
un progetto di classe (Moore 2019). Considerare l’idea dell’esistenza di
spazi naturali opposti alla costruzione della civiltà non è un assunto te-
orico neutrale, significa scegliere di costruire una disciplina finalizzata
all’appropriazione del mondo. In questo quadro l’idea dell’opposizione
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razionalità/irrazionalità, per come è stata spiegata da Silvia Rivera Cu-
sicaqui e Anibal Quijano, assume un ruolo centrale (Rivera Cusicanqui
1984; Quijano 1992; Torre et al. 2020). Il superamento delle epistemolo-
gie occidentali è un passaggio essenziale per l’apertura di nuovi campi di
riflessione, in cui le modalità con cui è stata rappresentata o interpretata
la biosfera hanno motivato le gerarchie sociali. Ridiscutere le categorie
significa anche superare i retaggi della cultura patriarcale, rileggendo la
presenza di forme di dominio e di esclusione che si strutturano dall’ori-
gine della modernità. Come tutte le discipline nate nel solco dell’illumi-
nismo rivoluzionario, la geografia umana si basava sulla variante illumini-
sta del progetto moderno di appropriazione del mondo e individuava con
precisione il detentore della razionalità che aveva il compito di leggere la
realtà secondo i modelli della razionalità europea.
4. Lacontraddizionecapitale/viventeeimetodidiindagine
Una possibilità metodologica offerta dalla confluenza tra le varie aree di
pensiero è quella di strutturare anche le ricerche seguendo alcuni ele-
menti della storia della relazione tra comunità umane e biosfera. È possi-
bile individuare una specifica contraddizione che riguarda una categoria
più ampia di quella riferibile alla sopravvivenza biologica. Il processo che,
anche nelle riflessioni neomarxiste, può essere interpretato come con-
traddizione tra capitale e vivente (Torre 2018; Mbembe 2020), cioè la
tendenza generale del sistema ad incorporare le riserve di riproduzione
biologica ai fini dei processi di accumulazione. Un primo passo può es-
sere riferirsi alle differenze tra il funzionamento dei biomi e quello delle
comunità umane, isolando gli elementi che hanno portato progressiva-
mente le comunità ecologiche all’interno delle relazioni di produzione
delle società umane. Si tratta di un tipo di ricerca che richiede chiara-
mente anche una lettura della profondità storica dei mutamenti ambien-
tali, ma che riesce a definire in termini più ampi l’analisi territoriale. La
riflessione sul tempo assume un ruolo fondamentale, perché può essere
assunta in termini completamente diversi, cioè analizzando l’interazione
tra tempi di riproduzione della biosfera e tempi di riproduzione del si-
stema sociale. Chiaramente il riferimento al dibattito sul paesaggio aiuta
molto, soprattutto nella sua capacità di definire la sovrapposizione tra
processi che appartengono a temporalità differenti, come quelli geologi-
ci, quelli biologici e quelli storici.
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Una prima ipotesi di metodologia costruita sulla relazione tra co-
munità umane e biomi richiede anche di invertire alcuni passaggi tra-
dizionali del lavoro di analisi dei territori. Il riferimento al pensiero de-
coloniale riguarda anche la stessa definizione dei territori analizzati. Ciò
che emerge è che le pratiche sociali che contribuiscono alla costruzione
dei territori sono generalmente sottostimate, rispetto all’attenzione tra-
dizionalmente attribuita alle funzioni di potere. Lo studio dei conflitti
ambientali ha evidenziato la necessità di rileggere la costruzione sociale
dei territori non solo come pratica di esercizio di poteri e istituzioni, ma
come presenza di pratiche condivise di trasformazione o di opposizione.
È necessario dunque studiare le forme di appropriazione che hanno scan-
dito la storia di un territorio e quelle che agiscono nei contesti attuali, ma
anche porre un’attenzione diversa alle pratiche condivise di costruzione,
così come a quelle di opposizione (Torre et al. 2020).
Una sequenza operativa potrebbe essere sintetizzata in cinque punti,
da aggiungere alle metodologie adottate per l’analisi territoriale:
a. individuare gli elementi che concorrono alla destrutturazione del tem-
po di riproduzione della biosfera locale;
b. isolare le gerarchie che compongono le relazioni sociali e ambientali;
c. definire la struttura delle comunità umane in relazione alle risorse del-
la biosfera, ai consumi prevalenti, alle fonti energetiche principali;
d. individuare le principali linee storiche di trasformazione delle relazioni
tra biomi locali e comunità umane;
e. analizzare le pratiche collettive di costruzione dei territori e le forme di
opposizione sociale ai mutamenti.
Il passaggio degli ultimi anni sostanzialmente si articola di nuovo
intorno alla questione della crisi e del superamento delle categorie che
hanno sostenuto buona parte della modernità. Se si parte dall’assunto
che i rapporti sociali di produzione si sono strutturati utilizzando le ri-
serve riproduttive della biosfera, bisogna riconoscere che si arriva neces-
sariamente ad un punto di rottura in cui le risorse riproduttive generali
vengono erose. La progressione con cui nella modernità capitalista que-
sti elementi sono stati inseriti nella catena della produzione del valore è
stata la base costitutiva del sistema. Dentro un quadro interpretativo di
questo tipo risulta dunque impossibile produrre delle letture separate o
sostenere analisi secondo cui è possibile riparare i processi limitando le
attività umane nocive. Più semplicemente si fornisce una lettura diffe-
rente della storia della modernità. Negli ultimi anni si è dimostrata la
capacità dell’ecologia politica di proporre letture innovative, critiche ra-
dicali e prospettive di indagine. Le analisi che sono emerse anche in re-
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lazione alle pandemie e alla crisi ecologica globale possiedono un respiro
molto ampio. Si tratta adesso di ragionare sulla possibilità che si realizzi
una svolta epistemologica di grande portata, che fornirebbe la capacità
di agire in termini forti anche all’interno delle proposte di mutamento
sociale.
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