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Creare un centro di ricerca immerso nella società contemporanea

Authors:
  • HER: She Loves Data
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Abstract

What is a research center? How does its role change in the age of data and computation? The article describes the theoretical and conceptual foundations that in 2020 led to the redesign of the research center HER - Human Ecosystems Relations, founded in 2013 by the artist duo Salvatore Iaconesi and Oriana Persico, to create a new type of organization capable of positioning research at the center of society, using art as a strategy and data to create sensitivities toward the complex phenomena of our globalized and hyper-connected world - from climate change, to migration to poverty. HER: she Loves Data, the new organization whose model is described, assumes as its main mission the creation of the Archive of Rituals of the New Living, embracing data and computation as existential and cultural boundaries of contemporary human beings and societies.
Creare un centro di ricerca immerso nella
società contemporanea
Dati, IA, territori, comunità, conoscenza e rituali per un nuovo abitare
Salvatore Iaconesi e Oriana Persico (1, 2, 3), Daniele Bucci (4)
salvatore.iaconesi@he-r.it, oriana.persico@he-r.it
Affiliazioni:
1. Fondatori del centro di ricerca HER: She Loves Data
2. Fondatori del network internazionale dedicato alla collaborazione fra arte e scienza
AOS - Art is Open Source
3. Visiting professors Aalborg University, Department of Architecture, Design and
Media Technology
4. Designer, ricercatore e facilitatore
Abstract italiano:
Cosa è un centro di ricerca? Come cambia il suo ruolo nell'era dei dati e della computazione?
L’articolo descrive le basi teoriche e concettuali che nel 2020 hanno condotto alla
riprogettazione del centro di ricerca HER - Human Ecosystems Relazioni, fondato nel 2013
dal duo di artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, per creare un nuovo tipo di
organizzazione in grado di posizionare la ricerca al centro della società usando l’arte come
strategia e i dati per creare sensibilità ai fenomeni complessi del nostro mondo globalizzato e
iperconnesso – dal cambiamento climatico, alle migrazioni alla povertà. HER: she Loves
Data, la nuova organizzazione di cui si descrive il modello, assume come mission principale
la creazione dell’Archivio dei Rituali del Nuovo Abitare
, accogliendo i dati e la computazione
come confini esistenziali e culturali degli esseri e delle società umane contemporanee.
Keyword italiano:
Ricerca, Conoscenza, Istruzione, Partecipazione, Sociologia della Scienza, Antropologia
della Scienza, Tecnologia, Dati, Computazione, Intelligenza Artificiale, Nuovo Abitare
1
Abstract english:
What is a research center? How does its role change in the age of data and computation? The
article describes the theoretical and conceptual foundations that in 2020 led to the redesign of
the research center HER - Human Ecosystems Relations, founded in 2013 by the artist duo
Salvatore Iaconesi and Oriana Persico, to create a new type of organization capable of
positioning research at the center of society, using art as a strategy and data to create
sensitivities toward the complex phenomena of our globalized and hyper-connected world -
from climate change, to migration to poverty. HER: she Loves Data, the new organization
whose model is described, assumes as its main mission the creation of the Archive of Rituals
of the New Living, embracing data and computation as existential and cultural boundaries of
contemporary human beings and societies.
Keyword english:
Research, Knowledge, Education, Participation, Sociology of Science, Anthropology of
Science, Technology, Data, Computation, Artificial Intelligence,
Introduzione
La nostra società è radicalmente cambiata, anche rispetto a pochi anni fa, e noi con lei. Si è
trasformato il nostro modo di stare da soli e di stare insieme, il modo in cui comunichiamo e
ci relazioniamo, il modo in cui percepiamo il mondo e in cui cerchiamo di comprenderlo e di
averci a che fare, il modo in cui apprendiamo e condividiamo i nostri saperi.
Siamo ormai in un mondo globalizzato (Beck, 1997) e iperconnesso (Shaviro, 2003).
Sempre più l’esistenza degli esseri umani e del resto dell’ambiente e dei suoi attori (gli
animali, le piante, i microrganismi, il resto della biosfera, ma anche gli attori con personalità
giuridica e gli attori computazionali) sono in relazioni sempre più strette ed intricate gli uni
con gli altri, e organizzati secondo processi interconnessi, che si possono prendere in
considerazione separatamente solo al costo di non potere avere a che fare con la complessità
che permetta di governarli (Di Felice, 2019).
2
Le nostre esistenze e il nostro abitare dipendono e sono mediate sempre di più dai dati e dalla
computazione: le nostre sono vite Onlife
(Floridi, 2014b) e la nostra esistenza è sempre più
collegata all’infosfera in cui viviamo e in cui siamo immersi (Floridi, 2014a).
In questo processo, quindi, siamo costantemente parte di fenomeni complessi di portata
planetaria. Per poterne avere esperienza e per poterci avere a che fare abbiamo bisogno di
enormi quantità e qualità di dati. E della computazione necessaria a raccoglierli, processarli,
navigarli, rappresentarli e interagirci.
Ma l’attuale industria dei dati e della computazione è una industria estrattiva che, come tutti i
fenomeni estrattivi del nostro presente e passato, hanno gravi implicazioni per l’ambiente, la
società, i diritti, le democrazie, le libertà, e i modi in cui le tecnologie esercitano potere su di
noi, sui nostri corpi e sulla nostra psiche. (Iaconesi, 2017)
Se da un lato ci troviamo costretti a continue azioni protettive (privacy, censure, bias
algoritmici), dall’altro lato abbiamo bisogno di enormi quantità e qualità di dati e
computazione per poter esistere sul pianeta. (Iaconesi, Persico, 2019a)
È questa una condizione tragica, che quindi non ha soluzioni esclusivamente tecniche: i modi
di affrontarla devono posizionarsi al nesso della Scienza, della Tecnologia, dell’Arte, del
Design, della Psicologia, della Filosofia, della Società. (Iaconesi, Persico, 2016b)
C’è quindi bisogno di un riposizionamento, di una nuova cosmologia, di una evoluzione
epistemologica, di una nuova possibilità di avere esperienza e performance dell’ecologia.
L’opportunità per queste trasformazioni può venire da nuove forme di alleanza con gli attori
computazionali: non più attori estrattivi, ma generativi, con noi.
Tutto ciò deve essere progettato, si deve capire cosa fare e come farlo. E questi “cosa” e
“come” devono avvenire in modo ecologico, nella società, nell’ambiente.
Serve una evoluzione di ciò che oggi chiameremmo un “centro di ricerca”, per reinventare
nella società i rituali del nostro abitare sul pianeta.
Questo articolo racconta la nostra esperienza nel tentativo di mettere in atto un processo di
questo genere: HER: She Loves Data
.
3
Verso una Teoria dei Centri di Ricerca nella Società
Contemporanea
Sull’enciclopedia Treccani, un “centro di ricerca” viene definito come “organo, ente che
promuove ricerche e coordina studî intorno a particolari argomenti”. Su Wikipedia si
definisce così un centro di ricerca: “un istituto di ricerca (o centro di ricerca) è una
struttura creata ad hoc per operare e promuovere la ricerca in uno o più ambiti della scienza”.
Queste definizioni presuppongono che la “professione” e il “metodo” scientifici siano
concetti concreti già ben presenti e posizionati dinamicamente nella società. Ma è anche vero
che diversi luoghi dell’antichità corrispondevano a queste caratteristiche.
Ad esempio la Bayt al-ikmah (ﺔﻤﻜﺤﻟا ﺖﯿﺑ), la Casa della Saggezza, conosciuta come la
Grande Biblioteca di Baghdad, un importante centro intellettuale a Baghdad durante il
califfato Abbaside nell’epoca d'oro islamica del tardo VIII secolo, somigliava molto ad un
centro di ricerca: ospitava e traduceva la ricerca più avanzata dell’epoca; produceva
contributi originali tramite i suoi residenti in medicina, chirurgia, alchimia, fisica,
matematica, astrologia, produzione della carta, filosofia, letteratura; e ospitava grandi
infrastrutture di ricerca, come gli osservatori astronomici.
Ma dobbiamo arrivare all’età moderna, dopo la rivoluzione scientifica successiva al
Rinascimento e poi continuata per tutto il XVIII secolo con l’Illuminismo per iniziare a
vedere lo sviluppo di entità come la Royal Society di Londra nel 1660, o la Académie royale
des sciences in Francia nel 1666.
Il Romanticismo, in reazione all'Illuminismo, vide il sorgere della Naturphilosophie di
Schelling, lo studio delle cosmologie e delle cosmogonie, la nuova scienza della biologia, le
investigazioni degli stati mentali consci e inconsci, normali e anormali; lo studio delle forze
segrete della natura, come l'elettricità, il magnetismo, il galvanismo. L'osservazione di
Goethe si contrapponeva al lavoro di Newton sull'ottica.
Di trasformazione in trasformazione, la scienza mutava, e con lei i modi in cui gli esseri
umani si riunivano e organizzavano nella ricerca scientifica.
4
Dopo il Romanticismo, la Rivoluzione Industriale, le Guerre Mondiali, la Globalizzazione del
XX secolo, e la Rivoluzione Digitale del XXI secolo hanno decretato l'evoluzione del
posizionamento della scienza nella psicologia, nella società.
Ogni periodo ha le sue caratteristiche, che risuonano nelle culture, per esempio attraverso i
mostri della letteratura e, poi, del cinema: Dracula e il vapore; Frankenstein e le forze della
vita; Charlie Chaplin e l'industria, prima, e le Grandi Guerre, poi; gli Zombie e i consumo e la
Globalizzazione; l'Intelligenza Artificiale e la società dell'informazione.
Nelle 4 rivoluzioni di Floridi (2014a) risuona lo stesso concetto: la posizione e le geometrie
sociali delle scienze si trasformano. La caratteristica illuministica della rivoluzione
copernicana smonta la concezione antropocentrica dell’universo. La riconnessione alla
Natura del Romanticismo dà a Darwin l’opportunità di avvicinare l’essere umano all’animale,
nel processo di selezione naturale. Dalla Rivoluzione Industriale alle Grandi Guerre, Freud
decreta la fine dell’integrità dell’essere umano, diviso tra conscio e inconscio.
Dalle Grandi Guerre alla Rivoluzione Digitale, Turing mostra come l’intelligenza non
appartiene solo all’essere umano.
Ognuna di queste rivoluzioni fornisce strumenti concettuali per la nostra comprensione di noi
stessi e del mondo, e quindi per le scienze, la filosofia e per tutte le altre discipline e le loro
interconnessioni.
La condizione attuale degli esseri umani – iperconnessi, globalizzati e, quindi, immersi nelle
grandi questioni della complessità – ci suggeriscono quali potrebbero essere questi nuovi
strumenti e concetti: i dati e la computazione.
Infatti, condizione necessaria – ma non sufficiente – per poter conoscere, avere esperienza e
poter immaginare di avere a che fare con questioni complesse come il cambiamento
climatico, la salute, la povertà, l’istruzione e tutti gli altri (ad esempio i Sustainable
Development Goals proposti dalle Nazioni Unite ) è avere la disponibilità di enormi quantità
1
e qualità di dati affidabili, e della computazione necessaria per raccoglierli, elaborarli,
rappresentarli e interpretarli.
Non è quindi sbagliato affermare che la nostra sopravvivenza sul pianeta è connessa a dati e
computazione, che di fatto si trasformano: da questione tecnica diventano questione
esistenziale.
Dati e computazione che, oggi, sono caratterizzati da diverse tensioni e paradossi:
1 The 17 Goals. https://sdgs.un.org/goals
5
- come già detto, sono i protagonisti del maggior fenomeno estrattivo del pianeta, e
quindi vivono nella separazione; vengono estratti dalla nostra esistenza, dai nostri
comportamenti e dall’ambiente, e usati nell’industria, nel laboratorio, nel governo dei
processi;
- data la loro enorme quantità, interconnessione e varietà, la possibilità “contarli” perde
in qualche modo di interesse, a vantaggio del potervi trovare forme ricorrenti, pattern,
che ci servono per poter governare i fenomeni complessi; è questo il ruolo
dell’Intelligenza Artificiale;
- sono presentati come verità oggettive, inoppugnabili; “lo dicono i dati”; e come tali
vengono utilizzati per attuare procedure rigide, lineari, industriali, che sono incapaci
di avere a che fare con l’enorme diversità degli esseri umani, della biologia,
dell’ambiente, delle culture, e delle relazioni tra tutte queste cose; è, invece, vero che i
dati sono un tipo di entità altamente ideologica: per poter misurare un qualsiasi
fenomeno occorre avere una ideologia circa cosa sia importante da misurare, quali
variabili, parametri, espressioni, e con quali tipi di sensori e pratiche; la complessità si
affronta tramite la coesistenza di prospettive, non tramite il consenso di una
mono-cultura che, per qualche ragione, si trova ad essere dominante, o addirittura
egemonica, in quel momento.
Per poter avere tanti tipi di dati di tanti tipi differenti – sulle persone, i comportamenti, i
processi, l’ambiente, la biologia, la cultura eccetera – si pone un paradosso tragico:
- da un lato occorre agire in modo protettivo (ad esempio con la legislatura di tipo
protettivo in materia di privacy), per difendere i diritti e le libertà delle persone, della
loro salute, dell’ambiente, dell’informazione, dell’istruzione, e così via;
- dall’altro questi dati devono essere realmente disponibili e utilizzabili in quantità e
qualità enormi, per poter affrontare i problemi complessi che mettono a rischio la
nostra esistenza (le recenti questioni della pandemia da COVID19 ne sono la prova
eclatante).
Si tratta di una questione tragica perché non ha soluzione. Non, per lo meno, nel senso di una
soluzione univoca, tecnica. Si tratta di una tipologia di problema che non può essere
affrontata in senso esclusivamente ingegneristico. Questo tipo di problema è di tipo
esistenziale e culturale, e per affrontarlo è necessaria la possibilità di avere a che fare con
6
sistemi che consentano il paradosso, l’incompletezza, l’indeterminazione, la
presenza/assenza, la relazione e tutte le sue conseguenze.
Serve, quindi, una idea di Scienza nella Società che sia capace di adottare gli approcci, i
metodi e gli strumenti della Filosofia, della Psicologia, dell’Arte e della Cultura tra le sue
strategie, non come mero ornamento. I centri di ricerca che fanno questo tipo Scienza,
dovrebbero avere, quindi, una geometria e un assetto molto diverso da quelli attuali: sia
interno che nella relazione verso la società e l’ambiente.
Sociologia della Scienza e Antropologia della Scienza
Engelbart (1968) affermava:
«Though the primary research goal is to develop principles of analysis and design so as to
understand how to augment human capability, choosing the researchers themselves as
subjects yields as valuable secondary benefit a system tailored to help develop complex
computer-based systems. This "bootstrap" group has the interesting (recursive) assignment of
developing tools and techniques to make it more effective at carrying out its assignment. Its
tangible product is a developing augmentation system to provide increased capability for
developing and studying augmentation systems.»
Questo tipo di processo di bootstrap
è molto interessante, e si può immaginare di renderne
protagonisti attivi non solo i ricercatori, ma anche gli studenti, i pubblici, le organizzazioni e
le istituzioni, così da ottenere un processo inclusivo e partecipativo che preveda sin
dall’inizio la collaborazione degli attori della società.
Le discipline della Sociologia e dell’Antropologia della Scienza ci possono aiutare a
progettare un organismo la cui vita sia il risultato complesso della vita di così tanti attori
differenti.
La Sociologia della Scienza studia sia i processi socio-culturali costitutivi del sistema
scienza, sia le sue interazioni con gli altri sistemi, come la scuola, le istituzioni,
l’innovazione, l’industria, i territori.
2
Ciò influisce:
2 Sociologia della Scienza, Enciclopedia Treccani:
http://www.treccani.it/enciclopedia/sociologia-della-scienza_%28Enciclopedia-Italiana%29/
7
- sul dominio oggettuale, ovvero sulla scelta dei temi della ricerca scientifica;
- sul dominio concettuale, cioè sulla visione del mondo che risulta dai modelli
dell'osservazione, analisi e comunicazione adottati nei processi scientifici;
- sul dominio finalistico, ovvero sugli scopi interni ed esterni della ricerca;
- e sul dominio pragmatico, e quindi sulla determinazione di quali siano le azioni
pratiche cui corrisponda il "fare scienza".
L’Antropologia della Scienza, invece, usa un approccio differente, che non si può separare
dallo sguardo di Bruno Latour: la scienza differisce radicalmente a seconda che la si osservi
«in azione», nel suo farsi, o quando la si consideri una «scatola nera», che ha un ruolo solo
quando se ne conoscano storia e contenuti. (Latour, 1987)
L’applicazione dei metodi dell’Antropologia e dell’Etnografia alla Scienza permette di
ricostruire le dinamiche culturali, simboliche, psicologiche, dei confini, della collaborazione e
del conflitto, dedicando attenzione a quali siano effettivamente gli attori coinvolti
direttamente e indirettamente nella ricerca e nelle sue dinamiche e implicazioni, o, magari,
«le fonti di finanziamento, il background dei partecipanti, i pattern di citazioni nella
letteratura rilevante, la natura e l’origine della strumentazione, e così via» (Latour, Woolgar,
1986, 278).
Si ambisce, quindi, a immergersi nell’ecologia della natura/società (Latour, 2015), per
partecipare alla scienza (Latour, 1990) secondo geometrie e assetti differenti, che
corrispondono a diversi approcci epistemologici.
Se «l’ecologia […] non è l’irruzione della natura nello spazio pubblico, ma la fine della
“Natura” come concetto in grado di riassumere i nostri rapporti con il mondo e di pacificarli»
(Latour, 2015, 50–51), allora tutti gli attori della natura/società intera, nella loro incredibile
diversità, tra umani, non umani, giuridici, computazionali, eccetera, devono essere considerati
come attori attivi (e quindi significativi) della scienza, secondo pattern e forme ricorrenti che
dobbiamo imparare a riconoscere: nuove cosmologie della scienza.
Il caso di “HER: She Loves Data”
HER: She Loves Data (nel seguito: HER), è un piccolo centro di ricerca privato che è nato,
nella sua prima versione, a Londra nel 2013, col nome di HE - Human Ecosystems.
8
L’occasione è stata quella di poter utilizzare il risultato di una piattaforma tecnologica con lo
stesso nome creata durante un progetto europeo del programma FP7. Human Ecosystems
(software e centro di ricerca) è nata come piattaforma capace di raccogliere grandi quantità di
dati dai social network dell’epoca (Twitter, Facebook, Instagram) al fine di fare analisi
territoriali e progetti di citizen science. Queste raccolte di dati avevano alcune particolarità:
- formavano un commons
, ovvero un bene comune ad uso delle comunità interessate
oltre che dei ricercatori;
- contribuivano a dare forma a processi culturali che avvenivano tra comunità,
ricercatori, tecnologi, artisti, designer, educatori, istituzioni; su questi dati si tenevano
workshop, processi partecipativi di near future design
, processi partecipativi di policy
design;
- i risultati di questi processi assumevano forme estetiche e di comunicazione, come
opere d’arte, visualizzazioni di dati, interfacce interattive e immersive, che andavano
a comporre un Museo della Città
, ovvero un luogo creato attraverso le pratiche di
partecipazione della città o del territorio, e costruito attraverso le rappresentazioni
sotto forma di artefatti culturali delle esigenze, desideri, aspettative e immaginari
delle comunità;
- il modello strategico e operativo su cui si basava questo tipo di operazione si basa
sulla possibilità di usare i dati per poter catturare l’essenza, comprendere e
rappresentare l’essenza degli Ecosistemi Relazionali (tra persone, organizzazioni,
istituzioni, dispositivi, servizi, ambiente), attraverso la possibilità di descriverne le
interazioni, scambi, comunicazioni, in modo da poter intervenire in modo preciso e
inclusivo.
Questa metodologia ha preso il nome di Agopuntura Urbana Digitale (Digital Urban
Acupuncture, DUA, Iaconesi e Persico, 2016b).
La concettualizzazione della DUA ha richiesto la formalizzazione di alcuni concetti, che
iniziano a fondare un’idea dei dati e della computazione posizionati al centro della
natura/società, in relazione esistenziale con tutti gli attori, umani e non umani:
- il Terzo Infoscape
, che è composto dalle miriadi di microstorie generate da piccoli
agglomerati di dati, informazioni, immagini, articoli e reazioni, prese nella loro
irriducibile complessità e ricchezza di interazioni; il Terzo Infoscape non può essere
descritto in termini di geometrie semplici, ma solo nei termini di tutte le
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sotto-narrative che emergono da questi dati e informazioni, e dalle loro interazioni;
(Iaconesi, 2017)
- gli Ubiquitous Commons
, che consistono in un protocollo culturale, tecnologico,
sociale e legale secondo cui l’identità degli attori degli ecosistemi, secondo le logiche
del digitale, possono essere espresse in molteplici modi – individuali, anonime,
collettive, temporanee, transitive, e combinazioni di queste –; negli ecosistemi
composti dalle relazioni e interazioni tra attori umani e non umani (un edificio,
un’azienda, un territorio, una foresta…) diventa così possibile generare dati secondo
questi tipi di identità (es: i dati di un condominio, o di un quartiere, o di un anonimo),
proprio come diventa possibile attribuire accessi diversi a questi dati per identità
diverse (es: gratis per la ricerca, a pagamento per gli usi commerciali). (Iaconesi e
Persico, 2015)
Nel 2016, il centro di ricerca HER ha trasferito la propria sede in Italia, insediandosi a Roma,
tra i quartieri di San Lorenzo, del Pigneto e di Tor Pignattara, particolari sia perché ospitano
una vita profondamente multiculturale, che in quanto rappresentano la maggiore
concentrazione cittadina della classe creativa, degli artisti, dell’underground.
L'insediamento ha contribuito ulteriormente all’idea di un centro di ricerca capace di superare
le modalità della separazione, promuovendo un concetto di ricerca posizionata nel bel mezzo
della società, e capace di interagirci. Tra le iniziative con questo carattere:
-HER: She Loves San Lorenzo
, un festival d'arte, dati e intelligenza artificiale in cui
l’intero quartiere si trasforma in una esposizione di opere d’arte e performance fatte
con i dati e l’IA, e in cui i commercianti e gli abitanti del quartiere si trasformano nei
curatori e nei narratori al pubblico dei lavori in esposizione, creando così una forma di
didattica applicata di grande efficacia ;
3
- la Scuola di Quartiere di Arte, Dati e IA
, emersa subito dopo la prima edizione del
festival, e con il modello del carnevale, in cui si lavora lungo tutto l’anno per
preparare la prossima edizione del festival; una serie di iniziative didattiche tra gli
abitanti del territorio in cui essi stessi si trasformavano negli artisti capaci di creare le
opere d’arte fatte con i loro dati, usati in modalità autobiografica e
autorappresentativa
, che sarebbero poi state incluse nella mostra; (Iaconesi, 2018a e
2018b)
3 HER: She Loves San Lorenzo, dal sito di HER: https://www.he-r.it/her-she-loves-san-lorenzo/
10
-IAQOS, Intelligenza Artificiale Open Source di Quartiere
, un progetto in cui nel
quartiere di Torpignattara la disponibilità di una nuova infrastruttura tecnologica
(l’IA, proprio come l’acqua e l’elettricità) prende la forma della nascita di un nuovo,
peculiare, abitante del quartiere, la piccola IAQOS; la tecnologia non è più un fatto
tecnico, ma un attore con cui relazionarsi, con cui negoziare il reale, con cui discutere
il valore che ciascuno porta alla comunità. (Iaconesi e Persico, 2019b)
All'inizio del 2020, la pandemia COVID19 ha contribuito alla percezione dell’urgenza del
trovare nuove forme di “Scienza nella Natura/Società”, capaci di coinvolgere tutti gli attori
umani e non umani, e di avere un approccio non estrattivo, ma di “cura”, ovvero della
possibilità di considerarsi non al centro, ma come performer in una rete di attori che si
relazionano e interagiscono. Dall’estrattivismo all’ecologia. Nasceva così HER: She Loves
Data, e il focus sulla congiunzione di Scienza, Tecnologica (in particolare Dati e
Computazione) e Arte per scoprire i Rituali del Nuovo Abitare
.
Metodologia e Processo
Gli elementi caratteristici del centro di ricerca danno anche la forma al processo. Questi sono:
- l’approccio della Cura (Iaconesi e Persico, 2016a), che è un approccio
sistemico-relazionale; le questioni non sono mai solo tecniche, ma si muovono lungo
delle reti relazionali complesse che toccano tutta la società, e come tali vanno
affrontate; ad esempio, i dati e la ricerca non possono essere trattati come
problematiche tecniche nella separazione del laboratorio, ma sono oggetto di relazioni
di molteplici attori di tipi diversi;
- l’approccio non estrattivo, secondo cui i processi non estraggono (es: dati, valore,
conoscenza), ma generano, e sono intesi come espressioni autobiografiche e
autorappresentative degli attori coinvolti (umani e non umani);
- l’approccio orientato alla coesistenza, e non al consenso; i processi sono basati sulla
possibilità di coesistenza dei conflitti, non a una loro risoluzione tramite forme di
consenso;
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- l’approccio orientato ai commons, secondo la definizione di Elinor Ostrom (1990),
per cui il bene comune non è rappresentato solo da una certa risorsa, ma anche dal
fatto che esista intorno alla risorsa un ecosistema relazionale ad alta qualità che sia
capace di darsi un codice per governarla;
- l’approccio ecosistemico umano/non umano, secondo cui l’essere umano non è al
centro (es: con lo Human Centered Design
), ma piuttosto parte di reti relazionali
complesse con altri umani e non umani (organizzazioni, agenti computazionali, altri
attori della biosfera…), trasformando completamente la concezione della
progettazione (Ecosystemic Design
);
- l’approccio di near future
/ speculative design
, che prevede la possibilità di forme di
design realizzate attraverso pratiche partecipative, con un elemento di creazione di
narrazioni di scenari futuri che non siano solo tecnicamente possibili, ma anche e
soprattutto desiderabili, preferibili, immaginabili; una modalità del design che
permetta di esplorare ciò che è immaginabile nella società, alla ricerca di riflessioni
critiche e costruttive.
Il processo di progettazione del centro di ricerca è incentrato, quindi, su un procedimento
progressivo capace di valorizzare al massimo le relazioni che si esprimono nel suo avanzare,
e al contempo, completamente aperto, in modo da consentire alla società di incontrarsi sui
suoi elementi, creare conflitti e trovare vie di coesistenza.
Si articola nelle fasi elencati nelle sottosezioni.
Progettazione in un inner circle
La prima fase, che si svolge in una comunità ristretta ad altissima qualità di relazione, fiducia
e mutua conoscenza dei percorsi di vita e concettuali, è progettata a maglie strette e
interazioni frequenti (una volta a settimana, con task da svolgere tra l’uno e l’altro) per
progettare la forma iniziale del centro, le sue dinamiche organizzative e relazionali, i suoi
temi, le sue estetiche, il suo modo di radicarsi nelle comunità; particolarmente di interesse
sono gli output di questa fase , elencati di seguito.
4
4 Tutti i risultati elencati vengono aggiornati periodicamente, per tener traccia delle evoluzioni della concezione
del centro di ricerca, per poi poterne fare degli studi comparati.
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Sensi
Una narrazione multimediale sensoriale del centro di ricerca, che ambisce a comunicarne i
colori, le sensazioni, i suoni, in maniera immersiva e letteraria.
«Entrando a HER: she Loves Data ci si trova immersi in una piccola foresta idroponica.
La vita della natura, e la sua relazione con l’essere umano, ormai, genera dati che usiamo per
vivere e per stare bene. Proprio come genera cibo, benessere, salute, comunicazione e
capacità di abitare il mondo nella sfera analogica, HER: She Loves Data lo fa anche nella
sfera della digitalità, stabilendo relazioni e connessioni per le persone, le comunità, i territori,
le organizzazioni e le istituzioni.
In mezzo al profondo verde di questa piccola foresta – che è al contempo architettura,
ambiente, fonte di cibo ed erbe officinali, strumento e spazio didattico per apprendere i
Rituali del Nuovo Abitare (tra natura, arte, scienza, tecnologie, dati e computazione) – si
intravvedono la reception, gli spazi di lavoro, le aree esperienziali, le aree di incontro capaci
di stabilire ponti tra le dimensioni fisiche e digitali.
Più in là, nell’intrigo della piccola foresta, sono gli spazi abitativi, le cucine, gli spazi della
convivialità fisica e digitale in cui le due dimensioni convivono e si integrano con la vita
quotidiana dell’attrattore e dei suoi abitanti.
Non sarei sorpreso di scoprire che c’è qualche spazio che ancora non ho scoperto.»
Struttura
Una rappresentazione diagrammatica commentata di come sia strutturato il centro di ricerca.
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Immagine 1 – Struttura, a Luglio 2020
Al Luglio 2020, Struttura recitava:
«HER: She Loves Data si occupa sia di Comunità/Territori, sia di
Organizzazioni/Aziende/Istituzioni. Le due parti non sono disgiunte, e possono lavorare
insieme.
HER: She Loves Data è composta da un numero variabile di Community of Practice (CoP)
tematiche (una che si occupa di salute, una di alimentazione, una di comunicazione interna
aziendale, una di scuola, eccetera). Le CoP possono anche lavorare insieme (es:
Salute/Istruzione, Alimentazione/Arte, Comunicazione/Audience Development, e così via, in
tutti i casi che si attivano di volta in volta).
Le CoP possono avere delle partnership (e/o dei clienti), che vanno così a comporre
l’Ecosistema Relazionale di HER: She Loves Data.
Le CoP hanno a disposizione una infrastruttura composta da:
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- UC – Ubiquitous Commons, il protocollo legale/tecnologico/sociale e la relativa
infrastruttura tecnica, per la gestione dei dati;
- NFD – Near Future Design, la metodologia di speculative design e i relativi strumenti
e personale (designer, facilitatori etc) che permette di studiare comunità, territori e
società, e di creare processi partecipativi per progettare scenari di near future, e
trasformarli in prodotti, servizi, oggetti per lo spazio pubblico, la casa, la scuola,
l’ufficio etc;
- KNOW – Knowledge Ecosystems, composto da una infrastruttura tecnica e interattiva
per la gestione comune di networked knowledge, che contiene l’Archivio dei Rituali
del Nuovo Abitare
, in cui si conservano e organizzano le pratiche in cui le persone, le
comunità, le aziende, le organizzazioni e le istituzioni utilizzano dati e computazione
per affrontare i loro problemi complessi, bisogni, aspettative, relazioni eccetera;
tramite le loro attività e i loro progetti le CoP arricchiscono l’Archivio (di nuovi
concept di servizi e prodotti, di prototipi, di codice, di casi di studio, di opere
d’arte….) così che possano essere utilizzati dalle altre CoP.
Alcune CoP che abbiano acquisito nel tempo particolare importanza possono evolversi e
trasformarsi in infrastruttura.
L’infrastruttura di HER: She Loves Data prende il nome di Datapoiesis.
Una CoP particolare (chiamata Core CoP) si occupa della manutenzione e dell’evoluzione
dell’infrastruttura.
HER: She Loves Data può essere replicata, e non è detto che tutte le repliche avranno la
stessa struttura evolutiva, proprio come avviene in natura – per cui non è detto che una bieta
in Italia sia uguale ad una bieta in Australia.
Volendo replicare HER: She Loves Data in diversi contesti, quindi, si potrà scegliere di
basarsi su un modello evolutivo che si è dimostrato di successo in un contesto simile, e,
comunque, osservare come si sono comportate le varie evoluzioni nei vari contesti.»
Narrazioni di Near Future
Ogni partecipante all’inner circle viene chiamato a scrivere una design fiction
, una breve
storia di uno scenario futuro prossimo capace di mostrare narrativamente alcune
caratteristiche di design del centro di ricerca: il suo funzionamento, le dinamiche sociali,
relazionali e organizzative; i suoi processi; gli oggetti e i servizi che ospita; e così via.
15
Tutto ciò contribuisce a creare una Etnografia di Futuro
(Future Ethnography
), in cui i
partecipanti sono chiamati a performare la propria visione, scrivendo i propri appunti dal
campo (field notes
) dal futuro.
Networked writing
È stata realizzato un add-on
(una estensione) per Google Drive che consente di utilizzare i
fogli di calcolo come strumento di network writing
, ovvero di scrittura non lineare.
Con questo strumento diventa semplice descrivere ontologie e altre forme di grafi relazionali,
perché basta indicare in quali caselle sul foglio di calcolo si trovano i titoli, i testi e i dati e
metadati associati ai vari nodi del grafo, e in quali siano indicate le relazioni. Il grafo, a
questo punto, può essere visualizzato in modo da diventare una rappresentazione interattiva
che permette di esplorarlo.
Nel processo di descrizione del centro, questo strumento è stato utilizzato per rappresentare le
visioni espresse nelle Narrazioni di Near Future
, così da poterle confrontare e sintetizzare in
maniera ricca e orientata alla complessità.
Similitudini e complementarietà
Uno studio delle organizzazioni che, per qualche motivo, sono simili o complementari
all’obiettivo che ci si pone.
Simili, ad esempio su una o più delle caratteristiche fondanti evidenziate nelle sezioni
precedenti. O magari per qualche altra caratteristica desiderabile, come l’uso del design e
dell’arte per portare nella società i concetti e le pratiche, o la particolare attenzione agli
aspetti ecologici delle pratiche e dei rituali
proposti, non solo dal punto di vista ambientale,
ma anche di ecologia sociale, informazionale, comunicazionale, psicologica.
E complementari, nel senso di quelle grandi organizzazioni capaci di avere un impatto sulla
quotidianità di milioni di persone (come ad esempio le utility dell’energia, la scuola, i grandi
nodi del commercio) e, quindi, dotati della possibilità di raccogliere e concentrare enormi
quantità di dati, ma per cui non siano presenti pratiche realmente innovative per l’uso di
questi dati: ad esempio in cui i dati siano usati sì per l’ottimizzazione, il commercio e la
logistica, ma non in dinamiche partecipative che permettano ai singoli e alle comunità di
diventare i protagonisti dei modi in cui affrontare le questioni complesse del pianeta, ad
esempio gli SGD delle Nazioni Unite.
16
Queste similitudini e complementarietà sono state cercate a tutto tondo, sia in organizzazioni
di tutte le dimensioni, sia attraversando i temi più vari. Nel risultato finale, poi, questa base di
conoscenza si è poi aperta alla review e al contributo pubblico, consentendogli di crescere
ulteriormente, in maniera critica.
I kit comunicativi
Diversi tipi di soggetti e comunità hanno diversi tipi di esigenza comunicativa, diversi
linguaggi, diverse esigenze, diverse visioni dell’opportunità. Per poter comunicare con i
diversi tipi di attori nella società – dagli individui, alle comunità, alle aziende, alle istituzioni
– in questa fase ha preso avvio quello che poi è destinato a diventare un elemento
fondamentale della comunicazione del centro: i kit di comunicazione, tramite cui il centro si
racconta e aiuta gli altri a poterlo raccontare.
Disseminazione controllata e feedback
A Luglio 2020 ha preso avvio la fase di disseminazione controllata, in cui, mentre i lavori
dell’inner circle continuavano, è anche cominciata uno stadio in cui le informazioni circa il
modo in cui stavamo progettando e creando il centro di ricerca sono state condivise con altri
ricercatori, imprenditori, policy-maker
, designer, accademici, educatori, innovatori sociali e
altri profili, in maniera ancora selezionata, e prestando cura di tentare di attivare per primi
quelli che avevano già manifestato interesse per l’iniziativa.
L’obiettivo era quello di ottenere dei feedback sia generali – sul processo e sulla qualità
dell’implementazione – che specifici per quanto riguarda il modo in cui diversi tipi di attori
possono immaginare di agire nell’architettura proposta, o nelle sue varianti.
Pubblicazione degli “appunti aperti” e dialogo pubblico
Durante tutte le fasi della progettazione, il gruppo di progetto ha prestato molta cura
all’espressione nella sfera pubblica, sia con iniziative proprie che partecipando alle iniziative
di altre organizzazioni.
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Forse il modo più evidente di questa presenza nello spazio della comunicazione pubblica è
costituito dagli appunti aperti
.
Frutto della collaborazione con Opera Viva Magazine , gli appunti aperti sono un format
5
narrativo e divulgativo che si è deciso di usare per poter rilasciare pubblicamente
documentazione anche non finita, in progress
, al fine di suscitarvi sopra un dibattito pubblico
con il duplice scopo di rendere nota l’operazione e di ottenere feedback sui concetti espressi
anche in maniera più informale (come ad esempio tramite post e commenti sui social
network).
La serie di 10 articoli pubblicati sul magazine
si intitola “La Cura ai tempi del Coronavirus”
(Iaconesi, 2020), e la narrazione parte da una rottura: durante la pandemia COVID19, a uno
dei fondatori del centro, Salvatore Iaconesi, torna il cancro. L’esperienza della Cura (Iaconesi
e Persico, 2016a) e il particolare ruolo dei dati nell’affrontare un problema complesso e
planetario come la pandemia è lo stimolo per suggerire la necessità di una disruption
epistemologica, che si incarna nel nascente nuovo centro di ricerca.
Ogni articolo è stato pubblicato e rilanciato pubblicamente sui principali social network
(Facebook, Twitter, Instagram). I primi 5 articoli, pubblicati in questo modo hanno avuto –
dai soli account social di Salvatore Iaconesi e di HER: She Loves Data – un reach di circa
35mila, circa 2mila reazioni, circa 200 condivisioni e, più importante ancora, circa 400
commenti.
Al 29 Luglio 2020 erano stati pubblicati i primi 5 articoli.
Il primo, introduttivo, con il titolo di “Sogni e nuovi rituali” , introduce il format generale –
6
una narrativa di near future, seguita da una analisi critica da una serie di indicazioni
metodologiche e implementative – e comincia a parlare dei Rituali del Nuovo Abitare
, per
essere in grado di esistere nel mondo iperconnesso, globalizzato e a rischio di problemi
ecosistemici come il cambiamento climatico, le pandemie, la salute, la povertà e gli altri,
attraverso una nuova alleanza con i dati e gli agenti computazionali.
Il secondo articolo, “I rituali del nuovo abitare. Dopo la tragedia.” , affronta il tema della
7
Cultura Ecosistemica, frutto del conflitto tra due dinamiche che apparentemente non possono
coesistere: “quello individuale, fatto del mio corpo, del mio livello psicologico, di un mio
5 Opera Viva Magazine, https://operavivamagazine.org/
6 Sogni e nuovi rituali, https://operavivamagazine.org/sogni-e-nuovi-rituali/
7 I rituali del nuovo abitare. Dopo la tragedia.,
https://operavivamagazine.org/i-rituali-del-nuovo-abitare-dopo-la-tragedia/
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centro” e “quello dell’ecosistema, che è diffuso, sistemico, ubiquo, sociale, complesso”. La
soluzione è nel ruolo dell'arte – capace di avere a che fare con la dimensione della tragedia,
dell'incompletezza e del paradosso – e della sensitilità
, l'attitudine a farsi senso, ad essere
soggetto/oggetto di esperienza sensoriale.
Il terzo articolo, “Intimità, Incompletezza, Interpretazione. Rituali del sé connettivo dopo la
tragedia” , inizia a trattare il passaggio da quella che attualmente è una pratica estrattiva a ciò
8
che manca per trasformarla in un rituale dell'autorappresentazione, dell'espressione. Un primo
punto è quello di aprirsi alle opportunità del vivente – che sia a base di carbonio, di silicio, o
di articoli di un contratto –, ovvero al fatto di dover avere a che fare con una realtà ambigua,
paradossale, incompleta, solo parzialmente conoscibile, e interpretabile.
«Questa è una differenza sostanziale perché, mentre nella prima modalità [quella
dell'incompletezza e dell'interpretazione], il dato è un inizio
(dell’ipotesi, dell’osservazione,
del dialogo), in questa seconda modalità [quella dell'estrazione e del calcolo] il dato è una
fine
: il dato viene utilizzato per costruire una rappresentazione, e tutto il discorso finisce lì. Il
dato, nel quantified self, esiste su un solo livello: quello dell’estrazione, da cui fabbricare un
dispositivo con cui auto-consumarsi. Nei nuovi rituali vogliamo, invece, orientarci su una
maggior capacità, su una banda comunicativa e metacomunicativa più ampia, sulla possibilità
di abilitare l’interazione su più livelli, con più tipologie di contributi.»
Il quarto articolo, “Quelli che Immuni non è” , prende come spunto la cronaca della
9
pandemia, con l'adozione delle app
di contact tracing
, per avviare l'osservazione di come i
rituali del nuovo abitare basati su dati e computazione possano entrare a far parte della
quotidianità. Può una cosa che è solo
utile, o che funzioni
farne parte? Ovviamente dipende
da quale sia l'oggetto del discorso. Nell’articolo viene introdotto l'argomento della valenza
emotiva, relazionale, simbolica, culturale, espressiva, magica di oggetti, servizi, piattaforme
ed altri. In generale, di capacità di generare senso e ownership
, e di come l'estetica – ovvero
l'essere esposti ai sensi – e la ritualità possano essere validi supporti all'emersione di queste
caratteristiche.
8 Intimità, Incompletezza, Interpretazione. Rituali del sé connettivo dopo la tragedia.
https://operavivamagazine.org/intimita-incompletezza-interpretazione-rituali-del-se-connettivo-dopo-la-tragedia
/
9 Quelli che Immuni non è. https://operavivamagazine.org/quelli-che-immuni-non-e/
19
Il quinto articolo, “La Spirale della Conoscenza” , entra nel vivo dei modelli del centro di
10
ricerca, la sua architettura, le sue geometrie e le sue pratiche. In particolare, viene analizzato
il modello performativo di conoscenza che viene coltivato: la conoscenza è viva e organica
nella società solo se è performata da tanti tipi di attori diversi.
«Da questo punto di vista, la conoscenza si può descrivere come un organismo vivente:
quando nasce, nasce sempre per riproduzione di due o più concetti, attori, informazioni, dati,
oggetti o cos’altro. E mentre vive, vive delle e nelle interpretazioni degli attori che ci
interagiscono: che siano le persone che usano questa conoscenza per la loro vita o per farne
altra, o che siano le entità computazionali che raccolgono questa conoscenza per qualche
motivo, che sia il renderla accessibile in qualche modo da un motore di ricerca, o che sia per
tentare di elaborarla con i processi dell’intelligenza artificiale (Nota: nell’epoca della
mediazione digitale, può la conoscenza entrare in relazione con un albero? o con il mare? o
con altri attori attori non umani? certamente).»
Nello stesso articolo si ipotizza per la prima volta una iterazione pubblica per una definizione
del centro, dei suoi temi e del suo funzionamento:
«HER She Loves Data si occupa del ruolo dei dati e della computazione nelle dimensioni
psicologica, relazionale, sociale e ambientale. HER She Loves Data se ne occupa non
utilizzando modelli estrattivi, ma esistenziali: i dati e la computazione sono elementi
dell’esistenza degli attori di cui sono parte, e dei modi in cui questi attori decidono di
aggregarsi e rappresentarsi. Non vengono«estratti» dai comportamenti e dall’ambiente per
poi essere elaborati, studiati e rappresentati nella separazione del laboratorio. Invece vengono
generati dagli attori dell’ecosistema e dalle loro aggregazioni, e vivono di una nuova alleanza
tra ricercatori, persone, agenti computazionali e ambiente, in cui tutti diventano partner del
processo di ricerca.
HER She Loves Data usa l’Arte come modalità di conoscenza partecipativa in questo
processo. HER She Loves Data sperimenta, studia e progetta le ritualità tramite cui dati e
computazione si manifestano nelle vite delle persone, delle comunità, delle organizzazioni,
delle istituzioni e degli attori non umani – ad esempio quelli del nostro ambiente, o gli attori
computazionali –, per come queste abitano il nostro mondo, da sole e in relazione con gli altri
attori.
10 La Spirale della Conoscenza, https://operavivamagazine.org/la-spirale-della-conoscenza/
20
Il modello di conoscenza che costituisce l’infrastruttura fondamentale di HER She Loves
Data è l’Archivio dei Rituali del Nuovo Abitare.»
I prossimi passi
I prossimi passi della creazione e progettazione del centro di ricerca saranno i seguenti:
-costruzione del network e feedback estesi
; utilizzando i risultati dei passi precedenti, e
coinvolgendo gli attori intervenuti fino a questo punto e le loro reti di riferimento, si
procederà alla composizione di un network esteso che avrà sia il ruolo di
validare/correggere il modello proposto, sia quello di iniziare a prendere posizione nel
centro di ricerca ed intorno ad esso, in vista dei passi successivi;
-identificazione della sede e fundraising
; dato lo stato della fase di progettazione, si
inizieranno ad avere presenti le caratteristiche degli spazi e delle infrastrutture (fisiche
e online) che serviranno al centro di ricerca, nonché la dotazione economica che sarà
necessaria per il suo avvio; si potrà quindi cominciare la ricerca delle sedi più adatte
(online e offline) per creare il centro, nonché a organizzare ed eseguire la strategia di
fundraising, sia istituzionale che nella sua componente partecipativa, per esempio con
le aziende del territorio selezionato e le sue comunità;
-progettazione di dettaglio, progettazione esecutiva a implementazione pluriennale
;
una volta identificati i luoghi e le modalità di esecuzione operativa, si potranno
avviare le fasi di progettazione di dettaglio ed esecutiva – in cui i modelli vengono
ricondotti a spazi fisici, risorse economiche effettivamente disponibili, a piani
temporali precisi, al coinvolgimento di personale, alla creazione di infrastrutture e
all’attivazione di servizi –, e alla conduzione pluriennale del programma.
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22
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Ostrom E. (1990) Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective
Action. Cambridge, UK: Cambridge University Press.
----- NOTE ---
Ho trovato questo concetto della boundary organization molto interessante: non non siamo
una boundary organization, ma ne abbiamo degli elementi, e ne possiamo studiare le
caratteristiche e gli esempi, perché ne esistono
https://en.wikipedia.org/wiki/Boundary_organization
Boundary organizations are formal organizations designed to exist at the interface of research
and policy organizations and facilitate communication and collaboration between them
(Guston, 2001: 399–401). They share three criteria. First, they provide opportunities and
incentives for creating and using boundary objects. Boundary objects are objects, such as
conceptual models, classification systems, and material entities, that allow members of
different communities to interact and coordinate their practices despite sometimes divergent
perceptions of the object (Star and Griesemer, 1989). Second, they involve participation by
policymakers and researchers, as well as professionals who mediate between them. Third,
they exist at the frontier of the science and policy communities but are accountable to both.
Guston, DH (2001) Boundary organizations in environmental policy and science: An
introduction. Science Technology, & Human Values 26: 299–408.
23
Star, SL, Griesemer, JR (1989) Institutional ecology, ‘translations’ and boundary objects:
Amateurs and professionals in Berkeley’s Museum of Vertebrate Zoology, 1907–39. Social
Studies of Science 19: 387–420.
It also examined whether such organizations provide a disciplinary foundation for
‘post-academic’ science.
Hellström, T, Jacob, M (2003) Boundary organisations in science: From discourse to
construction. Science and Public Policy 30: 235–238.
More recent work has investigated the ability of boundary organizations to commensurate the
interests of diverse groups
O’Mahony, S, Bechky, BA (2008) Boundary organizations: Enabling collaboration among
unexpected allies. Administrative Science Quarterly 53: 422–459.
24
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Article
Full-text available
This article describes their biopolitical implications for design from psychological, cultural, legal, functional and aesthetic/perceptive ways, in the framework of Hyperconnectivity: the condition according to which person-to-person, person-to-machine and machine-to-machine communication progressively shift to networked and digital means. A definition is given for the terms of "interface biopolitics" and "data biopolitics", as well as evidence supporting these definitions and a description of the technological, theoretical and practice-based innovations bringing them into meaningful existence. Interfaces, algorithms, artificial intelligences of various types, the tendency in quantified self and the concept of "information bubbles" will be examined in terms of interface and data biopolitics, from the point of view of design, and for their implications in terms of freedoms, transparency, justice and accessibility to human rights. A working hypothesis is described for technologically relevant design practices and education processes, in order to confront with these issues in critical, ethical and inclusive ways.
Article
Full-text available
Our research examines how parties challenging established social systems collaborate with defenders of those systems to achieve mutual goals. With field interviews and observations from four community projects in the open-source movement, we examine how these projects collaborated with firms defending proprietary approaches to software development. Drawing on social movement and organizational theory, we explain how challenging parties not only mobilize to achieve their goals but how they are able to transform contestation into collaboration. Open-source projects and firms held divergent interests but discovered areas of convergent interest and were able to adapt their organizing practices to collaborate through the creation of a boundary organization. By showing how boundary organizations help challengers and defenders manage four critical domains of organizing practices—governance, membership, ownership, and control over production—we provide analytic levers for determining when boundary organizations work. At the same time, we reveal the subsequent triadic role structure that unfolded among communities, the boundary organizations they designed, and firms.
Conference Paper
The Third Infoscape is a concept which originates from Soja's Thirdspace, Clèment's Third Landscape and Casagrande's Third Generation City. The Third Infoscape deals with the ruins of digital communication just as the Third Generation City deals with the ruins of the industrial city, the Third Landscape deals with ruins of gardens and Thirdspace deals with ruins of regulation and governance. Human beings and the environment ruin the city, and ruins are the city's syncretic maps, describing (in negative) usage patterns and, thus, becoming a form of knowledge of the life of the city. In the data-city, ruins are an open-source global that is progressively becoming the only one that can welcome transgressive behaviors. These are needed for radical innovation, and to host diversity. Floating between small data and big data, amidst the smart dust which circulates in the city, and in the emotions, expressions, desires, relations, interactions and imaginations expressed by humans, digital smart agents and network connected objects and environments, the Third Infoscape is the ruin of digital communication and interaction in the Industrial City. What role is there for transgression in the Smart City? What form of governance for the Third Infoscape? Gilles Clément, talking about the Third Landscape, wonders "what form does a gardener of a garden without a form have?" The answer is that it is a gardener with different tools and methods: not rake and shovel, but wind and knowledge. This scenario holds great opportunities for Design, but requires the cultivation of such tools and methods, since Design Education, and what Massimo Canevacci defines as Methodological Indiscipline, and Elizabeth Grosz calls Excess Space.
Article
Objets fronti_re = s'adaptent pour prendre en compte plusieurs points de vue et maintenir une identité entre eux Cet espace de travail se construit grâce à des objets-frontières tels que des systèmes de classification, qui relient entre eux les concepts communs et les rôles sociaux divergents de chaque groupe professionnel. Les objet-frontière contribuent à la stabilité du système de référence en offrant un contexte partagé pour la communication et la coopération. Les objets peuvent être considérés comme frontière (Star et Griesemer, 1989) en tant qu’ils contribuent à la stabilité du système de référence en offrant un contexte partagé pour la communication et la coopération.
Book
What is the impact of information and communication technologies (ICTs) on the human condition? In order to address this question, in 2012 the European Commission organized a research project entitled The Onlife Initiative: concept reengineering for rethinking societal concerns in the digital transition. This volume collects the work of the Onlife Initiative. It explores how the development and widespread use of ICTs have a radical impact on the human condition. ICTs are not mere tools but rather social forces that are increasingly affecting our self-conception (who we are), our mutual interactions (how we socialise); our conception of reality (our metaphysics); and our interactions with reality (our agency). In each case, ICTs have a huge ethical, legal, and political significance, yet one with which we have begun to come to terms only recently. The impact exercised by ICTs is due to at least four major transformations: the blurring of the distinction between reality and virtuality; the blurring of the distinction between human, machine and nature; the reversal from information scarcity to information abundance; and the shift from the primacy of stand-alone things, properties, and binary relations, to the primacy of interactions, processes and networks. Such transformations are testing the foundations of our conceptual frameworks. Our current conceptual toolbox is no longer fitted to address new ICT-related challenges. This is not only a problem in itself. It is also a risk, because the lack of a clear understanding of our present time may easily lead to negative projections about the future. The goal of The Manifesto, and of the whole book that contextualises, is therefore that of contributing to the update of our philosophy. It is a constructive goal. The book is meant to be a positive contribution to rethinking the philosophy on which policies are built in a hyperconnected world, so that we may have a better chance of understanding our ICT-related problems and solving them satisfactorily. The Manifesto launches an open debate on the impacts of ICTs on public spaces, politics and societal expectations toward policymaking in the Digital Agenda for Europe's remit. More broadly, it helps start a reflection on the way in which a hyperconnected world calls for rethinking the referential frameworks on which policies are built. © 2015, Springer International Publishing. All rights reserved.
Book
Who are we, and how do we relate to each other? This book argues that the explosive developments in Information and Communication Technologies (ICTs) is changing the answer to these fundamental human questions. As the boundaries between life online and offline break down, and we become seamlessly connected to each other and surrounded by smart, responsive objects, we are all becoming integrated into an "infosphere". Personas we adopt in social media, for example, feed into our 'real' lives so that we begin to live, as Floridi puts in, "onlife". Following those led by Copernicus, Darwin, and Freud, this metaphysical shift represents nothing less than a fourth revolution. "Onlife" defines more and more of our daily activity - the way we shop, work, learn, care for our health, entertain ourselves, conduct our relationships; the way we interact with the worlds of law, finance, and politics; even the way we conduct war. In every department of life, ICTs have become environmental forces which are creating and transforming our realities. How can we ensure that we shall reap their benefits? What are the implicit risks? Are our technologies going to enable and empower us, or constrain us? This volume argues that we must expand our ecological and ethical approach to cover both natural and man-made realities, putting the 'e' in an environmentalism that can deal successfully with the new challenges posed by our digital technologies and information society.
Article
Scholarship in the social studies of science has argued convincingly that what demarcates science from nonscience is not some set of essential or transcendent characteristics or methods but rather an array of contingent circumstances and strategic behavior known as "boundary work" (Gieryn 1995, 1999). Although initially formulated to explain how scientists maintain the boundaries of their community against threats to its cognitive authority from within (e.g., fraud and pseudo-science), boundary work has found useful, policy-relevant applications-for example, in studying the strategic demarcation between political and scientific tasks in the advisory relationship between scientists and regulatory agencies (Jasanoff 1990). This work finds that the blurring of boundaries between science and politics, rather than the intentional separation often advocated and practiced, can lead to more productive policy making. If it is the case, however, that the robustness of scientific concepts such as causation and representation are important components of liberal-democratic thought and practice (Ezrahi 1990), one can imagine how the flexibility of boundary work might lead to confusion or even dangerous instabilities between science and nonscience. These risks could be conceived, perhaps, as the politicization of science or the reciprocal scientification of politics. Neither risk should here be understood to mean the importation to one enterprise from the other elements that are entirely foreign; that is, science is not devoid of values prior to some politicization, nor politics of rationality, prior to any scientification. Rather, both should be understood to mean the rendering of norms and practices in one enterprise in a way that unreflexively mimics norms and practices in the other. These concerns have been central to the socalled science wars, and to the extent that they are implicated in public discussions of such policy issues as health and safety regulation, climate change, or genetically modified organisms, they are real problems for policy makers and publics alike.'