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Neretva
Copyright © Giulia Selmi, giugno 2016
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ISBN 978 88 97967 23 1
Immagine di copertina, graca di copertina e illustrazioni a cura di
Paola Paganotto.
Redazione Editoriale a cura di Emma Bombarda.
Bébert Edizioni, via Vasari 22/b, 40128 Bologna
Giulia Selmi
SEX WORK
Il farsi lavoro della sessualità
INDICE
Introduzione
1. Femminile deviante: le prime
interpretazioni della prostituzione
2. Donne oggetto: il dibattito
femminista abolizionista
3. Ri-scrivere la prostituzione: le
lavoratrici del sesso prendono parola
4. Un lavoro sì, ma che tipo di lavoro?
Pensieri Conclusivi
Bibliograa
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25
41
59
71
76
7
INTRODUZIONE
Ancora oggi per denire la prostituzione - in tut-
te le sue molteplici forme - viene utilizzata spes-
so l’espressione il mestiere più antico del mondo.
Sebben suoni letteraria, si tratta di un’espressione
particolarmente insidiosa.
Da un lato, affermare che lo scambio di sesso per
denaro è antico tanto quanto lo è il mondo lo qua-
lica come un fenomeno astorico - che sempre è
stato e che sempre sarà - che trova le sue radici in
presunti rapporti naturali tra i sessi. In questa pro-
spettiva i desideri e le scelte di singoli e singole, i
modelli sociali di maschilità e di femminilità, i rap-
porti di potere dentro e oltre i generi, le disugua-
glianze sociali e i sistemi di produzione, le migra-
zioni, le politiche pubbliche e tutto quell’insieme
di elementi socio-storici che danno forma concreta
alle soggettività di chi lavora nel commercio del
sesso restano nell’ombra.
Dall’altro lato, proprio se la vendita di servizi
sessuali possa o meno essere legittimamente con-
siderata un mestiere è questione tutt’altro che as-
sodata. Quale signicato si debba attribuire allo
SEX WORK
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Introduzione
scambio di sesso per denaro anima da decenni un
acceso confronto sia all’interno dei femminismi che
nelle scienze sociali e nel dibattito pubblico: stori-
camente considerata una forma di devianza mora-
le e sociale delle donne, oggi coesistono (e spesso
coniggono) letture del commercio del sesso come
mercicazione e vittimizzazione del femminile e
letture che – entro una cornice di autodetermina-
zione – la interpretano come una delle possibili
forme di lavoro. In molti paesi europei, il prevalere
di una visione sull’altra ha orientato le leggi e le po-
litiche pubbliche, incidendo in maniera signicati-
va sulla vita delle donne, delle persone transessuali
e degli uomini che vi sono coinvolti.
Dal punto di vista biograco, la prima volta che
mi è capitato di assistere ad un dibattito sul mestiere
più antico del mondo, come veniva chiamato anche in
quell’occasione, una relatrice invitata da un grup-
po di donne del paesino dove sono nata parlava
con veemenza della necessità di impegnarsi – come
donne – a salvare le donne che si prostituivano. La
premessa non detta era che nessuna donna si sa-
rebbe mai prostituita se non costretta e che era un
nostro dovere (di noi che non eravamo prostitute)
operarci per abolire la prostituzione quale forma di
violenza contro le donne. All’epoca ero poco più
che adolescente, il discorso mi convinse e aggiunsi
al mio lessico in divenire di giovane femminista il
contrasto alla prostituzione.
Alcuni anni dopo ho avuto la fortuna – grazie alla
militanza nel progetto Sexyshock1- di conoscere al-
cune donne e persone transessuali che si prostitu-
ivano, che ne avevano fatto un terreno politico e
che rivendicavano il diritto a prendere parola sulla
loro vita ed il loro lavoro. Se l’ignota relatrice che
avevo conosciuto parlava delle donne che si pro-
stituiscono come vittime da salvare, loro mi riman-
davano un’immagine completamente differente:
lavoratrici, autodeterminate, libere. Di fronte alle
loro storie, le mie certezze manichee sul commercio
del sesso si sono sgretolate. Prima fra tutte quella
che si possa parlarne senza prendere in serissima
considerazione le elaborazioni culturali e politiche
delle persone che vi sono coinvolte in prima per-
sona. In secondo luogo che, come dei femminismi,
è necessario parlarne al plurale poiché molte sono
le ragioni, le esperienze e le materiali condizioni di
vita di ne fa parte. Con questo non voglio afferma-
re che all’interno del mercato del sesso non vi siano
forme di sfruttamento e coercizione (nel contesto
contemporaneo principalmente migranti), ma che
non è equiparando qualunque forma di scambio di
sesso per denaro alla violenza che è possibile com-
prenderne la complessità né, tanto meno, svilup-
pare pensieri e pratiche capaci di promuovere real-
mente il benessere, i diritti e l’autodeterminazione
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SEX WORK
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dei soggetti che vi sono coinvolti.
In questo libro non ho la presunzione di risponde-
re a tutte le molteplici questioni che solleva lo scam-
bio di sesso per denaro, ma mi auguro che queste
pagine possano essere una bussola per orientarsi
nelle trasformazioni dei signicati sociali attribuiti
alla prostituzione, in particolare sulla sua visione
come sex work. Il primo capitolo esplora la visio-
ne della prostituta come donna deviante rispetto ai
canoni morali e sociali di femminilità; il secondo
capitolo si concentra sul dibattito del femminismo
abolizionista – ovvero quello che l’analizza come
forma di subordinazione e promuove l’abolizione
della prostituzione; il terzo cede la parola al movi-
mento delle sex workers e al processo di radicale
riscrittura che hanno fatto del termine prostituzio-
ne; il quarto e ultimo capitolo racconta come questo
processo di riscrittura abbia inuito sulla ricerca
sociale in questo ambito e permesso di produrre
conoscenze meno stereotipate e più efcaci.
Per farlo farò riferimento principalmente alle te-
orie e alle ricerche empiriche sviluppate nell’am-
bito delle scienze sociali, della teoria femminista e
all’interno del movimento delle e dei sex workers.
Indipendentemente dal mio personale modo di at-
traversare questi signicati, la bibliograa in chiu-
sura del volume contiene una selezione di testi at-
traverso i quali le prospettive tratteggiate in questo
testo possono essere approfondite.
1 Per maggiori informazioni si può consultare il sito www.ecn.
org/sexyshock o il blog http://atelierbetty.noblogs.org . Sul
mercato del sesso, in particolare, si può consultare la pagina
http://www.ecn.org/sexyshock/xprostitu.htm
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1. FEMMINILE DEVIANTE:
LE PRIME INTERPRETAZIONI
DELLA PROSTITUZIONE
Le prime interpretazioni della prostituzione nel
mondo occidentale si possono far risalire alla mo-
rale cristiana che la considerava un’identità de-
viante rispetto alla “naturale” identità della don-
na connessa al ruolo di sposa e di madre virtuosa.
Nella morale cristiana i piaceri del corpo erano vi-
sti come una conseguenza del peccato originale, ed
il sesso come una funzione animalesca comprensi-
bile soltanto nella cornice del matrimonio e della
riproduzione. Secondo questi assunti, le donne che
vendono sesso sporcano con il denaro la purezza dei
rapporti sessuali destinati alla procreazione, sono
peccatrici che hanno ceduto ai piaceri della carne e
che, così facendo, si collocano volontariamente ed
irrimediabilmente al di fuori dei modelli morali e
rispettabili di femminilità. Non sono solo indivi-
dualmente peccatrici, ma con il loro operato met-
tono a repentaglio la salute morale della società nel
suo complesso minando l’istituzione del matrimo-
nio, della liazione legittima e della famiglia.
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Questa lettura della prostituzione nel corso dei
secoli ha travalicato i conni della confessione cri-
stiana ed ha profondamente inciso sulle successive
letture secolari che sono state date di questo feno-
meno. In particolare, esse ne hanno ereditato la vi-
sione immorale della prostituzione in virtù dello
scambio in denaro e la concezione della prostitu-
zione come devianza morale delle donne dal loro
“naturale” divenire spose e madri. Nell’Inghilterra
della seconda metà dell’800, per esempio, venne-
ro prodotte numerose pubblicazioni scientiche a
sostegno del Contagious Disease Act - una legge che
istituiva l’obbligo di identicare pubblicamente le
prostitute e di sottoporle a trattamenti sanitari co-
atti per le malattie veneree – le quali identicava-
no nella prostituzione una patologia morale delle
donne che perverte la femminilità rispettabile, cor-
rompe e infetta il resto della società. In particolare
in Prostitution (1870), un testo molto inuente all’e-
poca, l’autore William Acton risponde così alla do-
manda “che cos’è una prostituta?”:
È una donna che dà per soldi ciò che do-
vrebbe dare solo per amore, che provvede
alla passione e alla lussuria da sola no
all’esclusione e all’estinzione di tutte le più
alte qualità. (…) È una donna a metà e la
metà che ha perduto è quella che contiene
tutti gli aspetti che elevano la sua natura,
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Femminile deviante: le prime interpretazioni della prostituzione
riducendola a mero strumento dell’im-
purità, degradata e caduta in disgrazia lei
estorce dai peccati degli altri il suo mezzo
di sostentamento, corrotta e dipendente
dalla corruzione e dunque interessata di-
rettamente al proliferare dell’immoralità.2
L’idea della prostituzione come devianza mora-
le delle donne è stata poi sostenuta, questa volta
in Italia, dalla scuola positiva di Cesare Lombroso.
Con un discutibile approccio di stampo bio-antro-
pologico, Lombroso e Ferrero nel saggio La donna
delinquente. La prostituta e la donna normale (1893)
classicano la devianza femminile nella categoria
della “prostituta nata” corrispettivo femminile del
“criminale nato”. Secondo Lombroso, la prostitu-
zione fungeva per le donne da elemento sostitutivo
del delitto, tipico dell’uomo e come esso andava
investigata scoprendo le cause psicologiche e si-
che che rendevano alcuni soggetti inclini a questi
comportamenti devianti. Nel testo, dopo una lunga
dissertazione sulle caratteristiche siche e morali
delle donne “normali” – che, seppur tali, sono per
gli autori “naturalmente” inferiori agli uomini per
congurazione sica e intelligenza – i due identi-
cano la categoria delle “prostitute nate” distinguen-
dole dalle altre donne per la loro “pazzia morale”.
Questa categoria femminile è prodotta secondo gli
autori da “ragioni ataviche e sociali”: da un lato, in-
fatti, vi sono precise caratteristiche siche devianti
come la grandezza del cranio, delle mani o dei pie-
di, oppure il ciclo mestruale o la soglia di soppor-
tazione del dolore che nelle prostitute hanno tratti
anomali rispetto alle donne “oneste”. Dall’altro, le
donne che si prostituiscono trasgrediscono le nor-
me dell’evoluzione morale: in particolare, non svi-
luppano il senso del pudore che, secondo gli autori,
è il sentimento caratteristico del femminile “sano”
poiché permette di diventare una madre ed una
sposa morigerata.
Il sociologo Georg Simmel denisce la prostitu-
zione come un rapporto sessuale “senza ieri e sen-
za domani” che avviene al di fuori del matrimo-
nio e per il quale viene corrisposto un compenso
in denaro. È proprio la presenza di un pagamento
in denaro a qualicare la prostituzione come atti-
vità intrinsecamente degradante poiché esso “non
è mai l’intermediario adeguato ai rapporti tra gli
esseri umani” (Simmel 1984, p. 536) e li riduce a
puro mezzo per ottenere vantaggi di tipo materia-
le. Questa degradazione, tuttavia, secondo Simmel
è più forte per le donne (che vendono) che per gli
uomini (che comprano) in virtù di una “naturale”
diversità di uomini e donne nell’esperienza del-
la sessualità. È la prostituta, infatti, a gettare via
“quanto ha di più intimo e personale che dovreb-
be essere sacricato soltanto in base ad un impulso
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Femminile deviante: le prime interpretazioni della prostituzione
del tutto individuale”3 poiché nell’animo femmini-
le la sessualità e l’amore non sono sentimenti diffe-
renziati tanto quanto lo sono negli uomini. Mentre
gli uomini che comprano sesso possono concedersi
qualche “stravaganza sessuale” senza per questo
mettere in gioco né la loro integrità né “la fedeltà
nei confronti della propria moglie almeno in tutto
ciò che è intimo ed essenziale”4. La prostituzione,
quindi, è una pratica immorale per la donna poiché
nello scambio di sesso per denaro si compie il più
profondo avvilimento della sua personalità, men-
tre per gli uomini si congura come una transazio-
ne che non incide né sulla loro integrità morale né
sulla loro posizione sociale. Anzi, in qualche modo
contribuisce a conservarla. È interessante notare,
infatti, come per Simmel – e per tutte le interpre-
tazioni della prostituzione come devianza femmi-
nile– questa si congura come un “male neces-
sario”. Un “male” perché è una pratica immorale
esercitata da donne che hanno perso la loro stessa
umanità tradendo il canone della femminilità ri-
spettabile. “Necessario” perché, seppur nella sua
amoralità, è un’istituzione che soddisfa i presunti
appetiti biologici degli uomini che, non trovando
sfogo diversamente, rischierebbero di mettere in
crisi le altre istituzioni sociali “sane” (come il ma-
trimonio) nonché l’onore delle donne per bene. So-
stanzialmente, tutte queste posizioni sottoscrivono
la massima di Tommaso d’Acquino per la quale “la
donna pubblica è nella società ciò che la sentina è
in mare e la cloaca nel palazzo. Togli la cloaca e
l’interno palazzo ne verrà infettato”5. Presupposto
di fondo a questa interpretazione della prostitu-
zione è una visione essenzialista e patriarcale dei
sessi che attribuisce per natura a uomini e donne
bisogni, comportamenti e ruoli sociali differenti in
precise asimmetrie di potere. Essere una prostituta
si congura come una sorta di attributo deviante
dell’esser donna in senso ontologico e nessuna at-
tenzione viene posta agli elementi sociali, culturali
ed economici connessi al commercio del sesso.
Nel corso del ‘900, invece, altre posizioni, pur
continuando a leggere la prostituzione come for-
ma di devianza dalla norma, l’hanno interpretata
a partire dai fattori sociali che la pongono in es-
sere. Un buon esempio per comprendere la rottu-
ra tra una concezione della devianza come fatto
individuale e la devianza come fatto sociale sono
gli studi sviluppati dalla cosiddetta Scuola di
Chicago. Le ricerche fatte da Park e colleghi della
Scuola di Chicago sulla prostituzione si inserisco-
no in un più ampio progetto di ricerca basato su
un approccio ecologico alla società, sull’idea cioè
che il tipo di comportamento prevalente all’inter-
no di un certo gruppo sociale sia largamente de-
terminato dall’ambiente socio-culturale nel quale
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Femminile deviante: le prime interpretazioni della prostituzione
questo gruppo viene a collocarsi e, dunque, non
dipenda da caratteristiche intrinseche dell’indivi-
duo. Essi, dunque, da un lato individuarono come
campo empirico delle loro ricerche la città di Chica-
go e si interrogarono sulla relazione tra l’ambiente
urbano e il grado di devianza dei soggetti che lo
occupano. Dall’altro, stabilirono che in precisi con-
testi urbani, specialmente in quelli socialmente più
svantaggiati, esistono precise subculture (anche
sessuali) che resistono e competono con la cultura
dominante producendo norme sociali ad hoc per la
sopravvivenza del gruppo stesso. In questo senso
le caratteristiche “devianti” non sono attributo de-
gli individui, ma sono collegate all’ambiente e alla
subcultura entro cui il soggetto si trova a vivere.
I sociologi della Scuola di Chicago, poi, perfezio-
narono e utilizzarono il metodo dell’osservazione
partecipante mutuato dall’antropologia per studia-
re queste subculture urbane con il risultato di esse-
re in grado di rendere conto delle esperienze delle
popolazioni studiate ed il processo di sense making
(ovvero il modo in cui gli individui danno senso
alla loro esperienza) che mettono in atto nella ge-
stione della loro vita quotidiana.
Per esempio nel 1932 Paul Cressey condusse uno
studio sulla prostituzione nascosta in un locale da
ballo, avvalendosi di collaboratori che si ngeva-
no clienti del locale, che permise per la prima volta
di identicare, fuor di morale, alcune caratteristi-
che salienti di questo mercato: le motivazioni che
spingevano le ballerine a lavorarci, il senso che esse
attribuivano a questa esperienza, i percorsi di car-
riera all’interno del mercato del sesso, la tipologia
di clienti, il ruolo che le relazioni di genere ed etni-
che avevano nel dare forma a questa esperienza. In
questo senso, dunque, la prostituzione non si con-
gura più come un attributo deviante dell’identità
femminile, ma come un comportamento prodotto
e radicato in precisi contesti urbani e sub-culturali
che va spiegato interrogando le precise contingen-
ze sociali, culturali e biograche entro cui si svilup-
pa.
Tuttavia, questa posizione, nonostante abbando-
ni l’essenzialismo congenito alle prime interpre-
tazioni esplorate, continua a mantenere il fuoco
sull’anormalità della prostituzione rispetto al ruolo
“normale” svolto dalla donna all’interno della so-
cietà, nonché a considerare parte in causa solo le
donne e non la relazione di genere che sottende lo
scambio di sesso per denaro. Una lettura completa-
mente diversa è stata fornita a partire dagli anni ’70
è stata elaborata all’interno del femminismo.
SEX WORK
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2 Tutte le citazioni da testi non in lingua italiana di cui non è
disponibile una traduzione sono state tradotte dalla sotto-
scritta. (cit. in Nead 1988, p. 101).
3 (Simmel 1984, p. 537).
4 (Simmel 1984, p. 539).
5 (cit. in Rossiaud 1984, p. 104).
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2. DONNE OGGETTO: IL DIBATTITO
FEMMINISTA ABOLIZIONISTA
Sin dal primo convegno organizzato sul tema a
New York nel 19716, il dibattito femminista sulla
prostituzione è stato molto controverso e al suo
interno, nel corso dei decenni, sono andate con-
gurandosi molte posizioni, talvolta diametralmen-
te opposte fra loro, a ulteriore conferma della ne-
cessità di descrivere l’esperienza del femminismo
al plurale: i femminismi. Nel corso degli anni ’80
queste posizioni sono andate progressivamente
polarizzandosi tanto da prendere il nome di Femi-
nist Sex War. Fu sempre un convegno il detonatore
di questo conitto. Nel 1982 al Barnard College di
New York un gruppo di studiose femministe tra cui
Carol Vance e Gayle Rubin organizzarono una con-
ferenza dal titolo Toward a Politics of Sexuality per
aprire un confronto politico e teorico sulla sessua-
lità sganciata dalla riproduzione. Le femministe di
gruppi quali Women Against Pornography (WAP)
e Women Against Violence Against Women (WA-
VAW) protestarono in maniera agguerrita all’in-
gresso della conferenza distribuendo volantini in
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Donne oggetto: il dibattito femminista abolizionista
cui accusavano le organizzatrici e le partecipanti di
promuovere un’idea della sessualità che degrada le
donne e di essere, sostanzialmente, antifemministe.
Al centro di questa guerra, infatti, vi era una visio-
ne opposta non solo della prostituzione, ma della
sessualità in senso più ampio. Le radical feminists
consideravano la sessualità un terreno pericoloso
perennemente a rischio di consolidare l’oppressio-
ne maschile sulle donne in particolare in relazione
alla prostituzione, alla pornograa e alle pratiche
sadomasochistiche. Le femministe pro-sex, invece,
individuavano nella sessualità ed in alcune prati-
che sessuali un potenziale liberatorio e sovversivo
del modello patriarcale ed eteronormativo7.
In questo capitolo affronterò il dibattito femmi-
nista abolizionista ovvero quello che– al interno
della cornice del radical feminism – si è occupato in
maniera specica della prostituzione. La posizione
delle femministe abolizioniste è sintetizzabile come
segue: la prostituzione è sempre un danno indivi-
duale per le donne coinvolte nel mercato del sesso
ed un danno sociale per tutte le donne e per queste
ragioni che non può essere considerata una forma
di lavoro legittima, bensì una forma di violenza che
va abolita. Per chiarezza espositiva ho organizzato
questo dibattito attorno ai quattro concetti fonda-
mentali che lo animano: il ruolo del regime patriar-
cale, il ruolo del regime capitalista, lo statuto della
sessualità nella denizione dell’umanità degli indi-
vidui, la questione della libertà di scelta.
Le riessioni femministe sulla prostituzione si in-
seriscono in un più ampio progetto di riappropria-
zione della sessualità femminile8 e di critica delle
relazioni sessuali eterosessuali, considerate la pie-
tra angolare della dominazione maschile. In questa
prospettiva, infatti, la sessualità femminile è stata
concettualizzata come un’assenza il cui contenuto
è denito dal desiderio maschile, come “una cosa
che viene socialmente rubata, venduta, compra-
ta, barattata, o scambiata da altri e di cui le donne
non sono mai in possesso”9. Tutte le relazioni ete-
rosessuali vengono analizzate all’interno di questa
visione femminista come processi che istituziona-
lizzano a diversi livelli la dominazione maschile e
la subordinazione femminile e che pongono le basi
per tutte le altre forme di dominio a cui le donne
sono soggette nelle società capitalistiche occidenta-
li. In questo senso, quindi, la prostituzione si con-
gura in primo luogo come la metafora centrale
attraverso cui leggere l’intera sessualità femminile
oppure, detto in altri termini, “come la condizione
fondamentale delle donne”10 le cui cause vengono
individuate nell’ordine patriarcale che assegna agli
uomini la possibilità di essere soggetti del deside-
rio e del potere e alle donne la sola possibilità di
esserne oggetto. Fuor di metafora, invece, la prosti-
SEX WORK
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Donne oggetto: il dibattito femminista abolizionista
tuzione si congura come “un’istituzione che assi-
cura agli uomini di poter comprare l’atto sessuale
e così di esercitare il loro diritto patriarcale”11 ma,
soprattutto, come un’istituzione che contribuisce a
consolidarlo. La prostituzione, infatti, rappresen-
ta l’incarnazione della forma estrema del dominio
maschile sulle donne o come sostiene Kathleen
Barry “la fondazione della subordinazione delle
donne e la base da cui si rafforza e si consolida la
discriminazione contro le donne”12. Ogni relazione
di scambio di sesso per denaro, infatti, rinforzereb-
be la dicotomia tra uomini-soggetto e donne-ogget-
to contribuendo a mantenere le donne, sia quelle
che si prostituiscono che quelle che non lo fanno,
in una posizione di subordinazione. In questo sen-
so, chi si prostituisce e lo fa rivendicandolo come
scelta, collabora con il patriarcato poiché serve i
bisogni e i desideri degli uomini e, dunque, è re-
sponsabile, tanto quanto loro, della condizione di
occupazione dal desiderio e dal potere maschile a
cui sono soggette tutte le altre donne. Come sostie-
ne Barry, infatti,
[…] abbracciare il sesso della prostituzione
come l’identità che ci si sceglie vuol dire es-
sere attivamente impegnata nel promuove-
re l’oppressione delle donne a favore di se
stesse. Signica che una donna nella prosti-
tuzione promuove, quando lo sceglie come
sua identità, il sesso che i clienti comprano,
che è un sesso che rende oggetti, che disu-
manizza.13
Quali sono però le caratteristiche che rendono la
prostituzione l’istituzione che rappresenta la quin-
tessenza del dominio patriarcale e le prostitute
responsabili del perpetuarsi dell’ordine esistente?
È indubbio, infatti, che vi sono altri ambiti sociali
nei quali le donne servono i bisogni e asseconda-
no i desideri degli uomini, sia in ambito domesti-
co che in quello del lavoro, e che anche in essi si
riproducano le asimmetrie di potere tra uomini e
donne. Secondo queste interpretazioni femministe,
tuttavia, la prostituzione ha due caratteristiche che
la rendono “speciale” rispetto ad altre istituzioni
gendered: da un lato l’aspetto economico, dall’altro
la sua irreversibilità (Overall 1992). In primo luogo
la relazione di scambio di sesso per denaro esiste
esclusivamente in virtù di un rapporto economico
asimmetrico, mentre le altre relazioni “di servizio”
che esistono tra uomini e donne possono avveni-
re anche al di fuori di un contesto commerciale,
dunque considerato paritario in potenza. Inoltre,
l’esplicita monetarizzazione della sessualità con-
tribuirebbe a reicare le differenze di potere tra
gli uomini e le donne in modo più netto di quan-
to lo facciano altre relazioni diseguali tra i generi.
Sostanzialmente, dunque, se le altre relazioni pos-
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Donne oggetto: il dibattito femminista abolizionista
sono essere modicate dall’interno nella direzione
di una piena eguaglianza, lo scambio di sesso per
denaro, esattamente in virtù del denaro, non potrà
mai diventare equo, neppure nel caso in cui le con-
dizioni in cui esso si esercita o il potere contrattuale
delle donne che vi sono coinvolte diventino miglio-
ri “perché il sesso che viene venduto, non sarà mai
lo stesso sesso che non lo è”14. In secondo luogo,
poi, la prostituzione non è un’attività “reversibile”
(Overall 1992, p. 718): se, infatti, tutte le altre situa-
zioni in cui le donne offrono servizi gendered agli
uomini possono (e devono) essere pensate al con-
trario - ovvero gli uomini possono pulire la casa,
nutrire i gli, fare gli infermieri o i segretari - non è
pensabile che gli uomini vendano sesso per denaro
alle donne. Questa argomentazione, chiaramente,
non sostiene che questo fatto sia empiricamente im-
possibile, ma che esso possa diventare socialmente
rilevante e socialmente auspicabile come nel caso
delle situazioni nominate in precedenza. In questa
prospettiva, dunque, da un lato, non potranno mai
esserci tanti uomini quante donne che vendono ser-
vizi sessuali perché “la prostituzione non possiede
un valore al di fuori delle disuguaglianze di gene-
re in cui si esercita”15. Dall’altro, non è auspicabi-
le poiché se le donne comprassero sesso (cosa che
però già avviene) questo si congurerebbe come un
ulteriore adeguamento della femminilità ai modelli
di desiderio e di relazione propri della maschilità.
In virtù di queste premesse, la prostituzione non
può essere considerata un lavoro legittimo, ma una
condizione in cui le donne sono costrette dalle ine-
guaglianze di genere: nessuna donna, dunque, può
vendere sesso come lavoro – quindi essere sex wor-
ker – senza diventare automaticamente sex object –
oggetto sessuale – del cliente in primo luogo e del
patriarcato in senso più ampio.
All’analisi strettamente di genere che ho appena
illustrato, poi, alcuni contributi femministi di ispi-
razione marxista hanno afancato una lettura di
classe analizzando la prostituzione come una for-
ma di oppressione prodotta dalle condizioni sociali
e materiali in cui le donne si trovano collocate, e
non esclusivamente come una manifestazione dei
rapporti di potere fra i generi. A questo proposito,
Julia O’Connell Davidson sostiene, infatti, che
(…) la questione sul potere e sulla prosti-
tuzione non si può ridurre a semplici ar-
gomenti riguardo alla violenza maschile
contro le donne, ma ci deve invece far pen-
sare alle prostitute come soggetti attivi che
vengono spinti, con diversi gradi di costri-
zione, a prostituirsi.16
Se anche in questo caso l’esperienza della prosti-
tuzione non dipende da fattori individuali e non
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Donne oggetto: il dibattito femminista abolizionista
può congurarsi come un lavoro, dunque, essa
viene concettualizzata come il frutto di una disu-
guaglianza di genere a cui si sommano le disugua-
glianze di classe all’interno delle società capitalisti-
che. Da questo punto di vista, la prostituzione non
si congura come un’opzione per tutte le donne,
ma come l’unica alternativa a occupazioni scarsa-
mente retribuite e non qualicate per le donne de-
gli strati sociali marginali. Ciò che porta una donna
a cedere al cliente il potere temporaneo sul proprio
corpo, dunque, sono le condizioni strutturali in cui
le donne sono collocate come la povertà, il basso
livello di istruzione, la disoccupazione o l’appar-
tenenza ad una minoranza etnica (O’Connell Da-
vidson 1998). In questo senso, dunque, la questione
dirimente non è se la prostituzione è un lavoro o
meno, ma il fatto che sia un’occupazione classista e
sessista che va estirpata in quanto espressione delle
disuguaglianze sociali presenti nelle moderne so-
cietà capitalistiche.
Un’altra traiettoria di analisi femminista, invece,
ha concentrato la sua attenzione sulla dimensione
della sessualità o, meglio, sul valore “eccezionale”
che la sessualità ricopre nella costruzione dell’i-
dentità delle donne. In questo senso la prostituzio-
ne non è un danno per le donne solo perché ripro-
duce rapporti di dominazione e di subordinazione
sia di genere che di classe, ma “perché vi è qualche
intrinseca proprietà del sesso che rende la sua mer-
cicazione sbagliata”17. Questa argomentazione
sottolinea la connessione tra la sessualità e l’iden-
tità di una donna nonché quella tra la sessualità e
il “prosperare dell’umanità” (Kesler 2002, p. 224).
In primo luogo, infatti, si sostiene che la sessualità
è collegata in maniera più profonda di qualunque
altra attività umana all’identità di ciascuna e che,
dunque, la vendita di servizi sessuali aliena le don-
ne non solo dalla loro sessualità, ma dal loro io più
profondo compromettendolo in maniera irrever-
sibile. In questo senso, in un rapporto di prostitu-
zione non è possibile separare la vendita di servizi
sessuali dagli altri aspetti della propria identità e
dunque ciò che viene venduto in uno scambio di
sesso per denaro è la stessa umanità della donna
che si prostituisce (Millet 1973). In questo caso,
dunque, l’attenzione è focalizzata sui danni indi-
viduali che la vendita di sesso per denaro produce
su chi la esercita, danni che, come sottolineano Hoj-
gard e Finstad, la rende imparagonabile a qualun-
que altra forma di lavoro salariato esercitato dalle
donne:
(…) la prostituzione è una forma di oppres-
sione particolarmente brutale e dura per-
ché ha conseguenze tanto grandi e a lungo
termine per le donne. (…) La distruzione
che la prostituzione fa della vita emotiva,
35
Donne oggetto: il dibattito femminista abolizionista
dell’immagine di se stesse e del rispetto per
se stesse è così massiccia che il paragone
con il tipico lavoro salariato impallidisce.18
In secondo luogo è stato sottolineato come que-
sta connessione tra sessualità e umanità non abbia
delle conseguenze solo sul piano individuale, ma
anche sul piano collettivo. È stato sostenuto, infatti,
che l’esistenza di un mercato del sesso “promuove
l’esistenza di categorie inferiori di relazioni uma-
ne”19 che svalutano e distorcono i segni attraverso
cui vengono riconosciuti l’affettività, l’intimità, il
piacere, eccetera. L’esistenza della prostituzione,
dunque, oscurerebbe la vera natura delle relazioni
sessuali compromettendo la capacità collettiva di
valutare ed esperire delle interazioni sessuali sulla
base del desiderio, della volontarietà, del rispetto
reciproco (Kesler 2002) rovinando la presunta au-
tenticità delle relazioni umane non mercicate.
Inne, posizione condivisa da tutte e tre le argo-
mentazioni abolizioniste sulla prostituzione è che
non possa esistere nessuna forma di consenso da
parte delle donne che sono coinvolte nello scambio
di sesso per denaro. In base alle prime due argo-
mentazioni illustrate, infatti, i rapporti di genere
ed i rapporti socio-economici sottraggono alle don-
ne che si prostituiscono la possibilità di esercitare
una scelta vera e propria, ed il consenso viene letto
come una strategia retorica elaborata dal regime
SEX WORK
36 37
Donne oggetto: il dibattito femminista abolizionista
patriarcale e dall’ideologia capitalista funzionale al
perpetrarsi delle ineguaglianze. In base alla terza
argomentazione, relativa allo statuto della sessua-
lità nell’esperienza femminile, invece, l’impossibi-
lità da parte delle donne che si prostituiscono di
esercitare una qualche forma di agency all’interno
del mercato del sesso viene argomentata sostenen-
do che i rapporti sessuali commerciali sono equi-
parabili ad uno stupro o ad un incesto per il livello
di violazione subita dalle donne (Jeffreys 1997) e,
dunque, come non è pensabile sostenere che una
donna acconsenta ad uno stupro, non è pensabile
che una donna, se non costretta, acconsenta ad una
relazione di prostituzione. Il diretto corollario di
queste posizioni, inne, è che le donne che si prosti-
tuiscono e che descrivono questa esperienza come
volontaria vanno bollate come portatrici di “falsa
coscienza” e possono (e devono) essere curate:
(…) per impegnarsi nella sopravvivenza e
nella guarigione, le donne prostitute devo-
no imparare a comprendere la loro espe-
rienza in un modo che la società ha riu-
tato di riconoscere – devono capire che la
prostituzione stessa è abuso.20
In conclusione, l’analisi della prostituzione ela-
borata dal pensiero femminista abolizionista ha
sostenuto la necessità di fare un bilancio sempre
negativo di questo fenomeno sociale, di riutare
con forza l’opzione di considerarlo una forma di
lavoro legittima e di indirizzare le energie politi-
che del femminismo come movimento verso la sua
abolizione (Jeffreys 1997).
Esse si fondano, però, su un assunto teorico
controverso: prendono come unità di analisi “le
donne” come categoria essenziale, omogenea al
suo interno, non scalta dalle innumerevoli va-
riabili geograche, culturali, religiose, relaziona-
li, erotiche, siche ed economiche che nella pras-
si quotidiana contribuiscono a denire le diverse
e concrete esperienze delle donne in carne e ossa.
Sicuramente da questa analisi sono state escluse le
donne (così come le persone transessuali) che lavo-
rano nel commercio del sesso e le narrazioni alter-
native che fanno di questa esperienza.
SEX WORK
38
6 Per un’analisi di questo primo momento di confronto
all’interno del femminismo si veda K. Millet, Prostituzione.
Quartetto per voci femminili, Einaudi, Torino 1975.
7 Per approfondire questo dibattito si può leggere Wendy
Chapkis Live Sex Acts: Women Performing Erotic Labour, Taylor
and Francis, 1997 oppure Carisa R. Showden Feminist Sex
Wars, The Wiley Blackwell Encyclopedia of Gender and Sexu-
ality Studies, 2016.
8 Questo concetto è ben espresso da Catherine MacKinnon
(1987) quando sostiene: “la sessualità è per il femminismo
quello che il lavoro è per il marxismo: la cosa che più gli
appartiene e allo stesso tempo ciò che più gli è stato espropri-
ato”.
9 (MacKinnon 1987, p. 59).
10 MacKinnon 1989.
11 Pateman 1988, p. 199.
12 Barry 1995, p. 11.
13 (Ibidem, p. 86).
14 (Kessler 2002, p. 222).
15 (Overall 1992, p. 718).
16 (1998, p. 150).
17 (Satz 1995, p. 70).
18 (1992, p. 183).
19 (Radin 1987, p. 1884).
20 (Barry 1995, p. 294).
41
3. RI-SCRIVERE LA PROSTITUZIONE:
LE SEX WORKERS PRENDONO PAROLA
Mentre all’interno del femminismo abolizionista
si elaboravano le analisi appena illustrate, le don-
ne che lavoravano come prostitute cominciarono a
mostrare una certa insofferenza all’immagine che
questo femminismo rimandava loro. Se, infatti, il
cosiddetto femminismo pro-sex aveva uno sguar-
do differente da quello abolizionista sulla sessuali-
tà e sulle attività ad essa connessi, è alle lavoratrici
in prima persona che dobbiamo l’elaborazione –
sia teorica che politica – di una visione alternativa
dello scambio di sesso per denaro capace di ren-
dere conto delle complessità che lo caratterizzano
e di costruire un terreno di rivendicazione politica
orientato al riconoscimento di soggettività e diritti.
Per lungo tempo, la possibilità di contestare le
narrazioni dominanti sulla prostituzione, quando
non esplicitamente osteggiata, aveva trovato spa-
zio solo sotto forma di testimonianza attraverso il
metodo dell’autobiograa. Nel corso del ‘900 ven-
gono date alle stampe alcune eccellenti biograe
di donne che hanno scelto la vita21 nelle quali, attra-
SEX WORK
42 43
Ri-scrivere la prostituzione: le lavoratrici del sesso prendono la parola
verso il racconto della loro quotidianità nell’indu-
stria del sesso, vengono sdati i più diffusi luoghi
comuni sulla prostituzione, come la presenza co-
stante di abusi o la totale assenza di agency nelle
mani delle donne. Tuttavia, queste pubblicazioni,
in parte perché presentate come romanzi, dunque
come prodotti considerati meno autorevoli di una
pubblicazione scientica, in parte perché scritti da
donne sole, senza un movimento di opinione o po-
litico alle spalle e spesso in forma anonima o sot-
to pseudonimo, sono state accolte nel migliore dei
casi come testimonianze non rappresentative della
“reale realtà” del commercio del sesso, negli altri
come racconti pruriginosi che offrivano uno spac-
cato della società del vizio.
A partire dalla seconda metà degli anni ’70, inve-
ce, grazie alla creazione di gruppi politici e all’or-
ganizzazione di manifestazioni e convegni, la presa
di parola pubblica da parte delle prostitute passa
da un piano di mera testimonianza ad un piano di
analisi e rivendicazione. La prima organizzazione
di prostitute è stata COYOTE (Call Off Your Tired
Ethics) fondata nel 1973 in California, seguita po-
chi anni dopo da PONY (Prostitutes Of New York)
sulla costa est22. In Europa nel giugno 1975, un
gruppo di prostitute francesi, a seguito delle enne-
sime persecuzioni da parte della polizia, occupò la
chiesa di Saint-Nizier a Lione per chiedere la revo-
ca delle condanne initte ad alcune di loro e la di-
smissione di un articolo del codice penale che san-
zionava l’adescamento. La protesta francese ispirò
la nascita di collettivi simili in altri paesi europei
come l’English Collective of Prostitute nel 1975 e alcu-
ni anni dopo, nel 1982, il Comitato per i Diritti Ci-
vili delle Prostitute in Italia. Nel 1985 si costituisce
anche l’International Committee for Prostitutes’ Rights
(ICPR) e nello stesso anno ad Amsterdam, e l’anno
successivo a Bruxelles, viene organizzato il World
Whore Congress dove prostitute attiviste (di fatto
dall’Europa e dal Nord America) si incontrano per
sviluppare una narrazione alternativa del loro la-
voro e una piattaforma politica comune. Ne nasce
la “Carta Mondiale per i Diritti delle Prostitute23”
dove vengono stilate le richieste del movimento,
tra tutte la richiesta di de-criminalizzare lo scambio
di sesso per denaro tra adulti consenzienti.
La nascita in molte parti di Europa e negli Stati
Uniti di un movimento politico e di opinione del-
le lavoratrici del sesso, dunque, ha dato il via ad
un radicale processo di ri-scrittura dei signicati
sociali della prostituzione che ha sdato sia l’im-
magine della prostituta come donna deviante che
l’analisi femminista tradizionale sull’oppressione
sessuale quale “unica storia attraverso cui si può
interpretare il commercio del sesso”24. Questo pro-
cesso di trasformazione culturale si è articolato
SEX WORK
44 45
Ri-scrivere la prostituzione: le lavoratrici del sesso prendono la parola
principalmente in due elementi: la rivendicazione
di uno spazio per le lavoratrici del sesso all’inter-
no del movimento femminista e la ri-scrittura della
prostituzione come sex work.
In primo luogo, infatti, le riessioni elaborate
dalle lavoratrici del sesso hanno sdato l’assunto
abolizionista secondo cui non vi sia nessuna di più
lontana dal femminismo che una donna che lavora
volontariamente nell’industria del sesso. Come si
legge nello Statement on Prostitution and Feminism
stilato nel corso del Second World Whore Congress:
(…) a causa dell’esitazione o del riuto ad
accettare la prostituzione come un lavoro
legittimo e le prostitute come lavoratrici, la
maggioranza delle prostitute non si è iden-
ticata come femminista. Tuttavia, molte
prostitute si identicano con i valori del
femminismo come l’indipendenza, l’auto-
nomia economica, l’auto-determinazione
sessuale, la forza individuale e la sorellan-
za.25
L’aspetto più interessante dei valori femmini-
sti abbracciati dalle lavoratrici del sesso è quello
dell’auto-determinazione sessuale. Se, infatti, le
femministe abolizioniste avevano utilizzato l’as-
senza a priori di qualunque forma di auto-deter-
minazione come punta di diamante delle loro ar-
gomentazioni contro la prostituzione, le lavoratrici
del sesso deniscono il loro femminismo esatta-
mente in virtù del loro utilizzo della sessualità al
di fuori dei percorsi tracciati dall’ordine patriar-
cale attraverso gli strumenti dell’eteronormatività
(come il matrimonio o la monogamia): l’essere don-
ne di tutti, e quindi donne di nessuno, e il godere
di una libertà sessuale pari a quella degli uomini (e
maggiore di quella delle femministe abolizioniste)
(St. James 1987). In secondo luogo, le lavoratrici del
sesso invocano l’alleanza con il femminismo per
sdare le concettualizzazioni simboliche della fem-
minilità prodotte dalla mascolinità egemonica: la
vergine e la puttana, la madonna e la prostituta, la
donna casta e la donna licenziosa. Quello che Gail
Pheterson ha denito lo “stigma della puttana” se-
para le donne per bene – le mogli e madri – dalle
donne per male – le prostitute o le donne sessual-
mente disponibili fuori dal matrimonio –utiliz-
zando come criterio la gestione privata e pubblica
della sessualità femminile. Sebbene sia una stigma-
tizzazione che colpisce in maniera più violenta le
lavoratrici del sesso, è un dispositivo che disciplina
la sessualità di tutte le donne, che si prostituisca-
no o meno. Ed è un potente strumento del siste-
ma patriarcale e eteronormativo che contribuisce
a mantenere tutte le donne (ma anche le persone
transessuali o le maschilità non egemoniche) in una
SEX WORK
46 47
Ri-scrivere la prostituzione: le lavoratrici del sesso prendono la parola
posizione di minore potere e diritti. L’avversione
del femminismo abolizionista verso la prostituzio-
ne non fa altro che rinforzare questi conni simbo-
lici, mentre la solidarietà tra donne provenienti da
diversi background e da diversi settori del mondo
del lavoro può indebolire queste dicotomie e inne-
scare un processo di liberazione per le donne tutte,
che lavorino o meno nell’industria del sesso.
Il processo di ri-scrittura della prostituzione, non
più come forma di subordinazione o come compor-
tamento deviante, è iniziato anche dal linguaggio.
Al termine prostituzione, infatti, le donne coinvol-
te nel mercato del sesso sostituiscono il termine
sex work coniato nel 1980 da Carol Leigh, prosti-
tuta attivista americana del gruppo COYOTE, nel
suo spettacolo The Demistication of The Sex Work
Industry con l’obiettivo di utilizzare il processo di
sovversione linguistica utilizzato in ambito femmi-
nista per “portare le donne fuori dall’anonimato e
scrivere con orgoglio la nostra storia”26. Così Leigh
descrive, retrospettivamente, i signicati che l’in-
troduzione del termine sex work ha avuto:
L’uso del termine sex work denisce la na-
scita di un movimento. Riconosce il lavoro
che facciamo piuttosto che denirci per il
nostro status. Dopo molti anni di attivismo
come prostituta, di lotte contro lo stigma
sociale e contro l’ostracismo del movi-
mento femminista tradizionale, mi ricordo
come mi sentivo potente ad avere la pa-
rola “sex work”, ad avere una parola per
descrivere questo lavoro che non fosse un
eufemismo. Il sex work non ha vergogna, e
nemmeno io.27
Questo termine invita a considerare la prosti-
tuzione non come una caratteristica psicologica o
sociale delle donne, ma come un’attività che pro-
duce reddito attraverso le risorse del corpo. È, dun-
que, una denizione che pone l’accento sulla col-
locazione sociale di coloro che sono impegnati/e
nell’industria del sesso e non sulla sessualità o sul
genere come caratteristiche denitorie dei sogget-
ti. L’introduzione della parola sex work, quindi, da
un lato, sottrae la prostituzione dal terreno della
morale o della violenza e la inscrive nell’universo
simbolico del lavoro. Dall’altro, interrompe la con-
nessione semantica tra femminilità e prostituzione
(ben espressa dall’utilizzo tradizionale della parola
“puttana”). Ciò non implica affermare che il lavoro
sessuale non abbia a che fare anche con le disegua-
glianze di genere (così come con le diseguaglianze
di classe, le politiche liberiste o quelle post-colo-
niali), ma al contrario che questa trasformazione
semantica è uno degli strumenti per lottare contro
la stigmatizzazione (profondamente di genere) di
questa professione e contrastare sessismo e margi-
SEX WORK
48 49
Ri-scrivere la prostituzione: le lavoratrici del sesso prendono la parola
nalizzazione.
La seconda dimensione che le sex workers hanno
dovuto ri-scrivere per denire la prostituzione un
lavoro è stata la sessualità. Da un lato, hanno posto
l’accento su come la sessualità, al pari di altri aspet-
ti dell’attività umana come l’intelligenza o la forza
sica, può essere considerata una forza produttiva
vitale che, quando viene attivata nell’ambito del
lavoro, contribuisce alla produzione e alla riprodu-
zione dell’umanità (Troung 1990). In questo senso
il lavoro sessuale può essere considerato simile agli
altri lavori che vengono performati per produrre
e riprodurre la società in ognuno dei quali vengo-
no utilizzate speciche parti del corpo e speciche
energie e competenze. Il sesso commerciale si spo-
sta così dal terreno della devianza e del danno so-
ciale in cui era stato collocato dal discorso morale
tradizionale e della subordinazione e dello sfrutta-
mento del discorso femminista abolizionista e per-
mette alle lavoratrici del sesso di riposizionarsi non
più come sex objects, bensì come sex expert: “non più
come oggetti del discorso scientico, ma come le
depositarie e le creatrici di una conoscenza sessua-
le”28. Questo cambio di prospettiva invita a leggere
la prostituzione non come fatto sociale immutabile
connesso alla natura speciale della sessualità fem-
minile e ai rapporti di genere, ma ad interrogare le
modalità in cui le soggettività sessuali, i desideri e i
bisogni sessuali sono organizzati in specici conte-
sti storici e culturali.
La ri-scrittura della sessualità, inoltre, ha dovu-
to sdare l’idea della connessione necessaria tra la
sessualità e il sé e tra la sessualità e l’amore secondo
le quali ogni interazione sessuale al di fuori di un
rapporto d’amore è dannosa e offensiva del proprio
essere sico e psicologico. A queste argomentazioni
le lavoratrici del sesso hanno ribattuto sostenendo
che la vendita di servizi sessuali è stata confusa con
una precisa morale sulle relazioni sessuali che im-
pone agli individui un’unica ed essenzialista inter-
pretazione dell’esperienza della sessualità (Kem-
padoo 1998). In altri termini, le interazioni sessuali
che da alcune donne del femminismo sono state
considerate offensive, dolorose oppure ripugnanti
potrebbero non esserlo per altre donne, per quelle
donne che si servono di queste interazioni sessuali
come reddito, per esempio. Le sex workers, dunque,
hanno sostenuto che l’interpretazione della ses-
sualità come la più alta forma di intimità tra due
persone presume una visione universale del sesso
ed ignora che la percezione, il valore e i signica-
ti che uomini e donne attribuiscono alla sessualità
sono diversi a seconda dei contesti e dei concreti
posizionamenti che vengono assunti nella relazio-
ne (Alexander e Delacoste 1987). Secondo questi
presupposti la prostituzione non solo può essere
SEX WORK
50
considerata un lavoro, ma è un’occupazione che si
può scegliere a partire dal valore che si attribuisce
al lavoro, dalla propria esperienza della sessualità
e valutando i costi e i beneci che questa scelta im-
plica rispetto ad altre (St. James 1987). Per questi
motivi le lavoratrici del sesso hanno riutato cate-
goricamente l’immagine di vittime che gli era stata
cucita addosso sostenendo che nel lavoro sessuale,
come in qualunque altro lavoro, le persone fanno
scelte “contestuali” rispetto alla loro situazione di
partenza (la cultura, la classe sociale, l’etnia, il ses-
so, i bisogni contingenti) e ai propri progetti di vita.
Le possibili costrizioni sociali che costellano questa
scelta, come qualunque altra, non la rendono quin-
di in nessun modo meno valida e degna di rispetto.
Ciò vale anche per le donne migranti o dei paesi
non occidentali. Il rischio, infatti, è quello di rico-
noscere la capacità di scegliere alle donne bianche
e occidentali che lavorano in contesti privilegiati
continuando a perpetrare un’immagine vittimiz-
zante delle sex workers non occidentali. È la mi-
grazione in un sistema di restrizione della libertà
di movimento e di assenza di diritti così come il
vivere in paesi con minore benessere economico e
maggiori diseguaglianze sociali a rendere i soggetti
che lavorano nell’industria del sesso maggiormen-
te vulnerabili, non il fatto che si prostituiscano in
sé. In più, maggiore vulnerabilità non signica non
SEX WORK
52 53
Ri-scrivere la prostituzione: le lavoratrici del sesso prendono la parola
essere in grado di prendere delle decisioni sulla
propria vita anche se, ad altre/i in condizioni di
maggiore privilegio economico e sociale, possono
sembrare insostenibili29.
Rigettando la visione della sessualità come aspet-
to essenziale nella costituzione del senso di sé, in-
ne, le sex workers hanno sostenuto che gli aspetti
negativi connessi al mercato del sesso non sono im-
putabili al suo contenuto specico – ovvero scam-
biare prestazioni sessuali per denaro -, ma alle
condizioni entro cui esso si esercita. È il livello di
stigmatizzazione sociale, i contesti materiali dove si
esercita, il livello di repressione delle forze dell’or-
dine o l’essere o meno cittadine ad esporre le sex
workers a violenza e marginalità sociale. La de-
nizione della prostituzione come lavoro sessuale,
inoltre, porta con sé il riconoscimento della presen-
za, al pari di altri lavori, di forme di sfruttamento e
violenza (Bindman e Doezema 1997) che, in quanto
tali, vanno combattute, ma che non sono ciò che de-
nisce il lavoro sessuale in sé. Se, dunque, la strada
intrapresa dal femminismo abolizionista mira all’e-
liminazione del mercato del sesso e a “salvare” le
donne che vi sono coinvolte, la strada proposta dal
movimento sex workers chiede riconoscimento di
soggettività e diritti e lotta alla stigmatizzazione e
alla criminalizzazione.
Così si afferma nel Sex Worker’s Manifesto30 ela-
borato nel 2005 durante la conferenza europea Sex
Work, Human Rights, Labour and Migration da 120
sex workers provenienti da 26 paesi:
L’alienazione, lo sfruttamento, l’abuso e la
coercizione effettivamente esistono nell’in-
dustria del sesso, come in qualunque altro
settore industriale; essi non deniscono noi
o la nostra industria. Tuttavia solo nel mo-
mento in cui il lavoro viene formalmente
riconosciuto, accettato dalla società e soste-
nuto dai sindacati, si possono stabilire dei
limiti, solo quando i diritti del lavoro ven-
gono riconosciuti e applicati i lavoratori e
le lavoratrici saranno nelle condizioni di
denunciare gli abusi e organizzarsi contro
condizioni di lavoro inaccettabili e sfrutta-
mento.
La strada del riconoscimento dei diritti da perse-
guire per il movimento delle sex workers anche nel
caso della migrazione e del trafco di esseri uma-
ni31. Sebbene vi siano situazioni di effettiva priva-
zione della libertà per alcune donne, il discorso e
le politiche sul trafco vanno affrontate all’interno
della cornice più ampia dei diritti dei e delle mi-
granti e della libertà di movimento e dei diritti del
lavoro, come ben spiega sempre il Sex Workers
Manifesto:
SEX WORK
54 55
Ri-scrivere la prostituzione: le lavoratrici del sesso prendono la parola
La violenza, la costrizione e lo sfruttamen-
to connessi al fenomeno migratorio e al sex
work debbono essere compresi ed affronta-
ti all’interno di un quadro in cui vengano
riconosciuti il valore e i diritti fondamentali
delle persone che migrano. La legislazione
restrittiva in tema di migrazione e le politi-
che contro la prostituzione devono essere
riconosciute come elementi che contribui-
scono alla violazione dei diritti dei migran-
ti. Il lavoro forzato e le pratiche assimilabili
alla schiavitù possono vericarsi in molti
mestieri; ma laddove le attività sono lega-
li e il lavoro riconosciuto, le possibilità di
denunciare e fermare le violazioni dei dirit-
ti e impedire gli abusi sono notevolmente
maggiori.
L’analisi e la pratica politica creata dal movimen-
to per i diritti delle sex workers ha offerto nuove
categorie e nuove prospettive di analisi per in-
terpretare l’universo del sesso commerciale. Uno
degli aspetti su cui hanno inuito è stato il modo
di produrre conoscenza su questo mondo e le sue
complessità spostando il fuoco dalla devianza, la
violenza o la subordinazione, verso l’insieme di
pratiche che compongono il fare lavoro sessuale e il
modo con cui i soggetti danno senso al proprio la-
voro.
21 In particolare tradotti in italiano si vedano: Anonima, Mad-
eleine: autobiograa di una prostituta, Publigold, Milano 1995;
Nell Kimball, Memorie di una maitresse americana, Adelphi,
Milano 1975; Anonima, Il manuale dell’allegra battona, Mazzot-
ta, Milano 1979; Sidney Biddle Barrows, Madam Mayower,
Armenia, Milano 1987.
22 Per una storia del movimento sex worker negli Stati Uniti si
veda Melinda Chautevert, Sex Workers Unite. A History of the
Movement from Stonewall to SlutWalk, Beacon Press, Boston,
2014.
23 http://www.walnet.org/csis/groups/icpr_charter.html
24 (Nagles 1997, p. 2).
25 (International Committee for Prostitutes’ Rights (ICPR)
1989, p. 77).
26 (Leigh 1997, p. 226).
27 (Leigh 1997, p. 230).
28 (Bell 1994, p. 109).
29 Per approfondire queste questioni si possono leggere l’arti-
colo inserito nella serie curata da Giulia Garofalo Geymonat e
PG Macioti su OpenDemocracy dal titolo “Sex workers speak:
who listen?”: We don’t do sex work because we are poor, we do
sex work to end our poverty scritto da Empower Foundation,
un’associazione di sex workers thailandesi (https://www.
opendemocracy.net/beyondslavery/sws/we-don-t-do-sex-
work-because-we-are-poor-we-do-sex-work-to-end-our-pov-
erty).
30 http://www.sexworkeurope.org/resources/sex-work-
ers-europe-manifesto
31 Sempre all’interno della serie curata da Giulia Garofalo
SEX WORK
56
Geymonat e PG Macioti su OpenDemocracy si può leggere
We speak but you don’t listen: migrant sex worker organising at
the border scritto da Ava Caradonna e X:Talk Project un’as-
sociazione inglese di sex workers migranti (https://www.
opendemocracy.net/beyondslavery/sws/ava-caradonna-
x-talk-project/we-speak-but-you-don-t-listen-migrant-sex-
worker-organisi).
59
4. UN LAVORO SÌ,
MA CHE TIPO DI LAVORO?
Nonostante vi sia ancora chi crede che le scienze
sociali e la sociologia descrivano in maniera ogget-
tiva il mondo, è ben più convincente pensare che
chi fa ricerca è attivamente coinvolto nel processo
di costruzione dei mondi sociali che studia. Questo
signica che le ipotesi interpretative che si hanno in
mente, le domande che si pongono, le modalità con
cui si costruiscono (o meno) relazioni con le realtà
sociali che si vuole comprendere cambiano il tipo
di spiegazioni e di conoscenze che si producono.
Grazie alla presa di parola pubblica delle lavoratri-
ci del sesso e il processo di ri-scrittura della prosti-
tuzione come lavoro legittimo, nelle scienze sociali
si sono fatti avanti nuovi paradigmi interpretativi
per guardare questo fenomeno prendendo sul se-
rio l’indicazione a considerarlo un lavoro. Il termi-
ne lavoro, tuttavia, può assumere molteplici signi-
cati. Non credo che si possa affermare che il sex
work è un lavoro come tutti gli altri, non tanto perché
implica la sessualità e il corpo, ma perché è sotto-
posto a una stigmatizzazione che non è compara-
SEX WORK
60 61
Un lavoro si, ma che tipo di lavoro?
bile a nessun’altra attività (nemmeno ai più noti
dirty works come il becchino) e perché nella stra-
grande maggioranza dei paesi deve esercitarsi in
condizioni d’illegalità e marginalità sociale. Tutta-
via è una prospettiva utile cercare di comprenderlo
mettendolo in dialogo con altre attività lavorative
svolte dalle donne con cui ha delle caratteristiche
comuni nel tentativo di decostruire la sua presunta
“eccezionalità”, derivante dalla connessione con la
sessualità. Come suggerisce Giulia Garofalo32, rife-
rendosi alle elaborazioni del pensiero femminista
materialista francese, la prostituzione sda la tradi-
zionale divisione (di genere) del lavoro poiché
proprio per la sua forma potenzialmente
contrattuale e trasparente la prostituzione
costituisce una denuncia al modo in cui ci si
aspetta che le donne tradizionalmente, ma
anche altri gruppi subordinati, forniscano
servizi relazionali all’interno di scambi in-
formali, privati, naturalizzati, non pagati, il
cui valore sparisce nella sfera pubblica.
Credo che questo possa essere utile anche a capire i
meccanismi di stigmatizzazione connessi al genere,
al corpo e alla sessualità che entrano in atto in altri
ambiti lavorativi e creare solidarietà e connessioni
tra chi lavora nel commercio del sesso e chi no, su-
perando la dicotomia patriarcale tra le donne per
bene e quelle per male.
Un approccio possibile, dunque, è considerare il
sex work all’interno del continuum di tutte le al-
tre attività tradizionalmente svolte dalle donne
sia in ambito domestico e di cura che nel merca-
to del lavoro. In questa prospettiva, la prestazione
sessuale di una donna ad un uomo non è specica
dell’industria del sesso. In particolare nell’ambito
dei lavori di servizio, infatti, avvengono forme di
mercicazione della sessualità femminile o vengo-
no richieste competenze di tipo sessuale al perso-
nale femminile. Adkins (1995), per esempio, nella
sua ricerca sugli hotel e sull’industria del tempo
libero, sottolinea come la bellezza e l’apparenza
sono condizioni fondamentali nel processo di se-
lezione e mantenimento del lavoro per il perso-
nale femminile. Similmente, Tyler e Abbot (2001)
esplorano come il corpo delle hostess di alcune
grosse compagnie aeree venga consapevolmente
costruito e mercicato dal management. Le autrici,
infatti, mostrano come alle hostess sia richiesto un
continuo lavoro sul proprio corpo – sia in termi-
ni estetici, ovvero la magrezza o il taglio di capelli,
che di pratiche del corpo, ovvero il modo di cam-
minare o di rivolgersi ai passeggeri – per produrre
un’estetica femminile sessualmente attraente che
soddis simbolicamente le richieste dei clienti. In
questo senso la sensualità e la sessualità delle ho-
SEX WORK
62 63
Un lavoro si, ma che tipo di lavoro?
stess diviene il signicante materiale e incorporato
dell’ethos dell’organizzazione e ne costituisce una
risorsa economica al pari del servizio offerto. Simili
risultati, poi, sono rintracciabili nelle ricerche sui
quei lavori naturalizzati come femminili come per
esempio le segretarie (Pringle 1988), le cameriere
(Crang 1994) o le estetiste (Sharma e Black 2002).
La sessualità si congura dunque come un aspetto
essenziale delle relazioni sul luogo di lavoro, ma
non come tratto esclusivo dell’industria del sesso.
Nel contesto del capitalismo avanzato dove le rela-
zioni personali sono state ridenite in termini di bi-
sogni emozionali (Giddens 1992), questo approccio
sostiene che la fusione tra il personale (e il sessuale)
e l’economico da un lato caratterizza gran parte del
mercato del lavoro di servizio (Brewis e Linstaed
2000, 2000a), dall’altro si fonda su precise disugua-
glianze di genere. Il lavoro sessuale, dunque, va
esplorato considerandolo un lavoro di servizio al
pari di altri, e la sessualità come
Una pratica e un prodotto culturale intrin-
secamente connesso alla struttura delle
relazioni economiche nei luoghi ufciali
della produzione così come in quei mercati
di conne, come l’industria del sesso, dove
essa è la cifra esplicita dello scambio.
All’interno della cornice interpretativa del sex work
come lavoro di servizio, sono poi andate congu-
randosi alcune interpretazioni speciche che hanno
preso in considerazione, da un lato, la dimensione
strettamente corporea di questo lavoro, dall’altro,
le sue implicazioni emozionali.
Il lavoro sessuale, dunque, è stato interpretato
come body work (Gimlin 2005, Wolkowitz 2006),
ovvero un lavoro in cui “il corpo è il luogo imme-
diato dell’attività e implica forme di contatto inti-
me e disordinate con il corpo (per lo più disteso o
nudo), con i suoi uidi o orizi, attraverso il tocco
oppure una forte prossimità”34. Questa prospetti-
va di analisi adotta il corpo, i suoi simboli, il suo
disciplinamento e le sue forme di resistenza e ne-
goziazione come unità di analisi per comprende-
re alcune tipologie di professioni, il ruolo che gli è
stato socialmente riconosciuto e le disuguaglianze
sociali che celano. Secondo questa prospettiva, il
lavoro sessuale insieme a molte altre tipologie di
lavoro che includono il contatto con il corpo altrui
(dall’inserviente negli ospedali agli impresari di
pompe funebri), sono state relegate ai gradini più
bassi della scala sociale in virtù del dualismo men-
te-corpo di cartesiana memoria. In quanto lavori
fatti con il corpo, caratterizzati da attività corpora-
li considerate sconvenienti o ‘sporche’ (si pensi a
chi ha a che fare con i uidi organici altrui come
le inservienti negli ospedali oppure le lavoratrici
SEX WORK
64 65
Un lavoro si, ma che tipo di lavoro?
del sesso che hanno un’interazione sessuale con
i clienti), essi sono stati marginalizzati sia in ter-
mini di retribuzione così come di prestigio sociale.
L’avere a che fare con il corpo, poi, ha fatto sì che
questi lavori siano riusciti difcilmente a guada-
gnarsi un posto d’onore all’interno dell’universo
simbolico del lavoro, rimanendo in bilico tra la sfe-
ra del privato e la sfera del pubblico, nonostante il
ruolo essenziale che ricoprono nella riproduzione
della società. Questa diversa valorizzazione sociale
ha innescato (e in seguito contribuito a mantene-
re) una divisione sociale del lavoro per cui queste
professioni si mostrano profondamente gendered e
racialised, dunque molto spesso svolte da donne e
da persone migranti (oppure da donne migranti)
(Wolkowitz 2006).
Su questa linea di continuità possiamo interpretare
il sex work. Da un lato, la sessualità non è più una
dimensione speciale di per sé, ma rappresenta uno
di quegli aspetti corporali che sono stati rimossi
dalla dimensione del lavoro, dall’altro, la presenza
massiva di donne settore va spiegata all’interno di
un’analisi più ampia delle disuguaglianze sociali.
Disuguaglianze radicate nelle categorie dicotomi-
che relative alla suddivisione tra corpo/mente,
privato/pubblico. Questa prospettiva invita, poi, a
interrogare le strategie di gestione e negoziazione
che i/le body workers attivano per gestire quoti-
dianamente il lavoro in relazione con i discorsi
dominanti e non nel senso di una compromissione
della loro identità-integrità nello svolgerli (Gimlin
2005).
In maniera simile, una seconda interpretazione del
lavoro sessuale lo riconduce alla categoria di lavo-
ro emozionale. In questo caso, però, l’attenzione è
rivolta alla gestione e all’utilizzo delle emozioni sul
luogo di lavoro. Nel suo famosissimo testo The Ma-
naged Heart (1983), Hochschild ha illustrato come in
molti lavori di servizio sia richiesto di intraprende-
re una forma di “lavoro emozionale”, sia attraverso
il comportamento che il corpo, teso a soddisfare le
richieste dei clienti e a mantenere un senso di sé. Vi
sono alcune professioni nelle quali i sentimenti non
solo costituiscono un aspetto specico del lavoro,
ma devono essere mercicati e commercializzati
afnché questo possa esistere. In alcuni lavori di
servizio, lavoratrici e lavoratori, dunque, devono
essere in grado di manipolare i propri sentimen-
ti per mettere in scena una performance emotiva
competente per il cliente: ad esempio, le infermiere
devono essere capaci di trasmettere delle sensazio-
ni di compassione e cura al paziente, e la merci-
cazione di queste emozioni costituisce un aspetto
fondamentale del loro lavoro. In questo senso le
emozioni non sono “qualcosa che succede”, ma
qualcosa che lavoratrici e lavoratori sono in grado
SEX WORK
66 67
Un lavoro si, ma che tipo di lavoro?
di creare e controllare. Allo stesso tempo, secondo
l’autrice, la mercicazione di questi sentimenti non
riguarda indistintamente tutte le emozioni create
ed esperite, ma può essere connata nell’ambito
lavorativo: il lavoro emozionale si manifesta anche
come una capacità dei/lle lavoratori/trici di svi-
luppare un processo di distacco, una chiara sepa-
razione di sé dalla performance lavorativa che si
sta mettendo in scena per il cliente. In questo senso
emozioni e sentimenti non sono espressioni di un
sé profondo e “naturale”, ma il prodotto delle in-
terazioni tra gli individui, un oggetto: “un oggetto
prezioso in alcune occupazioni, ma pur sempre un
oggetto” (Hochschild 1983, p. 35).
Utilizzando questa prospettiva interpretativa,
Chapkis (1997) ha identicato il lavoro sessuale
come un lavoro emozionale nel corso del quale
le/i sex workers costruiscono e gestiscono un set di
sentimenti ed emozioni creati ad hoc per il cliente.
Nel sex work, sostiene Chapkis, come in altri lavori
come la psicoterapia o i lavori di cura, la professio-
nalità si esprime nell’abilità di intercettare i bisogni
emotivi del cliente e di mettere in scena una per-
formance di sé che vi risponda. Bernstein (2007),
in particolare, sostiene che le lavoratrici del sesso
professioniste sono in grado di vendere al cliente
un’esperienza di “autenticità vincolata” ovvero
un’interazione sessuale falsamente autentica nella
quale la passione, il coinvolgimento erotico, l’amo-
re sono costruiti ad hoc come strategia di gestione
del lavoro. In questo senso, dunque, il lavoro ses-
suale non viene considerato solo come la vendita
di atti sessuali in sé e per sé, ma come una perfor-
mance sessuale che per essere signicativa deve
essere inscritta in una cornice emozionale precisa
che soddisfa i desideri e le aspettative emotive del
cliente. Inoltre, la mercicazione delle emozioni e
dei sentimenti, che in altre prospettive viene con-
siderata l’aspetto più controverso e degradante del
lavoro sessuale, si congura in questo caso come
una competenza specica del lavoro che le sex wor-
kers devono essere in grado di mobilitare afnché il
servizio abbia successo.
Inne, questa prospettiva fornisce una risposta
ulteriore e alternativa all’assunto secondo cui, nel
vendere sesso, si mercichi la propria intimità:
Anche per le sex workers l’abilità di chia-
mare a raccolta e contenere le emozioni
all’interno di una transazione commerciale
può essere esperita come un utile strumen-
to per mantenere i conni piuttosto che
come una perdita di sé.
Come un’attrice o una psicoterapeuta, le sex wor-
kers sono in grado di separare l’intimità della pro-
pria vita privata dalle interazioni sessuali vissute
SEX WORK
68 69
Un lavoro si, ma che tipo di lavoro?
nell’ambito lavorativo.
Secondo queste tre prospettive, dunque, da for-
ma di devianza o di sottomissione al patriarcato,
il lavoro sessuale entra a pieno titolo nell’universo
simbolico del lavoro, e sono proprio quegli aspetti
che l’escludevano a priori da esso – la sessualità, il
corpo, le emozioni– a diventare gli oggetti di anali-
si più efcaci per interpretarlo.
32 https://amatrix.noblogs.org/post/2007/05/09/un-altro-
spazio-per-una-critica-femminista-al-trafco-in-europa/
33 (Sanders 2005, p. 321).
34 (Wolkowitz 2006, p. 147).
35(Chapkis 1997, p. 75).
36 Per un’analisi efcace dei diversi modelli normativi – sia in
chiave storica che in chiave contemporanea – si può leggere
Giulia Garofalo Geymonat Vendere e comprare sesso, Il Mulino,
Bologna, 2014.
71
PENSIERI CONCLUSIVI
Spero che questo breve viaggio nelle trasfor-
mazioni dei signicati sociali attribuiti allo
scambio di sesso per denaro vi sia stato utile
a farvene un’idea più articolata. Un elemento
che non ho affrontato, ma che voglio ricorda-
re in conclusione è il legame che i signicati
sociali attribuiti al lavoro sessuale hanno con
lo sviluppo di precise politiche che impattano
sulle condizioni di vita e le libertà degli indivi-
dui che ne fanno parte36.
La visione della prostituzione come una for-
ma di devianza femminile - spregevole, ma
necessaria al mantenimento delle istituzioni
sociali come il matrimonio – ha prodotto nei
secoli forme di controllo delle prostitute che
andavano dalla ghettizzazione alla creazione
delle case chiuse: private di qualunque diritto
civile, sottoposte a trattamenti sanitari obbli-
gatori (che non riguardavano i clienti), mar-
ginalizzate dalla vita sociale. Una volta chiusi
i bordelli – in Italia nel 1958 con la cosiddetta
SEX WORK
72 73
Pensieri Conclusioni
Legge Merlin – la prostituzione in molti paesi
è divenuta lecita, ma non legale: ovvero l’atto
in sé di scambiare prestazioni sessuali per una
remunerazione non è criminalizzato, ma lo è
tutto quello che ruota attorno ad esso, incluso
il fatto stesso di essere in strada con un vesti-
to identicabile come “da prostituta”. Ciò ha
reso le lavoratrici soggetti vulnerabili alla re-
pressione della polizia, alla violenza dei clienti,
le ha esposte sempre più alla stigmatizzazione
sociale e ha mantenuto inalterata la marginali-
tà sociale.
In alcuni paesi, a partire dagli anni ’90 – come
la Germania, l’Olanda, l’Australia e la Nuova
Zelanda– grazie al lavoro delle associazioni di
sex workers ci si è mossi nella direzione di ac-
cogliere una visione della prostituzione come
lavoro, identicando le modalità di esercizio,
diritti, strumenti di contrasto allo sfruttamento
e accesso alla cittadinanza sociale . Lo scenario
però è fatto di luci ed ombre. In Germania, per
esempio, la legge federale che decriminalizza il
commercio del sesso e attribuisce alcuni diritti
a chi vi lavora è applicata sono in pochissimi
lander, mentre nella maggioranza le leggi locali
continuano a criminalizzare chi si prostituisce.
In più, mancano diritti per le sex workers mi-
granti senza permesso di soggiorno che resta-
no in una condizione di marginalità sociale e
di ricattabilità, sia da parte dei clienti che dello
stato.
In altri, la prospettiva femminista abolizioni-
sta si è tradotta in quello che viene solitamen-
te chiamato “modello svedese” ovvero una
politica che non criminalizza chi vende sesso,
ma chi lo compra, attraverso multe e corsi di
sensibilizzazione. Creato in Svezia nel 1999, è
stato successivamente adottato in Norvegia, in
Islanda e nell’aprile 2016 in Francia. A prima
vista potrebbe sembrare una soluzione positi-
va che inverte la tendenza precedente di cri-
minalizzare le sex workers. A guardarci bene,
però, questo modello mantiene intatta l’idea
che qualunque scambio di sesso per denaro è
in sé violenza, che tutte le donne che fanno sex
work vanno salvate da questa condizione e che
gli uomini che comprano sesso vanno rieduca-
ti. Nonostante il governo svedese dichiari che
la legge ha fatto diminuire la prostituzione e
migliorato la condizione di vita delle donne,
molte ricerche mostrano come il mercato non
sia diminuito, come le sex workers - soprattut-
SEX WORK
74 75
Pensieri Conclusioni
to quelle migranti - siano costrette a lavorare
in condizione di maggiore vulnerabilità (per
esempio in zone più periferiche o cercando
clienti su web o con meno potere contrattuale
rispetto ai clienti sull’uso del prolattico) per
evitare i controlli. Trent’anni di presa di parola
del movimento delle sex workers sono rimasti
inascoltati e la prospettiva abolizionista mo-
stra la sua miopia alla prova dei fatti.
Il rapporto tra sex workers e femminismo,
tuttavia, non è appiattito sulla posizione aboli-
zionista e molte alleanze si sono create – anche
nell’ultimo decennio. Nel marzo 2016 ICRSE –
il comitato internazionale per i diritti delle/dei
sex workers in Europa – ha pubblicato il testo
Feminism needs sex workers, sex workers need fe-
minism: towards a sex-worker inclusive women’s
rights movement dove vengono delineate delle
strade possibili di alleanza e di sviluppo di un
movimento femminista37realmente inclusivo
della voce di chi lavora nell’industria del sesso.
Da questo documento è nato anche un manife-
sto femminista a sostegno dei diritti delle e dei
sex workers che fa da contraltare alle posizioni
abolizioniste.
36 Per un’analisi efcace dei diversi modelli normativi – sia in
chiave storica che in chiave contemporanea – si può leggere
Giulia Garofalo Geymonat, Vendere e comprare sesso, Il Mulino,
Bologna, 2014.
37 https://feministsforsexworkers.com/manifesto-femminis-
ta/
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Finito di stampare nel mese di giugno 2016
presso Graka Soča - Nova Gorica