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“Ho un sogno”: il nostro parco
La zona umida di Schiavetti-Cavana
LICEO SCIENTIFICO MICHELANGELO BUONARROTI
PRA
PRAT
TO ST
O STABILE
ABILE
Populus nigra
Alnus glutinosa
Cladium mariscus
Mentha aquatica
OLLA
OLLA
Cladium mariscus
Salix cinerea
Cladium mariscus
Mentha aquatica
OLLA
OLLA
Phragmites australis
Cladium mariscus
Frangula alnus
Schoenus nigricans
Molinia coerulea
Phragmites australis
BRANCOLO
BRANCOLO
Schiavetti
Phragmites australis
Populus migra
Salix cinerea
Cladium mariscus
OLLA
OLLA
Cladium mariscus
Phragmites australis
Juncus maritimus
Limonium vulgare
Tamarix gallica
Cakile maritima
Zostera noltii
Cavana Mare
“Ho un sogno”: il nostro parco
La zona umida di Schiavetti-Cavana
Testi:
Giulia Realdon, Augusta Scaramuzza, Paolo Utmar, e gli studenti:
Classe 3° A
Stefania Bruno
Diego Burattini
Francesco Cappellari
Stefano Culiat
Micaela D’Ambrosio
Pietro Damonte
Andrea Dapretto
Alice de Angelini
Alberto Deiuri
Martino Deotto
Sara Leonardi
Merylin Monaro
Eleonora Panusa
Barbara Policella
Paolo Rosmanit
Ilaria Sanzo
Elisa Vidali
Francesco Zanolla Mancini
Classe 3°AS
Simone Bais
Giulio Cappellari
Riccardo Conte
Anna Costantinides
Massimiliano Delise
Giulio Gambalunga
Riccardo Gramegna
Silvia Morellato
Mauro Nardella
Anna Pantarotto
Manuel Pellizzaro
Martina Pian
Matteo Piani
Matteo Protopapa
Piero Sdrigotti
Classe 3°B
Giulia Canesin
Andrea Cepellotti
Celeste Colle
Martina Concina
Giulia Contin
Giacomo Cuscunà
Michela Dapretto
Francesca Facchinetti
Alessandro Giacomel
Anna Iaiza
Alessandro Lorelli
Valentina Marusig
Eva Pacor
Giorgia Pappalardo
Alessandra Piccolo
Claudia Prudencio Vargas
Martina Rosso
Caterina Spangher
Alice Spanghero
Federico Visintin
Marco Visintin
Giacomo Zorzin
Classe 3°C
Raul Berto
Francesca Brandi
Massimiliano Clagnan
Matteo Degenhardt
Andrea De Luca
Stefano Facchini
Alessandro Favetti
Carlotta Giuliani
Giulia Gonni
Giulia Inglese
Gabriele Liva
Matteo Maccagnan
Francesca Mazzichi
Fabio Montagnani
Federica Padovani
Andrea Pilosio
Filippo Rosmann
Ilaria Russi
Luciano Venuti
Sara Zamberlan
Cristina Zanetti
Davide Zanolla
Stefano Zorba
Immagini:
Disegni di Paolo Utmar
Fotografie di Giacomo Cuscunà, Giulia Realdon,
Augusta Scaramuzza e Paolo Utmar
Ortofoto: Compagnia Generale Ripreseaeree S.p.A. –
Ordine n° 20041110-1100094535528125
Cartografia: carta tecnica numerica regionale 1:5000
(109034 – Bistrigna), autorizzazione P.T./14365/2.100
(13108), elaborazione grafica di Marco Visintin e
Alessandro Giacomel
Corografia del bacino di bonifica delle “Giarette”:
Consorzio di Bonifica Pianura Isontina
Carta del Territorio di Monfalcone: da Pocar G. – 1977
(da ed. originale del 1892) - Monfalcone e suo territorio
Disegno del sistema fluvioglaciale dell’Isonzo da: Comel
A. - 1949 - Del ghiaccaio würmiano dell’Isonzo, in:
“Studi Goriziani”, XII, Gorizia
Ringraziamenti
Si ringraziano:
-per la check list degli uccelli: Paolo Padovan, Paolo
Utmar e Ignazio Zanutto
-ed inoltre, per aver fornito dati: G. Benedetti, H.
Bois, G. Corbatto, L. Felcher, K. Kravos, S. Paradisi,
R. Parodi, R. Peressin, P. Pisa, A. Rocco, S. Saffer, S.
Sava, P. Tout
-per la check list dei mammiferi terrragnoli, rettili ed
anfibi: Luca Lapini
-per la check list dei pesci: Sergio Paradisi
-per la lista degli habitat e delle piante di interesse
conservazionistico: Pierpaolo Merluzzi
-per il paziente aiuto ed i preziosi consigli:
Pierpaolo Merluzzi
Gabriella Valenti
Ombretta Paternoster
Stefano Sponza
Michele Stoppa
Questo volume è stato realizzato con il sostegno di:
Comune di Monfalcone
Fondazione CaRiGO
Stampa: Centro Stampa Monfalcone
Dicembre 2004
L’Isonzo, fiume vagante, rogge e canali, risorgive e prati
umidi delle località dell’Agro Monfalconese sono stati
oggetto e luogo di studio e ricerca degli studenti e stu-
dentesse del Michelangelo Buonarroti, Liceo che ho il
privilegio di dirigere.
La seria e qualificata docenza che ha guidato la ricerca-
azione dei ragazzi delle classi terze, all’interno del pro-
getto di salvaguardia e valorizzazione ambientale
“Agenda 21”, merita vivo apprezzamento sia per l’opera-
zione culturale in sé, di elevato spessore, sia per la
dimensione formativa ed educativa dell’iniziativa, che si
propone di realizzare un’opera di forte sensibilizzazione
sul tema della difficile salvaguardia di un bene tanto
delicato e fragile quanto prezioso, l’ambiente.
Schiavetti e Cavana, aree umide tutelate dall’Unione
Europea, riconosciute Siti di Importanza Comunitaria
(SIC), sono entrate nell’anima delle docenti di Scienze
Naturali, prof. Augusta Scaramuzza e Giulia Realdon,
che hanno saputo far acquisire un metodo di ricerca
scientifica agli studenti – ricercatori, ma al tempo stesso
infondere in loro entusiasmo e passione.
Agenda 21, progetto di portata mondiale dagli obiettivi
ambiziosi, ha così trovato nella scuola un punto di riferi-
mento e di contributo fattivo.
Visite alla palude Cavana, alla Roggia di Panzano (o degli
Schiavetti), prelievi ed analisi di campioni d’acqua, stu-
dio della ricchezza e varietà della vegetazione e degli
aspetti faunistici, hanno costituito un modo efficace e
progettuale di fare scuola.
Grazie al contributo di esperti di rilievo, alla sensibilità
dell’Ente Locale, all’aiuto significativo della Regione
attraverso LaREA e al sostegno della Fondazione
CariGo, siamo oggi in grado mettere a disposizione di
tutti questa pubblicazione: una ricerca dai risvolti propo-
sitivi e concreti, ricca di suggerimenti che ci auguriamo
vengano ascoltati da chi , a livello politico-istituzionale,
riveste la seria responsabilità di fare scelte oculate, atten-
te e rispettose di un insostituibile bene collettivo.
Vista la soddisfazione della ricerca, vissuta con grande
entusiasmo dalle classi coinvolte, intendiamo ulterior-
mente allargarla: è allo studio un nuovo progetto sul con-
testo ambientale e faunistico dell’area del Lisert, per la
cui realizzazione confidiamo ancora nelle insostituibili
collaborazioni che ci hanno sino ad ora sostenuti.
Laura Fasiolo
Dirigente Scolastica
Il nostro Comune è molto lieto di aver potuto dare un con-
tributo a questo lavoro che s’inserisce a pieno titolo nella
realizzazione del percorso che sta attuando nell’ambito
dell’iniziativa “Agenda 21 locale”.
Questa iniziativa vuole avviare un’azione concertata di tutte
le parti sociali che vivono ed operano in città per tutelare la
qualità della vita e dell’ambiente. Essa fa parte di un gran-
dioso progetto mondiale, denominato appunto “Agenda
21”, ovvero l’agenda per il ventunesimo secolo, un pro-
gramma di interventi che, su tutta la terra, i governi dovran-
no porre in essere per arginare i fenomeni di inquinamento
e di distruzione delle risorse naturali.
Tuttavia, non bastano le grandi dichiarazioni di principio,
bisogna partire anche dalle realtà locali, ed è proprio per
questo motivo che l’azione avviata dagli studenti del nostro
Liceo ci aiuterà a costruire una percezione più condivisa e
partecipata del nostro territorio. Lavorare insieme, (scuo-
la, istituzioni, enti economici) per realizzare “un sogno” è
un bel modo di affrontare la necessità e l’opportunità di
agire concretamente tenendo in debito conto le istanze di
sostenibilità e di fruibilità di alcune risorse che abbiamo la
fortuna di possedere.
Silvia Altran
Assessore all’Istruzione ed alla Partecipazione
Licia Morsolin
Assessore all’Ambiente e Politiche giovanili
Massimo Schiavo
Assessore all’Urbanistica
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Indice
Presentazione 5
Introduzione alla conservazione ovvero abbiamo un sogno: 6
il nostro parco
Localizzazione e tutela 11
Genesi ed evoluzione della pianura isontina-monfalconese 12
Aspetti botanici 17
Aspetti faunistici 24
Gli interventi proposti 30
Immagini 35
APPENDICI:
Check-list degli uccelli della zona Schiavetti- Cavana e Fiumisin 41
(a cura di Paolo Padovan, Paolo Utmar e Ignazio Zanutto)
Check list degli anfibi, rettili e mammiferi terragnoli 44
(a cura di Luca Lapini)
La fauna ittica delle sorgive del Cavana (loc. Schiavetti) – Monfalcone 45
(a cura di Sergio Paradisi)
Specie animali di importanza conservazionistica 46
(a cura di Paolo Utmar)
Specie vegetali ed habitat di importanza conservazionistica 48
(a cura di Pierpaolo Merluzzi)
Glossario 50
Bibliografia 52
Questo lavoro è il risultato di un progetto di educazione
ambientale svolto dagli studenti delle classi terza A, B,
AS, C del Liceo Scientifico “M. Buonarroti” di
Monfalcone, nell’ambito del quale si sono studiate le
zone umide di Monfalcone, in particolare i biotopi
Schiavetti e Cavana che sono oggetto di tutela anche da
parte dell’Unione Europea, essendo riconosciuti come
SIC (Sito di Importanza Comunitaria).
Il progetto “Ho un sogno”: il nostro parco è inserito nella
Agenda 21 locale, di cui il comune di Monfalcone si è
fatto promotore e al quale la scuola ha aderito nella con-
sapevolezza che lo sviluppo sostenibile porta con sé il
concetto di compartecipazione e che l’ambiente deve
essere percepito come bene collettivo.
Il progetto, co-finanziato dalla regione attraverso LaREA
(Laboratorio Regionale di Educazione Ambientale), è
stato realizzato nell’anno scolastico 2003-04 con il soste-
gno del Dirigente Scolastico prof. Pietro Biasiol, parten-
do dal presupposto che l’ambiente è un sistema comples-
so e che la fruizione e la protezione dello stesso vengono
in ogni caso progettate in condizione d’incertezza.
Gli studenti insieme alle loro insegnanti di Scienze e
sotto la guida dell’ornitologo Paolo Utmar si sono docu-
mentati ricercando informazioni e dati bibliografici; nel
frattempo hanno fatto numerose uscite nell’area di stu-
dio a partire dall’inverno fino alla primavera inoltrata,
effettuando misurazioni con strumenti, alcuni dei quali
costruiti dai ragazzi, e raccogliendo una serie di dati
riguardanti le caratteristiche chimico-fisiche delle acque
e gli organismi presenti.
Al termine dei lavori i risultati delle prime fasi del pro-
getto sono stati presentati in occasione del Forum degli
studenti, nel quale i ragazzi si sono confrontati con i vari
stake-holders (portatori di interesse), quali l’Ente Locale,
le Associazioni ambientaliste, i Consorzi operanti nella
zona, i cui punti di vista sono stati espressi nella loro ine-
vitabile diversità, fornendo spunti di analisi e di discus-
sione per la progettazione del futuro dell’area.
In seguito a queste esperienze gli insegnanti e gli studen-
ti si sono resi conto di aver accumulato una certa quan-
tità di materiali interessanti riguardanti un argomento sul
quale non esiste tuttora una pubblicazione destinata al
pubblico generale.
Con entusiasmo quindi, e forse con un po’ d’incoscien-
za, hanno deciso di mettere “nero su bianco” il risultato
della loro attività, producendo questo piccolo contribu-
to alla conoscenza e, si spera, alla tutela ed alla gestione
sostenibile di questi ambienti così pregiati ed allo stesso
tempo così fragili.
L’opera è il risultato di diversi contributi: alcune rifles-
sioni di Paolo Utmar (autore anche dei disegni), i mate-
riali prodotti dagli studenti coordinati dalle insegnanti di
Scienze naturali, le check-list derivate da osservazioni
pluriennali sul campo effettuate da esperti-appassionati,
le proposte progettuali scaturite dall’analisi dei dati rac-
colti e dal confronto dei soggetti coinvolti.
Siamo ovviamente consapevoli dei limiti di questo lavo-
ro che non può certo essere esaustivo, ma raccoglie una
serie di informazioni, con le nostre idee e proposte per il
futuro di Schiavetti-Cavana.
PRESENTAZIONE
- 5 -
Sicuramente molte attività umane derivano da “sogni”,
visti come intimi desideri di qualcosa che ancora non c’è.
Nel passato, come oggi ovviamente, potevano essere un
programma politico o sociale, un ponte, una fabbrica o
una fattoria modello, una relazione, una prestazione
sportiva, insomma qualsiasi cosa che fosse o sembrasse
grande e nuova rispetto ad un oscuro passato e ad un
insoddisfacente presente. Tra tutti i sogni dell’umanità il
sogno di un parco, inteso come zona “naturale” protet-
ta, è tra i più recenti e importanti. La filosofia di un seco-
lo è il senso comune del secolo seguente (cito dall’ingle-
se “the philosophy of one century is the common sense of
the next”. Autore sconosciuto). Il XX secolo, soprattut-
to a partire dagli anni ‘60 e ‘70 ha portato alla ribalta il
problema della tutela della natura. Questo fatto non è
stato casuale, bensì si è originato da un grande processo
in atto: la distruzione delle risorse naturali e la scompar-
sa di molte specie animali e vegetali. L’aumento della
popolazione, l’industrializzazione diffusa, l’incremento
degli spostamenti e della meccanizzazione delle attività
umane hanno portato un forte attacco alla naturalità del
pianeta. Quanto detto è vero soprattutto a livello globa-
le. L’Europa che per prima ha conosciuto la rivoluzione
industriale risulta, almeno nella parte occidentale, meno
soggetta alle nuove e drammatiche perdite di ambienti e
di specie che caratterizzano il resto del mondo. La “vec-
chia” civiltà europea aveva compiuto in tempi remoti
quello che nel terzo mondo sta accadendo nei nostri
giorni. Il sogno di molti europei del ‘700 e ‘800 poteva
essere di vivere senza l’assillo dei lupi e delle acque sre-
golate che invadevano, impaludandoli, i poderi agricoli
lavorati con tanta fatica. A livello globale si può ritenere
che l’avvento dell’agricoltura, la riduzione del nomadi-
smo e delle civiltà dei pescatori e dei cacciatori e l’incre-
mento della popolazione umana abbiano determinato
l’inizio della trasformazione del mondo abitato. L’attuale
civiltà urbana, svincolata dall’ansia di produrre alimenti
e proteggerli dalla natura ostile, è portatrice della nuova
istanza di conservazione dell’ambiente, mentre usual-
mente le maggiori opposizioni ai parchi vengono dalle
popolazioni rurali, che spesso sottostimano il valore
naturalistico del proprio territorio. I sogni degli uni si
scontrano con i sogni degli altri.
Qualcuno ha scritto che “lo sviluppo è il prerequisito della
conservazione”. E’ certamente vero, almeno in ampie
zone dell’Occidente (Europa, America settentrionale), ma
risulta difficile accettare che l’intera umanità si sviluppi
come noi per poi intraprendere la via di un saggio utiliz-
zo, ovvero di uno sviluppo compatibile. Non è razzismo
ma preoccupazione per gli effetti devastanti dei nostri
consumi estesi all’intera popolazione umana. Si reputa che
gestire i cambiamenti in atto in larga parte del pianeta,
minimizzando i costi ambientali, sia una delle grosse sfide
del secolo appena iniziato.
Sono essi ambienti “naturali”?
Normalmente si dice che, escludendo le zone remote, in
Europa non esistano più ambienti autenticamente natu-
rali, cioè non influenzati dall’azione dell’uomo. Questo
assunto di solito appare eccessivo, ma più si conosce e
più si avverte lo zampino dell’uomo, anche nelle situazio-
ni che superficialmente non rivelano l’azione antropica.
Le specie vegetali alloctone possono crescere in un bosco
golenale in maniera naturaliforme ed essere individuate
solamente da chi conosce le piante. La qualità e la quan-
tità delle acque di risorgiva viene influenzata da attività
umane come l’agricoltura e l’industria, che possono svol-
gersi anche a decine di chilometri dalla sorgente. Queste
attività possono mutare la qualità delle acque, aumentan-
do la quantità di nutrienti, oppure possono diminuirne
la quantità, attraverso il prelievo idrico dalle falde freati-
che della pianura posta a monte delle risorgive. Più
nutrienti e meno acqua possono favorire nel sito un
incremento nella crescita della vegetazione che finisce
per invadere gli specchi aperti; inoltre, molte piante delle
risorgive sono legate ad ambienti oligotrofici e quindi
scompaiono con l’eutrofizzazione. Basta usare dei ferti-
lizzanti nei prati naturali per far regredire molte delle
specie tipiche. Dato per assodato l’intervento almeno
indiretto dell’uomo si può ben dire che, in un contesto di
periferia urbana, le zone in oggetto costituiscono territo-
ri ad elevata naturalità.
Utilizzo o abbandono
Gli ambienti come li vediamo oggi sono anche il risulta-
to dei passati utilizzi antropici. Nelle risorgive si può
ritenere che gli utilizzi sono stati inversamente propor-
zionali alla quantità d’acqua, almeno per quanto riguar-
da gli usi che trasformano il sito. Nelle zone d’acqua
perenne e profonda poteva realizzarsi la pesca, la caccia
e la cattura di animali con trappole. Ad esempio l’ultima
lontra (Lutra lutra) del Monfalconese pare sia stata presa
nei pressi dei silos di De Franceschi, adiacenti l’area di
studio. Nelle zone più alte, dopo l’eventuale disbosca-
mento, poteva realizzarsi lo sfalcio per il foraggio o per
la lettiera degli animali stabulati ovvero il pascolo brado.
Caccia, cattura di rane, pesca e raccolta dei prodotti
spontanei (erbe edibili, funghi, lumache) insistevano con
modalità diverse sull’intera zona. Nei canneti avveniva il
taglio e la raccolta della canna palustre, usata come mate-
riale da costruzione. Nei boschetti residui poteva realiz-
zarsi il taglio di modeste quantità di legname. Oggi
- 6 -
INTRODUZIONE ALLA CONSERVAZIONE
OVVERO ABBIAMO UN SOGNO: IL NOSTRO PARCO
(Paolo Utmar)
molto è cambiato con il generale abbandono delle attivi-
tà tradizionali. I prati umidi sfalciati sono stati converti-
ti, previo drenaggio, in coltivi e pioppeti, i canneti non
più gestiti sono soggetti all’incespugliamento, ampie
zone particolarmente esterne agli ambiti tutelati sono
state convertite in colture arboree con finanziamenti
comunitari. Le zone a monte e a oriente sono state tra-
sformate in zone artigianali e/o industriali. Continua a
svolgersi l’attività venatoria e alieutica anche su specie
ricomparse nel sito in tempi recenti (anni ’70) come, ad
esempio il Capriolo (Capreolus capreolus). Le aree più
ricche d’acqua sono quelle che hanno conservato il più
alto grado di naturalità. Mentre una valle da pesca è una
zona umida produttiva in senso tradizionale (da essa si
possono ricavare pesce ed eventualmente uccelli), ambi-
ti come Schiavetti-Cavana possono essere considerati,
secondo un’ottica produttivistica, ambienti “abbandona-
ti” e “improduttivi”. Il rischio maggiore, oggi probabil-
mente sventato, è che qualsiasi realizzazione proposta in
tali ambiti venga considerata positiva da larga parte della
popolazione, inconsapevole degli elevati valori naturali-
stici del sito. Deve quindi nascere e prendere forza il
“sogno” del parco.
Tutela passiva e/o tutela attiva
Un tempo si usava dire “lascia fare a madre natura” e le
zone protette erano essenzialmente un territorio in cui
una serie di vincoli regolavano, spesso in modo drastico,
le attività dell’uomo. Si è poi giunti ad una visione mag-
giormente integrata di “natura e cultura”. Oggi ci sono
varie scuole di pensiero che possono andare da “quasi
Disneyland” alla cosiddetta wilderness. Certamente un
territorio come Schiavetti-Cavana ha bisogno di gestione
e di aree circostanti che fungano da cuscinetto verso le
zone maggiormente trasformate. Il cosa, il quanto, il
quando, il dove, il chi e il perché di ogni azione sono le
variabili che debbono essere valutate in un progetto sulla
possibile gestione della zona. Le persone che frequenta-
no il sito hanno ognuna un sogno, magari minimo, a pro-
posito di cosa fare o non fare. L’attività in classe e sul
campo ha avuto lo scopo di cercare di attivare una visio-
ne, il più possibile supportata dalle conoscenze acquisi-
te, sul futuro di questo territorio.
L’importanza dell’estensione
Viene generalmente accettato che la quantità di utilizzi
che insistono su un territorio è direttamente proporzio-
nale alla sua estensione. Questo vale certamente nelle
aree protette dove una zona come il “potenziale” parco
della Laguna di Grado e Marano può sostenere, con
impatti relativi, una gamma di attività umane non soste-
nibili da ambiti ristretti come la foce dell’Isonzo, che si
estende su 1/10 della superficie rispetto a quella della
laguna. In una zona decisamente limitata come
Schiavetti-Cavana o la rimanente cassa di colmata del
Lisert di norma non risultano compatibili utilizzi pluri-
mi, potenzialmente contrastanti. Un esempio limite: un
solo cacciatore con il suo cane vagante allontana gran
parte degli uccelli acquatici, molti passeriformi e qualche
mammifero dall’intera “cassa di colmata”, estesa su
poche decine di ettari. Nella laguna di Grado si verifica,
viceversa, un alto grado di compatibilità tra caccia (circa
100 cacciatori) e conservazione (50.000 uccelli acquatici
svernanti); la zona consente inoltre la pesca, la vallicoltu-
ra, la raccolta di molluschi e vari utilizzi turistici e resi-
denziali. Ovviamente anche in laguna ci sono conflitti ma
l’estensione è spesso un buon ammortizzatore degli
impatti antropici. Un altro caso viene dalle grandi fore-
ste tra Slovenia e Croazia dove un intenso sfruttamento
forestale e turistico convive con specie come il Cervo
(Cervus elaphus), l’Orso (Ursus arctos), il Lupo (Canis
lupus) e la Lince (Lynx lynx) a loro volta soggetti al pre-
lievo venatorio, importante risorsa economica della
zona. I grifoni (Gyps fulvus) di Cres-Cherso (Croazia)
dipendono da attività tradizionali come la pastorizia e
hanno sopportato l’invasione turistica del secondo dopo-
guerra. Anche in questi casi l’estensione favorisce la con-
vivenza.
Messi questi “paletti” potrà essere istruttivo e forse
divertente provare a pensare a cosa si può fare (e inoltre
come, dove, quanto e quando) nella nostra “area di stu-
dio”.
L’uovo di colombo: la zonizzazione (zonazione)
Questi due termini definiscono un sistema di tutela dif-
ferenziata che viene usato normalmente nelle aree pro-
tette. A partire dalle zone di più alto valore naturalistico
ed in cui la necessità di intervento è reputata minima
(riserva integrale/orientata/naturale) e in cui le attività
umane sono fortemente limitate, si passa a zone in cui è
consentita una certa fruizione e trasformazione, ovvia-
mente di tipo naturalistico (riserva guidata) ed infine ad
aree cosiddette di pre-parco, in cui si concentrano le
eventuali strutture di supporto alle visite (parcheggio,
centro visite, ecc.). L’equilibrio tra le varie componenti
ed i relativi finanziamenti costituisce un buon metro di
giudizio sull’oculatezza della gestione. In altri termini un
parco in cui tutto si fa in funzione dell’uomo e del suo
tempo libero e poco o nulla per la conservazione
ambientale è un esempio sbilanciato in senso antropo-
centrico di tutela della natura.
Oggettività delle analisi e delle scelte gestionali succes-
sive
Il rilevamento della presenza di una specie, di una pro-
fondità dell’acqua, dell’altezza media del canneto,
insomma la raccolta di dati costituisce la parte oggettiva
della nostra attività (pur rimanendo il problema cruciale
della scelta di quali dati raccogliere). L’analisi e la “pesa-
tura” delle conoscenze acquisite costituiscono la parte
soggettiva. Nessuno studio ambientale, anche di gruppo,
risulta immune dalle inclinazioni personali dei parteci-
panti e del Team Leader. Quando ci si addentra nella
gestione, allontanandosi dalla parte oggettiva costituita
- 7 -
dai dati, la soggettività aumenta ancora, rivelando intime
convinzioni, anche distanti dalla propria attività profes-
sionale. Se la matematica non è un opinione la gestione
dell’ambiente certamente sì. Con questo non si vuole
relativizzare tutto in un informe impasto, in cui tutto
quello che viene proposto ha la stessa accettazione e
valore. I piani di gestione partono, o dovrebbero partire,
proprio da discussioni sulle diverse opzioni possibili. Il
valore dei partecipanti sta, oltre che nelle competenze,
proprio nell’abilità sociale, come ascolto attivo in cui si
rispettano le posizioni altrui e si sostengono corretta-
mente le proprie. Vasto ma avvincente programma.
Per chiarire fin da subito la personale filosofia di chi
scrive sulla conservazione, si riporta quanto scritto nella
premessa alle “Considerazioni sulla Gestione della
Riserva Naturale Regionale “Valle Cavanata” con parti-
colare riguardo agli effetti sull’Avifauna”:
“Desiderando arrestare ora e per l’avvenire la progres-
siva invasione da parte dell’uomo e la scomparsa delle zone
umide” (dalla premessa della Convenzione relativa alle
zone umide di importanza internazionale firmata a
Ramsar il 2 febbraio 1971). Le zone protette dovrebbero
essere i luoghi dove l’ansia del fare, tipica dell’uomo occi-
dentale, si placa per far posto ad un’altra tensione caratte-
ristica dell’essere umano: quella del conoscere.
Le zone umide esistenti rappresentano infatti le ultime
vestigia della grande varietà ed estensione di tali ambienti
presenti un secolo fa; nello specifico si stima in 50.000 ha
la superficie bonificata nel corso del ‘900 nel Friuli -
Venezia Giulia (Musi et al. 1992).
I quattro scopi principali della tutela delle zone umide
sono: la ricerca, la conservazione, l’educazione e la ricrea-
zione, come si può evincere dallo statuto dell’associazione
inglese “The Wildfowl and Wetland Trust”, punto di rife-
rimento nel campo della conservazione.
Tali intendimenti ovviamente non dimenticano l’uo-
mo, ma presuppongono un approccio cosciente ed educato
a questi delicati ambienti e alla loro fauna. La ricerca con-
sente infatti di avere delle basi sulle quali avviare la con-
servazione; l’educazione e la ricreazione costruiscono il
consenso dei cittadini, necessario alla tutela ambientale.
Da questo punto di vista, una strategia che voglia mini-
mizzare i rischi di alterazione dell’ambiente porta l’educa-
zione e la ricreazione in zone poco sensibili, ai limiti o al
di fuori dalle aree tutelate, altrimenti queste attività, asso-
lutamente legittime, tenderanno a contrastare la finalità
primaria di una Riserva naturale: la conservazione.
Il concetto di conservazione, come recentemente ricor-
dato in un convegno dal prof. Livio Poldini,
dell’Università degli studi di Trieste, si è evoluto e, dal
riguardare le specie e quindi gli habitat, oggi punta alla
“conservazione delle serie dinamiche, fondamentali per
raggiungere il massimo livello di biodiversità”.
Per mantenere questa capacità evolutiva, scarsamente
presente nella pianura antropizzata, l’attività di gestione
deve fare “un passo indietro” e trattenersi dall’intervenire
ogni qual volta “sembri” prendere il sopravvento qualche
elemento ambientale. Ogni volta che “sembra” ci siano
“troppe” alghe, canneti, astri delle saline, cormorani
(Phalacrocorax carbo), gabbiani reali (Larus michaellis),
volpi (Vulpes vulpes) etc.
Bisogna prima osservare e capire per poi, eventualmen-
te, agire. A ragion veduta ed in modo assolutamente mira-
to, altrimenti la gestione “attiva” dell’ambiente ed in par-
ticolare delle zone umide protette rischia nuovamente di
collidere con l’intento della conservazione.
Non crediamo di essere in grado di regolare tutto ma
almeno nelle Riserve naturali “conosciamo il più possibile
per intervenire il meno possibile”.
Lupi, paludi e lontre: un rapporto da ricostruire
Poche cose della natura hanno saputo e sanno scatenare
nell’uomo sentimenti forti e contrastanti quanto le paludi
ed il Lupo. Incominciamo dal “migliore nemico
dell’Uomo” (B. Lopez 1978) che, dopo aver avuto una
valenza positiva per i popoli cacciatori e per una parte dei
pastori nomadi, alimentata dalle similitudini tra il clan
degli uomini e il branco dei canidi, è divenuto in tempi
più recenti (in particolare nel medioevo) il simbolo della
natura crudele e sregolata da perseguitare fino all’estin-
zione. Successivamente, dagli anni ’70 in poi, il lupo, di
nuovo simbolo, ma ora della natura selvaggia da salvare,
è diventato “buono” alimentandosi solamente degli ani-
mali malati e non attaccando mai l’uomo né il bambino
(Comincini et alii 1996, Kruuk 2004). Un’altra proiezio-
ne umana su un animale che ovviamente umano non è.
Oggi finalmente si inizia a guardare al lupo per quello che
è: un predatore opportunista. Anche le paludi sono state
oggetto di sentimenti diversi: da casa di numerose comu-
nità in tutti i continenti (Gradesi e Maranesi nelle nostre
aree) ad ambiente “anacronistico ed inutile” da eliminare
con la bonifica integrale del secolo scorso. Ai grandi pro-
prietari ed ingegneri bonificatori vennero eretti monu-
menti con iscrizioni altisonanti e si progettava ed in parte
si portava a termine (Fossalon - bonifica della Vittoria) il
prosciugamento anche della laguna di Grado. L’attività di
bonifica, giustamente motivata dalla crescita demografica
e dalla lotta alla malaria, andò poi avanti fino ad anni
recenti con un accanimento ottuso e ideologico molto
simile a quello che si è verificato negli Stati Uniti
d’America alla fine dell’800 ai danni degli ultimi lupi e
degli ultimi nativi erranti. Poi negli anni ’70 nasce la con-
sapevolezza dell’importanza di questi ambienti e, in fun-
zione della conservazione, viene enfatizzata la loro pro-
duttività in termini di pescato. In questo senso la
Convenzione internazionale di Ramsar (1971) ha rappre-
sentato in molti casi lo spartiacque tra il prosciugamento
e la tutela. Oggi dovremmo essere in grado di conservare
un ambiente anche se non particolarmente “produttivo”,
come si auspica accada a Schiavetti-Cavana. Lupo e palu-
di: qualcosa di diverso soprattutto da accettare. Anche la
Lontra, nel suo piccolo, ha avuto connotati fortemente
diversi per l’uomo. Nel passato anche non remoto era tra
i “nocivi”* e la si riteneva capace di ingoiare quantità
- 8 -
enormi di pesce, mentre oggi è giustamente “specie ban-
diera” della conservazione e ripristino degli ecosistemi
fluviali.
* Fino al 1971 la specie, per la legge italiana, poteva
essere abbattibile in ogni tempo e con ogni mezzo ed in
seguito, fino al 1977, era specie cacciabile (Cassola
1986).
Estetica degli interventi e delle operazioni di gestione
nelle aree protette
Gli animali forse non hanno senso estetico, ma sicura-
mente l’uomo o una parte degli uomini sì. Se diamo per
buono tale fatto, bisogna considerare anche dal lato este-
tico le operazioni che vengono condotte all’interno di un
parco naturale. Ad esempio un’impalcatura in tubi inno-
centi può essere efficace per la nidificazione degli aironi,
ma in un area visitabile è senz’altro da preferire una
struttura lignea simil-naturale. Anche il controllo della
vegetazione mediante taglio può essere fatto in maniera
da risultare più o meno artificiosa (ad esempio evitando
lunghi bordi rettilinei, sfumando verso zone di vegeta-
zione comunque bassa, lasciando chiazze di vegetazione
non tagliata, variando il livello di taglio, ovvero tagliando
in un periodo tale da consentire una limitata ricrescita
autunnale che renda meno impattante l’azione dell’uo-
mo). In definitiva l’efficacia di un intervento non può
essere l’unico criterio di valutazione dell’intervento stes-
so. Percorsi di visita e centri di accoglienza per i visita-
tori dovranno inserirsi in maniera armonica nell’ambien-
te. Per i secondi è preferibile il riutilizzo di edifici esi-
stenti. Normalmente accettiamo con più facilità qualco-
sa di già esistente piuttosto che una realizzazione ex novo
che viene inevitabilmente criticata da una parte del pub-
blico. Anche per i percorsi andranno preferiti tracciati
esistenti che sono ormai noti e consueti anche per la
fauna, mentre andrà valutata con cura ogni penetrazione
nelle zone attualmente indisturbate.
Le priorità della gestione
Data per acquisita la necessità di conservare il più possi-
bile di quello che rimane degli ambienti “naturali”, lo
scoglio successivo è capire quali caratteristiche vanno
tutelate e come. Ad esempio nelle risorgive dello Stella si
fa moltissimo per la flora ma la caccia non è stata limita-
ta, vuoi per non creare opposizioni, vuoi perché l’avifau-
na svernante non è considerata una priorità. La flora,
nell’ambito considerato ed in particolare a Schiavetti, ha
verosimilmente il peso maggiore per la presenza di tutte
le specie rare collegate con le risorgive. Nella Cavana, nel
pioppeto in abbandono e sul Fiumisin potrebbero essere
prioritari gli aspetti faunistici. Le direttive della
Comunità Europea, le Liste Rosse, le pubblicazioni di
Birdlife International con le SPEC (Species of European
Conservation Concern) danno molte indicazioni su cosa
puntare a livello di interventi gestionali. Anche il valore
La Gru (Grus grus), specie nidificante fino all’inizio del ’900 in alcune paludi, ora bonificate, dell’Alto Adriatico.
- 9 -
locale va considerato, sia per motivi culturali che biogeo-
grafici, ad esempio l’Edredone (Somateria mollissima) e
la Beccaccia (Scolopax rusticola) nidificanti, comuni a
livello europeo, sono estremamente localizzati nel
Mediterraneo. Sarà importante individuare delle specie
simbolo o “bandiera” di determinati ambienti per foca-
lizzare su di esse l’attenzione del pubblico e arrivare al
saggio utilizzo complessivo anche attraverso queste azio-
ni di sensibilizzazione. Se avessimo ancora la Lontra o
l’Albanella minore (Circus pygargus) queste potrebbero
servire allo scopo. Gli inglesi parlano di specie bandiera
(flagship species) che viene evidenziata in tutti i modi per
arrivare alla conservazione e alla corretta gestione di un
sito. Se poi la specie è all’apice della piramide ecologica,
per proteggerla non rimane che realizzare una tutela glo-
bale: in pratica l’animale diventa un ombrello per l’eco-
sistema.
Il monitoraggio: uno strumento necessario
Sapere che specie ci sono nella zona protetta, in che
periodo, con quanti individui, costituisce una base cono-
scitiva utile alla conservazione e necessaria alla valutazio-
ne dei risultati degli interventi gestionali. E’ consigliabile
dividere l’area in zone omogenee e creare zone ad hoc nei
siti oggetto di interventi. Avere dei buoni dati prima del-
l’avvio di azioni che trasformano lo stato dei luoghi con-
sente di conoscere il punto di partenza. Un buon monito-
raggio dovrebbe fornire il maggior numero possibile di
dati quantitativi, infatti la sola rilevazione della presen-
za/assenza non consente di individuare le tendenze se
non in modo molto approssimativo. I dati dovranno esse-
re raccolti con un metodo standardizzato per consentire
il confronto con quelli rilevati in periodi successivi.
Per quanto riguarda l’avifauna nidificante esistono molti
metodi per un censimento esaustivo (mappaggio) o effet-
tuato per aree campione (punti di ascolto, indice chilo-
metrico di abbondanza ecc.), mentre per gli avifauna
acquatica risulta adatto il semplice conteggio diretto. La
rilevazione degli uccelli nidificanti, e secondariamente di
quelli svernanti, può fornire dati di distribuzione sul ter-
ritorio che poi consentono la redazione di “atlanti”.
Questa mole di dati dovrebbe auspicabilmente servire
anche a livello politico per le decisioni relative alla desti-
nazione d’uso delle diverse zone. Dovrebbe essere lapalis-
siano che è peggio per la collettività e per il bene ambien-
tale in sé realizzare un grosso investimento in un’area di
elevato valore naturalistico, comprovata dalle conoscenze
esistenti, piuttosto che farlo in un area di nessun valore,
magari già trasformata in precedenza per altri usi produt-
tivi poi decaduti.
Il controllo dei risultati
Un argomento “antipatico” è quello della verifica dei
risultati rispetto agli obbiettivi indicati negli strumenti di
gestione. Spesso l’onestà intellettuale non è così forte e
diffusa da far emergere da parte dei diretti interessati le
manchevolezze e i limiti del loro operato. Quindi
dovrebbe essere un ente super partes a svolgere il delica-
to ruolo di controllo. La valutazione delle situazioni spe-
cifiche dovrà avere un carattere propositivo, orientato al
futuro e chiaramente non inquisitorio. Si ritiene che l’esi-
stenza di un controllo, del resto esistente in moltissimi
altri campi, possa stimolare positivamente l’azione dei
soggetti gestori. Linee guida sulle priorità e sui modelli
di gestione potrebbero utilmente essere redatte dagli enti
preposti o da organismi scientifici (Università), in colla-
borazione con le associazioni naturalistiche e singoli
esperti. Analogamente andrebbero predisposti piani
d’azione per le specie in pericolo.
- 10 -
L’area umida Schiavetti-Cavana si trova nella zona sud-
occidentale del territorio comunale di Monfalcone, al
confine con quello di Staranzano. A nord e nord-est è
racchiusa dalle zone industriali di Bistrigna e Schiavetti,
nella parte meridionale confina con insediamenti turistici
(Marina Julia) e nautici (Marina Hannibal). Schiavetti-
Cavana costituisce la palude costiera più settentrionale
del Mediterraneo ed è l’ultimo ambiente, insieme al
Lisert, del sistema di zone umide dell’Alto Adriatico: ad
esso segue la costa alta che, con vari aspetti, prosegue
ininterrotta fino all’estremità dei Balcani.
Alcuni dati geografici:
Latitudine 45°47’15’’
Longitudine 13°31’22’’
Altitudine da 0 a 2 m s.l.m.
Estensione (compresa la parte che ricade in comune di
Staranzano): oltre 150 ha, includendo zone attualmente
non vincolate.
Nei limiti di queste dimensioni relativamente modeste
essa accoglie un’elevata biodiversità dovuta alla sua col-
locazione geografica al limite tra il bacino illirico-carsico
(continentale) e quello mediterraneo, con la compresen-
za delle relative specie.
Come si può intuire l’area considerata rappresenta una
nicchia di naturalità sopravvissuta all’interno di una zona
intensamente antropizzata, il che conferisce ad essa un
valore rilevante, ma anche un accentuato rischio di esse-
re alterata e scomparire in nome delle esigenze produtti-
ve del territorio.
Nel 1997 il Comune di Monfalcone, rispondendo anche
alle richieste delle associazioni ambientaliste locali, in
particolare Legambiente, L.I.P.U. e W.W.F., ha inserito
questa zona nel Piano Regolatore come “area di interes-
se naturalistico”, modificando la precedente impostazio-
ne urbanistica che vedeva quest’area come destinata
totalmente all’insediamento industriale ed artigianale.
Successivamente l’area ha ricevuto una tutela ambienta-
le dalla Regione Friuli Venezia Giulia, con l’istituzione
del Biotopo “Palude di Cavana” (estensione 40 ha, con
delibera della Giunta Regionale n°1674 del 29.5.1998) e
del Biotopo “Risorgive di Schiavetti” (estensione 63,9
ha, con delibera della Giunta Regionale n.2943
del.14.9.2001).
Immagine 1 - pag 35: Bacino di Panzano visto dalla foce
del Brancolo (1978)
A questa tutela si è aggiunto il riconoscimento
dell’Unione Europea, nell’ambito dei Siti Natura 2000,
con l’identificazione del S.I.C. (Sito di Importanza
Comunitaria) “Cavana di Monfalcone” (codice
IT3330007), con un’estensione di 131 ha
Il S.I.C. ingloba il territorio dei due biotopi più alcune
altre zone interessanti:
-un tratto a mare antistante la palude Cavana, compren-
dente spiaggia e piana di marea
-quanto resta del Fiumisin (corso d’acqua di risorgiva ad
ovest di Marina Julia) e parte dell’adiacente pioppeto in
abbandono.
Immagine 3 - pag 36: Orto-foto (Compagnia Generale
Ripreseaeree S.p.A.): i confini dei due biotopi sono deli-
neati in rosso; l’area del S.I.C. è contornata con tratto
verde; il tratto azzurro grosso definisce i confini dei ter-
ritori comunali. Si può notare che alcuni tratti dei bioto-
pi non sono stati compresi nel perimetro del S.I.C. e
viceversa.
L’accesso avviene dal centro abitato di Monfalcone o
dalla strada provinciale Monfalcone-Grado attraverso
via Bagni e via Bagni Nuova; all’interno dell’area si tro-
vano la via delle Sorgive (che si interrompe a ridosso
della olla superiore-“turistica”), la strada del Brancolo
(lungo il canale omonimo) e via delle Giarette, che colle-
ga a Marina Julia. Nella zona esistono inoltre diversi sen-
tieri sterrati e carrarecce.
LOCALIZZAZIONE E TUTELA
- 11 -
L’area monfalconese è compresa tra il Carso Goriziano e
il basso corso dell’Isonzo; fa parte della pianura isontina,
estremo lembo orientale della pianura veneto-friulana.
Per quanto riguarda il Carso la sedimentazione ha inizio
nell’era Mesozoica e, più precisamente, nel periodo
Cretacico con la deposizione di una successione carbo-
natica di ambiente lagunare-salmastro caldo. Durante il
Cenomaniano si ha la presenza di una laguna con acque
basse e calde, povere di ossigeno, con scarsi organismi e
limitate comunicazioni con il mare aperto, nel quale si
verifica la deposizione di calcari e dolomie. Poi, durante
il Turoniano si registrano fenomeni di subsidenza del
fondo marino che determinano la deposizione di calcari
a rudiste.
Nel Senoniano abbiamo una crisi orogenetica e la forma-
zione dell’anticlinale del Carso con la sua emersione;
successivamente gli agenti esogeni iniziano ad operare le
prime forme di degradazione.
Durante l’era Cenozoica, nel periodo Paleocene, si
instaura nuovamente un ambiente di laguna con la sedi-
mentazione di calcari (facies liburnica). Nell’Eocene
medio si ha quindi la deposizione di flysch; alla fine del
periodo inizia la regressione marina e si ha una nuova
crisi orogenetica che culmina nell’Oligocene con il sol-
levamento dell’altipiano carsico, caratterizzato dall’esse-
re una struttura ad orientamento prevalentemente dina-
rico. L’emersione determina nuovi fenomeni di smantel-
lamento degradativo del Carso. Alla fine del Miocene
un’ulteriore crisi orogenetica accentua la continentalità
dell’area.
In seguito, durante il Pliocene si verifica l’abbassamento
del golfo di Trieste con un movimento destrorso e un
successivo sottoscorrimento a N-E lungo la faglia di
Palmanova-Muggia, che determina un innalzamento del
Carso e un abbassamento della piana isontina-monfalco-
nese localizzata a sud della faglia.
Durante le fasi glaciali del Pleistocene nella zona esisto-
no corsi d’acqua di tipo fluvio-glaciale caratterizzati dal
trasporto di notevoli quantità di materiali alluvionali che,
una volta depositati, originano le piane alluvionali cau-
sando la loro avanzata verso il mare. I maggiori apporti
sono riferibili alla glaciazione Würmiana, al termine
della quale gran parte della pianura veneto-friulana è
emersa, compreso il territorio di Monfalcone.
- 12 -
GENESI ED EVOLUZIONE DELLA PIANURA
ISONTINA-MONFALCONESE
Tavola geocronologica
Schema illustrante il sistema fluvio-glaciale dell’Isonzo e
del Natisone durante l’espansione massima dei ghiacciai
del Würmiano (da Comel, 1949)
ETÀ ERA PERIODO PIANO
OLOCÈNE
PLEISTOCÈNE
PLIOCÈNE
MIOCÈNE
OLIGOCÈNE
EOCÈNE
PALEOCÈNE
CRETACICO
GIURASSICO
TRIASSICO
PERMIANO
CARBONIFERO
DEVONIANO
SILURIANO
ORDOVICIANO
CAMBRIANO
MAASTRICHTIANO
CAMPANIANO
SANTONIANO
CONIACIANO
TURONIANO
CENOMANIANO
ALBIANO
APTIANO
BARREMIANO
HAUTERVIANO
VALANGINIANO
BERRIASIANO
NEO-
ZOICA
PRECAMBRIANA PALEOZOICA MESOZOICA
INFERIORE SUPERIORE
CENOZICA
1,8
65
145
208
250
290
360
410
440
510
570
Si succedono quindi eventi di regressioni e trasgressioni
marine accompagnate da potenti accumuli di materiale
alluvionale.
La pianura monfalconese è dovuta pertanto alla deposi-
zione, durante il Quaternario, di materiale alluvionale
trasportato dall’Isonzo, dai suoi affluenti e, subordinata-
mente, dal Timavo.
Per giungere più vicini ai nostri giorni, a partire dal IX
secolo D.C. circa abbiamo un graduale spostamento del-
l’asta terminale dell’Isonzo verso est, tanto che esso è stato
definito “fiume vagabondo”. L’antico corso viene identifi-
cato con l’attuale Isonzato. Successivamente, quando la
foce del fiume si sposta nello Sbobba e l’Isonzato rimane
come foce secondaria, tra i due rami si forma l’isola
Morosini . Verso la fine dell’800 lo sbocco principale divie-
ne la Quarantia, che inizialmente era un corso d’acqua di
risorgiva, lo Sdobba rimane come ramo secondario ed in
mezzo ad essi si origina l’isola della Cona. Nel 1937 la
Quarantia viene chiusa con una diga e, con la costruzione
degli argini sull’Isonzo, il corso d’acqua principale viene
incanalato nel ramo Sdobba.
I terreni sono costituiti da sedimenti limo-argillosi, con
presenza di torba nei livelli più superficiali (con spesso-
re variabile, in media di 1,5-2 m), poggianti su un sub-
strato ghiaioso-sabbioso di origine isontina, con interpo-
sti strati e lenti di argilla che, fungendo da acquicludo,
costringono le acque sotterranee a riemergere in superfi-
cie in corrispondenza delle risorgive.
Come si evidenzia dalla figura qui in alto, la falda freatica
può raggiungere l’attuale piano di campagna. Le acque
emergono in olle o polle di risorgenza dalla forma subcir-
colare, in terreni leggermente depressi, con aste drenan-
ti; spesso più olle confluiscono e originano un fiume.
Con il termine di “risorgive” si definisce la venuta a gior-
no di acque sotterranee dovuta alla presenza di depositi
più fini e meno permeabili. Si può identificare una linea
delle risorgive che si estende dal Piemonte alla bassa pia-
nura isontina, della quale il SIC Schiavetti rappresenta il
limite orientale. Questa linea separa idealmente l’alta
pianura dalla bassa ed è –in realtà- una fascia di larghez-
za variabile da 2 ai 30 km.
Le acque delle risorgive sono leggermente basiche (pH
intorno 7,5) ed hanno una temperatura piuttosto costan-
te, compresa di norma i 10° e 14° C.
I rilievi degli studenti del Liceo Buonarroti
Si sono effettuate otto serie di prelievi di campioni nei
mesi di marzo ed aprile 2004, da cui risulta che le acque
della olla superiore (quella più a nord, che attualmente
non è inserita nell’area protetta ma si trova in zona servi-
zi dell’area industriale degli Schiavetti) risulta limpida,
con una temperatura media di 13,5°C , leggermente basi-
ca (pH 7,45), con densità pari a 1 kg/dm3(acqua dolce).
Altri prelievi sotto stati fatti lungo i canali di bonifica e
le rogge presenti nell’area; le acque si sono sempre rive-
late leggermente basiche, con temperature inferiori ai 14
gradi.
Questi dati sono in accordo con quelli rilevati dalla
prof.ssa O.Paternoster e dai suoi studenti della Scuola
Media di Staranzano (GO) nell’anno scolastico 1995-’96.
Interessanti sono i dati rilevati a livello dell’ultimo
ponte sul Brancolo, dove le acque alla profondità di
quattro metri risultavano più fredde (in media 9,5°C) e
più dense (1,038 kg/dm3) rispetto a quelle superficiali,
confermando quindi una risalita delle acque salate dal
mare, denominata cuneo salino.
Un incremento di salinità si è registrato anche alla foce
della Cavana e del canale della Taiada, dovuto evidente-
Sezione della pianura isontina illustrante il fenomeno delle risorgive.
1 Falda in pressione
2 Falda freatica e libera
3 Direzione del flusso
4 Olla
5 Pozzo artesiano
6 Sedimenti fini
7 Sedimenti grossolani
8 Mare
- 13 -
7
1
6
5
4
2
38
mente alla scarsa efficacia delle difese a mare (compre-
so il malfunzionamento delle porte vinciane); questa
situazione determina condizioni salmastre nella parte
terminale della palude Cavana, che in effetti si presenta
come un ambiente di barena.
Nel territorio in esame sono presenti due corsi d’acqua,
il Fiumisin e la Cavana (in cartografia riportata anche
come Cavanna). Essi sono i residui della fitta rete idri-
ca alimentata dalle risorgive della bassa pianura isonti-
na. I due fiumi, fino a primi decenni del secolo scorso,
sfociavano direttamente nell’Adriatico.
Si deve far presente che la Cavana aveva una lunghez-
za maggiore di quella attuale, perché raccoglieva le
acque nella zona già compresa tra gli Schiavetti e
Matarussi. Attualmente il canale Principale I, detto del
Brancolo taglia il fiume in due tronconi: il tratto supe-
riore, che porta le acque nel Brancolo e quello inferio-
re, abbastanza integro che, meandreggiando, sfocia a
Marina Julia presso l’ex colonia delle Giarette.
Il Fiumisin, attualmente, è ridotto a piccolissimo cana-
le arginato, che riversa la maggior parte delle sue acque
nel Brancolo.
Questi due fiumi racchiudevano una vasta distesa di
terreni paludosi indicati con il toponimo Serraglio, che
deriva dal veneto “serajo”, a sua volta dal tardo latino
“serraculum” (chiusura). Alla loro foce l’azione del
mare formò un’insenatura nella quale trovavano riparo
le barche di pescatori di Monfalcone e Grado.
L’insenatura prese il nome di Porto Cavana. Solo in
seguito l’accumulo di banchi sabbiosi depositati dal
mare bloccò l’accesso all’insenatura, separando la lagu-
na dal mare.
La palude del Serraglio fu sottoposta a diversi lavori di
sistemazione idraulica. L’aspetto attuale è dovuto agli
interventi del Novecento con la bonifica che prende il
nome di “bacino delle Giarette” e negli anni successivi
di “bonifica del Brancolo”. La palude Serraglio costitui-
sce la naturale continuazione di quella della Posta.
La palude della Posta era la più estesa della zona; il
nome deriva dall’affitto che i pastori pagavano per por-
tare a pascolare ovini e talvolta bovini sui prati umidi:
“posta delle pecore”. Secondo un’altra versione, inve-
ce, esso deriverebbe dagli appostamenti o “poste” dei
cacciatori che frequentavano la zona per la selvaggina.
La palude si estendeva sull’antica “Insula Pansiana”
posseduta da console romano Caio Vibio Pansa (I sec.
a.C.) ed era attraversata da numerosi corsi di risorgiva.
Il maggiore di questi era il Canal Panzano o fiume della
Posta, originato dalla confluenza della Roggia di
Panzano (o degli Schiavetti) con la Roggia di
Monfalcone; alla sua foce, sin dall’inizio dell’800, c’era
il Porto di Panzano, soppiantato poi da Porto Rosega.
La Roggia di Panzano si originava dalle risorgive delle
- 14 -
Gli studenti durante le uscite ed i rilevamenti
zone comprese tra le località Schiavetti ed Asquini (a
nord-ovest degli Schiavetti) e lungo il suo corso si tro-
vavano diversi mulini. Con lo scavo del bacino di
Panzano la roggia venne ridotta ad un piccolo rigagno-
lo con vegetazione palustre e fauna tipica, il quale sfo-
cia attualmente nel bacino di Panzano.
La roggia di Monfalcone o di San Giusto nasceva invece
ai piedi del colle carsico della Gradiscata, in località
Pozzale, ricevendo il contributo delle acque del Monte
Forcata in località Fontane. Attraversava poi la città fino
a giungere alla Marcelliana e, con una ampia ansa, si
congiungeva alla roggia Schiavetti. Del corso non c’è
più traccia a causa del suo interramento nel corso delle
bonifiche.
Le maggiori modificazioni dell’area della Posta ebbero
inizio dopo la visita dell’imperatore Francesco I nel
1816, con i lavori di sistemazione del nuovo porto.
Venne allargata ed approfondita la foce della Rosega e
le rive vennero rinforzate con materiale prelevato dal
Carso: la riva sinistra costituiva la banchina del porto,
la riva destra fungeva da barriera frangivento e come
difesa contro le piene dei fiumi che sfociavano in mare
più ad ovest. Il Porto Rosega venne inaugurato il primo
agosto 1825.
All’inizio del Novecento gran parte dell’area paludosa
venne utilizzata come cava di prestito dalle imprese
Faccanoni e Adriatica, per completare i lavori del trat-
to navigabile dell’odierno canale Valentinis e del canale
irriguo de Dottori, nonché per la costruzione del nuovo
porto di Trieste. La ditta Faccanoni, dovendo fornire
ancora materiale, acquistò i terreni a ridosso del Porto
Rosega e proseguì i prelievi dando origine al bacino
Rosega. Essendo insufficiente il vecchio canale,ne
venne aperto uno nuovo e più ampio, alla destra del
precedente, con il nome di Canale Nuovo. Nel 1907
l’impresa cedette i terreni ai Cantieri Navali di Trieste
dei fratelli Cosulich, attratti a Monfalcone dalla pre-
senza del canale navigabile, della ferrovia e dell’acqua
dolce di risorgiva. Essa infatti permetteva l’allestimento
delle navi in bacini meno salati, quindi meno corrosivi
e meno favorevoli al fenomeno del fouling sugli scafi.
L’impresa Adriatica acquistò una porzione di palude
della Posta sulla quale, prelevando ghiaie, creò il baci-
no di Panzano che aveva un proprio sbocco al mare
attraverso il Canale dell’Adriatica oCanale di Panzano.
Successivamente il bacino fu collegato con quello del
Rosega, il canale di Panzano fu chiuso ed in corrispon-
denza dello stesso fu ricavata la strada di accesso
all’odierna Marina Nova.
In relazione ai “tagli” subiti dalla zona a seguito del col-
legamento, la località che si trova a destra della strada
dopo il ponte del Brancolo viene denominata Taiada.
Carta del Territorio di Monfalcone di Giacomo Pocar (1892)
Corografia del bacino di bonifica delle “Giarette”
(Consorzio Acque dell’Agro Monfalconese, 1922)
- 15 -
La bonifica
Tutta la zona Schiavetti-Cavana è stata interessata da
opere di bonifica (da “bonum facere”, nel senso di ren-
dere buono ed utilizzabile) la quale ha modificato l’asset-
to del territorio ed è stata integrale.
La bonifica integrale determina una ristrutturazione fon-
diaria e una radicale trasformazione del terreno. La zona
da bonificare viene suddivisa in unità territoriali di varia
ampiezza denominate comprensori di bonifica; il coordi-
namento delle opere di bonifica è assunto dallo Stato
(all’epoca il Ministero dei LL.PP.) tramite il Genio
Civile.
Si può operare con bonifica a scolo naturale (mediante la
costruzione di una rete di canali di smaltimento e collet-
tori che convogliano le acque verso la zona prestabilita),
con bonifica a prosciugamento meccanico (con impiego
di pompe idrovore) o con bonifica per colmata (aggiun-
ta di materiali di riporto o deviazione di acque torbide
fluviali). La scelta del metodo è determinata dai livelli
altimetrici, dalle caratteristiche chimico-fisiche del terre-
no e dall’idrografia presente.
L’attuale aspetto dell’Agro Monfalconese è il risultato
degli interventi realizzati soprattutto a partire dal XIX
secolo.
Nel 1869 venne redatto un piano di bonifica integrale
della zona, denominata “Bonifica delle Giarette”, di 121
ha, che prevedeva una serie di argini a mare ed a fiume,
nonché una rete di collettori per far defluire l’acqua di
risulta.
La prima guerra mondiale determinò un blocco dei lavo-
ri e la distruzione delle opere di bonifica realizzate fino
ad allora. Alla fine del conflitto si avviò la ricostruzione
delle stesse. L’Ufficio del Genio Civile di Trieste nel 1924
dispose che la bonifica integrale venisse assunta dal
Consorzio di Bonifica del Brancolo, già presente per le
aree nei comuni di Turriaco, Pieris, S. Canzian e
Staranzano, allargando le sue competenze fino al bacino
delle Giarette; i lavori si protrassero fino al 1938.
Il comprensorio fu diviso in tre bacini idraulici:
– bacino superiore a scolo naturale e continuo, dotato di
quote sufficienti ad assicurare il deflusso delle acque per
gravità;
– bacino a scolo intermittente, corrispondente alla fascia
delle risorgive, caratterizzato da deflussi irregolari deri-
vanti anche dall’apporto di acque meteoriche;
– bacino inferiore a scolo meccanico comprendente le
zone paludose più basse con masse d’acqua notevoli il
cui smaltimento doveva essere effettuato con emungi-
mento meccanico per mezzo di idrovore.
Il progetto comprendeva la difesa dalle acque a mare e
l’arginatura dell’Isonzo, il riordino delle acque interne
mediante la rettifica di rogge e la costruzione di canali di
raccolta ed emuntori.
L’asse portante della bonifica è il canale del Brancolo,
lungo 12 km; il tratto iniziale è parallelo all’Isonzo poi,
dopo un’ampia curva verso est in corrispondenza del
Bosc Grand, esso diviene quasi parallelo alla linea di
costa e sfocia all’interno del bacino di Panzano. Lo sboc-
co a mare avrebbe comportato altrimenti l’insabbiamen-
to della foce.
Questo canale drena a scolo naturale gran parte delle
acque della zona settentrionale, incide la falda freatica e
raccoglie a scolo meccanico le acque del bacino meridio-
nale. Il collettore, che avrebbe dovuto incidere la falda
freatica superficiale e profonda, non è riuscito ad intac-
care quella profonda; questa circostanza ha quindi cau-
sato il permanere di fenomeni di risorgenza nelle zone a
scolo meccanico. Un’altra difficoltà presente nella parte
meridionale va collegata alla natura dei terreni i quali,
essendo in parte torbosi, tendono a compattarsi renden-
do vano il lavoro delle idrovore. Inoltre l’emungimento
meccanico, se troppo spinto, richiama altra acqua dalla
falda freatica (o libera) ed in alcuni casi dal mare.
Anche il secondo conflitto mondiale provocò danni al
sistema di bonifica che, solo dal 1959, fu sottoposto a
lavori di risistemazione. Successivamente, dopo i danni
causati dalla mareggiata del 1969, gli argini a mare ven-
nero ricostruiti con tratti a cemento sul precedente mate-
riale di riporto.
Negli ultimi decenni, ad ovest dell’Idrovora Sacchetti,
ulteriori interventi di approfondimento e manutenzione
del sistema di drenaggio hanno comportato un prosciu-
gamento più efficiente delle zone utilizzate per le coltu-
re agricole.
- 16 -
L’asseto idrogeologico della zona, unitamente ai fattori
macro- e micro-climatici e a quelli derivanti dall’azione
antropica, determina i tipi vegetazionali che compongo-
no i due biotopi, complementari ma divisi tra loro dal
canale del Brancolo. Tale limite crea una differenziazio-
ne tra ambienti propriamente a carattere di risorgiva ed
ambienti a tendenza progressivamente più alofila.
Schematizzando si possono distinguere i seguenti
ambienti:
Le olle
Le olle (infossature sorgentifere sub-circolari con fondo
sabbioso/ghiaioso) sono caratterizzate da una vegetazio-
ne disposta a fasce concentriche (zonazione) in rapporto
alla diversa disponibilità idrica. In ogni caso si tratta di
ambienti oligotrofici a pH lievemente alcalino.
Nelle zone di acqua libera sono presenti piante sommer-
se o galleggianti (Mentha aquatica -menta acquatica-,
Myosotis palustris – nontiscordardimè delle paludi-,
Juncus subnodulosus – giunco subnodoso-, Potamogeton
coloratus – brasca arrossata-, Berula erecta -sedanina
d’acqua-, Lemna trisulca –lenticchia d’acqua-), mentre
sui bordi della olla è ospitato un tipo di vegetazione con
piante a fusto parzialmente sommerso, ancorate alle
pareti della cavità sorgentifera o alle zolle affioranti; tale
associazione viene detta marisceto (Cladietum marisci).
Prevale infatti un’alta ciperacea dal fusto robusto e foglie
taglienti, detta marisco o falasco (Cladium mariscus), che
forma densi popolamenti quasi puri in cui si incontrano
poche altre specie, come il Senecio paludosus ( o senecio-
ne palustre, grande composita dai fiori gialli, alta fino a
2 m e considerata a rischio d’estinzione in Italia).
Il falasco è presente anche al di fuori delle olle nelle bas-
sure soggette a trapelazione della falda (vedi torbiera).
Nella zona esterna alla fascia a falasco si rinviene abbon-
date la cannuccia di palude (Phragmites australis), comu-
ne anche in altre parte dell’area Schiavetti-Cavana.
ASPETTI BOTANICI
Sezione di una olla
Gentiana pneumonanthe
Schoenus nigricans
Salix cinerea
Cladium mariscus
Phragmites australis
Mentha aquatica
1 Torba
2 Limi Argillosi
3 Ghiaie
Phragmites australis
Cladium mariscus
Alnus glutinosa
- 17 -
1
2
3
Immagine 2 - pag 35: Una olla circondata da Cladium
mariscus
Il canneto a Cladium mariscus di risorgenze d’acqua
dolce è un “habitat prioritario” ai sensi delle Direttive
92/43/CEE (Direttiva Habitat) e 97/62/CEE recepite ed
applicate in Italia col D.P.R. 08/09/97 n°357, integrato
dal D.M. 20/01/99.
Si tratta quindi di un ambiente di assoluto pregio e di
notevole rarità, dato che l’intervento antropico ha lascia-
to ben poche risorgive allo stato naturale in tutta la pia-
nura padano-veneta (vi sono solo 4 biotopi di risorgiva
soggetti a tutela in Friuli Venezia Giulia).
Un’altra peculiarità degli ambienti di risorgiva è la pre-
senza, data la temperatura pressoché costante delle
acque affioranti, di specie microterme che alle nostre
latitudini si presentano solo in montagna.
Messaggeri dell’età glaciale
“In mezzo ad un terreno d’alluvione, a poco più d’un
metro sul livello del mare, appaiono improvvisamente
parecchie piante proprie delle regioni alpine e subalpine,
mentre il vasto tratto che s’estende dalla radice dei monti
a queste località ne va totalmente privo”. Così nel 1874
l’illustre botanico triestino Carlo Marchesetti descriveva,
quasi meravigliato, la presenza di specie microterme
nelle risorgive friulane.
In effetti si tratta di autentici relitti post-wurmiani i quali
sono riusciti a mantenersi negli ambienti planiziali delle
risorgive grazie al microclima relativamente fresco,
anche d’estate, nell’area intorno alle olle. Si consiglia un
sopralluogo durante una giornata estiva per verificare
personalmente questa particolare situazione termica e
per godere di una insolita frescura.
Tra le specie microterme della zona Schiavetti-Cavana
vanno ricordate: Parnassia palustris (parnassia),
Hemerocallis lilioasphodelus (giglio dorato), Iris sibirica
(giaggiolo siberiano), Gentiana pneumonanthe (genziana
mettimborsa), Veratrum album (veratro comune) ed
Urticularia vulgaris (erba vescica comune), una rara pian-
ta carnivora.
L’Hemerocallis lilioasphodelus o giglio dorato è forse la
specie più appariscente: alta fino a 80 cm, presenta foglie
lineari carenate e grandi fiori gialli che impartiscono un
vivace tocco di colore ai prati umidi tra maggio e giugno.
I frutti, verdi, trilobi, sono anch’essi piuttosto grandi.
L’Iris sibirica è una pianta rizomatosa con fusto alto 30-70
cm, foglie lineari larghe 2-3 cm e fiore profumato (mag-
gio-giugno) azzurro striato di viola, formato da 6 segmen-
ti di cui i 3 inferiori rivolti in basso e i 3 interni eretti.
La Gentiana pneumonanthe è alta fino a 50 cm e presen-
ta piccole foglie lineari, opposte e numerosi inconfondi-
bili fiori blu. Fiorisce a fine estate.
Immagine 4, 5, 6 - pag 36: Iris sibirica, Hemerocallis
lilioasphodelus, Genziana pneumonanthe
Le rogge e i canali
La zona Schiavetti-Cavana è attraversata da rogge e
canali artificiali attraverso i quali le acque rinascenti
scorrono verso il mare (o verso l’idrovora Sacchetti).
Le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua e la velo-
cità di scorrimento condizionano la presenza delle
piante sommerse o emergenti più o meno reofile quali:
Potamogeton natans (brasca comune), Mentha aquati-
ca, Berula erecta, Ranunculus tricophyllus (ranuncolo
d’acqua), Myosotis palustris, Schoenoplectus palustris
(lisca palustre). Talora è presente la rara Hottonia palu-
stris (erba scopina, citata anch’essa nella Lista rossa
come specie minacciata della flora italiana).
Immagine 7, 8 - pag 37: Canali con vegetazione; a
destra fioritura di Caltha palustris
Anche le rive, se non sono troppo disturbate dalla manu-
tenzione dei canali, sono popolate di specie interessanti,
alcune delle quali caratterizzate da vistose fioriture
come: Caltha palustris (calta), Leucojum aestivum (cam-
panelle maggiori), Iris pseudacorus (giaggiolo acquatico),
Lythrum salicaria (salcerella), Alisma lanceolatum
(mestolaccia lanceolata) e diverse specie di Euphorbia.
Piuttosto comune è Juncus subnodulosus (giunco subno-
doso), il quale si rinviene pure nelle risorgive e nei prati
umidi.
Nei tratti dei corsi d’acqua in cui con l’alta marea si veri-
fica l’ingresso del “cuneo salino”, le specie più esigenti
nei confronti della salinità (stenoaline) scompaiono
lasciando il letto dei canali nudo o popolato di specie più
tolleranti (eurialine). Alla foce del fiume Cavana il mal-
funzionamento della porta vinciana ed il conseguente
afflusso di acqua salata portano alla presenza di alghe
marine come l’Enteromorpha compressa, riconoscibile
dai tipici filamenti nastriformi verdi.
Le torbiere
I prati umidi su substrato torboso della zona Schiavetti-
Cavana (così come le poche altre torbiere rimaste nella
pianura friulana) sono dovuti alla risorgenza di acqua
ricca di calcio e leggermente alcalina, ed appartengono
alla categoria delle torbiere basse alcaline. Qui il terreno
è quasi sempre imbevuto dall’acqua di falda, sia per tra-
pelazione diretta che per capillarità; i depositi torbosi,
per la parziale decomposizione dovuta al continuo
ricambio delle acque, si presentano disorganizzati e pol-
tigliosi. I prati torbosi sono dominati da Schoenus nigri-
cans (giunco nero), a cui si accompagnano Carex elata
(carice spondicola), Molinia coerulea (gramigna liscia),
Phragmites australis e, laddove il terreno rimane imbevu-
to anche nei periodi di siccità, da Cladium mariscus.
La specie più comune e rappresentativa della torbiera
bassa alcalina è il giunco nero, appartenente alle cipera-
cee. Tipicamente in densi ciuffi, alti fino a 40-70 cm, pre-
senta foglie giunchiformi tutte basali e fiorisce da marzo
- 18 -
a luglio con infiorescenze nerastre sormontate da una
breve resta (prolungamento filiforme) appuntita. Da
esso prende nome l’associazione Schoenetum nigricantis.
Una variante di questa associazione, tipica della bassa
pianura friulana ed impreziosita dall’endemismo
Erucastrum palustre (non presente nella nostra area), ha
visto ridurre la propria estensione da 375 ha degli anni
’60 a 140 ha nel 1986 (Martini e Poldini, 1986). Si tratta
in ogni caso di un ambiente ormai raro e assai fragile.
Oltre al giunco nero sono comuni nella torbiera diverse
specie di carici (Carex), le cui foglie, in alcuni casi, erano
un tempo usate per impagliare le sedie.
Non mancano alcune note di colore date dalla fioritura,
da aprile a ottobre, di alcune specie endemiche delle
risorgive, come la rara Euphrasia marchesettii.
L’Euphrasia marchesettii (eufrasia di Marchesetti) è una
piantina annuale alta 20-25 cm, appartenente alle
Scrophulariacee. Fiorisce da agosto a ottobre con piccole
corolle bianco-rosate. Si riproduce per disseminazione
ed è legata a condizioni ambientali aperte che sarebbero
compromesse da un eventuale incespugliamento della
torbiera.
E’ stata descritta per la prima volta nel 1897 da von
Wettstein nelle paludi del Lisert (Monfalcone) e si presen-
ta solo in poche stazioni di torbiera alcalina/prato umido
dal Friuli Venezia Giulia alla Lombardia. Per la sua vulne-
rabilità è inserita nella Lista rossa delle piante d’Italia ed è
specie di interesse prioritario per l’U.E. ai sensi della
Direttiva 92/43/CEE, ossia la sola presenza di questa spe-
cie impone la tutela dell’ambiente che la ospita.
Immagine 9, 10 - pag 37: giunco nero e particolare di
Euphrasia marchesettii
I prati umidi
A differenze delle torbiere, con le quali sono in continui-
tà, i prati umidi si trovano a quote leggermente più rile-
vate rispetto alla falda idrica e pertanto sono imbevuti
d’acqua per periodi più limitati (autunno-primavera). Si
tratta di praterie naturali che si stabiliscono su suoli poco
permeabili, torbosi ed argillosi, sostituendosi ai prati tor-
bosi quando l’imbibizione del terreno diminuisce in
seguito a bonifiche idrauliche.
Sono caratterizzati da specie erbacee igrofile e da una
ricca composizione floristica con presenza di essenze
rare. Ciò è dovuto al fatto che questi prati non vengono
concimati; in caso contrario essi si trasformerebbero nei
più comuni prati da sfalcio.
Il substrato dei prati umidi si presenta coperto in gran
parte da specie graminoidi (Molinia coerulea, Schoenus
nigricans, Juncus conglomeratus -giunco contratto-,
varie specie di carici -Carex sp. pl.-), intercalate a specie
dalle vistose fioriture che ne accrescono il valore non
solo naturalistico, ma anche estetico e paesaggistico.
Tra le prime è da ricordare la Molinia coerulea o grami-
gna liscia, alta graminacea cespitosa (fino a 1 m) dalle
foglie strette (5 mm) a dalle infiorescenze formate da sot-
tili spighette violacee, evidenti da luglio a settembre.
La Molinia dà il nome a questo tipo di prateria (molinie-
to), che è un “habitat di interesse comunitario” ai sensi
delle Direttive 92/43/CEE (Direttiva Habitat) e
97/62/CEE recepite ed applicate in Italia col D.P.R.
08/09/97 n°357, integrato dal D.M. 20/01/99, con la
denominazione di Molinion coeruleae.
Tra le specie più appariscenti dei prati umidi si ricorda-
no invece: Gladiolus palustris (gladiolo palustre), Iris
sibirica, Allium suaveolens (aglio odoroso), Leucojum
aestivum, Hemeocallis lilioasphodelus, Senecio paludosus,
Gentiana pneumonanthe, Lysimachia vulgaris (mazza
d’oro), Filipendula ulmaria (olmaria comune), Iris pseu-
dacorus, Thalictrum sp. (pigamo); altre specie meno
vistose sono Valeriana dioica (valeriana palustre),
Betonica officinalis (betonica comune), Sanguisorba offi-
cinalis (pimpinella maggiore), Succisa pratensis (morso
del diavolo), Genista tinctoria (ginestrella), Parnassia
palustris, Plantago altissima (piantaggine palustre) e
Tetragonolobus maritimus (ginestrino marittimo).
Immagine 11 - pag 37: Veduta di prato umido con
Gladiolus palustris, Iris sibirica e Hemerocallis lilioaspho-
delus.
Un discorso a parte lo meritano le diverse e rare specie
di orchidee che si possono ammirare in questa zona:
Epipactis palustris (elleborine di palude), Gymnadenia
conopsea (manina rosea), Dactyloriza incarnata (orchide
palmata), Orchis laxiflora (orchidea acquatica), Orchis
palustris (orchidea palustre), Anacamptis pyramidalis
(orchide piramidale) ed altre, le quali fioriscono tra la
tarda primavera e l’estate.
Le orchidee spontanee, benché più piccole di quelle col-
tivate, nulla hanno da invidiare ad esse per la bellezza e
l’eleganza dei fiori. Si tratta di specie rare, talora protette,
in ogni caso da non raccogliere (la “caccia fotografica”,
invece, può dare grandi soddisfazioni quando si rivolge a
questi fiori).
Immagine 12, 13, 14 - pag 38: Gymnadenia conopsea,
Epipactis palustris e Orchis laxiflora
Infine si sottolinea che il prato umido (così come la tor-
biera) è ambiente assai delicato e necessita di tutela atti-
va per la sua conservazione: una modificazione nel dre-
naggio idrico, la concimazione, il mancato sfalcio (nor-
malmente andrebbe effettuato una volta all’anno) sono
tutte situazioni che, con modalità differenti, comportano
la perdita di questo raro e prezioso ambiente.
I prati stabili (prati mesofili)
Sono prati un tempo destinati alla produzione di forag-
gio per il bestiame e caratterizzati dal fatto di essere sfal-
ciati regolarmente (almeno 2-3 volte l’anno). Derivano
dal taglio di antiche aree boscate o dal drenaggio di prati
- 19 -
umidi in seguito a bonifiche. Il loro aspetto dipende dal
tenore di umidità del substrato.
Tra le numerose specie costitutive di questo tipo di vege-
tazione si possono ricordare molte graminacee come
Arrhenatherum elatius (avena altissima) e Poa sp. pl. (fie-
narola), diverse leguminose come Lotus corniculatus
(ginestrino), Trifolium sp.pl (trifoglio), Vicia cracca (vec-
cia montanina) e composite come Crepis sp.pl. (radic-
chiella dei prati) e Taraxacum officinale (tarassaco comu-
ne) ed ancora Plantago lanceolata (piantaggine lanciuo-
la), Ranunculus acris (ranuncolo comune) e Ajuga reptans
(iva comune), ecc.
I prati stabili rimangono spesso verdeggianti per tutto
l’anno e sono sede di cospicue fioriture.
Si tratta di habitat a medio tasso di artificialità (in passa-
to erano concimati, oggi vengono più o meno regolar-
mente sfalciati), che comunque contribuiscono ad eleva-
re la diversità biologica del territorio rurale ed i suoi con-
tenuti paesaggistici, anche in considerazione della loro
forte contrazione a causa della mancata richiesta locale
di foraggio.
In caso di abbandono colturale questi ambienti vengono
colonizzati in genere da parte di rovi e robinia, a volte da
alberi ed arbusti di specie autoctone.
Anche i prati stabili sono “habitat di interesse comunita-
rio” con la denominazione: Praterie magre da fieno a
bassa altitudine.
I boschetti e arbusteti igrofili
Benché non abbiano a che vedere con i più noti e pregia-
ti boschi planiziali (nelle nostre zone ne rimane soltanto
un lembo in località Bosc Grand di San Canzian
d’Isonzo), queste formazioni vegetali si presentano ai
bordi delle olle, dei corsi d’acqua a lento deflusso e
lungo gli arginelli naturali ed artificiali, dove costituisco-
no una piacevole quinta arboreo-arbustiva che scherma
la vista degli adiacenti insediamenti industriali.
La specie dominante è il Salix cinerea, al quale si associa-
no spesso Salix alba (salice bianco), Viburnum opulus
(pallon di maggio), Alnus glutinosa (ontano nero),
Frangula alnus (frangola). Frequenti sono anche Populus
alba (pioppo bianco), Populus nigra (pioppo nero),
Ulmus minor (olmo campestre), Sambucus nigra (sambu-
co), Crataegus monogyna (biancospino), Cornus sangui-
nea (sanguinella) e Rubus sp. pl.(rovo).
A seconda dell’imbibizione del substrato si riscontrano
due associazioni: il Salici-Viburnetum opuli nelle zone più
rilevate e meno umide, il Salicetum cinereae, laddove il
terreno è più intriso d’acqua.
Il Salix cinerea, salice cinereo, si riconosce facilmente per
la chioma emisferica i cui rami più bassi toccano il terre-
no o le acque, costituendo una copertura molto compat-
ta a causa della quale il sottobosco è, all’opposto, assai
rarefatto. Ai margini del saliceto è comune la presenza
dell’Equisetum maximum (equiseto o coda di cavallo).
Immagine 15 - pag 38: Salix cinerea
Oltre all’ambiente sopra descritto nella zona Schiavetti-
Cavana si rinvengono altre aree alberate di diversa origi-
ne e composizione:
-boschetti artificiali di pioppi da cellulosa, facilmente
riconoscibili per la disposizione geometrica e l’assoluta
uniformità;
-rimboschimenti artificiali su terreni a ritiro ventennale
dalle colture. Si tratta di appezzamenti piantumati da
pochi anni con essenze autoctone quali: Alnus glutinosa,
Ulmus minor, Fraxinus angustifolia (frassino ossifillo).Si
notano purtroppo anche essenze alloctone quali Junglans
regia (noce);
-vecchi boschi artificiali in abbandono a Populus x cana-
densis (pioppo ibrido euroamericano) nella zona com-
presa tra Fiumisin e Cavana.
I boschi di pioppo in abbandono
Queste zone stanno andando incontro ad un’evoluzione
diversificata a seconda della posizione e dell’umidità del
terreno.
Nella zona tra via Giarette e la Cavana su un terreno leg-
germente più elevato rispetto a quelli circostanti, trattan-
dosi di zona di riporto, si può osservare nel sottobosco la
presenza di Quercus robur (farnia), Betula pendula
(betulla bianca) e di novellame di Quercus ilex (leccio).
Nell’area in cui scorre il Fiumisin (a ovest di Marina
Julia), nonostante la bonifica che ha modificato la dire-
zione del deflusso, si trovano tuttora delle risorgenze cir-
condate da un’ampia zona alberata nella quale, oltre ai
pioppi di vecchio impianto, si notano esemplari di flora
autoctona spontanea come Quercus robur, Ulmus minor,
Fraxinus angustifolia, Salix alba e Salix cinerea. Il sotto-
bosco risulta pressoché impenetrabile per l’abbondante
presenza di Rubus sp. pl.
Nell’alveo del Fiumisin (in cui si segnala in particolare
un esteso marisceto) oltre alle specie trattate nel paragra-
fo delle “olle” si rinviene anche la Nymphaea alba (nin-
fea), che fiorisce tra giugno e agosto.
Nonostante l’origine “artificiale”, questi pioppeti in
abbandono accolgono il maggior numero di specie orni-
tiche nidificanti del territorio considerato; sono quindi
diventati di fatto ambienti di notevole importanza e per-
tanto andrebbero tutelati e gestiti oculatamente.
Immagine 16, 17 - pag 39: Veduta del Fiumisin e partico-
lare della vegetazione acquatica (Nymphaea alba)
La palude e la barena
Nella zona del biotopo Cavana, ad est dell’omonimo
corso d’acqua, il fenomeno della risorgenza a valle del
Brancolo, unitamente alla bassa quota del terreno
(intorno al livello medio del mare), determina lo stabi-
lirsi di un ambiente tipicamente palustre. E’ degno di
nota il fatto che ciò si verifichi in presenza di chiari segni
dell’opera di bonifica (canali, scoline, argine a mare) la
quale, evidentemente, qui non ha sortito gli effetti spe-
- 20 -
rati, permettendo così la sopravvivenza di un ambiente
pregevole e ormai poco comune.
Si tratta dunque di una palude, originata dalle acque di
risorgiva, che sfuma gradualmente in palude salmastra
con aspetti di vegetazione di barena, poiché le difese a
mare risultano solo parzialmente efficaci (le porte vincia-
ne sono ormai fuori servizio) e, con l’alta marea, l’afflus-
so di acqua salata si verifica regolarmente.
La barena, che è un tipico ambiente costiero, si rinviene
all’interno dell’argine pur non essendo la zona esposta
all’azione diretta del mare, analogamente a quanto
avviene nelle valli da pesca di Marano Lagunare; sulla
riva del mare, invece, data la marcata erosione che si è
verificata negli ultimi decenni, le barene risultano quasi
scomparse.
Sono superfici litoranee e lagunari emerse, di aspetto
pianeggiante, occasionalmente inondate durante fasi di
marea particolarmente alta, occupate da “praterie” di
piante alofite erbacee.
Le condizioni variabili di salinità e di umidità, insieme
alla forte insolazione, sono i fattori che condizionano il
tipo di vegetazione, che risulta costituita da un limitato
numero di specie molto specializzate (alofile). Vale la
pena di ricordare che, nei mesi più caldi e secchi, il tasso
di salinità nella parte più elevata ed arida delle barene
supera notevolmente quello del livello imbevuto d’ac-
qua, situazione che s’inverte nei periodi di più frequenti
precipitazioni.
In questa parte del territorio la specie più comune è
Phragmites australis (cannuccia di palude), riconoscibile
per gli alti culmi e la pannocchia mediamente addensata.
La cannuccia, che forma popolamenti diffusi, tollera
bene anche un certo grado di salinità, pertanto, associan-
dosi spesso a Bolboschoenus maritimus (lisca marittima),
cresce anche nelle zone della Cavana più vicine al mare,
seppure con un’altezza più modesta rispetto a quella che
presenta nelle zone d’acqua dolce. L’associazione relati-
va prende il nome di Phragmitetum australis.
Nella fascia più a monte, data la risorgenza d’acqua
dolce, troviamo ancora notevoli estensioni monospecifi-
che di Cladium mariscus (falasco) come intorno alle olle
degli Schiavetti.
Per completare il quadro della palude Cavana va ricorda-
ta, nell’area più settentrionale con acqua dolce, la pre-
senza della Typha latifolia (tifa o mazzasorda), dalla tipi-
ca infiorescenza cilindrica setolosa, di Schoenoplectus
lacustris (lisca lacustre) e, nelle zone più rilevate e asciut-
te, di Arundo donax (canna gentile), coltivata un tempo
per farne i tutori per piante d’orto.
I canneti d’acqua dolce sono popolati, in minima quan-
tità, da poche altre specie, quali Iris pseudacorus,
Lythrum salicaria, Alisma sp. pl. (mestolaccia),
Lysimachia vulgaris, Carex sp. pl.
Il canneto è un importante habitat faunistico, rappresen-
ta un elemento di arricchimento e diversificazione
ambientale e svolge un’azione fitodepurativa delle acque
in cui vive; corre tuttavia il rischio di progressivo interra-
mento naturale con la comparsa di fenomeni di avvicen-
damento della vegetazione.
Le specie tipiche della barena invece sono: Juncus mari-
timus (giunco marittimo), Spartina maritima (sparto delle
barene), Puccinellia festucaeformis (gramignone maritti-
mo), Limonium vulgare (limonio), Halimione portulacoi-
des (atriplice portulacoide), Inula crithmoides (enula
bacicci), Aster tripolium (astro delle saline), Suaeda mari-
tima (suaeda marittima o ròscano) e Arthrocnemum fru-
ticosum (salicornia fruticosa), Salicornia sp. pl.(salicor-
nia), ecc..
L’associazione vegetale principale è qui il cosiddetto
Puccinellio festuciformis-Juncetum maritimi, con domi-
nanza di Juncus maritimus.
Lo Juncus maritimus è una pianta cespugliosa e perenne,
abbastanza pungente, alta da 30 a 100 cm. I fusti e le
foglie sono cilindrici, pieni e rigidi. L’infiorescenza, con
fiori verdi o gialli, non è molto densa. Il frutto è una cap-
sula di colore bruno-oliva. Fiorisce da aprile ad ottobre.
La Spartina maritima è una graminacea perenne con fusti
eretti alti da 30 a 70 cm e rizomi striscianti brevi. Le
foglie sono lisce, verdi glauche, rigide. I fiori sono dispo-
sti in spighe terminali erette ed appressate l’una all’altra,
lunghe 8-10 cm, composte da spighette su due serie.
Fiorisce da luglio a settembre.
L’Aster tripolium è una composita facilmente riconosci-
bile per il suo fiore, un capolino a “margherita” azzurro-
violaceo visibile tra l’estate e l’inizio dell’autunno; ugual-
mente inconfondibile è il Limonium vulgare, che impar-
tisce una tipica colorazione rosa-violacea alla barena
nello stesso periodo (i “fiuri de tapo” delle poesie di
Biagio Marin).
L’Arthrocnemum fruticosum è una pianta perenne con
fusto prostrato o eretto, di colore verde glauco che in
autunno diviene rosso, ramificato in numerosi rami,
legnosi alla base e superiormente carnosi e segmentati.
Le foglie, assai ridotte, carnose e cilindriche, opposte,
sono fuse e avvolgono il fusto. I fiori sono assai modesti
e poco visibili, sono presenti normalmente tra luglio ed
agosto.
Immagine 18, 19 - pag 39: Veduta della Cavana con
Limonium in fiore (fiuri de tapo) e Juncus maritimus
Anche i numerosi ambienti che si sviluppano sulle bare-
ne sono “habitat di interesse comunitario” ai sensi delle
Direttive 92/43/CEE (Direttiva Habitat) e 97/62/CEE
recepite ed applicate in Italia col D.P.R. 08/09/97 n°357,
integrato dal D.M. 20/01/99.
Non solo canne
Quelle che genericamente vengono chiamate “canne”
sono in realtà piante piuttosto varie (graminacee, cipera-
cee, tifacee), accomunate dal fatto di trovarsi raggruppa-
te in densi popolamenti nelle aree umide e dall’avere un
alto culmo eretto con foglie più o meno lineari.
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Nella zona Schiavetti-Cavana possiamo incontrare:
Phragmites australis, Cladium mariscus, Arundo donax,
Typha latifolia e Bolboschoenus maritimus, dei quali si
descrivono qui di seguito i caratteri distintivi.
La Phragmites australis (o cannuccia di palude) è senz’al-
tro la specie più comune in diverse situazioni ambienta-
li: dal bordo dei canali alle zone allagate d’acqua dolce e
salmastra, ai terreni abbandonati umidi ed alle barene
alte, dato che è la più tollerante alle variazioni di salinità
ed imbibizione del substrato. Si può riconoscere dal
fusto più o meno alto (fino a 3,5 m) e abbastanza sottile,
le foglie lanceolate ed erette, le pannocchie piuttosto
lasse (fioritura giugno-ottobre).
Piuttosto frequente in quest’area, ma decisamente raro al
di fuori delle zone di risorgiva e di torbiera, è il Cladium
mariscus (falasco), caratterizzato da fusto sottile alto fino
a 2 m, foglie decisamente taglienti e ricurve, pannocchia
a spighe riunite in glomeruli color bruno-marrone bril-
lante (fioritura maggio-giugno).
L’Arundo donax o canna gentile è specie di origine asia-
tica, presenta un alto culmo legnoso (fino a 5 m) simile al
bambù, con nodi evidenti e foglie larghe fino a 8 cm. La
pannocchia è appariscente, essendo grande (30-60 cm di
lunghezza) e densa.
La Typha latifolia (mazzasorda) è meno frequente in que-
st’area, ma è inconfondibile a partire dall’epoca della fio-
ritura (maggio-luglio) per la tipica infiorescenza cilindri-
ca, bruna e setolosa. Il fusto è alto fino a 3 m, robusto,
con foglie larghe 1-2 cm ed erette.
Il Bolboschoenus maritimus (lisca marittima) è una cipe-
racea di dimensioni modeste rispetto alle altre “canne”,
raggiungendo 1-1,3 m di altezza. Ha fusto a sezione
triangolare e foglie ruvide; fiorisce tra giugno e settem-
bre con infiorescenze allargate (4 cm) formate da dense
spighette sessili color marrone rossastro, circondate da
2-4 brattee più lunghe dell’infiorescenza stessa. Predilige
le acque leggermente salmastre.
La spiaggia
La spiaggia della zona S.I.C. si estende per un breve trat-
to antistante l’argine a mare edificato nell’ambito della
bonifica ed è interrotta dalla porta vinciana che costitui-
sce la foce della Cavana. Negli ultimi decenni la zona è
stata soggetta a forti fenomeni erosivi a causa del moto
ondoso e dei venti prevalenti (bora). La spiaggia dunque
si riduce ad una sottile lingua sabbiosa.
Immagine 20 - pag 39: Litorale del S.I.C. Cavana: flusso
uscente dalla porta vinciana con bassa marea.
In questo ambiente così minacciato poche sono le essen-
ze vegetali rinvenute. Possiamo citare la Tamarix gallica
(tamerice comune), piantata allo scopo di consolidare il
substrato, e alcune specie erbose psammofile, annuali e
pioniere quali: Cakile maritima (ravastrello marittimo),
Xanthium italicum (nappola italiana), Salsola kali (salsola
erba-cali), Salsola soda (salsola soda), Atriplex sp. pl.(atri-
plice). Sui manufatti come la porta vinciana, a livello
della zona di marea, cresce il Fucus virsoides (quercia di
mare),un’alga bruna tipica dell’Adriatico settentrionale,
riconoscibile per le vescicole aerifere situate all’estremità
della fronda.
La Tamarix gallica (le “tamerici salmastre ed arse” di G.
D’Annunzio) è un alberello con foglie squamiformi e
glauche e presenta infiorescenze a spighe lasse di piccoli
fiori a 5 petali (di 1,5-2 mm) color rosa pallido (periodo
di fioritura aprile-giugno).
La Cakile marittima è una crucifera alta 15-60 cm, dal
fusto molto ramificato con foglie grigioverdi di forme
diverse, allungate, glabre e carnose. I fiori (da maggio a
ottobre) sono piccoli, odorosi, bianco-violacei.
La vegetazione annuale delle linee di deposito marine è
considerata un “habitat d’interesse comunitario”, ma nel
nostro caso si tratta di un ambiente che, per le frequenti
mareggiate e la pressione turistica, è ormai scomparso
quasi totalmente.
Le velme
Le velme o piane di marea sono zone regolarmente som-
merse durante l’alta marea ed emergenti in condizioni di
bassa marea. Sono depositi di sedimenti fini (sabbie,
limi, argille) trasportati e distribuiti sui fondali bassi
dalle correnti fluviali e marine.
L’ambiente di velma è ancora più selettivo di quello di
barena, date le notevoli variazioni di salinità e ossigena-
zione dovute alle periodiche sommersioni. La vegetazio-
ne è caratterizzata da specie tipicamente acquatiche
quali alghe e fanerogame marine.
L’associazione vegetale tipica di questi ambienti è quella
a Zostera noltii o zostera nana (Zosteretum noltii), che
all’aumentare della profondità è sostituita da Cymodocea
nodosa (cimodocea); si possono trovare anche alghe
verdi del genere Entheromorpha (enteromorfa) ed altre
come Ulva laetevirens (lattuga di mare).
La Zostera noltii e la Cymodocea nodosa, benché comu-
nemente dette alghe, sono in realtà fanerogame, ossia
piante superiori (con radici, foglie, fiori e frutti) adattate
all’ambiente marino. Si tratta di monocotiledoni erbacee
con foglie nastriformi verdi che sorgono da rizomi allun-
gati. Nel caso della Cymodocea nodosa esse sono larghe
da 2 a 4 cm e presentano da sette a nove nervature paral-
lele, nella Zostera noltii, invece, esse sono più sottili e
caratterizzate da una nervatura centrale e due periferiche
da ciascun lato (osservare in controluce).
L’Entheromorpha e l’Ulva laetevirens sono alghe verdi
molto comuni in tutte la stagioni e sono distinguibili dal
tallo a forma di “nastri” tubulari (Entheromorpha) o di
larghi fogli (Ulva laetevirens). Entrambe sono di color
verde brillante.
Le velme costituiscono un ambiente importante per la
produzione di biomassa, l’ossigenazione dell’acqua, la
protezione del substrato e l’alimentazione di numerose
specie animali; per tale ragione sono anch’esse conside-
rate un “habitat di interesse comunitario”.
CARTA DELLA VEGETAZIONE
Legenda:
Acque libere
Marisceto
Prati umidi
Canneti a Phragmites e prati umidi in
abbandono con canne
Prati stabili
Formazioni boschive
Praterie inondate a Juncus maritimus
Seminativi
Incolti
- 23 -
La zona presenta delle dimensioni “medio-piccole”, in
un contesto di zone umide interne e costiere regionali;
tuttavia è caratterizzata da un elevato numero di ambien-
ti (dal bosco al mare). Ogni ambiente occupa quindi una
superficie piuttosto ridotta e tale fatto può condizionare
negativamente le specie presenti. Le attività antropiche
possono ridurre ulteriormente l’idoneità dei siti. Dati i
limiti temporali del progetto e le conoscenze specifiche
disponibili, si è approfondita solo la classe, relativamen-
te ben nota, degli Uccelli.
UCCELLI
Durante le attività di rilevamento dati relative all’atlante
degli uccelli nidificanti in provincia di Gorizia (Parodi
1999), nella tavoletta della Carta Tecnica Regionale alla
scala 1:5000 denominata Bistrigna (comprendente l’inte-
ro SIC, alcune zone agricole e le zone urbanizzate di
Monfalcone -in parte-, Bistrigna e Marina Julia) veniva-
no rilevate 67 specie nidificanti, ponendo l’area al 14°
posto per ricchezza (numero di specie) tra le 72 tavolet-
te che riguardano la provincia. La zona umida è notevol-
mente più ristretta dei 900 ettari circa ricadenti nell’ele-
mento cartografico, ma si può ritenere che gran parte
delle specie rilevate nidifichino proprio nell’area del SIC
o nelle immediate adiacenze. Elevato numero di specie
nidificanti è caratteristico del Friuli Venezia Giulia (194
specie sulle 250 nidificanti in Italia – Guzzon & Utmar
2004) ed in particolare dell’area posta a cavallo tra le
provincie di Gorizia e Trieste dove, durante un’indagine
nazionale tenuta negli anni ’80, sono state rinvenute in
un quadrato di 20 km di lato ben 139 specie costituenti
il massimo riscontrato a livello italiano (Meschini &
Frugis 1993).
L’elevata diversificazione ambientale, la prossimità di
zone biogeografiche differenti, la scarsa e declinante atti-
tudine predatoria degli abitanti (pur tuttavia confermata
nel sito) fanno della zona umida considerata un buon
esempio di convivenza tra una ricca avifauna e moltepli-
ci attività umane.
Per delineare le caratteristiche dell’avifauna verranno
presi in esame i principali ambienti presenti. Le specie
osservate sono state 209, 76 delle quali hanno nidificato
- 24 -
ASPETTI FAUNISTICI
(Paolo Utmar)
Albanelle reali (Circus cyaneus) sul dormitorio della Cavana.
(comprendendo le nidificazioni probabili e possibili)
negli ultimi 20 anni.
Boschi
Nella zona gli ambiti boscati sono rappresentati dal
pioppeto abbandonato situato tra la Cavana e il
Fiumisin, il Brancolo e il canale V°, mentre altre zone
più limitate sono presenti a Schiavetti. Nel “pioppeto” la
notevole tranquillità, la presenza di alberi morti, l’invec-
chiamento dei pioppi “coltivati” e la crescente naturali-
tà che si evidenzia nella stratificazione della vegetazione
e nel numero di specie arboree, rendono l’area partico-
larmente attrattiva anche per le specie più esigenti.
Recenti visite (primavera-estate 2004) hanno conferma-
to la nidificazione almeno probabile del Falco
Pecchiaiolo (Pernis apivorus) e del Torcicollo (Jynx tor-
quilla), scarsi e localizzati a livello provinciale. Nella
medesima area è stata riscontrata la presenza di 3
Columbidi nidificanti: Colombaccio (Colomba palum-
bus), Tortora dal collare (Streptopelia decaocto) e Tortora
(Streptopelia turtur). La crescita di una fitta cintura a
rovi lungo i margini fa sì che tale zona risulti pratica-
mente impenetrabile, rendendola di fatto una “riserva
integrale”, adatta ad ospitare le specie più sensibili alla
presenza umana. Interessanti per il loro carattere spon-
taneo sono i boschetti presenti nella parte occidentale
degli Schiavetti, mentre più poveri risultano gli impianti
arborei presenti a ovest del Fiumisin e negli Schiavetti.
Gli impianti realizzati su prati umidi da sfalcio, tenuti in
seguito a seminativo per un numero limitato di anni,
hanno avuto uno sviluppo differenziato a seconda delle
specie messe a dimora. Nell’area dove sono stati impian-
tati i noci è ora presente un canneto relativamente
asciutto che ospita la nidificazione della Cannaiola ver-
dognola (Acrocephalus palustris). Nei tratti in cui sono
prevalenti i frassini il bosco sta invece affermandosi.
Nelle zone incespugliate nei pressi della “foce” del
Fiumisin è stato riscontrato il Canapino (Hippolais poly-
glotta) in canto. Complessivamente 35 specie nidificanti
(circa il 50% del totale) sono legate all’ambiente boschi-
vo per la riproduzione e almeno in parte anche per la
ricerca del cibo. Se si considera quindi la ricchezza (il
numero di specie) e non il “valore” delle singole presen-
ze, gli ambiti boscati risultano certamente i più impor-
tanti. Tale assunto è rafforzato dalla presenza di altri
gruppi faunistici quali i Mammiferi, i Rettili e gli Anfibi
che trovano rifugio nei boschi che nell’area trattata sono
anche ricchi di acqua.
Risorgive e paludi dolci
Rappresentano il cuore dell’area protetta e costituiscono
il motivo della tutela accordata. Dal punto di vista avi-
faunistico non sono molto ricche di specie nidificanti
probabilmente per vari motivi, quali la limitatezza delle
superfici, l’oligotrofia delle acque e la mancanza di spec-
chi d’acqua ampi e tranquilli. Durante le migrazioni e lo
svernamento risulta tuttavia elevato il numero di specie
osservate. La presenza di acque sorgive libere dal ghiac-
cio rende l’area particolarmente adatta allo svernamento
del Tarabuso (Botaurus stellaris) mentre nei canneti ripa-
riali è numeroso il Pendolino (Remiz pendulinus). Nel
passato la zona è stata frequentata dal Marangone mino-
re (Phalacrocorax pygmeus), segnalato anche di recente
sul Brancolo. Fino al 1986 nell’area della Cavana si ripro-
duceva regolarmente l’Albanella minore ed il sito costi-
tuiva l’unica zona della provincia di Gorizia dove la spe-
cie era nidificante. Nel 1987, nella medesima località, ha
nidificato una coppia di Falco di palude (Circus aerugi-
nosus) (Utmar 1993). La scomparsa di queste specie può
dipendere da fluttuazioni numeriche delle popolazioni
anche se la trasformazione dei prati in seminativi e piop-
peti non risulta favorevole a tali uccelli. Il sito riprodut-
tivo, infatti, non rappresenta che una parte dello spazio
effettivamente usato da tali animali, che si completa con
le zone dedicate alla ricerca del cibo. La conservazione
della zona umida relitta può non essere sufficiente a
garantire la sopravvivenza della specie in un contesto
ambientale caratterizzato da forti trasformazioni. Queste
affermazioni, sicuramente valide in generale, sono da
considerarsi ipotetiche per il fatto in esame. A partire dal
1998 l’Oca selvatica (Anser anser), reintrodotta all’Isola
della Cona, ha colonizzato l’area nel suo complesso con
alcune coppie nidificanti e nel 2004 la zona della Cavana
è stata usata anche quale area di muta delle remiganti,
periodo nel quale gli Anatidi sono incapaci di volare.
Immagini 21, 22 - pag 40: Da sinistra: Oche selvatiche in
alimentazione su Phragmites e Marangone minore
I prati umidi tuttora soggetti a sfalcio costituiscono aree
di alimentazione preferenziali per varie specie durante lo
svernamento e le migrazioni; si ricordano in particolare
il Beccaccino (Gallinago gallinago), il Frullino
(Lymnocriptes minimus) ed il Piro piro boschereccio
(Tringa glareola). La limitatezza di tali ambiti li rende
poco idonei alle specie più diffidenti che necessitano di
ampi spazi sia per la sosta che per la riproduzione. Gli
uccelli acquatici nidificanti presenti nella zona sono rap-
presentati da specie non particolarmente esigenti anche
se ricerche più approfondite e mirate potrebbero rivela-
re la presenza di entità elusive appartenenti in particola-
re alle famiglie degli Anatidi e dei Rallidi.
Complessivamente nelle zone umide, comprendendo
anche le zone alofile, sono state riscontrate 20 specie
nidificanti.
Immagini 23, 24 - pag 40: Da sinistra: Falco di palude
(giovane ai primi voli) e Alzavola (maschio)
Immagini 25, 26 - pag 40: Da sinistra: Tarabuso e Pendolino
Zone alofile
La parte meridionale della Cavana è caratterizzata dal-
l’ingressione di acque marine attraverso le porte vincia-
ne. Tale fatto determina un gradiente di salinità tra la
- 25 -
Salice grigio (Salix cinerea)
Usignolo di fiume (Cettia cetti)
Folaga (Fulica atra)
Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus)
Canna palustre (Phragmites australis)
Germano reale (Anas platyrhynchos)
Oca selvatica (Anser Anser)
Falasco (Cladium mariscus)
Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus)
Migliarino di palude (Emberiza schoeniclus)
Giunco marittimo (Juncus maritimus)
Beccamoschino (Cisticola juncidis)
parte settentrionale dolce e quella meridionale salmastra.
Si viene a creare un ambiente barenicolo con fluttuazio-
ni dell’acqua limitate rispetto a simili zone in laguna o
alla foce dell’Isonzo. Il canneto alofilo che sfuma nella
barena a prevalente Juncus maritimus è l’aspetto ambien-
tale dominante dell’area. Tra i nidificanti è da menziona-
re il Migliarino di palude (Emberiza shoeniclus), in forte
diminuzione in provincia, ed il Beccamoschino (Cisticola
juncidis). Durante i mesi invernali nella zona è presente
un dormitorio di Albanella reale (Circus cyaneus) tra i
più importanti dell’intero Friuli Venezia Giulia. Nei
canali esistenti si osservano varie specie di uccelli acqua-
tici, in particolare durante lo svernamento e le migrazio-
ni autunnali e primaverili.
Mare
La progressiva erosione della piccola laguna costiera
situata a mare dell’argine della Cavana ha ridotto l’ido-
neità del sito per gli uccelli limicoli che frequentano le
zone di marea durante l’emersione dei fondali, mentre
durante l’alta marea si aggregano sui dossi sabbiosi
emergenti. Tra questi tuttora comune, soprattutto nella
tarda estate, è il Piro piro piccolo (Actitis hypoleucos). Le
specie tuffatrici che frequentano le acque profonde sono
ben rappresentate durante lo svernamento e le migrazio-
ni. Tra queste si possono citare lo Svasso piccolo
(Podiceps nigricollis), lo Svasso maggiore (Podiceps crista-
tus), il Cormorano, la Folaga (Fulica atra) e lo Smergo
minore (Mergus serrator). Alcune specie di gabbiani
(Laridi) frequentano la zona tutto l’anno come il
Gabbiano reale mediterraneo, il Gabbiano comune
(Larus ridibundus) e il Gabbiano corallino (Larus mela-
nocephalus); gli Sternidi invece, in particolare la Sterna
comune (Sterna hirundo) ed il Fraticello (Sterna albi-
frons), sono presenti durante la primavera-estate, men-
tre, anche d’inverno, si può osservare il Beccapesci
(Sterna sandvicensis).
Campi coltivati
I terreni dedicati all’agricoltura sono presenti a ovest e a
nord dell’area umida e si possono individuare due tipi
colturali distinti tra le zone più tradizionali, con appezza-
menti più piccoli e irregolari verso settentrione e quelle di
bonifica recente, molto aperte e squadrate, verso occi-
dente. Nelle prime è maggiore il numero di specie per la
presenza di alberi e siepi, ma l’ampliamento della zona
industriale ha ridotto notevolmente le superfici agricole.
In genere sono presenti specie localmente ubiquitarie
come lo Storno (Sturnus vulgaris), il Verzellino (Serinus
serinus), il Cardellino (Carduelis carduelis) ed il Merlo
(Turdus merula) mentre scarse ed in diminuzione, se non
scomparse come nidificanti, sono le specie tipiche del-
l’agricoltura tradizionale come l’Allodola (Alauda arven-
sis), il Saltimpalo (Saxicola torquata) e lo Strillozzo
(Miliaria calandra). L’intensificazione dell’agricoltura e
l’urbanizzazione tendono a “banalizzare” l’avifauna.
Nelle zone di bonifica non occupate da pioppeti sono
presenti colonie sparse di Pavoncella (Vanellus vanellus)
alla quale si associa il Corriere piccolo (Charadrius
dubius). Nei canali sono presenti il Tuffetto (Tachybaptus
ruficollis), il Germano reale (Anas platyrhynchos), la
Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) e la Folaga. Tra i
passeriformi è caratteristica la Cutrettola (Motacilla
flava). Durante lo svernamento nei canali si osserva loca-
lizzato il Piro piro culbianco (Tringa ochropus). Varie spe-
cie di Ardeidi (Airone cenerino, Airone rosso, Garzetta e
Airone bianco maggiore) frequentano l’area per la ricer-
ca del cibo. Il Gheppio (Falco tinnunculus) durante tutto
l’anno e la Poiana (Buteo buteo), soprattutto durante lo
svernamento, sono i rapaci diurni più caratteristici delle
zone coltivate.
Zone urbanizzate
Numerose specie possono considerarsi antropofile, cioè
legate in varia misura agli insediamenti umani. Le specie
che frequentano i giardini sono tipiche dalle zone albera-
te, come la Capinera (Sylvia atricapilla) e la Cinciallegra
(Parus major), mentre altre come il Rondone (Apus apus),
il Balestruccio (Delichon urbica) e la Rondine (Hirundo
rustica) sono oggi nidificanti unicamente su edifici o altri
manufatti. Tra i rapaci notturni sono presenti il
Barbagianni (Tyto alba) e la Civetta (Athene noctua).
Durante lo svernamento sugli edifici si osserva il
Codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros), prove-
niente dai “simili” ambienti rocciosi dove nidifica.
I passeriformi delle zone umide
A parte gli uccelli propriamente acquatici, nelle zone
umide vivono varie specie di passeriformi che scelgono
costantemente determinate formazioni vegetali o fisiono-
mie ambientali, in particolare durante la nidificazione.
Dato il numero relativamente elevato di specie e le loro
spiccate differenze nella selezione degli ambienti fre-
quentati, essi possono essere considerati dei buoni indi-
catori ecologici della qualità ambientale. Alcune specie
sono infatti presenti solamente negli ambiti più vasti e
meno trasformati. E’ questo il caso del Basettino
(Panurus biarmicus) e della Salciaiola (Locustella lusci-
nioides) che in Regione sono presenti con regolarità sola-
mente nei grandi canneti della laguna di Marano. Le spe-
cie citate sono esigenti anche per la scelta dell’habitat. In
un’area della padania presso Ostiglia (Mantova), a fron-
te di 100 coppie di Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e
50 di Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus), erano
presenti 10 coppie di Basettino e 10 di Salciaiola
(Fracasso 1999).
Nella zona considerata sono presenti alcune specie esclu-
sive delle zone umide ed altre che vivono anche nei col-
tivi e nei boschi igrofili vicini. Si trattano di seguito le
varie specie presenti nell’area.
Cannareccione: specie migratrice transahariana, si inse-
dia nei canneti allagati, maturi e rigogliosi che crescono
sulle sponde di specchi d’acqua e canali d’acqua dolce o
a bassissima salinità. È presente in vari siti all’interno
- 28 -
della zona considerata.
Cannaiola: specie migratrice transahariana, nidifica prefe-
ribilmente sia nei canneti allagati che in quelli relativa-
mente asciutti, normalmente più giovani e bassi di quelli
selezionati dalla specie precedente. Frequenta anche aree
moderatamente salmastre. Si riproduce in vari siti del-
l’area considerata.
Cannaiola verdognola: specie migratrice transahariana, si
insedia in zone umide preferibilmente incespugliate,
incolti umidi, greti fluviali ricoperti da vegetazione erba-
cea alta e rigogliosa. Raramente presente anche nei colti-
vi invasi da infestanti come il Topinambur (Helianthus
tuberosus). Presente in vari siti.
Usignolo di fiume (Cettia cetti): specie sedentaria. Si
riproduce in zone umide con vegetazione rigogliosa,
cespugli e rovi, corsi d’acqua bordati da fitta vegetazio-
ne, zone salmastre incespugliate ed esenti da marea (valli
da pesca). Comune nell’area considerata.
Migliarino di palude: specie sedentaria raggiunta durante
l’inverno dalla sottospecie schoeniclus, nidificante
nell’Euro-pa settentrionale. Per la nidificazione utilizza
canneti spesso alofili e relativamente asciutti che sfumano
nelle formazioni a Juncus maritimus, ovvero nelle aree di
transizione tra il canneto a Phragmites e altre formazioni
dulcaquicole a Cladium o carici. Utilizza regolarmente
posatoi per il canto nelle zone a vegetazione più elevata.
Nella zona è localizzato nella parte centrale della Cavana.
Beccamoschino: specie sedentaria, con movimenti locali.
Frequenta canneti alofili, barene a Juncus, prati umidi e
incolti anche asciutti con vegetazione in media sui 50-70
cm e chiazze di vegetazione più alta usata come posato-
io. Non pare ricercare una particolare vegetazione ma
piuttosto una fisionomia ambientale.
Cutrettola: specie migratrice transhariana, frequenta i
coltivi aperti e le zone umide a vegetazione bassa di tipo
alofilo ovvero soggette al pascolo. Nell’area è frequente
in preferenza nei coltivi.
Pendolino: specie verosimilmente estinta come nidifi-
cante nella zona ed in forte diminuzione in tutta la
Regione, è presente nei canneti anche incespugliati
durante lo svernamento e le migrazioni. Per la nidifica-
zione sceglieva aree umide o corsi d’acqua di bassa pia-
nura con salici (particolarmente Salix alba) sulle rive.
Saltuariamente costruiva il caratteristico nido su pioppi
in zone golenali, tamerici su argini lagunari, alberature
intorno a casoni.
Dal punto di vista gestionale risulta evidente che diverse
operazioni sulla vegetazione potranno favorire o meno
diverse specie. G. Fracasso (1999) indica tre obbiettivi
possibili, più o meno alternativi, nella gestione di aree
analoghe nella pianura Padana: conservare lo stato attua-
le, incrementare la diversità biologica, favorire le specie
o le comunità rare. L’auspicabile futuro piano di gestio-
ne di questa e di altre zone analoghe dovrebbe chiarire
dove si vuole arrivare e con quali strumenti si vuole
intervenire.
- 29 -
Dall’analisi dei dati raccolti emerge una zona di maggior
ricchezza naturalistica, soprattutto per vegetazione e ric-
chezza floristica nonché per vertebrati terragnoli (Anfibi,
Rettili e Mammiferi) nelle risorgive degli Schiavetti. Nella
parte meridionale la presenza di acque salmastre depri-
me tale ricchezza ma crea le condizioni per un interes-
sante gradiente di salinità che costituisce un aspetto
peculiare della Cavana. Inoltre, nella parte meridionale
(Cavana, pioppeto in abbandono) sono presenti gli
ambienti più ampi, relativamente omogenei e piuttosto
selvaggi che ospitano un’avifauna discretamente ricca e
forniscono rifugio per i Mammiferi di maggiori dimen-
sioni. Le zone risultano complementari e il quadro com-
plessivo è sicuramente notevole in generale, mentre
assurge all’eccezionalità in quanto adiacente ad aree
intensamente antropizzate. Particolarmente per la flora,
ma non solo, risulta essenziale il proseguimento ed il
ripristino di attività gestionali quali lo sfalcio dei prati
umidi. Inoltre risulta fondamentale avere il controllo del-
l’ingressione di acque salse in Cavana. La creazione di
fasce cuscinetto (buffer zone) e un migliore controllo
delle attività antropiche potrebbero incrementare il valo-
re faunistico dell’area.
In base a quanto esposto si ritiene auspicabile integrare
le misure di protezione esistenti all’interno di un parco
intercomunale dotato di un piano di gestione adeguata-
mente finanziato e con un organismo in grado di realiz-
zarlo.
Si formulano qui di seguito le proposte dettagliate rela-
tive alle diverse zone. I numeri tra parentesi si riferisco-
no a quelli che compaiono sulla carta degli interventi
proposti.
La rete ecologica
Attualmente le zone tutelate sono come delle isole cir-
condate da un territorio intensamente utilizzato per
scopi produttivi. Tale fatto limita il libero espandersi e
contrarsi degli areali distributivi di molte specie vegeta-
li ed animali. I fiumi costituiscono dei corridoi ecologi-
ci naturali e difatti molti mammiferi e uccelli hanno
colonizzato o ricolonizzato la pianura seguendo la vege-
tazione golenale (Scoiattolo - Sciurus vulgaris, Picchio
rosso minore - Picoides minor in tempi recenti). Il cana-
le del Brancolo assolve parzialmente tale funzione. La
costruzione di fasce a vegetazione spontanea consenti-
rebbe un miglior collegamento tra la zona delle risorgi-
ve e la Riserva Naturale della Foce dell’Isonzo. Le
maglie di tale rete dovrebbero collegare anche i residui
boschi igrofili situati nella bonifica del Brancolo attual-
mente circondati dall’agricoltura intensiva che ne drena
anche le acque. Fasce di ecotono arbustive e a prato
naturale potrebbero essere ripristinate intorno a questi
ambiti boscati.
Olla superiore-turistica (1)
Pur essendo compresa nelle aree industriali si ritiene
poco lungimirante e rispettoso dell’ambiente finire la
strada (via delle Sorgive) e tombare parzialmente la olla.
Si propone di utilizzare i tronconi di strada quali par-
cheggi per i visitatori della zona, mentre il prato a
ponente della olla potrebbe diventare un punto di sosta
attrezzato con panchine e tavoli lignei. La olla andrebbe
attrezzata per la fruizione, previo consolidamento di
alcuni tratti spondali con pali infissi, con la costruzione
di balaustre e panchine cartelli esplicativi, mentre il
fondo calpestabile dovrebbe essere migliorato. Grande
cura andrà posta nel delimitare le zone agibili da quelle
solo osservabili per evitare il calpestio ed il sentieramen-
to generalizzato con danni alla vegetazione. Se ben pro-
gettata, eseguita e mantenuta la olla “turistica” potreb-
be essere un esempio di fruizione naturalistica in ambi-
ti di limitata estensione.
Percorso di fruizione su argine destro e ritorno lungo
canale artificiale (2)
A parte le strutture esistenti (punto di osservazione
Cavana, percorso su argine a mare etc.) si propone la
sistemazione di un percorso sull’argine destro delle
risorgive degli Schiavetti tra la strada posta a nord (via
delle Sorgive) e la zona dell’isola (in prossimità del
Brancolo), per poi ricongiungersi alla carraia esistente
sul canale artificiale che scende verso il Brancolo; que-
st’ultimo tracciato potrebbe essere usato anche come
pista ciclabile e percorso equestre. Tale percorso, cor-
redato eventualmente di un punto attrezzato di acces-
so ad una olla, ovviamente apporterà un certo grado
di disturbo ma consentirà di vedere, quindi di apprez-
zare, la natura dei luoghi. L’assenza di disturbo sul
lato sinistro consentirà una via di fuga alla fauna pre-
sente. Fondamentale sarà canalizzare la presenza
umana che non deve essere dispersa e invadente.
Eliminazione argine (3)
Attualmente un argine divide le aree più propriamente
palustri (olle e marisceti) dai prati umidi. Ciò comporta
oltre ad un’ovvia riduzione della naturalità anche un
ridotto apporto idrico ai prati di cui sopra. Tali aree, ora
piuttosto asciutte, ricevono acqua da limitate risorgenze
e dalla pioggia e la proposta eliminazione dell’argine
metterebbe in contatto le zone più ricche d’acqua con i
prati adiacenti, che verrebbero sommersi, ad esempio,
durante forti alte maree. Un argine più a monte potreb-
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GLI INTERVENTI PROPOSTI
be ovviare ad eventuali problemi di sicurezza idraulica
mentre tratti su passerella lignea consentirebbero la frui-
zione dell’area nei tratti dove l’argine verrà eliminato.
Fascia boscata per schermare le zone industriali (4)
Al fine di separare nettamente le zone industriali che
sorgono a nord ed a est dell’area da tutelarsi, si ritiene
auspicabile l’impianto di una fascia boscata contornata
da arbusti ricchi di bacche e strisce prative.
Naturalmente andranno piantate specie arboree e arbu-
stive autoctone. Per la loro crescita rapida pioppi, sali-
ci e frassini sarebbero da preferire mentre la farnia e
l’acero campestre potrebbero essere presenti ma in
numero minore. Verso occidente risulta preferibile
mantenere la possibilità di spaziare con la vista verso
l’aperta campagna.
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CARTA DEGLI INTERVENTI PROPOSTI
Chiudere o mettere una soglia al canale di sgrondo
sotto l’impianto arboreo (5)
Ritenendo negativa per i biotopi la sottrazione così spin-
ta di acqua dalle zone umide ai canali di bonifica, si pro-
pone di bloccare il flusso che immette acqua sorgiva nel
canale artificiale posto al limite ovest della zona
Schiavetti.
Da seminativi e pioppeti a prato stabile (6)
La zona ha subito una riduzione dovuta alle attività indu-
striali, residenziali ed agricole e sarebbe auspicabile la
costituzione di fasce cuscinetto tra le aree a maggior
valore e le zone a finalità produttive. In particolare, la
zona dei Matarussi, fino alla strada per il mare, era a
prato fino a tempi recenti ed è attualmente adibita a
pioppeto. Tale area si potrebbe prestare ad un ritorno
del prato eventualmente pascolato.
Il pascolo
Si ritiene che, data la limitatezza e la fragilità del territo-
rio, andrebbe eventualmente previsto il pascolo di bovi-
ni ed equini nei prati ripristinati.
Lo sfalcio dei prati umidi (7)
Anche il più scettico detrattore degli interventi di tutela
attiva deve arrendersi all’evidenza della ricchezza di spe-
cie vegetali rare e localizzate caratteristiche dei prati
umidi ancora oggetto di sfalcio. Il graduale ampliamento
di tali aree con un monitoraggio degli effetti di tale misu-
ra gestionale è sicuramente auspicabile.
Caccia
La caccia è stata definita come un’attività economica
svolta con regole sportive (Perco e Perco, 1974).
Indubbiamente era e, in gran parte, è tuttora una pratica
tipica dell’uomo nelle zone umide. L’evoluzione cultura-
le della popolazione tende progressivamente a percepire
negativamente l’uccisione di animali nel corso di attività
del tempo libero (vedi pesca no-kill). Due piani distinti
si possono delineare: il piano tecnico e quello etico. Una
regolamentazione illuminata dovrebbe tenere conto di
entrambi i piani. Data le caratteristiche di vicinanza con
le aree urbanizzate e la compresenza di molte attività del
tempo libero si ritiene che un regime venatorio “specia-
le” sia comunque auspicabile. Si possono delineare varie
opzioni.
1) Nessun prelievo venatorio concesso. Aspetti positivi:
tranquillità del sito, aumento di alcune specie, aumento
della confidenza di alcune specie. Aspetti negativi: possi-
bile incremento del Capriolo con aumento degli investi-
menti stradali, perdita di interesse ovvero opposizione
da parte di una fascia di utenti (i cacciatori) per l’ambito
che si vuole proteggere e gestire correttamente.
2) Prelievo solo per il Capriolo con modalità temporali
tali da non sovrapporsi ad altre attività del tempo libero
(solo di primo mattino). Aspetti positivi: pratica quasi
invisibile, minor opposizione da parte dei cacciatori ai
progetti di conservazione. Aspetti negativi: prevalente-
mente di tipo etico.
3) Prelievo del Capriolo come sopra e un certo numero
di giornate per la selvaggina stanziale (limitata alla lepre
ed al fagiano) con modalità temporali “speciali” al fine di
minimizzare l’impatto sulle altre attività. Aspetti positivi:
coinvolgimento dei cacciatori. Aspetti negativi: disturbo
venatorio anche a carico di specie non cacciate, maggio-
re opposizione di tipo etico.
4) Caccia normale (come si svolge attualmente). Aspetti
positivi: ovvio consenso da parte dei cacciatori, Aspetti
negativi: sensibile disturbo venatorio, allontanamento di
specie diffidenti, contrasto con le altre attività del tempo
libero e produttive, minor favore da parte del pubblico
per un “parco” che non si differenzia o si differenzia
troppo poco dal resto del territorio.
Altre regolamentazioni potrebbero riguardare il “dove”
cioè ad esempio caccia chiusa nel SIC ma aperta e rego-
lamentata nelle aree circostanti.
Gli studenti coinvolti nell’iniziativa hanno espresso la
volontà di un parco senza caccia. Tale posizione è
apprezzabile per la sua semplicità e chiarezza, ma pre-
senta il rischio di aprire un forte contrasto con una fascia
di utenti dell’area. In altre situazioni l’opposizione dei
cacciatori ha fatto fallire i parchi previsti. Secondo P.
Utmar sarebbe preferibile una delle opzioni intermedie
oppure la caccia chiusa ma solo previo consenso degli
interessati e a seguito di un netto pronunciamento in tal
senso da parte della popolazione locale. Ritiene altresì
dannosa e anacronistica una pratica venatoria “normale”
in un territorio limitato e sensibile come quello di cui si
tratta.
Cavana: più acqua dolce sì o no?
Attualmente l’area della Cavana è soggetta alla risalita di
acque salate. Ritenendo che gli ambienti costieri caratte-
rizzati da acqua dolce corrano un crescente pericolo
anche per l’ingressione marina, si auspica un ripristino
delle strutture atte a mantenere prevalente l’aspetto dul-
caquicolo della zona. La conservazione della parte alofi-
la è probabilmente assicurata dalle infiltrazioni non eli-
minabili e dalla presenza di sali nel terreno.
Eventualmente potrebbe essere predisposta una chiavica
tipo valle da pesca per consentire l’ingresso di quantità
controllate di acqua salata.
Ripristino delle porte vinciane della Cavana e del cana-
le Taiada e chiusura della piccola apertura nella zona
nord del canale Taiada (8)
Al fine di moderare l’accesso delle acque salse all’inter-
no dell’ambito Cavana è auspicabile il ripristino della
funzionalità delle porte vinciane situate alla foce del
corso d’acqua omonimo (intervento effettuato alla fine
del 2004). Un altro punto di entrata è rappresentato da
una piccola apertura presente nella parte settentrionale
del canale Taiada che costeggia la strada verso il mare.
La chiusura di tale apertura ed una tubazione sul
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fondo, eventualmente fornita di porta vinciana, potreb-
be ovviare alla risalita del cuneo salino e favorire la fuo-
riuscita delle acque salate già presenti nella parte più
settentrionale dell’ambito Cavana.
Ricostruzione della lagunetta a mare (9)
A causa di fenomeni erosivi è praticamente scomparsa la
piccola laguna esistente nella zona a mare della Cavana.
Attualmente con l’alta marea non esiste alcuna area di
transizione tra il mare e l’argine con un’ovvia perdita
nella diversificazione ambientale di un’area interna al
Sito di Importanza Comunitaria. Si propone la ricostru-
zione della laguna con il riporto di materiale ed il conso-
lidamento dello stesso con le tecniche di ingegneria natu-
ralistica (impiego di vegetali di reimpianto, graticci per
fermare la sabbia, ecc.). Il tratto esterno del “cordone
litoraneo” sarà sabbioso, quello interno limoso. Si
potrebbe prevedere l’immissione nello specchio così
ricavato delle acque salmastre del canale della Taiada, al
fine di creare un gradiente di salinità. Lo sbocco andreb-
be previsto verso ponente. Considerando l’attuale stato
erosivo del litorale è probabile una durata limitata del-
l’intervento, che verosimilmente potrebbe essere ripetu-
to, costituendo un sito di stoccaggio di materiali derivati
dallo scavo di canali.
Centro visite (10)
Alla foce della Cavana, fuori dell’area protetta, c’è l’ex-
colonia delle Giarette, un ampio manufatto circondato
da una zona verde nel perimetro del villaggio turistico
Albatros. L’edificio attualmente non è utilizzato e sta
progressivamente degradandosi. Si potrebbe recuperare
il manufatto (previa bonifica della copertura in cemen-
to-amianto) per adibirlo a centro visite e sede direziona-
le; esso possiede infatti un’ampia cubatura (evitando
così nuove costruzioni), si trova a ridosso della spiaggia
e quindi potrebbe stimolare l’interesse di turisti curiosi
e favorire la conoscenza dell’area.
Si dovrebbe procedere al restauro e ristrutturazione del-
l’edificio allestendovi una sezione espositiva che illustri
la specificità dell’area protetta, dei vari ambienti e dei
percorsi educativi presenti all’interno del parco, un labo-
ratorio didattico, un archivio fotografico ed un ufficio
direzionale.
(11) Si potrebbe inoltre realizzare nell’area circostante alla
olla superiore-turistica un punto di informazione con una
struttura di dimensioni ridotte, possibilmente in legno, per
fornire informazioni turistico-ambientali di carattere gene-
rale.
La fruizione: dove e come
Gli inglesi della RSPB (Royal Society for the Protection of
Birds) dicono che tre fattori vanno presi in considerazio-
ne per quanto riguarda la fruizione: dove vanno i visita-
tori, quanti possono essere ammessi e quando l’area è
aperta al pubblico. Dando per scontato che non è attual-
mente auspicabile una chiusura stagionale ed un numero
chiuso di visitatori, rimangono da individuare alcuni per-
corsi lungo i quali favorire la fruizione del sito. Alcune
aree potrebbero essere neutre, cioè senza divieti e senza
facilitazioni, ed alcune ancora esplicitamente vietate al
libero accesso. L’esperienza della foce dell’Isonzo e di
altre riserve evidenzia che le barriere “naturali” come
rovi e acqua profonda funzionano meglio dei cartelli,
sono anche meno impattanti sul paesaggio e sull’atteg-
giamento del visitatore, che accetta naturalmente l’inac-
cessibilità di determinate zone.
La necessità di personale. L’esempio inglese
Una zona protetta come l’ambito Cavana-Schiavetti-
Fiumisin necessita per la gestione di personale addetto.
Questo è certamente vero se verranno eseguiti degli inter-
venti per consentire la fruizione e se verranno avviate pra-
tiche gestionali. Di pari passo sarà necessario iniziare
delle attività di monitoraggio naturalistico anche al fine di
acquisire dati che supportino gli interventi e la gestione.
L’esempio inglese della RSPB (1983) delinea accurata-
mente il percorso dall’acquisizione agli interventi e alla
gestione. Nelle riserve naturali gestite da tale storica asso-
ciazione grande importanza assume la figura del
“Guardiano” che potrebbe essere definito come un “tut-
tofare di qualità”. Infatti è lui che redige il Piano di
gestione e lo sottopone alla sede centrale che apporta le
eventuali modifiche. La stessa persona mette in pratica il
piano approvato e redige un rapporto annuale sull’anda-
mento della gestione passata e su quella prevista per l’an-
no seguente, corredato di tutti i dati di presenza faunisti-
ca necessari per una comprensione del cammino fatto.
Sulla base di tali competenze il “Guardiano” potrà forni-
re supporto all’attività di ricerca scientifica e tutoraggio
agli studenti per l’elaborazione di tesi di laurea. Tale per-
sonaggio deve essere in grado di svolgere una notevole
gamma di mansioni e questa abilità gli deriva dalla passio-
ne per la natura, dalle conoscenze acquisite, dal volonta-
riato e dai precedenti impieghi. L’intervento della sede
centrale, in assenza di particolari problemi, è limitato e la
soddisfazione, a fronte di un forte impegno, sta nel “gui-
dare” una riserva verso le mete che lui stesso ha, in buona
parte, delineato. Si tratta di un modello per certi versi
opposto a quello spesso verificato in Italia dove, partico-
larmente quando è l’ente pubblico a gestire un’area pro-
tetta, si pretende una forte separazione tra la parte deci-
sionale, attribuita ad organismi più o meno lontani, e la
parte attuativa e pratica che viene eseguita dal personale
della riserva. Risulta evidente che il primo metodo a pari-
tà di compenso è molto più soddisfacente per gli addetti
e normalmente porta ad un maggior coinvolgimento e a
risultati migliori. Il secondo metodo normalmente porta
alla disaffezione e alla considerazione che il lavoro nella
riserva è equiparabile ad altre forme di occupazione.
Senza mitizzare per ovvia esterofilia (altro carattere tipi-
camente italiano) l’esempio della RSPB, si ritiene che un
maggior coinvolgimento degli addetti nella fase decisio-
nale sia certamente auspicabile. Quanti addetti per il
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parco? Gli inglesi partono da uno, che viene aiutato da
volontari ed eccezionalmente da collaboratori retribuiti.
Sicuramente è una soluzione pratica (attenua i conflitti
perché esiste un unico responsabile) ed economica, ma ha
il difetto di basarsi su una forza lavoro non sempre dispo-
nibile (come quella del volontariato) ed inoltre comporta
problemi collegati alla sicurezza. Molto dipenderà dal-
l’entità del territorio, dagli interventi e conseguente
necessità di manutenzione e dalle pratiche gestionali e di
monitoraggio. Soluzioni come il part-time potrebbero
essere utili ed anche remunerative se accoppiate alle visi-
te guidate. Certamente la creazione di uno “Staff” del
parco è un’operazione delicata e necessita di una chiara e
condivisa attribuzione di compiti e responsabilità. Per
quanto riguarda le visite guidate si reputa che inserirle nel
compenso degli addetti sia complessivamente negativo.
Coinvolgere persone esterne alla gestione abbassa spesso
la qualità. Ci deve essere una forma tangibile di “premio”
per chi accompagna le visite. Questo premio porta inevi-
tabilmente ad un aumento della qualità e della quantità
del servizio. La soluzione migliore potrebbe essere far
svolgere le visite al personale e – al bisogno - ad un nume-
ro selezionato di volontari.
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1. Il bacino di Panzano visto dalla foce del Brancolo
(1978).
IMMAGINI
2. Una olla circondata da
Cladium mariscus.
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4, 5, 6. Da sinistra: Iris sibirica, Hemerocallis lilioasphodelus, Gentiana pneumonanthe.
3. Orto-foto (Compagnia Generale Ripreseaeree S.p.A.): i confini dei due biotopi sono delineati in rosso; l’area del S.I.C. è con-
tornata con tratto verde; il tratto azzurro grosso definisce i confini dei territori comunali. Si può notare che alcuni tratti dei bio-
topi non sono stati compresi nel perimetro del S.I.C. e viceversa.
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7, 8. Canali con vegetazione; a destra fioritura di Caltha palustris.
9, 10. Da sinistra: giunco nero e particolare di Euphrasia marchesettii.
11. Veduta di prato umido con Gladiolus
palustris, Iris sibirica e Hemerocallis lilioa-
sphodelus.
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12, 13, 14. Da sinistra: Gymnadenia conopsea, Epipactis palustris e Orchis laxiflora.
15. Salix cinerea.
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16, 17. Veduta del Fiumisin e particolare della vegetazione acquatica (Nymphaea alba).
18, 19. Veduta della Cavana con Limonium in fiore (a sinistra) e Juncus maritimus (a destra).
20. Litorale del S.I.C. Cavana: flusso uscente dalla porta Vinciana con bassa marea.
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25, 26. Da sinistra: Tarabuso e Pendolino.
23, 24. Da sinistra: Falco di palude (giovane ai primi voli) e Alzavola (maschio).
21, 22. Da sinistra: Oche selvatiche in alimentazione su Phragmites e Marangone minore.
APPENDICE 1
Check-list degli uccelli della zona Schiavetti-Cavana e Fiumisin
A cura di Paolo Padovan, Paolo Utmar e Ignazio Zanutto
Nella presente lista la terminologia, la classificazione e la nomenclatura sono tratte dalla Check-list degli uccelli italia-
ni aggiornata a tutto il 1997 di BRICHETTI & MASSA, 1998. Sono stati inoltre consultati il recente lavoro di PARODI (1999): Gli
uccelli della provincia di Gorizia. Data la limitatezza della zona si è optato di escludere la categoria degli Accidentali dato che
una specie di cui è nota soltanto un’osservazione nel sito può essere ben più comune anche a breve distanza. La zona conside-
rata va dal bacino di Panzano ai confini orientali della Riserva Naturale Regionale della Foce dell’Isonzo. Un asterisco segnala
le specie riportate da Parodi come nidificanti. Le nidificazioni certe non hanno ulteriore specificazione, per le probabili viene
aggiunto “prob.”, per le possibili “poss.”. Complessivamente sono state osservate 209 specie (125 non passeriformi), 76 delle
quali, comprendendo i dati incerti, hanno nidificato negli ultimi 20 anni.
Le specie considerate sono complessivamente (ordini, famiglie).
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Simboli ed abbreviazioni usati:
S = Sedentaria o Stazionaria (Sedentary, Resident)
B = Nidificante (Breeding)
M = Migratrice (Migratory, Migrant)
W = Svernante, presenza invernale (Wintering, Winter visitor)
E = Estivante (Non-breeding summer visitor)
reg = regolare (regular)
irr = irregolare (irregular)
? = può seguire qualsiasi simbolo per indicare dubbio o incertezza
(doubtful data)
LISTA SISTEMATICA
Gaviiformes
Gaviidae
Strolaga minore Gavia stellata M reg, W reg
Strolaga mezzana Gavia arctica M reg, W reg
Podicipediformes
Podicipedidae
*Tuffetto Tachybaptus ruficollis SB, M reg, W
Svasso maggiore Podiceps cristatus M reg, W
Svasso collorosso Podiceps grisegena M reg, W
Svasso cornuto Podiceps auritus M irr, W irr
Svasso piccolo Podiceps nigricollis M reg, W
Pelecaniformes
Phalacrocoracidae
Cormorano Phalacrocorax carbo M reg, W, E irr
Marangone dal ciuffo Phalacrocorax aristotelis M reg, E
Marangone minore Phalacrocorax pygmeus M irr, W irr
Ciconiiformes
Ardeidae
Tarabuso Botaurus stellaris M reg, W.
*Tarabusino Ixobrychus minutus M reg, B
Nitticora Nycticorax nycticorax M reg, E. B poss.
Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides M irr
Garzetta Egretta garzetta M reg, W, E
Airone bianco maggiore Casmerodius albus M reg, W, E irr
Airone cenerino Ardea cinerea M reg,W, E, B poss.
Airone rosso Ardea purpurea M reg, E
Ciconiidae
Cicogna nera Ciconia nigra M irr
Cicogna bianca Ciconia ciconia M reg
Treschiornitidae
Mignattaio Plegadis falcinellus M irr
Anseriformes
Anatidae
Cigno reale Cygnus olor M reg, W, E
Oca granaiola Anser fabalis M reg, Wirr
Oca lombardella Anser albifrons M reg, W reg
*Oca selvatica Anser anser B, M reg, W
Fischione Anas penelope M reg, W
Canapiglia Anas strepera M reg, W
Alzavola Anas crecca M reg, W, E irr
*Germano reale Anas platyrhynchos SB, M reg, W
*Marzaiola Anas querquedula M reg, B prob.
Mestolone Anas clypeata M reg
Moriglione Aythya ferina M reg, W
Moretta tabaccata Aythya nyroca M irr
Moretta Aythya fuligula M irr,W
Moretta grigia Aythya marila M irr, Wirr
Edredone Somateria mollissima M irr, E
Moretta codona Clangula hyemalis M irr, Wirr
Orchetto marino Melanitta nigra M irr, Wirr
Orco marino Melanitta fusca M irr, Wirr
Quattrocchi Bucephala clangula M reg, W
Smergo minore Mergus serrator M reg, W
Accipitriformes
Accipitridae
*Falco pecchiaiolo Pernis apivorus M reg, B prob.
Nibbio bruno Milvus migrans M irr
Nibbio reale Milvus milvus M irr
*Falco di palude Circus aeruginosus M reg, W, E, B poss., Ha nidifi-
cato nel 1987.
Albanella reale Circus cyaneus M reg, W
Albanella minore Circus pygargus M reg. B poss. Nidificante fino agli
anni 80’.
Astore Accipiter gentilis M reg, W
*Sparviere Accipiter nisus M reg, B, W
*Poiana Buteo buteo M reg, B, W
Pandionidae
Falco pescatore Pandion haliaetus M irr
Falconiformes
Falconidae
Grillaio Falco naumanni M irr, Eirr
*Gheppio Falco tinnunculus SB, M reg, W
Falco cuculo Falco vespertinus M reg
Smeriglio Falco columbarius M reg, W irr.
Lodolaio Falco subbuteo M reg, B poss.
Lanario Falco biarmicus M irr
Pellegrino Falco peregrinus M reg, W
Galliformes
Phasianidae
Starna Perdix perdix presenza saltuaria di soggetti rilasciati a scopo
venatorio
Quaglia Coturnix coturnix M reg, B poss.
*Fagiano comune Phasianus colchicus SB Soggetto a ripopolamenti a
scopo venatorio
Gruiformes
Rallidae
*Porciglione Rallus aquaticus M reg, W, B prob.
Voltolino Porzana porzana M reg
*Gallinella d’acqua Gallinula chloropus SB, M reg, W
*Folaga Fulica atra SB, M reg, W.
Gruidae
Gru Grus grus M reg, W irr.
Charadriiformes
Haematopodidae
Beccaccia di mare Haematopus ostralegus M irr, E
Charadriidae
*Corriere piccolo Charadrius dubius M reg, B
Corriere grosso Charadrius hiaticula M reg
Fratino Charadrius alexandrinus Mreg, W, E
Pivieressa Pluvialis squatarola Mreg, W
*Pavoncella Vanellus vanellus SB, M reg, W
Scolopacidae
Piovanello pancianera Calidris alpina M irr, W irr
Combattente Philomachus pugnax M reg.
Frullino Lymnocryptes minimus M reg, W reg
Beccaccino Gallinago gallinago M reg, W
Beccaccia Scolopax rusticola M reg, W
Pittima reale Limosa limosa M irr
Chiurlo piccolo Numenius phaeopus M irr
Chiurlo maggiore Numenius arquata M reg, W
Totano moro Tringa erythropus M irr
Pettegola Tringa totanus M irr
Albastrello Tringa stagnatilis M irr
Pantana Tringa nebularia M reg.
Piro piro culbianco Tringa ochropus M reg, W
Piro piro boschereccio Tringa glareola M reg.
*Piro piro piccolo Actitis hypoleucos M reg, W, E poss.
Arenarinae
Voltapietre Arenaria interpres M irr
Laridae
Gabbiano corallino Larus melanocephalus M reg, W, E.
Gabbianello Larus minutus M reg.
Gabbiano comune Larus ridibundus M reg, W, E
Gavina Larus canus M reg, W
Zafferano Larus fuscus M reg
Gabbiano reale nordico Larus argentatus M irr, W irr
Gabbiano reale mediterraneo Larus michaellis M reg, W, E
Sternidae
Sterna zampenere Gelochelidon nilotica M irr
Sterna maggiore Sterna caspia M irr
Beccapesci Sterna sandvicensis M reg, W irr
Sterna comune Sterna hirundo M reg, E
Fraticello Sterna albifrons M reg, E
Mignattino piombato Chlidonias hybrida M irr
Mignattino Chlidonias niger M reg
Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus M irr
Columbiformes
Columbidae
Piccione selvatico Columba livia SB (esclusivamente con forme
domestiche)
Colombella Columba oenas M irr, W irr
Colombaccio Columba palumbus M reg, SB, W
*Tortora dal collare Streptopelia decaocto SB
*Tortora Streptopelia turtur M reg, B
Cuculiformes
Cuculidae
*Cuculo Cuculus canorus M reg, B
Strigiformes
Tytonidae
*Barbagianni Tyto alba SB
Strigidae
*Assiolo Otus scops M reg, B prob.
*Civetta Athene noctua SB.
*Gufo comune Asio otus SB
Gufo di palude Asio flammeus M irr
Caprimulgiformes
Caprimulgidae
Succiacapre Caprimulgus europaeus M reg
Apodiformes
Apodidae
*Rondone Apus apus M reg , B poss
Rondone maggiore Apus melba M reg
Coraciiformes
.Alcedinidae
*Martin pescatore Alcedo atthis M reg, W, SB
Meropidae
Gruccione Merops apiaster M reg
Coraciidae
Ghiandaia marina Coracias garrulus M irr
Upupidae
*Upupa Upupa epops M reg, B prob.
Piciformes
Picidae
*Torcicollo Jynx torquilla M reg, B prob.
*Picchio verde Picus viridis SB
*Picchio rosso maggiore Picoides major SB, M reg
Picchio rosso minore Picoides minor M reg ?, W reg, B poss.
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Passeriformes
Alaudidae
*Calandrella Calandrella brachydactyla M reg, B prob.
*Cappellaccia Galerida cristata SB, M irr, W.
Tottavilla Lullula arborea M reg, W reg.
*Allodola Alauda arvensis M reg, W
Hirundinidae
Topino Riparia riparia M reg
*Rondine Hirundo rustica M reg, B
Rondine rossiccia Hirundo daurica M irr
*Balestruccio Delichon urbica M reg, B
Motacillidae
Prispolone Anthus trivialis M reg
Pispola Anthus pratensis M reg, W
Spioncello Anthus spinoletta M reg, W
*Cutrettola Motacilla flava M reg, B
*Ballerina gialla Motacilla cinerea M reg, W
*Ballerina bianca Motacilla alba SB, M reg, W
Troglodytidae
Scricciolo Troglodytes troglodytes M reg, W
Prunellidae
Passera scopaiola Prunella modularis M reg, W
Turdidae
Pettirosso Erithacus rubecula M reg, W
*Usignolo Luscinia megarhynchos M reg, B
Codirosso spazzacamino Phoenicurus ochruros M reg, W
Codirosso Phoenicurus phoenicurus M reg
Stiaccino Saxicola rubetra M reg
*Saltimpalo Saxicola torquata M reg, W, B
Culbianco Oenanthe oenanthe M reg
*Merlo Turdus merula SB, M reg, W
Cesena Turdus pilaris M reg, W irr
Tordo bottaccio Turdus philomelos M reg, W irr
Tordo sassello Turdus iliacus M reg, W irr
Tordela Turdus viscivorus M reg, W irr
Sylviidae
*Usignolo di fiume Cettia cetti SB, M irr, W
*Beccamoschino Cisticola juncidis B, M reg, W irr
Forapaglie castagnolo Acrocephalus melanopogon M reg
Forapaglie Acrocephalus schoenobaenus M reg
*Cannaiola verdognola Acrocephalus palustris M reg, B
*Cannaiola Acrocephalus scirpaceus M reg, B
*Cannareccione Acrocephalus arundinaceus M reg, B
Canapino maggiore Hippolais icterina M reg
Canapino Hippolais polyglotta M reg, B
*Occhiocotto Sylvia melanocephala M reg ? W reg ? B prob.
Bigia padovana Sylvia nisoria M irr
Bigiarella Sylvia curruca M reg
Sterpazzola Sylvia communis M reg
Beccafico Sylvia borin M reg
*Capinera Sylvia atricapilla M reg, B
Luì verde Phylloscopus sibilatrix M reg
*Luì piccolo Phylloscopus collybita M reg, W, B prob.
Luì grosso Phylloscopus trochilus M reg
Regolo Regulus regulus M reg, W
Fiorrancino Regulus ignicapillus M reg, W
Muscicapidae
*Pigliamosche Muscicapa striata M reg, B
Balia nera Ficedula hypoleuca M reg
Timalidae
Basettino Panurus biarmicus M irr
Aegithalidae
*Codibugnolo Aegithalos caudatus SB
Paridae
Cincia bigia Parus palustris M irr
Cincia mora Parus ater M reg,W irr
*Cinciarella Parus caeruleus SB, M reg, W
*Cinciallegra Parus major SB, M reg, W
Sittidae
Picchio muratore Sitta europaea M reg, W irr
Remizidae
*Pendolino Remiz pendulinus M reg, W
Oriolidae
*Rigogolo Oriolus oriolus M reg, B
Laniidae
*Averla piccola Lanius collurio M reg, B
Averla cenerina Lanius minor M irr
Averla maggiore Lanius excubitor M reg, W
Corvidae
*Ghiandaia Garrulus glandarius SB, M reg, W
*Gazza Pica pica SB
Taccola Corvus monedula M reg, W, E (nidifica a Monfalcone)
Corvo Corvus frugilegus M reg, W irr
*Cornacchia Corvus corone SB
Sturnidae
*Storno Sturnus vulgaris SB, M reg, W
Passeridae
*Passera Passer domesticus SB, M irr
*Passera mattugia Passer montanus SB, M reg?, W
Fringillidae
*Fringuello Fringilla coelebs M reg, W, B
Peppola Fringilla montifringilla M reg, W
*Verzellino Serinus serinus M reg, B, W irr?
*Verdone Carduelis chloris SB, M reg, W
*Cardellino Carduelis carduelis SB, M reg, W
Lucarino Carduelis spinus M reg, W
Fanello Carduelis cannabina M irr
Crociere Loxia curvirostra M irr
Ciuffolotto Pyrrhula pyrrhula M irr
Frosone Coccothraustes coccothraustes M reg, W
Emberizidae
Zigolo giallo Emberiza citrinella M irr, Wirr
Zigolo nero Emberiza cirlus M irr, W irr
*Migliarino di palude Emberiza schoeniclus M reg, W, B prob.
Strillozzo Miliaria calandra M reg, W irr, B poss.
- 43 -
APPENDICE 2
Check list degli anfibi, rettili e mammiferi terragnoli
Le Check list degli Anfibi, Rettili e Mammiferi sono tratte da una relazione inedita di Luca Lapini per il WWF Friuli Venezia
Giulia, Sezione di Monfalcone dal titolo: “Primi Dati sui Vertebrati Terragnoli della Cavana”(Lapini 1993).
- 44 -
Anfibi
Urodeli
Salamandridi
Tritone crestato italiano Triturus carnifex
Tritone punteggiato Triturus vulgaris meridionalis
Discoglossidi
Ululone a ventre giallo Bombina variegata
Bufonidi
Rospo comune Bufo bufo
Rospo smeraldino Bufo viridis
Ilidi
Raganella comune italiana Hyla intermedia
Ranidi
Rana agile, R.dalmatina Rana dalmatina
Rana di Lataste Rana latastei
°Rana di Lessona, Rana verde di Lessona Rana lessonae
°Rana esculenta, Rana verde comune Rana Klepton esculenta
° sono comuni gli ibridi tra queste due specie
Rettili
Testudinati
Testuggine palustre, Emide europea Emys orbicularis
?Tartaruga comune Caretta caretta
Squamati
Sauri
Lacertidi
Ramarro Lacerta viridis
Lucertola muraiola Podarcis muralis
Lucertola sicula Podarcis sicula campestris
Anguidi
Orbettino Anguis fragilis fragilis
Serpenti
Colubridi
Biacco Coluber viridiflavus
Saettone Elaphe longissima
Natrice dal collare Natrix natrix
Natrice tassellata Natrix tessellata
Vipera comune Vipera aspis Presenza probabile fino al 1960 circa.
Mammiferi terragnoli
Insettivori
Erinaceidi
Riccio occidentale Erinaceus europaeus
Soricidi
Toporagno comune Sorex araneus
Toporagno acquatico del Miller Neomys anomalus
Crocidura ventre bianco Crocidura leucodon
Crocidura minore Crocidura suaveolens
Talpidi
Talpa Talpa europea
Lagomorfi
Lepridi
Lepre Lepus europaeus
Roditori
Cricetidi
Arvicola terrestre Arvicola terrestris
Campagnolo del Liechtenstein Pitymys liechtenstein
Campagnolo del Savi Pitymys savi
Topo campagnolo comune Microtus arvalis
Topolino delle risaie Micromys oryzivorus
Topo selvatico Apodemus sylvaticus
Topo selvatico dal dorso striato Apodemus agrarius
Surmolotto, ratto delle chiaviche Rattus norvegicus
Topolino delle case Mus domesticus
Gliridi
Moscardino Muscardinus avellanarius
Carnivori
Canidi
Volpe Vulpes vulpes
Mustelidi
Faina Martes foina
Puzzola Mustela putorius
Donnola Mustela nivalis
Ungulati
Cervidi
Capriolo Capreolus capreolus
Note degli Autori
? specie osservate nel tratto di mare antistante la Cavana, non con-
siderato dal Lapini.
Nell’area è comparsa la Nutria Myocastor coypus, mentre è probabi-
le la presenza dello Scoiattolo Sciurus vulgaris (in forte espansione in
pianura) e il Tasso Meles meles. Dopo la seconda guerra mondiale e
probabilmente fino agli anni ’60 era presente la Lontra Lutra lutra.
APPENDICE 3
La fauna ittica delle sorgive del Cavana (loc. Schiavetti) – Monfalcone
A cura di Sergio Paradisi
Nell’area non sono mai stati condotti veri e propri campionamenti relativamente all’ittiofauna. La lista seguente deriva quin-
di da osservazioni occasionali e da segnalazioni di pescatori che frequentano l’area. Le specie segnalate sono:
Anguilla Anguilla anguilla
Luccio Esox lucius
Tinca Tinca tinca
Scardola Scardinius erythrophthalmus
Pesce gatto Ictalurus melas
Gambusia Gambusia holbrooki
Persico sole Lepomis gibbosus
Dei pesci sopra elencati, i primi quattro sono autoctoni e comuni nei canali di bonifica del monfalconese; per la tinca è stata
raccolta una sola segnalazione per la zona di Schiavetti. Le altre tre specie sono di origine nord-americana; la presenza di pesce
gatto e persico sole non è desiderabile in quanto includono nella dieta uova e avannotti di specie autoctone. La gambusia è una
specie introdotta ai tempi delle campagne antimalariche, in quanto si nutre di larve di zanzara.
Accanto a queste specie, alla confluenza delle acque di risorgenza con il canale Brancolo compaiono specie eurialine di rimon-
ta che sono oggetto di pesca (in particolare cefali e muggini, di presenza più regolare rispetto a passere e spigole):
Cefalo Mugil cephalus
Muggine calamita Liza ramada
Muggine dorato Liza aurata
Muggine musino Liza saliens
Spigola Dicentrarchus labrax
Passera Platichthys flesus
Di grande interesse sarebbe il campionamento con attrezzature idonee delle olle di risorgenza e delle aste d’acqua corrente
immediatamente a valle delle medesime, per accertare la presenza, di possibili popolazioni relitte di pesci endemici dei corsi di
risorgiva della pianura padana e veneto-friulana, quali il panzarolo (Orsinigobius punctatissimus), la lampreda padana
(Lethenteron zanandreai), il cobite mascherato (Sabanejewia larvata), nonché di altri elementi faunistici interessanti come il
gambero di fiume (Austropotamobius pallipes italicus), frequente un tempo, secondo i vecchi pescatori, nelle risorgive del mon-
falconese.
- 45 -
APPENDICE 4
SPECIE ANIMALI DI IMPORTANZA CONSERVAZIONISTICA
A cura di Paolo Utmar
Uccelli
Si riporta in tabella il grado di tutela previsto per le diverse specie (vengono considerate solamente le nidificanti) a livello
nazionale e internazionale, così schematizzato:
PP: specie particolarmente protette dalla L. n. 157/92
SPEC (Species of European Conservation Concern) - suddivisione delle specie globalmente minacciate in categorie a diverso
status di conservazione (Tucker & Heath 1994):
SPEC1 – specie minacciate globalmente nel mondo
SPEC2 – specie minacciate e concentrate in Europa
SPEC3 – specie minacciate ma non concentrate in Europa
Direttiva comunitaria “Uccelli” (CEE1) concernente la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE); specie incluse nel-
l’allegato 1, che necessitano di misure di conservazione degli habitat e i cui siti di presenza richiedono l’istituzione di zone di
protezione speciale (ZPS).
Convenzione di Berna (BERNA II) concernente la conservazione della flora e della fauna e del loro habitat naturale, in parti-
colare quando richiede la cooperazione tra gli stati membri (specie incluse nell’allegato II, considerate particolarmente pro-
tette).
Lista Rossa degli Uccelli nidificanti in Italia (LIPU & WWF 1999), che individua le seguenti categorie già individuate
dall’IUCN:
EX - Specie estinta
CR - Specie in pericolo molto critico
EN - Specie in pericolo
VU - Specie vulnerabile
LR - Specie a più basso rischio
DD - Carenza di informazione
L. N. 157/92 79/409 CEE BERNA II SPEC Lista rossa
Tuffetto *
Tarabusino * * 3 LR
Nitticora * * 3
Airone cenerino LR
Marzaiola 3 VU
Falco pecchiaiolo PP * * VU
Falco di palude PP * * EN
Albanella minore PP * * VU
Sparviere PP *
Poiana PP *
Gheppio PP * 3
Lodolaio PP * VU
Quaglia 3 LR
Porciglione LR
Corriere piccolo * LR
Piro piro piccolo * VU
Tortora 3
Barbagianni PP * 3 LR
Assiolo PP * 2 LR
Civetta PP * 3
Gufo comune PP * LR
Martin pescatore * * 3 LR
Upupa *
Torcicollo PP * 3
Picchio verde PP * 2 LR
Picchio rosso maggiore PP *
Picchio rosso minore PP * LR
Calandrella * * 3
- 46 -
L. N. 157/92 79/409 CEE BERNA II SPEC Lista rossa
Cappellaccia 3
Allodola 3
Rondine * 3
Balestruccio *
Cutrettola *
Ballerina gialla *
Ballerina bianca *
Usignolo *
Saltimpalo * 3
Usignolo di fiume *
Beccamoschino *
Cannaiola verdognola *
Cannaiola *
Cannareccione *
Canapino *
Occhiocotto *
Capinera *
Lui piccolo *
Pigliamosche * 3
Cinciarella *
Cinciallegra *
Rigogolo *
Averla piccola * * 3
Verzellino *
Verdone *
Cardellino *
Migliarino di palude *
Anfibi, Rettili, Mammiferi terragnoli
Specie Dir.Habitat 92/43 CEE Conv. Berna Lista Rossa
Tritone crestato it. * *
Tritone punteggiato DD
Ululone a ventre giallo * * LR
Rospo smeraldino *
Raganella c. italiana *
Rana agile *
Rana di Lataste * * E
Testuggine palustre * * LR
Tartaruga comune * * LR
Ramarro *
Lucertola sicula *
Biacco *
Saettone *
Natrice tassellata *
Topolino delle risaie VU
Puzzola DD
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APPENDICE 5
SPECIE VEGETALI ED HABITAT DI IMPORTANZA CONSERVAZIONISTICA
a cura di Pierpaolo Merluzzi
Specie vegetali d’interesse prioritario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione ai
sensi dell’Allegato II della Direttiva Habitat 92/43/CEE
SPECIE DELLE “LISTE ROSSE DELLE PIANTE D’ITALIA”
CON RELATIVE CATEGORIE IUCN
SPECIE LIVELLO DI RISCHIO STATUS PARTICOLARI
Senecio paludosus Minacciata
Allium angulosum Vulnerabile
Allium suaveolens Vulnerabile
Cirsium canum Vulnerabile
Euphrasia marchesettii Vulnerabile *
Gentiana pneumonanthe Vulnerabile
Hottonia palustris Vulnerabile
Orchis palustris Vulnerabile
Plantago altissima Vulnerabile
Spiranthes aestivalis Minacciata
* Specie vegetale d’Interesse Comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione ai
sensi dell’Allegato II della Direttiva Habitat 92/43/CEE
SPECIE DELLE “LISTE ROSSE REGIONALI DELLE PIANTE D’ITALIA”
CON RELATIVE CATEGORIE IUCN
SPECIE LIVELLO DI RISCHIO STATUS PARTICOLARI
Dactylorhiza incarnata Vulnerabile
Iris sibirica Vulnerabile
Nymphaea alba Vulnerabile *
Orchis laxiflora Vulnerabile
Rumex hydrolapathum Minor rischio
* Specie protetta ai sensi della legge regionale 03/06/1981 n° 034; la stessa legge protegge anche Hemerocallis lilioasphodelus,
non compresa nella Lista Rossa
HABITAT D’INTERESSE COMUNITARIO
SEGNALATI NELLA SCHEDA TECNICA DEL SIC
I codici numerici della prima colonna sono quelli che compaiono nell’Allegato 1 della Direttiva Habitat e sono relativi al siste-
ma di conservazione definito NATURA 2000.
Con l’asterisco (*) vengono indicati gli habitat “Prioritari”.
Codice Habitat
1140 Distese fangose o sabbiose emergenti durante la bassa marea
3150 Laghi eutrofici naturali con vegetazione del tipo Magnopotamion o Hydrocharition
7210 * Paludi calcaree di Cladium mariscus e di Carex davalliana
7230 Torbiere basse alcaline”.
6420 Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte del Molinio-Holoschoenion
92A0 Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba”
- 48 -
Valutazione critica della Scheda Tecnica del SIC
Le indagini floristico-vegetazionali condotte, nel ambito del SIC, oltre a confermare la presenza degli habitat 1140, 6420 e 7210
e 7230 segnalati nella scheda SIC, hanno permesso di individuare anche altri Habitat d’Interesse Comunitario, ai sensi delle
Direttive 92/43/CEE (Direttiva Habitat) e 97/62/CEE recepite ed applicate in Italia col D.P.R. 08/09/97 n.357, integrato dal
D.M. 20/01/99 .
Non si ritiene invece che siano presenti nel SIC gli Habitat 3150 e 92A0.
Nel primo caso perché si ritiene che i corpi idrici d’acqua dolce effettivamente presenti nel SIC e caratterizzati da scaturigini
d’acqua di falda (zona Schiavetti) non configurino caratteristiche di lago eutrofico ma piuttosto di corso d’acqua lentico con
acque mesotrofiche, più affine allo Habitat d’Interesse Comunitario: 3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del
Ranunculion fluitantis e Callitricho-Batrachion. Questa valutazione è confortata dalla presenza di alcune specie indicatrici dello
habitat in questione.
Nel secondo caso per effettiva assenza di formazioni boschive con le caratteristiche relative.
La seguente tabella riporta gli habitat, a nostro avviso, attualmente presenti nel SIC.
HABITAT D’INTERESSE COMUNITARIO PRESENTI NEL SIC
“CAVANA DI MONFALCONE”
Codice Habitat d’Interesse Comunitario Corrispondenza
1110 Banchi di sabbia a debole copertura permanente di acqua marina praterie di fanerogame (Zosteretalia marinae)
dei fondali marini sempre sommersi
1130 Estuari insieme di habitat d’alveo e di sponda del fiume
Cavana.
1140 Distese fangose o sabbiose emergenti durante la bassa marea ambiti di velma coperti o meno da
popolamenti algali e da prateria più o
meno compatta di Zostera nolti
1210 Vegetazione annua delle linee di deposito depositi sabbiosi di spiaggia con
vegetazione a Cakile maritima, ecc.
(Cakiletea)
1310 Vegetazione pioniera a Salicornia ed altre specie annuali delle zone cenosi di Salicornia patula e Suaeda
fangose e sabbiose maritima, di Salicornia veneta ecc., dei
fanghi salati dei settori di prateria a
Juncus maritimus in erosione
1320 Prati di Spartina (Spartinion maritimae) alcuni piccoli lembi di prateria di Spartina
maritima di settori costantemente fradici
d’acqua salata (regolarmente inondate
dalle alte maree)
1410 Pascoli inondati mediterranei (Juncetalia maritimi) praterie impaludate da acque salmastre,
dominate da Juncus maritimus e con
presenza di Limonium volgare/serotinum,
Aster tripolium, Puccinellia festucaeformis, ecc.
1420 Praterie e fruticeti mediterranei e termo atlantici lembi di fruticeti con prevalenza di
(Arthrocnemetalia fruticosae) Arthrocnemum fruticosum
3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion corsi d’acqua canalizzati di risorgiva con forti
fluitantis e Callitricho-Batrachion contenuti di naturalità residua
6420 Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte prati umidi a Molinia coerulea e/o Schoenus
del Molinio-Holoschoenion nigricans
6430 Bordure planiziali, montane ed alpine di megaforbie igrofile vegetazione del bordo di alcuni fossi e canali
d’acqua dolce
6510 Praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis prati mesofili da sfalcio
pratensis, Sanguisorba officinalis) (arrhenathereti)
7210 * Paludi calcaree con Cladium mariscus e specie del Caricion davallianae canneti di Cladium mariscus (Marisceti)
Su sfondo bianco gli habitat presenti su superfici estese
Su sfondo grigio gli habitat presenti su superfici ristrette, non cartografabili
- 49 -
- 50 -
GLOSSARIO
acquicludo: è una roccia o terreno impermeabile che
contiene una quantità d'acqua che però non è libera di
fluire o fluisce tanto lentamente che non può essere
comunemente utilizzata.
alieutica: attività di pesca
alloctono: specie proveniente da aree geografiche diver-
se, introdotta localmente dall'uomo in modo volontario
o accidentale
alofilo: organismo che vive in un ambiente molto ricco di
sali, specialmente cloruro di sodio
anticlinale: deformazione e curvatatura della superficie
rocciosa (piega) in cui gli strati sono inarcati verso l'alto
areale: zona di distribuzione di una determinta specie o
gruppo di specie
argilla: sedimenti di materiali finissimi (< di 1/16 di mm)
e fangosi; dal loro consolidamento si origina l'argillite
associazione: comunità di piante selezionate nella com-
posizione floristica dell’ambiente che si comporta come
un complesso che si autoregola e che si autoriproduce. Si
trova in uno stato di equilibrio nella concorrenza per lo
spazio, le sostanze nutritive, l’acqua e l’energia, nella
quale ogni componente agisce su ogni altra; essa infine è
caratterizzata dall’armonia fra fattori ambientali, produ-
zione e altre manifestazioni vitali.
asta fluviale: percorso del fiume suddiviso in diversi trat-
ti
autoctono: specie che si è originata ed evoluta nel luogo
in cui si trova
autotrofo: organismo in grado di sintetizzare le sostanze
organiche di base partendo da composti inorganici sem-
plici
avifauna: fauna di un determinato territorio costituita da
specie appartenenti alla classe degli uccelli
biodiversità: misura della ricchezza e varietà di specie e
di individui all'interno di un determinato territorio
biogeografico: aggettivo riguardante gli areali distributi-
vi delle specie o di gruppi di specie in relazione alle
caratteristiche geoclimatiche
biomassa: massa degli organismi viventi in una determi-
nata area; si esprime in peso
biotopo: area di dimensioni variabili in cui si verificano
condizioni di omogeneità ambientale.
bonifica integrale: politica agricola e socioeconomica
che prevedeva la trasformazione completa di territori
considerati malsani e improduttivi come ad esempio le
paludi
calcare: roccia sedimentaria di origine organica o chimi-
ca costituita da almeno 50% di minerali carbonatici con
preminenza assoluta di calcite (CaCO3)
casone: abitazione prevalentemente temporanea, tipica
delle zone di bassa pianura e delle lagune dell'alto
Adriatico; normalmente si tratta di un'intelaiatura lignea
ricoperta da uno strato di canna palustre
cassa di colmata: zona circondata da argini, colmata da
detriti di origine fluviale ovvero da materiali derivanti
dallo scavo di canali in mare o in laguna
chiavica: struttura atta a consentire la regolazione dei
livelli idrici, sinonimo di chiusa usato nei territori pada-
no-veneti
climax: popolamento in condizioni di equilibrio stabile
raggiunto attraverso successioni vegetazionali indotte da
fattori ambientali che si sono stabilizzati
Cretacico: periodo dell'era Mesozoica o Secondaria sud-
diviso nei seguenti piani: Cenomaniano, Turoniano,
Coniaciano, Santoniano, Campaniano, Maastrichtiano
culmo: stelo diritto, nodoso, generalmente vuoto all'in-
terno, proprio delle graminacee ed affini
dinarico: relativo alle Dinaridi (catena montuosa della
penisola Balcanica con orientamento NO-SE)
dolomia: roccia sedimentaria costituita da un carbonato
doppio di calcio e magnesio
dulcaquicolo (o dulciacquicolo): si dice di specie legata
alle acque dolci (relativo alle acque dolci)
ecotono: area di transizione tra ambienti ben definiti
emungimento meccanico: estrazione delle acque dal ter-
reno per mezzo di impianti di sollevamento (pompe
idrovore)
endemismo: presenza limitata ad un territorio circoscrit-
to di specie o varietà animali o vegetali, che per questo si
dicono endemiche
eterotrofo: organismo che si nutre di sostanze organiche
che trova nell'ambiente esterno
eurialino: organismo che sopporta notevoli variazioni di
salinità
eutrofizzazione: fenomeno naturale caratteristico di
acque o terreni ricchi di nutrienti, talora incrementati
dalle attività umane
facies: insieme di caratteri litologici (e paleontologici, se
sono presenti fossili) di una roccia; essa dipende dall'am-
biente di formazione della roccia stessa
faglia: frattura della crosta terrestre con movimento rela-
tivo dei due blocchi rocciosi
falda artesiana: strato in cui gli interstizi sono completa-
mente occlusi dall'acqua compreso tra due strati imper-
meabili inclinati, i quali determinano una pressione in
grado di provocare la fuoriuscita spontanea dell'acqua in
caso di escavazione di pozzo
falda freatica (o libera): strato in cui gli interstizi sono
completamente occlusi dall'acqua; la superficie di confi-
ne superiore dello strato di saturazione (detto superficie
freatica) è libera di oscillare emergendo talvolta in super-
ficie; il confine inferiore è il fondo impermeabile
fitodepurativo: si dice a proposito di piante che hanno la
proprietà di purificare l'acqua in cui vivono da determi-
nate sostanze inquinanti.
flysch: rocce sedimentarie costituite da alternanza di are-
- 51 -
narie e argilliti (anche marnose), derivanti da depositi
torbiditici generati lungo le scarpate continentali
fouling: associazione di organismi marini e/o lagunari su
substrato duro artificiale o anche su substrato naturale
artificialmente immerso
golena: area compresa tra gli argini e l'alveo abitualmen-
te percorso dal fiume; viene invasa dalle acque di piena e
consente una certa libertà di divagazione al corso d'ac-
qua.
golenale: riferito a territori di golena, quindi potenzial-
mente soggetti alla sommersione
igrofilo: organismo che richiede un ambiente ricco d'ac-
qua
incespugliamento: processo di evoluzione di un ecosiste-
ma a vegetazione erbacea, in mancanza di sfalcio, con
sostituzione da parte di specie arbustive e arboree.
ingressione: fluttuazione del livello marino con avanza-
mento del mare sulla terra
limicoli: uccelli acquatici dell' ordine dei Caradriformi
che ricercano il cibo prevalentemente nel limo (fango)
microtermo: organismo che richiede per vivere tempera-
ture relativamente basse
oligotrofo: ambiente povero di nutrienti o organismo
che vive in tale ambiente
orogenesi: genesi dei rilievi montuosi mediante piega-
mento e accavallamento degli strati rocciosi
pesca no-kill: genere di pesca sportiva che prevede il rila-
scio immediato del pesce pescato
piramide ecologica: rappresentazione grafica che eviden-
zia i rapporti quantitativi esistenti in un ecosistema tra la
base di organismi autotrofi (molto abbondanti), ed il
vertice costituito dai consumatori degli ordini superiori
(ad es. predatori), caratterizzati da un numero basso di
individui
planiziale: tipico della pianura
Pleistocene: periodo dell'era Neozoica o Quaternaria
interessato da cinque glaciazioni
Pliocene: periodo dell'era Cenozoica o Terziaria
porte vinciane: sistema di drenaggio ideato da Leonardo
da Vinci che sfrutta le differenze di pressione dell'acqua
su una porta incardinata superiormente o lateralmente
con il battente dal lato in cui si vuole favorire il deflusso
delle acque. Sfrutta l'alternanza delle maree o dei livelli
fluviali consentendo il periodico drenaggio per caduta
delle acque presenti nei bacini a monte di tali manufatti
regressione: fluttuazione del livello marino con arretra-
mento del mare rispetto alla terraferma
remiganti: penne dell'ala degli uccelli atte a permettere il
volo
reofilo: organismo che sopporta o esige una situazione di
movimento (idrodinamismo) dell’acqua che lo circonda
ripariale: ambiente caratterizzato dalla presenza di rive
fluviali o lacustri, ovvero specie che prediligono tali
ambienti
rudiste: molluschi lamellibranchi di scogliera, fissati al
substrato per l'estremità di una valva; compaiono nel-
l'era Mesozoica
scolina: piccolo fossato che raccoglie l'acqua di sgrondo
dei campi
sentieramento: effetto sulla vegetazione del passaggio di
animali e uomini, fenomeno potenzialmente negativo in
quanto può indurre al disturbo generalizzato di un'area
serie dinamiche: sequenza di comunità vegetali che si
sostituiscono tra loro in una successione che può porta-
re, in assenza di fattori limitanti, ad una situazione più o
meno stabile, denominata comunità climax
stabulato: animale mantenuto in uno spazio circoscritto
stenoalino: organismo che tollera soltanto piccole varia-
zioni di salinità
subsidenza: fenomeno di lento sprofondamento della
crosta terrestre legato alla dinamica crostale
tallo: apparato vegetativo delle alghe, privo di radici,
fusto e foglie
tombare: riempire
torba: materiale vegetale di ambiente paludoso che ha
subito il processo di deposito e carbonificazione, ma
contiene ancora il 75% di acqua
vallicoltura: allevamento di pesci e crostacei all'interno
di aree salmastre comprese da argini e fornite di chiuse
e/o idrovore che consentono la regolazione dei livelli
idrici e di salinità. La vallicoltura estensiva e tradizionale
si basa sulla produttività naturale mentre quella intensi-
va prevede l'alimentazione artificiale ed è caratterizzata
da forti densità di individui
wilderness: concetto filosofico che attribuisce valore alla
selvatichezza e alla scarsa o nulla azione antropica
Würm: ultima glaciazione del Pleistocene
- 52 -
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