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1. Introduzione
Negli ultimi anni Amazon è si è affermata come una delle più impor-
tanti multinazionali al mondo. Il suo modello di business spazia su un in-
sieme frastagliato di attività: dalla robotica all’editoria multi-media, dal
commercio on line al crowd-work, dai web serivices alla logistica. Proprio la
logistica, sebbene inizialmente in forme ridotte, è sempre stata una dimen-
sione cruciale dell’intero modello di crescita di Amazon (Stone 2013). Nata
come piattaforma digitale, Amazon ha progressivamente portato in auge
un modello di integrazione verticale binaria, cioè di ricomposizione e
centralizzazione delle attività produttive (stoccaggio e consegna delle
merci) all’interno dei confini della stessa impresa, che non esclude, tutta-
via, il ricorso parallelo a fornitori esterni (dai grandi corrieri internazio-
nali ai servizi postali nazionali). A indicare questa tendenza c’è non solo
la crescita della rete di distribuzione di Amazon (figura 1) – con l’au-
mento massiccio del numero di hub – ma l’espansione delle sue attività
logistiche alle consegne di ultimo miglio. Man mano che le dimensioni
del mercato di Amazon crescono, si rafforza la necessità (1) di un retro-
terra produttivo e/o di assemblaggio, composto da grandi centri logistici
connessi ai terminali distributivi; (2) di un controllo e un coordinamento
permanente di tutte le operazioni attraverso apparati digitali. Alla luce di
queste due dinamiche cercheremo di capire in che modo sia possibile
parlare di (neo)taylorismo e di taylorizzazione1 del lavoro nei grandi cen-
* Dottorando presso Sciences Po Parigi, Centre de sociologie des organisations.
1 Braverman definisce il taylorismo o organizzazione scientifica del lavoro come il risul-
tato di tre componenti: (1) dissociazione del processo di lavoro dalle abilità dei lavoratori;
(2) separazione di concezione ed esecuzione; (3) uso del monopolio sulla conoscenza del
processo di lavoro per controllarne l’organizzazione e l’esecuzione.
Spettri del Taylorismo.
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Francesco Sabato Massimo*
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tri di distribuzione (Braverman 1974). In un articolo apparso su questa
rivista Bruno Cattero e Marta D’Onofrio hanno sottolineato due peculia-
rità dell’organizzazione del lavoro in Amazon: (1) «L’elemento tayloristi-
co è quasi secondario rispetto a quello fordista […]. È vero infatti che c’è
una rigida prescrizione del compito, ma questo era già semplice di per sé
e non subisce una particolare parcellizzazione» (Cattero e D’Onofrio
2018, p. 10); (2) «Di tayloristico c’è in Amazon l’eliminazione di ogni
autonomia nell’esecuzione del lavoro, ma questa è ottenuta non con il
mansionamento, bensì con la tecnologia» (Ibidem).
Al contrario, in questo articolo mostrerò come sia appropriato parlare
non solo di taylorismo, ma anche di taylorizzazione, cioè di intensifica-
zione della divisione del lavoro nel corso del tempo. Nella prima parte
del contributo illustrerò il funzionamento interno di questo retroterra, in
particolare per quanto riguarda la divisione tecnica del lavoro, la gestione
della manodopera e il rapporto fra forza-lavoro e management. Nella se-
conda parte, descrivendo la sua evoluzione nel corso del tempo, mostre-
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rò che l’organizzazione del lavoro, e il modo in cui questa ha influenzato
le relazioni fra lavoratori e direzione, non è rimasta la stessa ma ha subito
importanti evoluzioni: un’intensificazione dell’organizzazione scientifica
del lavoro o, in altre parole, una vera e propria taylorizzazione.
Il caso di studio selezionato è il principale magazzino italiano di Ama-
zon, aperto nel 2011 e situato nella provincia di Piacenza. L’articolo riporta
alcuni risultati di una ricerca comparata internazionale sull’organizzazione
del lavoro e le relazioni industriali nel settore della logistica dell’e-commerce,
svolta attraverso il metodo dell’etnografia (incluse interviste con lavoratori,
sindacalisti e datori di lavoro) e dell’osservazione partecipante all’interno di
vari magazzini europei (Cefaï 2003; Pugliese 2009).
2. Organizzare il retroterra della piattaforma: il lavoro nella fabbrica
terziarizzata
Ogni centro di distribuzione (Fulfillment center, Fc) è organizzato in-
torno a due funzioni principali: inbound e outbound, che indicano rispet-
tivamente i flussi in entrata e in uscita. A ciascuna di queste due fun-
zioni è assegnata una macro-squadra. Avremo quindi su ogni turno una
macrosquadra inbound che svolgerà le operazioni di scarico e ricezione
delle merci, della loro registrazione e controllo nell’inventario informa-
tico (qualità-Icqa) e della messa in stock; e una macrosquadra outbound
che si occuperà delle operazioni di prelievo, smistamento, etichettatura
e imballaggio, ulteriore smistamento, carico e spedizione delle merci. A
queste funzioni «produttive» si affiancano delle funzioni «di supporto»
trasversali alla divisione inbound/outbound. Fra queste le principali sono
il monitoraggio dell’inventario e la risoluzione dei «problemi» che e-
mergono durante il processo di produzione (problem solving e process gui-
de); la manutenzione degli impianti e il monitoraggio informatico (enge-
neering e It); la movimentazione delle attrezzature la raccolta degli scarti
di produzione.
Ognuna di queste funzioni costituisce un’area posta sotto la responsa-
bilità di un area manager, coadiuvato da una squadra di quadri intermedi
(team lead). Gli area manager fanno capo a un gruppo ristretto di operatio-
nal manager, che a loro volta riferiscono a dei senior operational manager. Il
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vertice del centro di distribuzione è occupato da un general manager affian-
cato da un responsabile risorse umane e da altri responsabili.
2.1. Processo di lavoro e gestione della manodopera
Seguendo il percorso della merce, possiamo analizzare le varie fasi del
processo produttivo. La merce, inviata dai fornitori, viene conferita al
centro da ditte terze di autotrasporto, scaricata dai carrellisti e inviata su
nastro trasportatore agli operatori addetti alla ricezione che scompongo-
no i lotti e iniziano a inventariarli. A ogni articolo, o lotto di articoli, vie-
ne assegnato un codice a barre (Amazon Standard Identification Number, Asin).
Il codice a barre costituirà l’identità virtuale dell’articolo lungo tutto il suo
percorso nel centro di distribuzione. Senza un codice a barre un articolo
non esiste virtualmente e, se non esiste virtualmente, non può essere lavo-
rato. La merce ricevuta viene successivamente inviata nelle zone di stock
(picktower), dove si procede allo stoccaggio negli scaffali (stow).
Le funzioni preliminari allo stow vero e proprio (decomposizione dei
bancali e ripartizione agli stower), lasciano un certo spazio alla coopera-
zione interpersonale e a relazioni informali: esse sono svolte da piccole
squadre, guidate da un lavoratore esperto, il quale opera e allo stesso tem-
po dirige il lavoro degli operatori più giovani. Qui non c’è un controllo
diretto del sistema informatico sulle singole operazioni, ma la responsa-
bilità viene delegata al caposquadra, a volte sorvegliato da un team lead. Al
contrario, nello stow vero e proprio, gli operatori lavorano individualmen-
te e sotto sorveglianza informatica dello scanner che scansiona i codici a
barre e indica le operazioni da eseguire. A ogni squadra di stower viene as-
segnata un’area di stoccaggio, corrispondente a una sezione di cella, a sua
volta composta da varie corsie di scaffali. La zona è quindi determinata
dal sistema, ma sta allo stower decidere in quale vano (bin) dello scaffale
deporre la merce. Ogni bin ha un indirizzo, cioè una sequenza di numeri
e lettere che indicano la cella, il piano, la corsia e il punto preciso dello
scaffale in cui si trova il bin. Imparare a decifrare l’indirizzo è una delle
prime operazioni cui si viene addestrati durante la formazione. Gli ope-
ratori devono imparare a orientarsi in questo reticolo di corsie e scaffali
al fine di spostarsi con rapidità da un punto all’altro, secondo le istruzioni
che appaiono sullo schermo dello scanner. L’obiettivo di produttività in-
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dividuale degli stower è una media di almeno 150 articoli messi in stock
ogni ora.
Il prelievo è affidato a una squadra di operatori (picker), anch’essi mo-
bili e dotati di scanner, oltre che di un carrellino sul quale sono poggiati
dai due ai tre tote. A ogni picker il sistema assegna un lotto composto da
una lista di articoli da prelevare in sequenza. Solo dopo aver prelevato
l’articolo indicato e registrato l’operazione, il sistema consente di avanza-
re al successivo. Sullo schermo appaiono quattro informazioni: l’indiriz-
zo dello scaffale, il nome del prodotto (inclusa un’immagine per velociz-
zarne il riconoscimento), le cifre del codice a barre e la quantità da prele-
vare. Una volta raggiunto il bin, l’operatore ne scansiona il codice a barre,
individua il prodotto contenuto al suo interno, lo ispeziona, scansiona il
codice a barre di quest’ultimo e lo deposita nel cesto. I cesti pieni vengo-
no deposti sul convogliatore e trasportati allo smistamento e all’imballag-
gio. Ognuno di questi passaggi viene sorvegliato dal sistema informatico
il quale individua eventuali errori, cioè incongruenze fra le operazioni
pianificate e quelle effettuate. Tutte queste operazioni sono eseguite in
una sequenza standardizzata e sotto la sorveglianza del sistema informati-
co, il quale identifica eventuali errori commessi dall’operatore. Per esem-
pio, quando l’operatore è sotto la pressione del flusso, non sempre è in
grado di rispettare il lavoro prescritto. Questo genera una serie di errori,
cioè incongruenze fra la posizione e lo stato della merce e l’inventario
virtuale. In questi casi, e seguendo una procedura standard, il picker se-
gnala l’errore e solo allora è autorizzato dal sistema a proseguire il suo
percorso fra le corsie. Nel frattempo un solver viene allertato e si reca a veri-
ficare il problema e a individuare una soluzione, sempre rispettando una
procedura standardizzata. Anche l’imballaggio è una mansione routiniz-
zata: l’operatore è assegnato a una postazione, dotata di un Pc (collegato
a una piccola macchina stampa-etichette) e pistola-scanner; l’operatore
riceve gli articoli da imballare, li identifica e li registra con lo scanner; il
computer indica la scatola adatta alle dimensioni dell’ordine; in pochi
movimenti il packer estrae la scatola e la spiega, vi inserisce e imballa l’ar-
ticolo, e carica il pacco su un altro nastro trasportatore.
Nel principale magazzino italiano e in vari centri europei e nord-ame-
ricani, una parte del pack è stata semi-automatizzata. attraverso una mac-
china che a pieno regime può lavorare quindici unità per minuto e che
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quindi può smaltire una grande quantità di articoli, ma comunque non
abbastanza da sostituire il lavoro dei packer umani. Inoltre, a detta di al-
cuni operatori l’apparecchio sarebbe soggetto a interruzioni frequenti che
rendono necessari la sorveglianza e l’intervento immediato dell’équipe di
manutenzione. La macchina infine è solo parzialmente automatica poiché
ha bisogno di due operatori che inseriscono manualmente i prodotti al
suo interno. In questo caso sono i tempi del macchinario che dettano
quelli dell’operatore sottraendo i già pochi margini di autonomia nella
determinazione dei ritmi. Il processo di automazione è più avanzato alla
fine del processo, dove un sorter, un convogliatore, posto circa a due me-
tri di altezza, viaggia a velocità sostenuta, legge le etichette con dei senso-
ri ottici e smista i pacchi, facendoli scivolare in grandi raccoglitori, classi-
ficati per zona geografica. I raccoglitori verranno poi caricati sui camion
e spediti nelle diverse destinazioni.
Alla luce di questa descrizione alcune osservazioni sono possibili. In
primo luogo il lavoro umano è al centro di ogni processo di lavoro, an-
che se in forme parcellizzate. Più che essere sostituito dall’automazione,
il lavoro umano si integra con l’informatizzazione e la meccanizzazione
del processo. In secondo luogo, il processo di lavoro si alimenta non so-
lo dello sforzo fisico ma anche di quello mentale cosicché il lavoratore
intenzionato a mantenere alte prestazioni individuali è chiamato a man-
tenere intenso e costante non solo lo sforzo fisico ma anche l’attenzione
mentale. Grazie all’integrazione di meccanizzazione e informatizzazione
l’operatore non si limita all’esecuzione di un gesto pratico ma svolge con-
temporaneamente una prestazione informatica. Allo stesso tempo però
questa doppia integrazione di sforzo fisico e mentale, da un lato, e infor-
matizzazione e meccanizzazione, dall’altro, si realizza a intensità e com-
binazioni diverse secondo le mansioni, creando un vero e proprio siste-
ma di professioni attraverso il quale l’azienda organizza il lavoro e la ma-
nodopera.
2.2. Gerarchie mobili e mercato del lavoro interno
La maggior parte dei dipendenti del magazzino svolge mansioni non
specializzate: pick, pack e stow. Le possibilità di rotazione sono molto ri-
dotte: un lavoratore somministrato o neo-assunto può essere assegnato
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esclusivamente al pick o al pack per molti mesi, prima di poter accedere a
un’altra delle mansioni non specializzate. Esistono poi alcune attività più
qualificate, come il problem solver o il tecnico di manutenzione (engeneering e
It), che godono di un migliore status sociale all’interno del magazzino, o
perché dotate di un margine decisionale significativo rispetto alle man-
sioni base (solver) o perché legate a competenze tecniche riconosciute (en-
geneering e It). Ciononostante, l’inquadramento contrattuale non cambia (ec-
cetto la squadra di manutenzione che è inquadrata al terzo livello del Ccnl).
Inoltre, anche queste mansioni possono sono rigidamente standardizzate o
devono comunque seguire un protocollo. Infine, queste mansioni sono
esonerate dagli obiettivi di produttività orari (nel gergo interno sono dette
«taskate»), ma sono comunque sottoposte alla pressione costante del flusso
di lavoro, anche perché il management mantiene gli effettivi di queste
squadre al minimo così da avere più operatori possibili alle attività «pro-
duttive» e tenere sotto pressione i pochi lavoratori taskati.
La divisione tecnica e sociale del lavoro si mostra quindi relativamente
complessa e articolata. Da un lato abbiamo mansioni elementari e di massa
misurate in unità orarie e controllate informaticamente, assegnate ai nuo-
vi venuti e per questo meno valorizzate. Dall’altro ci sono mansioni co-
munque monitorate informaticamente ma leggermente più autonome, non
misurate dal cronometro ma dal risultato, assegnate ai dipendenti più
esperti e affidabili, e alle quali vengono associate maggiore responsabilità
e prestigio. Inizialmente queste posizioni erano inquadrate a un livello
superiore, attribuito dal management per differenziarle dalle altre, ma pro-
gressivamente questo riconoscimento è venuto meno. Lo stesso vale per
gli istruttori, chi forma i nuovi assunti: inizialmente ricevevano un pre-
mio aziendale in buoni da spendere sul sito Amazon, ma progressiva-
mente questo premio è venuto meno anche se, come è stato ripetuto più
volte durante le interviste, resta comunque l’incentivo di un’attività meno
routinaria. Secondo quanto riportato in varie conversazioni con i dipen-
denti, inizialmente l’accesso alle mansioni di problem solver, così come a
quelle di tecnico di manutenzione (engeneering o It) avvenivano attraverso
una selezione formalizzata: il management apriva delle posizioni e, se si
rispettavano alcuni requisiti (di performance e disciplinari), si poteva pre-
sentare domanda ed essere selezionati. Con il passare del tempo e con
l’espansione del magazzino questa pratica si è gradualmente fatta più
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opaca e le stesse posizioni permanenti nelle squadre specializzate, per e-
sempio l’engeneering, non sono aumentate proporzionalmente all’espansio-
ne delle attività. Nelle fasi di picco e di emergenza i manager aprono po-
sizioni temporanee, scadute le quali l’operatore torna alle mansioni meno
qualificate. L’inquadramento aziendale interno, infatti, a differenza del con-
tratto collettivo di riferimento, prevede solo due livelli, mentre le mansioni
sono molteplici. La possibilità di ruotare e di accedere, anche solo tempo-
raneamente, a mansioni più qualificate resta quindi interamente delegata
alla discrezionalità del management. Il management crea così delle gerar-
chie mobili che costituiscono, di fatto, uno strumento di disciplinamento
della manodopera: l’operatore coltiva la speranza di migliorare la propria
posizione, acquisisce un’attitudine competitiva e moltiplica gli sforzi per
essere più produttivo e mostrarsi più affidabile agli occhi dei manager e
dei team lead. Oltre alle singole strategie individuali, la rotazione delle man-
sioni costituisce una delle principali, per quanto disattese, rivendicazioni
portate avanti dai lavoratori, sia attraverso i sindacati sia attraverso canali
informali, ma al momento essa risponde solo alle esigenze organizzative
del management.
Oltre alla gestione discrezionale delle mansioni, l’altro pilastro di go-
verno della forza-lavoro è la sua dualizzazione contrattuale. L’azienda si av-
vale di due tipi di contratti: tempo indeterminato e lavoro in sommini-
strazione. Un numero di operatori pari a una parte variabile della mano-
dopera assunta direttamente (sino al 44% in media durante l’anno, secondo
un recente rapporto dell’Ispettorato del lavoro) viene reclutato tramite tre
grandi società di somministrazione. Per comprenderne l’utilizzo bisogna
tener presente la stagionalità delle vendite nel commercio on line. Preli-
minarmente, occorre precisare che si tratta comunque di una stagionalità
che non è subita dalle aziende, ma è piuttosto indotta dalle strategie com-
merciali aggressive che caratterizzano questo settore. Se da un lato lo svi-
luppo degli algoritmi è orientato all’analisi dei big data per conoscere e
prevedere le scelte dei clienti, dall’altro le aziende non rinunciano a inca-
nalare la domanda, attraverso campagne promozionali e sconti in deter-
minati periodi dell’anno, per esempio il Prime Day in estate e il Black Fri-
day alla fine dell’autunno. Nell’attività annuale di un centro di distribu-
zione quindi si hanno un picco estivo e uno invernale e sono questi i mo-
menti in cui il reclutamento di interinali raggiunge il suo apice: durante il
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picco invernale il numero di interinali può eguagliare quello dei dipen-
denti diretti.
Eccetto alcuni casi particolari, la grande maggioranza dei dipendenti
Amazon è stata assunta inizialmente tramite agenzia, cominciando con
«missioni» corte e alternando per mesi rinnovi e periodi di disoccupa-
zione. Questa fase di incertezza può protrarsi per uno, due o tre anni
anno alla fine del quale la stabilizzazione non è scontata. In questa fase
di precarietà continuata i lavoratori sono assegnati alle mansioni più
elementari, il pick, il pack o lo stow, e difficilmente vengono addestrati
ad altri processi. È in questo periodo che gli operatori, provenienti da
esperienze anche lunghe di disoccupazione e incertezza occupazionale,
spinti dal bisogno e dalla prospettiva di una stabilizzazione futura, ri-
portano livelli di produttività più alti della media. Con sfumature diver-
se tutti i dipendenti interpellati, sia diretti sia somministrati, sottolinea-
no come questi ultimi siano sottoposti a ritmi di lavoro più intensi della
media. Con il passare del tempo però il contesto è cambiato e negli ul-
timi due anni la crescita delle assunzioni di dipendenti diretti si è fer-
mata e il numero di dipendenti diretti, dopo una crescita esplosiva fra il
2013 e il 2016 (si passa da circa 200 a 1.600 posti a tempo indetermi-
nato), si è stabilizzato intorno ai 1.600. Il centro di distribuzione, infat-
ti, ha raggiunto il livello di saturazione e la crescita del mercato on line
italiano è stata colmata con l’apertura di tre nuovi centri negli ultimi
due anni: Vercelli (2017), Rieti (2017) e Torino (2019). È probabile quindi
che il numero di addetti del primo centro di distribuzione si sia stabi-
lizzato e che i lavoratori interinali diventino sempre più una manodo-
pera stagionale e sempre meno una fase transitoria che precede l’assun-
zione a tempo indeterminato.
Questo nuovo equilibrio rischia di rendere meno efficace il complesso
sistema di incoraggiamenti e sanzioni che caratterizza le politiche azien-
dali di gestione del personale. Se la prospettiva di un’assunzione diventa
realisticamente improbabile, allora il ricatto occupazionale diventa meno
stringente e, di conseguenza, la disponibilità all’autosfruttamento. In ogni
caso, la condizione degli interinali si inserisce in un quadro più ampio di
evoluzione dell’organizzazione del lavoro e di gestione della manodopera
da parte dell’impresa e che illustreremo nella seconda parte di questo ar-
ticolo.
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3. Due stadi della fabbrica terziaria
L’inchiesta sul campo ha permesso di comprendere l’organizzazione
del lavoro nella sua dinamica evolutiva la quale può essere suddivisa in
due fasi: la prima, «neo-familistica»2, caratterizzata da 1) una forza-lavoro
locale, 2) ridotte dimensioni dello stabilimento, 3) un processo di lavoro
proto-razionalizzato, 4) una gestione personale della forza-lavoro; la se-
conda, «burocratico-disciplinare»3 è invece caratterizzata da 1) un bacino
di manodopera geograficamente allargato, 2) un aumento delle dimen-
sioni dello stabilimento, 3) un’intensificazione della taylorizzazione, 4)
una gestione impersonale della forza-lavoro.
3.1. La prima fase
La prima fase (2011-2014) è quella del lancio della rete logistica di A-
mazon in Italia. Il magazzino ha aveva dimensioni ridotte rispetto a quel-
le attuali (25 mila m2 contro i 100 mila attuali). Il processo di lavoro si
svolgeva interamente al piano terra dove erano collocate le aree di stoccag-
gio merci e quelle di smistamento, imballaggio e spedizione.
Dalle testimonianze raccolte emerge come il processo di lavoro fosse
ancora in una fase proto-tayloristica. La parcellizzazione delle mansioni
non aveva ancora raggiunto la rigidità attuale. Ad esempio, quella che poi
diventerà la mansione taylorizzata per eccellenza, il pick, aveva dei con-
torni meno definiti. Come emerso da alcune interviste con i dipendenti
più anziani, il lavoratore aveva l’impressione di seguire un percorso «com-
prensibile» e non, come oggi, di essere condotto in ogni direzione senza al-
2 Neo-familistica perché la gestione della forza-lavoro integra un vecchio repertorio tra-
dizionale (la metafora familiare è ricorrente nel discorso manageriale in questa fase) con una
cultura aziendale che esalta la competizione, l’innovazione e la meritocrazia.
3 Per burocrazia si intende qui un’organizzazione complessa finalizzata al raggiungimento
dell’efficienza tramite una rigida divisone dei compiti, pratiche standardizzate e relazioni ge-
rarchizzate (Weber 1961; Bendix 1947; Gouldner 1954, 1955; Clawson 1980). Seguendo la
lezione di Gouldner (1954, 1965), il quale propone di differenziare le forme di burocrazia
industriale, e di Burawoy sulla successione di diversi regimi storici di governo dei luoghi di
lavoro (1979, 1985), identifico una seconda fase nello sviluppo dell’organizzazione dello sta-
bilimento, in cui l’originario elemento consensuale e neo-familistico lascia il passo a un mo-
dello impositivo di relazioni fra direzione e forza-lavoro.
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cuna comprensione del processo. Inoltre, il livello di meccanizzazione
era ancora basso: il convogliatore non era stato ancora montato e il picker
non si limitava a raccogliere la merce ma anche a trasportarla fino alle
aree di smistamento, dove un team lead verificava il lotto e lo trasmetteva
all’imballaggio. Oltre ad avere contorni meno definiti, le mansioni erano
caratterizzate da tempi morti, ad esempio, quando le merci ingombranti
erano ancora lavorate in questo stabilimento, il picker doveva attendere
che i carrellisti scaricassero dai grandi scaffali i colli più voluminosi e po-
teva godere di una pausa.
In questa fase il magazzino era appena ultimato e, come è emerso dalle
testimonianze raccolte, il mito di Amazon sorprendeva i lavoratori che vi
entravano per la prima volta. Il numero dei dipendenti era ancora relati-
vamente basso e questo contribuiva a rendere l’ambiente di lavoro più
raccolto e meno atomizzato. I numeri più bassi permettevano una gestio-
ne della manodopera fondata sulle relazioni personali e anche su una se-
rie di iniziative ludiche al di fuori del luogo di lavoro orientate alla fide-
lizzazione e alla motivazione della manodopera. Ogni trimestre i dipen-
denti erano convocati nella sala pause dove il general manager illustrava
la performance del magazzino secondo i parametri fissati ed elaborati dal
centro decisionale americano. Esisteva poi un sistema di feedback che con-
sentiva la valutazione continua dei dipendenti. In questa prima fase si
trattava di richiami o di riconoscimenti esclusivamente verbali, che veni-
vano rivolti dai manager e dai team lead ai semplici dipendenti. I feedback
erano finalizzati a sollecitare la sfera emotiva dei lavoratori sia in senso
punitivo che esortativo. Secondo le testimonianze, i ritmi di lavoro ri-
chiesti erano molto alti, ma «il senso di appartenenza», così come è stato
riferito da alcuni dipendenti, spingeva gli addetti ad adeguarvisi. Oltre ai
feedback e alla presenza dei manager in corsia, il dispositivo informatico
era comunque sin da questa fase iniziale presente durante il lavoro, vigi-
lando e incombendo sul dipendente e sulla sua prestazione. Sull’interfac-
cia grafica questo poteva verificare costantemente il numero di pezzi
stoccati o prelevati ogni ora. In quella fase il target minimo era stabilito
dall’area manager e poteva variare dai 100 ai 150 pezzi l’ora in funzione
dei processi e della quantità di lavoro prevista durante il turno. La dire-
zione poi si preoccupava di mettere in pratica l’insieme di politiche a-
ziendali volte all’integrazione della forza-lavoro nell’organizzazione che il
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centro direzionale di Seattle impone in maniera omogenea in tutte le sue
filiali nazionali: l’adozione di una terminologia e di parole d’ordine «a-
mazoniane» per descrivere i processi di lavoro; il culto della personalità
del fondatore, Jeff Bezos; una rappresentazione gerarchica delle priorità
nella quale la soddisfazione del cliente è al culmine; l’organizzazione di
adunate nelle quali rinsaldare lo spirito di corpo e il senso di appartenen-
za all’azienda.
Infine, parallelamente alla socializzazione ufficiale, si diffonde una
socializzazione informale ma altrettanto importante per l’integrazione
della forza-lavoro: reti amicali e gruppi di persone che si vedono re-
golarmente fuori dall’orario di lavoro costruiscono e rafforzano le re-
lazioni sociali nel luogo di produzione. Anche se nate spontaneamen-
te, queste forme di socialità erano incoraggiate e spesso seguite dagli
stessi manager. Allo stesso tempo, però, questa socialità parallela diven-
tava il bersaglio di critiche da parte di chi decideva di non giocare que-
sto gioco: si evocano raccomandazioni, scambi di favori, e relazioni
promiscue.
Questo regime neo-familistico ha funzionato in maniera efficiente
lungo tutta la prima fase espansiva dello stabilimento ma una serie di di-
namiche di lungo periodo (crescita delle attività e taylorizzazione del pro-
cesso di lavoro) ed eventi coincidenti (avvicendamento nel management)
hanno messo in crisi le condizioni della sua esistenza.
3.2. La seconda fase
Tra il 2014 e il 2015 intervengono importanti cambiamenti. L’espan-
sione del mercato italiano prosegue e le attività del magazzino si intensi-
ficano di riflesso. La crescita della forza-lavoro impiegata nello stabili-
mento accelera e così dal 2013 al 2014 si passa da 239 a 457 dipendenti e
l’anno successivo a 750. Nel picco natalizio questi numeri raddoppiano e
a mano a mano l’azienda esaurisce il suo bacino locale di manodopera. Il
raggio di attività delle agenzie interinali si allarga oltre la provincia di Pia-
cenza, sconfinando a Sud-Est verso Parma, oltre il Po verso il lodigiano e
il milanese, a ovest verso la provincia di Pavia. In periodi di picco ven-
gono organizzate flotte di pullman che partono da Vercelli, Alessandria e
Milano per condurre ogni giorno i lavoratori al sito. Esistono poi vere e
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proprie migrazioni di lavoratori da regioni del Centro-Nord e anche del
Mezzogiorno4.
Nel 2014 il magazzino trasloca oltre l’autostrada, nella sua sede attuale,
quattro volte più grande. È un trasferimento che sulla stampa non ha la
stessa eco della fondazione, ma in realtà è un momento decisivo. Si tratta
di un magazzino che, oltre a essere più vasto, è più meccanizzato. La
prima novità è il conveyor, un nastro trasportatore che attraversa tutte le
celle del nuovo magazzino. L’altro fronte della meccanizzazione è il pack:
vengono acquistate due macchine impacchettatrici.
Contemporaneamente, la crescita del magazzino – con il dispiegarsi
delle attività su quattro piani – così come la crescita della manodopera
portano a una maggiore parcellizzazione e a una definizione più rigida
delle mansioni. Il pick si riduce alla semplice raccolta degli articoli, che il
picker deve limitare a deporre sul convogliatore e non più a trasportare
nell’area del pack. Questo velocizza il trasporto dei cesti e consente quin-
di l’assegnazione di molti più picker al prelievo degli articoli. Lo stesso
succede al pack, rafforzato con l’introduzione delle macchine impacchet-
tatrici che affiancano il pack manuale.
Nonostante l’allargamento delle attività consenta un aumento delle po-
sizioni intermedie, dai team lead ai solver, alcuni lavoratori si sentono di-
scriminati dal sistema di promozioni interne. La maggior parte dei lavora-
tori continua infatti a svolgere le mansioni meno qualificate che, come ab-
biamo visto, oltre ad essere molto ripetitive sono diventate anche più rigi-
de. Nelle testimonianze dei lavoratori è in questa fase, dopo pochi anni di
attività del magazzino, che iniziano a emergere i primi problemi di salute,
attribuiti alla ripetitività dei movimenti e all’intensità dei ritmi. Alla soffe-
renza fisica si associa un sentimento di estraneità del singolo lavoratore ri-
spetto al funzionamento di un sistema divenuto più complesso, meno
comprensibile e nel quale si riducono i margini di autonomia dei singoli.
Dopo alcuni anni dall’apertura, l’azienda deve quindi far fronte a un pro-
blema di demotivazione della forza-lavoro a tempo indeterminato.
Di fronte al crescente disagio dei dipendenti, costretti per mesi a tra-
4 Queste migrazioni generano hanno provocato un aumento dei prezzi immobiliari e la
formazione di un mercato informale degli affitti gestito dai residenti della zona o dai lavora-
tori stessi.
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scorrere turni da otto ore svolgendo la stessa mansione di prelievo, stoc-
caggio o imballaggio, l’azienda rafforza il sistema di gestione delle risorse
umane. Periodicamente si organizzano brevi festicciole durante l’orario
di lavoro in cui si distribuiscono cibo e bevande; si somministrano dei
questionari in formato elettronico all’inizio di ogni sessione di lavoro.
Queste iniziative dovrebbero contribuire ad alleviare la fatica fisica e men-
tale, a mantenere una dimensione ludica nell’ambiente di lavoro e a mo-
nitorare gli umori dei dipendenti. La loro efficacia viene però indebolita
da due fattori: il primo è l’aumento della forza-lavoro; il secondo è l’in-
troduzione di una serie di misure disciplinari che operano in direzione
opposta all’integrazione della forza-lavoro. Per quanto riguarda il primo
aspetto, l’aumento progressivo della forza-lavoro indebolisce l’efficacia
del vecchio modello di gestione «familistico» fondato sulle relazioni per-
sonali che non è più in grado di assorbire nei suoi ranghi il numero cre-
scente di dipendenti. Le relazioni impersonali si affermano sempre di più
come modo di gestione dominante. Il modello familistico non viene can-
cellato, ma piuttosto inglobato in una nuova gestione più impersonale,
burocratica e disciplinare. Le grandi ondate di reclutamento di interinali
portano anche a una più rigida segmentazione del mercato del lavoro in-
terno. I lavoratori interinali, più vulnerabili, vengono utilizzati dall’azien-
da per soddisfare il bisogno di manodopera soprattutto nei turni pomeri-
diano e notturno, quando i clienti inviano più ordini e l’attività si intensi-
fica. Questa condizione discriminatoria si ripresenta al momento dell’e-
ventuale stabilizzazione, quando viene chiesto ai neo-assunti di aderire
volontariamente al turno notturno. Chi non aderisce ha più probabilità di
essere lasciato a casa. Di fronte a una manodopera demotivata, la solu-
zione per il management è di favorirne il ricambio espellendo la forza-
lavoro meno produttiva e introdurne di nuova. Vengono così introdotti i
programmi the Offer, che consiste in una liquidazione di mille euro per o-
gni anno di anzianità (premi quasi raddoppiato lo scorso anno) e Career
Choice, un finanziamento di alcuni programmi di formazione professio-
nale volti ad incoraggiare i dipendenti che lo desiderano a proseguire la
loro carriera altrove. Per quanto riguarda il secondo aspetto, dal 2014-
2015 una serie di avvicendamenti al vertice del management porta anche
a un cambiamento nella politica di gestione del personale. La nuova dire-
zione è percepita come più distante dai lavoratori e adotta un approccio
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Spettri del Taylorismo. Lavoro e organizzazione nei centri logistici di Amazon
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disciplinare contro forme di micro-insubordinazione, come le pause non
autorizzate dal lavoro e l’assenteismo. Sarà in questo nuovo contesto bu-
rocratico-disciplinare, inteso come regime di governo dell’organizzazione
del lavoro che combina impersonalizzazione e irrigidimento della divi-
sione del lavoro, che si inserirà poi l’iniziativa sindacale, cominciata nel
2015, quando i primi lavoratori si rivolgono alle organizzazioni territoriali
di Cisl, Cgil, Uil e Ugl, e culminata con lo sciopero del Black Friday del no-
vembre 2017.
È possibile che a questa fase ne segua un’altra? È presto ancora per
dirlo, ma alcuni fattori, che qui mi limito a menzionare, potrebbero esse-
re decisivi. Innanzitutto, l’ingresso del sindacato nell’arena dell’organizza-
zione del lavoro è stato inizialmente osteggiato e poi accettato suo mal-
grado dall’azienda. Allo stesso tempo però l’insediamento delle organiz-
zazioni sconta delle difficoltà, sia per l’ostruzionismo aziendale, sia per le
difficoltà nei rapporti con la maggioranza della forza-lavoro, la quale nu-
tre poco interesse verso l’opzione sindacale sebbene non sia neanche fi-
delizzata all’azienda come nella fase precedente. In secondo luogo, come
abbiamo già detto, l’impianto sembra aver raggiunto il livello di satura-
zione, e l’espansione del mercato ha portato all’apertura di nuovi siti più
che a un’ulteriore espansione di quello storico. In terzo luogo, e di con-
seguenza, il meccanismo di ricambio della forza-lavoro potrebbe incep-
parsi, per l’incapacità di stabilizzare la manodopera stagionale, la quale a
quel punto potrebbe rivelarsi più difficile da motivare e forse anche me-
no governabile di quanto non lo sia oggi.
4. Conclusioni
Nella prima parte ho illustrato l’organizzazione interna del principale
hub di Amazon in Italia e alla luce di questa analisi ritengo che sia possi-
bile parlare di (neo)taylorismo cioè di ritorno, in nuove forme – nello
specifico forme digitali – dell’organizzazione scientifica del lavoro. Detto
questo, è bene precisare che il Taylorismo è un modello al quale l’or-
ganizzazione capitalistica del lavoro tende, ma che non sempre riesce, o è
intenzionata, ad applicare interamente. Nel caso specifico di Amazon
non tutte le mansioni sono taylorizzate alla stessa intensità e questo crea
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delle gerarchie mobili che l’azienda usa per governare la forza-lavoro.
Nella seconda parte ho mostrato come l’organizzazione del lavoro, e il
modo in cui questa ha influenzato le relazioni fra lavoratori e direzione,
abbia subito importanti evoluzioni: un’intensificazione dell’organizzazio-
ne scientifica del lavoro o, in altre parole, una taylorizzazione e un pas-
saggio da un sistema di gestione consensuale a uno burocratico-discipli-
nare. Diversamente da quanto sostenuto da Cattero e D’Onofrio (2018),
in primo luogo c’è stata negli anni una riduzione progressiva dell’autono-
mia nell’esecuzione del lavoro e della sua percezione da parte dei lavora-
tori e, in secondo luogo, questa non è stata il frutto della sola tecnologia
ma della sua combinazione con la riorganizzazione costante delle mansioni
e con la crescita della rete logistica e del potere di mercato dell’azienda.
La fabbrica terziaria digitalizzata, il retroterra della piattaforma, emerge
come organizzazione complessa e in evoluzione, ma lontana dalle rap-
presentazioni mediatiche che la dipingono come tempio dell’efficienza
tecnologica e dell’integrazione consensuale della forza-lavoro. L’impera-
tivo della centralizzazione che caratterizza l’infrastruttura logistica di que-
sta come di altre piattaforme, comporta al contrario la riproposizione di
problematiche, come quella del controllo e della frammentazione del la-
voro (Braverman 1974; Burawoy 1979; Edwards 1979), che contraddi-
stinguono tipicamente il settore dei servizi (Leidner 1993; Frenkel et al.
1999; Ritzer 2013) e che tornano ad essere centrali nell’epoca del capitali-
smo di piattaforma.
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ABSTRACT
Analizzando il principale centro logistico italiano di Amazon attraverso l’etnografia e
l’osservazione partecipante, l’articolo porta al centro del dibattito sulle piattaforme il
tema dell’organizzazione scientifica del lavoro e del taylorismo e ne mette alla prova la
pertinenza e l’attualità. Nella prima parte viene presentato il funzionamento interno
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del centro di distribuzione, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione del la-
voro, la gestione della manodopera e il rapporto fra forza a lavoro e management.
Nella seconda parte questi aspetti vengono osservati nella loro evoluzione , in cui si
susseguono due fasi di sviluppo dell’organizzazione e delle relazioni lavoratori-
management: la prima, «neo-familistica» e consensuale, nella quale l’impresa riesce a
integrare la forza-lavoro nel processo produttivo; la seconda, «burocratico-disciplinare»
nel quale la crescente taylorizzazione, insieme ad altri fattori, mette in crisi
l’integrazione della forza-lavoro. Dalla ricostruzione emerge la pertinenza del concetto
di taylorismo così come teorizzato da vari autori (fra cui Braverman, Burawoy,
Edwards), ma a condizione di prenderne in considerazione i limiti e gli aggiustamenti.
SPECTRES OF TAYLORISM. WORK AND ORGANIZATION IN AMAZON
LOGISTICS HUBS
Drawing from the ethnographic and participant observation in the most important
Amazon logistics hub in Italy, this paper propose to understand platform capitalism
through the perspective of Taylorism and scientific management. In the first section of
the paper the internal functioning of the distribution center is described, particularly
with respect to the organization of work, the management of the workforce and the so-
cial relations between workers and management. In the second section a diachronic ap-
proach is adopted and two patterns of organization and workers-management relations
are defined: first, a «neo-familistic» and consensual pattern in which management suc-
cessfully involves the workforce in the labor process; second, a «bureaucratic-disciplinary»
pattern in which increasing Taylorization, together with other factors, threatens the inclu-
sion and consent of the workforce. From this account Taylorism, as defined by many
authors (i.e. Braverman, Burawoy, Edwards), proves to be a relevant perspective for
the understanding of work in platform capitalism, under the condition of taking seri-
ously its constraints and possible adjustments.