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Paolo Migone, M.D.
Psicoterapia e Scienze Umane
www.psicoterapiaescienzeumane.it
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43123 Parma, Italy
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E-Mail <migone@unipr.it>
Parma, Oct. 18, 2022
I give the permission to Dr. Dario Alparone to publish on the Internet, for academic
purposes, the PDF of his paper “Stupidità e psicoanalisi: una questione di etica”
(Psicoterapia e Scienze Umane, 2020, 54, 1: 65-78. DOI: 10.3280/PU2020-001007).
Sincerely.
Paolo Migone, M.D.
Editor, Psicoterapia e Scienze Umane
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Stupidità e psicoanalisi: una questione di etica
Stupidity and psychoanalysis: An ethical problem
Dario Alparone*
Riassunto. La restrizione intellettiva rientra nella categoria di debilità o ritardo mentale, che
viene discussa dal punto di vista della psicologia dinamica con gli apporti degli orientamenti
post-freudiani, rivisitati attraverso l’articolazione teorica lacaniana della nozione di debilità.
Essendo la debilità una condizione potenzialmente costitutiva della vita psichica di ciascuno e
non uno specifico stato patologico, la stupidità diventa il riflesso politico (in quanto concerne
l’etica) del ritardo mentale. La condizione sociale contemporanea, in cui sembra prevalere la
costituzione di legami sociali fondati su un piano immaginario, favorisce la costituzione di
soggettività con caratteristiche difensive che possono portare a un funzionamento mentale
tipicamente inibito. Le conseguenze di questo modello di soggettività dal pensiero ristretto
possono essere politiche, come sembra dimostrare il caso Eichmann. [Parole chiave: Stupidità;
Psicologia delle masse; Meccanismi di difesa; Etica; Psicoanalisi e politica]
Abstract. Intellectual inhibition may fall into the categories of mental retardation or mental
debility. These categories are discussed from the viewpoint of dynamic psychology with
contributions of post-Freudian approaches, reinterpreted in light of the Lacanian theorization of
the concept of mental debility. From this perspective, mental debility is not only a specific
psychopathology, but also a potentially constitutive condition of anyone’s mental life and, since
stupidity concerns ethics, it is the political aspect of mental debility. In contemporary society,
social relations are founded on an imaginary level, encouraging defense mechanisms in
subjective mental functioning which are connected with a limitation of mental functions. The
result of this restriction of thinking can be political, as the Adolf Eichmann’s case seems to show.
[Keywords: Stupidity; Group psychology; Defense mechanisms; Ethics; Psychoanalysis and
politics]
«Questa parola abbraccia due situazioni in sostanza assai
diverse: una stupidità onesta e schietta e una stupidità che,
un tantino paradossalmente, è addirittura un segno di
intelligenza. La prima è dovuta a un intelletto debole. La
seconda a un intelletto troppo debole, ma solo rispetto a
una cosa determinata, qualunque essa sia. Questa è la
forma di gran lunga pericolosa» (Musil, 1937, p. 255).
* Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Palazzo Pedagaggi, Via Vittorio Emanuele II
49, 95131 Catania, e-mail <darioalparone@gmail.com>. L’autore non dichiara alcun conflitto di
interesse. Ricevuto il 12 settembre 2019 e accettato il 12 dicembre 2019.
Psicoterapia e Scienze Umane, 2020, 54 (1): 65-78. DOI: 10.3280/PU2020-001007
www.psicoterapiaescienzeumane.it ISSN 0394-2864 – eISSN 1972-5043
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La stupidità (stupidity, Dummheit, bêtise) è, o quantomeno è stata, un
concetto insospettabilmente fondamentale nella clinica psicoanalitica. Dalla
descrizione psicoanalitica della stupidità deriva la consapevolezza che un certo
tipo di funzionamento soggettivo “stupido” può essere assunto da chiunque in
certe circostanze ed è determinato, come si avrà modo di vedere, da una precisa
posizione soggettiva rispetto all’inconscio.
Freud si riferisce alla stupidità fin dagli inizi quando tratta clinicamente le
isteriche con il metodo dell’ipnosi. Innanzitutto egli prende nettamente le
distanze da Janet (1889, pp. 463-464 trad. it.), il quale riteneva che nell’isteria
vi fosse una sorta di «insufficienza psichica» (Breuer & Freud, 1892-95, p. 261)
o «misère psychologique» (ibidem, p. 262) primaria rispetto alla malattia,
supponendo invece che in tale quadro clinico vi fosse un sovrainvestimento
delle rappresentazioni psichiche e un’alta dotazione intellettuale iniziale della
paziente, che poi, nella condizione di malattia, tendono sempre più a degradarsi
fino a portare all’esaurimento psichico e alla cosiddetta insuffisance
psychologique di cui parlava Janet. Nella prospettiva più propriamente
psicoanalitica, l’ottundimento delle funzioni intellettuali nell’isteria sarebbe
dunque dovuto allo stato di sofferenza psichica, dal che se ne dedurrebbe che
la cosiddetta stupidità è un effetto della nevrosi e non la causa.
Un altro riferimento, puntuale quanto significativo, che Freud fa alla
“stupidità” è in relazione alla terapia psicoanalitica e riguarda l’onorario del
medico e le relative resistenze verso il pagamento da parte del paziente. Il padre
della psicoanalisi afferma infatti che in confronto alle spese mediche sostenute
dai nevrotici e alle difficoltà di condurre una vita coartata da rappresentazioni
psichiche patologiche il trattamento psicoanalitico è tutto sommato “un buon
affare”: «Nella vita non c’è nulla di più dispendioso della malattia e della
stupidità (Dummheit)» (Freud, 1913-14, p. 343). Si potrebbe dunque dire che
per Freud il trattamento psicoanalitico poteva essere inteso come una sorta di
profilassi contro la stupidità. Beninteso, si tratta qui di una stupidità determinata
da precise formazioni sintomatiche derivanti da conflitti psichici e che quindi,
come si avrà modo di vedere in seguito, implicano di per sé una responsabilità
soggettiva.
Stupidità e restrizione del pensiero
La Dialettica dell’illuminismo (Horkheimer & Adorno, 1947), testo filoso-
fico tra i più originali e importanti del Novecento, prodotto dalla Scuola di
Francoforte, tratta nelle sue pagine conclusive (pp. 273-275) – il che ne
sottolinea per certi versi l’importanza all’interno dell’economia del testo –
6
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proprio della stupidità come categoria sociale e politica. L’elemento di mag-
giore interesse, tra gli altri, di questo frammento finale sulla stupidità è il
riferimento degli autori a uno studio psicoanalitico di Landauer (1939)1 sulla
Dummheit. Riferimento di per sé curioso poiché non è usuale per gli autori della
Dialettica dell’illuminismo usare le teorie psicoanalitiche senza associarle a una
qualche critica politica; fatto ancora più significativo se si considera inoltre che
tale riferimento risulti proprio in chiusura dello scritto (e quindi di tutto il libro).
Già quindi dal punto di vista formale lo scritto di Adorno e Horkheimer indica
delle connessioni importanti tra psicoanalisi e critica politico-sociale proprio
attraverso il concetto di stupidità.
Andando sul piano del contenuto, gli autori affermano sostanzialmente che
la stupidità è una cicatrice, una “richiusura” degli organi deputati alla cono-
scenza del “mondo esterno” (tipici del comportamento intelligente) per effetto
del “terrore” (Schrecken). Nell’azione di allungamento dello sguardo dell’es-
sere primordiale (che si potrebbe esemplificare con l’immagine di uno pseu-
dopodo o dell’antenna della lumaca) verso il mondo esterno risiede già, in
potenza, una forma di intelligenza. D’altra parte invece nell’atto di ritrarsi, nel
ripiegamento su se stessa, la vita intelligente si spegne, si ferma alla condizione
di un presente senza alcun progresso: alla resistenza esterna della natura si
aggiunge quella interna del terrore. È nel terrore che quest’essere primordiale
capace di comportamenti intelligenti si ritrae (in una coincidenza iniziale tra
corpo e spirito) dal mondo, si ritrae fino a chiudersi in sé, fino a formare al
posto dell’antica apertura una cicatrice. Gli autori infine utilizzano il termine
tedesco Bann (tradotto nell’edizione italiana con “bando”) per indicare
un’interdizione, un divieto, un’impossibilità rispetto alla quale il soggetto non
può andare oltre con la sua curiosità, la quale è a sua volta raffigurata dalle
insistenti domande del bambino ai genitori: «Come la specie della serie
animale, anche i livelli intellettuali entro il genere umano, e i punti ciechi in
uno stesso individuo, segnano le stazioni a cui la speranza si è arrestata, e che
attestano, nella loro pietrificazione, che tutto ciò che vive è sotto un bando»
(Horkheimer & Adorno, 1947, p. 275). Per certi versi, l’atteggiamento dello
stupido si può dunque descrivere come deprivato della “speranza” di ritrovare
nel mondo esterno un oggetto che possa soddisfare la sua curiosità, egli non ha
più alcun “interesse” di trovare qualcosa nel mondo esterno, nel futuro, di
appetibile.
1 Un articolo sullo psicoanalista tedesco Karl Landauer (1887-1945) è stato pubblicato a pp.
37-58 del n. 1/2015 di Psicoterapia e Scienze Umane. [N.d.R.]
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Il riferimento a Landauer è fondamentale in quanto questi descrive il rifiuto
dell’adulto di rispondere alle domande del bambino come un modo di inibire le
sue capacità di porsi spontaneamente delle questioni, e soprattutto con l’effetto
di limitarne la vita affettiva2. Si tratterebbe di un’esperienza clinica ben
conosciuta agli psicoanalisti post-freudiani, per i quali sarebbe possibile notare
nei loro pazienti degli effetti di inibizione delle funzioni psichiche, delle
capacità di elaborazione del paziente con un conseguente ottundimento, anche
momentaneo, delle capacità medie; un “funzionamento stupido” a cui sottende
un processo di repressione delle pulsioni epistemiche, della curiosità di sapere3,
che in ultima analisi riguarderebbe la sessualità4.
Secondo questa prospettiva, la stupidità risiederebbe nell’impiego massiccio
di meccanismi di difesa da parte del soggetto contro le rappresentazioni
inconsce riguardanti la sessualità dei genitori e, soprattutto, sottenderebbe
anche un implicito accordo col genitore del sesso opposto, dal quale il paziente
“stupido” sarebbe stato sedotto e irretito da un imperativo a non pensare, a non
farsi eccessive domande sulla sessualità di quest’ultimo (Castorina, 2007, pp.
21-22).
Melanie Klein (1931) si è occupata della inibizione intellettuale in una
modalità che si può porre, pur considerando le dovute differenze, in continuità
con le tesi di Landauer. Nella prospettiva kleiniana un ruolo importantissimo è
giocato da due fattori, che influenzano lo sviluppo intellettualmente inibito: la
dimensione affettiva, in particolar modo l’aggressività, e la capacità del
bambino di sopportare l’angoscia. La Klein (1931, p. 268), che affianca ritardo
mentale e psicosi, sottolinea il peso delle fantasie, e soprattutto i loro aspetti più
sadici, verso il corpo dei genitori, il quale viene frammentato in una molteplicità
di oggetti-organo (come l’oggetto-seno materno) che possono assumere degli
aspetti persecutori qualora diventino obiettivi delle proiezioni degli affetti più
distruttivi del bambino.
2 «Il vuoto apparente che si determina spesso si spiega con il fatto che la persona in questione
è occupata, per così dire, nel tener chiusa la porta della consapevolezza, onde impedire che
penetrino in essa la paura e le inconsce immagini della sua fantasia – perché vietate» (Landauer,
1939, p. 128).
3 Nella ricerca psicodinamica di Fonagy e collaboratori si è evidenziato come il rapporto del
soggetto con il sapere e la curiosità di sapere si sviluppa a partire dalla capacità di mentalizza-
zione del caregiver, grazie a cui il paziente si sente compreso e rispecchiato nei suoi stati mentali.
Su tale capacità si fonda la “fiducia epistemica” (epistemic trust) o “fiducia nella conoscenza di
cose nuove”, laddove viceversa una carenza di mentalizzazione nelle relazioni primarie può con-
durre alla strutturazione di disturbi di personalità, come nel caso di quello borderline. Si veda a
questo proposito Fonagy & Allison (2014) e Allison & Fonagy (2016). [Quest’ultimo articolo è
pubblicato a pp. 17-44 di questo n. 1/2020 di Psicoterapia e Scienze UmaneN.d.R.]
4 Si veda a questo proposito anche lo scritto di Jones (1910) sulla stupidità psicogena
nell’isteria.
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Un’eccessiva ansia dovuta a tali aspetti persecutori dell’oggetto cattivo
porta il soggetto a difendersi in maniera radicale dal proprio sadismo con la
conseguente costruzione di un Super-Io particolarmente feroce e minaccioso.
L’erezione di tali potenti difese contro l’ansia e la paura5 per le proprie pulsioni
distruttive proiettate sull’oggetto frustrante portano a una generale inibizione
delle pulsioni epistemofiliche6, quelle atte all’esplorazione degli oggetti interni
al corpo della madre, con il conseguente risultato di un generale ritiro dagli
stimoli provenienti dal mondo esterno (Klein, 1931, p. 263). Sulla linea di tale
concezione della costituzione mentale dell’inibizione intellettuale come legata
a una certa incomunicabilità con la dimensione inconscia, si potrebbero inserire
alcuni contributi interessanti come il lavoro della Arfelli (2008) la quale,
seppure parta da premesse teoriche differenti dal kleinismo, mostra come nel
caso di un bambino affetto da gravi problematiche a livello di produzione e
apprendimento linguistico possa esservi la possibilità di un miglioramento delle
capacità comunicative proprio grazie all’elaborazione, permessa dal
trattamento psicoanalitico, di fantasie inconsce e delle pulsioni sadiche.
Nella prospettiva psicoanalitica, dunque, la stupidità consiste in un generale
ottundimento delle funzioni intellettive, per il quale il pensiero stesso tende a
un’ipersemplificazione degli eventi complessi in direzione di una concretiz-
zazione tale da disperdersi in dettagli insignificanti (Castorina, 2007, p. 20). La
stupidità deve essere perciò ricondotta e collegata alla mancanza di accesso da
parte dell’individuo a istanze inconsce non integrate nella personalità e anzi
misconosciute, cosicché egli non raggiunge, come si nota spesso durante l’ado-
lescenza (Denis, 2011, p. 134), la piena maturità intellettuale e sentimentale. Lo
stupido non accede alla realtà in quanto tale (oggettiva), ma conserva una
5 Si potrebbe associare questo dato clinico della Klein dell’ansia eccessiva verso le pulsioni
sadiche nel bambino come causa dell’inibizione intellettuale alla suggestione filosofica di Hor-
kheimer & Adorno (1947) per la quale, come si è detto, alla base della stupidità vi sarebbe il
“terrore”. I due esponenti della Scuola di Francoforte usano proprio il termine tedesco Schreck
per indicare questo sentimento che inibisce le funzioni intellettive del soggetto, termine che è lo
stesso utilizzato da Freud (1915-17, pp. 547-548) per indicare lo “spavento” (Schreck) come di-
stinto dall’“angoscia” (Angst) e dalla “paura” (Furcht). Sulla base di queste osservazioni, e se-
guendo la tesi di Freud secondo la quale il sentimento di angoscia ha la funzione di prevenire ed
evitare lo spavento, si potrebbe avanzare l’ipotesi che così come alla base della nevrosi vi è il
sentimento dell’angoscia (Angst), a fondamento della debilità mentale, della quale ci si accinge
a parlare, risiederebbe lo spavento (Schreck).
6 «Ora, proprio come l’angoscia estrema relativa alla distruzione operata nel corpo materno
inibisce la capacità di farsi un’idea chiara di quanto vi è contenuto, così l’angoscia relativa a ciò
che di pericoloso e di tremendo si prevede o si immagina avvenga all’interno del proprio corpo
può reprimere del pari ogni capacità di indagine in merito al riguardo; questo è da considerarsi
un secondo fattore dell’inibizione intellettiva» (Klein, 1931, p. 260 ediz. del 1948, p. 276 trad. it.).
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concezione della realtà simile a quella del gioco, in essa il soggetto si rifugia
nella mancanza di capacità di separazione e di integrazione delle esperienze7.
Tuttavia queste posizioni della psicologia dinamica offrono ancora delle
spiegazioni della stupidità che solo in maniera indiretta portano con sé delle
implicazioni di carattere etico-politico: la restrizione delle funzioni intellettive
in funzione di un rapporto di complicità col genitore, e quindi, nel piccolo
microcosmo del dispositivo familiare, col “potere”. Tutte queste descrizioni
possono essere accomunate da specifici connotati che permetterebbero di af-
fiancare la stupidità con un certo senso di indifferenza: una non implicazione
della propria soggettività nella realtà così com’è costruita socialmente.
La debilità mentale e il sapere dell’Altro
La nozione di debilità mentale, così com’è trattata dalla psicoanalisi
lacaniana, è innanzitutto uno strumento clinico operativo utile a comprendere
come il soggetto si sia costituito in rapporto all’Altro genitoriale assumendo
una posizione di dipendenza intellettiva rispetto al suo sapere che ha
caratteristiche di assolutezza8. Già negli storici studi di Maud Mannoni sul
bambino arriéré è possibile rintracciare un’importante indicazione di cosa sia
in gioco nel ritardo mentale del bambino, soprattutto in riferimento al ruolo che
egli assume nell’economia libidica della madre e nell’ordine simbolico
familiare: «Il soggetto svolge per la madre un ruolo ben preciso sul piano
fantasmatico; la sua sorte è già tracciata; sarà quell’oggetto senza desideri
propri che avrà il compito di colmare il vuoto materno» (Mannoni, 1964, p. 84
ediz. orig., p. 75 trad. it.).
La generale inibizione della curiosità nella soggettività intellettualmente
inibita è legata a un divieto di sapere inscritto nell’inconscio. Questa condizione
assume la struttura linguistica dell’olofrase, in cui si ha un incollamento degli
elementi della catena significante (S1S2) in modo tale che non vi sia possibilità
per il soggetto di esser rappresentato da un significante presso un altro
significante (operazione propria della metafora: [S1/$]S2): «L’olofrase
7 «La stupidità cerca di tornare al “come se” e punta a forzare la ricomparsa di un’area di
gioco, ma in un modo molto particolare, costitutivo della stupidità: per mezzo di una sorta di
sovversione del registro della realtà. Si tratta di considerare lo spazio reale come un’area di gioco:
le situazioni della realtà, sia quella esterna che quella interna, sono trattate con metodi ludici. (...)
Questo sistema mira essenzialmente a negare la realtà della sessualità» (Denis, 2011, p. 146).
8 Tutte le implicazioni scientifiche relative alla condizione di debilità mentale (gli accerta-
menti testologici, gli interventi sanitari, etc.) portano a una posizione di assoggettamento del
bambino con difficoltà intellettive, nella quale i genitori si identificano al sapere assoluto, che
facendo riferimento alla teoria psicoanalitica lacaniana potremmo definire come “discorso della
scienza”, e il bambino si identifica in questa posizione di “soggetto deficitario”, reificato al pro-
prio deficit.
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designa una parola-frase caratterizzata dalla congiunzione di elementi non
perfettamente lessicalizzati, in modo tale che essi sarebbero meglio compresi
se presentati come parole separate» (Vorcaro & Lucero, 2011, p. 817).
L’incollamento olofrastico tra i significanti della catena consiste nell’as-
sunzione da parte del soggetto di una posizione di radicale dipendenza
dall’Altro, di collusione all’immagine del corpo materno come oggetto totale
di soddisfazione e godimento. Nella posizione soggettiva debile, in una sorta di
compiacenza dell’Altro (parentale), il sapere soverchia la verità soggettiva
portando a un’abdicazione del proprio esser soggetto di enunciazione. In altri
termini, il bambino assume una posizione passiva rispetto all’Altro riducendosi
a esser trattato alla stregua di un oggetto: «Si dovrebbe sottolineare che la
madre, come un agente dell’Altro, può denegare la sua singolarità per stru-
mentalizzare lei stessa con la conoscenza, senza doversi distinguere da
quest’ultima: in assenza di un’interrogazione a questa conoscenza, il bambino
non è pensato come un soggetto e diventa ridotto a un funzionamento acefalo»
(Vorcaro & Lucero, 2011, p. 821). In tale passività rispetto al godimento
dell’Altro il debile opera furbescamente una “scelta” ben precisa:
«Il soggetto debile, infatti, nel tenersi a opportuna distanza dal comprendere in cosa
consista questo termine oscuro che ne condiziona il destino, evita la possibilità di fare
chiarezza sulla sua collocazione mantenendosi, viceversa, in quell’atmosfera di
incertezza, di nebulosità e di vaghezza che caratterizza la sua posizione nel mondo;
fluttuante ma congelato nella specularizzazione immaginaria con la madre» (Purgato,
2010, p. 37).
Tale congelamento della posizione nel bambino conduce a una sua
reificazione nell’immaginario parentale: ciò che predomina nella debilità è
l’identificazione rigida nella quale il soggetto è come bloccato. Alcuni studi
hanno infatti rilevato come la debilità mentale sia legata al rapporto che si
instaura tra il bambino e l’immagine che la madre si è costruita del figlio prima
che questi nasca (Vorcaro & Lucero, 2011, p. 816). L’apprensione della
malattia, della mancanza reale (organica) del figlio, produce uno scarto tra
l’immagine ideale del bambino che i genitori avevano costruito innanzi alla
nascita e il bambino reale. Questa posizione ostacola definitivamente la
possibilità di una nuova ristrutturazione dell’immagine, l’assunzione da parte
del soggetto di un ideale separato da quello dei genitori:
«Così, l’impotenza rappresentata dalla malattia impedisce che il bambino concreto
coincida con il bambino idealizzato dai genitori, una volta che questi non può
rispondere da dove è atteso e non può sostenere la finzione che lo mantiene nella
posizione attribuita. Una volta che essi si accorgono dell’insufficienza delle proprie
stesse interpretazioni riguardo il bambino, i genitori abortiscono i propri desideri di un
bambino ideale» (Vorcaro & Lucero, 2011, p. 819).
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La posizione soggettiva debile è definita da un immaginario ipertrofico nel
rapporto con l’Altro parentale, cioè da identificazioni rigide, da significanti che
di fatto vengono imposti al bambino ma nei quali non echeggia alcuna
operazione di soggettivazione, alcuna scelta soggettiva. Peraltro, tali
caratteristiche hanno portato gli autori di tale corrente psicoanalitica a vedere
nella struttura della debilità mentale alcune caratteristiche tipiche del funzio-
namento soggettivo nel discorso sociale contemporaneo, il quale sembra esser
sempre più connotato da una proliferazione dell’immaginario9. Infatti se la
debilità assume uno statuto clinico così connesso alla dimensione etica, allora
essa porta con sé delle ricadute al livello sociale notevoli:
«L’Altro a cui il debile si indirizza è pieno, provocando però la riproduzione di cono-
scenza. Tale conoscenza, in quanto vero prodotto, si trova scissa dalla verità; così il
soggetto debile è escluso dalla conoscenza prodotta da se stesso. Ma, stabilendo questa
relazione con una conoscenza che egli migliora, il debile mostra il vero meccanismo
del funzionamento sociale» (Vorcaro & Lucero, 2011, p. 828).
È importante notare tuttavia che la debilità mentale è dalla psicoanalisi a
orientamento lacaniano generalmente associata alla struttura psicotica (nonché
strutturalmente simile al fenomeno psicosomatico; Miller, 1986), pertanto
bisogna fare una distinzione radicale rispetto alle posizioni psicoanalitiche testé
presentate. Infatti, se nella prospettiva lacaniana si pone una netta separazione
concettuale tra il rapporto del soggetto nevrotico con l’inconscio e quello del
debile con il discorso dell’Altro, nelle teorizzazioni psicodinamiche tale
differenza è di grado in quanto non comporta una vera e propria diversità al
livello qualitativo (cioè di struttura) ma piuttosto al livello quantitativo
(intensità dei meccanismi di difesa implicati in opposizione alle dinamiche
psichiche inconsce in gioco). Quel che interessa in questa sede ricavare da
entrambe le teorizzazioni è ciò che esse hanno in comune: nell’inibizione
intellettuale si trova una precisa modalità di funzionamento soggettivo con dei
tratti positivi, delle caratteristiche specifiche che gli sono proprie. In questo
senso anziché parlare di debilità mentale, che segnala una specifica struttura di
funzionamento, si preferisce considerare l’inibizione intellettuale in ciò che può
caratterizzare la psiche di ciascuno in certi momenti della propria vita, il che in
ultima analisi consiste nel sottolineare il valore politico, sociale ed etico della
stupidità.
9 «Non è un caso che molti bambini o adolescenti che si presentano oggi come debili siano
l’effetto di certi tipi di separazioni [genitoriali] o che – più in generale – in una società dominata
dall’immaginario, la debilità sia – come già Lacan aveva detto – la normalità» (Purgato, 2010, p.
52).
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La stupidità come negazione dell’etica
Le ricerche psicoanalitiche di vario orientamento hanno mostrato come nella
stupidità il soggetto sia ridotto al sapere che l’Altro gli impone, reificato
all’immagine che l’Altro gli fornisce e al quale egli stesso in qualche modo si
conforma. Con tale predominio dell’immaginario nel rapporto tra il genitore e
il bambino si instaura una tacita complicità, alla quale psicoanalisti come
Landauer (1939) e Jones (1910) si riferivano in termini di seduzione, e che si
fonda su un’operazione di misconoscimento della verità (in un non-voler-
sapere), cioè una comune intesa di protezione di un segreto familiare10.
Nella stupidità così si denota un’implicita intenzionalità, una sottesa intel-
ligenza. Nel funzionamento stupido la furbizia sta nella tensione a liberarsi dal
peso dell’essere soggetti e della posizione di responsabilità che da ciò
conseguirebbe: «L’astuzia della debilità mentale consiste nel precludere se
stessi dalla funzione di soggetto dell’enunciazione, stando un po’ al di fuori,
fluttuante» (Vorcaro & Lucero, 2011, p. 825). In questo senso, l’intuizione di
Horkheimer e Adorno della “stupidità come cicatrice”, cioè dell’ottundimento
procurato dal terrore (come limite interno), spiega qualcosa della costituzione
stessa della soggettività in relazione al trauma. Ciò che è traumatico è
l’esperienza del richiamo etico dell’assunzione di una responsabilità all’essere
soggetto, cioè il fatto stesso di dover scegliere, di autorizzarsi come soggetti
desideranti11. La traumaticità dell’incontro con la mancanza che costituisce la
propria stessa soggettività spingerebbe dunque il soggetto in due direzioni al-
ternative: un ritirarsi verso l’interno formando laddove vi erano delle aperture
verso l’esterno delle “cicatrici” (stupidità), oppure non indietreggiare di fronte
al terrore dell’etica.
In contrasto con la visione psicologica legata alla tradizione della misura-
zione e della definizione dell’intelligenza in termini quantitativi, la stupidità in
psicoanalisi implica un’organizzazione soggettiva di fondo in cui viene meno
l’articolazione della catena significante onde il soggetto può arrivare a esser
rappresentato, per un predominio dell’immaginario (Purgato, 2010, p. 48). La
stupidità in psicoanalisi è dunque cosa ben diversa dal basso quoziente
10 «Il bambino rimane così incastrato a difendere una verità, preferendo fluttuare tra gli
elementi che la costituiscono, piuttosto che affrontarne o tradirne i segreti» (Purgato, 2010, p.
49).
11 «Il trauma ci mette in presenza di quel versante dell’inconscio che Lacan nomina come
“luogo del non-realizzato”, esso “ci si manifesta come qualcosa che resta in attesa nell’area del
non-nato”» (Brusa, 2004, p. 175, corsivi nell’originale).
74
intellettivo, innanzitutto in quanto non è né innata (e quindi organica)12, né può
“regredire” attraverso un training di apprendimenti. La questione è pertanto
posta su un altro piano: è legata, in un’ottica psicodinamica, alla dimensione
affettiva o, nella lettura psicoanalitica lacaniana, dipende dall’immaginario
parentale, cioè dal discorso dell’Altro in cui il soggetto si ritrova, com-
piacentemente, reificato.
Nell’orientamento lacaniano, che sottolinea l’intrinseca responsabilità del
soggetto in ciò che gli accade, si può vedere come la stupidità (considerata in
un senso più ampio e non ristretto al campo della debilità mentale che ne dà una
connotazione di funzionamento strutturale) si situi su un piano etico: essa non
è un deficit da trattare, come fosse un “meno di soggetto”, ma piuttosto si tratta
di un “più” di soggettività – come del resto Freud stesso già osservava, come si
è detto all’inizio, nel caso delle pazienti isteriche. In questo senso, la
designazione di una “stupidità disonesta” operata da Musil pone il problema
della stupidità in termini di una negazione dell’etica. Lo stupido potrebbe
essere, volendo esemplificare con un’immagine, qualcuno che nella disputa tra
Antigone e Creonte non si sbilancerebbe in un giudizio e certamente non si
troverebbe mai dalla parte di Antigone13. Lo stupido come l’ignavo riesce a
sottrarsi alla scelta, egli non si pronuncia o escogita dei modi per non assumersi
la responsabilità della propria enunciazione. Nella stupidità d’altro canto si cela
una volontà di “non-volerne-sapere”, la quale può anche esprimersi
nell’opposto di ciò che si ritiene usualmente stupido, cioè in una volontà
illimitata di sapere: saper tutto per non volerne sapere niente del proprio esser
12 A questo proposito è ancora molto attuale l’osservazione della Mannoni (1965) sulla pro-
spettiva psicoanalitica dell’aspetto organico del ritardo mentale: «All’origine del problema del
ritardo mentale, la psicoanalisi non ritiene in modo radicale che vi sia un fattore organico, pur
non negandone in molti casi il ruolo. Ogni soggetto debile è innanzitutto considerato come sog-
getto parlante. Questo soggetto non è quello del bisogno, né ancora quello della condotta e nem-
meno della conoscenza. È soggetto che con la sua parola rivolge un appello, cerca di farsi inten-
dere (anche nel rifiuto), si costituisce in un certo modo in relazione con l’Altro» (p. 201).
13 Si segnala come già in Bion (1958) si ritrova una spiegazione psicoanalitica della stupidità
in riferimento al mito. Accostando stupidità, curiosità e arroganza, Bion mostra in maniera par-
ticolarmente acuta come nell’atteggiamento stupido vi sia una volontà di verità i cui effetti hanno
però il carattere paradossale di essere distruttivi: una tale stupidità è quella che guida Edipo nel
costringere, arrogantemente, Tiresia a rivelargli la verità sul suo passato. In particolare, egli si
riferisce all’atteggiamento stupido che può avere l’analista a seguito di particolari processi rela-
zionali e affettivi che si svolgono nella coppia analitica (enactment). In tale processo l’analista
può colludere con il funzionamento relazionale duale del paziente, che tende a escludere il rap-
porto di terzietà con la realtà. Si è notato inoltre che questo stile di funzionamento mentale può
essere utile come strumento di conservazione del funzionamento patologico familiare nel caso
del trattamento di adolescenti (Cassarola, 2016).
75
soggetto. Vi è nello stupido un’intrinseca furbizia del soggetto utile a non
implicarsi, a estraniarsi da ciò che accade nel mondo, nel contesto di cui fa
comunque parte14.
La stupidità e la massa
Si è visto come la debilità sia il risultato di un congelamento del processo di
soggettivazione a partire dalle identificazioni rigide attribuite al bambino nel
discorso parentale, il quale è quindi un Altro possessore di un sapere assoluto
su di lui. In quest’atto di imposizione il soggetto è come se fosse catturato
nell’immagine che gli si rimanda, ipnotizzato da tale assolutezza dell’Altro. Per
estensione, ritroviamo un meccanismo simile nel momento in cui la dimensione
identificatoria tende a essere predominante nei processi di socializzazione e la
soggettività tende a omogeneizzarsi a un gruppo-massa di riferimento. Le
formazioni gruppali d’altro canto tendono a sostenere in un certo modo una
posizione di deresponsabilizzazione del soggetto rispetto al farsi carico della
propria posizione nel mondo sociale, alla dimensione contestuale. Riguardo a
questo, Gil Caroz (2019) parla della società contemporanea in termini di “era
dell’irresponsabilità” rispetto alla quale la soggettività che trova come unica
direzione della sua vita il godimento, nell’ottica in cui l’oggetto di consumo
prende il posto dell’ideale (p. 29), si sente deresponsabilizzata rispetto alla
propria posizione, il che si traduce in una prospettiva clinica a un non-volerne-
sapere della propria divisione soggettiva con il conseguente effetto di difesa
dall’angoscia e dalla vergogna. Una tale costituzione soggettiva è pienamente
paragonabile a quella che caratterizza l’individuo in un gruppo-massa, nel quale
infatti si osserva ciò che spesso gli scienziati sociali hanno descritto in termini
di influenza sociale: «Ogni individuo, quando è associato ad altri in gruppi di
vaste dimensioni, subisce trasformazioni anche impressionanti. Le sue capacità
intellettuali tendono a funzionare meno, le sue opinioni si uniformano a quelle
espresse nel gruppo sino a mostrare, in esso, una sorta di unità mentale»
(Palmonari, 1995, p. 201; cfr. Freud, 1921).
Tale stile di funzionamento dell’individuo in massa, o in generale in una
condizione di massificazione si associa a un’inibizione intellettuale che il
soggetto sviluppa, così come rileva Sabouret (2019):
14 A questo proposito ci sembra utile richiamare quanto affermava Lacan (2006) sul ritardo
mentale in alcuni passi molto illuminanti del Seminario, ad esempio questo passaggio: «Hegel
parla di “astuzia della ragione”. Devo dire che è qualcosa di cui ho sempre diffidato. Mi è capitato
molto spesso di vedere la ragione infinocchiata, ma in vita mia non l’ho mai vista riuscire in una
delle sue astuzie. Forse Hegel l’ha vista. Egli viveva nelle piccole corti tedesche dove si trovano
molti ritardati mentali, e in verità possono essere state queste le sue fonti» (p. 171).
7
6
«La situazione collettiva cancella temporaneamente, nel momento dell’identificazione
al Super-Io del leader, l’ideale personale del soggetto in un movimento regressivo,
secondo un percorso inverso allo sviluppo del Super-Io a partire dalle figure genitoriali
e, soprattutto, a partire da un credito narcisistico grazie al quale le potenzialità libidiche,
siano anche sadiche, potranno liberarsi. Orbene, è precisamente questa negatività
libidica, toccando le fondamenta stessa dell’Io, e che si ritrova nell’assenza di
espressione affettiva del soggetto in condizione operatoria, che lo spinge a ricercare al
di fuori, nella conformità ai valori collettivi, ciò che egli non ha all’interno» (p. 801).
In effetti, ripensando al testo La banalità del male di Hannah Arendt (1963),
il modello di funzionamento del soggetto “instupidito” può offrire una lettura
del fenomeno di deresponsabilizzazione del funzionario e del burocrate nel
regime totalitario, o anche nell’era della tecnica. L’obbedienza cieca all’autorità
che connota in maniera precisa il totalitarismo è legata a un ottundimento
psichico (come distruzione delle capacità di pensare) e morale e si fonda su
precisi meccanismi di scissione aventi una funzione fondamentalmente anti-
traumatica (Sabouret, 2019, p. 802). Da ciò deriva come un soggetto con un
determinato tipo di costituzione psichica, in cui le funzioni del pensiero
possono essere facilmente obnubilate da meccanismi di suggestione15, possa
trovarsi più favorevolmente predisposto a “piegarsi” all’assoggettamento
dell’autoritarismo. Tale processo di massificazione per effetto di suggestione e
ottundimento del pensiero può quindi estendersi fino a dilagare in tutta la
dimensione sociale:
«I soggetti inclini all’autoritarismo e alla deresponsabilizzazione, che hanno interio-
rizzato regole, non valori o principi, hanno inoltre bisogno di un sostegno esterno, e
sono proclivi a consegnarsi a un uomo forte, a un demagogo carismatico che fornisca
promesse palingenetiche e risposte dogmatiche, spiegazioni attraenti non perché giuste
ma perché drastiche ed elementari. Da qui anche l’attrattiva del ricorso al pensiero
magico, superstizioso, antiscientifico» (Merzagora, 2019, p. 208).
Obbedire ciecamente agli ordini, svolgere solo il proprio dovere nell’indif-
ferenza delle conseguenze che le proprie azioni hanno una volta che le proprie
intenzioni si realizzano16, sono atteggiamenti che mostrano come l’ottundi-
mento soggettivo possa elevarsi al livello sociale e politico, cioè come la
stupidità al livello sociale possa tradursi sul piano politico con un potenziale
effetto di messa in crisi dello Stato di diritto stesso. In tali soggetti le regole
sono vissute come esterne e hanno al più solo una valenza supereogica, cioè di
semplice interdizione e rinuncia a pensare e non di una Legge che, una volta
15 Si ricorda che, seguendo Freud (1921), la suggestione è una precisa modalità relazionale
che si fonda su un tipo di identificazione particolarmente sentita dal soggetto (un’identificazione
privilegiata tra le altre) e dunque, da un punto di vista lacaniano, su un predominio della dimen-
sione immaginaria.
16 «L’errore di buona fede è tra tutti il più imperdonabile» (Lacan, 1965, p. 863).
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7
introiettata, coincida con la costituzione di una personalità autonoma. Una
questione questa sulla quale poter focalizzare un’attenzione clinica e sociale,
preso atto che nel mondo contemporaneo la presa immaginaria sembra avere
un peso sociale e politico sempre maggiore prevalendo sui rapporti di recipro-
cità e di riconoscimento simbolico quali possono essere garantiti dalla dimen-
sione istituzionale17. Si tratta cioè di un funzionamento sociale nel quale hanno
una forte presa i discorsi connotati da evidenti risonanze identitarie (Merzagora,
2019, p. 211) che possono degenerare fino a divenire costruzioni ideologiche a
carattere tipicamente paranoico (Bazzicalupo, 2012, p. 60).
In tale scenario, nella società contemporanea può ritrovarsi una certa deca-
denza della figura del cittadino coinvolto nella vita politica e responsabile delle
proprie scelte, venendo gradualmente sostituito dalla figura del funzionario
ligio alle proprie mansioni e ai propri doveri formali ma che opera in direzione
di un misconoscimento (volontario) della responsabilità, diretta o indiretta, che
essi comportano. È in questa figura che la stupidità può incarnarsi assurgendo
innanzitutto a posizione etica ben definita e per estensione a modello di
funzionamento sociale e politico.
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17 Sul rapporto tra la Legge simbolica e il processo di soggettivazione da una prospettiva che
interseca psicoanalisi e filosofia del diritto, si veda Alparone (2019).
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... There is no articulation between the two signifiers in both cases, but only a single blocked and frozen signifier, a monolithic signifier Lacan calls a 'word sentence' (Galdi & Campos, 2017;Miller, 1987). In mental debility (Alparone, 2020;Vorcaro & Lucero, 2011) and psychosomatic phenomena, the subject is not caught in the process of signification, in the articulation between two signifiers; he or she is not in a discourse, and the symptom is not the vehicle of a social link. A signifier to another signifier does not represent the subject; in these cases, the subject is frozen on the singular signifier (S 1 ), and the meaning is blocked at this 'word sentence'. ...
Article
The following article is a short reflection on the production of the subject as an effect of significant and language in general. Miller, the disciple of Lacan, uses the image of the dentist as a metaphor for this kind of production: the extraction of a tooth. We use a dreamlike association with Wittgenstein’s example of toothache to explain the limitations of empirical language. The fundamental absence of the object can be translated as the effect of the production of private sensation by linguistic games. Furthermore, this model of explanation of subjectivity is radically different from the classical way of thinking about subjectivity, such as the cognitive psychological model. The production of reality results from a process of extraction of the object, of separation between subject and object as an effect of language.
Article
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La psicoanalisi lacaniana può essere utilizzata per riflettere sul sottile e invisibile processo di rappresentazione simbolica, nel contesto della stereotipizzazione e della de-umanizzazione che troviamo in opera nello stile paranoico della politica (per esempio, nelle teorie del complotto). L’articolo evidenzia come la pretesa di immunizzazione auto-conservativa sia indispensabile nei processi di soggettivazione politica, ma può produrre un rovesciamento distruttivo. Nella identità comunitaria paranoica, la negatività è cancellata e il male, kakon, proiettato su un Altro persecutorio. L’ultima parte dell’articolo mette a fuoco il nesso tra paranoia e psicosi nelle forme di violenza gratuita, terrorismo e droga, nel sistema post-totalitario neoliberale. Solo l’assunzione del fantasma (che organizza il nostro sguardo sul mondo) e il suo attraversamento, può aiutare ad aprire il circolo paranoico dell’identità.
Article
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Mentalizing-the capacity to understand others' and one's own behavior in terms of mental states-is a defining human social and psychological achievement. It involves a complex and demanding spectrum of capacities that are susceptible to different strengths, weakness, and failings; personality disorders are often associated with severe and consistent mentalizing difficulties (Fonagy & Bateman, 2008). In this article, we will argue for the role of mentalizing in the therapeutic relationship, suggesting that although mentalization-based treatment may be a specific and particular form of practice, the "mentalizing therapist" is a universal constituent of effective psychotherapeutic interventions. (PsycINFO Database Record (c) 2014 APA, all rights reserved).
Article
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This article resumes the concept of mental weakness in the history of Psychoanalysis in order to verify the way Lacan took this notion in his theory. We will investigate the Lacanian hypothesis of a structural mental weakness as well as its pathological aspects which requires the differential diagnosis in relation to psychosis, psychosomatics and intellectual inhibition. Finally, we will propose a matheme for mental weakness.
Article
Was Eichmann really “operational”? Hanna Arendt’s concept of the banality of evil raised the question of the modes of thought of certain Nazi executioners; the adjective “operational” (opératoire) is often associated with it. It is necessary to clarify its pertinence in the particular historical context of the Holocaust and of the collective psychic transformations observed. The “operational” state, associated with splitting, was perhaps one of the possible individual responses owing to the anti-traumatic protection that it provides and the narcissistic credit that it brings in return for adhering to the group. Collective hate and the murderous solution may have made it possible to bind the destructiveness liberated by dementalisation and to protect against a somatic disorganisation. This hypothesis is illustrated by examples taken from literature and history.
Article
This paper has the objective of broadening the understanding of technical aspects in working with adolescents who defend themselves against detachment from infantile aspects through defensive organizations. These organizations numb the adolescent toward both triangular reality and narcissistic defenses. The families of such young people may be part of the organization and the analyst can also be recruited to participate in it. But the analyst's perception can become blurry and this fact makes him appear stupid. Aspects of the myths of Narcissus and Oedipus are used here as models for studying stupidity. The analysis of a psychotic teenage girl who is symbiotic in relation to her family shows how the analytical field can be invaded by defensive configurations. Collusions of idealization and domination/submission involve the young person, her family and the analyst but the defensive organizations are only identified after their traumatic breakdown. The expansion of the symbolic network allows symbiotic transgenerational organizations to be identified, while models related to enactments prove helpful for understanding technical ups and downs. The paper ends with imaginative conjectures where Oedipus, as 'patient', is compared to the patient discussed here. These conjectures lead to reinterpretations of aspects of the Oedipus myth. The reinterpretations, together with the theoretical and clinical study, may serve as models for understanding the technical ups and downs in working with troubled teens.
Article
When exploring the frontier of the "border" cases, that is treating severely damaged patients, either by organic pathologies or by severe physical traumas or even by catastrophic emotional events, the classical technique is often forsaken to pioneer new trails, and we may utilize intersubjective actions. Some of these actions may occur very directly and suddenly, only later revealing their meaning in the après coup; others, on the contrary, may be the result of a not always easy or painless choice; in either case, these actions can have a great therapeutic meaning. I ventured to follow one such trail, together with the child I am going to speak of in this paper: the little "idiot" (as he used to name himself). He was suffering from an extremely severe phonologic disorder, which allowed him to utter only inarticulate noises; yet, a rich and deep internal world peeped out in the sessions, a world imprisoned but not completely annihilated by mutism. For many months, I have been trying to lend my voice to this world, by agreeing to narrate "my own" dreams within the play that was taking place in the sessions: in other words, I have tried to make use of my rêverie and capacity of identification in order to express the awful anxieties connected with the child's impossibility to communicate and to be understood: that is, with his huge loneliness. This work of "translation" did not take place with interpretation dresses, but as a repeated narration of dreams and nightmares, apparently mine yet, actually, deeply belonging to him. In this way a first step has been taken towards the raise of trust and hope of being understood, an indispensable requirement for him to finally get-after many years of work-to express himself and to make himself understood.