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TRANSFER PRICING E VALORE
NORMALE DEI MARCHI E BREVETTI
di
Roberto Moro Visconti
– professore di Finanza Aziendale nell’Università
Cattolica – dottore commercialista in Milano – roberto.morovisconti@morovisconti.it –
www.morovisconti.com
Essendo il valore “normale” basato su comparazioni con beni e servizi
similari, emergono non pochi problemi – fino a sconfinare nel paradosso –
quando si tenta di applicarlo alle cessioni di marchi o brevetti. Infatti i
marchi sono registrabili e le invenzioni brevettabili se ed in quanto unici e
quindi tutto fuorché “normali”: il loro valore deriva dall’originalità ed
esclusività, che ostacolano i confronti. Di ciò si sono accorti gli IAS, che non
consentono, per marchi e brevetti, una stima del fair value, parente prossimo
del valore normale.
1. IL TRANSFER PRICING
La problematica relativa alla corretta determinazione dei prezzi di trasferimento è un
tema di grande attualità che coinvolge le imprese multinazionali che operano all’estero
scambiando beni o servizi con altre società del Gruppo.
L'espressione transfer pricing identifica il procedimento per determinare il prezzo "congruo"
(o "transfer price") in un'operazione avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di
beni/servizi/intangibili avvenuta tra entità appartenenti allo stesso gruppo multinazionale.
Le problematiche relative al transfer pricing riguardano l'obiettivo di determinare il prezzo (o
il margine di profitto) espressivo del "principio di libera concorrenza" (o "arm's length
principle") per le transazioni che intercorrono tra due imprese associate e residenti in Paesi
diversi (c.d. operazioni cross-border) come ad esempio due controparti di una multinazionale.
Le transizioni soggette a transfer pricing sono dette "operazioni controllate" (o “controlled
transactions”). Quest'ultime si distinguono da quelle che si realizzano tra imprese che non
sono tra loro collegate, le quali si assume che operino indipendentemente nello stabilire
termini e condizioni della transazione ossia conformemente al principio di libera concorrenza.
Tale distinzione è dovuta al fatto che il soggetto economico nelle operazioni controllate è
comune per entrambe le parti coinvolte e ciò potrebbe configurare un arbitraggio nella
riapartizione della base imponibile tra Stati a seconda del diverso peso fiscale degli stessi.
La normativa sostanziale di riferimento è contenuta nell’articolo 110, comma 7, Tuir il quale
prevede che: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel
territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono
controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati
Transfer Pricing e valore normale dei marchi e brevetti
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con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti
indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne
deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una
diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
Un aspetto particolarmente rilevante riguarda l’eventuale applicazione delle sanzioni
amministrative derivanti dalle rettifiche operate da parte dell’Amministrazione
finanziaria nel corso di una verifica fiscale, in quanto i verificatori potrebbero operare
rettifiche in aumento del reddito imponibile derivanti dalla constatazione di costi non
deducibili e/o di maggiori ricavi imponibili.
A tal fine, il contribuente può usufruire di un particolare regime premiale previsto
dall’articolo 26 D.L. 78/2010, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1 L. 212/2010
(rubricato “Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di
trasferimento”), il quale ha introdotto nell’ordinamento tributario italiano un regime di oneri
documentali con riferimento ai prezzi di trasferimento dei beni o servizi rientranti
nell’ambito di applicazione dell’articolo 110, comma 7, Tuir.
Nello specifico, con l’inserimento dell’articolo 1, comma 2 ter, D.lgs. 471/1997, il legislatore
ha previsto la non applicazione delle sanzioni per dichiarazione infedele, connesse alla
rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni
intercompany, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, qualora il
contribuente, nel corso dell’accesso, ispezione, verifica o altra attività istruttoria, consegni
agli organi di controllo la documentazione prevista con Provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate (emanato in data 29 settembre 2010).
La documentazione in rassegna è costituita da un documento denominato “Masterfile” e da
un documento denominato “Documentazione Nazionale” (Country file), ed è finalizzata a
consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento
praticati nelle transazioni infragruppo
1
.
Il D.M. 14 maggio 2018 contiene le linee guida del MEF in materia di prezzi di trasferimento
nelle operazioni transfrontaliere tra imprese associate, tenendo conto del principio di libera
concorrenza e chiarisce che l’analisi di comparabilità deve essere effettuata per l’applicazione
del principio di libera concorrenza, la “gerarchia dei metodi di transfer pricing” e
l’aggregazione delle operazioni
2
.
Per la determinazione del prezzo di libera concorrenza occorre fare riferimento, come rilevano
anche le Guidelines OECD sul Transfer Pricing (pubblicate nel 2010 e riviste da ultimo nel
2017)
3
, ad uno dei seguenti metodi c.d. "tradizionali":
1
DE ANGELIS E., AVOLIO D., (2017), L’identificazione e l’uso dei ‘comparables’ nelle analisi di ‘transfer
pricing’, in “Corriere tributario”, 40, 38, pp. 2933-2940.
2
GALLIO F., (2019), La necessaria comparabilità delle transazioni in materia di transfer pricing, in
“Bollettino tributario d’informazioni”, 86, 2, pp. 94-95.
3
Si veda DELLA ROVERE A., VINCENTI F., (2017), Transfer pricing: le nuove Guidelines dell’OCSE, in
“Fiscalità e commercio internazionale”, 10, pp. 37-44.
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3
METODI TRADIZIONALI DI DETERMINAZIONE
DEI PREZZI DI TRASFERIMENTO
Confronto del prezzo
(CUP)
Determinazione del prezzo della transazione facendo riferimento
a quello praticato in transazioni comparabili con o tra terze parti.
Prezzo di Rivendita
(Resale Minus)
Si sottrae al prezzo di rivendita dei beni un margine di profitto
lordo (determinato dal confronto con il margine
realizzato/garantito dall’impresa in vendite/acquisti a/da parti
terze ovvero con il margine connesso a transazioni tra imprese
terze indipendenti effettuate in condizioni similari).
Costo maggiorato (Cost
Plus)
Si aggiunge ai costi sostenuti un margine di profitto lordo
(determinato dal confronto con il margine realizzato o garantito
dall’impresa in vendite o acquisti a/da parti terze ovvero con il
margine connesso a transazioni tra imprese terze indipendenti
effettuate in condizioni similari).
Comparazione dei
profitti netti
(Transactional Net
Margin Method)
Confronto tra indicatori di profitto netto della transazione in
rapporto a quelli di transazioni comparabili con o tra terze parti.
Ripartizione dei profitti
globali (Profit Split)
Ripartizione dei profitti complessivi del gruppo economico tra le
sue entità.
Il capitolo VI delle suddette Guidelines OCSE è dedicato ai beni intangibili.
Come si vedrà meglio infra, risultano evidenti le analogie tra il prezzo di libera concorrenza
in ambito del transfer price e il concetto fiscale di valore normale
4
.
2. IL VALORE NORMALE NELLA DISCIPLINA FISCALE
L’art. 9, 3° e 4° comma del d.p.r. 917/1986 (TUIR) contiene l’ormai classica definizione di
valore “normale” che risulta applicabile in talune fattispecie anche alle compravendite di
marchi e brevetti.
Richiami normativi al valore normale sono presenti anche nel citato art. 110, 2° comma del
TUIR e nel 4° comma, che contiene la ben nota fonte normativa del transfer pricing, relativo
ad operazioni intercompany transnazionali, da valutare in base al valore normale dei beni
(anche marchi e brevetti) ceduti o ricevuti.
Si assiste pertanto ad un graduale ampliamento dell’ambito di applicazione del valore
normale, sia sotto il profilo normativo (incremento della casistica applicativa), sia
considerando l’affinamento e la maggior frequenza delle indagini sulla congruità di
operazioni e transazioni fiscalmente ancorate al valore normale, soprattutto in relazione a
operazioni transnazionali, sempre più frequenti a causa della globalizzazione e caratterizzate
da crescenti profili di complessità, anche considerando la natura economica delle operazioni
4
Si veda BIANCHI L., (2020), Gli scostamenti del valore normale fra ‘transfer pricing’ interno,
antieconomicità, inerenza ed elusione, in “Giustizia tributaria”, 27, 1, pp. 29-35.
Transfer Pricing e valore normale dei marchi e brevetti
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sottostanti (relative a prodotti e modelli di business caratterizzati da un crescente grado di
sofisticazione).
Secondo l’art. 9 del TUIR, per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo
mediamente praticato:
• per i beni e i servizi della stessa specie o similari
• in condizioni di libera concorrenza
• al medesimo stadio di commercializzazione,
• nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in
mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.
Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle
tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini
delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso.
Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in
vigore.
Il valore normale al quale devono ispirarsi le transazioni è strettamente connesso con il
criterio di "economicità", in base al quale deve normalmente sussistere una marginalità
positiva nelle cessioni di beni e prestazioni di servizi, in assenza della quale non si
capisce quali siano le "valide ragioni economiche" per porle in essere
5
, posto che le
società lucrative non hanno come missione istituzionale l'attività di beneficenza. Il concetto,
pur nella sua banalità, è talmente evidente da risultare difficilmente confutabile, almeno sotto
il profilo logico.
La determinazione del valore normale può risultare particolarmente problematica quando le
operazioni di compravendita riguardano marchi o - a maggior ragione - brevetti, per le loro
intrinseche caratteristiche di esclusività e unicità che rendono tali risorse intangibili "non
normali" e quindi difficilmente confrontabili con beni similari, che spesso non esistono.
Le conclusioni che si possono trarre sconfinano nel paradosso, ove si rilevi che il valore di
mercato (assoluto) di marchi e brevetti è tanto più elevato quanto più essi sono esclusivi
e quindi quanto meno essi sono confrontabili (in senso relativo) con altri intangibles! In
sostanza, più i marchi e brevetti valgono (in quanto unici), meno sono confrontabili; il
valore normale pare quindi applicabile a fattispecie residuali e "povere", presumibilmente
meno interessanti per l'Amministrazione finanziaria.
Ma confrontando la normativa fiscale con la natura giuridica di marchi e brevetti, si perviene
a conclusioni ancora più tranchant: infatti, se i marchi non sono originali e non
costituiscono dei veri segni distintivi, difficilmente potranno essere registrabili, così
come l'assenza di novità intrinseca e originalità costituisce uno degli impedimenti per la
brevettazione.
5
Evidente è il riferimento all'elusione fiscale. Si veda TABELLINI P.M., (2007), L'elusione della norma
tributaria, Giuffrè, Milano, pag. 315, secondo il quale talune sentenze sono giunte alla conclusione che
esisterebbe un principio generale, desumibile dall'art. 9 del TUIR, in base al quale l'amministrazione finanziaria
sarebbe "tenuta a valutare ai fini fiscali le varie prestazioni che costituiscono le componenti attive e passive del
reddito secondo il normale valore di mercato" (Cass. 24 luglio 2002, n. 10802).
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I ragionamenti qui effettuati possono essere analogicamente estesi – a livello di
sistematizzazione interdisciplinare, essendo tendenzialmente esclusa l’analogia in campo
fiscale – ad altre risorse immateriali come i diritti d’autore (diritti di utilizzazione delle opere
dell’ingegno), l’avviamento, il know-how e i segreti industriali o altri intangibles, dotati o
meno di un autonomo valore di mercato.
Se possibile, ancor più delicate - ai fini della ricerca di un valore "normale" - sono le
problematiche che riguardano marchi trasferiti o licenziati assieme a brevetti e ad altre risorse
intangibili (diritti d'autore, know-how, software …), nell'ambito di un ramo d'azienda
rappresentante le proprietà industriale e intellettuale della società ovvero brevetti dipendenti
(il cui valore è atomisticamente magari limitato, ma che nell'insieme hanno un rilievo
economico anche rilevante) o ancora quando i marchi e brevetti sono trasferiti, come beni
singoli non ricompresi in aziende o rami d'azienda, mediante conferimento, che è assimilabile
ad una vendita con applicazione del valore normale.
3. MISSION IMPOSSIBLE? CONFRONTO TRA LA NOZIONE FISCALE DI
"VALORE NORMALE" E LE CARATTERISTICHE GIURIDICHE ED
ECONOMICHE DI MARCHI E BREVETTI
La difficoltà ad individuare un valore normale per marchi e – soprattutto – brevetti non è
priva di conseguenze pratiche per entrambe le controparti: il contribuente che deve difendere
le proprie posizioni e la congruità delle transazioni che attua e il fisco, le cui contestazioni
possono risultare arbitrarie e basate su deboli e contraddittori riscontri empirici.
Ne possono emergere contenziosi in cui le parti sono accomunate da un comune imbarazzo,
degna sintesi di posizioni antitetiche, figlie entrambe di una normativa di portata generale, che
mal si attaglia – per i motivi che meglio saranno chiariti in seguito – a fattispecie tanto
particolari quanto rilevanti.
I marchi e brevetti rappresentano, infatti, la sintesi anche a livello simbolico di strategie di
differenziazione che le imprese pongono in essere per sopravvivere e competere in mercati
sempre più competitivi, soprattutto in quei paesi – come l’Italia e gli altri paesi occidentali –
in cui non sono agevolmente perseguibili strategie alternative imperniate sul vantaggio
competitivo indotto dai minori costi, che anzi sono mediamente più elevati rispetto ad
economie più povere ma a più elevata crescita.
Le risorse intangibili sono, in sostanza, un elemento chiave a livello strategico anche per
il made in Italy
6
, con una crescente importanza che meriterebbe maggior attenzione da
parte del legislatore fiscale, che prevede, per i marchi e l’avviamento, l’ammortamento
in 18 anni.
Una parziale consolazione può derivare dall’applicazione della direttiva sulle royalties
intracomunitarie, recepita con il d.lgs. 30 maggio 2005, n. 143 che a determinate condizioni
(tra cui rileva anche l’applicazione del valore normale) consente di non assoggettarle a
ritenuta, con l’obiettivo di agevolare la circolazione dei beni immateriali e dei loro diritti di
6
Si veda DALL’OCCHIO M., DELL’ACQUA A., ETRO L., LIGRESTI G., (2006), Brand italiani. Sviluppo e
finanziamento, EGEA, Milano.
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sfruttamento, nella consapevolezza del loro rilievo nella creazione di valore per le imprese (e
nella conseguente formazione di gettito fiscale).
Il concetto di valore normale rilevante ai fini fiscali va opportunamente confrontato con
le caratteristiche giuridiche di marchi e brevetti e i loro risvolti sotto il profilo della
valutazione economica, al fine di esaminare fino a che punto sia possibile un
coordinamento interdisciplinare, in assenza del quale la normativa fiscale rischierebbe
di avere un'applicazione più teorica che sostanziale.
Un primo confronto viene effettuato nella tabella sotto riportata.
Concetto fiscale di
"valore normale" Aspetti giuridici
(parametri e caratteristiche
per la) Valutazione
economica
Prezzo o corrispettivo
mediamente praticato per
beni o servizi della stessa
specie o similari …
I beni sono della stessa specie
o similari, tendenzialmente si
riferiscono a marchi non
registrabili (in quanto privi
della funzione distintiva di
identificazione e confondibili
con altri marchi) o ad
invenzioni non brevettabili
(se sono similari ad altre, non
possono essere nuove).
I metodi di valutazione
economica basati sui
comparables presuppongono
una reale ed effettiva
confrontabilità con aziende
simili e prodotti succedanei,
difficoltosa per i marchi e
tendenzialmente
improponibile per i brevetti;
le difficoltà del confronto
crescono all’aumentare della
specificità di marchi e
brevetti, cui tipicamente è
connesso un maggior valore.
… in condizioni di libera
concorrenza …
La registrazione del marchio
e la brevettazione delle
invenzioni industriali è
orientata all’ottenimento di
diritti di esclusiva e privativa.
L’obiettivo economico e il
tornaconto degli investimenti
in marchi e brevetti
consistono anzitutto nella
ricerca di rendite
monopolistiche e di strategie
di differenziazione, miranti
ad escludere o limitare il più
possibile una libera
concorrenza.
… al medesimo stadio di
commercializzazione …
Per comparazioni al
medesimo stadio di
commercializzazione, si
tenga presente che i marchi
sono prodotti finiti; i brevetti
tipicamente anche; il
problema si complica
Vi sono "semilavorati" come
il know-how o i segreti
industriali, “già e non
ancora” rispetto ai brevetti
“prodotti finiti”; i brevetti
possono essere relativi ad
invenzioni non ancora
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Concetto fiscale di
"valore normale" Aspetti giuridici
(parametri e caratteristiche
per la) Valutazione
economica
ulteriormente per brevetti
dipendenti, che ostacolano
molto le comparazioni,
tipicamente assai complesse,
e possono essere a stadi
diversi di
commercializzazione.
commercializzate o che mai
lo saranno; i marchi a
prodotti in fase di lancio o
già affermati …
Tenendo conto di questi
fattori di differenziazione,
economicamente assai
rilevanti, si riducono
ulteriormente i già angusti
spazi di confronto.
… nel tempo in cui è stata
effettuata l'operazione o nel
tempo più prossimo …
I brevetti, a differenza dei
marchi, hanno una scadenza
che può ostacolare o impedire
confronti temporali
L’omogeneità del confronto
temporale è complessa sotto
il profilo economico e il
timing è un parametro spesso
fondamentale, soprattutto in
presenza di mercati volubili
(in particolare per i marchi,
che risentono dell’effetto
moda) o innovativi (in cui i
brevetti possono divenire
rapidamente obsoleti).
… nel luogo in cui è stata
effettuata l'operazione o nel
luogo più prossimo…
L'estensione territoriale di
marchi e brevetti può essere
limitata già in fase di
registrazione (anche per
limitare i costi), ostacolando
comparazioni analogiche
sotto il profilo geografico –
territoriale.
La mancata copertura di
determinate zone ostacola
comparazioni già difficili e
può costituire una testa di
ponte anche per i
contraffattori, sempre in
agguato; i mercati possono
essere molto diversi, anche a
causa di differenti gusti dei
consumatori (per i marchi) o
di differenti standard
tecnologici (per i brevetti); la
globalizzazione è peraltro un
potente fattore di
omologazione, che spinge
alla convergenza di stili di
vita e standard.
… con riferimento, in quanto
possibile, ai listini o alle
I listini e tariffe si applicano
anzitutto a vendite in serie di
Commercialmente, listini e
tariffe formalmente standard
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Concetto fiscale di
"valore normale" Aspetti giuridici
(parametri e caratteristiche
per la) Valutazione
economica
tariffe del soggetto che ha
fornito i beni o i servizi e, in
mancanza, alle mercuriali e ai
listini delle camere di
commercio e alle tariffe
professionali, tenendo conto
degli sconti d'uso.
prodotti standard, tutto
l’opposto di marchi e
brevetti.
Il riferimento residuale a
mercuriali, listini delle
camere di commercio e alle
tariffe professionali non pare
pertinente per marchi e
brevetti.
prevedono eccezioni, sconti e
trattamenti particolareggiati
sempre più ampi e frequenti,
ostacolando di fatto le
comparazioni.
Per i beni e i servizi soggetti
a disciplina dei prezzi si fa
riferimento ai provvedimenti
in vigore.
La fattispecie non è
normalmente applicabile ai
marchi e concerne solo casi
particolari di brevetti
(farmaceutici …)..
La disciplina dei prezzi è un
fenomeno regressivo nei
paesi economicamente più
evoluti ed è vista con
sospetto, essendo un
fenomeno dirigista che
spesso ostacola la libera
concorrenza, finendo non di
rado per danneggiare i
consumatori, invece che
tutelarli.
4. L'IMPOSSIBILITÀ DI DETERMINARE IL FAIR VALUE DI MARCHI E
BREVETTI IN BASE ALLO IAS 38
Il riferimento ai principi e agli standard contabili italiani (OIC) e internazionali (IAS-IFRS)
assume un crescente rilievo anche ai fini fiscali, dal momento che il principio del doppio
binario, che tiene separato il bilancio civilistico e il suo conto economico rispetto
all’imponibile fiscale, sta cedendo il passo a favore del principio di derivazione (dai dati
contabili all’imponibile).
Conoscere quindi qual è il trattamento contabile di marchi e brevetti
7
e soprattutto – in tale
ambito – se è prevista una quantificazione del loro valore “normale” è quindi una curiosità
che gradualmente si sta trasformando in un’esigenza, tendenzialmente imprescindibile.
I principi contabili internazionali di norma prevedono l’utilizzo, in luogo del costo storico, del
fair value, definito dallo IAS 39 come il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere
scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e
indipendenti. In sostanza, si tratta della valutazione al valore che si può definire «di mercato»
7
Per un’analisi contabile e fiscale dei brevetti, si veda ORLANDI M., (2005), I brevetti industriali: riflessioni e
note civilistico-fiscali, con esame e relativi effetti sul bilancio d'esercizio, in "il fisco", 46, 7188.
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o «corrente», definito anche dalle direttive comunitarie «valore equo». Anche qui vi sono
evidenti analogie con il concetto fiscale di valore normale.
Lo IAS 38, in tema di immobilizzazioni immateriali, esclude peraltro in modo esplicito la
possibilità di applicazione del fair value per i marchi e i brevetti, in virtù dell’unicità di
tale asset e, pertanto, della loro difficile comparabilità con elementi simili.
Per i brevetti c'è poco mercato, perché in genere le imprese che li registrano poi li usano
internamente; chi li vende dopo la registrazione è tipicamente un inventore persona fisica, ma
si tratta di casi più limitati e – generalmente – caratterizzati da un minor valore
dell'invenzione, spesso associato ad una sua meno immediata industrialità.
Le immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita, come i marchi, non sono più
assoggettabili ad ammortamento sistematico e devono essere annualmente – ad ogni chiusura
di bilancio - assoggettate al cd. “impairment test”, che consiste in una revisione periodica del
valore dell’intangible iscritto in bilancio, applicando metodologie di valutazione che si basano
sull’attualizzazione dei flussi di cassa futuri e/o su metodi di mercato.
Invece, la vita utile dei brevetti non è indefinita, poichè a differenza dei marchi, la loro durata
è stabilita dalla legge. Infatti, ai sensi dell'art. 60 del D.lgs. 30/2005, "il brevetto per
invenzione industriale dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e
non può essere rinnovato né può esserne prorogata la durata"
8
.
Lo IAS 38 rileva in tal senso che "il valore ammortizzabile di un'attività immateriale con una
vita utile finita deve essere ripartito in base a un criterio sistematico lungo la sua vita utile".
5. ESISTE UN VALORE “NORMALE” PER I CANONI DA LICENZA?
Il quesito che qui ci si pone ha degli aspetti tautologici, almeno sotto il profilo semantico ed
etimologico, posto che “canone” significa anzitutto “regola” o archetipo paradigmatico,
intrinsecamente convergente verso un modello di normalità, che tende naturalmente ad
agevolare i confronti.
Le argomentazioni filologiche sono peraltro di modesto aiuto ove si voglia più
pragmaticamente trasporle in ambito fiscale (pur avendo la normativa tributaria del nostro
paese un’attenzione talora esasperata, che sconfina nell’attrazione fatale, per il tenore letterale
di parole e frasi, che non di rado ne offusca e travolge l’interpretazione sostanziale - e questo
è uno dei non pochi retaggi di radici culturali borboniche e della prevalenza della forma sulla
sostanza, idealmente garantista ma nei fatti spesso iniqua).
Se per i canoni, che nascono da contratti di licenza di marchi o brevetti, con varie
declinazioni possibili (esclusiva o meno; territorialmente estesa o delimitata; su tutte o solo
alcune categorie merceologiche …) è possibile determinare un valore normale, allora sarà
forse possibile poter disporre di qualche utile indizio per risalire induttivamente dal
rendimento percentuale al valore complessivo del marchio o brevetto, potendone così –
finalmente – stimare il valore “normale”.
Il riferimento alle tipiche fattispecie contrattuali (che costituiscono una sorta di “template”,
agevolate dal “copia e incolla” spesso acritico che le moderne videoscritture rendono
8
Vi sono eccezioni per settori speciali, come le varietà vegetali e le topografie di semiconduttori. Il brevetto per
modello di utilità dura dieci anni dalla data di presentazione della domanda, ex art 85 d.lgs. 30/2005.
Transfer Pricing e valore normale dei marchi e brevetti
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possibile) dei contratti di licenza costituisce un primo passo per valutarne gli aspetti
economico-sostanziali, alla ricerca di un valore normalmente percentuale (che spesso si
accompagna a minimi garantiti), dalla cui intensità è possibile inferire il valore del marchio o
brevetto del quale si vuole regolamentare l’altrui sfruttamento.
Così percentuali elevate di royalties (mediamente superiori al 5% e, in casi eccezionali, anche
al 10%) sono espressive di marchi forti o addirittura celebri, ovvero di brevetti “superstar”
relativi a “killer applications”, talora in grado di creare standard tecnologici.
Percentuali invece modeste (nell’ordine dell’1% o 2% …) sono invece indizio di marchi
deboli, che trasmettono un’immagine distintiva sfuocata, con limitate funzioni suggestive e di
garanzia qualitativa, ovvero di brevetti inidonei ad assicurare un autentico vantaggio
competitivo, in quanto relativi ad applicazioni limitate o fuori mercato o poco rilevanti o
ancora superate.
Se dal rendimento si può tendenzialmente cercare di risalire al valore o prezzo,
biunivocamente vale anche il processo logico contrario (il valore può essere stimato anche in
funzione del rendimento e viceversa).
I canoni di licenza rientrano tra le prestazioni di servizi, che ricadono anch’esse nella
disciplina del transfer pricing, riferibile al valore normale.
6. LA VALUTAZIONE ECONOMICA DEI BENI IMMATERIALI
In tema di risorse immateriali, si pongono specifiche problematiche di valutazione, che
derivano anche dalla natura di tali beni. Rileva, in tale ambito, la riproducibilità di tali beni,
l’assenza di rivalità nel consumo (l’utilizzo di un prodotto marchiato da parte di un
consumatore non pregiudica una contemporanea fruizione da parte di altri) e la scalabilità.
I metodi empirici si fondano sull’osservazione pratica dei prezzi di mercato dei beni
immateriali, identici per caratteristiche, dai quali discendono formule e parametri di
valutazione. L’utilizzo di criteri pratici è dettato dalla velocità di aggiornare il valore delle
immobilizzazioni in aziende similari ed omogenee.
I metodi analitici, al contrario, sono di maggiore affidabilità professionale, in quanto accettati
dalla teoria e consolidati dalla prassi, pur essendo spesso meno intuitivi.
I principali metodi (approcci) utilizzati - singolarmente o in via complementare - dalla prassi
professionale per la stima economica del valore dei beni immateriali sono i seguenti (si veda
anche la figura 1.):
1. metodo di mercato;
2. metodo del costo (di ricostruzione o rimpiazzo);
3. metodo del reddito atteso (incrementale).
Secondo la prassi valutativa, la valutazione di un bene immateriale può essere compiuta
facendo riferimento a ciascuna delle suddette tre metodiche di valutazione conosciute. Ai fini
della selezione del metodo più appropriato, l’esperto dovrebbe considerare le caratteristiche
del bene immateriale e in particolare la sua riproducibilità, la natura dei benefici che esso è in
grado di generare in capo al proprietario (attuale o potenziale) e all’utilizzatore e l’esistenza o
meno di un mercato di riferimento.
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Alcuni intangibili, come marchi e brevetti, risultano particolarmente complessi da valutare,
tenuto conto della loro intrinseca natura “immateriale” e diversi metodi (complementari) di
valutazione, quantitativi e qualitativi, vengono tradizionalmente utilizzati dalla prassi
valutativa.
Le problematiche valutative risultano ancora più complesse per alcuni intangibili, come il
know-how, i segreti industriali, i costi di ricerca e sviluppo non brevettati, l’avviamento etc.
…, caratterizzati da un limitata o assente negoziabilità, da maggiori asimmetrie informative
dai confini legali meno definiti, in particolare in alcuni settori specifici.
Figura 1. – Metodi di valutazione dei beni immateriali
Anche e soprattutto con riferimento ad attività intangibili non registrate o specificatamente
tutelate, come il know-how, la valutazione è soggetta a un’elevata variabilità intertemporale,
essendo ancorata a previsioni finalizzate alla redazione dei “piani strategici, industriali e
finanziari” richiamati dall’art. 2381, comma 3, c.c. La variabilità è incorporata nel rischio da
Metodi di valutazione dei beni immateriali
Metodo di
mercato
Metodo del
costo
Metodo del reddito
Royalty relief
(royalties presunte)
Price (volume) premium
Profit split
(multi-period) Excess earnings
Prezzo /
Patrimonio
Netto
Fattori tecnologici /
opzioni
reali
Leva
operativa
Leva
finanziari
Conto Economico
(ricomprendente il
Rendiconto
Finanziario
(ricomprendente
il MOL
)
WACC /
pesi di
mercato
Flusso di cassa
incrementale / flussi di
cassa scontati
EV / EBITDA
Reddito differenziale with or
without
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considerare nelle stime e a tal fine le informazioni contenute nella relazione sulla gestione, ex
art. 2428, comma 1, c.c., possono fornire preziosi spunti.
L’ampiezza del possibile intervallo di valutazione è demarcata, nei suoi estremi, da limiti
superiori e inferiori, in ipotesi di (full) going concern (piena continuità aziendale
9
) ovvero in
scenari liquidatori di break up, in cui tradizionalmente le risorse immateriali perdono gran
parte del loro valore, soprattutto se non autonomamente negoziabili o sinergicamente
collegabili ad altri asset; in ipotesi di discontinuità, viene completamente meno il “complesso
organizzato di beni” che ex art. 2555 c.c. inquadra l’azienda. Le diverse gradazioni del valore
rispecchiano anche le possibilità di crescita e, con esse i possibili scenari cui associare le
stime.
La scelta dei metodi da usare, nell’ambito di quelli sopra menzionati o di ulteriori varianti,
dipende dalla tipologia di risorsa immateriale e dalle finalità e dal contesto della valutazione,
ma anche dalla facilità con cui possono essere reperite informazioni attendibili e significative
sulla risorsa e sul mercato in cui essa si posiziona strategicamente.
Dei diversi metodi va colta la complementarità nell’individuare - da diverse angolature - i
poliedrici aspetti dell’intangibile oggetto di valutazione, atti a consentire una valutazione
integrata: ad esempio, le royalties presunte sono anche in funzione dei redditi o flussi di cassa
incrementali che derivano dallo sfruttamento della risorsa immateriale e che interagiscono
anche con il plusvalore di mercato o i moltiplicatori di società comparabili; il patrimonio
incrementale deriva da un accumulo negli anni di reddito differenziale; i costi di riproduzione
stimano i benefici futuri e la stima autonoma dell’avviamento differenziale media tra metodi
patrimoniali e reddituali. I diversi metodi dovrebbero in teoria portare a risultati simili, anche
se il metodo delle royalties presunte e del costo di riproduzione tendono talora a fornire
valutazioni più basse rispetto al metodo dei redditi differenziali o alle comparazioni di
mercato.
La scelta dei metodi da usare, nell’ambito di quelli sopra menzionati o di ulteriori varianti,
dipende dalla tipologia di intangibile e dalle finalità e dal contesto della valutazione, ma anche
dalla facilità con cui possono essere reperite informazioni attendibili e significative sul bene
immateriale e sul mercato in cui esso si posiziona.
Riprendendo la sopracitata classificazione dei diversi approcci valutativi (del costo, reddituale
e di mercato), nel dettaglio si ha quanto segue.
Approccio del costo
Il metodo principale di questo approccio è quello della determinazione dei costi sostenuti per
la realizzazione del bene immateriale (utilizzabile per gli intangibili in via di formazione
10
) o
da sostenere per la sua riproduzione: secondo tale metodo, il valore di un bene immateriale è
determinato dalla sommatoria dei costi capitalizzati, sostenuti per la realizzazione
dell’intangibile o da sostenere per riprodurlo (ripristino dei diritti e accreditamento del
9
Si veda il principio di revisione ISA n. 570,
https://www.revisionelegale.mef.gov.it/opencms/export/mef/resources/PDF/ISA_ITALIA_570_CL_10_12_14.p
df.
10
Quando l’efficacia degli investimenti che li riguardano e quindi la probabilità di successo (in termini di
ricerche e di marketing) sono difficili da stimare e i loro ritorni attesi sono gli stessi considerati alla base dei
piani di investimento.
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13
marchio rappresentato, in genere, da investimenti pubblicitari, promozionali e di rete
distributiva …).
Il limite di tale approccio risiede nel fatto che esso non considera i costi di manutenzione e il
costo opportunità del tempo e che esso non risulta applicabile a beni in grado di generare
redditi.
Le principali difficoltà applicative di tale approccio riguardano la difficoltà nella ricerca dei
costi sostenuti in passato, specialmente se le spese si sono protratte per diversi esercizi e non
sono state capitalizzate.
Approccio reddituale/finanziario
Si basa sui benefici economici passati e futuri collegabili a un intangibile, sia in termini di
ricavi da licenze (royalties) che di redditi incrementali.
Nell’ambito dei metodi reddituali, i beni immateriali hanno valore nella misura in cui sono in
grado di incorporare un vantaggio competitivo sotto forma di multi-period excess earnings.
Trattasi di una stima prettamente reddituale, in cui i beni intangibili agiscono da Primary
Income Generating Asset. I metodi reddituali sono basati sulle stime dei benefici economici
futuri, ad esempio attraverso i flussi di cassa scontati.
Nell’ambito dei metodi reddituali, rientrano infatti anche quelli finanziari
11
: così la stima dei
flussi di cassa incrementali o il criterio dei flussi di cassa scontati, collegabile funzionalmente
con i metodi di mercato dai quali ricava alcuni parametri (per l’appunto, di mercato) per la
stima del valore di patrimonio netto e debiti finanziari, all’interno del costo del capitale medio
ponderato (WACC).
I principali metodi relativi a questo approccio sono i seguenti:
1. attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa derivanti dallo sfruttamento del
bene immateriale: secondo tale metodo, il valore di un bene immateriale è dato dalla
sommatoria dei redditi attualizzati derivanti dallo sfruttamento dello stesso (in termini
di royalties, fatturato …);
2. criterio dell’Excess Earning (reddito differenziale), da utilizzarsi per la stima del
valore di un’attività che svolge un ruolo rilevante o comunque primario, in base al
quale il reddito figurativo è ottenuto calcolando il reddito che l’impresa registrerebbe
nel caso in cui si liberasse della proprietà di tutti gli altri beni per riacquisirne il diritto
d’uso tramite contratti di licenza o affitto o noleggio;
3. criterio del reddito implicito (return on) nel valore di mercato, che si basa sulla
relazione tra valore e flussi di cassa che il bene può generare, sulla base della sua vita
utile residua e di un congruo tasso di remunerazione.
4. attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa differenziali (incrementali): si basa
sulla quantificazione e attualizzazione dei benefici e dei vantaggi specifici del bene
immateriale rispetto a situazioni “normali”, cioè di prodotti ad esempio non marchiati
o non coperti da brevettazione. Il reddito incrementale è ottenuto per differenza tra i
11
Considerati distintamente nell’ambito dei metodi generali di valutazione delle aziende ma tradizionalmente
accorpati quando si stimano i beni immateriali. I flussi reddituali e finanziari tendono peraltro a convergere nel
lungo periodo e ciò rileva anzitutto per la stima dei beni immateriali a vita utile indefinita, soggetti ad
impairment test.
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ricavi e costi relativi al bene immateriale, con attualizzazione dei flussi differenziali e
con esclusione di componenti reddituali estranei o poco rilevanti;
5. attualizzazione delle perdite derivanti dalla cessione del bene immateriale: si basa
sul presupposto che il venir meno della disponibilità di un bene immateriale è
suscettibile di determinare una riduzione del fatturato (giuridicamente assimilabile al
“lucro cessante”);
6. opzioni reali, utilizzate per valutare progetti di investimento flessibili e dagli esiti
incerti (tipicamente, brevetti).
Approccio di mercato
Si fonda sul confronto con beni similari, in termini di reddito o patrimonio incrementale
ovvero sull’analisi di transazioni comparabili e moltiplicatori di mercato.
Il principale limite di tale approccio riguarda le asimmetrie informative strutturalmente
connesse con la segretezza dei beni immateriali, che rendono le informazioni necessarie per le
comparazioni difficilmente reperibili.
Le transazioni di pacchetti comprendenti più assets o più intangibles rendono più complicata
la valutazione di intangibili stand alone sulla base di un metodo emprico. Tali difficoltà
risultano ancora più evidenti tenendo conto che, da un punto di vista contabile, secondo lo
IAS 38 non esiste un mercato attivo per gli intangibili, tendenzialmente non contabilizzati, e il
loro fair value appare difficilmente stimabile.
I principali metodi relativi a questo approccio sono i seguenti:
1. metodo del Relief from Royalties (metodo delle royalties presunte), che permette di
stimare il reddito del bene immateriale detraendo dalle royalties figurative che
sarebbero riconosciute ad un terzo per l’utilizzo in licenza dell’intangibile gli
eventuali costi diretti e indiretti di mantenimento/sviluppo del bene stesso non già
dedotti dalla royalty figurativa;
2. criterio del With or Without, metodo indiretto di determinazione del vantaggio
economico (premium price), che consiste nel confrontare la performance dell’impresa
che dispone del bene immateriale in esame con quella di un’impresa simile sprovvista
di tale bene;
3. metodo empirico: i redditi imputabili allo sfruttamento di un determinato bene
immateriale sono moltiplicati per un coefficiente espressivo della forza strategica del
bene, che dipende da fattori come leadership, fidelizzazione, posizionamento di
mercato, trend, investimenti di marketing, internazionalità, protezione legale …;
4. valutazione del patrimonio differenziale (incrementale), attraverso indicatori del
plusvalore di mercato come il Q di Tobin, che rapporta il valore di mercato delle
attività di una società al loro valore di sostituzione / rimpiazzo; se l’indice è superiore
all’unità, ciò è dovuto alla presenza di un avviamento implicito che può dipendere, tra
le altre cose, dal valore (non contabilizzato) del marchio o del brevetto.
5. indice Price / Book Value, che rapporta il prezzo di borsa (di una società quotata
branded o con altri intangibili) al patrimonio netto contabile, facendo emergere un
plusvalore (se l’indice è maggiore di 1) in parte imputabile ai beni immateriali.
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15
7. LA VALUTAZIONE DEI MARCHI SECONDO LO STANDARD ISO 10668
Lo standard 10668 è stato pubblicato dall’ISO (International Organization for
Standardization)
12
, definisce e individua una metodologia per la valutazione del valore
economico dei marchi, definendo gli obiettivi, gli approcci, i metodi di valutazione e le
modalità di selezione e individuazione dei dati di partenza, da utilizzarsi nell’ambito del
processo di valutazione, anche al fine di guidare il valutatore, riducendo i margini di
discrezionalità e proponendo una sorta di “protocollo” di valutazione.
ISO 10668 è allineato agli standard esistenti di valutazione, quali i principi contabili IAS /
IFRS, ma ricomprende nella valutazione aspetti non unicamente economico e finanziari, ma
legati agli aspetti legali e comportamentali, che costituiscono parte integrante del giudizio di
valore del marchio.
I principi valutativi ISO 10668 si applicano alla valutazione dei marchi in quelle situazioni in
cui è necessario disporre di un fair value, assimilabile ad un valore equo di cessione del
marchio.
Lo standard ISO 10668 definisce le analisi e i passaggi necessari alla valutazione dei marchi,
che sono di tre tipi, di natura legale, comportamentale e di natura finanziaria. I tre passaggi
sono indispensabili al fine di giungere ad un giudizio di valore compiuto in caso di
valutazione di marchi esistenti, nuovi marchi e nella definizione dell’impatto di strategie di
brand extension.
7.1. Analisi giuridica (cenni)
Al fine di condurre un’analisi completa del brand il primo requisito è definire il significato e
la sua estensione anche dal punto di vista dei diritti di proprietà e/o accordi di licensing o
concessione a terzi dell’utilizzo del marchio, nei paesi interessati.
L’analisi dei variegati diritti associati al brand viene accompagnata dall’analisi degli
intangible assets ad esso associabili, con particolare riferimento ai diritti di proprietà
intellettuale, da ricomprendere nella definizione di marchio e di conseguenza da considerare
nel giudizio di valutazione
13.
7.2. Analisi comportamentale, strategica e di marketing
Il secondo aspetto da tener in considerazione nella valutazione dei marchi, sulla base dello
standard ISO 10668, avviene attraverso l’analisi comportamentale, che consente al valutatore
di formarsi un’opinione completa in merito ai comportamenti dei clienti e il valore percepito
dalla rete distributiva e dalla clientela nei mercati in cui il marchio è diffuso, facendo
particolare riferimento anche al posizionamento dello stesso nei confronti dei competitor.
7.3. Analisi economica, finanziaria e contabile
12
In https://www.iso.org/standard/46032.html.
13
Il principio contabile internazionale IFRS 3 “Business Combination”, specifica le modalità attraverso le quali
gli asset sono individuati, valutati e contabilizzati. Il testo dell’IFRS 3 fa riferimento a 5 tipologie di Intellectual
Assets che possono essere valutati separatamente rispetto al goodwill aziendale.
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16
Dopo aver definito il perimetro della valutazione dal punto di vista legale e dei diritti e
comportamentale il terzo passaggio prevede la valutazione economico finanziaria del
marchio, attraverso tre approcci valutativi da utilizzare o come metodo principale o in
maniera complementare.
7.4. I principi di valutazione secondo lo standard ISO 10668
Nell’ambito dell’analisi finanziaria, i tre diversi approcci proposti dallo standard ISO 10668 si
basano sui seguenti principi:
• “Income Approach”: l’approccio reddituale consente di valutare un marchio in
funzione del valore attuale della sua capacità di generare redditi futuri, nell’arco della
sua vita utile. La valutazione si basa sulla conoscenza specifica dei flussi di reddito o
di cassa attesi, delle royalties, dalla previsione di crescita dei mercati in cui il marchio
è diffuso, tenendo conto anche dello specifico rischio di mercato.
• “Market Approach”: l’approccio di mercato definisce il valore dello specifico marchio
in relazione ai valori espressi da transazioni verificabili sul mercato che hanno
coinvolto marchi con caratteristiche similari. La comparabilità delle transazioni è il
requisito fondamentale per l’attendibilità della valutazione e deve tener conto sia di
fattori legati al marchio, sia di fattori legati al contesto di mercato.
• “Cost Approach”: l’approccio del costo considera il valore del marchio come somma
dei costi sostenuti per la costruzione dello stesso. Tale metodologia si basa
sull’assunto che in investitore, al fine di acquisire un brand, consideri unicamente i
costi di sostituzione.
L’individuazione dell’approccio da utilizzare come metodo primario di valutazione deve
essere coerente con le finalità valutative, tenendo anche conto della possibilità di utilizzare
assunzioni osservabili
14
.
Dei diversi metodi va colta la complementarità nell’individuare - da diverse angolature - i
poliedrici aspetti dell’intangible oggetto di valutazione, atti a consentire una valutazione
integrata.
Le royalties presunte sono anche in funzione dei redditi o flussi di cassa incrementali che
derivano dallo sfruttamento della risorsa immateriale e che interagiscono anche con il
plusvalore di mercato o i moltiplicatori di società comparabili; il patrimonio incrementale
deriva da un accumulo negli anni di reddito differenziale; i costi di riproduzione stimano i
benefici futuri e la stima autonoma dell’avviamento differenziale media tra metodi
patrimoniali e reddituali.
I diversi metodi dovrebbero in teoria portare a risultati simili, anche se il metodo delle
royalties presunte e del costo di riproduzione tendono talora a fornire valutazioni più basse
rispetto al metodo dei redditi differenziali o alle comparazioni di mercato.
14
Il principio IFRS 13 “Fair Value Measurement” conferma gli approcci dello standard ISO 10668 in merito alla
valutazione degli assets aziendali, specificandone gli step operativi e individuandone la prassi applicativa.
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17
I principali metodi per la stima del valore di mercato dei marchi sono diversi e riconducibili a
due tipologie: i metodi empirici e i metodi analitici.
I metodi empirici, quali il Market Approach e il Cost Approach, si fondano sull’osservazione
pratica dei prezzi di mercato dei beni immateriali, identici per caratteristiche, dai quali
discendono formule e parametri. L’utilizzo di criteri pratici è dettato dalla velocità di
aggiornare il valore delle immobilizzazioni in aziende similari ed omogenee.
I metodi analitici, come l’Income Approach, al contrario, sono di maggiore affidabilità
professionale, in quanto accettati dalla teoria e consolidati dalla prassi, pur essendo spesso
meno intuitivi.
La valutazione è fortemente influenzata dallo scenario che concerne l’azienda (in ipotesi di
continuità aziendale
15
ovvero di liquidazione o insolvenza); nel secondo caso, la stima dovrà
essere orientata ad individuare il valore recuperabile
16
.
7.5. Il valore strategico differenziale del marchio
Il marchio, in diritto, indica un qualunque segno suscettibile di
essere rappresentato graficamente, in particolare parole (compresi i nomi di persone), disegni,
lettere, cifre, suoni, forma di un prodotto o della confezione di esso, combinazioni o tonalità
cromatiche, purché sia idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli delle
altre.
In Italia il marchio è disciplinato dagli artt. da 7 a 28 del Codice della proprietà industriale
(D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005).
Esistono diversi tipi di marchi. Con riferimento all'ampiezza del portafoglio prodotti a cui si
riferiscono, si possono avere marchi:
•
mono brand: usato per uno o pochi prodotti, e quindi evocante determinate
caratteristiche funzionali del prodotto a cui si riferisce;
•
family brand: riferito a molti prodotti, e che quindi richiama non caratteristiche
specifiche (dato che esse sono diverse per ogni prodotto della "famiglia"), ma
situazioni emotive o valori astratti. Vi sono poi i marchi “ad ombrello”, in cui il
marchio principale è associato al prodotto specifico (ad es. Alfa Romeo – Giulietta).
A seconda della distanza dall'identità aziendale:
•
corporate brand: usato sia per i prodotti, sia per richiamare l'immagine
dell'azienda e le sue competenze distintive (di solito il marchio stesso dell'azienda);
•
furtive brand: distante dall'identità aziendale, riferibile solo a determinati
prodotti.
15
Per un’analisi della sussistenza dei presupposti di continuità aziendale, si veda il già citato Principio di
Revisione ISA n. 570.
16
Definito dai principi contabili (OIC, guida operativa alla transizione ai principi contabili internazionali) come
il maggiore tra il prezzo netto di vendita e il valore d’uso (che in caso di assenza di continuità aziendale, tende ad
azzerarsi).
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18
Esistono poi tipologie "ibride":
•
brand endorsed: incorpora due marchi appartenenti a due diverse tipologie tra
quelle sopra citate.
•
brand individuali: brand diversi per ogni prodotto.
Si distingue il marchio di fatto dal marchio registrato che, in virtù del processo
di registrazione dinanzi all'Ufficio italiano brevetti e marchi, gode di una protezione rafforzata
in quanto ha data certa, mentre il marchio di fatto deve dimostrare sia la notorietà che
il preuso esteso.
La registrazione dura dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda, salvo il caso di
rinuncia del titolare, e alla scadenza può essere rinnovata ogni volta per ulteriori dieci anni.
La valutazione economica dei marchi trova ampia applicazione in fattispecie di natura
contrattuale / stragiudiziale ovvero per contenziosi, tipicamente inerenti ipotesi di
contraffazione o anche in ambito fiscale (anzitutto per questioni di transfer pricing).
In particolare, la valutazione economica è utilizzata in caso di:
• quantificazione del danno economico effettivo in azioni di contraffazione del marchio
o atti di concorrenza sleale (imitazione servile, dumping, pubblicità ingannevole e
denigrazione, boicottaggio, concorrenza parassitaria …);
• stima dei congrui tassi di royalties da negoziare nei contratti di licenza (brand
licensing)
17
o di franchising o di altre modalità di brand extension;
• determinazione del congruo canone d’affitto dell’azienda titolare del marchio;
• impairment test (nelle valutazioni di bilancio, applicando i principi contabili
internazionali);
• conferimento di marchio (con o senza azienda);
• concambio di fusione o di scissione in presenza di marchi;
• valutazione del recesso del socio di società con marchi;
• valutazione della performance di brand managers, direttori e addetti commerciali, per
premi e bonus;
• liquidazione della società e vendita del marchio;
• sale and lease back di marchi;
• valutazione della congruità di atti a titolo oneroso riguardanti marchi, per verificare
l’applicabilità della revocatoria fallimentare e della bancarotta preferenziale (in caso di
marchi svenduti …);
• trasferimento / cessione del marchio (art. 23 d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30);
• stima fiscale del valore normale;
• pegno, ipoteca e usufrutto su marchi.
17
Il licenziante concede al licenziatario la facoltà di fare uso del marchio apponendolo sul prodotto, rimanendo
titolare del segno, diversamente da quanto avviene nella cessione; il licenziatario o concessionario deve
mantenere costante il livello qualitativo; la licenza può essere esclusiva parziale (limitata territorialmente …)
ovvero non esclusiva.
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19
L’inquadramento del marchio all’interno dell’azienda (ex art. 2555 c.c.) o di un suo autonomo
ramo consente, se del caso, di apprezzarne le sinergie con altre attività, non sempre
contabilizzate (avviamento iscritto ovvero internamente generato, etc.).
Il marchio, stimato sotto il profilo economico con un’adeguata metrica di valutazione, può
essere chiamato a esplicare:
• una funzione distintiva di identificazione, certificazione e attestazione della fonte di
provenienza del prodotto, atta da un lato ad evitare la confondibilità e il pericolo
d’inganno con altri prodotti e il rischio di associazione tra diversi segni e dall’altro a
consentire ai consumatori una selezione consapevole di prodotti e servizi;
• una funzione di garanzia qualitativa, intesa quale aspettativa da parte del consumatore
di una costanza qualitativa dei prodotti distinti con il medesimo marchio
(mantenimento nel tempo di identiche caratteristiche merceologiche), stimolandone la
fidelizzazione (brand loyalty) e l’appagamento (customer satisfaction). Il marchio può
sensibilmente ridurre il rischio insito nelle decisioni di acquisto;
• una funzione suggestiva o pubblicitaria, a seguito della sempre maggiore attitudine del
segno distintivo e della «specialità» che da esso promana ad essere dotato di un
intrinseco potere di richiamo e notorietà - facendo emergere la consapevolezza (brand
awareness) dei consumatori - ed a divenire «collettore di clientela».
La valutazione del marchio deve essere effettuata con un approccio interdisciplinare, che
consideri congiuntamente diversi aspetti, apprezzandone l’impatto in un’ottica economico-
finanziaria. In particolare, vanno considerati i profili:
• giuridico (analisi dell’intensità del grado di protezione offerto dalla registrazione del
marchio nelle diverse fattispecie …);
• comportamentale e strategico / di marketing (plusvalore differenziale del marchio,
elemento chiave per orientare le scelte dei consumatori …).
• economico, contabile (valutazione in bilancio del marchio e delle spese di pubblicità
che lo sostengono …) e fiscale (impatto della fiscalità in caso di trasferimento del
marchio; tassazione delle royalties …);
Lo sviluppo del valore strategico del marchio può consentire a un’azienda di raggiungere
significativi vantaggi competitivi. Il marchio, quando è noto, rappresenta infatti una
componente molto rilevante del valore complessivo di un’azienda, cui di norma è
intrinsecamente legato.
Fra gli aspetti positivi che possono derivare dal valore strategico del marchio rilevano,
anzitutto, i seguenti:
• simbolo della differenziazione di prodotto;
• adattabilità ai mutamenti di mercato (minor vulnerabilità ad azioni di marketing della
concorrenza; minor sensibilità a crisi di mercato);
• internazionalità;
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• leadership;
• celebrità del marchio (status symbol);
• protezione legale contro le contraffazioni;
• fidelizzazione (lealtà) del consumatore (customer loyalty) e riconoscimento del
marchio (brand awareness);
• potere contrattuale nei confronti della distribuzione;
• capacità di aumentare le quote di mercato;
• attrattività del mercato.
Specularmente, un marchio debole presenta i seguenti aspetti negativi:
• debole effetto distintivo del marchio;
• bassa differenziazione;
• limitata reattività ai cambiamenti degli scenari competitivi di mercato (minor
vulnerabilità ad azioni di marketing della concorrenza; maggiore sensibilità a crisi di
mercato …);
• diffusione geograficamente limitata;
• bassa protezione legale;
• modesta fidelizzazione del consumatore;
• bassa attrattività del segmento di mercato in cui opera l’azienda che detiene il
marchio.
Assai frequenti sono le fattispecie di valutazione dei marchi all’interno di un portafoglio di
intellectual properties, in cui sinergicamente i marchi convivono con brevetti, know-how,
avviamento, diritti d’autore o altri beni intangibili, talora all’interno di società dedicate
(royalty companies).
8. LA VALUTAZIONE DEI BREVETTI
8.1. Funzioni del brevetto e rilevanza della valutazione economica
Il brevetto rappresenta un diritto di proprietà industriale riferito ad una nuova invenzione
idonea ad avere un’applicazione tecnica ed immediati risultati industriali, quali, ad esempio,
un metodo o un processo di lavorazione industriale, una macchina caratterizzata da una
costruzione innovativa, uno strumento, un utensile o dispositivo meccanico, un prodotto o un
risultato industriale o l’applicazione pratica nell’ambito delle attività economico-produttive di
un principio scientifico.
La valutazione economica dei brevetti ha diverse applicazioni pratiche, che dipendono dalle
funzioni che essi esplicano e dalle complesse problematiche giuridiche che ne derivano.
La stima economica presenta numerose affinità, sotto il profilo delle metodologie di
valutazione, con i marchi, anche se esistono rilevanti differenze, che afferiscono non solo alla
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21
diversa natura del brevetto rispetto al marchio
18
ma anche alla durata residua del diritto
(indicativamente non superiore ai 20 anni per il brevetto e tendenzialmente illimitata per il
marchio) e al collegamento con altre risorse intangibili affini (know-how, segreti industriali e
spese di R&S per i brevetti; costi di pubblicità e di marketing e, in senso più lato “avviamento
commerciale” per i marchi).
La valutazione economica dei brevetti viene utilmente effettuata ad esempio in caso di:
- quantificazione del danno economico effettivo in azioni di contraffazione o altri atti di
concorrenza sleale (imitazione, dumping, concorrenza parassitaria ...);
- stima dei congrui tassi di royalties da negoziare nei contratti di licenza (patent
licensing)
19
o di altre modalità di patent extension;
- determinazione del congruo canone d’affitto della patent (royalty) company;
- stima del valore contabile (nelle valutazioni di bilancio, applicando i principi contabili
internazionali);
- conferimento di brevetto (con o senza azienda);
- concambio di fusione o di scissione in presenza di brevetti;
- valutazione del recesso del socio di società con brevetti;
- valutazione della performance di patent managers, ricercatori e dirigenti nell’area
produttiva e di R&S, per premi e bonus;
- liquidazione della società e vendita del brevetto;
- sale and lease back di brevetti
20
;
- valorizzazione dei brevetti in operazioni di corporate lending o venture capital e stima
del valore “collaterale” dei brevetti
21
;
18
Chiamato ad esplicare:
• una funzione distintiva di identificazione, certificazione e attestazione della fonte di provenienza del
prodotto, atta da un lato ad evitare la confondibilità e il pericolo d’inganno con altri prodotti e il rischio di
associazione tra diversi segni e dall’altro a consentire ai consumatori una selezione consapevole di prodotti e
servizi;
• una funzione di garanzia qualitativa, intesa quale aspettativa da parte del consumatore di una costanza
qualitativa dei prodotti distinti con il medesimo marchio (mantenimento nel tempo di identiche caratteristiche
merceologiche), stimolandone la fidelizzazione (brand loyalty) e l’appagamento (customer satisfaction). Il
marchio può sensibilmente ridurre il rischio insito nelle decisioni di acquisto;
• una funzione suggestiva o pubblicitaria, a seguito della sempre maggiore attitudine del segno distintivo e
della “specialità” che da esso promana ad essere dotato di un intrinseco potere di richiamo e notorietà -
facendo emergere la consapevolezza (brand awareness) dei consumatori - ed a divenire “collettore di
clientela”.
19
La disponibilità dei diritti patrimoniali implica la possibilità di stipulare contratti di licenza di brevetto, con i
quali il licenziante resta titolare della privativa, attribuendo al licenziatario diritti di sfruttamento economico
dell’invenzione. Il corrispettivo della licenza può essere pattuito con una somma una tantum o con un canone
periodico, in tutto o in parte commisurato ai ricavi derivanti dallo sfruttamento del brevetto. L’attività del
licenziatario può avere limitazioni relative al tempo, alla tipologia, alle caratteristiche tecniche dei prodotti. Le
licenze possono essere o meno esclusive, senza restrizioni territoriali e possono essere accompagnate da rapporti
di collaborazione. Sul contratto di licenza possono essere concesse sub-licenze, conformemente ai generali
principi civilistici. La licenza può anche prevedere un’opzione put di vendita, di norma a parametri prefissati.
20
Operazione, più diffusa per i marchi, in virtù della convenienza tributaria connessa al dimezzamento
dell’ammortamento fiscale, che per i brevetti può scendere ad un solo anno, mentre per i marchi passerebbe da
18 a 9 anni.
21
I brevetti (e a maggior ragione altri intangibili non registrati) tendono ad avere un valore collaterale limitato se
si passa da uno scenario di continuità aziendale ad un contesto di liquidazione e pertanto la loro funzione di
garanzia per affidamenti bancari è spesso secondaria. D’altro canto, visto che il valore delle aziende dipende
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- valutazione della congruità di atti a titolo oneroso riguardanti brevetti, per verificare
l’applicabilità della revocatoria fallimentare e della bancarotta preferenziale (in caso di
brevetti svenduti ...);
- valore dei beni (brevetti) in caso d’insolvenza (anche per la congruità dell’affitto di
rami d’azienda);
- trasferimento / cessione del brevetto - technology transfer / commercializzazione da
università e centri di ricerca;
- stima fiscale del valore normale;
- pegno, ipoteca e usufrutto su brevetti.
Come rileva l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIMB)
22
: “La vita del brevetto non si ferma
con la sua concessione. I brevetti per invenzione sono infatti protetti da un utilizzo non
autorizzato per 20 anni (e quelli per modelli di utilità per 10) a partire dalla data di deposito
degli stessi, come pure le privative per nuove varietà vegetali sono tutelate per 20 anni a
partire dalla data di concessione, ma solo a condizione che i diritti di mantenimento in vita
siano puntualmente pagati e, durante tale periodo, non venga accolta nessuna richiesta di
invalidità o di revoca. Nel medesimo periodo, il titolare del brevetto o della privativa può
attivare tutte le azioni in tutela dei propri diritti esclusivi. Ma se questo si riferisce alla vita
legale di un brevetto, la vita commerciale o economica dello stesso prevede la possibilità di
concessione di licenze, di vendita e altre modalità di sfruttamento, che il titolare dei diritti
deve regolarmente notificare; come pure, se la tecnologia coperta diventa obsoleta, se non
può essere commercializzata o se il prodotto su cui si basa non riscontra successo nel
mercato, il titolare del brevetto può decidere di non rinnovarlo, lasciando che esso perda
validità prima della scadenza del termine di protezione e rendendo il trovato libero da vincoli
di produzione e di commercializzazione da parte di terzi”.
L’attività inventiva (c.d. novità intrinseca o originalità) costituisce uno dei requisiti di
brevettabilità dell’invenzione, per valutare se essa è frutto di un’idea che non risulta in modo
evidente dallo stato della tecnica, per una persona esperta del ramo (art. 48, D.Lgs. n.
30/2005). L’industrialità (art. 49, D.Lgs. 30/2005) postula una fabbricabilità che non implica
naturalmente la riproducibilità in serie, anche se in realtà implica la ripetibilità del
procedimento per un numero non finito di volte con risultati costanti.
La concessione del brevetto consente al titolare di vietare a terzi di usare nell’attività
economica invenzioni identiche o simili al brevetto; l’estensione internazionale del brevetto
ne può aumentare il valore in misura anche significativa.
Questi aspetti giuridici hanno dei rilevanti riflessi economici, che incidono fortemente sulla
valutazione.
L’analisi del trattamento fiscale e - in particolare - degli aspetti contabili, relativi alle modalità
di iscrizione in bilancio, riveste una crescente importanza nella valutazione economica del
brevetto, soprattutto in sede di applicazione del fair value (valore equo di mercato), così come
prescritto dai Principi Contabili internazionali.
Anche la disamina delle problematiche tecnologiche, ingegneristiche e produttive e della
sempre più dalle loro componenti intangibili, in un’ottica di funzionamento il brevetto sostiene i flussi economici
e finanziari, cui è legata la capacità di servire il debito.
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Cfr. http://www.uibm.gov.it/index.php/brevetti/la-vita-di-un-brevetto.
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rilevanza del brevetto, atta ad identificarne il rilievo al fine della creazione di valore,
costituisce un presupposto fondamentale per la valutazione economica.
Da quanto sopra esposto, emerge con chiarezza l’importanza di un approccio interdisciplinare
alla valutazione, che sappia coniugare le problematiche giuridiche di diritto industriale e poi
fiscali, con gli aspetti contabili e produttivi-strategici, da incorporare e sintetizzare
nell’ambito di una stima economico-finanziaria.
La valutazione del brevetto deve essere effettuata con un approccio interdisciplinare, che
consideri congiuntamente diversi aspetti, apprezzandone l’impatto in un’ottica economico-
finanziaria. In particolare, vanno considerati i profili:
a) tecnologico (utilità e industrialità dell’invenzione; capacità di creare degli standard
...);
b) giuridico (analisi dell’intensità del grado di protezione offerto dalla concessione del
brevetto nelle diverse fattispecie ...);
c) contabile (valutazione in bilancio del brevetto e delle spese di ricerca e sviluppo che lo
sostengono ...);
d) tributario (impatto della fiscalità in caso di trasferimento del brevetto; tassazione delle
royalties ...);
e) strategico / produttivo (plusvalore differenziale del brevetto; capacità del brevetto di
consentire la realizzazione di economie di scala e/o di esperienza...);
f) micro e macro economico (rendita monopolistica derivante dalla proprietà e dal diritto
di sfruttamento del brevetto, rilevabile a livello di singola azienda ma estendibile con
un effetto network, in un’ottica aggregata, anche ad una filiera di imprese o ad un
distretto industriale).
8.2. I principali metodi di valutazione
I principali metodi per la stima del valore di mercato dei brevetti sono diversi e riconducibili a
due tipologie: i metodi empirici e i metodi analitici.
I metodi empirici si fondano sull’osservazione pratica dei prezzi di mercato dei beni
immateriali sufficientemente simili e, in quanto tali, comparabili
23
.
I metodi analitici hanno invece un fondamento scientifico più solido e una maggiore
tradizione anche in sede professionale e su fondano anzitutto su un approccio reddituale-
finanziario, per stimare quanto vale oggi un asset (anche un brevetto) sulla base dei
rendimenti futuri attesi ovvero attraverso una stima dei costi sostenuti o di riproduzione /
rimpiazzo.
Il valore di un brevetto dipende anche dal suo posizionamento all’interno di database
specializzati e dal mercato potenziale per l’invenzione.
23
Tali metodi, assai utilizzati nella valutazione delle aziende, soprattutto se quotate, sono in teoria
ontologicamente inapplicabili ai brevetti, che hanno caratteristiche di unicità e originalità che impediscono alla
radice ogni comparazione. Tra le difficoltà della comparazione, rileva anche la vita utile residua di brevetti
concorrenti, che può essere anche molto diversa. Malgrado tali difficoltà, i confronti sono talora possibili (si
pensi a due diversi farmaci che curano la stessa patologia) e da essi discendono considerazioni economiche
degne di rilievo. Utili indizi sulla comparabilità possono nascere anche da analisi sullo stato della tecnica e su
invenzioni potenzialmente concorrenti, effettuate in via preliminare alla brevettazione.
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9. SPUNTI PER UNA SOLUZIONE INTERDISCIPLINARE
Il concetto di valore “normale”, vecchio e un po’ logoro cavallo di battaglia di tante
controversie fiscali, ha una portata così ampia che può forse consentire alcune considerazioni
che travalicano l’angusto – ancorché non irrilevante – caso empirico dei marchi e brevetti.
Le difficoltà pratiche di una normativa fiscale spesso troppo minuziosa (e quindi con maglie
apparentemente strette, ma nella realtà piene di buchi) ma talora fin troppo generica (come
avviene nel caso di specie per il concetto di valore “normale” che, pur con le sue molte ipotesi
definitorie, mal si presta ad interpretare fattispecie così peculiari come i marchi e brevetti)
sono molteplici e hanno diverse cause e altrettanti effetti collaterali in sede di applicazione
pratica.
Nell’eziologia del problema, si consenta di rammentare anzitutto – in sintonia con quanto
brevemente esemplificato in questo scritto – gli aspetti di natura interdisciplinare, spesso
culturalmente travolti da un’esasperata specializzazione, necessaria nel complesso mondo di
oggi ma al tempo stesso pericolosa, in quanto inidonea a considerare i problemi nel loro
insieme e le diverse branche o discipline nel loro naturale interagire, che nel concreto
nemmeno si pongono quei problemi di segmentazione o ripartizione in diverse aree (fiscale,
di diritto industriale, contabile, economico-finanziaria, strategica … tanto per rimanere in
tema) tanto cari (e spesso, fatalmente, necessari) agli studiosi e al legislatore ma così avulsi
dalla realtà empirica.
Il banale e poco raffinato approccio interdisciplinare qui proposto ha consentito di mettere in
luce problemi e contraddizioni che un’analisi più attenta non potrebbe che esacerbare.
Solo gli aspetti interdisciplinari consentono di coniugare e armonizzare le esigenze di
natura fiscale (forzatamente orientate al gettito, ma con un approccio auspicabilmente equo e
ragionevole, anche per rispettare il precetto costituzionale della “capacità contributiva”) con
gli aspetti contabili (ora che la “monorotaia” sta soppiantando l’antico “doppio binario”),
l’inquadramento giuridico (che fornisce un inquadramento normativo primario delle singole
fattispecie, da cui poi derivano le considerazioni in merito alla loro imponibilità) e gli aspetti
sostanziali economico-finanziari (identificazione dei profili di convenienza economica,
come presupposto e stimolo imprescindibile per l’effettuazione delle operazioni
24
).
Le tendenze in atto negli ultimi anni, anche da parte dei verificatori, lasciano intravedere
un’attenzione crescente alla sostanza dei problemi; da parte dei contribuenti e dei loro
consulenti, matura una progressiva consapevolezza del fatto che le tematiche di transfer
pricing – ma l’esempio può essere esteso a tante altre fattispecie – hanno sì una natura e una
genesi fiscale, ma possono essere correttamente inquadrate in un’ottica sostanziale anzitutto
con un approccio economico, strategico e manageriale, che assume un’importanza crescente,
fino al punto da confinare gli aspetti fiscali in un ambito derivativo, come effetto di cause che
trovano altrove la loro genesi e razionalità.
Con riferimento a marchi e brevetti, si ha un ulteriore ed importante esempio del fatto che la
loro natura giuridica, inquadrabile nella specialistica branca del diritto industriale, così come
24
Evidente è il legame, sotto il profilo logico, con le “valide ragioni economiche” in assenza delle quali possono
scattare comportamenti fiscalmente considerati elusivi. Per un approfondimento sul tema, si veda anzitutto
TABELLINI (2007), cit.; si veda anche LUNGHINI G., (2006), Elusione e principio di legalità: l'impossibile
quadratura del cerchio?, Rivista di diritto tributario, n. 9.
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la loro valenza sotto il profilo economico e strategico, rappresentano aspetti che non possono
non indirizzare la disciplina fiscale, che ne è l’effetto e non la causa.
Una mancata comprensione della natura e delle gerarchie – sotto il profilo logico ma anche
sostanziale – di tali relazioni causali, non può non ingenerare problemi applicativi anche
rilevanti, nei quali i pratici fatalmente si imbattono (e tra di essi vi è anche lo scrivente, che ha
maturato queste riflessioni interrogandosi su fattispecie concrete).
Una serena e disincantata analisi interdisciplinare, che coinvolga esperti in campo fiscale,
giuridico, contabile, economico-finanziario e strategico, ciascuno per le proprie competenze,
può consentire di far emergere ad ampio raggio le problematiche applicative, facendo
emergere interrelazioni spesso recondite e al fine di ricercarne equilibrate soluzioni, con un
sinergico approccio interdisciplinare del quale qui e in altri campi sempre più si sente
l’imprescindibile esigenza.