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Speranza e vocazione produttiva: sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato

Authors:

Abstract

The article recounts the history of hazelnut production in Monferrato and reads the process in the context of socio-economic marginalization experienced by the Italian rural communities. In so doing, it expands the debate about local production specialization highlighting the role played be all the different economic and noneconomic local actors
VOLUME 11 NUMBER 2 DECEMBER 2018 ISSN: 2035 3871
Ratio Sociologica
journal of social sciences:
theory and applications
University “G. D’Annunzio”, Chieti-Pescara
Editor e Direttore Responsabile
Gabriele Di Francesco
Comitato Editoriale
Gabriele Di Francesco, Vincenzo Corsi, Stefano Pasotti,
Sabrina Speranza, Francesco Ferzetti
Segreteria di Redazione
Valentina Savini
Autorizzazione del Tribunale di Chieti n. 4/2009 del 13 luglio 2009
ISSN. 2035-3871
I contributi presentati a «Ratio Sociologica» sono valutati in forma anonima
da studiosi competenti per la specifica disciplina (blind peer review)
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Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara
Volume edito nel novembre 2019
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Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara
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Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione
rurale in Monferrato
di Michele F. Fontefrancesco e Giacomo Balduzzi *
Abstract: The article recounts the history of hazelnut production in
Monferrato and reads the process in the context of socio-economic
marginalization experienced by the Italian rural communities. In so
doing, it expands the debate about local production specialization
highlighting the role played be all the different economic and non-
economic local actors.
Keywords: Hazelnut, Ethnography, Production specialization, Local
Development, Rural Development
Sunto: L’articolo ricostruisce la storia della corilicoltura in
Monferrato, in Piemonte, nel quadro dell’emergente marginalità rurale
del territorio italiano. Ciò facendo, l’articolo offre un contributo per
allargare la discussione circa la nascita delle vocazioni produttive
locali evidenziando il ruolo sinergico dei diversi attori economici e
non economici del territorio.
Parole Chiave: Nocciole, Etnografia, Specializzazione produttiva,
Sviluppo locale, Sviluppo Rurale
* M. F. Fontefrancesco, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche.
G. Balduzzi, Università degli Studi del Piemonte Orientale.
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
1. Introduzione
“Che futuro vuoi cha abbia la nostra agricoltura? Il mais non vale
più nulla; il grano lasciamolo perdere… e la vigna… tra malattie e
tutto il resto è solo una perdita di tempo… l’unica occasione di futuro
che vedo è la nocciola…” Questa frase raccolta nel maggio del 2018 a
latere della XI edizione della Sagra della Nocciola di Lu (AL), la
principale fiera agronomica corilicola del Piemonte Orientale,
l’immediato senso di un sentire diffuso nel mondo agricolo.
L’informatore è un coltivatore diretto di circa sessant’anni, figlio di
agricoltori e proprietario di una azienda agricola che a partire dal 2010
aveva iniziato una progressiva conversione dei propri fondi a nocciola.
La sua esperienza è solo una tra le molte raccolte durante la ricerca
condotta dagli autori tra il 2017 e il 2019 finalizzata a comprendere le
origini e lo sviluppo del comparto corilicolo nel territorio UNESCO
del Monferrato casalese.
L’articolo guarda alla realtà emergente della marginalità rurale del
territorio italiano, ricostruendo la storia del settore ed i processi sociali
che ne hanno dato origine. Così facendo, esso evidenzia come si sia
definita una nuova vocazione produttiva del territorio partendo dalla
collaborazione tra attori economici e non economici e dalla creazione
di una proattiva fiducia da parte degli imprenditori locali verso la
nuova produzione. In tal senso, l’articolo offre un contributo per
allargare la discussione circa la nascita delle vocazioni produttive
locali, superando una visione incentrata unicamente sull’azione delle
aziende produttrici a favore di uno sguardo più ampio ai diversi attori
che creano un territorio e alla base culturale che lega gli imprenditori
al loro prodotto.
2. Vocazioni produttive e distretti industriali
Ormai da quasi un cinquantennio, l’Italia è, più di altre realtà
europee, un territorio privilegiato per la riflessione sociale circa la
nascita e lo sviluppo dei sistemi produttivi locali (Becattini, Bellandi,
& De Propris, 2009b). In particolare, il Paese ha legato questa sua
prominenza a forme di organizzazione produttiva basate sulla
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Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
concentrazione spaziale e la frammentazione imprenditoriale definenti
esperienze di economia di rete che “includes a mix of horizontal
(competitive), vertical (input-output), and diagonal (related services
and instruments) specialised activities.(Becattini, Bellandi, & De
Propris, 2009, p. XVIII). Il modello di distretto industriale, sviluppato
originariamente da Marshall, quindi rielaborato da Becattini (Bianchi,
2009) è stato il modello più comunemente usato per interpretare
queste realtà (Bianchi, 2009; Rabellotti, Carabelli, & Hirsh, 2009;
Ramazzotti, 2008) ed i suoi fondamenti culturali (Blim, 1990, 2005;
Gaggio, 2007; Ghezzi, 2007; Yanagisako, 2002). In particolare, nel
comparto manifatturiero, il modello è stato adottato per evidenziare i
processi di collaborazione e subordinazione che uniscono piccole e
grandi imprese all’interno di un territorio produttivamente
specializzato, nonché per mettere in evidenza, a differenza di altri
strumenti teorici atti a descrivere reti di impresa (e.g. Porter, 1998),
l’importanza del dato di prossimità geografica che lega le imprese e
circoscrive gli areali produttivi specializzati. In questa vicinanza,
infatti, si è riconosciuto uno dei fattori fondamentali capace di creare
le premesse per definire “the nature and quality of the local labour
market, which is internal to the district and highly flexible. Individuals
move from firm to firm, and owners as well as workers live in the
same community, where they benefit from the fact that ‘the secrets of
industry are in the air’.” (Markusen, 1996, p. 299).
Il dibattito scientifico ha più volte interrogato la struttura di queste
realtà territoriali, guardando anche alle possibili origini storiche e
culturali che hanno portato al definirsi di queste specifiche
configurazioni produttive, o più in generale allo sviluppo di specifiche
vocazioni produttive locali. Laddove è indubbia la rilevanza di fattori
geografici specifici capaci di sostenere lo sviluppo di particolari
settori produttivi (Ghezzi, 2007), grande attenzione è stata data
all’azione di singoli imprenditori ed imprese nel creare i presupposti
dell’espansione di una data industria (Gaggio, 2007), la relazione tra
politica ed economia (Blim, 1990), ovvero una particolare cultura
imprenditoriale già viva sul territorio che dal mondo agricolo e pre-
industriale si è traslata per diventare la base dell’ethos imprenditoriale
dell’industria del Novecento (Cento Bull & Corner, 1993;
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
Yanagisako, 2002). La recente crisi del 2008-2009 ha posto altresì
chiaramente in evidenza come un fondamentale elemento di una
vocazione produttiva locale è lo specifico legame affettivo e culturale
che unisce gli operatori del settore al proprio mestiere e al proprio
prodotto (Fontefrancesco, 2016), tanto da far emergere chiaramente
come una crisi è tanto più forte quanto più profondamente è messa in
discussione questa fiducia (Balduzzi, 2017; D'Aloisio & Ghezzi, 2016;
Fontefrancesco, 2013).
La discussione, lungi dall’essere chiusa, presenta, quindi, ancora
chiare domande circa quali siano i processi socioculturali capaci di
portare alla definizione di una vocazione produttiva locale. A tali
domande questo contributo intende rispondere muovendo lo sguardo
dal comparto industriale a quello agricolo del Paese e
contestualizzando l’analisi all’interno della particolare situazione di
crescente marginalità che il mondo rurale sta vivendo al presente,
anche nelle aree più ricche dell’Italia.
3. Marginalità rurale
L’Italia del nuovo millennio, come evidenziato da Bravo (2013), è
una società prevalentemente urbana che sta imparando con molta
difficoltà a fare i conti con l’impatto del costante abbandono del
mondo rurale. Tale processo è in continuo avanzamento e vede
sempre più marcato il dato di marginalizzazione dei centri minori, in
particolare in quelle aree interne collinari e montane che tracciano
l’ossatura geografica della penisola (Borghi, 2017). Il dato dei quasi
8.000 comuni (7960 nel 2017) che punteggiano ancora oggi il
territorio nazionale racconta di un passato di piccole autonomie locali,
di un mondo prevalentemente agricolo e di sussistenza, di comunità
legate tra loro dalla mobilità delle merci ma non delle persone. ; Al
presente questo dato restituisce il segno della progressiva
marginalizzazione delle realtà rurali, soprattutto quando lo si incrocia
con la variabile demografica: al gennaio 2017, il 31% della
popolazione viveva nell’1% dei comuni (i 104 con popolazione
superiore ai 60.000 abitanti), laddove il 17% della popolazione viveva
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Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
nel 70% di essi (i 5536 i comuni con una popolazione inferiore ai
5.000 abitanti).
L’ultimo decennio, in particolare, ha visto un’accelerazione dei
fenomeni di marginalizzazione dei piccoli comuni (Fontefrancesco,
2015), a seguito di uno sviluppo infrastrutturale incentrato sui grandi
centri urbani, al taglio delle risorse pubbliche destinati ai centri
minori, e ad una contrazione più generale dell’economia nazionale. In
questo contesto, per molti centri rurali l’unica “luce alla fine del
tunnel” (Fontefrancesco, 2018b) è stata la capacità di rispondere alla
crescita del settore enogastronomico (Corvo, 2015), diventando mete
attrattive per turisti nazionali ed esteri interessati alle produzioni
tipiche locali e alla ristorazione di eccellenza. Laddove questa
dimensione economica può offrire alcune risposte, in particolare
quando si declina nel segno della sostenibilità (Corvo &
Fontefrancesco, 2019), essa non può essere assunta a nuovo mantra
dello sviluppo locale perdendo di vista dati strutturali che segnano il
presente e la dimensione umana e quotidiana delle trasformazioni che
stanno vivendo il Paese e le sue comunità, quali l’inarrestata erosione
demografica, l’invecchiamento della popolazione, il conseguente
arretramento del paesaggio antropizzato (IFEl, 2014). In particolare, il
rinnovato dinamismo enogastronomico non sembra dare risposte
chiare alla crisi evidente dei settori tradizionali agricoli italiani,
segnati in un decennio dal crollo del prezzo del frumento (da circa
500€ nel giugno 2007 a poco più di 230 euro/tonnellata nel giugno
2019, dati: Borsa Merci Telematica Italiana) e la stagnazione del mais
(nel giugno del 2019 venduto allo stesso valore del giugno 2007,
attorno i 170 euro/tonnellata). Nuovi settori come il biologico e
biodinamico, hanno garantito prezzi alla vendita maggiori agli
agricoltori e progressivamente aumentato la superficie destinata alla
loro coltivazione, senza però riuscire effettivamente a rappresentare
un’alternativa viabile per il mondo agricolo (Darnhofer, D'Amico, &
Fouilleux, 2019).
In questo contesto complesso e incerto, a dispetto di quanto può
suggerire una certa retorica pubblica atta a celebrare la partecipazione
del mondo giovanile al comparto, i dati dell’ultimo Censimento
dell’Agricoltura 2010 ci riportano ancora un quadro complessivo di un
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
comparto che stenta ad attrarre nuove generazioni e soprattutto vive in
maniera evidente e drammatica il processo di senilizzazione in
particolare nel comparto della coltivazione (Cagliero & Novelli,
2012). Si è venuto, quindi, a creare un circolo vizioso pericoloso per il
campo dello sviluppo rurale, che combina riduzione dei profitti,
invecchiamento e impoverimento, delineando un orizzonte quotidiano
che reitera passati modelli produttivi e risulta incapace di attivare lo
spazio e le risposte necessarie per innescare nuovi investimenti,
ovvero, di offrire agli operatori un orizzonte positivo e non di
abbandono (Fontefrancesco, 2019).
4. Tra apocalisse e speranza
L’orizzonte del mondo agricolo è segnato negativamente da
fenomeni di erosione socioeconomici e culturali. In tal senso, il
mondo rurale appare essere anch’esso soggetto di quel più generale
“apocalyptic turn” (Lynch, 2012) che affligge segmenti ampli della
società occidentale obbligando tanto a domande circa la
sopravvivenza delle forme socioeconomiche che hanno percorso il
recente passato, quanto a interrogativi circa il futuro e le strategie
necessarie per superare la marginalità vissuta nel presente. È, quindi,
uno scenario che chiaramente mette al centro della quotidianità il tema
della speranza, dell’attitudine proattiva e generativa al domani
(Lempert, 2018).
Miyazaki (2004), sviluppando il suo approccio sulla base degli
insegnamenti filosofici di Bloch, ha suggerito di guardare alla
speranza non tanto come a un sentimento, ma come a uno specifico
terreno di indagine etnografica che corrisponde a un metodo
individuale e collettivo di radicale riorientamento conoscitivo
attraverso cui il futuro è prefigurato e quindi sono messe in moto
azioni atte alla sua concretizzazione. La speranza appare, quindi, uno
dei processi fondamentali attraverso cui non solo una comunità viene
a determinarsi (Parla, 2019; Schiffauer, 2019), ma attraverso cui un
territorio ed un paesaggio vanno a disegnarsi, superando la possibile
incertezza del presente.
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Da ampia parte del dibattito proprio della sociologia e
dell’antropologia economica (Carrier, 2005; Clammer, 2012; Hann &
Hart, 2009; Hart, Laville, & Cattani, 2010; Spyridakis, 2018) è stata
sottolineata la necessità, nell’analisi dell’impresa e del mercato, di
superare una visione dogmaticamente economicista. Tale superamento
consente di recuperare la dimensione umana ed esperienziale
dell’azione economica, dare centralità alla speranza e più
generalmente all’orizzonte di ordinari affetti (Stewart, 2007) vissuti
dalle comunità e permette di esplorare compiutamente lo sviluppo di
un settore produttivo contestualizzandolo all’interno di quella foresta
di simboli e significati propria della visione del mondo e della prassi
della comunità. Allo stesso tempo, una visione più ampia del
fenomeno economico obbliga ad estendere l’analisi a tutti i diversi
soggetti coinvolti nella definizione di un settore produttivo, nonché ai
legami tra la “vita istituzionale” e tutte quelle “risorse d’identità
collettiva di natura culturale, simbolica e cognitiva” (de Leonardis,
2001: 57) che concorrono a costruire quella che molti studi
nell’ambito delle scienze sociali definiscono “identità economica”
(Pichierri, 1998; Salais, Storper 1993; Hoekveld, 1993), declinabile a
diversi livelli territoriali.
5. La corilicultura in Monferrato
Su questa base, la ricerca prende quale oggetto di analisi lo
sviluppo della corilicultura in Provincia di Alessandria, interrogando
le cause e soprattutto il rapido sviluppo di questo nuovo settore
produttivo che oggi ha assunto un ruolo preminente a livello
paesaggistico ed economico (Cevasco, 2013)
La corilicoltura si colloca all’interno di una filiera agroindustriale
legata al settore dolciario, con una produzione mondiale, stimata nel
2015, di approssimativamente 1.000.000 t. L’Italia è il secondo Paese
produttore, dopo la Turchia, con una produzione di 125.000 t, pari al
12% del totale. La coltura si lega storicamente a quattro regioni:
Campania (45.000 t), Lazio (55.000 t), Piemonte (20.000 t) e Sicilia
(10.000 t). Tra 2006 e 2015, la corilicoltura ha visto una complessiva
crescita (da 69.685 h del 2006 ai 79.951 h del 2015), trainata dal
Piemonte (+41% estensione, +70% produzione) ed in particolare della
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
provincia di Alessandria (+.515% estensione; +565 % produzione)
(Pansecchi, 2018). La tab. 1 evidenzia questo trend:
Tabella 1: sviluppo recente della corilicoltura in Italia
(Pansecchi, 2018)
Il successo del caso piemontese è strettamente legato alla cultivar
tipica del territorio, la Tonda Gentile del Piemonte: una varietà,
tutelata con marchio di Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.), il cui
frutto è a forma tonda, facile da sgusciare e spellabile, con una resa
elevata (attorno al 50% del peso lordo), con una buona conservabilità
e con un gusto delicato ma marcato che ne ha fatto il prodotto di
riferimento nel campo della pasticceria e della cioccolateria. La
Nocciola del Piemonte I.G.P., secondo l’ultimo rapporto curato da
Ismea e Fondazione Qualivita, è il terzo prodotto ortofrutticolo
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Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
certificato italiano per volumi di fatturato dopo le due denominazioni
delle Mele del Trentino (Alto Adige e Val di Non). I dati più recenti
segnano una notevole crescita sia della produzione, passata da 4.850
tonnellate nel 2016 e 6.186 nel 2017, sia dei ricavi, arrivati a 17
milioni di euro nel 2016 e ulteriormente cresciuti a 22 milioni nel
2017 (Ismea - Fondazione Qualivita, 2019: 28).
In particolare, i dati della tabella evidenziano non solo il successo
della regione e della sua cultivar, ma soprattutto della rapida
espansione della coltura nella provincia di Alessandria e
specificatamente nel Monferrato casalese, areale collinare posto nella
parte Nord-Occidentale della provincia. A partire dagli anni Novanta,
con l’insediamento della prima azienda agricola interamente
specializzata nella produzione corilicola (Ghiardo & Fontefrancesco,
2017), nel corso degli ultimi due decenni, questo è stato il principale
teatro di espansione e radicamento di questa coltivazione,
contribuendo sostanzialmente all’affermazione del territorio quale
centro di produzione nazionale.
6. La ricerca
La fase empirica della ricerca si è sviluppata tra giugno 2017 e
luglio 2018 e ha voluto tratteggiare il profilo del successo di
quest’innovazione agricola e soprattutto la percezione che ad essa si
lega tanto nel mondo agricolo quanto più in generale all’interno della
società locale. A tal fine, il lavoro sul campo ha combinato una ricerca
documentale atta a tratteggiare la storia e lo sviluppo di questo
fenomeno. Sulla base dei dati di matrice storico-economica, è stata
condotta durante l’intero periodo della ricerca una campagna di
interviste in profondità con operatori del settore, esponenti delle
associazioni di categoria e amministratori pubblici monferrini.
Complessivamente sono stati intervistati 32 imprenditori agricoli, 8
funzionari di associazione e 27 amministratori locali, offrendo una
prima base di conoscenza per l’interpretazione del fenomeno. A fianco
a ciò è stata condotta durante l’intera durata della ricerca,
l’osservazione partecipante condotto all’interno delle istituzioni
comunali del territorio che ha visto uno degli autori direttamente
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
coinvolto nella creazione del Tavolo tecnico intercomunale sulla
corilicoltura, promosso dal Comune di Lu e a cui aderirono altri 15
comuni del territorio.
La ricerca sul campo è stata svolta dai due autori congiuntamente.
La stesura del presente articolo rielabora ed espande quanto presentato
da M.F. durante la IX ed. del convegno internazionale Ratio
Sociologica, nella comunicazione “Sviluppo rurale e nuove tipicità.
Nocciole, gastronomia e patti di filiera nel territorio alessandrino”. In
particolare, M.F. ha sviluppato i paragrafi 3, 4, 7, 9, 10 e 12, laddove
il contributo di G.B. si è focalizzato nei paragrafi, 2, 5, 6, 8, 11 e 13.
7. Creare un legame
“Quando ero giovane nessuno avrebbe pensato alle nocciole. Tutti
ne avevamo una pianta o due vicino casa, per farne dolci
nell’autunno, ma produrre nocciole… no!?! Questa non è la storia del
nostro territorio.” Luigi, cinquantenne agricoltore di uno dei paesi
monferrini core-zone del territorio UNESCO “Paesaggi vitivinicoli di
Langhe Roero e Monferrato” (https://www.paesaggivitivinicoli.it/),
commentava così a latere delle XII Sagra della nocciola di Lu nel
2018. Aveva deciso di partecipare all’evento, spinto da alcuni amici,
anche loro agricoltori del territorio, che negli ultimi cinque anni
avevano progressivamente convertito parte delle loro aziende alla
produzione corilicola. Incuriosito alla scelta fatta, Luigi aveva deciso
di venire a Lu il 19 maggio ad assistere all’evento che, a dispetto del
nome che richiama la realtà di un festival gastronomico
(Fontefrancesco, 2018a), rappresenta il principale appuntamento agro-
tecnico della provincia di Alessandria dedicato al settore. A tale
evento partecipano ogni anno aziende produttrici e ricercatori da
tutt’Italia per discutere delle sfide e delle opportunità della
corilicultura.
Lo scetticismo di Luigi, e come lui numerosi altri intervistati, si
legava alla storia stessa della nocciola nel territorio: una storia di
sostanziale marginalità agricola. Infatti, ancora negli anni ’50 del
Novecento, in Provincia di Alessandria si censivano una ventina di
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Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
ettari di noccioleti, tutti questi localizzati nella parte sud-occidentale
della provincia, laddove erano la viticultura, la cerealicoltura e la
produzione d’ortaggi a rappresentare il centro della produzione
agricola provinciale (Romisondo, 1968: 88). La storia della
corilicoltura nel territorio piemontese è una storia principalmente
novecentesca che si lega al territorio collinare della Langa (Adua,
2002), trainati dal successo della Ferrero, quindi, la produzione si
sviluppa allargandosi in tale territorio rapidamente nel corso del
dopoguerra avendo i comuni di Alba e di Cortemilia quali principali
centri economici (Garnero, Godone, Garbarino, & Godone, 2012). In
tal senso, il sud della Provincia di Alessandria, rappresenta l’ideale
ultima propaggine di questo primo areale produttivo. Primi segnali, sia
pure circoscritti alla stimolazione di un dibattito, di interesse da parte
del territorio provinciale alla corilicoltura, compaiono già verso la fine
degli anni Sessanta del secolo scorso, quando, in una pubblicazione
promossa dall’Amministrazione Provinciale di Alessandria (1968), si
parla della coltivazione del nocciolo come di una possibile fonte di
reddito per le aree agricole, possibilmente strategica per fermare lo
spopolamento delle campagne.
Nonostante queste aperture provenienti dal mondo politico-
istituzionale, nel nord della provincia di Alessandria, specificatamente
nel Monferrato, la nocciola ha occupato spazi sostanzialmente
interstiziali fino ad un recente passato, venendo utilizzata unicamente
per l’autoconsumo. A partire dagli anni Novanta del Novecento, la
coltura si attesta, spinta dall’intraprendenza di un’azienda luese, la
Corilu (www.corilu.it), e dai suoi soci, interessati a diversificare l’uso
dei propri terreni visto la progressiva crisi del comparto vitivinicolo e
cerealicolo e soprattutto interessati ai sostanziali guadagni garantiti da
questa coltura nel territorio della Langa (Ghiardo & Fontefrancesco,
2017). L’esperienza della Corilu è pioniera nel territorio e si lega sin
nei primi anni ad una fitta rete di collaborazioni con diversi atenei
italiani e attingendo alle esperienze maturate all’interno del mondo
associativo agricolo, portando alla sperimentazione di nuove tecniche
agricole (e.g. coltivazione ad alberello e non a cespuglio della pianta)
che segnano lo sviluppo della coltura nel territorio.
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
8. Una questione di risorse
L’esempio della Corilu rimase però per oltre un lustro un
esperimento isolato. Come spiegato dal presidente dell’azienda,
Ferdinando Trisoglio, in un’intervista raccolta nel febbraio 2018: “Per
anni gli altri ci guardavano come fossimo dei folli ad investire nella
nocciola. Ancora più ‘strani’ perché avevamo sin da subito iniziato ad
innovare in meccanizzazione e tecniche agricole. Siamo stati i primi a
credere nella cultura ad alberello, per esempio, e ora ogni anno
sperimentiamo macchinari nuovi sviluppati con le aziende del settore.
Ci sono voluti i primi risultati concreti per far cambiare attitudine.”
Un noccioleto di Tonde gentili del Piemonte impiega
indicativamente cinque anni per entrare in produzione a fronte di una
vita media di venti-venticinque anni: un orizzonte temporale simile a
quello della vite e similmente a tale coltura obbliga le aziende a un
sostanziale investimento iniziale a fronte di un ritorno economico di
medio periodo.
Tabella 2: Prospetto dei costi di impianto e dei ricavi provenienti
dalla corilicoltura in Monferrato (Pansecchi, 2018)
Raffrontarsi a quest’orizzonte diventa per un’azienda ed un
imprenditore una scelta importante, riassumibile con le parole di uno
degli informatori: “Per iniziare con la nocciola devi fare un salto
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Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
della fede… sperando di non farti del male.” La tabella 2, fornita da
Coldiretti su dati di mercato del 2015 offre un prospetto ideale dei
costi di impianto e dei ricavi offerti dalla corilicoltura in Monferrato.
9. La sicurezza del mercato
È quest’incertezza di guadagni immediati unito alla novità ad aver
scoraggiato nuovi impianti nei primi anni Duemila. “Io ho sempre
coltivato la vigna… perché dovevo inventarmi nocciolaio? E a chi
vendevo le nocciole? Mica sono uno scoiattolo che me le mangio! Non
mi sono fidato a piantare nocciole, a comprare attrezzatura, a
cambiare fintanto che non ho visto chiaramente uno sbocco per i miei
prodotti”. La testimonianza raccolta in Valcerrina, da un imprenditore
cinquantenne, conferma la preoccupazione di fondo legato
all’innovazione agricola, ma soprattutto ad una fondamentale
difficoltà vista nell’affrontare il mercato corilicolo. Se, da un lato, la
produzione agricola si basa preminente su di una domanda industriale
di materia prima, le grandi aziende acquirenti si sono generalmente
basate, nel loro approvvigionamento, sul rapporto diretto con alcuni
grossisti e trasformatori specializzati. A questi ultimi il compito di
interfacciarsi con i piccoli agricoltori, collettare le produzioni,
stoccare e alla bisogna sgusciare le nocciole da conferire all’industria.
Il contatto diretto tra azienda agricola e industria di trasformazione è
stato per diversi decenni limitato, creando un mercato basato su un
fondamentale squilibrio di potere contrattuale tra aziende produttrici e
grossisti, tali da rendere il mercato limitatamente vantaggioso per
l’ingresso di nuove realtà.
L’innovazione principale rispetto a questo sistema avvenne nel
2010 con la creazione del primo patto di filiera della Novi. L’azienda,
una delle maggiori realtà italiane nel campo della produzione di
cioccolato e creme spalmabili, è parte del gruppo Elah Dufour Novi,
con sede operativa a Novi Ligure (AL). Il 20 luglio 2010, con
Coldiretti, sottoscrisse il primo patto di filiera della nocciola che
garantiva in esclusiva all’azienda, le nocciole in guscio del raccolto
2010, per una quantità di circa 800-900 quintali, in funzione della
produzione dell’annata.
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Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
Seppure ancora limitato rispetto alle potenziali quantità e
implicazioni, il primo patto di filiera rappresentava una fondamentale
risposta all’incertezza di molti coltivatori, offrendo la garanzia di uno
sbocco di mercato del proprio prodotto, senza dover ricorrere
all’intermediazione di grossisti, quindi una garanzia del prezzo.
“Quando ho capito che non ci avrei perso, mi sono detto, perché
non tentare? Ho iniziato con un paio di ettari. Se avevo problemi,
chiedevo in associazione [Coldiretti Alessandria] e mi dicevano cosa
fare. Oggi metà della mia terra la uso per far nocciole e sono
contento della scelta.” L’esperienza dell’informatore è un esempio del
costruirsi di un legame tra produttori e prodotto che passa non tanto da
una storicità della produzione, quanto dal rafforzarsi di un’idea di
domani garantita da un lato dall’accesso all’informazione e dell’altro
da una sicurezza della vendita.
A partire dalla prima esperienza del 2010, l’Elah Dufour Novi in
collaborazione con le federazioni provinciali di Coldiretti di
Alessandria e Asti, ha implementato il proprio patto di filiera
promuovendo, nel 2016, la creazione di una cooperativa di
conferimento, Monferrato Frutta, deputata alla raccolta e al
conferimento della materia prima all’azienda novese. Sulla base dei
conferimenti, la cooperativa, partecipata da tutti i corilicoltori aderenti
al patto, ha quindi il compito di retribuire i soci sulla base del risultato
di vendita e la qualità del prodotto conferito, senza aggravare i
coltivatori di ulteriori costi di intermediazione. Il prodotto viene poi
conferito all’azienda acquirente già sgusciato, servendosi di un
fornitore di fiducia per il servizio. L’accordo del 2016, di durata
triennale, ha visto la partecipazione di 100 corilicoltori, per 300 ettari
totali, garantendo un conferimento di almeno 3000 quintali di prodotto
all'anno. Nel 2019, l’accordo è stato rinnovato fino al 2023. La
stabilità che tali accordi stanno andando progressivamente a creare
rappresenta una chiave fondamentale per il radicarsi della coltivazione
sul territorio e la sua crescita futura. Attraverso una relativa sicurezza
da parte dei produttori agricoli nei confronti della solidità di questo
prodotto, infatti, si può contrastare la tendenza di molti di essi a
“inseguire” l’instabilità dei prezzi dei prodotti agricoli sul mercato.
Sono in molti gli informatori che segnalano il rischio di un effetto-
111
Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
bolla, creato proprio dal meccanismo della volubilità dei prezzi sul
mercato: “Gli agricoltori ormai decidono in base ai listini della Borsa
Merci: in questi anni i prezzi delle nocciole sono saliti e quindi molti
hanno investito in questo prodotto, ma non possono crescere in eterno
[…]quando i prezzi caleranno, molti abbandonino la cultura, alla
ricerca di qualche prodotto che offra più rendimenti”, afferma un
agronomo intervistato.
10. Strutturarsi
Introdotta, quindi, come nuova coltura, la corilicoltura nell’arco di
meno di venti anni ha assunto un ruolo fondamentale per l’economia
agricola del territorio e la sua conformazione. Per le aziende ha in
primo luogo richiesto una diversificazione produttiva, quindi una
nuova specializzazione. “Per essere vincente la coricoltura nel nostro
territorio deve essere affrontata non come un hobby. Si è sempre
pensato che i noccioli fossero piante selvatiche che non richiedono
cura. Non è così: servono trattamenti e macchinari; serve conoscenza
del prodotto e della pianta., spiega da un agricoltore di San
Salvatore M.to. Al di dei costi di impianto, infatti, la gestione dei
noccioleti richiedono specifici macchinari per permettere la necessaria
meccanizzazione della produzione: raccoglitori, tagliaerba, diffusori,
trattori, etc. Gli agricoltori intervistati hanno evidenziato una spesa
approssimativa di 30-50.000 euro di equipaggiamenti necessari per la
conduzione in proprio dei propri terreni: un investimento sostanziale
portato avanti solo da alcuni dei coltivatori, preferendo gli altri,
generalmente con piccoli appezzamenti, affidare le lavorazioni ad
aziende contoterziste del territorio. Ad esclusione di Corilu, non sono
presenti altre cooperative di produzione, confermando il dato della
frammentarietà agricola e della mancanza di integrazione
imprenditoriale già emerso nel censimento del 2010. Ad oggi, Corilu
è, inoltre, l’unica azienda ad avere iniziato un percorso di espansione
nel senso della trasformazione del prodotto, avendo a partire dal 2015
investito nella creazione di linee di sgusciamento, tostatura e
trasformazione del prodotto in creme od altro semilavorato,
delineando un’ulteriore futura prospettiva per le aziende del territorio,
112
Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
basata su una progressiva integrazione ed estensione a valle della
filiera.
11. Allargare la discussione
L’espansione della corilicoltura si è legata in primo luogo ad
un’azione mossa dal mondo produttivo, supportati dalle associazioni
di categorie, in particolare Coldiretti Alessandria, che nel processo
hanno avuto il ruolo da un lato di costruire una base di conoscenza
condivisa tra gli agricoltori; dall’altro di riuscire a supportare la
creazione e implementazione del patto di filiera. L’azione
dell’associazione non si è limitata, però, al coinvolgimento degli attori
economici, allargando la discussione agli enti locali, comunali e
provinciali.
L’attenzione verso il mondo istituzionale è stata altresì evidenziata
dal gruppo Elah Dufour Novi. In particolare, a partire dal 2016,
l’attenzione dell’azienda si è espressa nella diretta sensibilizzazione
dei sindaci dei comuni collinari del Monferrato alessandrino ed
astigiano, attraverso visite organizzate allo stabilimento e incontri
pubblici tra i quadri dirigenti del gruppo e gli amministratori locali.
A fronte di queste sollecitazioni e del crescente interesse verso il
settore da parte del mondo agricolo, la discussione ha coinvolto
direttamente gli amministratori locali, al di fuori di momenti pubblici,
quali quelli della Sagra della Nocciola di Lu, ovvero di altri eventi
pubblici (e.g. la Fiera della Nocciola di Gabiano). Da notare, infatti, la
creazione di un tavolo tecnico intercomunale promosso dai comuni di
Lu e Gabiano che ha coinvolto oltre trenta comuni collinari del
Monferrato e del valenzano in una serie di incontri di riflessione ed
approfondimento legato ai temi dello sviluppo urbanistico e di quello
economico del territorio nell’ottica della promozione di questa nuova
vocazione produttiva locale.
12. Un modello di innovazione
Si può notare come nell’arco di neppure due decadi, il Monferrato
abbia aggiunto una nuova identità produttiva, entrata a pieno titolo
113
Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
all’interno del dibattito politico locale e riconosciuta ormai come una
delle principali vocazioni produttive locali. Tratto accomunante tanto
della quotidianità degli agricoltori locali, quanto del mondo delle
imprese e delle istituzioni, è il riconoscere ad oggi nella nocciola
un’opportunità. Questo intendimento mostra un’avvenuta
trasformazione che ha portato, di fronte alla silenziosa ma tangibile
crisi dell’agricoltura alessandrina, ad un riorientamento della
conoscenza (Miyazaki & Riles, 2005) tanto degli operatori economici
quanto del vasto pubblico. In questo processo, l’oggetto capace di
focalizzare l’attenzione e di creare una visione di futuro è stata la
nocciola che nel trascorrere di un decennio è diventata da bizzarria dei
pochi, a identità del territorio.
Questo processo vede al suo centro, indubbiamente, l’azione delle
singole aziende ed imprenditori. Laddove la corilicultura si è mossa e
strutturata grazie all’imprenditoria privata, le singole aziende sono gli
attori primi del radicamento di una pratica produttiva in un territorio.
Assieme alle aziende agricole, l’altro attore economico a svolgere
un ruolo centrale è stato il gruppo Elah Dufour Novi che attraverso i
suoi patti di filiera ha dato risposta sostanziale alle preoccupazioni
legate all’ingresso del mercato da parte dei diversi operatori. Di fronte
alle possibili preoccupazioni da parte degli agricoltori di riuscire a
trovare un reale sbocco di mercato ai propri prodotti, il patto di filiera
ha rappresentato un agile strumento a cui aderire avendo la garanzia di
uno sbocco di mercato, una sostanziale certezza del prezzo di vendita,
e la presenza di ulteriori meccanismi incentivanti e premializzanti. In
tal senso, la presenza stessa di tale strumento ha lenito le
preoccupazioni legate ad un investimento di medio-lungo periodo
rendendo più plausibili stime e previsioni offerte da esperti e colleghi,
dando speranza e visione.
Per comprendere pienamente il processo di effettivo sviluppo del
fenomeno è necessario allargare la riflessione, riconoscendo il ruolo
svolto delle associazioni di categoria agricole, in primo luogo
Coldiretti Alessandria. Esse hanno una funzione infrastrutturale che si
sviluppa su più livelli. In primo luogo, vi è un livello socioculturale, in
quanto attraverso i propri eventi e tecnici offrono informazione,
educazione e aggiornamento agli agricoltori, costruendo un capitale
114
Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
prima d’allora inesistente localmente. Attraverso i propri eventi,
incontri ed iniziative, le associazioni hanno costruito capitale sociale
per le imprese, dando modo ai corilicoltori di incontrarsi e collaborare.
In secondo luogo, vi è un livello economico, poiché, come abbiamo
visto, Coldiretti ha avuto un ruolo fondamentale per la creazione di
opportunità economiche capaci di mettere in moto un processo
socioeconomico rilevante, facilitando e offrendo garanzie necessarie
per la creazione di un patto di filiera tra i produttori e l’azienda Elah
Dufour Novi
In questo quadro, le istituzioni pubbliche hanno avuto un ruolo solo
limitatamente attivo nel consolidare questa vocazione produttiva. In
particolare, si può indubbiamente riconoscere come esse non abbiano
rallentato il fenomeno, fornendo puntuale supporto a specifiche
iniziative proprie del mondo agricolo. Inoltre, l’interesse stesso degli
amministratori e tecnici comunali locali verso le prospettive offerte
dalla coltura e dai patti di filiera e l’apertura di discussioni circa il
supporto a tale settore suggeriscono un’azione periferica ma positiva
nel consolidare una nascente vocazione a livello più ampio di
comunità.
13. Territorio e coralità produttiva
Complessivamente la ricerca presenta un caso utile per
approfondire il ragionamento circa la nascita e sviluppo di una identità
economica territoriale, in grado di consolidare e sviluppare una
determinata vocazione produttiva. In particolare, nell’analisi storico-
sociale dei distretti industriali si è messo in evidenza la centralità dei
rapporti tra imprese del territorio, legati da a mix of horizontal
(competitive), vertical (input-output), and diagonal (related services
and instruments) specialised activities. (Beccatini et al. (2009a, p.
XVIII), ovvero delle istituzioni nazionali e locali, legando la nascita
dei distretti, quindi il formarsi di una vocazione locale, all’azione di
singoli imprenditori-innovatori capaci di insediare nuove culture
produttive in loco e da agire quali leader territoriali propositivi di una
transizione, ovvero ad una meno definita pluralità di lavoratori capaci
di creare, grazie alla particolare configurazione del mercato del lavoro
115
Ratio Sociologica, volume 11, n. 2, 2018, pp. 97- 120
locale, una coscienza e conoscenza condivisa (Markusen, 1996, p.
299).
Il caso del Monferrato e del suo rinnovato dinamismo in chiave
corilicola ci riporta ad un livello maggiore di complessità.
In primo luogo, infatti, la coralità produttiva del luogo (Becattini,
2015) emerge soprattutto a partire da iniziative individuali e
apparentemente isolate e indipendenti tra loro, che però a un certo
punto trovano valore e significato nella loro integrazione all’interno di
una precisa collaborazione che si sviluppa tanto a livello economico e
di mercato quanto all’interno di altre dimensioni.
In secondo luogo, appare chiaro che il processo innovativo sin dal
suo principio trae linfa e forza da mondi, forze produttive e forme di
solidarietà associative che facevano già parte del patrimonio che
quelle comunità hanno accumulato negli anni, anche in termini di
capitale sociale e potenziale di cooperazione tra gli attori locali. Si può
dire, riprendendo le teorie di Granovetter (1973), che la
trasformazione economica è intrinsecamente embedded nel territorio e
che il suo sviluppo storico si basa sull’attivazione di legami, deboli e
forti, già presenti nella società locale. Sotto questo profilo, la spinta
fondamentale che ha fatto che i legami territoriali preesistenti
potessero essere riattivati attorno a una “coralità produttiva del luogo”
del tutto inedita, mai vista né immaginata prima d’ora, è rappresentata
soprattutto da un cambio di attitudine tra molti piccoli produttori.
Questi sono stati capaci di rileggere, grazie alla nocciola, il proprio
territorio da territorio destinato alla marginalità a orizzonte di
opportunità su cui investire e attivarsi, agendo in chiave sia
individuale sia collettiva. In altre parole, questi attori locali hanno
riconosciuto nella nocciola la speranza di una possibile via di crescita
e benessere per il proprio territorio e questa stessa speranza è stata
generatrice di identità, risorse cooperative, capacità di visione del
futuro e di innovazione.
14. Conclusioni
L’articolo ha voluto ricostruire il processo socioeconomico di
radicamento della corilicoltura in Monferrato (AL). Ciò facendo, ha
messo in evidenza come il processo di innovazione non coinvolga solo
116
Fontefrancesco M.F., Balduzzi G., Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizzazione rurale in Monferrato
ed esclusivamente attori economici, bensì possa essere letto come
processo corale in cui attori diversi, all’interno e all’esterno del
mercato contribuiscono a costruire una nuova visione del territorio e
delle sue possibilità. Tale trasformazione passa attraverso la rilettura
delle possibilità offerte da una particolare coltura, capace di offrire
risposte ai bisogni delle aziende e al senso di marginalizzazione
vissuto dal comparto agricolo. In particolare, si va evidenziando come
le opportunità vengono a costruirsi storicamente, sulla base di una
crescente partecipazione di diversi attori al processo.
L’analisi del caso presentato apre nuove domande circa i processi
di innovazione territoriale. Laddove l’articolo mette in evidenza come
venga a costruirsi la speranza verso un settore e come attraverso tale
proattiva speranza si venga a radicare l’esperienza territoriale, le
domande sono rivolte alla possibile durata di questa attitudine, nonché
alle forme del necessario equilibrio tra aspettativa, crescita e
sostenibilità della crescita stessa del settore.
Molte delle risposte a questi quesiti non si possono trovare
muovendosi per le colline tra le quali si è svolta questa ricerca, poiché
attengono anche e soprattutto a fenomeni su scala globale.
Ciononostante, l’indagine svolta ha dimostrato che la recente rapida e
consistente diffusione della corilicultura nel Monferrato non ha
radicalmente mutato solo il paesaggio, ma anche il tessuto sociale,
economico e istituzionale di queste terre. Difficilmente, dunque,
questo territorio si comporterà da spettatore passivo degli eventi che
influenzeranno in futuro i cambiamenti dei mercati, dell’industria e
delle scelte politiche che riguarderanno il futuro della nocciola. I
produttori, le associazioni e tutte le istituzioni coinvolte nella filiera,
che hanno iniziato un percorso che li ha progressivamente abituati a
muoversi come un soggetto corale, difficilmente abbandoneranno il
percorso intrapreso.
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132
Ratio Sociologica, ISSN: 2035 3871, volume 11, n. 2, 2018
Contents
G. Commito
Finale di Politica?
Democrazie all’ombra dello scacco
Pag.
5
C. Diodati
Le folle di Gustave Le Bon
»
27
C. S. Pasotti
Razionalità, diritto e agire
comunicativo: verso una democrazia
deliberativa
»
45
S. Speranza
Terzo Settore: quando l’agire indivi-
duale è comunicativo fonda e
consolida aiuto e rigenerazione
sociale
»
65
M. F.
Fontefrancesco
Speranza e vocazione produttiva:
sviluppo corilicolo e marginalizza-
zione rurale in Monferrato
»
97
G. Di Francesco
Giovani e smart-society. Stili di vita
giovanili e rischio di dipendenze
tecnologiche
»
121
Scientific Committee
Anton Adamut
University Al. I. Cuza of Iasi (Romania)
antonadamut@yahoo.com
Reza Ameri
University of Teheran (Iran)
rez_ameri@vahoo.com
Alban Bouvier
University of Aix-Marseille (France)
bouvier.aIban@wanadoo.fr
Luciano Basile
University of Napoli (Italy)
lubasile@unina.it
Franco Blezza
University of Chieti-Pescara (Italy)
francoblezza@alice.it
Christer Carlsson
IAMSR, Abo Akademi University (Finland)
Christer.Carlsson@abo.fi
Costantino Cipolla
University of Bologna (Italy)
costantino.cipolla@unibo.it
Roberto Cipriani
University of Roma 3
rciprian@uniroma3.it
Piergiulio Corsini
University of Udine (Italy)
corsini2002@vahoo.com
Salvador Cruz
University of Almeria (Spain)
scruz@ual.es
Livia D'Apuzzo
University of Napoli (Italy)
liviadap@unina.it
Bai Kishan Dass
University of Delhi (India)
dassbk@rediffmail.com
PatrikEklund
University of Umea (Sweden)
peklund@cs.umu.se
Mario Fedrizzi
University of Trento (Italy)
mario.fedrizzi@unitn.it
Luigi Frudà
University of Roma "La Sapienza" (Italy)
luigi.fruda@uniromal.it
Nicu Gavriluta
University Al. I. Cuza of Iasi (Romania)
nicolas@uaic.ro
Cecilia Hita
University of Granada (Spain)
cehita@upr.es
Sarka Hoskova-Mayerova
University of Defence, Bmo (Czech Rep.)
sarka.hoskova@unob.cz
Janusz Kacprzyk
Polish Academy of Sciences, Warsaw (Poland)
Janusz.Kacprzvk@ibspan.waw.pl
Julien Robert Kast
Instìtut Francais de Pondichéry, Pondicherry, (India)
robert.kast@ifpindia.org
Onder Koklu
Università Adiyaman, Turchia
onderkoklu@hotmail.com
Violeta Leoreanu
University Al. I. Cuza of Iasi (Romania)
leoreanu2002@yahoo.com
Carlo Mari
University of Chieti - Pescara (Italy)
c.mari@unich.it
Pilar Martos
University of Granada (Spain)
pmartos@uer.es
Mario Morcellini
University of Roma "La Sapienza" (Italy)
mario.morcellini@uniroma1.it
Hannu Nurmi
University of Turku (Finland)
hannu.nurmi@utu.fi
Riccardo Ottaviani
University of Roma "La Sapienza" (Italy)
riccardo.ottaviani @uniroma 1 .it
Araceli N. Proto
University of Buenos Aires (Argentina)
aproto@fi.uba.ar
Nicolae Rambu
University Al. I. Cuza of Iasi (Romania)
nikolausrambo@yahoo.de
Calin Sinescu
Christian University "Dimitrie Cantemii", Bucharest (RO)
sincalin7@yahoo.com
Massimo Squillante
University of Sannio (Italy)
squillan@unisannio.it
Ioan Alexandru Tofan
University Al. I. Cuza of Iasi (Romania)
ioantofan@yahoo.it
Aldo G.S. Ventre
Second University of Napoli (Italy)
aldoventre@yahoo.it
Thomas Vougiouklis
Democrituss University of Trace (Greece)
tvougiou@eled.duth.gr
Ronald R. Yager
Iona College New Rochelle , NY (USA)
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Cristina Ispas
Universitatea "Eftimui Murgiu" Reşiţa (RO)
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A. Constantin
Universitatea "Eftimui Murgiu" Reşiţa (RO)
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Ratio Sociologica
Department of Business Administration
Università G. D'Annunzio, Campus Universitario, via dei Vestini, 31,
66100, Chieti, Italy
... The presence of rapeseed exemplifies the impact of the European agricultural policy of incentives. Tree crops such as hazel, on the other hand, are the main countermeasure to the ever-advancing woods [33]. ...
... The 2016 agreement lasted for 3 years and involved 100 cultivators, 300 hectares, and at least 3000 quintals of hazelnuts per year. In 2019, the agreement was renewed until 2023 [33]. ...
Article
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This article investigates the modes and forms of knowledge underpinning farming entrepreneurship through an ethnographic case study of Alessandria province in NW Italy. It shows that farming entrepreneurs base their decisions on explicit and implicit knowledge encompassing forms of knowledge linked to the environment where they live, their trade, the characteristics of their firms, issues concerning their family and private life, and even the emotions linked with their surroundings. All these forms of knowledge inform their vision of their future and guide them in their choices in terms of investments and crop selection. Accordingly, the article argues that farming entrepreneurship is embedded in the locale.
... Questo contributo nasce dal lavoro portato avanti nel Nord del Paese, tra Alto e Basso Monferrato: un'ampia regione collinare che si estende nel triangolo fluviale di Tanaro, Bormida e Po: una regione forte in passato per la sua viticultura e che oggi cerca un nuovo futuro tra nocciole (Fontefrancesco &Balduzzi, 2018) e turismo enogastronomico (Fontefrancesco, 2018). Guardo, qui, ad un paese in particolare, scelto come caso studio (Yin, 2018) di questo e altri miei lavori (Fontefrancesco, 2020): Sant'Ambrogio. ...
Chapter
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Il capitolo esplora il farsi del silenzio guardando al mondo rurale italiano esplorando i processi di significazione dello spopolamento urbando in una comunità contadina del Nordovest
Chapter
The chapter focuses on the economic contribution given by the food festivals to rural community by exploring ethnographically the case of Sant’Ambrogio and its feast. The chapter points out the important contribution given in fostering collaboration among the different economic actors of the community and the actual function hold by the festivals in terms of economic development. In so doing, it points out at the possible limits that food festivals have.
Chapter
Sagre are one of the main touristic eventsTourismevents in rural Italy; they are attractions able to mobilize about 1 billion euroEconomymoney and 1 million people every year. Here, some initial questions arise: How do rural communities approach the tourism sector, and moreover, what role do sagre play in this expanding economic sector? These research questions are at the core of this chapter and are ethnographically answered looking at the community of San Giovanni, in Monferrato.
Article
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The work presents the marginalization of rural communities in Italy. It especially introduces the ethnographic results of a research conducted between 2014 and 2016 in the Southern part of Piedmont: the history of Borgalto and its terraces. The ethnographic analysis describes the horizon of ordinary affections marking the process of marginalization in order to outline a first anthropological profile.
Article
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This essay offers an ethnographic analysis of the role of food in modern Italian food festivals. Starting from the ethnographic case of Borgonovo, a rural town in Southern Piedmont, and its festival, it highlights the nonlinear role played by food in the festivals and points out gastronomic festivals should be read as a local response of rural, and marginal communities to the phenomenon of their social marginalization.
Article
Despite a common legal framework at EU-level, organic farming has developed differently in Member States. Previous analyses showed the influence of various factors on the development of the organic sector, including public policies, discourses, and marketing channels. Building on a relational perspective, we propose a conceptual framework that provides a situated understanding of national trajectories. We argue that the organic sector emerges based on relations between organic actors, policymakers, mainstream farmers associations, advocacy groups, and actors along the food chain. Based on these relations, we analyse the development of the organic sector in Austria, Italy, and France. We show that its dynamics result from a complex and evolving intertwining of relations over time. These dynamics are unpredictable, as they depend on whether and how actors can build and maintain relations between organic agriculture and broader issues in the agrifood system, such as the maintenance of family farms, environmental protection, gastronomic heritage, fairness in the food chain, or export promotion. The relational perspective highlights the historicity of relations, as well as the extent to which relations are influenced by the temporal and the spatial context. By framing the agrifood system as an ensemble of emergent social practices rather than a field of invariant logic and automatic unfoldings, the relational perspective emphasises the importance of seizing windows of opportunity, and the role of creativity in actions.
Book
This volume addresses the fraught relationship between market and society in times of social and economic crisis, exploring how they interact in key social, cultural, and political arenas on a global scale. The contributors examine the neoliberal market in anthropological and ethnographic terms to question whether “market logic” has won out against social aspects of human existence in a framework of minimal state protection and the devaluation of human labor. Fruitfully combining empirical data and theoretical approaches, the volume investigates the extent to which ordinary people accept unequal allocations of resources and examines their sense of belonging in an expansive neoliberal economy.