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Lucio Giuliodori
Julius Evola e il superamento del Dadaismo.
Composizione futurista.
Saggio pubblicato in “Voci dal Novecento”, Limina Mentis 2014 e in una versione
ampliata in Lucio Giuliodori, Per un’estetica della contraddizione: Julius Evola e il
superamento del Dadaismo, CreateSpace, Seattle 2014.
2
ABSTRACT:
L’anelito, congenito, al superare, al cambiare, al trasmutare o in sostanza all’evolvere,
marca e definisce il periplo di quel sentiero iniziatico che tetragono deflagra sin dagli
anni giovanili, nei quali proprio un intento astratto, sul piano umano e intellettuale,
asseverato dall’assenza di limiti svettanti in limine al Dadaismo, plasma il corifeo di
una messe di superamenti interiori, che concretandosi vicendevolmente danno corpo a
un’ontologia dell’oltre, incessante e impetuosa, placatasi solo alle soglie del suicidio.
Questo studio vuole evidenziare come Evola, trascendendo il Dadaismo, abbia generato
un processo di liberazione estrema e massima astrazione umana e intellettuale, a partire
dalla quale ha preso corpo la sua intera Weltanschauung.
Il saggio mostra la nascita, lo sviluppo e il trionfo, attraverso la sua negazione, di un
percorso che è al contempo artistico, filosofico e iniziatico.
INDICE
Il contesto storico e il valore di Evola… p. 3
Dal Futurismo al Dadaismo… p. 7
L’arte come contraddizione... p. 11
Oltre il Dadaismo… p. 17
3
«Chiunque voglia la libertà essenziale, deve avere il coraggio d’uccidersi. Chi ha il coraggio
d’uccidersi, ha conosciuto il segreto dell’inganno. Più in là non c’è libertà; qui è tutto, e più in là
non c’è nulla. Chi ha il coraggio d’uccidersi, quello è Dio».
Kirillov, in Fëdor Dostoevskij, I demoni.
1. Il contesto storico e il valore di Evola.
Nell’introduzione a Superamenti. Critiche al mondo moderno 1928 – 1939 dei Quaderni di
testi evoliani, Gianfranco De Turris scrive: «Mi ha sempre colpito la frase, che in diverse
versioni, Julius Evola spesso scrive: «esaurita l’esperienza andai oltre». Frase che trova
una sua espressione concretamente visiva nel disegno allegato alla lettera inviata a
Tristan Tzara alla fine del 1921, dove l’artista ventitreenne afferma che la posizione
dadaista dell’ «indifferenza e della virtualità immobile» non deve essere considerata un
punto conclusivo, ma al contrario «essere un punto di partenza»
1
.
Il Dadaismo per Evola fu, sin dall’inizio, un superamento, un superamento di sé
innanzitutto, tanto l’esperienza umana era indissolubilmente legata a quella artistica
come ne è prova il progetto del suicidio (quale coronamento dell’afflato nichilista e
distruttivo proprio del Dadaismo stesso). Al contempo però è sicuramente un punto di
partenza: il Dadaismo rappresenta il fondamento da dove nasce Evola filosofo e Evola
iniziato. Per tale motivo tale breve ma intensissima esperienza merita un doveroso
approfondimento.
Come afferma De Turris, Evola nel corso della sua attività saggistica ha spesso
identificato i suoi scritti con il titolo “Superamenti” o simili. L’anelito, congenito, al
superare, al cambiare, al trasmutare o in sostanza all’evolvere (questo il senso di ogni
vera Via spirituale del resto), marca e definisce il periplo di quel sentiero iniziatico che
tetragono deflagra sin dagli anni giovanili, nei quali proprio un intento astratto, sul
piano umano e intellettuale, asseverato dall’assenza di limiti svettanti in limine al
Dadaismo, plasma il corifeo di una messe di superamenti interiori, che concretandosi
vicendevolmente danno corpo a un’ontologia dell’oltre, incessante e impetuosa,
placatasi solo alle soglie del suicidio. Evola infatti tentò di superarsi anche sul piano
biologico, quello afferente alla precipua matrice esistenziale, piombando nel
presupposto atavico del nichilismo irretito e avviluppato alle sue estreme conseguenze.
Il Dadaismo poggia sul dittico superamento/contraddizione, esso rappresenta
l’esperienza culmine di un determinato momento storico: «D’altronde, anche Tzara
avrebbe affermato, senza alcun tentennamento, che «Dada si applica a tutto, eppure non
è niente, è il punto in cui il sì e il no si incontrano».
1
G. DE TURRIS, Introduzione a J. EVOLA, Superamenti. Critiche al mondo moderno 1928 – 1939, in Quaderni
di testi evoliani n. 41, Controcorrente, Napoli 2005.
4
Insomma con l’esplosione del radicale nichilismo dadaista, il Novecento sembrava
giunto ad un vero e proprio punto di non ritorno.
Ma forse si trattava solamente dell’esplicitazione di qualcosa di molto antico, di
archetipico. Qualcosa che nel cuore dell’esperienza estetica occidentale era cresciuto e
maturato sino alla esplicita salita in superficie, e alla sua enunciazione nello spirito
iconoclasta dell’avanguardia dadaista»
2
.
Ma andiamo con ordine.
Il Dadaismo si inserisce in un contesto molto difficile, quello della «Grande guerra», un
conflitto che stremò l’Europa e l’Italia e le cui conseguenze furono letali soprattutto per
la popolazione civile, colpita in larga misura. Grazie allo sviluppo tecnologico e le
nuove armi a disposizione il popolo venne coinvolto come mai prima era successo in
una guerra e gli artisti e gli intellettuali, coloro che descrivono e assorbono le
contraddizioni del mondo circostante, furono stavolta letteralmente travolti da tali
sconvolgimenti.
Il distacco dal passato fu drastico: le istituzioni di tradizione ottocentesca si
frantumarono di fronte al nuovo «ordine» imposto che stravolse repentinamente vita e
idee dei cittadini europei.
Il Dadaismo nasce proprio come conseguenza e come risposta al suddetto stato di cose,
una risposta di rifiuto, di estremo disprezzo e disgusto verso la guerra, sbandierata
all’inizio come «sola igiene del mondo». Ma il disprezzo per la guerra era in realtà, a
priori, un disprezzo per la stessa società civile, la quale non era in grado di vivere e
convivere in pace.
Considerando tale contesto è facile capire come la Svizzera, neutrale al conflitto,
diventò la capitale di tuti quegli esuli artisti e dissidenti intellettuali confluiti da tutta
Europa, tra cui lo stesso Tzara. Per avere un’idea della realtà in questione ascoltiamo lo
stesso poeta rumeno:
«Per comprendere come è nato Dada è necessario immaginarsi, da una parte lo stato
d’animo di un gruppo di giovani in quella prigione che era la Svizzera all’epoca della
prima guerra mondiale e, dall’altra, il livello intellettuale dell’arte e della letteratura del
tempo. Certo la guerra doveva aver fine e noi ne avremmo viste delle altre. Tutto ciò è
caduto nel semioblio che l’abitudine chiama storia. Ma verso il 1916 – 1917, la guerra
sembrava non dovesse più finire. Di qui il disgusto e la rivolta. Noi eravamo
risolutamente contro la guerra, senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo
utopistico»
3
.
Il Dadaismo era formato e guidato da questo gruppo di intellettuali, un gruppo di
persone da tutta Europa, persone «che fuggivano la guerra, che intesero portare alle
estreme conseguenze di radicale negativismo ciò che il futurismo e le correnti
d’avanguardia francesi avevano già in parte formulato: negando la società e il suo
ipocrita razionalismo, si voleva rispondere alla assurda strage della guerra. Applicando
alle arti anarchia, nichilismo e sarcasmo, si voleva esprimere ciò che si provava nei
confronti della situazione del momento. Il nome dadà (che significa “cavallo” nel
linguaggio infantile) fu scelto a caso aprendo il dizionario Larousse»
4
.
2
M. DONA’, Arte e filosofia, Bompiani, Milano 2007, p. 307.
3
Estratto di un’intervista concessa alla radio francese nel 1950.
4
P. GIOVETTI, Julius Evola in I grandi Iniziati del nostro tempo. I Maestri del cammino interiore,
Mediterranee, Roma 2006, p. 168.
5
Il contesto storico fu quello più propizio per un movimento artistico estremamente
sovversivo, distruttivo e provocatorio: le difficili condizioni contingenti diedero vita ad
uno dei movimenti artistici più contraddittori della storia.
Per quanto riguarda specificamente l’Italia bisogna dire che essere dadaisti nel nostro
paese non doveva essere facile essendo l’Italia animata in quel momento dal Futurismo,
imporsi quale rappresentante di un altro movimento, tra l’altro appena sorto, doveva
essere davvero un’ardua impresa. Il barone Julius Evola però, non solo ci riuscì ma ne
divenne addirittura il massimo rappresentante, donando ad esso una caratterizzazione
profondamente filosofica non riscontrabile altrove, né in Italia né all’estero
5
.
L’Italia, nonostante la guerra, si mantenne un centro culturale di notevole spessore e
vivacità, tanto da spingere lo stesso Tzara a voler stringere costantemente rapporti con i
più autorevoli artisti del tempo tra i quali Prampolini, Govoni, De Chirico e Marinetti.
Tra gli anni Dieci e i primi anni Venti il contesto dell’avanguardia romana era in
costante fervore anche grazie alla fervente attività della Casa d’Arte di Anton Giulio
Bragalia (dove lo stesso Evola espose), del teatro Sperimentale degli Artisti e della
stessa casa Balla. In conseguenza di ciò, non è azzardato affermare che nell’anno tra il
1916 e il 1917, il Dadaismo fu un’avanguardia svizzero-italiana; i più numerosi autori
della rivista Dada pubblicata da Tzara a Zurigo erano proprio italiani.
Nel suo primo periodo di vita il Dadaismo veniva da molti considerato come un’
imitazione del Futurismo, differendo da esso solo su questioni artistiche più che
ideologiche, le quali erano inizialmente conformi in entrambi i movimenti. Fu solo con
la pubblicazione del Manifesto Dada ad opera di Tzara nel 1918 che la rottura
ideologica fu palese ed ufficiale: il Dadaismo si presentò quale movimento
dichiaratamente nichilista e distruttivo, alla cui base pose la sovversione di tutti i valori
tradizionali. Da questo momento i futuristi si staccarono in maniera netta e decisa e
Tzara si presentò quale principale ideatore ed esponente del movimento, un movimento
che si differenziava dal Futurismo anche per l’esaltazione del riso e dell’umorismo:
prendersi gioco di tutti i valori, inclusi i propri, da cui la costante tendenza
all’autodistruzione, «categoria» fondamentale ampiamente proposta tanto da Tzara
quanto da Evola.
L’autorità evoliana in ambito dadaista si impose velocemente, l’indiscusso valore
dell’opera pittorica del barone fu confermato anche dallo strano episodio relativo al
dipinto Composizione dada n. 3. La moglie di Picabia tentò di cancellare il nome di Evola
in alto a sinistra nell’intento di attribuire la paternità dell’opera al marito, per poi
metterla sul mercato con una maggiore valutazione. Tale episodio è eloquente sulla
qualità dell’arte evoliana.
Evola dunque deve essere considerato ed apprezzato anche in ambito pittorico, tuttavia
la critica, spiazzata dalle sue posizioni politiche, non gli ha ancora tributato l’onore che
merita. Alla domanda di Gianfranco De Turris se Evola debba essere considerato un
«minore» nell’ambito della cultura italiana ed europea, Massimo Cacciari così risponde:
«Evola è senz’altro un «minore» – ma visto nell’ambito europeo. Allora sì è un minore
rispetto ai nomi già citati. E ancor più rispetto ai Guénon e ai Cooramaswamy – o ad
5
«Afin d’affirmer son autonomie à l’interiéur d’une situation culturelle amplement dominée par le
mouvement de Marinetti, le dadaisme italien a été par exemple obligé de pousser pòus loin la conscience
théorique de lui-meme. En effect, grace à Evola, Dada devient en Italie l’object d’une veritable réflexion
philosophique». G. LISTA, Dada libertin et libertaire, L’Insolite, Paris 2005, p. 119.
6
altri saggisti «tradizionali». […] Ma rimane un autore che deve essere collocato a pieno
titolo nell’ambito del pensiero tradizionalista europeo di questo secolo. E rimane anche
quel personaggio che permette di scoprire, con la massima chiarezza, gli intrinseci
rapporti tra questo pensiero e certe correnti delle cosiddette avanguardie. In questo
senso, l’esperienza di Evola è rivelatrice, e nient’affatto «minore». Evola va studiato a
fondo a partire dagli anni «dada». Allora, sì, la sua avventura assume aspetti
emblematici, e una statura europea. Un lavoro ancora tutto da fare»
6
.
Sulla prospettiva di questo «lavoro ancora tutto da fare», si inserisce questo breve
saggio che intende mettere in luce ciò che forse troppo frettolosamente è stato
ingiustamente oscurato. Il personaggio Julius Evola merita sicuramente di essere letto e
studiato maggiormente; tale poliedrica e complessa figura non può essere snobbata. Al
di là della spinosa questione politica, il barone è e rimane uno dei grandi nomi del
Novecento italiano ed europeo anche e soprattutto sul piano filosofico, un uomo che
non è mai sceso a compromessi ma ha sempre seguito il suo percorso artistico,
intellettuale ed iniziatico con rigorosissima serietà e indubitabile competenza. Al tempo
stesso tale sentiero «poetico» è stato vissuto con libertà estrema, senza preoccuparsi di
piacere o di non piacere, senza preoccuparsi di titoli accademici o accademici poteri
7
. Il
potere che interessava ad Evola era quello dell’Io. Lontano da tutto e da tutti, nella
solitudine della sua personalissima visone delle vette, ha pitturato un orizzonte
filosofico che proprio nell’astrazione e nella concezione dada, trova il suo a priori
ontologico: la libertà di contraddirsi è libertà assoluta dell’Io, potenza ed egoismo
massimo che, solo successivamente, diventa categoria filosofica. E’ proprio a partire
dalla pittura che nasce l’Evola filosofo e l’Evola iniziato in quanto senza le
contraddizioni dell’astrattismo non sarebbe mai nato l’«Individuo assoluto»
8
. Negli
anni della pittura nasce e si sviluppa quel senso di estraneità per la realtà, quel
desiderio di evasione, quel congenito anelare all’interiore, all’indescrivibile, al
necessariamente astratto che nei decenni successivi si concretizzerà nell’impalcatura di
una Weltanschauung che nel tradizionalismo, nell’alchimia, nel superamento
dell’idealismo e nell’anticristianesimo fonderà i suoi presupposti teorici (e di fatto
anche magico-operativi considerando le attività del «Gruppo di Ur»).
Il presente saggio intende esporre le categorie dell’estetica evoliana, la sua nascita, il
suo sviluppo e la sua fine, chiarificando come tale breve ma intensissimo e coerente
percorso, sia sì artistico ma di fatto anche filosofico ed esoterico proprio nel suo a priori,
nella ragion d’essere della sua impellente ed ineluttabile manifestazione –
rigorosamente astratta.
6
M. CACCIARI, Un’avventura emblematica, in Testimonianze su Evola, a cura di G. De Turris, Mediterranee,
Roma 1985. p. 223.
7
Sappiamo che Evola arrivato alle soglie della laurea in ingegneria si rifiutò di terminare gli studi per
disprezzo verso i titoli accademici. Non entrò mai nel mondo universitario anche se la sua competenza gli
avrebbe certamente permesso di esserne un indiscusso protagonista.
8
Cfr. J. EVOLA, Fenomenologia dell’individuo assoluto, Mediterranee, Roma 2007.
7
Io, l’investigatore solenne delle cose futili
che sarei capace di andare a vivere in Siberia
solo perché non ne sopporto l’idea.
Pessoa
2. Dal Futurismo al Dadaismo.
Nel periodo che va dagli anni Dieci agli anni Venti il Futurismo era l’unico movimento
di rottura esistente in Italia e Evola dunque non poteva non aderirvi. Il suo primo
maestro fu Giacomo Balla, anche se è doveroso constatare che considerando la statura
di Evola già allora, al quanto difficile risulta pensarlo «allievo». Si potrebbe addirittura
essere portati a ritenere che furono gli stessi interessi esoterici di Evola ad influenzare
Balla, per lo meno relativamente all’opera Trasformazione, forme, spiriti del 1919, anno in
cui il barone partecipa all’Esposizione Nazionale Futurista.
Il periodo che va dal 1918 al 1921, viene definito da Evola «idealismo sensoriale», il
riferimento è ovviamente ai sensi interni, al mondo interiore, in quanto solo un’arte
totalmente astratta può descrivere ciò che sta agli antipodi del mondo materiale.
Così scrive Evola:
«Dei miei quadri, diversi recavano il titolo di «paesaggio interiore» con l’indicazione di
una data ora del giorno. Altri erano pure composizioni lineari o cromatiche. Un gruppo
minore risentiva ancora del «contenutismo» futurista, anche se nella prima esposizione
da Bragaglia usai, per esse, la designazione di «idealismo sensoriale»
9
.
A questo periodo appartengono opere quali Five o’ clock tea e Sequenza dinamica,
entrambe del 1917. Datati 1918 sono invece i dipinti Fucina studio di rumori, Mazzo di
fiori, Paesaggio interiore 10.30 e Tendenze di idealismo sensoriale.
Interessante la serie dei Paesaggi interiori con la segnalazione dell’ora, attraverso i quali
Evola, come afferma la studiosa Elisabetta Valento vuole «indicare la capacità di seguire
il proprio interno senza per questo perdere i riferimenti con l’esterno»
10
. L’indissolubile
legame tra mondo esteriore e mondo interiore permea significativamente l’approccio
estetico evoliano, il quale suggella l’adesione e allo stesso tempo l’evasione dal
Futurismo secondo una contradditoria coerenza congenitamente dadaista,
imprescindibilmente ansiosa di costanti e ulteriori fughe e distacchi dal reale.
9
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, Vanni Scheiwiller, Milano 1963, p. 9.
10
E. VALENTO, Homo faber. Julius Evola fra arte e alchimia, Fondazione Julius Evola, Roma 1994. p. 65.
8
Se Evola aderisce inizialmente al Futurismo in quanto unico movimento d’avanguardia
esistente allora in Italia, da esso poi bruscamente si distacca ritenendolo privo di
prospettive trascendenti, di varchi interiori.
Il rapporto di Evola col suddetto movimento è un incontro che in nuce è già un addio;
nell’autobiografia Il Cammino del Cinabro, il barone è perentorio:
«In quel periodo giovanile, dato che in Italia come movimento artistico d’avanguardia
praticamente esisteva quasi soltanto il futurismo, ebbi rapporti personali con esponenti
di esso. In particolare, fui amico del pittore Ignazio Balla, e conobbi Marinetti Anche se
il mio interesse principale era pei problemi dello spirito e della visione della vita,
coltivavo altresì la pittura, una disposizione spontanea al disegno essendosi manifestata
in me già da bambino. Non tardai però a riconoscere che, a parte il lato rivoluzionario,
l’orientamento del futurismo si accordava assai poco con le mie inclinazioni. In esso mi
infastidiva il sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso e
esibizionistico, una grezza esaltazione della vita e dell’istinto curiosamente mescolata
con quella del macchinismo e di una specie di americanismo, mentre, per un altro verso,
ci si dava a forme sciovinistiche di nazionalismo»
11
.
La concezione estetica evoliana trascende ampiamente le categorie del Futurismo per
inserire in esso tutto il sostrato esoterico di cui l’artista era pregno.
Interessanti a tale proposito le parole del pittore futurista Arnaldo Ginna che conobbe
Evola a casa di Balla:
«Evola dipingeva un astrattismo di stato d’animo molto vicino a quello che facevo io,
con quel pizzico di sentimento profondo animico occulto. Ciò veniva dal fatto che
Evola, come me, si interessava di occultismo traendone, s’intende ognuno secondo la
propria inclinazione, un succo personale»
12
.
Tra i due tuttavia c’era una divergenza che Ginna situava tra l’ «uomo minimo»
inseguito dal pittore ravennate e il «superuomo» auspicato dal barone. Continua Ginna:
«Quel che appare invece nella pittura di Evola è lo stato d’animo di chi sente l’odore di
forze occulte trascendentali.
Si era nell’epoca del dinamismo plastico, cioè in un’epoca in cui si esaltava
particolarmente la forza fisica. E si badi bene che il Dinamismo Plastico venne come
reazione al Cubismo statico. Boccioni e Balla spesse volte uscivano dal Dinamismo
Plastico verso espressioni spirituali: si tengano presenti ad esempio, Gli addii di
Boccioni»
13
.
Evola stesso, cosciente delle tensioni interne al movimento, distingue due periodi nel
Futurismo: il primo quello dello «Sturm und drang», è un periodo affannoso, di ricerca
e sperimentazione, ad esso si accosta il nome di Umberto Boccioni, è lui il suo massimo
rappresentante. Il secondo è quello della forma nuova di Giacomo Balla, quello che
coincide con la concezione estetica evoliana dell’astrattismo e dello spiritualismo.
Precisa il barone:
11
J. EVOLA, Il Cammino…, cit., p. 6.
12
A. GINNA, Brevi note su Evola nel tempo futurista, in Testimonianze su Evola, cit. p. 136
13
Ivi p. 137.
9
«Il primo fu essenzialmente caotico come per necessità all’inizio di ogni rivoluzione:
abbiamo deformazioni dell’oggetto come studi di personalizzazione spaziale propri del
cubismo; simultaneità come forme plastiche e psicologiche. Il secondo risponde invece
al bisogno di qualcosa di più solido, di un’estetica più precisa come di una tecnica più
sintetica, più fresca, più ordinata. E allora si creò la teoria della forma nuova»
14
.
Esattamente come avviene nella sua filosofia in cui l’idealismo viene superato dalla
magia al cui vertice agisce solo l’Io escludendo la materialità della realtà oggettiva,
nell’esperienza artistica Evola trascende qualsiasi riferimento all’esteriorità, alla
figuratività alla naturalità. La natura non è che un ostacolo all’arte pura che racconta
l’interiorità.
E’ un itinerario necessario e senza ritorno: prima di superare il Dadaismo Evola supera
l’idealismo e lo fa attraverso la pittura futurista in quanto solo una forma astratta può
descrivere l’interiorità, l’antipodo della concretezza.
Ma andiamo con ordine. L’artista propone il suo idealismo pittorico connesso alle
attività dei sensi interni nel 1919 partecipando all’Esposizione Nazionale Futurista. In
tale occasione il barone poté presentare la sua pittura composta da ritmi cromatici, linee
ed immagini che connesse formano il corpus della soggettività pura, libera nella sua
potenza espressiva, libera perché astratta, agli antipodi del tangibile. La stessa pittura
futurista, continua il filosofo: «deve differenziarsi da ogni altra esclusivamente in
quanto esclude l’oggetto, in quanto è l’estrinsecazione di forme puramente astratte e
psicologiche, in quanto noi stessi quale spirito siamo gli unici soggetti dei nostri
quadri»
15
.
Si tratta di esprimere costruzioni cromatiche che non hanno nulla di concreto e lo stesso
spettatore non deve recepire nulla ma lasciarsi avvolgere da tali ritmi scaturenti dalla
stessa interiorità: non si propongono idee, né tanto meno oggetti (altrimenti si
ricadrebbe nell’esteriorità), ma si restituisce uno stato d’animo, lo si trasla nell’al di
qua
16
. Non si tratta di riprodurre la realtà ma di generarla
17
.
Il Futurismo dunque pone le basi di una pittura più psicologica e spirituale che
continuerà ad «individuarsi» con Dada e in seguito col Surrealismo.
Claudio Bruni, impegnato in una ricerca sui pittori futuristi per il suo volume Dopo
Boccioni, visitò Evola più di una volta, rimanendo particolarmente colpito dalla portata
qualitativa del lavoro del barone:
«Durante quella prima visita, la mia attenzione veniva polarizzata soprattutto dalle
opere del primo ciclo perché esse erano più vicine alle tendenze che erano state
14
Julius Evola e l’arte dell’avanguardia tra Futurismo, Dada e Alchimia, Fondazione Julius Evola, Roma 1998,
p. 23.
15
Ibidem.
16
Come afferma Sgalambro: «La vera forza di un quadro è quella di restituirci un’assenza».
17
«Prima di mettersi all’opera, il pittore, come tutti i creatori, conosce il sogno della meditazione, il sogno
che medita sulla natura delle cose. In effetti il pittore vive così vicino al rivelarsi del mondo mediante la
luce, che gli è impossibile non partecipare con tutto il suo essere all’incessante rinascita dell’universo. La
pittura, più che ogni altra arte, è direttamente, palesemente creatrice». G. BACHELARD, Le droit de rêver
(1970) tr. it. di M. Bianchi, Il diritto di sognare, Dedalo, Bari 1974, p. 48.
10
enunciate da Marinetti nella grande esposizione futurista del 1919 del «dinamismo
plastico» e degli «stati d’animo».
Fu così che quel giorno vidi per la prima volta dipinti come Five o’clock tea del 1917 ove
«l’idealismo sensoriale» di Evola si fonde perfettamente con il «dinamismo futurista» ed
il dipinto sembra essere in bilico tra la dinamica e la cromaticità di Balla e la tematica
dei cabarets e delle ballerine di Severini; Fucina studio di rumori del 1918 ove è chiara
l’impostazione del dinamismo futurista anche se nell’opera affiorano delle ascendenti
mitteleuropee tra il secessionismo viennese e lo spiritualismo del Blaue Reiter; Truppe di
rincalzo sotto la pioggia del 1919 ove il parallelismo con Balla è forse ancora più evidente.
Quel giorno, come ho già detto, cercavo le opere che avevano avuto un’attinenza con il
movimento futurista e così scorsi con una certa superficialità quelle che da tale
movimento si distaccavano per inserirsi in un discorso Dada. Comunque mi parve
subito evidente che il momento dell’Evola pittore era di altissima importanza, sia per la
cultura italiana che per un più ampio discorso a livello europeo»
18
.
L’esperienza futurista proietta Evola in quella dada; si tratta di un’ evoluzione
silenziosa, intima, potente.
All’inaugurazione della Mostra del Movimento Italiano Dada presso la casa d’Arte
Bragaglia nell’aprile del ’21, Evola tiene una conferenza la sera del vernissage durante la
quale proclama la morte del Futurismo, un gesto irriverente per i futuristi presenti in
sala che ovviamente non apprezzarono. Di fatto però, con tale gesto, il barone
ufficializza la sua uscita dal movimento.
18
C. BRUNI, Evola dada, in Testimonianze su Evola, cit., p. 59
11
Il processo della creazione e quello con cui mediante l’Arte, l’uomo reintegra
se stesso hanno una stessa via ed hanno uno stesso significato.
Julius Evola
3. L’arte come contraddizione.
«Dadaismo e Futurismo sono due tendenze assolutamente agli antipodi: l’una è
assoluta interiorità, l’altra assoluta esteriorità»
19
.
Queste parole di Evola confermano la determinazione della scelta, il barone non può
che precipitare nell’interiorità. Non solo, egli vuole teorizzare questa interiorità,
tracciare le linee di una (im)possibile posizione estetica in un movimento artistico che di
fatto ne nega qualsiasi a priori. Ecco che nasce quella che potremmo definire
«un’estetica della contraddizione», primo perché Dada stessa è contraddizione in atto,
secondo perché l’intenzione medesima di contenerla entro i limiti di una
rappresentazione linguistica, è ancora più contraddittorio e improponibile – se non nei
termini di un’assoluta libertà egoistica dell’Io appunto. Tale intento viene concretizzato
nell’opera Arte astratta del 1920
20
, in essa Evola espone, teoricamente e poeticamente, la
sua concezione estetica eloquentemente descritta e «interpretata» nell’uscita stessa dal
movimento, cioè nella sua negazione - momento massimo della contraddizione
evoliana, vetta raggiunta nella coerenza dell’esperienza artistica e poetica del filosofo.
In questo periodo Evola ha ventitré anni, fa uso di sostanze stupefacenti per
raggiungere stati di coscienza diversificati e immergersi sempre più in una dimensione
completamente staccata dai sensi fisici. L’attrazione per una dimensione totalmente
spirituale (e al contempo il rinnegamento dell’arte e della poesia) è così forte che Evola
è deciso a seguire la strada di due dei suoi autori di riferimento, Weininger e
Michaelstaedter, i quali, entrambi a ventitré anni optarono per il suicidio. Evola si è
convinto a portare la contraddizione agli estremi più alti, quella della sua stessa
esistenza.
Il barone si salva grazie alla illuminante lettura di un testo buddista delle origini nel
quale il concetto di «estinzione» colpisce il giovane artista, tanto da farlo riflettere e
leggere il suicidio quale atto di ignoranza, contrapposto invece ad una possibilità
estrema di libertà, quella di ribaltare la contraddizione del suicidio e liberarsi
19
E. VALENTO, Homo faber. Julius Evola fra arte e alchimia, op. cit. p. 65.
20
J. EVOLA, Arte astratta. Posizione teorica, dieci poemi, quattro composizioni, Maglione e Strini, Roma 1920.
12
nell’autrachia dell’Io gettando le basi di quella che sarà poi la Fenomenologia
dell’Individuo assoluto
21
.
A proposito di tale esperienza così scrive nella sua autobiografia:
«Questa soluzione [...] fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, che io
ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini. Fu per me una luce improvvisa:
in quel momento deve essersi prodotto in me un mutamento, e il sorgere di una
fermezza capace di resistere a qualsiasi crisi»
22
.
Siamo nel 1920 e il barone, appena scampato al suicidio, scoprirà di lì a poco di essere il
maggior rappresentante del Dadaismo in Italia
23
. Seppur ancora gravato interiormente
dalla profonda crisi interiore il pittore trova in sé le forze per calarsi di nuovo nella
materialità della vita quotidiana. E’ in questo frangente che Evola comincia ad allinearsi
alla visione di Tristan Tzara col quale intrattiene un profondo scambio epistolare, in cui
emerge tutta la stima del filosofo per il poeta rumeno nel quale, in quegli anni, vede una
guida a cui tendere e con cui confidarsi
24
. Tale episodio è estremamente importante se
consideriamo un personaggio dalla personalità così spiccata: Evola non ebbe mai
maestri, semmai lui stesso fu un Maestro, quella per Tzara tuttavia fu una dichiarazione
di stima e ammirazione totale.
Questa seconda fase della produzione artistica evoliana viene definita astrattismo
mistico, e tale espressione indica una reinterpretazione dadaista dell’idealismo magico
evoliano. Lo stesso barone descrive quest’incontro tra avanguardie:
«Nel primo dopoguerra fui invece attratto dal movimento dadaista, creato a Zurigo dal
romeno Tristan Tzara: ciò, soprattutto per via del suo radicalismo. Il Dadaismo non
voleva essere semplicemente una nuova tendenza dell’arte d’avanguardia. Difendeva
piuttosto una visione generale della vita in cui l’impulso verso una liberazione assoluta
con lo sconvol-gimento di tutte le categorie logiche, etiche ed estetiche si manifestava in
forme paradossali e sconcertanti. Per aver conosciuto «il brivido del risveglio», i
21
E’ interessante notare la coincidenza con Meyrink, autore che proprio Evola tradusse e fece conoscere in
Italia. Lo scrittore austriaco, proprio come Evola, a ventitré anni stava attraversando una crisi interiore e
faceva uso di sostanze stupefacenti. Al culmine della crisi scelse il suicidio ma con la pistola puntata alla
tempia, un attimo prima di spararsi, si dice che abbia visto un piccolo testo che spuntava da sotto la sua
porta di casa, messo lì non si sa da chi. Lo scrittore, colto da curiosità, lasciò la pistola e andò a vedere: si
trattava di un testo esoterico sulla vita dopo la morte, Meyrink si mise a leggere avidamente e da quel
momento i suoi interessi esoterici aumentarono notevolmente e cominciò un percorso di letture ed
esperienze che lo formarono a livello iniziatico. Quel libro dunque lo salvò dal suicidio e rappresentò
l’inizio di un’altra vita; le analogie con Evola sono incredibili.
22
J. EVOLA, Il cammino del Cinabro, cit. p. 10. Il passo cui si riferisce Evola è il seguente: «Chi prende
l’estinzione come estinzione e, presa l’estinzione come estinzione, pensa all'estinzione, pensa
sull'estinzione, pensa “Mia è l’estinzione” e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico, non conosce
l’estinzione».
23
Cfr. S. BENVENUTO, Dada e la filosofia. Evola e l’essenza del dadaismo, in AA.VV., Cinquant’anni a Dada:
Dada in Italia 1916-1966, Milano, Galleria Schwarz, 1966, pp. 145-152; G. LISTA, Tristan Tzara et le dadaisme
italien, in Europe, 555-556, luglio/agosto 1975. Anche all’estero il nome di Evola era noto, è rintracciabile
ad esempio in R. MOTHERWELL, The Dada painters: The documents of Modern Art N. 8, New York, George
Wittenborn Inc., 1967 e in W. VERKAUF, Dada monographie einer Bewegung, Teufen 1957. Va sottolineato
inoltre che all’International Dada Archive, progetto scientifico dell’Università americana di Iowa, si
indica nel proprio archivio digitale come unico autore italiano proprio Julius Evola.
24
Solo nel 1989 l’intera corrispondenza Evola-Tzara è stata scovata presso l’archivio della Fondation
Jaques Doucet della Biblioteca Sainte Geneviève di Parigi, tale prezioso svelamento lo si deve al lavoro
della studiosa Elisabetta Valento. Cfr: E. VALENTO, (a cura di), Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara (1919
– 1923), Edizioni Fondazione Julius Evola, Roma 1991.
13
dadaisti proclamavano una «necessità severa senza disciplina né morale», l’«identità
dell’ordine e del disordine, dell’Io e del non -Io, dell’affermazione e della negazione,
come radianza di un’arte assoluta», la «semplicità attiva, l’incapacità di discernere fra i
gradi della chiarezza»
25
.
E’ il radicalismo infatti il tratto centrale caratterizzante il Dadaismo, un movimento che
si suicida nel momento in cui si impone, la cui creazione è di fatto un’aprioristica
autodistruzione consapevole e certa, voluta e determinata.
«Ciò che vi è di divino in noi - affermava Tristan Tzara - è il risveglio dell’azione
antiumana». «Che ognuno gridi: vi è un gran lavoro distruttivo, negativo, da compiere.
Spazzar via, ripulire. La purezza dell’individuo si afferma dopo uno stato di follia, di
follia aggressiva e completa, di un mondo lasciato fra le mani di banditi che si lacerano
e distruggono i secoli. Senza scopo né disegno, senza organizzazione, la follia
indomabile, la decomposizione».
E ancora:
«Dada è il microbo vergine». «Cerchiamo la forza dritta, pura, sobria, unica, non
cerchiamo nulla». Il tratto più caratteristico nel dadaismo era anche la
sdrammatizzazione di coteste negazioni, cui si voleva togliere ogni pathos traducendole
nelle forme del paradosso freddo e della pura contradizione. «Dada non è serio - diceva
ancora lo stesso Tzara. - Non si commuove per le disfatte dell’intelligenza. Con tutte le
forze, lavora per l’introduzione. dappertutto, dell’idiozia». «Il vero dadaismo è contro il
dadaismo, si trasforma, afferma, dice nello stesso istante il contrario, senza darvi
importanza»
26
.
La contraddizione era l’anima del Dadaismo, l’impulso all’autodistruzione permanente
e costante quale categoria fondante e forgiante uno stile che non era solo artistico ma
anche esistenziale, ribadendo e strillando un disincanto imperante. Ascoltiamo ancora
Evola a tale riguardo:
«Noi sappiamo quel che facciamo, ché possediamo la distruzione, e non la distruzione,
e la distruzione possiede noi: lo sappiamo freddamente, chirurgicamente mentre
dall’altro lato tutto quel che facciamo è per noi stessi assolutamente incomprensibile,
non vogliamo nulla. Io sono in mala fede: i miei poemi non mi importano come lo
smalto per le unghie: i miei quadri li faccio per vanità, scrivo perché non ho nulla da
fare e per réclame, sono un rastaqueuère dello spirito e ripongo la mia cosa nella forma
senza vita, ripongo la mia cosa nel nulla: Ich habe meine Sache auf nichts gestellt»
27
.
E ancora, stavolta in Arte astratta:
«Esprimere è uccidere.
Dunque non si può ne si deve esprimere.
Valle a dire che l’opera d’arte può essere concepita soltanto come un lusso, come un
capriccio del volere: si sentirà secca e sporca crosta caduta indifferentemente e senza
passione dal vivo tronco.
Far dell’arte così come si prende un te.
E’ evidente che il numero di persone che posso scuotere e convincere colla mia arte è
inversamente proporzionale al grado di purità e di originalità di quest’arte stessa .
E’ necessario non farsi capire»
28
.
25
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, cit. p. 9.
26
Ivi, p. 8.
27
Citato da Claudio Bruni in Evola dada in Testimonianze su Evola, cit. p. 61.
28
J. EVOLA, Arte astratta, cit., p. 9.
14
L’intento è chiaro, tanto spietato quanto lucido, consapevole, autocosciente. Più l’arte è
contraddittoria più ribadisce un intrinseco carattere di onestà «intellettuale», di purezza
«spirituale». Più l’atto artistico è un gesto tra i tanti o addirittura capriccio, più esso
conferma ed avvalora l’egoismo, inteso come libertà (secondo l’estetica evoliana)
dell’artista stesso:
«L’artista sincero che naufragante nel “divino” istante dell’ispirazione quasi in preda ad
una febbre indomabile, crea la “vera” opera d’arte, ed il cane che salta sulla cagna e la
monta sono la stessa cosa»
29
.
Tale equazione, tale paradossale parità di livelli, è proprio ciò che garantisce la
superiorità di coscienza estetica: è nell’egoismo che si attualizza il primato dadaista
secondo Evola.
«Oltre l’uomo, creare il senso dell’Unico. Là dove l’arte può salvarsi, e lasciar vedere –
come per silenziosi lampi notturni, immense e bianche città insospettate – il fluire della
coscienza superiore, è là dove l’arte è al di sopra della naturalezza, del sentimento,
dell’umanità: au dessus de la melée: là dove è fatto egoistico ed espressione
coscientemente arbitraria ed, in uno, freddamente voluta, in uno stato di estraneità, di
morte vivente»
30
.
Ecco il senso della distruzione e dell’autodistruzione: una morte che vive, vive perché è
morta, confermando tutta l’operosità della categoria della contraddizione, in atto nella
concezione dadaista. Un’arte salvata, un’arte che, in quanto morta, non vede:
«Occorre invece saper non vedere, non trovare, non avere: porsi nel nulla, freddamente,
sotto una volontà lucidissima e chirurgica.
E questo è per la prima volta creazione: egoismo e libertà!»
31
.
In Arte astratta il barone rafforza ancora la sua posizione:
«Arte è egoismo e libertà.
Sento l’arte come una elaborazione disinteressata, posta da una coscienza superiore
dell’individuo, trascendente ed estranea perciò alle cristallizzazioni passionali e di
esperienza volgare.
Il sentimento estetico va posseduto come ombra mistica; dall’altro lato, come una vitale
Weltanschauung: filosofia, arte, morale, esperienza volgare, scienza, tutto ciò deve esser
fuso ed in uno risolto nella proprietà indeterminata del momento estetico.
Esso si baserà sul volere fondamentale / pura volontà di vivere / anziché sulla forma e
sull’agitazione fenomenica»
32
.
Questa estetica come visione del mondo è il preambolo di un nuovo inizio, un percorso
di sviluppo filosofico ed esistenziale che lo porterà dalle soglie del suicidio alla
formulazione dell’uomo come potenza.
«Non è pessimismo: si tratta di aver veduto. Nella conoscenza squallida abbiamo
ritrovata la nostra realtà, l’io che è al di fuori della vita di tutti i giorni, l’illusione e la
malattia e tutto il resto: e l’estraneità, la brutalità e la non proprietà di tutte le cose che si
chiamano spirituali: pensiero, sentimento, fede»
33
.
Riguardo alla «spiritualità», Evola scovò in Dada interessanti analogie con alcuni
insegnamenti dell’esoterismo orientale, ma ciò che spinse Evola ad immergersi
29
Ivi, p. 8.
30
Ibidem.
31
Ibidem.
32
J. EVOLA, Arte astratta, cit. pp. 6, 7.
33
Ibidem.
15
nell’esperienza dada fu soprattutto la possibilità di superamento palesemente offerta,
intrinseca a questa forma d’avanguardia. Evola vedeva in dada un processo che
annullava il tempo proiettandolo in un infinito presente: sviluppo nascita e morte nello
stesso istante; una morte che di fatto era dunque resurrezione, trasmutazione da arte a
arte pura, categoria filosofica pensata dal barone in Fenomenologia dell’Individuo assoluto,
nella quale appunto l’esperienza dada venne distillata, trasmutata, risorta:
«Esteriormente, queste posizioni non erano prive di una certa analogia col metodo
dell'assurdo usato da alcune scuole esoteriche estremo-orientali - il Ch’an e lo Zen - per
far saltare tutte le sovrastrutture del mentale: anche se, naturalmente, in esse lo sfondo è
del tutto diverso. Si sarebbe potuto anche riandare alle parole di Rimbaud sul metodo
della veggenza ottenuto con uno «sregolamento ragionato di tutti i sensi».
Di rigore, il Dadaismo non poteva condurre a nessun’arte in senso proprio. Segnava
piuttosto l’autodissolversi dell’arte, in un superiore stato di libertà. Questo a me parve
essere il suo significato essenziale; per cui, interpretando il Dadaismo come il limite di
una specie di dialettica immanente delle varie forme di arte modernissima
(nell’appendice ai miei Saggi sull'idealismo magico), credetti di poterlo elevare al rango di
una vera e propria categoria in una delle mie successive opere filosofiche (Fenomenologia
dell'Individuo assoluto)».
34
Dada è ciò che garantisce ad Evola un’astrazione totale. La libertà interiore che il barone
finalmente trova in dada è sicuramento un approdo felice, purtuttavia l’ insofferenza
del filosofo è costante e sempre in procinto di erompere. La libertà assoluta reclamata
costantemente e congenitamente dall’egoismo assoluto dell’Io padrone della realtà
trascende la stessa realtà dada, come se tale esperienza, pur nella sua massima libertà di
contraddizione offerta, non fosse più sufficiente. In altre parole, la massima libertà di
contraddizione contraddice se stessa nell’assolvere la sua funzione: «le vrai dada est
contre dada». In una lettera a Tzara, suo intimo confidente, l’unica persona a cui Evola
espone i suoi moti interiori, il filosofo svela i tasselli di uno sgretolamento interiore
ormai irreversibile:
«Vivo in un’atonia, in uno stato di stupore immobile, nel quale si gela ogni attività ed
ogni volontà. E’ terribilmente Dada. Ogni azione mi disgusta: anche la sensazione la
sopporto come una malattia e non ho che il terrore di passare il tempo che ho davanti a
me, e del quale non so che fare (…). Un tale stato d’animo, anche se con altra intensità,
esisteva già in me: come in uno spettacolo: valle a dire, che c’era qualcuno al di fuori
che guardava, e prendeva appunti sullo strano avvenimento: da cui la mia arte e la mia
filosofia Dada. Attualmente mi accorgo che non c’è più nessuno nel teatro, che tutto è
inutile e ridicolo, che ogni espressione è una malattia»
35
.
La malattia va superata però, se l’uomo è davvero potenza. Ecco che allora la si supera
recidendo il male stesso: l’esperienza dada viene uccisa, svanisce nell’astratto l’Evola
pittore, straripa «alchemicamente» l’Evola filosofo, quello che scalpitava dal sottofondo,
reclamando disperatamente e ardentemente una presenza totale, concreta, autarchica.
Dopo il 1922 Evola si immerge nella filosofia e abbandona per sempre la pittura, pur
non rinnegandola mai ma vedendo semmai in essa un importante, se non il
fondamentale, momento di sviluppo, di evoluzione artistica e filosofico-esistenziale.
A tale proposito Caludio Bruni afferma:
34
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, cit., p. 8.
35
E. VALENTO, Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara, cit., p. 40
16
«Come si legge, Evola dichiara che «i miei quadri li faccio per vanità…». Egli quindi
nega se stesso e tale negazione raggiunge il culmine nel momento in cui, come estremo
gesto Dada, egli smette di dipingere. Butta alle ostriche sei anni di lavoro e di ricerca
pittorica, dopo essere stato all’avanguardia e dopo essere stato a contatto ed aver
combattuto lotte culturali a fianco di nomi ora considerati i più prestigiosi della nostra
cultura europea come Aragon, Tzara, Picabia, Ernst, Mondrian, Eluard, ecc. Evola si
sente talmente protagonista del Movimento Dada che inconsciamente sente, quattro
anni prima, la stessa necessità che Marcel Duchamp sentì nel 1925 quando anche lui
smise di creare le sue opere dada per dedicarsi al gioco degli scacchi»
36
.
36
C. BRUNI, Evola dada in Testimonianze su Evola, cit. p. 61.
17
Vago come una puttana in un mondo senza marciapiedi.
Emile Cioran
4. Oltre il Dadaismo.
Annullare dada è il più perfetto gesto dada. La migliore opera dadaista evoliana è il suo
abbandono. Uscendo dal Dadaismo conferma di esserne stato un grandissimo
rappresentante, in Italia il maggiore:
«Al dadaismo facevo il rimprovero di non essere pervenuto sino alla dimensione più
profonda (avrei dovuto usare l’aggettivo «metafisica»); attraverso la distruzione, il
sovvertimento, l’incoerenza, la contradizione e l’astrazione esso pensava di liberare la
«Vita» (quasi come in un esasperato bergsonismo), mentre per me si trattava di
qualcosa di altro, di diverso dalla vita.
In realtà il movimento a cui mi ero associato, tenendo Tristan Tzara in alta stima,
doveva realizzare ben poco di ciò che io in esso avevo visto. Se rappresentò di certo il
limite estremo e insuperato di tutte le correnti d’avanguardia, tuttavia esso non si
autoconsumò nell'esperienza di una effettiva «rottura di livello» di là da ogni arte e di
ogni consimile espressione»
37
.
Il Dadaismo dunque, fu troppo poco. Evola non può aspettare, chiude il ciclo
superandolo, arriva cioè dove il Dadaismo stesso non era arrivato forse perché non
poteva e questo il barone lo capì assai presto.
Come sottolinea Bruni, la fine dell’esperienza pittorica è dunque un segno di estrema
lucidità e onestà intellettuale:
«Non è esatto quindi quanto è stato scritto che «la sua esperienza pittorica è stato solo
un passaggio di una sua complessa storia interiore»: per me invece Evola pittore ha
iniziato, percorso e chiuso un intero ciclo; ha fatto un discorso completo al quale egli
non volva aggiungere una parola di più. In questo suo coerente atteggiamento si può
perfino trovare un punto di incontro tra il pensiero di Evola e quello di Giorgio de
Chirico che, appunto dopo il 1919, chiude il suo discorso metafisico.
37
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, cit., p. 9.
18
Il mondo fino ad oggi non è riuscito a comprendere quanto questi artisti abbiano
veramente vissuto le loro esperienze e per questo motivo essi hanno sentito la necessità
di chiudere il loro discorso.
Era inutile continuare quando ciò che si voleva dire era stato detto. Era inutile ripetersi
ed ognuno ha trovato un altro linguaggio – o il silenzio – per esprimere le nuove idee
maturate con il tempo.
Tutta questa porzione della cultura europea, dei primi 25 anni di questo secolo, dovrà
essere dunque riesaminata e forse allora molte cose andranno a posto e molta ragione
verrà data a chi oggi sembra sfuggire ad ogni tradizionale classificazione. Sono certo
che questo avverrà ed in tale riesame, almeno nella storia dell’arte italiana, Evola pittore
dovrà occupare quel posto che già gli compete»
38
.
Va ricordato inoltre che col suo gesto estremo Evola chiuse non solo l’esperienza
pittorica ma anche quella poetica, apprezzata nell’opera Arte Astratta:
«Nel 1921 smisi del tutto la pittura. Esaurita l’esperienza, andai oltre. Buona parte dei
miei quadri è andata dispersa. Solo dopo circa quarant’anni, dal 1960 al 1963, qualcuno
in Italia e in Francia ha riportato l’attenzione su quei miei contributi, per il loro valore
storico di anticipazioni. Fu anche proposta una esposizione retrospettiva.
Nel campo della poesia, pubblicai qualcosa in alcune riviste francesi, a parte i poemi in
appendice di Arte Astratta. Più degno di rilievo è forse il poema in francese La parole
obscure du paysage intérieur, uscito nel 1921 per la Collection Dada in sole 99 copie
numerate. Apprezzato dai principali esponenti del Dadaismo, esso chiuse la mia
esperienza nel campo dell’arte d’avanguardia. Ho acconsentito alla sua ri-stampa
quattro decenni dopo, per le edizioni Scheiwiller, anche per significare che io non
rinnego affatto le mie passate esperienze e che sono lungi dal considerarle come dei
«peccati di gioventù»; ho però avuto cura di spiegare la situazione e il periodo in cui il
poema nacque: senza di che, il riapparire di quella composizione avrebbe costituito
motivo di perplessità per coloro che mi conoscono solo per la mia attività più recente
d’orientamento tradizionale»
39
.
Un’ultima considerazione va formulata in relazione al Surrealismo. Questo movimento
ebbe una rapida e ampia diffusione europea, va notato infatti che in Germania molti
dadaisti renani aderirono ad esso in quanto Dada, con l’ascesa di Hitler venne bandito,
poiché considerato un movimento depravato. Il Surrealismo invece, sebbene pur
sempre essenzialmente e volutamente provocatorio, risultava più costruttivo e
propositivo rispetto al distruttivismo e autodistruttivismo dadaista.
Evola non accetta il passaggio al Surrealismo, non concependo quest’ultimo come una
naturale conseguenza o peggio un’evoluzione del Dadaismo. Il Surrealismo è visto dal
Nostro più come una sconfitta che come una conquista: l’abdicare in toto all’inconscio e
all’irrazionale, anche e soprattutto dal punto di vista creativo e non solo teorico, è per
38
C. BRUNI, Evola dada in Testimonianze su Evola, cit. p. 61, 2.
39
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, cit., p. 9. Il poema tra l’altro è davvero affascinante, il barone si servì
di una tecnica specifica per la composizione: «Per un cenno, se la tecnica del poema era quella della
poesia astratta e della cosiddetta «alchimia delle parole» (le parole usate soprattutto nelle combinazioni
delle loro frange evocative dissociate dal senso reale), tuttavia esso aveva anche un contenuto perché vi si
descriveva una specie di dramma interiore, la cui chiave era indicata in un detto d'inspirazione gnostica:
«Si ridestò al Grande Giorno e per aver creato le tenebre conobbe la luce». Ivi, p 10.
19
Evola inaccettabile. Le varie tecniche usate dai surrealisti come ad esempio la scrittura
automatica, il cadavre exquis, il frottage e il grattage
40
, hanno il merito di far emergere i
lati più oscuri, inaccessibili e dunque non ancora investigati dell’inconscio, permettendo
all’artista di impossessarsi della realtà del sogno in questa realtà di veglia, una realtà
dunque nella quale i limiti possono sgretolarsi a volontà. Tuttavia, anche se questo
sembra essere un segno di libertà per l’artista, una sorta di vittoria sulla malsana azione
livellante e omologante della società, dalla quale è difficile evadere per via della sua
azione subliminale
41
, il Surrealismo non è in grado secondo il barone di aprire dei reali
varchi metafisici e questo è il problema fondamentale.
Le tecniche surrealiste trascendono le barriere della stessa realtà di veglia per accedere a
quelle del sogno. Di fronte alle opere, lo spettatore prova un effetto di spaesamento e si
immedesima in un processo che diviene dunque partecipativo, circolare.
Per quanto tutto ciò possa risultare affascinante, per la prospettiva filosofica evoliana
risulta inammissibile. Esso è infatti, per certi versi, quasi l’opposto di quello spasmodico
e consapevole possesso estremo dell’Io mutuato dai vari Stirner, Michelstaedter,
Weininger e Nietzsche, il quale aveva dato via all’Idealismo magico e all’Individuo
assoluto. Il corrispettivo artistico di questo possesso era dunque l’esperienza dada – e il
suo superamento. Al suo cospetto il Surrealismo, più che una conquista, quale invece
sembrava a molti, a partire da Breton, appariva al filosofo romano quale caduta, uno
stordimento, un confuso sbaglio, come si legge nel Cammino del Cinabro:
«Al dadaismo fece seguito il surrealismo, il cui carattere, dal mio punto di vista, era
regressivo, perché esso per un lato coltivò una specie di automatismo psichico
gravitando verso gli strati subconsci e inconsci dell’essere, tanto da solidarizzare con la
stessa psicanalisi, e dall’altro lato si ridusse a trasmettere sensazioni confuse di un
«dietro» inquietante e inafferrabile della realtà (specie nella cosiddetta «pittura
metafisica») senza nessuna vera apertura verso l’alto»
42
.
Tale apertura era invece ciò che interessava Evola e continuò ad interessarlo per tutta la
vita, anche quando, costretto su una sedia a rotelle per aver sfidato «la mano degli
dèi»
43
tra i bombardamenti viennesi, rimane fermo e vigile nei suoi intenti, come nulla
fosse successo (si dice che quando si risvegliò in ospedale dopo l’incidente si guardò
intorno e chiese che fine aveva fatto il suo monocolo).
Un incidente che stravolgerebbe la vita della maggior parte degli esseri umani, è
accettato dal filosofo con la massima serenità, nella consapevolezza, in linea con
un’antica legge esoterica, che ogni azione che «capita» in realtà è dall’interno voluta:
«Nulla cambiava, tutto si riduceva ad un impedimento puramente fisico che, a parte dei
fastidi pratici e certe limitazioni della vita profana, non mi toccava in nulla, la mia
attività spirituale e intellettuale non essendone in alcun modo pregiudicata o
modificata. La dottrina tradizionale che nei miei scritti ho spesso avuto occasione di
40
Il frottage è una specifica tecnica di scrittura automatica e il grattage è invece un raschiamento dei colori
precedentemente stesi sulla tela. Fu Ernst l’inventore di entrambe le tecniche.
41
Riguardo tale azione livellante, sono interessanti le riflessioni di Zolla soprattutto ne Gli arcani del
potere, Rizzoli, Milano 2009 e Volgarità e dolore, Bompiani, Milano 1966.
42
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, cit. p. 9.
43
«Per intanto, mi sono adeguato con calma alla situazione, pensando scherzosamente talvolta che forse
si tratta di dèi che han fatto pesare un po' troppo la mano, nello scherzare con loro». Ivi, p. 64.
20
esporre - quella, secondo la quale non vi è avvenimento rilevante l’esistenza che non sia
stato da noi stessi voluto in sede prenatale - è anche quella di cui sono intimamente
convinto, e tale dottrina non posso non applicarla anche alla contingenza ora riferita»
44
.
44
Ivi, p. 64.
21
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI CITATI E CONSULTATI
OPERE DI EVOLA
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Strini, Roma 1920
J. EVOLA, Il Cammino del Cinabro, Vanni Scheiwiller, Milano 1963
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n. 41, Controcorrente, Napoli 2005.
STUDI SU EVOLA
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interiore, Mediterranee, Roma 2006
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Cinquant’anni a Dada: Dada in Italia 1916-1966, Milano, Galleria Schwarz, 1966
Testimonianze su Evola, a cura di G. De Turris, Mediterranee, Roma 1985.
Julius Evola e l’arte dell’avanguardia tra Futurismo, Dada e Alchimia, Fondazione Julius
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E. VALENTO, Homo faber. Julius Evola fra arte e alchimia, Fondazione Julius Evola, Roma
1994
- (a cura di), Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara (1919 – 1923), Edizioni Fondazione
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- Dada libertin et libertaire, L’Insolite, Paris 2005
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T. TZARA, Manifesti del dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino 1990.
22