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Ricostruzione Facciale Forense di S.
Caterina Fieschi Adorno
Relazione tecnico-scientifica
Luca Bezzi (Arc-Team), Alessandro Bezzi (Arc-Team), Cicero Moraes (Arc-Team)
Introduzione alla Ricostruzione Facciale Forense
La tecnica della Ricostruzione Facciale Forense (Bezzi, Moraes, 2018b), di seguito abbreviata in
FFR (acronimo inglese di Forensic Facial Reconstruction), permette di ricostruire i lineamenti del
volto partendo dalla morfologia di un cranio umano. Il metodo, già teorizzato da Hermann Welcker
e Wilhelm His alla fine del XIX secolo, ha trovato applicazioni in campo storico e archeologico
soprattutto grazie all’opera del russo Mikhail Mikhaylovich Gerasimov che, a partire dagli anni 30
del XX secolo, diede un forte impulso alla disciplina. E’ solo con la recente informatizzazione delle
scienze mediche, però, che le tecniche ricostruttive hanno raggiunto un buon livello di
approssimazione, verificabile attraverso blind test (test alla cieca) su individui viventi.
Il flusso di lavoro standard di un tipico progetto ricostruttivo mediante FFR prevede una serie di
operazioni che prendono avvio da alcuni studi preliminari sui resti umani (scheletrici o
mummificati), finalizzati ad inquadrarne il contesto a livello storico e archeologico (una cronologia
di massima, l’ambito culturale dell’individuo, il suo status sociale, ecc…) e a ricavare le
informazioni minime sul piano dell’antropologia fisica. Queste informazioni antropologiche di base,
infatti, indirizzeranno le successive fasi tecniche. Si tratta, in sostanza, di determinare il sesso,
l’ascendenza (l’appartenenza a determinati gruppi umani1) e l‘età alla morte dell’individuo sotto
esame. Un studio più approfondito, inoltre, viene riservato all’individuazione di eventuali traumi o
malattie subite in vita, da distinguere rispetto a fratture o altre anomalie post mortem.
Una volta concluse le analisi preliminari
(storiche, archeologiche, antropologiche,
paleopatologiche, ecc ...) iniziano le
procedure di FFR vera e propria. Le
tecniche tradizionali prevedono la
duplicazione del cranio originale
mediante una replica (in genere ottenuta
con un calco), che viene fissato sul
“piano di Francoforte”, una convenzione
medica2 che simula la posizione
anatomica della testa di una persona
stante (con una postura eretta, in
condizioni normali). Successivamente,
su opportuni punti chiave (detti
craniometrici), vengono piazzati gli
Indicatori di Tessuti Molli (o TDM,
Tissue Depth Markers in inglese), in
modo da ricostruire i volumi originali di
muscolatura e pelle, non più esistenti
(nel caso di resti scheletrici), o
fortemente ridotti (nel caso di resti
mummificati). La lunghezza di tali
1 Il termine ascendenza, in ambito umano, è da preferirsi a quello, improprio, di razza, che non ha valore scientifico.
Con ascendenza si rimanda dunque a determinati gruppi umani che presentano caratteristiche comuni (anche
fisiche), in genere ascrivibili alla prossimità geografica dei singoli individui (anche se la facilità di spostamenti e
migrazioni in tempi recenti sta relativizzando tale variabile). Ovviamente l’ascendenza può essere mista,
comportando caratteristiche somatiche riconducibili a due o più gruppi distinti. Per un approfondimento sul falso
concetto di razza da un punto di vista genetico, si rimanda al contributo “DNA e razze umane. Quali conclusioni?”
di Luca Pagani (Pagani 2018).
2 La convenzione è stata definita durante il Congresso Mondiale di Antropologia a Francoforte sul Meno, nel 1884.
Illustrazione 1: Ricostruzione facciale forense operata presso
l'Università di Dundee in Scozia (da Wikipedia).
indicatori è determinata sulla base di studi statistici desunti da osservazioni su diversi individui e
può variare leggermente a seconda delle tabelle di riferimento utilizzate, all’interno delle quali
vanno selezionate le misure relative all’individuo in esame (considerando il sesso, l’ascendenza e
l’età alla morte3). La fase seguente prevede la ricostruzione del profilo del volto, con particolare
attenzione per il naso e per le labbra. Nel primo caso si utilizzano una serie di proiezioni
geometriche a partire dalle ossa nasali, mentre nel secondo caso si considera soprattutto lo stato di
salute della dentatura (che influenza il livello di turgore delle labbra). Anche durante questo
passaggio, come per il piazzamento degli Indicatori dei Tessuti Molli, la scelta del metodo utilizzato
può influenzare lievemente la restituzione finale. Giunto a questo punto l’artista forense può
finalmente effettuare la ricostruzione del volto, aggiungendo successivi strati di materiale plastico e
regolandosi sulle costrizioni individuate dai TDM, fino alla loro totale obliterazione.
La procedura standard sin qui descritta può comunque prevedere piccole variazioni in base alle
scelte operate dai diversi team di ricerca. In ogni caso, questo è il flusso di lavoro che è stato
ulteriormente sviluppato e migliorato dall’equipe di Arc-Team durante numerosi progetti di FFR,
sia di stampo storico-archeologico, sia di stampo medico-forense, fino alla codifica di uno specifico
protocollo.
Il protocollo Arc-Team
A partire dal 2010, Arc-Team ha cominciato a sviluppare un protocollo di FFR, soprattutto grazie
alla collaborazione con l’artista digitale Cicero Moraes. Al 2012 risale la prima applicazione di tale
protocollo per una ricostruzione eseguita a fini archeologici su alcuni resti scheletrici medievali
rinvenuti presso la chiesa di S. Apollinare a Trento (Moraes 2012). Nel 2014, grazie alla mostra
“Facce. I molti volti della storia umana” (Bezzi et al. 2016), il flusso di lavoro è stato affinato con la
ricostruzione di cinque personalità storiche (S. Antonio, Francesco Petrarca, Giovanni Battista
Morgagni, il Beato Luca Belludi, la mummia tolemaica del primo sacerdote di Toth) e ampliato
mediante l’introduzione di una nuova metodologia, denominata “Deformazione Anatomica
Coerente”, specificatamente studiata per le ricostruzioni paleoartistiche di individui non
anatomicamente moderni, appartenenti alla sottofamiglia degli Homininae (Bezzi 2016). Nel 2018,
infine, per l’esposizione “Imago animi. Volti dal passato” (Bezzi et al. 2018), è stata sviluppata una
nuova metodologia per eseguire ricostruzioni facciali iconografiche (basate unicamente su fonti
storico-artistiche), i cui principi generali, legati allo studio comparativo della ritrattistica per
delineare i caratteri fisici comuni tra opere differenti (Nebl 2018), possono essere utilizzati quale
metodo integrativo di controllo nella prassi della FFR.
Allo stato attuale (2019), le principali caratteristiche del protocollo Arc-Team sono: la traduzione in
tecnologie digitali delle tradizionali tecniche scultoree di ricostruzione facciale forense, che ha
apportato un risparmio in termini di tempistica e di costi, oltre alla possibilità di una continua
revisione del modello digitale alla luce di eventuali nuove scoperte; l’utilizzo di soli software a
codice aperto (FLOSS, Free/Libre and Open Source Software), con la possibilità di verificare gli
algoritmi utilizzati dalle singole applicazioni (Bezzi et al. 2012); la scansione 3D di resti scheletrici
attraverso tecniche di SfM (Structre from Motion) e MVS (Multiple-View Stereoreconstruction),
basati su metodologie fotografiche di acquisizione dati estremamente versatili e utilizzabili
praticamente in qualsiasi contesto (Bezzi et al. 2011); la scelta di un flusso di lavoro impostato
sulle tecniche ricostruttive che hanno dato i migliori risultati durante una serie di blind test effettuati
su individui viventi, partendo da una copia digitale del cranio ottenuta via TAC (Tomografia
Assiale Computerizzata) ed eseguendo la FFR alla cieca per poi verificare il risultato finale con le
fattezze degli individui stessi (Moraes 2013 e Moraes 2014); il conseguente utilizzo, nel caso di
individui con ascendenze caucasiche, del metodo Wilkinson (Wilkinson 2004) per il piazzamento
3 Ovvero le informazioni antropologiche di base.
dei TDM, impostati sulle tabelle elaborate da De Greef e collaboratori (De Greef et al. 2006), e del
metodo e Lebedinskaya per la ricostruzione del naso (Lebedinskaya 1998); la classificazione dei
dati disponibili tra informazioni antropologiche di base (ovvero sesso, ascendenza ed età alla morte
dell’individuo studiato), accessibili sia al responsabile del progetto, sia all’artista forense, e
informazioni riservate (ovvero qualsiasi informazione che possa ricondurre all’identità
dell’individuo in esame, ove nota), accessibili unicamente al responsabile del progetto fino
all’ultimazione di un primo modello ricostruttivo (glabro), al fine di evitare di influenzare il lavoro
dell’artista forense nelle fasi più delicate; la calibrazione del primo modello ricostruttivo attraverso
le informazioni riservate (di stampo storico, archeologico e medico), che ne svelano l’identità
all’artista forense, con la conseguente aggiunta di dettagli relativi alla capigliatura e, nel caso di
individui maschili, alla barba; la vestizione del modello con abiti e acconciature appropriate, in base
ad uno studio storico sull’epoca in cui l’individuo ha vissuto e sulle sue condizioni sociali,
eventualmente supportato da un’analisi storico-artistiche sulla ritrattistica pertinente.
Nonostante una certa standardizzazione del protocollo Arc-Team, codificata durante quasi un
decennio di ricostruzioni facciali, in certi casi possono rendersi necessarie alcune procedure
straordinarie, quali: l’utilizzo di TAC per la scansione dello scheletro nei casi di mummificazione
(ad esempio per la mummia del primo sacerdote di Toth, conservata presso il Museo di
Antropologia dell’Università degli Studi di Padova; Carrara, Scatolin 2018); l’eventuale restauro
virtuale del cranio, in caso di parti mancanti (come nel caso di Giovanni Battista Morgagni; Zanatta
et al. 2018) o di deformazioni post-mortem (tipiche per i resti scheletrici molto antichi, quali quelli
dell’uomo mesolitico di Mondeval); una seconda calibrazione del modello ricostruttivo, mediante
eventuali informazioni aggiuntive desunte da studi specialistici come analisi paleopatologiche (ad
esempio la correzione del BMI, Body Mass Index, nel caso di S. Antonio di Padova; Carrara et al.
2014) o di aDNA (DNA antico); il confronto tra il modello ricostruttivo e le fonti iconografiche
disponibili; la ricostruzione di una specifica espressione o microespressione del volto (come per S.
Paolina Visintainer; Bezzi, Moraes 2018a).
Illustrazione 2: A sinistra, la sovrapposizione tra volto ricostruito (in rosa) e volto reale (in bianco), a seguito di un
blind test eseguito su un individuo vivente; a destra, l'analisi delle divergenze tra i due modelli (Archivio Digitale Arc-
Team, da ATOR; autore Cicero Moraes).
Il caso di Santa Caterina Fieschi Adorno
La ricostruzione facciale forense di Santa Caterina Fieschi Adorno rappresenta un interessante caso
di studio per alcune procedure straordinarie, adottate a causa delle eccezionali condizioni di
conservazione delle reliquie, della tipologia dell’urna e delle storia recente delle ricognizioni sul
corpo della Santa.
Infatti, a seguito di un primo sopralluogo, effettuato il 20 dicembre 2018, i tecnici di Arc-Team,
Luca Bezzi (responsabile del progetto) e Alessandro Bezzi (specialista di rilievo fotografico in 3D),
hanno potuto appurare l’ottimo stato di conservazione del corpo di Santa Caterina da Genova, che
appariva mummificato e, almeno nelle parti scoperte dai paludamenti, per nulla scheletrificato. Un
più accurato esame (ravvicinato, seppur ad urna chiusa) ha però rivelato alcune zone critiche
(principalmente il naso e la bocca), apparentemente oggetto di piccoli interventi di restauro. Tali
osservazioni hanno in seguito trovato conferma attraverso uno studio bibliografico presso
l’Archivio storico dei Cappuccini di Genova, grazie alle indicazioni del direttore dell’archivio
stesso, Padre Vittorio Casalino, e dell’archivista dott.ssa Simonetta Ottani. In sintesi, gli interventi
di restauro andavano ascritti alla riapertura dell’urna operata nel 1960 sotto la direzione del Prof.
Ferdinando Rossi de Rubeis (Rossi de Rubeis 1960).
Il sopralluogo del 20 dicembre 2018 ha anche appurato come la stessa urna contribuisse alla perfetta
conservazione del corpo santo, grazie ad un microclima stabile che si sarebbe potuto mantenere, in
caso di riapertura, solo con opportuni accorgimenti tecnici e con un’adeguata preparazione logistica.
Considerando però la fattura del reliquiario, sostanzialmente un sarcofago di cristallo le cui giunture
sono sostenute da un telaio ricoperto da bronzo dorato4, i tecnici di Arc-Team hanno ritenuto di
poter effettuare un rilievo tridimensionale delle parti anatomiche necessarie alla successiva FFR5
semplicemente scattando fotografie dall’esterno mediante l’utilizzo di opportuni filtri polarizzati e
di alcuni riferimenti metrici piazzati in punti strategici. Una tale strategia avrebbe permesso di
4 All’interno del quale sono nascoste, in un comparto segreto, le due serrature che permettono di aprire l’urna stessa.
5 Sostanzialmente il volto e parte della testa.
Illustrazione 3: Tratteggiate in rosso, le aree soggette a restauro integrativo nel 1960 (Archivio Fotografico Arc-Team,
foto Alessandro Bezzi, elaborazione Luca Bezzi).
evitare una nuova apertura dell’urna, anche se, ovviamente, quest’ultima operazione avrebbe reso
possibile effettuare una TAC, ottenendo migliori dati di partenza (a scapito, però, di rischi legati
alla possibilità di alterare l’ottimo stato di conservazione delle reliquie stesse). Dopo aver
concordato con Padre Vittorio Casalino una strategia conservativa, di stampo passivo (impostata
cioè su un semplice rilievo fotografico, senza un contatto diretto con il corpo della Santa), i tecnici
di Arc-Team hanno provveduto all’acquisizione dei dati tramite una serie di rilievi ottenuti con una
camera professionale Nikon D800 e improntati ad una futura restituzione tridimensionale tramite
tecniche di SfM e MVS (Bezzi et al. 2011). La prima fase del progetto di ricostruzione facciale di
Santa Caterina da Genova è stata dunque ultimata durante il sopralluogo stesso, in data 20 dicembre
2018.
Una volta registrati sufficienti photoset del volto e della testa di Santa Caterina da Genova, si è
proceduto col processamento dei dati, al fine di ottenere un primo 3D del viso mummificato, per
proseguire poi con gli ulteriori passaggi del progetto di FFR. Questa seconda fase, al pari di quelle
successive, è stata svolta all’interno del sistema operativo ArcheOS6 (Bezzi et al. 2013), utilizzando
i software7 integrati nella versione stabile e, nel caso specifico, il programma openMVG (Moulon et
al. 2017). Nonostante l’ottenimento di un primo modello digitale, la cui risoluzione è stata ritenuta
sufficiente, su iniziativa dell’artista forense di Arc-Team, Cicero Moraes, si è deciso di utilizzare
anche il nuovo software OrtogOnBlender, sviluppato (tra gli altri) dallo stesso Moraes, come un
addon aggiuntivo per la suite Blender8. Questa applicazione, integrata nella versione sperimentale
di ArcheOS, ha restituito un modello 3D migliore, caratterizzato da un maggiore dettaglio e e da un
più alto livello di accuratezza e precisione.
Parallelamente all’elaborazione del rilievo 3D, si è proceduto con lo studio storico-archivistico sulla
vita di Santa Caterina da Genova, sulle successive ricognizioni e riaperture dell’urna e su eventuali
studi specialistici delle reliquie. Ovviamente, tutte le informazioni raccolte in questa sede9 sono
state classificate e il loro accesso è stato ristretto al solo responsabile del progetto (Luca Bezzi) e
allo specialista del rilievo 3D (Alessandro Bezzi), mentre l’artista forense (Cicero Moraes) ha
lavorato alla cieca fino al primo modello ricostruttivo.
Per quanto riguarda la vita della Santa, non sono stati ravvisati particolari eventi che possano aver
influito in maniera importante sul suo aspetto esteriore, fatti salvi quelli relativi alla sua “storia
clinica”, di cui si dirà in seguito. In estrema sintesi, le date fondamentali nella vita di Caterina
Fieschi Adorno possono essere riassunte nella seguente successione: 1447 (nascita), 1463
(matrimonio, a 16 anni di età), 1497 (morte del marito) e 1510 (morte, a 63 anni).
Più interessante, dal punto di vista del progetto di FFR, si sono rivelate le informazioni desunte
dall’analisi delle fonti storiche riguardanti le diverse ricognizioni sul corpo incorrotto, che si sono
succedute a partire alla morte della Santa. Anche in questo caso ci si è avvalsi del prezioso aiuto
della Dott.ssa Simonetta Ottani, grazie alla quale si sono potuti consultare importanti documenti, tra
cui: la dichiarazione del chirurgo Giuseppe Maria Carocci (Carocci 1713a) ed una sua descrizione
esterna del corpo (Carocci 1713b), una relazione della seconda metà del XX secolo, scritta da Padre
Cassiano da Langasco (Carpaneto da Langasco), un’attestazione, redatta da Padre Vittorio Casalino,
sul confezionamento di una teca contenente alcune reliquie raccolte in occasione della ricognizione
del 1960 (Casalino 2003a), nonché la relazione stessa di tale ricognizione (Rossi de Rubeis 1960).
In base ad una veloce analisi di questi e altri documenti d’archivio si può ricostruire una breve
cronistoria delle aperture del sepolcro e dell’urna di S. Caterina Fieschi Adorno, riassumibile nella
seguente successione: 1512 (asportazione di un unghia), 1630 (prima segnalazione della scomparsa
6 Specificatamente sviluppato a fini archeologici.
7 SfM e MVS.
8 La stessa che verrà utilizzata per tutte e operazioni di modellazione e rendering del progetto di FFR.
9 Con un’unica importante eccezione, come si vedrà in seguito.
dell’apice del naso), 1631 (ricognizione più accurata rispetto a quella dell’anno precedente), 1634
(registrazione di una situazione conservativa pressoché stazionaria), 1665 (asportazione di un
dente), 1675 (autenticazione del dente precedentemente asportato), 1709 (vestizione con nuovi
paludamenti), 1713 (posizionamento di due rose nella cavità buccale), 1738 (pulizia in seguito alla
penetrazione nell’urna di ragni e ragnatele per la rottura di un vetro), 1837 (pulitura del corpo con
mollica di pane e vestizione con nuovi paludamenti), 1924 (efrazione dell’urna con conseguente
furto di preziosi), 1925 (sostituzione delle rose con delle copie in celluloide), 1960 (intervento
integrativo del Prof. Rossi de Rubeis), 2003 (intervento conservativo del Prof. Fulcheri). All’interno
di questa sequenza, spiccano, per gli effetti diretti sul progetto di FFR, gli interventi del 1630, 1665,
Illustrazione 4: Comparazione tra il modello SfM-MVS ottenuto con open MVG, in grigio, e quello ottenuto con
OrtogOnBlender, in rosso (Archivio Digitale Arc-Team, elaborazione Cicero Moraes).
1713 e soprattutto del 1960.
L’ultima ricerca bibliografica sulla la vita di Santa Caterina Fieschi Adorno è stata condotta
cercando di individuare eventuali studi specialistici sul corpo incorrotto, ottenendo importanti
indicazioni dal lavoro del Prof. Ezio Fulcheri (Fulcheri 2006), responsabile, tra l’altro, della più
recente ricognizione conservativa sulla Santa di Genova. Nonostante in questa occasione il Prof.
Fulcheri non abbia eseguito una vera e propria autopsia e nemmeno esami istologici, la sua accurata
analisi delle fonti storiche, ripulite da “… sovrapposizioni e rivisitazioni interpretative date
dall’agiografia celebrativa…" (Fulcheri 2006) è fondamentale per definire alcuni punti fermi nella
“storia clinica” della Santa. In base al lavoro di Fulcheri, gli anni più significativi, per il progetto di
FFR, sembrano essere: quelli tra il 1473 e il 1477, caratterizzati da penitenze e digiuni, che forse ne
minano la salute; il 1493, in cui si ammala di peste, ma ne guarisce; il 1499, quando interrompe i
digiuni; il 1501, caratterizzato da un sensibile peggioramento delle condizioni di salute. Senza
entrare specificatamente nell’analisi puntuale delle testimonianze circa gli ultimi anni di vita dei S.
Caterina da Genova, ai fini della FFR basterà riportare le conclusioni del Prof. Fulcheri, che, nella
sua analisi paleopatologica basata sulle fonti storiche, ricava una diagnosi impostata su un generico
reflusso gastro-esofageo cronico (con pirosi da stomaco a cuore) che avrebbe afflitto Caterina per
lunghi anni, mentre il suo decesso sarebbe stato causato dall’evoluzione di una malattia neoplastica
(tumore), che sembra aver portato all'occlusione del tratto gastro-enterico, con diffusione del
tumore agli organi della regione addominale superiore e probabile metastasizzazione al fegato e
all'encefalo. Tra i vari sintomi, gli ultimi giorni sarebbero anche stati caratterizzati da
manifestazioni patologiche che probabilmente hanno interessato anche la zona del volto.
Particolarmente interessanti, a questo proposito, alcune descrizioni, come quella che nota che “…
nelle sue carni erano certi buchi come chi mettesse nella pasta il dito ...”, in cui, secondo il Prof.
Fulcheri, “… pare ben descritto il segno della fovea in un edema generalizzato ...” (Fulcheri 2006),
e quella che riporta le parole: “divenne tutta gialla come di colore di zafferano”, ovvero, per
Fulcheri, “… l’ittero conclamato …” (Fulcheri 2006). Si tratta, in ogni caso, di sintomi
caratterizzanti solamente la fase terminale della malattia della Santa (gli ultimi giorni, come già
ricordato) e non lunghi periodi della sua vita.
Grazie allo studio storico-archivistico, dunque, si sono ricavate informazioni importanti per la
prosecuzione del progetto di FFR. Di fondamentale importanza apparivano soprattutto i dati desunti
dall’analisi delle riaperture dell’urna riguardanti l’intervento del 1960, in quanto implicavano la
necessità di avviare una procedura straordinaria legata al restauro virtuale delle reliquie,
propedeutico a qualsiasi ulteriore operazione ricostruttiva. Un restauro virtuale, in questo caso,
piuttosto particolare, ovvero di tipo, per così dire, “filologico” e non integrativo, atto cioè non tanto
a ricomporre parti mancanti del cranio, quanto piuttosto a rimuovere componenti aggiuntive. Stando
alla relazione del Prof. Rossi de Rubeis, infatti, la ricognizione operata nel 1960, oltre a generici
scopi conservativi, era indirizzata dalla volontà di integrare alcune parti del volto, ovvero: l’apice
del naso (che le fonti segnalano come assente già nel 1630); le labbra (anch’esse affette da
corrosione nel 1630); l’occhio destro (deturpato da un foro a partire almeno dal 1713); le arcate
dentarie (prive di quasi tutti i denti, nel 1713). Se i casi specifici dell’occhio destro e delle labbra
non presentavano particolari difficoltà ai fini della FFR, ed anzi sono state considerate più semplici
anche durante il restauro del 196010, diverso è il discorso riguardante il naso e le arcate dentarie,
punti particolarmente sensibili nei processi ricostruttivi del volto. Per queste due aree è stata fatta
un’analisi dettagliata, che ha portato a risultati differenti e, conseguentemente, a scelte ricostruttive
divergenti.
Nello specifico, nonostante l’ottimo lavoro dell’equipe diretta dal Prof. Rossi de Rudeis, la protesi
10 Il restauro della palpebra destra viene eseguito specularmente a quella sinistra (conservata), mentre le labbra
vengono parzialmente integrate con cere e paraffina colorata (perché ritenute troppo secche) e alzate di qualche
millimetro, per fare spazio alla protesi dentaria (che conserva 11 denti originali).
del naso è stata considerata non affidabile. Infatti, sebbene “… lo studio nel complesso lungo ...” sia
stato “… impostato sui rilievi antropometrici ...” e “... sulle fotografie del capo appositamente
scattate ...”, la ricerca si è anche basata “… sui dipinti un po’ forse fantasiosi, che raffigurano la
Santa ...” (Rossi de Rubeis 1960). Infatti la protesi viene aggiunta “… in modo che presenti una
base con le narici conformate come risultano essere state in vita (sic) nelle raffigurazioni pittoriche
della Santa ..." (Rossi de Rubeis 1960), per quanto non risultino esistere, ad oggi, ritratti di Caterina
Fieschi Adorno eseguiti con certezza prima della morte11.
Diversamente, per quanto concerne il lavoro di protesi dentaria, si è deciso di mantenere quanto
fatto nel 1960. Infatti, non potendo effettuare un’accurata analisi (ad urna chiusa), ci si è basati sulle
indicazioni desumibili dalla descrizione del Prof. Rossi de Rubeis, che parla di uno stato di salute
complessivamente buono: “… Data l’età della Santa, le privazioni e le sofferenze cui risulta si
sottoponesse nell’esercizio dell’opera assistenziale, il fatto soprattutto che a quell’epoca la patologia
dentale non disponeva di mezzi curativi e nemmeno preventivi, il giudizio che si può esprimere
sullo stato di conservazione dei denti suoi è relativamente buono … “ (Rossi de Rubeis 1960).
Ovviamente questa valutazione, come sottolinea lo stesso Prof. Rossi de Rubeis, è contestualizzata
al periodo storico in cui visse la Santa e si deve tener conto che alcuni denti sono stati sicuramente
persi in vita, dato che certi “… processi alveolari sono in parte usurati, verosimilmente per l’uso
fattone in vita per la masticazione in luogo dei denti perduti ...”. Comunque, nonostante l’assenza di
quasi tutti i denti sia stata già notata nel 1713 (Carocci 1713b), è chiaro che una buona parte di essi
sono caduti post-mortem. Nel complesso, infatti, 5 denti sono stati osservati ancora in sede dal Prof.
Rossi de Ruberis (3 nell’arcata superiore e due in quella inferiore), mentre altri 15 (6 nell’arcata
superiore e 9 in quella inferiore) erano quasi sicuramente presenti al momento della morte, stando
all’osservazione dei rispettivi alveoli “… anatomicamente indenni ...” (Rossi de Rubeis 1960). Non
potendo disporre di precise informazioni su quali di questi alveoli indicassero una perdita del dente
post-mortem, si è dunque deciso di mantenere, a livello digitale, la protesi costruita nel 1960,
considerando anche che il lavoro è stato eseguito da uno specialista odontoiatra12, recuperando, per
quanto possibile, elementi originali.
Concludendo, dunque, si è deciso di mantenere solo alcune scelte integrative effettuate durante il
restauro del 1960 (quelle riguardanti l’occhio desto, le labbra13 e la protesi dentale), scartando
quella più delicata delle parti molle del naso, dato che l’operazione in sé, per stessa ammissione
degli autori, è da considerarsi indirizzata dalla volontà di restituire un’immagine preconcetta della
Santa, il cui “… viso acquista così una regolarità che conferisce un aspetto di piacevole serenità ai
lineamenti quali ci sia aspetta in una donna di 60-70 anni, morta da molto tempo…" (Rossi de
Rubeis 1960). Ovviamente, a seguito dell’analisi effettuata sul restauro del 1960, la principale
indicazione ricavata, ovvero la necessità di rimuovere la protesi nasale, è stata declassificata e
fornita all’artista forense, mantenendo però l’anonimato sull’individuo in esame.
A questo punto si è potuto riprendere il normale flusso di lavoro della FFR, adattandolo, però, alla
circostanza particolare di una documentazione 3D riportante non il cranio del soggetto, bensì il suo
viso mummificato e parzialmente restaurato. Una volta ottenuto un volto scevro dalle protesi
ricostruttive del 1960 ritenute fuorvianti (il naso)14, si è posizionato il modello digitale sul “piano di
11 Tra i primi ritratti di Caterina Fieschi Adorno vi sono un dipinto, forse del XVI secolo, riportante l’indicazione
“vera effigies B. Catherine Flisce et Adorne”, oggi al Conservatorio del N.S. del Rifugio a Genova (Ferrero,
Piccardo 2003), e quello di un anonimo pittore Genovese (in precedenza erroneamente attribuito ad Agostino Calvi
e, successivamente, a Giovanni Battista Carlone), oggi presso i depositi di Palazzo Bianco (Priarone 2003).
Quest’ultima tela, risalente alla fine del XVI – inizio del XVII secolo, è stata probabilmente ispirata dal ritratto di
Agostino Calvi (tra i primi ad essere eseguiti), oggi scomparso, ma noto dagli atti del processo di canonizzazione
(fine XVII secolo), in quanto ritenuto anch’esso “vera effigies” della Santa.
12 Il Dott. Taviani Giovanni, coadiuvato dall’odontotecnico Sig. Pampuro Andrea (Rossi de Rubeis 1960).
13 Considerate ininfluenti ai fini della FFR.
14 Mediante il restauro virtuale filologico.
Francoforte”. Per poter procedere con il piazzamento dei TDM, però, si è dovuto ovviare ad questa
nuova criticità: l’assenza, ovviamente preventivata, del modello digitale del cranio, dovuta alla fase
di rilievo 3D impostata non sulla TAC, bensì sulle tecniche di SfM e MVS. La problematica è stata
risolta utilizzando tecniche di reverse engineering ispirate alla metodologia della “Deformazione
Anatomica Coerente”, cui si è accennato in precedenza (Bezzi 2016). In queste particolari
circostanze, però, non si è trattato di operare una trasformazione completa, che comprendesse anche
i tessuti molli (muscolatura e pelle), bensì solamente un adattamento del cranio di un donatore (un
individuo femminile dalle caratteristiche morfologiche nella media) al modello digitale della testa
mummificata di Santa Caterina, controllando l’operazione grazie alle misure osteometriche eseguite
dal Prof. Rossi de Rubeis (che registra una leggera dolicocefaia). La trasformazione, come da
prassi, è stata eseguita all’interno della suite di modellazione Blender (integrata in ArcheOS), grazie
allo strumento Lattice modifier. Pur non potendo raggiungere gli stessi livelli di precisione e
accuratezza di una TAC, il modello ricostruttivo così ottenuto è stato ritenuto sufficientemente
preciso per poter proseguire con il progetto di FFR, passando alla fase di ricostruzione del profilo
nasale (metodo Lebedinskaya) e delle labbra (impostate sulla protesi prodotta da Rossi de Rubeis e
collaboratori). Quindi si e passati al piazzamento dei TDM (secondo il metodo Wilkinson, tramite le
tabelle di De Greef), calibrando, in questo caso gli indicatori sia sul cranio ricostruito (per i punti
craniometrici), sia sul modello del volto mummificato (per un’ulteriore verifica), in modo da
mantenere un doppio controllo. L’artista forense ha dunque aggiunto, sempre in Blender, la
muscolatura e della pelle, fino a completare il primo modello ricostruttivo della testa, glabro e con
occhi di colore neutro (grigio-azzurro). Solo una volta giunti a questo punto si è rivelata all’artista
forense l’identità del soggetto, per poter passare alle fasi successive, ovvero la calibrazione e la
vestizione.
Per quanto riguarda la calibrazione, nonostante lo studio delle fonti storico-archivistiche, si sono
ricavate solo poche informazioni, tra l’altro, non del tutto affidabili. La più antica descrizione di
Illustrazione 5: In alto a sinistra, il restauro virtuale filologico del modello da SfM-MVS, con la rimozione della protesi
del naso; in basso a sinistra, tecniche di reverse engineering tramite la Deformazione Anatomica Coerente del cranio
del donatore; in alto a destra, la mdellazione della muscolatura; in basso a destra, il primo modello ricostruttivo
(Archivio Digitale Arc-Team, autore Cicero Moraes).
Santa Caterina da Genova ci viene da Padre Giacinto Parpera, il quale si richiama “… a un dipinto
su lavagna contemporaneo alla Santa e andato distrutto nel 1923, quando nel rimuoverlo si
frantumò …" (Casalino 2003b). Secondo il Parpera, “… Caterina fu di natura piuttosto grande, che
mezzana, di capo proporzionato, di volto alquanto lungo, ma di singolar proporzione e bellezza, di
color candido e rubicondo nel fior dell'età; di naso decentemente lungo, di occhi negri intorno le
pupille, di ciglia ragionevolmente grandi, di fronte spaziosa …" (Parpera 1682). Purtroppo, come
nota giustamente il Prof. Fulcheri: “… Se questo è il più antico ritratto possiamo anche affermare
che si tratta di un ritratto generico e troppo vago che può adattarsi a molte signore dell'epoca …"
(Fulcheri, Grillo 2003). In ogni caso, il colore degli occhi del primo modello ricostruttivo è stato
cambiato dal grigio-azzurro ad un marrone tenue, in quanto l’iride percepita come “nera” è in realtà
di tonalità marrone scuro, caratterizzata da gradi quantità di melanina, e tende a scolorire verso un
marrone più chiaro con il trascorrere dell’età. Poco si può dire anche sui capelli della Santa, per
quanto alcune indicazioni siano fornite dal Prof. Rossi de Rubeis. Nella sua relazione egli infatti
osserva che la testa “… porta traccia di capelli colorati, assai fini e corti, come per taglio ...” (Rossi
de Rubeis 1960). Anche in questo caso, però, non vi sono certezze, in quanto, come giustamente
ricorda il Prof. Fulcheri, “… all'epoca della ricognizione non venne effettuato l'esame tricologico
che avrebbe potuto fornire dati sulla struttura (lisci o ricci) e sul colore …" (Fulcheri, Grillo 2003).
Per questo motivo, in base alle indicazioni della committenza, si è preferito mantenere un colore
grigio, compatibile con l’età alla morte (63 anni).
Anche per l’ultima fase del processo ricostruttivo, ovvero la vestizione, ci si è attenuti alle
indicazioni della committenza, ovvero la Provincia di Genova dei Frati Minori Cappuccini. Gli abiti
con cui spesso viene ritratta la Santa, specie nei dipinti più antichi, sono stati ritenuti troppo simili a
quelli di una suora, motivo per cui, per evitare confusioni e rimarcare la condizione laica di
Caterina, si è deciso di ricostruire un abito vagamente ispirato a quello che la vede in “costume di
sposa” in diverse rappresentazioni “in gloria”, seppur piuttosto tarde, come quella di Mattia
Traverso, presso l’abitazione delle Suore Brignoline nell’Ospedale di San Martino, o quella della
statua di un ignoto cartapestaio genovese, ispirata ai disegni di Lorenzo de Ferrari (Ferrero,
Piccardo 2003). Il vestito è stato dunque spogliato degli eccessivi dettagli dei ricami dorati (motivi
ornamentali probabilmente legati ai secoli delle rispettive fonti iconografiche), mentre sono stati
mantenuti sia il colore azzurro, sia il colletto (in linea con l’abbigliamento di inizio XVI secolo). Un
velo trasparente, infine, è stato usato per coprire i capelli raccolti.
Questa, dunque, la versione definitiva del volto di Caterina Fieschi Adorno, almeno fino a future
indagini conoscitive sul corpo santo e all’eventuale scoperta di ulteriori indizi tramite analisi più
accurate15. Il modello, nel suo complesso, è ritenuto affidabile e, anche considerando le tre criticità
che hanno caratterizzato il progetto di FFR (il rilievo con SfM-MVS di reliquie mummificate, la
necessità di un restauro filologico e l’applicazione di tecniche di reverse engineering per la
restituzione del cranio), esso appare compatibile con i risultati raggiunti nei blind test sui viventi, i
quali variano da un minimo del 75% ad un massimo del 90% di sovrapponibilità tra il volto
ricostruito e quello reale.
Ad ogni modo, qualora ritenuto necessario, l’attuale modello digitale potrà essere ulteriormente
rivisto e corretto alla luce di nuove scoperte. E’ bene infatti ricordare che la presente proposta
ricostruttiva non è stata, ad oggi, calibrata in base ai dati paleopatologici (Fulcheri 2006) e, a questo
proposito, è essenziale aggiungere un’ultima considerazione. Le tecniche di FFR restituiscono, di
norma, il volto di un individuo all'età della sua morte che, ovviamente, può sopraggiungere per
traumi (si pensi ai SS. Martiri), oppure per malattia (come per S. Caterina da Genova). Nel secondo
caso vi sono alcune patologie che comportano sintomi caratterizzanti il volto di una persona per
gran parte della sua esistenza (ad esempio S. Antonio, definito, nelle fonti più antiche, come
15 Soprattutto possibili studi di aDNA.
corpulentus, a causa dell’edema di cui soffriva). Altre patologie sono fortemente impattanti,
degenerative, con un decorso più o meno rapito (è il caso della lebbra). Altre ancora sono
sintomatiche principalmente nella fase terminale (come l’ittero descritto per S. Caterina da
Genova). Nella ricostruzione di un volto, va valutata attentamente la condizione patologica del
soggetto e va deciso se riportarla nel modello ricostruttivo o meno. Nel presente lavoro, il volto di
S. Caterina è stato riprodotto all'età della morte, ma con un aspetto sano, in quanto i principali
sintomi della malattia (ittero) si sono presentati solo nella sua fase terminale.
Illustrazione 6: Ricostruzione finale del volto di Santa Caterina da Genova (autore Cicero Moraes).
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