Content uploaded by Claudio Marra
Author content
All content in this area was uploaded by Claudio Marra on Jul 04, 2019
Content may be subject to copyright.
Per una sociologia critica delle migrazioni.
Alcune notazioni teorico-metodologiche
CLAUDIO MARRA
Come citare / How to cite
MARRA, C. (2019). Per una sociologia critica delle migrazioni. Alcune notazioni teorico-metodologiche.
Culture e Studi del Sociale, 4(1), 47-62.
Disponibile / Retrieved http://www.cussoc.it/index.php/journal/issue/archive
1. Affiliazione Autore / Authors’ information
Osservatorio Politiche Sociali-Università di Salerno, Italy
2. Contatti / Authors’ contact
Claudio Marra: cmarra[at]gmail.com
Articolo pubblicato online / Article first published online: June 2019
- Peer Reviewed Journal
Informazioni aggiuntive / Additional information
Culture e Studi del Sociale
Culture e Studi del Sociale
CuSSoc
ISSN: 2531-3975
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
Per una sociologia critica delle migrazioni.
Alcune notazioni teorico-metodologiche
Claudio Marra
Osservatorio Politiche Sociali-Università di Salerno, Italy
E-mail: cmarra[at]unisa.it
Abstract
In this essay we intend to offer a critical analysis on the relationship between the most
widespread conceptions about immigration and those that give the social sciences. In the
wake of the most recent studies of the sociology of migration, the aim is to show the impor-
tance of a closer relationship between the first and the second. We try to show how Pierre
Bourdieu's sociological critique can be effective for an analytical journey of migration that
compares with the criticism of the same conceptual categories that have so far led research-
ers, often using those of political discourse and common sense. A greater interaction be-
tween the results of empirical research and conceptual tools allow an elaboration that, broa-
dening the perspective, at the same time considers the search for a general theory of migra-
tion ineffective.
Keywords: Migration, Bourdieu, Sociology.
Introduzione
A proposito dell’analisi dell’immigrazione, sono molte le voci critiche che af-
fermano la necessità di superare un atteggiamento che troppo spesso riduce la pro-
spettiva di analisi al solo punto di vista della società d’approdo. Si parla di immi-
grati, quelli che arrivano, considerandoli unicamente in quanto “diversi da noi”;
analizzando, quindi, il loro arrivo in termini di “problema” se non addirittura di
“pericolo”. A questo proposito, va ricordato l’apporto significativo alla riflessione
sociologica delle migrazioni da parte di Abdelmalek Sayad (Dal Lago, 2004).
Nel suo libro La double absence pubblicato in Francia nel 1999, Sayad mostra-
va di essere particolarmente critico nei confronti della sociologia delle migrazioni.
Egli, pensando soprattutto al caso francese, rimproverava alla sociologia di essere
soprattutto uno strumento di potere che spiava gli immigrati per fornire conoscenze
utili a selezionare, reclutare, inquadrare e plasmare i “buoni” ed eliminare i “catti-
vi”. Non si può nascondere che, nei paesi sviluppati, ancor oggi molti discorsi di
uomini politici sono incentrati sull’assunto che l’immigrazione risulti un pericolo
in termini di attentato alla sicurezza del paese d’approdo, in quanto irruzione di
“potenziali criminali”. In tal senso, le osservazioni di Sayad risultano quanto mai
attuali e quindi vale qui la pena di richiamarle. Nella propaganda politica populista,
soprattutto in ambito europeo, si continua a negare quella che, nell’ambito scienti-
fico e nelle aggregazioni politiche bastate su ideologie di tipo solidaristico, è
l’ormai conclamata funzione strutturale che nei paesi sviluppati assume la forza la-
voro immigrata sia per la sopravvivenza dei sistemi economici sia per la riprodu-
zione demografica (Harris, 1995).
Ma rimanendo sul terreno della contesa “immigrati pericolo” vs. “immigrati ri-
sorsa”, secondo il modello di analisi costi/benefici la migrazione è considerata me-
ro spostamento di forza lavoro. Questa logica economicista nega la dimensione e-
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
48
ISSN: 2531-3975
sperienziale e umana, su cui peraltro si è sviluppata la riflessione sociologica (Du-
bet, 1994).
Ponendosi esclusivamente dal punto di vista del paese d’approdo, questo ap-
proccio rischia di trascurare le condizioni sociali che hanno reso rilevante la mobi-
lità umana in primo luogo come oggetto di discorso e successivamente come ogget-
to di scienza. Allargare la prospettiva evidenziando le ragioni dello spostamento
significa anche considerare l’esperienza migratoria come costruzione di nuove op-
portunità di vita negate nel proprio paese d’origine.
Questa attenzione ha il merito di far emergere con chiarezza la migrazione come
progetto di vita e percorso nel quale il migrante porta con sé un certo bagaglio cul-
turale, formativo, fatto di esperienze e di visioni del mondo. Si tratta di un approc-
cio che non volendo essere riduttivo, considera l’esperienza migratoria in tutti i
suoi aspetti, ne evidenzia, allo stesso tempo, i suoi aspetti di popolamento, di cam-
biamento sociale nei paesi in cui i migranti si insediano, attivando dei meccanismi
di ripopolamento i cui effetti si ripercuotono sia sul contesto sia sugli stessi mi-
granti.
Sembra proprio che sul terreno delle migrazioni come fenomeno sociale la
“scientificità” possa essere compromessa dalla tentazione della sociologia delle
migrazioni di tendere a privilegiare, proprio come mostra Sayad (1999), il punto di
vista del paese d’approdo. Anche laddove si focalizza sull’immigrazione in termini
di “emergenza”, essa trascura di fatto il punto di vista dei migranti, perdendo quin-
di l’osservazione della migrazione in quanto esperienza (Dubet, 1994).
Partire da ciò significa, in qualche modo, ritrovare una delle motivazioni delle
scienze sociali, laddove queste indicano i meccanismi di rielaborazione e di rico-
struzione di legami sociali e di percorsi di vita.
Tale percorso metodologico non sarebbe efficace se non si confrontasse con la
critica delle categorie di senso comune utilizzate nel discorso sulle migrazioni, lad-
dove esse nascondono la violenza simbolica attraverso la quale si riproducono i si-
stemi di dominio che contrappongono gli stranieri agli autoctoni (Bourdieu e Wac-
quant, 1992).
Uno dei fattori-chiave della sovrastruttura ideologica della costruzione dello sta-
to nazionale, e che Sayad (1999) chiama “il pensiero di Stato”, consiste proprio
nell’individuazione degli stranieri come gli esclusi dalla cittadinanza, e le conse-
guenti restrizioni nei confronti dell’immigrazione (Todd, 1994). Lo sforzo volto a
costruire una nuova identità nazionale, come base simbolica dello Stato-Nazione,
ha avuto infatti come conseguenza di creare delle “minoranze” formate da quanti
erano esclusi da tale identità. La società nazionale, in tal senso, era costituita da
una popolazione caratterizzata una certa identità geografica, linguistica, etnica, cul-
turale, e che fornisce, per il tramite dello Stato, una garanzia e un’espressione poli-
tica a tale identità (Poggi, 1978). Ebrei, zingari, ad esempio, in molti paesi
dell’Europa Meridionale in Età moderna, che in precedenza erano, come dice Har-
ris (1995), “tessere del mosaico sociale europeo”, si trovano improvvisamente iso-
lati in quanto “stranieri”.
Uno degli effetti oggi visibili della sedimentazione storica di tale processo con-
siste nel fatto che – a mano a mano che si intensificavano i flussi migratori in entra-
ta – nei paesi economicamente più sviluppati è sempre più evidente la presenza di
fasce sempre più consistenti d’immigrati che, pur stabilmente insediati, si trovano
nella condizione di essere non cittadini.
Di recente, è stato sottolineato che per compiere passi significativi nello svilup-
po teorico in tema di mobilità umana, sia necessario allargare la prospettiva analiti-
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
49
ca del fenomeno in una comprensione più generale della società contemporanea
soprattutto in relazione alle dinamiche di cambiamento sociale (Castels, 2010).
È emersa, allo stesso tempo, l’esigenza di ricollocare la ricerca teorica sulle mi-
grazioni su uno dei percorsi tematici propri dell’analisi sociologica: quello delle
disuguaglianze sociali (Bastenier, 2004). Non è un caso infatti che la mobilità non
sia di fatto un diritto garantito a tutti, a dispetto di una globalizzazione che sembra-
va promettere maggiore facilità di spostamento (Bauman, 1998). Anche a questo
proposito si impone la necessità dell’analisi del movimento dei popoli come pro-
cesso basato sull’ineguaglianza e sulla discriminazione.
Nelle pagine che seguono, pur non potendo sviscerare a fondo queste problema-
tiche per ragioni di spazio, ci si pone l’obiettivo di proporre alcune riflessioni e no-
tazioni sull’arricchimento che può provenire dalle categorie concettuali proposte
dal lavoro teorico e di ricerca di Pierre Bourdieu, possibili fondamenta di una “so-
ciologica critica delle migrazioni”, e che peraltro sono alla base dello stesso per-
corso di ricerca di Sayad (1991; 1999).
1. Un allargamento di prospettiva
Nelle più recenti riflessioni sulla sociologia delle migrazioni emerge l’esigenza
di solide basi teoriche della migrazione che diano conto dei risultati delle ricerche
empiriche in quanto terreno di verifica delle precedenti teorizzazioni e concettua-
lizzazioni (Eve, 2001; Simon, 2002; Castels, 2010).
Nella riflessione sociologica della migrazione si è ormai consolidata la consa-
pevolezza di superare una concezione sostanzialista, che reifica e naturalizza, uni-
versalizza le categorie, rendendole eterne e irreversibili nel loro valore e significato
(Bauman, 1998; Castels, 2010).
Di fatto, tale concezione considera la migrazione in sé e per sé, indipendente-
mente dall’articolazione concreta delle pratiche. Lo stesso rapporto di tipo mecca-
nicista tra i push factor e i pull factor, ancora presente nelle impostazioni teoriche,
mostra una relazione meccanica e diretta nella corrispondenza tra posizioni sociali
e pratiche.
A proposito dell’analisi delle migrazioni, sulla scia di Bourdieu si potrebbe af-
fermare che il modo pensare sostanzialista può essere individuato laddove si con-
siderano le attività e nelle preferenze dei migranti – come dei caratteri iscritti una
volta per tutte in una “sorta di essenza biologica e culturale” (Accardo, 2006). E-
sempio emblematico a questo proposito – e nel caso italiano si potrebbero fare in-
numerevoli esempi – è l’analisi delle collocazioni degli stranieri nel mercato del
lavoro in termini di specializzazione etnica, da mero inserimento in alcune nicchie
occupazionali per motivi strategici, gli stessi processi analitici in qualche modo co-
struiscono degli stereotipi, nella misura in cui interpretano queste collocazioni dei
diversi gruppi etnici in termini di attitudini innate. Ma le ricerche empiriche hanno
confutato questa interpretazione, mostrando come immigrati appartenenti agli stes-
si gruppi etnici non svolgano le stesse attività nei diversi paesi d’approdo (Ambro-
sini, 2011).
Emerge la necessità di una lettura globale delle migrazioni che sia dotata di
strumenti concettuali che diano conto della dinamica del fenomeno (Pollini e Scidà,
1998; Simon, 2002).
Lo stesso concetto di transnazionalità è già la dimostrazione della necessità di
pensare in modo relazionale il fenomeno migratorio in quanto supera proprio la di-
cotomia push/pull. Le componenti della popolazione che emigrano tendono a ri-
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
50
ISSN: 2531-3975
comporsi in gruppi omogenei nelle aree di approdo in specifici contesti insediativi
creando tra i due spazi geografici un meta-spazio migratorio. Quella che è stata de-
finita “arena transnazionale” (Hannerz, 1996), corrisponde ad uno spazio che tende
a caratterizzarsi come luogo geografico e simbolico nel quale le componenti immi-
grate producono reticoli socio-economici che nel tempo si strutturano anche a livel-
lo transnazionale (es. caso della diaspora cinese). In questo senso, emerge dalla ri-
cerca empirica la figura del trasmigrante, che secondo Ambrosini (2008) è “carat-
terizzata dalla partecipazione simultanea ad entrambi poli del movimento migrato-
rio e dal frequente pendolarismo tra essi” (p. 45).
L’immigrazione s’inscrive in un contesto internazionale caratterizzato da persi-
stenti squilibri economici, sociali e politici, che accomunano i paesi ricchi e quelli
poveri.
Pur nei limiti di un discorso gioco-forza sintetico, si può comunque ricordare
che l’analisi dei flussi migratori a livello internazionale, e rispetto ai quali anche le
dimensioni nazionale e locale assumono significato, debba essere contestualizzata
rispetto a fenomeni di globalizzazione che nella forma da essi assunta nel nuovo
millennio, per molti aspetti sono da ritenersi l’effetto di due dimensioni del domi-
nio.
Il primo è senza dubbio quello economico, da ricondurre a forme di capitalismo
monopolistico, in cui alcuni agenti economici esercitano un potere pervasivo sui
mercati, come è il caso della Banca Mondiale. Il secondo aspetto, che fa da contral-
tare alla prima dimensione, riguarda la forma politica di dominio internazionale.
Questa si evidenzia solo a patto che si analizzino i processi di globalizzazione co-
me progetto politico nel momento in cui le istituzioni economiche a cui prima ci si
riferiva in qualche modo influenzano i governi nazionali e gli organismi sovrana-
zionali. Si parla di postcolonialismo proprio in riferimento al permanere di disposi-
tivi che caratterizzavano i regimi coloniali di subordinazione e di sfruttamento
dell’attuale spazio globale (Mellino, 2013). Il processo si mostra in modo partico-
larmente evidente nelle politiche neoliberiste soprattutto quando queste sono orien-
tate al ridimensionamento del ruolo dello Stato come riequilibratore delle disegua-
glianze sociali, e quindi del Welfare State, che comporta nei paesi ricchi una ridu-
zione dell’assistenza statale come forma di protezione sociale.
In questo quadro, il volto attuale del fenomeno come appare nei più recenti rap-
porti internazionali (ONU e IOM) si modella in relazione proprio al cambiamento
subito dai sistemi economici nazionali dalle forme più pervasive di globalizzazione
economica, e dai meccanismi politici di globalizzazione politica indotte da istitu-
zioni sovranazionali, come nel caso dell’Unione Europea. Imponendo parametri di
bilancio ai paesi membri, queste istituzioni sovranazionali limitano di fatto le poli-
tiche di protezione sociale. A questo proposito, va ricordato che la crisi dei sistemi
di Welfare State dei paesi europei soprattutto a partire dagli anni ’70, in termini di
incapacità di far fronte alle crescenti istanze familiari, che derivava da un lato, dal-
la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro col conseguente bi-
sogno di servizi per l’affidamento dei figli nel tempo extrascolastico, e dall’altro,
da un crescente invecchiamento della popolazione che determinava un bisogno di
servizi per la cura degli anziani. L’incapacità da parte dei regimi di Welfare di ri-
spondere a queste istanze familiari è da considerarsi uno dei principali fattori alla
base dell’aumento dell’emigrazione femminile, soprattutto dai paesi dell’Europa
Orientale per riferirsi al caso europeo, e la cui funzione fu proprio quella di com-
pensare queste carenze soddisfacendo la domanda di servizi domestici e di cura
presso le famiglie (Corti, 2003).
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
51
Sono quindi molte le implicazioni teoriche e metodologiche che si impongono
se si vuole in qualche modo recuperare un’analisi sociologica di più ampio respiro
in tema di migrazioni che voglia ricollocarsi sulla scia dei grandi temi propri delle
scienze umane in generale e sociologiche in particolare.
In quanto azione collettiva, la migrazione può essere considerata una “globaliz-
zazione dal basso” che si ripercuote nei diversi sistemi geopolitici: progettando il
loro futuro in un paese diverso da quello di nascita, i migranti dimostrano un atteg-
giamento cosmopolita (Mezzadra, 2006; Ambrosini, 2008). Un fenomeno che si
evidenzia con particolare chiarezza è quello della proliferazione delle transizioni
migratorie per cui alcuni paesi tradizionalmente di emigrazione, come l’Italia o la
Polonia (per rimanere ai soli esempi europei), sono a loro volta diventati paesi di
transito o di immigrazione stabile. In sintesi, la nostra “era delle migrazioni” (Ca-
stels & Miller, 2009) è caratterizzata da un fenomeno che, nei suoi effetti dirom-
penti, coinvolge anche i non migranti.
La necessità di esplicitare il punto di vista degli immigrati nasce dall’esigenza
di superare per quanto possibile una visione dell’immigrazione, a cui si è già fatto
cenno all’inizio, come “problema” (se non addirittura come “invasione”). Ma si
tratta anche di una posizione le cui origini risultano, per certi versi, radicate nelle
scienze sociali. Partendo dall’insegnamento di Lévi Strauss (1952), si riafferma
l’esigenza di superare l’“etnocentrismo sociologico” soprattutto laddove esamina
l’immigrazione in termini di “modelli d’integrazione”. Innanzitutto, la scelta di de-
finire un lavoratore straniero un “immigrato” dimostra di trascurare la sua vita pre-
cedente all’arrivo, perdendo di vista la sua soggettività e il suo bagaglio esperien-
ziale e culturale con il quale (e attraverso il quale) egli si inserisce nel paese
d’approdo del proprio progetto migratorio.
Allargamento di prospettiva analitico-metodologica significa guardare alla mul-
tidimensionalità del fenomeno migratorio. Quando si analizza il fenomeno migrato-
rio sono molti gli aspetti analitici che si intrecciano. A questo proposito, c’è chi,
rifacendosi alla riflessione di Marcel Mauss (1924), ha proposto di considerare la
migrazione come un fatto sociale totale, già evidenziato come approccio metodo-
logico nello studio dell’esperienza umana (Gurvitch, 1957; Karsenti, 1997). Nel
fenomeno migratorio è coinvolta la totalità della pratica umana, che si articola
nell’interazione con l’universo economico, sociale, politico, culturale e religioso in
cui vive l’uomo, e con le sue rappresentazioni del mondo.
Si tratta, quindi, di una complessità intesa come multidimensionalità, per cui le
stesse categorie concettuali e tipologie adottate dalla ricerca scientifica sono di
continuo messe alla prova e ridiscusse. Ad esserlo sono soprattutto quelle “dicoto-
miche” che riguardano le spiegazioni delle cause della migrazione. A proposito
delle cause di natura strutturale, nell’elaborazione concettuale propria delle scienze
sociali, si distinguono i fattori che spingono a partire (push factor) e quelli che
spingono a scegliere un determinato paese (pull factor).
Ma come è emerso più volte alla prova empirica della teorizzazione, l’analisi
dei percorsi che intraprendono i migranti doveva giocoforza considerare l’intreccio
di questi due fattori.
Ponendosi dal punto di vista dei migranti, è frequente che sia diverse le motiva-
zioni che della loro scelta di partire. Molto spesso si attribuisce alla richiesta di asi-
lo il solo motivo di emigrazione trascurandone altri come, ad esempio, il lavoro che
è comunque alla base di un progetto di vita in un paese diverso da quello di nascita,
e che è scelto anche perché se ne ha un’immagine legata ai valori democratici. È di
certo importante tener conto dei fattori strutturali delle migrazioni, soprattutto nel
loro essere vincolo per gli individui. La mancanza di opportunità di vivere un futu-
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
52
ISSN: 2531-3975
ro che appaia dignitoso per sé e per la propria famiglia deriva proprio da questi
condizionamenti oggettivi. Ma è pur vero che nell’oggettività rientra anche le rap-
presentazioni del soggetto migrante che riguardano la sua condizione di vita. Cia-
scun migrante, in quanto persona, ha un punto di vista. È collocato in uno spazio
sociale e, a partire da questo punto, egli osserva il mondo.
Ampliare la prospettiva con cui si guarda alle migrazioni significa anche elabo-
rare categorie concettuali che tengano conto della dimensione temporale. La storia
delle migrazioni internazionali ha mostrato, da un lato, la permanenza della spinta
alla mobilità in tutte le epoche storiche, e dall’altro, come il fenomeno migratorio
si modelli in relazione alla dinamica dei sistemi socio-economici (Corti, 2003). Di
fatto, la comprensione del fenomeno migratorio richiede la capacità di mantenere
un doppio livello analitico, sia cogliendo gli elementi di continuità e uniformità del
processo migratorio, sia, nello stesso tempo, avendo la capacità di evidenziare le
novità e le peculiarità che ogni singolo flusso migratorio presenta.
A tal proposito, va qui ricordata la distinzione tra le migrazioni temporanee,
quelle relative ai lavori stagionali di raccolta di frutta e derrate in agricoltura, e
quelle stabili, caratterizzate da progetti migratori che prevedono il proprio futuro
nel paese scelto come destinazione. Ma anche in questo caso, si tratta di elementi
analitici e non meramente empirici, in quanto se si vuole spiegare in modo adegua-
to un determinato percorso migratorio in quanto “esperienza”, non si può pensarlo
in termini deterministici. A dimostrarlo in modo evidente è lo stesso “mito del ri-
torno”: la maggior parte di essi sogna di ritornare nel proprio paese, sia pure per il
solo motivo di mostrare ai propri compaesani il proprio riscatto.
Proseguendo su questa strada, e ricordando, inquadrando il fenomeno nella più
ampia dimensione geopolitica, che la migrazione in quanto tale attraversa i confini
tra le nazioni, e che queste risultano una costruzione politica e basata su quelle che
Anderson (1983) chiama “comunità immaginate”. Il gioco del rapporto inclusio-
ne/esclusione basato sulla concezione della cittadinanza in quanto appartenenza al-
lo Stato-Nazione, entra in gioco uno degli aspetti cruciali della migrazione vista, in
quanto immigrazione, dalla prospettiva delle società d’approdo. In tal modo, diven-
ta rilevante nell’analisi la regolarità in termini giuridico-normativi dell’ingresso e
della presenza nel paese d’approdo, e che si sostanzia nel possesso di documenta-
zione appropriata che ne attesti la presenza in quanto cittadino di un altro paese. Se
si vuole, si può comprendere un altro fattore strutturale che si ripercuote sulle bio-
grafie individuali, e che consiste negli orientamenti delle politiche adottate dagli
Stati, e i cui effetti cambiano radicalmente a seconda che siano “di contenimento” o
“di apertura” nei confronti dei processi d’immigrazione.
Sul piano delle motivazioni che spingono alla scelta degli individui a migrare, e
che risulta pur sempre centrale e cruciale per comprendere la mobilità anche nei
suoi aspetti collettivi, si pone il problema del se e in che termini possa parlarsi di
una “libera scelta”. Qui entra in gioco un’altra delle distinzioni della tradizione a-
nalitica in tema di migrazioni, quella tra migrazioni forzate e migrazioni volonta-
rie.
Non sembra credibile affermare che le migrazioni siano “volontarie”, tenendo
conto delle condizioni strutturali in cui queste maturano (i cosiddetti “fattori di
spinta”) e che lo stesso “mito del ritorno” mostra che è difficile che una persona
lasci volentieri il proprio paese di nascita, dove ha una serie di legami personali pa-
rentali/amicali. Non è un caso che la riflessione sociologica (limitandoci a ricordare
Wright Mills, Giddens, Bauman e Sennett) ha messo in luce soprattutto nella attua-
le fase della modernità quanto le vite delle persone siano condizionate da forze e
relazioni di potere e di dominio con cui gli individui devono fare i conti, e nei con-
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
53
fronti delle quali, a seconda delle condizioni in cui essi vivono, possono contrastar-
le o semplicemente subirle.
È a partire da queste considerazioni che è stato proposto di considerare per “mi-
grazione forzata” sia quella dei richiedenti asilo e dei rifugiati, sia la stessa migra-
zione economica, in quanto causata dalla povertà e dai bassi salari (Samers, 2010).
In senso stretto, comunque, si riferisce ai movimenti di rifugiati e di persone co-
strette a muoversi all’interno del paese a causa di conflitti o di disastri naturali,
ambientali, chimici o nucleari, carestia o progetti di sviluppo. Ai richiedenti asilo è
assicurata la protezione internazionale una volta che è loro riconosciuto lo status di
rifugiato. Nella maggior parte dei casi, la domanda di asilo viene fatta una volta
raggiunto il paese di destinazione, sebbene sia possibile farla anche prima di giun-
gervi, ad esempio recandosi presso un’ambasciata o un consolato dello Stato a cui
si intende richiedere protezione. Nello spiegare perché le persone cerchino una via
di fuga altrove, la definizione di rifugiato presente nella Convenzione delle Nazioni
Unite del 1951, si focalizza sul concetto di “persecuzione”.
2. (Ri)Definire la mobilità umana
La rilevanza attribuita alle relazioni sociali, ha condotto ad un approccio meto-
dologico alle migrazioni che si focalizza sulle reti informali di parentela, di amici-
zia, di vicinato e del ruolo che tali relazioni svolgono nel fornire agli immigrati so-
stegno materiale, morale e affettivo nel loro percorso migratorio. Questo approccio
permette anche di tener conto, come è stato mostrato altrove a proposito del pro-
blema abitativo, anche di non limitarsi alle sole reti etniche ma tener conto anche
del ruolo determinante degli autoctoni, coi quali i soggetti migranti costruiscono
delle relazioni amicali e/o solidali (Marra, 2012).
A partire da ciò, qui si vuole affermare la necessità di coniugare l’approccio re-
lazionale alle migrazioni, secondo le categorie del pensiero di Pierre Bourdieu
(1972; 1980; 1994), con quello di rete (Di Nicola, 1998). Analizzare le migrazioni
in termini di reti di relazioni permette, inoltre, di considerare lo studio
dell’esperienza migratoria in termini di dinamiche del generale mutamento sociale.
È evidente che la nostra società non è la stessa rispetto a quando l’immigrazione
non era ancora un fenomeno di natura strutturale. Ma, soprattutto a proposito delle
categorie bourdesiane, si è cercato anche di metterle alla prova in un campo parti-
colare (l’esperienza migratoria) per mostrarne l’efficacia.
Attenzione alle relazioni è significato anche, come prima accennato, considerare
i network migratori e le loro trasformazioni in senso diacronico, e quindi rispetto a
come maturano i processi d’inserimento sociale, e soprattutto in ragione del ricon-
giungimento degli immigrati coi loro familiari, oppure della costituzione di nuove
famiglie degli immigrati stessi.
La migrazione nel suo essere “fenomeno sociale totale”, risulta anche un terreno
di riflessione teorica nel quale si mette alla prova il superamento della dicotomia
individuo/struttura che nella sociologia è stata affermata soprattutto da Giddens
(1984) e Bourdieu (1980).
Gli sviluppi della sociologia mettono sempre più in evidenza la necessità di in-
quadrare il fenomeno migratorio alla luce di questo superamento, come sì è visto a
proposito della transnazionalità. Eppure, le teorizzazioni sulle migrazioni non si
sono sempre adeguate a questi sviluppi (Castels, 2010).
La scelta da parte di chi scrive di utilizzare come riferimento analitico le catego-
rie concettuali di Bourdieu è basata sulla considerazione che si tratta di un autore
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
54
ISSN: 2531-3975
che ha fornito un’elaborazione teorica che permette in modo efficace di costruire
strumenti concettuali immediatamente spendibili nella pratica della ricerca sul
campo.
Si è cercato nelle pagine precedenti di fornire argomenti a favore dell’esigenza
di una visione che integri la dimensione strutturale (fattori di spinta e fattori di at-
trazione) con quella individuale, che riguarda le esperienze individuali e le strategie
attivate dagli immigrati in reazione a tali fattori. Un approccio metodologico che si
è sviluppato proprio a partire da questa esigenza, prevede l’analisi dell’esperienza
migratoria in termini di campo di relazioni sociali (Di Nicola, 1998) in cui sono
immersi gli immigrati stessi, che riguardano sia il loro comportamento “in relazio-
ne alle condizioni strutturali”, sia quello che si gioca a livello delle appartenenze
alle varie cerchie sociali nelle quali i migranti sono coinvolti “alle condizioni di
partenza” e durante il percorso migratorio. Oltre alle relazioni tra connazionali, pa-
renti ed amici nel paese d’origine, si aggiungono quelle che, nel paese d’approdo,
si alimentano sia tra immigrati (connazionali e non), sia tra immigrati e gli “autoc-
toni”.
Nei termini dell’analisi bourdesiana, il fenomeno migratorio presenta sia aspetti
strutturati (si inserisce all’interno di un quadro internazionale di disuguaglianze e-
conomiche, sociali e territoriali), sia degli effetti strutturanti, poiché produce delle
modificazioni a livello micro nelle rappresentazioni e nelle visioni del mondo sia
degli autoctoni sia degli stessi immigrati, e a livello macro nella società d’approdo,
inducendo meccanismi di trasformazioni sociali e politico-istituzionali (Bourdieu,
1972; 1980).
Lo stesso percorso migratorio, e il conseguente inserimento più o meno transito-
rio in una società diversa da quella in cui il migrante ha conosciuto la sua socializ-
zazione e formazione, lo costringono a rielaborare le sue rappresentazioni del mon-
do in termini di discontinuità, ambivalenze e innovazione (Bastenier & Dassetto,
1990).
Le ricerche condotte sui percorsi migratori hanno mostrato la parzialità dell’uno
e dell’altro dei poli dicotomici. Eppure, come si è detto, la migrazione è il fenome-
no per eccellenza che mostra la necessità di andare oltre la dicotomia individu-
o/struttura o quella micro/macro (Pollini e Scidà, 1998; Ambrosini, 2008). Per certi
versi, il livello “meso” introdotto come intermedio tra il livello macro e quello mi-
cro (Ambrosini, 1999), risulta, alla luce dell’ottica prasseologica indicata da Bour-
dieu (1972; 1980), un tentativo non convincente di superare questa dicotomia, in
quanto si pone ancora in un’ottica oggettivistica della migrazione.
Quest’ultima, si costituisce, infatti, come il prodotto di una doppia traslazione
teorica. Essa opera un nuovo ribaltamento che è stato costituito dalla scienza ogget-
tiva del mondo sociale in quanto sistema di relazioni oggettive e indipendenti dalle
coscienze e dalle volontà individuali.
La conoscenza prasseologica della migrazione restituisce validità alla conoscen-
za oggettivistica ponendo la questione di possibilità dell’esperienza primaria della
migrazione (condizioni teoriche e sociali). Nello stesso tempo, rende manifesto che
la conoscenza oggettivista della migrazione si definisce fondamentalmente come
incapace di includere l’esperienza primaria della migrazione.
Per superare quella che Bourdieu (1972) chiama “alternativa rituale” tra ogget-
tivismo e soggettivismo, occorre in primo luogo, interrogarsi sul mondo di produ-
zione e funzionamento della padronanza pratica che rende possibile la migrazione
come azione oggettivamente intellegibile.
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
55
In secondo luogo, si evidenzia la necessità di subordinare tutte le operazioni
della pratica scientifica a una teoria della pratica e dell’esperienza primaria del per-
corso migratorio.
Questo percorso analitico, secondo Bourdieu, si differenzia dalla conoscenza
fenomenologica, in quanto essa suppone, in contrapposizione all’evidenza del sen-
so comune, che la migrazione come oggetto scientifico sia conquistato attraverso
una de-costruzione, in quanto rottura rispetto a tutte le rappresentazioni precostitui-
te (della migrazione) e definizioni ufficiali.
È pur vero che occorre tener conto delle condizioni strutturali nelle quali
l’esperienza migratoria nasce e si articola (push factor). In questo caso, la costru-
zione delle strutture di potere e di dominio globalizzato (Bauman, 1998) è ciò che
permette di porre la questione dei meccanismi tramite i quali si stabilisce la rela-
zione tra le strutture e le pratiche migratorie o le rappresentazioni che le accompa-
gnano.
Superare l’approccio interazionista in quanto riduce le relazioni tra le diverse
posizioni all’interno delle strutture oggettive a relazioni intersoggettive. In ciò e-
sclude le rappresentazioni che i migranti possono avere e che questi devono alle
strutture stesse.
Nello stesso tempo, muoversi su questo terreno permette di superare la “conce-
zione oggettivista” della migrazione, inglobando nell’analisi i meccanismi in cui le
pratiche contribuiscono a creare a loro volta la struttura.
Ponendosi da questo punto di vista analitico, si possono cogliere gli aspetti di
“autonomia individuale” che caratterizzano l’esperienza migratoria (Mezzadra,
2006). Non a caso, la ricerca internazionale mostra che a partire sono soprattutto le
persone più intraprendenti e reattive, che hanno una pregressa esperienza lavorativa
nel paese d’origine.
La già richiamata “globalizzazione dal basso”, rimanda ad una serie di fattori
responsabili delle trasformazioni del tessuto sociale, economico e politico dei paesi
d’approdo dei migranti. In questo senso, anche se ci si focalizza sul versante
dell’immigrazione, il superamento della visione unilaterale è possibile solo se si
tiene conto della totalità dell’esperienza dei migranti, in quanto progettualità uma-
na in tutti i suoi aspetti, e in cui le relazioni sociali su base etnica, familiare, amica-
le e solidale assumono un ruolo euristico di importanza fondamentale.
In tal senso, le migrazioni costituiscono un fattore di mutamento sociale, anche
se comunque costituiscono un effetto di questo.
Di fatto, se si esamina il mutamento sociale generato dalla mobilità umana nello
spazio, secondo l’ottica relazionale bourdesiana si intrecciano due livelli: quello
delle relazioni sociali e quello dei modelli socioculturali di vita e nell’ambiente
umano (società globale in quanto rete di relazioni). Assumendo tale ottica, si inte-
grerebbe il punto di vista degli immigrati con quello della società d’approdo. E in
tal senso si potrebbe parlare del processo di integrazione in termini di mutua tra-
sformazione degli immigrati e della società d’approdo (Marra, 2012). Si tratta di
una trasformazione che avviene sia sul un piano dei legami sociali, sia sul piano dei
riferimenti simbolici e di senso, sulle rappresentazioni, su quelli che, secondo
l’approccio di Bourdieu, risultano schemi mentali e corporei che funzionano come
matrice simbolica delle attività pratiche, dei comportamenti, dei modi di pensare,
dei sentimenti e dei giudizi degli agenti sociali (Bourdieu & Wacquant, 1992). Ciò
significa certamente includere nell’analisi ciò che pensano e desiderano gli immi-
grati. A tal proposito, alla migliore comprensione di queste dinamiche contribuisce,
a nostro parere, in modo determinante un altro dei concetti-chiave di Bourdieu,
quello di habitus, che consiste in un sistema socialmente costituito di disposizioni,
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
56
ISSN: 2531-3975
e che si acquisisce proprio con la pratica, e costantemente orientato verso funzioni
pratiche (Bourdieu, 1980; 1994). Così concettualizzato, l’habitus risulta una strut-
tura generatrice di pratiche che risultano conformi alla sua logica, maturate in base
alle esperienze precedenti. Il concetto si può quindi applicare senza dubbio alle
immagini che l’immigrato ha della casa adatta alle esigenze legate a quel determi-
nato momento del suo percorso migratorio, ma si tratta di immagini che risultano
un aspetto del suo generale habitus legato alla sua condizione di immigrato. Lo
sforzo strategico evidenziato dalla concettualizzazione bourdesiana, e che d’altra
parte emerge dalle ricerche empiriche, è la corrispondenza tra le probabilità ogget-
tive, cioè le possibilità di accesso all’uno o all’altro servizio pubblico, e le espe-
rienze soggettive, cioè le “motivazioni” o i “bisogni”. Questa considerazione per-
mette di comprendere meglio anche le esperienze degli immigrati in cui, nella ri-
cerca della casa, le reti di relazione hanno funzionato da supporto per fornire delle
risorse che però, va sottolineato, sono utilizzate attivamente dagli stessi immigrati
all’interno di strategie di “fronteggiamento” (coping) delle difficoltà che essi in-
contrano (Marra, 2012). È importante a questo punto ricordare che l’habitus è con-
siderato da Bourdieu (1980) un principio generatore di strategie che permettono a-
gli individui di affrontare situazioni molto diverse.
In questo senso, anche se non si può trascurare il processo di socializzazione
che l’immigrato ha vissuto nel suo paese d’origine, questa semmai è da considerar-
si come formazione dell’habitus primario, che peraltro si può considerare un con-
cetto molto simile a quello di socializzazione primaria. Qui è opportuno ripetere
che è lo stesso Bourdieu ad affermare che l’habitus, pur essendo una struttura du-
revole, non è tuttavia una struttura immutabile, in quanto influenzata dalle espe-
rienze nuove con le quali essa si confronta, come lo può essere il percorso
d’inserimento nella società d’approdo. Come è stato ribadito da Accardo (2006),
“l’habitus est une structure interne toujours en voie de ristructuration” (p. 160).
Come già detto, la migrazione, nel suo complesso, nel suo essere azione collet-
tiva, risulta, nello stesso tempo, sia effetto sia fattore causale di profonde trasfor-
mazioni sociali che si giocano sia nei paesi di provenienza, sia nei paesi in cui i
migranti si stabiliscono. Nel suo essere animata da innumerevoli progetti migratori,
essa induce trasformazioni sociali che non coinvolgono solo gli individui che mi-
grano. Dall’interazione tra i migranti in quanto gruppo e i gruppi sociali di cui fa
parte la società d’approdo, si attiva la creazione di nuovi spazi sociali e culturali
(Bastenier, 2004). Nello stesso tempo, la forza lavoro contribuisce allo sviluppo
economico delle società d’approdo (Harris, 1995). L’approccio di rete si rivela par-
ticolarmente efficace nel caso degli immigrati appartenenti a comunità di più antico
insediamento e/o presenti da più tempo nella società d’approdo.
Questa prospettiva metodologica, quindi, mette in luce che i raggruppamenti di
cui fanno parte gli immigrati sono caratterizzati da contatti ricorrenti tra le persone
che ne fanno parte, e che sortiscono da legami di tipo occupazionale, familiare, cul-
turale o affettivo. Per meglio comprendere questo discorso, vanno ricordate altre
due caratteristiche delle reti in cui sono immersi gli immigrati: da un lato, incana-
lano, filtrano e interpretano informazioni, articolano significati e, dall’altro, con-
trollano i comportamenti dei soggetti che ne fanno parte. Le reti di sostegno forni-
scono le risorse che permettono agli immigrati di attivare strategie efficaci per af-
frontare le difficoltà che presenta il percorso migratorio.
Tale approccio teorico rende anche possibile superare una concezione delle reti
sociali dell’immigrato appiattita sulla sola base etnico-nazionale (network migrato-
ri). D’altronde, è già stato dimostrato da tempo che gli individui che compongono
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
57
il network formano una unità sociale più ampia che non è delimitata da un confine
(Bott, 1971) che renda possibile la distinzione noi/loro.
Non si vuole certo sottovalutare o trascurare il ruolo assunto dalle reti etniche
nel processo migratorio, intese come insieme di legati interpersonali che collegano
i migranti che partono con quelli che sono già emigrati, e quelli che non sono emi-
grati, relazioni che si realizzano nelle aree di origine e nei paesi di destinazione, e
che si realizzano sulla base di relazioni di amicizia, parentela e comune origine
(Massey, 1988; Boyd, 1989). Non va però trascurato l’aspetto critico riguardo al
ruolo che tali relazioni assumono nel processo d’inserimento sociale. Le reti paren-
tali e etniche possono costituire anche un vincolo per il singolo che voglia aprirsi
alla società d’approdo, anche in termini di aspirazione alla cittadinanza. Coesione
comunitaria e di clan può anche indurre processi di chiusura verso l’esterno del
gruppo etnico di appartenenza. In tal senso, il rapporto con gli autoctoni può essere
percepito come minaccia per l’integrità culturale della comunità. (Portes & Sen-
senbrenner, 1993; Portes & Lanolbt, 1996; Ambrosini, 1999; Alietti, 2004).
Nella misura in cui matura il processo d’inserimento sociale, appare sempre più
evidente il ruolo che assume nelle reti sociali dell’immigrato la presenza di autoc-
toni, sia considerati individualmente, sia intesi come associazioni e istituzioni.
Sul piano dei legami sociali, le ricerche sulle reti di relazioni degli immigrati
hanno mostrato che il maturare del percorso migratorio fa allargare queste reti da
una dimensione basata sull’appartenenza etnica ad una più ampia in cui si instaura-
no rapporti di reciprocità anche con gli autoctoni (Ambrosini, 1999). Laddove si
osservano tali dinamiche, si può dire che si attivi un processo di mutuo riconosci-
mento e di reciproca fiducia che coinvolge gli immigrati e gli autoctoni. Le dina-
miche sociali sortite dall’ingresso di questa nuova popolazione possono quindi as-
sumere diverse articolazioni. In termini bourdiesiani, è possibile individuare uno
spazio sociale migratorio nel paese d’approdo in cui sono individuabili posizioni
legate ad una serie di dicotomie legate all’inclusione/esclusione e che ne richiama-
no altre (interno/esterno, ordine sociale/disordine sociale, sicurezza socia-
le/insicurezza sociale). Si tratta di uno spazio sociale che, utilizzando la concettua-
lizzazione di Bourdieu, può essere considerato come un campo caratterizzato da
dinamiche che riguardano la negoziazioni di posizioni in cui la posta in gioco fina-
le è la cittadinanza. Sembra quindi euristicamente efficace prendere atto che gli
immigrati, nel loro percorso d’inserimento, si trovano immersi in diversi tipi di
configurazioni di relazioni oggettive (i campi di Bourdieu) tra posizioni sociali as-
sunte degli individui e delle organizzazioni. Si tratta di collocazioni nello spazio
sociale che riguardano la distribuzione delle risorse materiali e dei mezzi di appro-
priazione di beni e valori socialmente rari.
A tal proposito, la prima differenziazione sociale, come mostra proprio il caso
delle forme dell’abitare, è quella tra “autoctoni” e “allogeni” o stranieri, oppure
quella operata da Elias (1994) tra “radicati” (established) ed “esterni” (outsiders).
Nel caso degli immigrati, si tratta di un’esclusione sia da risorse sociali che permet-
tano di esercitare i propri diritti, sia in generale dalla possibilità stessa che le loro
istanze, esigenze e bisogni, come quelli legati alla casa, siano riconosciuti come ta-
li. Si possono distinguere in questo campo innanzitutto degli attori interni che si
contrappongono come nazionali (e che si autodefiniscono autoctoni) e non-
nazionali, che sono esclusi dai diritti di cittadinanza. In secondo luogo, vi sono de-
gli attori esterni che sono le istituzioni burocratiche e politiche. Infatti i meccani-
smi di esclusione prima richiamati possono essere compresi solo tenendo conto del
loro rapporto con le posizioni legate al campo politico, nel quale opera violenza
simbolica dello Stato (Bourdieu, 1993), inteso come campo burocratico. Attraverso
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
58
ISSN: 2531-3975
la sua azione di potere politico, questo si costituisce come produttore di principi di
divisione del mondo (attraverso soprattutto il potere della lingua), detentore di ri-
sorse destinate a legittimare le proprie scelte (attraverso l’uso della conoscenza
scientifica), attraverso dei mezzi che permettono di realizzare questo potere, come
il diritto. Si osserva l’effetto delle politiche nazionali e locali sul destino degli im-
migrati e delle loro famiglie, soprattutto in un quadro giuridico-normativo sempre
più ispirato all’idea dell’immigrazione come pericolo da arginare (Todd, 1994).
3. Qualche notazione conclusiva
Le considerazioni sin qui esposte permettono di affermare che per comprendere
i progetti migratori e i relativi percorsi, occorre tenere conto che le scelte degli
stessi migranti possono cambiare nel tempo, e con queste le traiettorie (scelta del
paese d’approdo) e le aspettative di durata del progetto migratorio (Di Lellio,
1985). La migrazione, insieme alle nascite e le morti, è una delle componenti de-
mografiche di cambiamento della popolazione. È un fenomeno considerato come il
più difficile da misurare, e quindi anche da prevedere. La migrazione non è infatti
un evento unico nel tempo e nello spazio, ma può ripetersi nel corso della vita di un
individuo.
Il volume e il tipo di migrazione misurato e analizzato dipendono quindi dalla
definizione adottata di “migrante”.
Ponendosi sul piano concreto della ricerca si impone l’esigenza di un utilizzo
critico degli stessi dati statistici messi a disposizione dagli organismi istituzionali
sovranazionali di rilevamento (es. Onu-Undesa, Eurostat). Ma si tratta di categoriz-
zazioni statistiche che possono cambiare da paese a paese e, all’interno di ciascun
paese, possono variare nel tempo. Queste si possono considerare un caso emblema-
tico di categorie del pensiero di Stato in quanto classificazioni elaborate innanzitut-
to sulla base della cittadinanza, che richiama alla coppia concettuale nazionali/non
nazionali. Ma anche laddove si classificano i migranti rispetto al paese d’origine
(vedi in particolare il caso Eurostat), questo serve a conservare la stigmatizzazione
dello straniero nonostante gli sia stata attribuita la cittadinanza, come dimostra il
caso francese (Bastenier, 2004).
Vi sono molti casi nei quali ci si muove per scopi esplorativi, per cui un proget-
to che alla partenza prevedeva solo un periodo limitato, come nel caso del visto tu-
ristico e quello per il lavoro stagionale, può trasformarsi in un progetto di insedia-
mento più stabile, dopo aver conosciuto meglio le opportunità di lavoro che offre il
paese d’approdo. È il caso ad esempio dei lavoratori immigrati in agricoltura nelle
regioni del Sud Italia che si spostavano successivamente nelle regioni del Nord
(Bonifazi, 2013). Questa migrazione interna dei lavoratori stranieri avveniva in ba-
se alla catena migratoria alimentata da altri immigrati (soprattutto connazionali) i
quali trasmettevano informazioni relative alle possibilità nelle regioni del Nord di
lavoro e di tessuto sociale, e di una rete di servizi che rendevano possibile un futuro
stabile per la propria famiglia lasciata in patria.
Ponendosi dal punto di vista degli immigrati, a questo punto c’è un altro ele-
mento che, a nostro parere, risulta meritevole di approfondimento. La dinamica
migratoria in termini di transnazionalità mostra che sia necessario superare l’idea
che gli immigrati portino con sé un bagaglio di rappresentazioni sul mondo date
una volta per tutte. Se si guarda agli spazi multiculturali come luoghi di rielabora-
zione e contaminazione culturale (Hannerz, 1996), non sarebbe certamente coeren-
te con questa la concezione del patrimonio culturale come uno stock di conoscenze
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
59
irremovibile rispetto ai cambiamenti del contesto relazionale, tipico dell’esperienza
migratoria. Sarebbe più opportuno quindi analizzare tale processo in termini di ri-
socializzazione che coinvolge gli immigrati nella stessa logica del percorso
d’inserimento nella società di approdo. Le relazioni di reciprocità con gli autoctoni
presuppongono un atteggiamento di apertura verso l’altro e la disponibilità a “cam-
biare le idee sul mondo”. Ma forse basterebbe riferirsi alle considerazioni già fatte
a proposito della capacità di adattamento degli immigrati, che in qualche modo ne
presupporrebbe, per certi aspetti, la stessa decisione di emigrare.
Il termine “immigrazione” indica, quindi, sia un movimento (si parte dal proprio
paese per giungere al paese che si è scelto come meta d’immigrazione), sia un ri-
sultato (si arriva, si tenta di inserirsi, e dalla società d’approdo è definito come
“immigrato).
Dal punto di vista del risultato, “autoctoni”, “immigrati” e “stranieri” apparten-
gono tutti alla popolazione del paese d’approdo. Ma sta di fatto che queste tre cate-
gorie sono talvolta confuse tra loro (soprattutto la seconda e la terza) e talvolta so-
no considerate distinte. Nei casi concreti occorre usare queste categorie con caute-
la. Se, da un lato, l’immigrato è, per definizione, chiunque viene qui dall’estero”,
dall’altro, nel linguaggio corrente diventa colui al quale si attribuisce un determina-
to stereotipo legato all’appartenenza etnico-nazionale (ad esempio, i ghanesi sono
“simpatici”, i rom sono “ladri”, ecc.) ad uno status sociale (gli “extracomunitari
sono poveri” e “portano malattie”) ecc.
Un alto dirigente statunitense che lavora in Italia, che di fatto è un “cittadino ex-
tracomunitario”, sarà difficilmente percepito come un “immigrato” rispetto ad un
giovane di nazionalità italiana nato in Italia da genitori senegalesi immigrati in Ita-
lia. Ora, mentre il primo è un immigrato straniero, il secondo, italiano di nascita,
non è certamente venuto in Italia dal paese d’origine dei suoi genitori. Eppure, una
categorizzazione adottata anche dagli studiosi, lo etichetta come “immigrato di se-
conda generazione”. Quest’ultimo è un altro degli innumerevoli esempi degli effet-
ti di una visione sociologica etnocentrica la quale, perdendo il punto di vista del
soggetto, si priva di coglierne appieno l’esperienza.
Entrando nel merito, sono due i rilievi critici da sollevare. In primo luogo, par-
lare di “immigrati di seconda generazione”, anche a proposito di quei soggetti che
sono nati da genitori stranieri, è un “non-senso”: nel verbo “migrare” è implicita
l’idea di spostamento in seguito ad un progetto intenzionale che, a rigor di logica,
non è quello dei figli, bensì dei loro genitori. In secondo luogo, soprattutto a propo-
sito dei nati da genitori stranieri, tale categorizzazione è il risultato del tentativo di
omogeneizzare degli individui sulla base di un’eredità di appartenenza familiare,
negando sia la loro soggettività sia la peculiarità delle esperienze dei figli rispetto a
quelle dei genitori e che si sostanziano nel passaggio all’età adulta (Costa-Lascoux,
1989; Moulins & Lacombe, 1999). Nel caso dei figli degli immigrati, quindi, ascri-
vere la loro esperienza a quella dei loro genitori in quanto immigrati, significa tra-
scurare quasi del tutto il loro essere educati e formati in Italia. Le visioni del mon-
do le hanno maturate in un contesto socio-culturale diverso da quello dei propri ge-
nitori.
È la stessa presenza di famiglie d’immigrati a mettere in discussione i modelli
culturali della società d’approdo. Ed è in questo senso che si può parlare di integra-
zione in termini d’interazione reciproca tra i migranti e la società d’inserimento
(Marra, 2012). Da un lato, è lo stesso tessuto sociale che si riorganizza in relazione
all’inserimento di persone che sono state coinvolte in un processo di socializzazio-
ne in contesti caratterizzati da sistemi culturali diversi da quelli d’approdo.
Dall’altro lato, sono gli stessi migranti ad essere coinvolti in processi di ri-
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
60
ISSN: 2531-3975
socializzazione nella misura in cui vivono la propria esperienza sociale nel paese
d’approdo. In questo caso, si può parlare d’immigrati come “attori in divenire”, e
qui sembra opportuno (se non doveroso) precisare che proprio per superare la per-
cezione degli immigrati in termini di persone dallo status definitivo è stato propo-
sto di parlare di “immigranti” (a partire dal termine inglese immigrants), per sotto-
lineare una condizione che è, invece, o dovrebbe essere, transitoria (Galissot, Kila-
ni & Rivera, 2001).
Il termine “immigrante”, quindi, ha il pregio di indicare un passaggio, uno sta-
tus provvisorio che dovrebbe essere superato con la pienezza della partecipazione
sociale e della cittadinanza. L’immigrato non è necessariamente uno straniero: i
due termini riconducono a due distinte realtà. Come già detto, il primo fa riferi-
mento ad un percorso da un paese d’origine ad un paese d’approdo. Il secondo, ad
una nazionalità. E qui occorre stare attenti a non fare confusione. Si pensi al caso di
immigrati nati all’estero da genitori italiani e che, quindi, sono di fatto italiani, poi-
ché l’Italia ha adottato una normativa sull’acquisizione di nazionalità basata sul di-
ritto di sangue. Ne consegue che, oltre agli stranieri e immigranti, gli stessi italiani
hanno origine dall’immigrazione.
In ultimo, sulla base delle riflessioni sin qui svolte, si ritiene necessario fornire
qualche indicazione sui possibili sviluppi teorici della sociologia delle migrazioni.
Un teorizzazione efficace dovrebbe fornire un quadro sia per comprendere le di-
namiche della migrazione internazionale nei suoi livelli analitici, sia per dare conto
di una situazione di trasformazione rapida e complessa (King, 2002). Ma sono in
molti a pensare che non sia possibile una teoria globale delle migrazioni, soprattut-
to in ragione della complessità della migrazione. Una teoria che tenesse conto di
tutte le possibili forme e variazioni della migrazione sarebbe così astratta da non
avere alcun contenuto esplicativo utile (Portes, 1997; Castels, 2010). Focalizzarsi
sulla complessità, le contraddizioni e le conseguenze non intenzionali dell’azione
sociale (Portes, 1997; Portes & DeWind, 2004), rende necessario ritornare alle “te-
orie di medio raggio” di Merton (1968). Da tali teorie si possono trarre delle indi-
cazioni per fornire un orientamento teorico e metodologico alla futura ricerca sulla
migrazione, i cui risultati potrebbero poi contribuire a ricalibrare il quadro concet-
tuale.
Bibliografia di riferimento
Accardo, A. (2006). Introduction à une sociologie critique. Lire Pierre Bourdieu. Mar-
seille: Agone.
Alietti, A. (2004). Capitale sociale, reti e ricongiungimenti familiari. In Tognetti Bordogna
M. (a cura di). Ricongiungere la famiglia altrove. Strategie, percorsi, modelli e forme
dei ricongiungimenti familiari (pp. 61-81). Milano: FrancoAngeli.
Ambrosini, M. (1999). I fenomeni migratori come costruzione sociale: apporti e limiti degli
approcci basati sulle reti etniche. Studi Emigrazione, XXXVI, 136, 655-675.
Ambrosini, M. (2008). Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali.
Bologna: il Mulino.
Ambrosini, M. (2011). Sociologia delle migrazioni. Bologna: il Mulino.
Anderson, B. (1983). Imagined Communities. Reflections on the Origins of Nationalism.
London: Verso.
Per una sociologia critica delle migrazioni
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
ISSN: 2531-3975
61
Bastenier, A. (2004). Qu’est-ce qu’une société ethnique? Ethnicité et racisme dans le socié-
tés européennes d’immigration. Paris: Puf.
Bastenier, A. & Dassetto, F., (1990). Nodi conflittuali conseguenti all’insediamento defini-
tivo delle popolazioni immigrate nei paesi europei. In AA. VV., Italia, Europa e nuove
immigrazioni (pp. 3-64). Torino: Fondazione Giovanni Agnelli.
Bauman, Z. (1998). Globalization: The Human Consequences. New York: Columbia Uni-
versity Press.
Bonifazi, C. (2013). L’Italia delle migrazioni. Bologna: il Mulino.
Bott, E. (1971). Family and Social Network. London: Tavistock Pubblication.
Bourdieu, P. (1972). Esquisse d’une théorie de la pratique. Genève: Droz.
Bourdieu, P. (1980). Le sens pratique. Paris: Minuit.
Bourdieu, P. (1993). Esprit d’Etat. Actes de la recherche en sciences sociales, 96-97, 49-62.
Bourdieu, P. (1994). Raisons pratiques. Sur la théorie de l'action. Paris: Seuil.
Bourdieu, P. & Wacquant, L.J.D. (1992). Réponses. Pour une anthropologie réflexive. Par-
is: Éds. Du Seuil.
Boyd, M. (1989). Family and personal networks in international migration: recent devel-
opments and new agendas. International Migration Review, 23 (3), 638-670.
Castels, S. (2010). Understanding Global Migration: A Social Transformation Perspective.
Journal of Ethnic and Migration Studies, 36,10, 1565-1586.
Castels, S. & Miller, M. J. (2009). The Age of Migration. International Population Move-
ment in the Modern World. New York: Palgrave McMillian.
Castels, S. (2002). International Migration at the Beginning of the Twenty‐First Century:
Global Trends and Issues. International Social Science Journal,52, 165, 269-281.
Corti, P. (2003). Storia delle migrazioni internazionali. Roma-Bari: Laterza.
Costa-Lascoux J. (1989). La difficulté de nommer les ‘enfants d’immigrès. In Lorreyte B.
(a cura di). Les politiques d’integration des jeunes issus de l’immigration. Situation
française et comparaison européenne (pp. 175-182). Paris: CIEMI-L’Harmattan.
Dal Lago, A. (2004). Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale. Mila-
no: Feltrinelli.
Di Lellio, A. (a cura di) (1985). Le aspettative sociali di durata. Intervista a Robert K. Mer-
ton. Rassegna Italiana di Sociologia, XXVI, 1, 3-26.
Di Nicola, P. (1998). La rete: metafora dell’appartenenza. Analisi strutturale e paradigma
di rete. Milano: FrancoAngeli.
Dubet, F. (1994). Sociologie de l’expérience. Paris: Seuil.
Elias, N. (1994). Introduction. A Theoretical Essay an Established and Outsiders Relations.
In Elias N., Scotson J. L.. The Established and the Outsiders. A Sociological Enquiry
into Community Problems (pp. 19-62). London: Sage.
Eve, M. (2001). La sociologia degli altri e un’altra sociologia: la tradizione di studio
sull’immigrazione. Quaderni storici, XXXVI,1, 233-259.
Galissot R., Kilani M., & Rivera A. (2001). L’imbroglio etnico in quattordici parole-
chiave. Bari: Edizioni Dedalo.
Giddens, A. (1984). The Constitution of Society. Outline of the Theory of Structuration.
Cambridge: Polity Press.
Gurvitch, G. (1957). La vocation actuelle de la sociologie. Paris: Puf.
Hannerz, U. (1996). Transnational Connections: Culture, People, Places. London-New
York: Routldege.
Harris, N. (1995). The New Untouchables. Immigration and the New World Worker. Lon-
don-New York: I. B. Tauris.
Karsenti, B. (1997). L’homme total. Sociologie, anthropologie et philosophie chez Marcel
Mauss. Paris: Puf.
Lévi-Strauss, C. (1952). Race et Histoire. Paris: UNESCO.
King, R. (2002). Towards a new map of European migration. International Journal of Pop-
ulation Geography, 8(2), 89-106.
Marra, C. (2012). La casa degli immigrati. Famiglie, reti, trasformazioni sociali. Milano:
FrancoAngeli.
Massey, D. S. (1988). Economic development and international migration in comparative
perspective. Population and Development Review, 14, 383-413.
Mauss, M. (1924). Essai sur le don. Anneé Sociologique, I, 2.
Claudio Marra
Culture e Studi del Sociale-CuSSoc, 2019, 4(1), pp. 47-62
62
ISSN: 2531-3975
Mellino, M. (2013). Cittadinanze postcoloniali. Appartenenze, razza e razzismo in Europa
e in Italia. Roma: Carocci.
Merton, R. K. (1968). Social Theory and Social Structure. New York: The Free Press.
Mezzadra, S. (2006). Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione. Verona:
Ombre Corte.
Moulins C., Lacombe P. (1999). La socialization des jeunes filles maghrébines. Migration
Société, 11, 91-104.
Poggi, G. (1978). La vicenda dello stato moderno. Bologna: il Mulino.
Pollini, G. & Scidà, G. (1998). Sociologia delle migrazioni. Milano: FrancoAngeli.
Portes, A. (1997). Immigration theory for a new century: some problems and opportunities.
International Migration Review, 31(4), 799-825.
Portes, A. & DeWind, J. (a cura di) (2004). A cross-Atlantic dialogue: the progress of re-
search and theory in the study of international migration. International Migration Re-
view,38(3), 828-51.
Portes, A. & Landolt, P. (1996). The Downside of Social Capital. The American Prospect,
26, 18-21.
Portes, A. & Sensenbrenner, J. (1993). Embeddedness and immigration: notes of the deter-
minant of economic action. American Journal of Sociology, 98 (6), 1320-1350.
Samers, M. (2010). Migration. London and New York: Routledge.
Sayad, A. (1991). L’immigration ou le paradoxe de l’altérité. Bruxelles: Boek-Wesmael.
Sayad, A. (1999). La double absence. Des illusion de l’émigré aux souffrances de
l’immigré. Paris: Édition du Seuil.
Simon, G. (2002). Penser globalment les migrations. Revue Projet, 272, 37-45.
Todd, E. (1994). Le destin des immigrés. Assimilation et ségrégation dans les démocraties
occidentales. Paris: Éditions du Seuil.