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Un architetto dimenticato.
Domenico Giunti (1505-1560), da Prato a Milano.
È possibile che un importante artista del Rinascimento sia stato completamente dimenticato?
Sicuramente è stato così per Domenico Giunti o Giuntalodi, pittore e architetto, nato a Prato nel
1505 e morto a Guastalla nel 1560. Fu architetto del periodo manierista, il più importante tra quelli
attivi a Milano a metà del XVI secolo. Operò al servizio di Ferrante Gonzaga, una delle personalità
più in vista della penisola, condottiero militare e Capitano Generale dell’imperatore Carlo V. Fu
anche ingegnere militare ed urbanista.
I ritratti di Domenico Giunti ritratti campeggiano da secoli nell’ufficio del sindaco di Prato e nel
salone consiliare, come benefattore della città. Nonostante tutto questo non è ricordato né
dall’intitolazione di una strada né da una voce su Wikipedia e neppure da una monografia
riccamente illustrata, riconoscimenti che ormai non si negano a nessuno.
A pesare su quest’oblio, oltre alla scomparsa di molte delle sue opere, è stato certamente il
trattamento che gli riservò nelle sue Vite il contemporaneo Giorgio Vasari che gli dimostrò qualcosa
più di un’antipatia, pur dicendolo di “buono e bello ingegno”. Non potendo tacere di un artista
all’epoca piuttosto conosciuto, se non altro per il prestigio dei suoi committenti appartenenti ad un
ramo cadetto dei Gonzaga di Mantova, Vasari nascose la narrazione della vita di Giunti all’interno
di quella dedicata al maestro Niccolò Soggi,1 un pittore mediocre, a detta anche dello stesso Vasari
che lo conobbe ad Arezzo e gli fu amico.2 Alle note biografiche aggiunse, come vedremo, pungenti
giudizi e pesanti accuse a cui Domenico Giunti non poté ribattere, essendo morto pochi anni prima
della pubblicazione delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, nell’edizione del
1568.
Domenico di Giovanni Giunti o Giuntalodi, o di Giunta o Giuntalocchi,3
appartenente ad una famiglia di artigiani, divenne allievo di Soggi, intorno al 1522
quando questi, chiamato a Prato dall’influente Baldo Magini (fig.1), era
impegnato nell’esecuzione di un’opera, oggi perduta, per la chiesa di Santa Maria
delle Carceri,4 alla quale era addossata la bottega di ceraiuolo del padre di
Domenico. Il ragazzo seguì il pittore a Firenze e poi Arezzo, dove probabilmente
conobbe il giovane Vasari. Secondo quanto poi riportato da questi, Soggi lo
considerò come un suo figlio, cercando di farne un grande artista, addestrandolo
non solo alla pittura, ma anche al disegno ed in particolare alla prospettiva,5 che
allora rappresentava l’insegnamento necessario per estendere le competenze di un
artista anche all’architettura e all’ingegneria.
A Roma
Domenico Giuntalodi, lasciata la bottega di Soggi e
trasferitosi a Roma intorno al 1530, ebbe modo di completare
la sua formazione a contatto con le opere dei grandi maestri
di inizio secolo Bramante, Raffaello e Baldassarre Peruzzi e
con quelle del contemporaneo Vignola. Dal punto di vista
professionale ebbe la fortuna di conoscere intorno al 1533
l’ambasciatore del Portogallo, Don Martinho, per il quale
dipinse opere oggi disperse6, e fece disegni di reperti antichi.7
Frequentò anche l’ambiente degli incisori ed in particolare
Antonio Salamanca per il quale disegnò vedute delle
antichità, dimostrando una particolare abilità del disegno
architettonico (fig.2). Tra le opere del periodo romano viene
ricordato un disegno perduto, da cui furono ricavate varie incisioni, rappresentante un vecchio che
1
Fig. 2
Fig. 1
si aiuta a camminare con una sorta di girello da bambini ed il cui motto è: “Anchora imparo”
(fig.3)8. Il tema ebbe poi un successo duraturo e D’Annunzio
fece proprio il motto, ricordando di aver visto tale incisione
durante i suoi studi al Cicognini.9
Don Martinho de Portugal, in partenza da Roma, secondo
Vasari, segnalò Giuntalodi a Ferrante Gonzaga, terzo figlio di
Francesco II duca di Mantova e di Isabella d’Este, che aveva
trovato fortuna nel mestiere delle armi al servizio dell’Impero.
Ferrante infatti era stato uno dei comandanti dell’armata
imperiale che nel 1527 aveva espugnato Roma e nel 1530
aveva condotto l’assedio di Firenze.
In realtà l’ingaggio di Domenico Giunti ebbe luogo dopo
lunghi contatti con l’agente di Ferrante a Roma,10 e forse con il
tramite di Paolo Giovio,11 comune amico dell’artista e del
Gonzaga. Giunti comunque, per essere ingaggiato dal Gonzaga
dovette assoggettarsi all’obbligo di apprendere, prima di
partire da Roma, i rudimenti delle tecniche di fortificazione,
probabilmente presso il più autorevole specialista del periodo,
Antonio da Sangallo.12
In Sicilia
Intorno al 1540 Domenico raggiunse il Gonzaga in Sicilia dove questi, nel ruolo di vicerè, stava
intraprendendo un’imponente programma di edificazioni militari, mediante la creazione di mura
urbane e fortezze nelle principali città. La realizzazione di efficaci fortificazioni rappresentava
infatti la priorità dell’amministrazione spagnola impegnata a difendere l’isola dagli attacchi turchi
per poi portare la guerra anche sulla costa africana. Sovrintendeva a tali fortificazioni l’ingegnere
militare Antonio Ferramolino che dopo avventurose vicende come soldato al servizio di vari
condottieri era passato nel 1532 al soldo degli imperiali ed era stato incaricato direttamente da Carlo
V di progettare le difese dell’isola.
Domenico, abile disegnatore, probabilmente senza
abbandonare del tutto la pittura, divenne un valido
collaboratore del Ferramolino, esperto nelle tecniche
costruttive delle fortificazioni “alla moderna”, caratterizzate
da bassi e possenti bastioni angolari. In quel periodo vennero
realizzate interventi di rinnovamento urbano come le cinte
murarie di Palermo e Catania, oltre che il forte Gonzaga
(fig.4), il forte del SS. Salvatore e le mura di Messina.13
Dopo pochi anni fu attivo nei cantieri delle fortificazioni
siciliane un altro pratese, sul quale però le informazioni sono
molto scarse: Pietro da Prato, progettista dell’impianto
urbanistico di Carlentini nel 1551.
In Sicilia Ferrante utilizzò Giunti come completo artista di corte, sul modello di Giulio Romano che
operava alla corte del fratello Federico a Mantova, e gli affidò per esempio lavori di oreficeria, ma
anche i progetti per opere architettoniche di rappresentanza.14 Tale attività risulta ancora da studiare
anche se le opere sono probabilmente tutte perdute. Tra di esse, a Palermo, la trasformazione in
residenza vicereale del Castello a mare (demolito) e la realizzazione della residenza suburbana del
vicerè, poi chiamata Villa di Luca Cifuentes alle Croci, oggi irriconoscibile per le trasformazioni
successive.15
2
Figura 4
Figura 3
A Milano
Quando il Gonzaga, lasciò la Sicilia, promosso governatore di Milano, portò con sé il più giovane e
aggiornato Domenico Giuntalodi, lasciando sull’isola Ferramolino, che sollecitò inutilmente al
vicerè un qualche riconoscimento che gli rendesse tranquilla la vecchiaia e che invece morì colpito
da una pallottola nell'assalto a Mahdia, nell'attuale Libia, dove era stato costretto a seguire l’esercito
spagnolo per approntare opere di assedio.
Nel 1546 Don Ferrante entrò solennemente a Milano, prendendo possesso del potere in nome di
Carlo V ed iniziando una intensa stagione di attività edilizia ed urbanistica. Era in corso la
costruzione della nuova cinta muraria della città, le cosiddette "mura spagnole" che nonostante la
demolizione ottocentesca, sono tuttora parzialmente visibili in alcuni tratti (ad esempio in piazzale
Medaglie d'Oro). Giunti come architetto del governatore, dette il suo contributo supervisionando
l’opera.16 Probabilmente contribuì a progettarne alcune parti, tra cui sicuramente le cosiddette
“tenaglie”, baluardi allungati nei pressi del Castello Sforzesco, oggi non più esistenti.17
Si occupò anche della ristrutturazione del Palazzo Reale per ricavarne la residenza del governatore e
le sale di udienza, con lavori oggi difficili da individuare a causa delle successive modifiche. In
relazione a tali lavori furono intrapresi anche interventi di trasformazione urbana sulla piazza del
Duomo ed alcune strade adiacenti che furono rettificate e pavimentate.
Da queste attività il Vasari scrisse che Giunti trasse grandi vantaggi economici dagli appalti delle
opere e lo accusò velatamente di malversazioni,18 così come sull’attività in Sicilia aveva sollevato il
dubbio di illeciti arricchimenti mediante frodi sulle forniture. Durante il periodo milanese Vasari
colloca un episodio, anch’esso poco edificante per Domenico Giunti che avrebbe ricevuto la visita
del suo vecchio maestro Soggi in cerca di una qualche commissione in un periodo difficile della sua
vita, senza ricevere invece alcun aiuto dall’ingrato allievo e costretto a ritornare in povertà ad
Arezzo dove invece sarebbe stato aiutato dallo stesso Vasari.19
Domenico Giunti partecipò anche agli allestimenti per l’arrivo in città del principe Filippo (futuro
Filippo II), anche se non è stata appurata una sua diretta responsabilità sulla progettazione di tutti
gli apparati (archi trionfali, statue, allestimenti di facciata) oppure una più probabile collaborazione
con altri artisti. 20
Villa Gonzaga
Tra le opere che realizzò a Milano per don
Ferrante, la più conosciuta è la villa Gonzaga
(detta poi villa Simonetta) un luogo di “delizie",
allora due miglia fuori città, che Giunti ricavò da
una preesistenza del XV secolo, conosciuta come
villa Gualtiera e acquistata nel 1547, e posta in
un paesaggio agricolo di grande suggestione.
La villa farà pensare a Paolo Giovio alla “Casa
di Merlino” come dice in una lettera in cui si
esprime in termini elogiativi e affettuosi per il
“mio maestro Domenico da Prato”.
Giovio visiterà varie volte il cantiere e negli stessi anni
commissionò a Giunti un ritratto di Ferrante Gonzaga per il
suo personale museo che stava allestendo nella sua villa di
Como con i ritratti dei grandi uomini del passato e del
presente, molti dei quali giunsero poi agli Uffizi a costituire
la galleria di ritratti del corridoio vasariano.21
3
Figura 6
Figura 5
Domenico Giunti trasformò la preesistenza in un edificio di tre corpi di fabbrica, disposti ad "U"
intorno ad un giardino situato sul retro dell'edificio,
secondo uno schema affermatosi a Roma, che risale alla
villa della Farnesina realizzata nei primi decenni del
XVI secolo.22 Sul prospetto principale posto a sud fu
posto un grande e stravagante loggiato a due ordini
architravati per il quale si possono rintracciare solo
parziali precedenti romani di Bramante e della scuola di
Antonio da Sangallo in Giovane. I loggiati appoggiano
al piano terra su un massiccio portico bugnato, di nove
archi con pilastri e semicolonne, che completa una
facciata completamente svuotata e aperta sul paesaggio
(figg 5-7). Si tratta della caratteristica principale della
villa che con la sua originalità rappresentò anche la prima opera manierista di Milano.
La villa inoltre era decorata da cicli di affreschi ora perduti, con grottesche, illusioni architettoniche
e scene che illustravano le imprese dei Gonzaga, realizzati su cartoni di Giunti e che coprivano non
soltanto le pareti interne ma anche le pareti delle logge, e la volta del portico, proprio come alla
Farnesina, dando all’edificio un’immagine di grande suggestione. I lavori murari furono completati
intorno al 1550, ma la grande impresa decorativa, compiuta da vari artisti, tra cui due anonimi artisti
fiamminghi, venne finita solo nel 1553. Il grande sfarzo della villa non aiutò la fortuna politica del
committente e fu forse una causa della sua caduta in disgrazia presso la corte imperiale.
La villa era completata da un giardino all’italiana,
ormai perduto da secoli, ed era il centro di un più
vasto possedimento agricolo come si vede nelle
vedute di Marc’Antonio Dal Re incise agli inizi del
Settecento (fig.8). L’edificio è tra le poche architetture
milanesi cinquecentesche ancora conservate nelle
forme originali, nonostante sia passata da molteplici
utilizzazioni (ospedale, caserma, trattoria) e
nonostante abbia subito notevoli danni durante il
secondo conflitto mondiale che hanno reso necessario
ricostruire ampie parti, anche della facciata23.
Chiesa di Santa Maria degli Angeli
Al Giunti si devono anche il progetto per il convento di Sant'Angelo dei minori osservanti, la cui
vecchia sede si dovette demolire nel 1551, proprio durante i lavori per le nuove mura.
I lavori, su terreni concessi dal governatore Gonzaga, iniziarono nel 1552; fu realizzato un vasto
complesso con vari chiostri (oggi profondamente trasformato dalle vicende storiche) e una grande
chiesa a navata unica voltata a botte con lunette, e affiancata da cappelle quadrate, otto per parte,
ricavate negli alti contrafforti della volta (fig.9), secondo un innovativo modello simile a quello che
il Vignola avrebbe, dopo pochi anni, adottato per la chiesa del Gesù a Roma che si sarebbe imposta
come modello in tutta Europa.24 Si tratta dunque di un
progetto, perfettamente aggiornato con le tendenze
controriformistiche dell’epoca, in cui le esigenze
liturgiche e rappresentative sono conciliate in un
organismo costruttivamente coerente. Un ampio transetto,
anch’esso coperto con volta a botte e su cui affacciano il
coro altre tre cappelle, accoglieva i monaci, distinti dalla
folta assemblea dei fedeli a cui era destinata la navata che
4
Figura 9
Figura 8
Figura 7
è scandita da paraste e archi, illuminata da aperture circolari dentro le lunette, e che si presenta
relativamente sobria nella decorazione.
Al contrario le cappelle sono caratterizzate da decorazione
esuberante a cui parteciparono i maggiori artisti presenti a Milano: i
fratelli Procaccini, Panfilo Nuvolone, il Legnanino, i fratelli Campi,
il Barbarino, il Morazzone ed atri ancora. La facciata attuale fu
realizzata solo nel XVIII secolo, alterando in parte il progetto
giuntiano di cui è conservato il disegno originale (fig.10). 25
Altri progetti del Giunti a Milano sono la chiesa di San Paolo
Converso e la Villa “La Senavra”, anch’essa per Ferrante ed
anch’essa caratterizzata, come la villa Simonetta, da affreschi e
ampie logge.26
A Guastalla
Il disegno di Ferrante Gonzaga di costituire per sé un dominio territoriale sotto l’egida dell’impero
si concretizzò intorno alla città di Guastalla, acquisita nel 1539, che divenne la capitale di un
piccolo stato. Nel 1549 Domenico Giunti fu incaricato di redigere non solo il progetto del tracciato
nelle mura bastionate, ma un vero è proprio piano per la completa rifondazione della città da
trasformare in fortezza e capitale rappresentativa del Ducato di Guastalla.
L’architetto mise a punto un progetto di integrale
rifondazione per la città che rappresenta uno dei pochi
esempi del XVI secolo di concreta realizzazione
urbanistica basata sui modelli di città ideali rimasti fin
ad allora solo illustrazioni sui trattati (fig.11). Il
tracciato pentagonale delle mura, a cui si dette subito
avvio, fu dettato dalle più aggiornate esigenze
dell’ingegneria militare ed era completato da cinque
baluardi sui vertici, di cui uno era la rocca trecentesca.
Il perimetro doveva contenere una maglia urbana
ortogonale, adattata alla realtà ed ai vincoli preesistenti
ed imperniata sul fulcro centrale rappresentato dal
centro ideale della città all’incrocio di due assi
ortogonali che doveva ospitare una grande chiesa ed
altri edifici pubblici. I settori urbani sarebbero stati
suddivisi in stretti lotti omogenei di cui rimane ancora
traccia nel tessuto edilizio storico della città.
Dopo aver lasciato Milano in disgrazia, esautorato
dalla carica di governatore nel 1554, e costretto a
recarsi nelle Fiandre, Ferrante intendeva intensificare
l’opera di rinnovo di Guastalla, ma dopo la sua morte
nel 1557 e quella di Giuntalodi, il progetto per
Guastalla ebbe una realizzazione parziale, modificata
per l’impossibilità di edificare il grande tempio, e
poco rigorosa dal punto di vista geometrico anche a
causa di un fossato la cui chiusura risultò
eccessivamente onerosa. A Ferrante successe il figlio
Vincenzo Gonzaga che incaricò Francesco da
Volterra di attuare il progetto di Domenico Giunti,
introducendo nuove strade con intento prospettico
e completando l’edificazione di edifici pubblici e settori urbani.
5
Figura 11
Figura 10
Figura 12
Alla progettazione di Giunti si devono probabilmente anche alcuni degli edifici rappresentativi della
città, tra cui il Palazzo ducale di Guastalla, anche se tutti portati a termine, e probabilmente
modificati, da altri.
A Sabbioneta e Napoli
Intanto Giunti, che negli ultimi anni milanesi dovette occuparsi con più assiduità delle
fortificazioni, era tornato a Prato intorno al 155427 forse per cercare un incarico alla corte di Cosimo
I,28 a cui aveva inviato in dono una veduta di Tripoli, eseguita probabilmente durante il periodo
siciliano.29 Tuttavia, dopo aver sistemato le proprie faccende di famiglia ed aver promesso un
lascito alla città, ritornò ben presto al servizio del Gonzaga30
Intanto un’altra città di nuova fondazione stava sorgendo a poca distanza da Guastalla. Si tratta
della famosa Sabbioneta edificata tra il 1556 ed il 1591 dal fratello di Ferrante, Vespasiano
Gonzaga, che nel 1554 richiese i servigi dell’architetto pratese per il progetto della sua nuova città.
Il progetto di Sabbioneta non ha allo stato attuale delle conoscenze un padre sicuro e si fanno i nomi
di Girolamo Cattaneo, Giovanni Pietro Bottacco, Bernardino Palizzari detto il Caramosino, Giorgio
Paleari detto il Fratino, tutti documentati sul cantiere, oltre allo stesso Vespasiano Gonzaga che
aveva approfondite conoscenze di ingegneria militare. Tuttavia la somiglianza con lo schema di
Guastalla ha suggerito a vari studiosi che Domenico abbia dato seguito alla richiesta di Vespasiano
e si sia effettivamente recato a Sabbioneta per dare quanto meno la sua consulenza per quest’opera
collettiva, se non anche un disegno e che abbia dunque avuto certamente un ruolo nel progetto di
Sabbioneta il cui schema risulta oggi maggiormente leggibile nello stato dei luoghi rispetto a quello
di Guastalla, investita da maggiori trasformazioni urbane.
Intanto Giunti compì anche due viaggi in Italia meridionale, nel 1557 per sopralluoghi alle
fortificazioni di Nola e Molfetta, feudi del Gonzaga, e poi nel 1559, per incarico di Cesare, a Napoli
per il progetto del palazzo di Isabella di Capua a Chiaia, non più esistente.
Conclusione e bilancio di una vita
Ritornato nel 1560 a Guastalla per affrettare i lavori relativi alla
rifondazione della città, Giunti vi morì dopo breve malattia, venendo
sepolto a Mantova secondo le sue disposizioni testamentarie.
Il completo oblio sull’architetto fu causato oltre che dai giudizi di Vasari,
anche dalla scomparsa di molte delle sue opere tra cui quelle siciliane e
napoletane. Domeni Giunti forse non fu un grande artista ma fu capace di
interpretare pienamente la cultura manierista e di progettare un edificio
visionario come doveva essere la villa Simonetta interamente coperta di
affreschi tanto da sembrare la “casa di Merlino” e di essere tra i primi ad
interpretare le esigenze architettoniche controriformiste nel progetto della
chiesa di Santa Maria degli Angeli
Giunti lasciò alla città di Prato un forte lascito di circa 9000 scudi, per
creare annualmente borse di studio destinate a sovvenzionare la permanenza all’Università di Pisa
di studenti promettenti. L’istituzione di tale beneficio sopravvisse fino al XIX secolo.
Mandò a Prato anche un suo ritratto (fig.13), destinato secondo quanto la lui stesso stabilito, ad
essere esposto nella sala "in qua alias imagines seu effigies benefactorum dicti oppidi positae
sunt".31 Desiderava evidentemente di essere ricordato nella sua città natale, che invece sembrerebbe
averlo dimenticato.
Salvatore Gioitta
6
Figura 13
DIDASCALIE
Fig.1 - “Baldo Magini con il modello della chiesa di San Fabiano “ dipinto da Niccolò Soggi durante il suo
soggiorno pratese; oggi nella sagrestia della cattedrale di Prato (1522).
Fig.2 - Incisione di Girolamo Fagioli tratta da un disegno di Domenico Giunti che mostra il Colosseo in uno
spaccato prospettico (1538 circa).
Fig.3 - Incisione tratta da un disegno di Domenico Giunti che illustra il motto “Anchora imparo” (1534
circa).
Fig.4 - Forte Gonzaga a Messina, una delle opere militari a cui collaborò Giunti nel periodo siciliano.
Fig.5 - La Villa Gonzaga in una stampa del XIX secolo.
Fig.6 - La Villa Gonzaga in una foto del 1927, prima dei danni bellici.
Fig.7 - La Villa Gonzaga in una foto d’inizio secolo.
Fig.8 - Marc’Antonio Dal Re, Veduta del Palazzo della Simonetta, incisione da “Ville di delizia o siano
palagi camparecci nello Stato di Milano”, Milano, 1726.
Fig.9 - Pianta della chiesa del convento di Sant'Angelo in un disegno, probabilmente autografo, di Domenico
Giunti.
Fig.10 - Disegno di progetto, probabilmente autografo, della facciata della chiesa del convento di
Sant'Angelo. Fu poi realizzata con modifiche.
Fig.11 - Disegno per Guastalla di Domenico Giunti, circa 1553, Archivio di Stato di Parma. Probabilmente
autografo e accompagnato da una relazione, costituisce un raro esempio cinquecentesco di progetto a scala
urbana.
Fig.12 - Vista aerea del centro storico di Guastalla che conserva, in parte, lo schema di fondazione.
Fig.13 - Ritratto di Domenico Giunti fatto da Fermo Guidoni, 1560; copia del XVIII sec.
NOTE
7
1 Niccolò Soggi (Firenze o Monte San Savino, 1479 - Arezzo, 1551) fu un pittore allievo del Perugino e gravitante,
come il giovane Vasari, nell’ambiente aretino, anche se attivo in vari centri come Firenze e Roma.
2 Altrettanto mediocre, come pittore, Vasari giudica Domenico Giunti di cui non rimane nessun dipinto certo o attribuito
con sicurezza. In generale le annotazioni di Vasari sembrano condizionate da un giudizio d’ordine morale fortemente
negativo e non costituiscono mai un esame critico della sua attività artistica.
3 Vasari lo chiama Giuntalocchi; l’artista si firma “di Giunta” o “Giunti” nelle sue lettere. Vd .: Lettere di Domenico
Giunti o Giuntalodi, in “Gli artisti italiani e stranieri negli stati Estensi: Catalogo storico corredato di documenti inediti“
a cura di Giuseppe Campori, 1855.
4 Del soggiorno pratese di Niccolò Soggi del 1522, rimane il ritratto di “Baldo Magini con il modello della chiesa di San
Fabiano” oggi nella sagrestia della cattedrale di Prato (fig.1).
5 “…amandolo et appresso di sé tenendolo come figliuolo, che si facesse eccellente nelle cose dell’arte, insegnandoli a
tirare di prospettiva, ritrarre di naturale e disegnare, di maniera che già in tutte queste parti riusciva bonissimo e di
bello e buono ingegno…”: G. Vasari, Vita di Niccolò Soggi pittore, in “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e
architettori”, 1568.
6 Vasari ricorda una grande tela che ritraeva il ambasciatore Don Martinho, cardinale e appartenente alla casata regnate
del Portogallo, attorniato dalla sua corte di amici e artisti. Vd. G. Vasari, op. cit., 1568.
7 Sylvie Deswarte-Rosa, Domenico Giuntalodi peintre de Martinho de Portugal à Rome, in “Revue de l'Art”, 1988,
n.80. pp. 52-60.
8 G. Vasari, op. cit., 1568.
9 …”Ho smarrito una stampa rarissima di Domenico Giuntalodi pittore e architetto pratese, che avevo da quando ero
cicognino nel collegio della Cicogna invisa colubris. Giorgio Vasari l'ebbe certo sott'occhio se ricorda un vecchio nel
carruccio, stato messo in stampa con lettere che dicono ANCORA IMPARO . Il Vecchio è in piedi dentro il carruccio a
sei girelle, sorretto da altrettante colonnette e ornato d'alcune teste di ariete. Sta curvo il Vecchio ma con la faccia
alquanto levata. Indossa una tunica ampia e prolissa. porta in capo un turbante dalla lunga fascia che gli passa dietro
le spalle e di sotto al braccio destro. dal mento gli cade una gran barba di profeta michelangiolesca. nel campo
superiore, in lettere romane, dentro lo svolazzo d'una cartella, è il motto ANCHORA IMPARO: il mio motto. Sono io
quel Vecchio.”: vd. G. D’Annunzio, Le cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di
morire, 1935.
10 Sylvie Deswarte-Rosa, op.cit. 1988.
11 Paolo Giovio (1483 - 1552), influente umanista, vescovo e intellettuale attivo nella curia papale e nella diplomazia,
autore di numerose opre di storia e di erudizione tra cui gli Elogi degli uomini illustri.
12 Sylvie Deswarte-Rosa, op.cit. 1988.
13 Valentina Favarò, La modernizzazione militare nella Sicilia di Filippo II, 2009.
14Giunti avrebbe realizzato ”...per il Suo Signore, et altri Principi, Palagi, Giardini Fontane, et altre opere mirabili...“ :
così in G. Miniati, Narrazione e disegno della terra di Prato di Toscana, Firenze 1596, pp. 136-140. Miniati fu parente
e conterraneo di Domenico Giunti e probabilmente in contatto con esso.
15 M. Sofía Di Fede, La gestione dell'architettura civile e militare a Palermo tra XVI e XVII secolo: gli ingegneri del
regno, in “Espacio, Tiempo y Forma”, VII, 1998, pp.135-153.
16 Questo ruolo di supervisione è confermato per esempio in una lettera del 1549 in cui Giunti rassicura Gonzaga, allora
lontano, che “…la fortificazione di Milano si seguita e si va tuta via dirizzando di bene in meglio… ” vd. Giuseppe Campori
Lettere artistiche inedite, Editore Erede Soliani, 1866.
17 Costantino Baroni, Domenico Giunti, architetto di Don Ferrante Gonzaga, in “Archivio storico lombardo “XVII,
1939, pag.330.
18 “…adoperandosi nelle fortificazioni di quello stato, si fece, con l’essere industrioso e anzi misero che no, ricchissimo, cosicché
venne in tanto credito, ch’egli in quel reggimento governava quasi il tutto…”: G. Vasari, op. cit., 1568.
19 L’aspro giudizio del Vasari fu contestato da quanto scritto da Giovanni Miniati (Narrazione e disegno della terra di
Prato di Toscana, Firenze 1596, pp. 136-140), ripreso poi da Cesare Guasti in un breve scritto pubblicato diverse volte
a metà Ottocento (Cesare Guasti, Intorno alla vita e alle opere di Domenico Giuntalodi pittore ed architetto pratese ,
pubblicato anche come commento in G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, vol. X, Le
Monnier, Firenze 1854, pp. 220-242)
20 ASMi, Registri di Cancelleria, XXII; vedi: Francesco Repishti, La residenza milanese di Pio IV: il palazzo Medici
in via Brera, in “Annali di architettura”, n.12, 2000.
21 Giuseppe Campori op. cit., 1866.
22 Progettata da Baldassarre Peruzzi e affrescata da Raffaello, fu uno dei prototipi delle ville extraurbane della nobiltà
del XVI secolo.
23 L’edificio è oggi conosciuto come “Villa Simonetta”, da una famiglia che ne ebbe il possesso. Viene utilizzata come
sede della Scuola di Musica comunale.
24 La Chiesa del Gesù a del Vignola presenta però una cupola come raccordo tra navata e presbiterio, mentre il progetto
del Giunti non presenta alcun elemento di transizione tra navata e transetto.
25 Costantino Baroni, op. cit., 1939, pag.355
26 Attualmente è inglobata in un complesso religioso ed ha perso tutti i caratteri originali.
27 Vasari posticipa il ritorno di circa quattro anni, dopo la morte di Ferrante, vd. G. Vasari, op. cit., 1568.
28 G. Miniati, op. cit., 1596
29La vita artistica fiorentina era allora dominata dalla figura del Vasari che potrebbe essersi opposto.
30 Cesare Guasti, op. cit., 1854.
31 Cesare Guasti, op. cit., 1854.