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La corruzione nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: riflessioni sul caso spagnolo e le
sue connessioni con il commercio di armi.
Gaia Tascioni (PhD)
“Sapienza” Università di Roma - Universidad Carlos III de Madrid
“Corruption is an insidious plague that has a wide range of corrosive effects on societies. It undermines
democracy and the rule of law, leads to violations of human rights, distorts markets, erodes the quality of life
and allows organized crime, terrorism and other threats to human security to flourish.”
Kofi Annan
Prefazione alla Convenzione ONU contro la Corruzione
1. Premessa
Che la corruzione sia una violazione dei diritti umani non è affatto un assioma radicato nel
tempo. Nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo, è stato solo durante gli anni ’90
quando per la prima volta sono state prese in considerazione le drammatiche conseguente che la
corruzione è capace di generare. Si trattava in particolare dei casi mancato sviluppo, attribuibili
principalmente alle politiche di tipo neo-liberale promosse alla fine del secolo scorso dalle
Organizzazioni finanziarie internazionali, le quali furono invece spesso ricondotte alla dilagante
corruzione dei funzionari statali dei paesi ricettori dei finanziamenti. Da quel momento, quindi, la
corruzione è stata considerata come un ostacolo all’efficienza degli aiuti internazionali allo sviluppo.
Ciò nonostante, negli ultimi anni non solo si è giunti a definire la corruzione come uno dei
maggiori ostacoli alla sostenibilità dello sviluppo, ma si è anche messo in evidenza come il
diffondersi di questo fenomeno possa avere effetti negativi sul pieno esercizio dei diritti tanto civili
come economici e sociali, in particolare per le categorie già vulnerabili (come donne, bambini,
persone indigenti o popolazioni indigene).
In realtà, il rafforzamento della connessione tra corruzione e diritti umani ha creato non poca
discussione nell’ambito della dottrina, che ha fatto rilevare la possibile non applicabilità del diritto
internazionale dei diritti umani nei casi che coinvolgono soggetti privati, come ad esempio le aziende
multinazionali. Inoltre, concorrono a complicare il panorama anche la mancanza di una definizione
di corruzione internazionalmente riconosciuta e l’indispensabile intervento del Legislatore nazionale
per all’inserimento di maggiori e più specifiche fattispecie nel codice penale.
In questo senso, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sembra offrire una parziale risposta alla
necessità di inserire coerentemente la lotta alla corruzione nella promozione dello stato di diritto e
dei diritti umani, considerate premesse necessarie per il raggiungimento di un vero sviluppo umano
sostenibile. Ciò nonostante, alcune problematiche piuttosto evidenti mettono in pericolo l’efficacia di
2
questo programma, tanto dal punto di vista della formulazione dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile
dedicato alla lotta alla corruzione (16.5), come anche riguardo il sistema di monitoraggio e
d’implementazione statale.
In questo contesto, oltre alla problematica configurazione della corruzione all’interno
dell’Agenda 2030, e al monitoraggio del sotto-obiettivo 16.5 a livello internazionale, è necessario
ricordare che una delle premesse fondamentali degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è la cd. national
ownership. Gli Stati aderenti sono infatti invitati in primo luogo a elaborare una diagnosi dettagliata
rispetto al grado di attuazione degli Obiettivi sul proprio territorio, nonché a modificare e introdurre
ulteriori obiettivi specifici volti a rispondere alle criticità proprie del paese, e infine a creare indicatori
e sistemi di monitoraggio personalizzati.
Partendo da ciò, il presente contributo centra la sua attenzione nel caso spagnolo e, più
concretamente, nella fattispecie di corruzione di agente internazionale prevista nella legislazione
iberica, finora scarsamente applicata. Benché infatti sia la corruzione politica la fattispecie che
tradizionalmente è maggiormente presente non solo sui mezzi di comunicazione, ma anche nelle aule
di tribunale spagnole, la proiezione transnazionale della corruzione dell’agente straniero risulta
particolarmente rilevante se inquadrata nel meccanismo dell’Agenda 2030 e delle relazioni tra paesi
industrializzati e paesi in via di sviluppo. Inoltre, come si vedrà, i casi di corruzione internazionali
analizzati toccano, seppur collateralmente, un altro ambito presente nell’Obiettivo di Sviluppo
Sostenibile 16, ossia i flussi illeciti di armi, offrendo pertanto un caso di studio doppiamente
pertinente sotto la prospettiva della tutela dei diritti umani e dello stato di Diritto.
2. L’entrata in scena internazionale del discorso sulla corruzione.
Fin dall’antichità la corruzione ha alimentato la riflessione politica e filosofica sul potere e le
sue degenerazioni, così come su quali elementi o prassi potrebbero costituire degli argini giuridici per
evitare le sue nefaste conseguenze sul benessere pubblico. In questo senso, la corruzione è stata
generalmente affrontata da una prospettiva pubblicistica interna, quasi a ritenerla un male “non
internazionalmente trasmissibile”.
In realtà, dalla Seconda Guerra Mondiale e con la creazione di un sistema strutturato e
universale di relazioni tra gli Stati, la situazione è gradualmente andata modificandosi fino a
trasformare la corruzione da un tema prettamente interno in uno dei trending topic della cooperazione
allo sviluppo a livello internazionale. Questo cambio di rotta si è realizzato in particolare nell’ambito
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, delle Istituzioni finanziarie internazionali e anche nelle
3
Organizzazioni regionali o di paesi contribuenti, che hanno deciso di puntare la lente su questo
fenomeno per svariate ragioni.
Si è trattato però di un emergere piuttosto improvviso, preannunciato da pochi tentativi di
portare la problematica della corruzione sul tavolo del dibattito internazionale, e che è stata alimentata
da presupposti radicalmente diversi nel corso degli anni.
In effetti, il primo atto internazionale rilevante in materia, la Risoluzione dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite 3514 (XXX) del 1975, elaborata a margine della presentazione della
Risoluzione sul Nuovo Ordine Economico Internazionale1, conteneva generici inviti agli Stati
affinché questi prendessero in considerazione la grave problematica della corruzione di pubblici
ufficiale da parte delle grandi corporations transnazionali e disegnassero politiche volte a lottare
contro questo fenomeno. Dando seguito a questa risoluzione, fu quindi creata in seno a ECOSOC una
Commissione dedicata all’impatto sui paesi in via di sviluppo delle grandi aziende multinazionali.2
Evidentemente in quel momento si percepì la corruzione come un male che colpiva sì i paesi
meno sviluppati attraverso i funzionari statali, ma si identificarono piuttosto chiaramente come
responsabili le aziende occidentali. In effetti, si trattava di affrontare la possibilità da parte di questi
attori privati di poter dirigere le politiche nazionali grazie alla sproporzionata capacità di negoziazione
della quale erano titolari.
La Risoluzione 3515 (XXX) si inquadrava quindi in un flusso di rivendicazioni
principalmente di autodeterminazione politica ed economica che puntavano il dito contro l’ingerenza
di attori privati provenienti dai paesi economicamente più sviluppati. Al contrario, l’opinione
generale, soprattutto nelle Organizzazioni internazionali, era che la corruzione dei pubblici ufficiali
nei paesi in via di sviluppo fosse una sorta di male inevitabile, naturalmente presente nei processi di
cooperazione, e che non inficiava necessariamente l’efficacia degli stessi.
Da queste premesse, con l’inizio del decennio dei Novanta assistiamo a un drastico
cambiamento di prospettiva. L’insuccesso piuttosto evidente, qualora non drammatico, delle politiche
di cooperazione economico-finanziaria elaborata dalle Istituzioni finanziarie internazionali, basate
sullo structural adjustment e messe in pratica nel corso degli anni ’80, produsse una riflessione non
proprio neutrale.
Come rilevano GOODWIN E ROSE-SENDER, il fallimento di queste politiche venne attribuito a
un nuovo attore, la corruzione, che fornì una comoda spiegazione per il fallimento di quella crescita
1 cf., a titolo generale, SACERDOTI, G., Nascita, affermazione e scomparsa del Nuovo Ordine Economico
internazionale: un bilancio trent’anni dopo, 2011; BEDJAOUI, M., Pour un nouvel ordre économique
international. Nouveaux défis au droit international. PARIS: UNESCO, 1979.
2 La Commissione sarà istituita attraverso la risoluzione 1913 (LVII) del 5 dicembre 1974 sulla base della
precedente risoluzione 1908 (LVII), The impact of transnational corporations on the development process and
on international relations, del 2 agosto 1974.
4
economica mai realizzatasi nonostante la messa in marcia delle politiche di condizionalità richieste3.
Lo slittamento della responsabilità dalle multinazionali ai corrotti governi locali è animato quindi,
secondo gli autori , da “[…] a desire to locate development failure with third world governments and
protect the new economic orthodoxy from criticism rather than as a studied response to empirical
data”4.
La rivoluzione ebbe quindi inizio. La corruzione divenne nel giro di pochi anni il principale
responsabile dell’inefficienza degli aiuti alla cooperazione, come riconoscono la risoluzione di
ECOSOC 1990/23, nella quale si afferma che “corrupt activities of public official can destroy the
potential efectiveness of all types of governmental programmes”5 e alcuni documenti delle Istituzioni
finanziarie internazionali. Ma fu solo alcuni anni dopo, quando il cambiamento della narrativa sulla
corruzione divenne evidente. Tale fu il discorso che l’allora presidente della Banca Mondiale J.
Wolfensohn tenne nel 1996 davanti al Board of Governors, nel quale per la prima volta fece chiari e
reiterati riferimenti al “cancro della corruzione”, inserendola tra le priorità da affrontare per il nuovo
corso della Banca Mondiale6.
Pur nella consapevolezza, espressa nella medesima occasione, del fatto che la corruzione
rimanesse un fenomeno da arginare soprattutto con politiche interne, la Banca Mondiale riprende
l’analisi già avanzata da ECOSOC negli anni precedenti e che, appunto, riconosce nella corruzione
uno delle problematiche che inficiano più gravemente l’efficienza dei programmi di cooperazione.
Con questo obiettivo, Wolfensohn afferma chiaramente: «The Bank Group cannot intervene in the
political affairs of our member countries. But we can give advice, encouragement, and support to
governments that wish to fight corruption, and it is these governments that will, over time, attract the
larger volume of investment»7.
In queste parole apparentemente semplici si trova in nuce quello che negli anni seguenti si
trasformerà non solamente in una delle varie politiche di condizionalità imposte dall’organizzazione
3 GOODWIN, M. E ROSE-SENDER, K., «Linking Corruption and Human Rights: An Unwelcome Addition to the
Development Discourse», in BOERSMA, M.; NELEN, H. (ed.), Corruption & Human Rights: interdisciplinary
perspectives, Maastricht Centre for Human Rights, 2010, p. 226.
4 Ibidem, p. 229.
5 ECOSOC, Continuation of preparations for the Eight United Nations Congress on the Prevention of Crime
and the Treatment of offenders, Risoluzione 1990/23, 24 maggio 1990.
6 “People and Development”, discorso al Board of Governors in occasione dell’incontro annuale tra Banca
Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, in WOLFENSOHN, J. D., E KIRCHER, A., Voice for the world’s
poor: selected speeches and writings of World Bank president James D. Wolfensohn, 1995-2005, Washington,
D.C, 2005.
7 Ibidem, p. 51, (enfasi aggiunta).
5
ai paesi destinatari dei finanziamenti, ma anche in una politica che, secondo Marquette, diventerà una
priorità politica in sé8.
Dato questo quadro, risulta quantomeno sorprendente che, al momento della elaborazione e
diffusione degli ormai celebri Obiettivi del Millennio (ODM), non si facesse il minimo riferimento
alla lotta alla corruzione come necessità trasversale, la quale avrebbe permesso un uso più efficiente
delle risorse messe in campo da questo programma storico e ambizioso. In realtà, com’è stato già
messo in luce9, il gruppo tecnico che elaborò questi obiettivi lo fece con l’unico fine di ottenere un
programma d’azione per realizzare la priorità politiche contenute nella Dichiarazione del Millennio10,
che peraltro non menziona in nessun momento questa problematica.
Ciò nonostante, nel consenso di Monterrey11 del 2002 si trovano brevi riferimenti riguardo la
corruzione e i suoi effetti negativi nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Nel documento citato
si afferma, infatti, che la corruzione, insieme alla mancanza di trasparenza, “impede effective resource
mobilisation and allocation and divert resources away from activities that are vital for poverty
reduction and sustainable economic development”.12
In toni piuttosto simili si pronunciarono anche i paesi dell’OCSE attraverso la Dichiarazione
di Parigi del 2005, nella quale si puntualizza, in maniera quasi minacciosa, che la corruzione
costituisce altresì un elemento che allontana donazioni e finanziamenti esteri, in quanto mina la
fiducia necessaria affinché questi si realizzino.13
Il livello di consapevolezza sulla problematica in questione sembra però aumentare
decisivamente in occasione della conferenza di follow-up di Monterrey, che ebbe luogo nel 2008 a
Doha. In effetti, dal testo della dichiarazione sembrano emergere una serie di strategie concrete per
arginare il fenomeno che, come vedremo, sono stati integrati poi nell’attuale Agenda 203014. La
8 cf. MARQUETTE, H., «The World Bank’s Fight against Corruption», in The Brown Journal of World Affairs;
Providence 13, n.o 2 (2007): 27-39.
9 cf. VANDEMOORTELE, J., «The MDG Story: Intention Denied», in Development and Change 42, n.o 1 (2011),
pp. 1-21; HULME, D., «Lessons from the making of the MDGs: Human development meets results-based
management in an unfair world», in IDS Bulletin 41, n.o 1 (2010), pp. 15-25; SAITH, A., «From Universal
Values to Millennium Development Goals: Lost in Translation», in Development and Change 37, n.o 6 (2006),
pp. 1167-99ç
10 United Nations Millennium Declaration, Risoluzione dell’Assemblea Generale, doc. A/RES/52/2, 18
settembre 2000.
11 Si conosce come Monterrey Consensus il documento finale della Conferenza Internazionale per il
finanziamento dello sviluppo, che contiene gli impegni di paesi donanti e riceventi per la realizzazione
dell’Agenda di sviluppo articolata negli ODM.
v. Report of the International Conference on Financing for Development, Monterrey, Messico, 18-22 marzo
2002, doc. A/CONF.198/11.
12 Ibidem, par. 13.
13 OCSE, The Paris Declaration on Aid Effectiveness and the Accra Agenda for Action, 2008, par. 4 (v).
14 Nel par. 20 della Dichiarazione si fa infatti riferimento al “return of stolen asset” e a la prevenzione di flussi
di capitale con obiettivi criminali, che, come vedremo, ritornano nella meta 16.5 dell’Obiettivo di Sviluppo
Sostenibile.
6
Dichiarazione di Doha si configura come un momento decisivo nel cambio del discorso sulla
corruzione, dato che si può considerare come uno dei primi documenti internazionali nei quali si fa
riferimento all’universalità del fenomeno della corruzione, non più limitata concettualmente ai paesi
in via di sviluppo, e che quindi necessita di un’azione globale e universalmente responsabile.15
Probabilmente, questa nuova rotta trova una parziale spiegazione nell’adozione della
Convenzione ONU sulla Corruzione, entrata in vigore a cavallo tra la Conferenza di Monterrey e
Doha. Si tratta, come vedremo, dell’unico strumento giuridico universale volto alla lotta contro la
corruzione che non solo fornisce di base legale quanto detto finora, ma che propone un cambio di
prospettiva sul fenomeno estremamente interessante e fecondo di conseguenze per quanto riguarda la
protezione internazionale dei diritti umani.
Alla luce di quanto detto, risulta tuttavia poco comprensibile come in tutti i report globali
annuali sugli Obiettivi del Millennio si trovi un unico riferimento alla corruzione nel documento del
2012, ripetuto con le stesse parole nel report dell’anno successivo ma preceduto e seguito dal silenzio
più assoluto su un tema che, come ha evidenziato Transparency International nel 2010, ha costituito
un ostacolo decisivo nel raggiungimento degli obiettivi che la comunità internazionale aveva assunti
come propri.16
3. La corruzione come violazione dei diritti umani tra problematiche dottrinarie e prassi
internazionale.
Una volta che in fenomeno della corruzione ha assunto il ruolo di “nueva luminaria en el
escenario del desarrollo”17, attraverso un processo che è stato seppur brevemente ricostruito, risulta
necessario analizzare le modalità per le quali la corruzione è passata dall’essere una questione di
sviluppo economico a una questione di diritti umani.
Com’è risaputo, l’avvicinamento concettuale tra sviluppo e diritti umani è stato il risultato di
una tendenza ben più ampia nel diritto internazionale che ha progressivamente portato
all’integrazione di aree un tempo considerate separate ontologicamente dai i diritti umani. In questo
senso, Cassese ha salutato con benevolenza questo fenomeno che, dal suo punto di vista, stava a
15 Doha Declaration on Financing for Development, Dichiarazione finale della Conferenza di follow-up per la
revisione e implementazione del Monterrey Consensus, 2 dicembre 2008, par. 21.
16 v. Transparency International. The Anti-Corruption Catalyst Realising the MDGs by 2015, 2010.
17 ALFARO, S. O., «Corrupción y desarrollo: deconstruyendo el discurso del Banco Mundial», in Realidad:
Revista de Ciencias Sociales y Humanidades, n.o 102 (2004): 657-82.
7
dimostrare il passaggio da un livello puramente normativo del diritto internazionale verso una vera e
propria comunità internazionale integrata.18
A conferma di ciò, notiamo come dalla fine degli anni novanta dalle Nazioni Unite siano stati
prodotti un’infinità di documenti che affermano e riaffermano il mantra dell’integrazione tra sviluppo
e diritti umani. Prima tra tutte, la Dichiarazione del Millennio, dalla quale sono stati estrapolati gli
ODM, ma come anche il report del Segretario Generale “In larger freedoom”.19 Non si può peraltro
tralasciare l’impatto decisivo che, in questa tendenza, ha marcato la produzione accademica degli
ultimi decenni e che trova in Amartya Sen un imprescindibile punto di riferimento20. Grazie a queste
premesse, il passaggio che ha trasformato la corruzione, ormai intesa come una problematica dello
sviluppo, in una questione di diritti umani è stato breve anche se non privo di criticità.
In effetti, riprendendo l’argomento presentato precedentemente e che riguardava l’assunzione
del discorso anti-corruzione come proprio da parte delle Organizzazioni finanziarie internazionali,
alla stessa maniera è possibile affermare che “[c]orruption has […] played a key part in human rights
becoming a tool in the subordination of society to the imperative of market-based economic
growth”.21
Evidentemente, tale affermazione non è volta alla negazione della più che ovvia relazione tra
la corruzione e una lunga serie di violazione di diritti umani. Ha piuttosto l’obiettivo di sottopone a
critica l’uso che della corruzione si è fatto, in particolare da parte della Banca Mondiale e dei paesi
donanti, per offrire una facile risposta al fallimento delle politiche dello sviluppo e della difficile
implementazione dei diritti umani rebus sic stantibus, ossia senza sottoporre a un’analisi critica i
fattori sistemici che provocano ancora oggi la condizione di sottosviluppo economico di buona parte
del pianeta.
Spostando per il momento l’attenzione verso le modalità giuridiche attraverso le quali si è
cercato di dare una risposta al problema della corruzione, notiamo in primo luogo la mancanza di una
definizione generalmente riconosciuta di corruzione. 22 Questo elemento, però, non risulta in
18 CASSESE, A., International Law, Oxford, 2001; citato in PAHUJA, S., «Rights as Regulation: The Integration
of Development and Human Rights». SSRN Electronic Journal, 2007.
19 Nazioni Unite, In larger freedom: towards development, security and human rights for all, report del
Segretario Generale, doc. A/59/2005, 21 marzo 2005.
20 Primi fra tutti, v. SEN, A., Development as Freedom, Oxford; New York, 2001; e «Human Rights and
Capabilities», in Journal of Human Development 6, n.o 2 (2005), pp. 151-66.
21 GOODWIN, M. E ROSE-SENDER, K., «Linking Corruption and Human Rights», op. cit., p. 231
22 La definizione proposta dall’ONG Transparency International, che definisce la corruzione come “the abuse
of entrusted power for private gain”, gode di un favore piuttosto generalizzato. Ciò nonostante è evidente che
non si tratta di una definizione giuridica né tantomeno internazionalmente concordata, e pertanto non la si può
considerare rilevante in questo contesto. Per quanto riguarda la Convenzione ONU contro la Corruzione, dopo
aver analizzato l’opportunità di elaborare una definizione di corruzione, in sede negoziale si preferì non
procedere in questo senso, preferendo una semplice lista di fattispecie riconducibili alla corruzione.
8
definitiva problematico, in quanto nei vari strumenti legali regionali o universali23 quello che è
presente è piuttosto una lista di fattispecie criminali che sono ricondotte al macro-fenomeno della
corruzione e che quindi, secondo obbligazione, devono essere inserite nel codice penale e/o civile
nazionale.
Quello che è rilevante in questo contesto è che, tralasciando i marginali e seppur importanti
riferimenti alla corruzione come fenomeno che colpisce non solo i diritti umani ma anche la sicurezza
umana, gli strumenti giuridici menzionati non configurano l’azione legale contro la corruzione come
una questione di diritti umani. Allo stesso modo, i principali strumenti legali a protezione dei diritti
umani non menzionano direttamente la corruzione, probabilmente anche per il fatto di essere stati
elaborati prima dell’ondata di interesse per l’argomento.24
Aldilà quindi della retorica di alcuni studiosi che arrivano a definire la corruzione come
crimine contro l’umanità25, e aldilà dell’impatto empirico (diretto o indiretto) della corruzione sul
godimento e l’effettività di alcuni diritti umani, il panorama giuridico con il quale ci confrontiamo ad
oggi è tutt’altro che chiaro. In questo contesto, l’azione dei treaty bodies non ha infatti portato a
maggiore chiarezza, alimentando quindi dubbi sulla possibilità non solo di colpire la corruzione, ma
anche sull’utilità di definirla una violazione dei diritti umani per se.
In effetti, se da un lato, il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali si è limitato a
menzionare genericamente che “serious problems of corruption […] have a negative effect on the full
exercise of the rights covered by the Covenant”26, dall’altro alcuni organismi hanno identificato un
certo nesso causale e di riscontro tra la corruzione e una serie di violazioni specifiche dei diritti umani.
Uno degli ultimi esempio è il settimo report della sottocommissione per la Prevenzione della
tortura e di altre pene o tratti crudeli, disumani e degradanti, nel quale si afferma che la corruzione
23 Ad oggi i principale strumenti legali adottati a livello universale e regionale, con relativo anno di entrata in
vigore, sono: la Convenzione dell’Organizzazione degli Stati Americani contro la corruzione (1997); OCSE,
Convenzione per la lotta contro la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche
internazionali (1999); Consiglio d’Europa, Convenzione penale contro la corruzione (2002) e Convenzione
civile contro la corruzione (2003); la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (2005); la
Convenzione dell’Unione Europea contro corruzione dei funzionari delle comunità europee o degli stati
membri dell’Unione Europea (2005); la Convenzione dell’Unione Africana per la prevenzione e lotta contro
la corruzione (2006); Protocollo ECOWAS (Economic Community of West African States) sulla lotta contro
la corruzione (non ancora entrato in vigore).
24 v. ROSE, C., «The Limitations of a Human Rights Approach to Corruption», in The International and
Comparative Law Quarterly; vol. 65, n.o 2, 2016, p. 412.
25 cf. BOERSMA, M., Corruption: A Violation of Human Rights and a Crime under International Law?, School
of Human Rights Research Series, v. 56, 2012; BANTEKAS, I., «Corruption as an International Crime and Crime
against Humanity», in Journal of International Criminal Justice, vol. 4, 2006, pp. 466-84; KOFELE-KALE, N.,
«The Right to a Corruption-Free Society as an Individual and Collective Human Right: Elevating Official
Corruption to a Crime under International Law», in International Lawyer (ABA), vol. 34, 2000, pp. 149-78.
26 Nazioni Unite, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, Consideration of Reports Submitted by
States Parties Under Article 16 and 17 of the Covenant. Concluding Observation of the Committee on
Economic, Social and Cultural Rights. Republic of Moldova, doc. E/C.12/1/add.91, 12 dicembre 2003, par. 12.
9
risulta avere un impatto diretto sulla presenza di tortura, impedendone peraltro l’eliminazione.27 Di
conseguenza, la sottocommissione riferisce che un’adeguata formazione degli ufficiali di polizia non
sarebbe solamente una delle chiavi per eliminare la tortura, ma che avrebbe anche un effetto sulla
riduzione della corruzione.28
Anche la Commissione per i Diritti Umani, nel report presentato nel 2006 dallo Special
Rapporteur Leandro Despouy a seguito della sua missione in Tajikistan, propone un’analisi piuttosto
puntuale sulle conseguenze che la corruzione dilagante e sistemica provoca sull’indipendenza e
sull’efficacia del sistema giudiziario tagiko, proponendo misure incentrate sulla protezione del diritto
ad un equo processo e in generale dello stato di diritto.29
In maniera meno diretta invece il Comitato per i diritti del fanciullo, nel suo commento sul
report presentato dal Congo ex art. 44 della Convenzione, afferma che “[it] remains concerned at the
negative impact corruption may have on the allocation of already limited resources to effectively
improve the promotion and protection of children’s rights”.30 In questa occasione quindi, il Comitato
non mette in luce una relazione diretta tra la corruzione e livelli di protezione dei diritti dei fanciulli
non adeguati. Preferisce invece riprendere l’opinione già espressa altrove da alcuni gruppi di Stati e
dalle Organizzazioni finanziarie internazionali che, come si è visto precedentemente, identificano
come principale conseguenza della corruzione la mancanza di efficacia dei programmi di sviluppo.
Rileva, in questo contesto così fumoso, il tentativo che, a partire dai primi anni 2000,
promosse la Commissione per i Diritti Umani con l’obiettivo di sistematizzare la relazione tra
corruzione e violazione dei diritti umani, prima attraverso un working paper e poi con uno special
report entrambi affidati a Christy Mbonu.31 Si trattava di un esercizio tanto interessante quanto
titanico quello di voler offrire uno studio sulle ripercussioni della corruzione sul pieno godimento dei
diritti umani, in particolare quelli economici e sociali, e che vide la sua fine solamente nel 2015
quando ormai la sottocommissione per la promozione dei diritti umani era stata sostituita dalla
Advisory Committe.
27 Nazioni Unite, Committee against Torture, Seventh annual report of the Subcommittee on Prevention of
Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, doc. CAT/C/52/2, 20 marzo 2014,
par. 80 e ss.
28 Ibidem, par. 92.
29 Nazioni Unite, Commission on Human Rights, Report of the Special Rapporteur on the independence of
judges and lawyers. Mission to Tajikistan, doc. E/CN.4/2006/52/Add.4, 30 dicembre 2005.
30 Nazioni Unite, Committee of the Rights of the Child, Consideration of Reports Submitted by States Parties
Under Article 44 of the Convention. Concluding Observation: The Republic of Congo, doc.
CRC/C/COG/CO/1, 20 ottobre 2006, par. 14.
31 Nazioni Unite, Corruption and its impact on the full enjoyment of human rights, in particular economic,
social and cultural rights. Working paper, doc. E/CN.4/Sub.2/2003/18, 14 maggio 2003; Preliminary report,
doc. E/CN.4/Sub.2/2004/23, 7 luglio 2004.
10
I risultati presentati dalla Special Rapporteur Mbonu, tanto nell’informe preliminare che in
quello di avanzamento, sono in realtà molto poco rivoluzionari. Le modalità attraverso le quali la
corruzione metterebbe in pericolo lo stato di diritto, la democrazia e tutta una lunga serie di diritti
civili, politici, economici e sociali sono presentate in maniera piuttosto superficiale e non gettano luce
su quali meccanismi di protezione dei diritti umani potrebbero essere rilevanti nella lotta alla
corruzione o per assicurare giustizia alle vittime. Oltre a ciò, e nonostante i reiterati riferimenti
all’universalità del fenomeno, nel corso del documento la corruzione viene messa in relazione più
evidentemente con i via di sviluppo, ai quali appartengono i 10 capi di Stato presentati come i
personaggi più corrotti al mondo32.
Decisamente più rilevante è il Final report of the Human Rights Council Advisory Committee
on the issue of the negative impact of corruption on the enjoyment of human rights, nel quale si
analizza con maggiore profondità e originalità tanto l’impatto della corruzione così come delle misure
anti-corruzione sui diritti umani. Se da un lato il Comitato riafferma quello che ormai si può
considerare pacifico, ossia l’esistenza di conseguenze negative prodotte sui diritti umani dalla
corruzione, allo stesso tempo si afferma l’impossibilità di identificare e isolare tutti i diritti
fondamentali che potenzialmente possono essere colpiti da questo fenomeno.33
Ciò nonostante, l’analisi presentata nel documento risulta rilevante in quanto si incentra per
la prima volta sull’aspetto soggettivo della questione, distinguendo la dimensione individuale che può
tenere la corruzione da quella collettiva. In particolare, rispetto a quest’ultimo aspetto, si afferma in
maniera più diretta di quanto non avesse fatto Christy Mbonu nei suoi report alla Commissione dei
Diritti Umani, che alcuni gruppi come donne, minoranze, popoli indigeni, persone con disabilità etc.
sono vittime maggiormente esposte alla corruzione e alle sue nefaste conseguenze. Oltre a queste due
fattispecie si identifica una terzo livello di impatto, quello generale, che potremmo interpretare come
sistemico, nel quale rientrano le conseguenze socio-economiche della corruzione sullo sviluppo di
una determinata società, in particolare nei paesi in via di sviluppo34.
L’elemento però di maggiore novità contenuto del report del Comitato Consultivo è la
riflessione non tanto sull’utilità del processo di analisi su come la corruzione violerebbe i diritti umani
(in quanto si sta utilizzando il concetto di impatto, che va ampiamente aldilà dell’aspetto meramente
giudiziale), ma sulle nuove prospettiva che può dare utilizzo di un approccio alla corruzione basato
sui diritti umani. In questo senso, non solo si pone in evidenza la portata della responsabilità degli
32 Nazioni Unite, Preliminary report of the special rapporteur, doc. E/CN.4/Sub.2/2004/23, p. 7.
33 v. Nazioni Unite, Final report of the Human Rights Council Advisory Committee on the issue of the negative
impact on the enjoyment of human rights, doc. A/HRC/28/73, 5 gennaio 2015.
34 Nazioni Unite, Final report of the Human Rights Council Advisory Committee, op. cit., par. 20 e seg.
11
Stati anche per atti di corruzione realizzati da attori non statali, ma anche la necessità di accompagnare
la repressione penale e civile con politiche di prevenzione35.
Applicando questo tipo di approccio, si deduce, è possibile utilizzare gli strumenti disponibili
tanto a livello nazione come internazionale per colpire la corruzione mettendola in relazione con
determinate violazione dei diritti umani. “By drawing a link between acts of corruption and violations
of human rights, new opportunities for litigation or monitoring can be identified”36, offrendo quindi,
assieme alle politiche punitive previste e incoraggiate da diversi strumenti giuridici internazionali e
regionali come la Convenzione delle Nazioni Unite, un utile binomio contro la corruzione.
Si delinea quindi un approccio necessariamente multidimensionale, basato
sull’implementazione delle misure previste nei trattati internazionali anti-corruzione così come
sull’utilizzo degli strumenti di protezione internazionale dei diritti umani per colpire indirettamente
il fenomeno corruttivo che provoca dette violazioni. In questo modo la promozione dei diritti umani
e la lotta alla corruzione entrerebbero in un circolo virtuoso nel quale la responsabilità degli Stati si
configura come il punto di contatto.
In realtà, l’integrazione della problematica della corruzione nel sistema di Revisione Periodica
Universale, che si realizza nel quadro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, non risulta
essere per ora entrato a pieno regime. Infatti, solo in rare occasioni nei documenti finale di revisione
dei vari paesi si menziona la problematica della corruzione, in termini più o meno generici. Più in
generale, sono frequenti riferimenti positivi alle misure legislative che sono state messe in campo
dagli Stati per lottare contro la corruzione.
Per quanto riguarda invece i treaty bodies, il Comitato per i diritti economici sociali e culturali,
come è stato menzionato precedentemente, già in varie occasioni ha fatto riferimento alla corruzione
mettendola in relazione con diritti riconosciuti dal Patto. Anche nei commenti ai report nazionali più
recenti mantiene la stessa linea, incentrandosi in particolare nelle conseguenze della corruzione sul
diritto alla salute 37 . In altre occasioni, invece, continua nella linea tracciata precedentemente,
affermando che il problema del fenomeno corruttivo, oltre a minare lo stato di diritto e il buon
governo, rileva in quanto provoca una riduzione delle risorse disponibili per la protezione e
adempimento dei diritti economici, sociali e culturali38. Si tratta un approccio non isolato e che
35 Nazioni Unite, Final report of the Human Rights Council Advisory Committee, op. cit., par. 28.
36 Ibidem, par. 32.
37 Nazioni Unite, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, Concluding observations on the third
periodic review of Tunisia, doc. E/C.12/TUN/CO/3, 14 novembre 2016, par. 48 e seg.
38 Nazioni Unite, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, Concluding observations on the second
periodic review of Lebanon, doc. E/C.12/LBN/CO/2, 24 ottobre 2016, par. 14
12
rimanda alla prima concezione di corruzione come distrazione di fondi destinati allo sviluppo, e che
il Comitato per i diritti dell’infanzia ha fatto suo più volte39.
Ciò nonostante, in altre occasioni il Comitato si pronuncia sulla corruzione in maniera
generica, quasi come se non sentisse la necessità di metterla in relazione con uno o più diritti umani
in special modo messi a rischio dalla stessa 40 , dando quindi l’impressione di considerarla un
fenomeno rilevante per se benché non si possa considerare una violazione di uno dei diritti
riconosciuti e protetti dal Patto.
È questo, ad esempio, il caso delle osservazioni finali all’ultimo report italiano, nel quale si
denuncia che «corruption remains pervasive within the State party, including in the judiciary. It is
also concerned about the inadequate and underresourced institutions set up to curb corruption»41.
Come è evidente, in questo contesto la denuncia riguarda meramente la insufficiente messa in marcia
di misure anti-corruzione, che vengono quindi in quale modo indirettamente considerate un percorso
necessario per il rispetto del Patto.
Per quanto riguarda la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura, il Comitato in
svariate occasioni ha messo in luce il grave impatto della corruzione in questo ambito, arrivando ad
affermare che «[c]orruption within a State seriously impedes the eradication of torture and ill-
treatment. Hence, to prevent torture and ill-treatment it is also critical to prevent and eradicate
corruption»42.
D’altro canto, alcune esperienze regionali come il gruppo GRECO del Consiglio d’Europa
realizzano un’efficace lavoro di controllo per quanto riguarda gli strumenti giuridici elaborati
nell’ambito dell’organizzazione per la lotta alla corruzione43. Ciò nonostante si tratta di una revisione
volta a valutare l’implementazione della normativa anti-corruzione e non adotta un approccio basato
nei diritti umani.
Ci troviamo pertanto di fronte a una situazione atomizzata o di controllo diffuso, nella quale
nonostante l’esistenza di una convenzione internazionale specifica in materia di corruzione, non è
39 Nazioni Unite, Committee on the Rights of the Child, Concluding observations on the fifth periodic report
of Mongolia, doc. CRC/C/MNG/CO/5, 2 giugno 2017, par. 9; —, Concluding observations: The Republic of
the Congo, doc. CRC/C/COG/CO/1, 20 ottobre 2006, par. 14.
40 Nazioni Unite, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, Concluding observations on the
combined fifth and sixth periodic reports of the Philippines, doc. E/C.12/PHL/CO/5-6, 26 ottobre 2016, par.
17 e seg.; —, Concluding observations on the third periodic review of Tunisia, op. cit.
41 Nazioni Unite, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, Concluding observations on the fifth
periodic report of Italy, doc. E/C.12/ITA/CO/5, 28 ottobre 2015, par. 10
42 Nazioni Unite, Committee against Torture, Seventh annual report of the Subcommittee on Prevention of
Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, doc. CAT/C/52/2, 20 marzo 2014,
par. 82; più recentemente, lo stesso Comitato ha evidenziato come la corruzione produce violazione dei diritti
umani nel contesto delle condizioni di detenzione, v. Concluding observations on the second periodic report
of Afghanistan, doc. CAT/C/AFG/CO/2, 12 giugno 2017, par. 29 e seg.
43 v. nota 23.
13
stato creato nessun organismo universale di controllo e quindi le uniche esperienze in materia sono
meramente regionali o proprie di diversi treaty bodies, i quali nella loro prassi hanno evidenziato non
solo l’impatto della corruzione sul godimento dei diritti che hanno l’obiettivo di far rispettare e
garantire, ma hanno anche invitato direttamente gli Stati a prendere le misure necessarie per eliminare
questo fenomeno, seppur con toni comprensibilmente generali.
4. La lotta contro la corruzione nell’Agenda 2030. Obiettivi, indicatori e criticità.
L’integrazione di obiettivi relativi alla promozione del buon governo e dei diritti umani nei
programmi di cooperazione allo sviluppo elaborati dalle Nazioni Unite è un fatto estremamente
recente, che trova spiegazione principalmente nelle criticità emerse negli anni riguardo la
realizzazione dei già citati Obiettivi del Millennio.
Come è stato più volte messo in luce, l’utilizzo di un numero limitato di obiettivi concreti per
concentrare l’azione di finanziamento e cooperazione allo sviluppo (in particolare in priorità come la
lotta alla povertà e alla fame) ha supposto un grande successo soprattutto mediatico. Ciò nonostante,
i risultati non sono stati generalmente all’altezza delle aspettative che negli Obiettivi erano state
riposte e perciò una riflessione collettiva su quali potessero essere le vie praticabili per il
raggiungimento di nuove mete per il post-2015 si è attivata quasi spontaneamente.
Tale processo di analisi può dirsi iniziato ufficialmente già con il Summit delle Nazioni Unite
del 201044, sviluppatosi più intensamente a partire dal 2012. L’allora Segretario Generale delle
Nazioni Unite Ban Ki Moon, infatti, decise di avviare una serie di processi paralleli volti
all’elaborazione di linee guida e di priorità da inserire nel programma che avrebbe dato seguito agli
OSM, ossia l’Agenda di sviluppo post-2015. Le modalità messe in campo sono state quindi diverse,
come la nomina di un comitato di esperti, la creazione di sondaggi aperti e di questionari rivolti ai
poteri pubblici.
Il risultato probabilmente più rilevante di questo iter è stato l’emergere della necessità
condivisa di adottare un approccio olistico allo sviluppo, che mantenesse l’ambizione degli obiettivi
“tradizionali” relativi alla sicurezza alimentare, economica, sanitaria, basandoli però nel diritto
internazionale dei diritti umani, nonché sulla sostenibilità ambientale, così come era stato stabilito
nella dichiarazione finale della Conferenza di Rio+2045.
Dati questi presupposti, nel corso del lungo processo di elaborazione degli Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile alcuni paesi europei e determinati settori della società civile organizzata vi che
44 Risoluzione dell’Assemblea Generale, Keeping the promise: united to achieve the Millennium Development
Goals, doc. A/RES/65/1, 19 ottobre 2010.
45 Risoluzione dell’Assemblea Generale, The future we want, doc. A/RES/66/288, 11 settembre 2012.
14
presero parte promossero l’inclusione di un obiettivo dedicato allo stato di diritto e al buon governo.
Secondo alcune delle istanze presentate, tale obiettivo doveva altresì includere sotto-obiettivi dedicati
alla promozione dei diritti umani, così come alla pace e sicurezza. Al contrario, l’altra posizione
emersa in questa fase riaffermava l’opportunità di optare per due obiettivi separati, affinché entrambe
le macro-aree godessero di uno spazio autonomo e quindi rilevante all’interno dell’Agenda.
Probabilmente per motivi di economia, le istanze relative alla promozione della pace, della
sicurezza e del buon governo sono state riunite nell’obiettivo 16, all’interno del quale è stato incluso
il sotto-obiettivo 16.5 dedicato alla riduzione della corruzione a livello globale. Questo nonostante
l’ostilità dichiarata di alcuni paesi emergenti e in via di sviluppo che durante tutto il ciclo di
negoziazioni sostennero la mancanza di presupposti per l’integrazione di obiettivi su diritti umani e
stato di diritto in quanto non sarebbero inclusi nei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (economico,
sociale e ambientale) definiti a Rio nel 2012.
Ma se da un lato l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 16 si può facilmente considerare come la
maggior novità della nuova agenda, che apre le porte a una nuova potenziale era di cooperazione allo
sviluppo veramente olistica, basata sui diritti umani, sul buon governo e sullo stato di diritto, dall’altro
è evidente che suppone una lunga serie di sfide dovute in particolare alla sua essenza pot-pourri.
Infatti, i dodici sotto-obiettivi che lo articolano appaiono a prima vista come mete piuttosto sconnesse
tra di loro, e che cercano di costituirsi come priorità arbitrarie all’interno di un ambito di intervento
estremamente ampio e complesso.
In primo luogo, la quasi totalità dei sotto-obiettivi del OSS 16 non presenta una data di
compimento come invece si è fatto per gran parte degli altri obiettivi. Tra questi rientra il sotto-
obiettivo 16.5 relativo alla lotta contro la corruzione, che infatti cita laconicamente “Substantially
reduce corruption and bribery in all their forms”. Sorprende certamente il fatto che questo obiettivo
non abbia subito modifiche né a livello contenutistico né per quanto riguarda il suo orizzonte
temporale di compimento, in particolare alla luce della sofferta epopea degli altri sotto-obiettivi del
ODS 16.
Dall’altro, un’altra problematica condivisa e che in questo caso sì coinvolge anche la meta
relativa alla lotta contro la corruzione, è la scelta degli indicatori globali per il monitoraggio. Come è
emerso non solo dal processo negoziale, ma anche dal prologo alla risoluzione “Transforming our
world”, l’agenda è stata così definita non solo per favorire la misurabilità degli obiettivi, ma anche
per permettere di adattare sotto-obiettivi e indicatori secondo le necessità e le priorità nazionali di
sviluppo. In questo contesto è utile chiarire che gli indicatori proposti dalla task force delle Nazioni
Unite, la Inter-Agency Expert Group (IAEG-SDGs), si configurano come elementi per il controllo
globale dell’andamento dell’agenda, che possono quindi essere ampliati o modificati dalle autorità
nazionali.
15
La problematica più evidente che riguarda gli indicatori del OSS 16, e quindi anche della meta
relativa alla lotta alla corruzione, è principalmente l’uso unicamente di indicatori di risultato,
tralasciando altre tipologia di indicatori che permetterebbero un monitoraggio non solo a posteriori
attraverso analisi statistiche, ma anche a priori attraverso il controllo dell’approvazione di normativa
nazionale e locale rilevante, così come di indicatori di processo46.
Questo è senz’altro il caso dell’OSS 16.5, che dovrebbe essere monitorato con l’appoggio di
due indicatori (16.5.1 e 16.5.2) che rientrano appunto nella prima categoria analizzata e che quindi
non prendono in considerazione la Convenzione ONU contro la corruzione, richiedendo ad esempio
la sua ratifica e la sua implementazione nell’ordinamento giuridico nazionale47. In questo senso si
perde quindi l’occasione di basare un obiettivo politico estremamente rilevante in uno strumento
normativo giuridicamente vincolante e che potrebbe offrire non solo una base necessaria per la sua
giustificazione, ma anche un utile strumento di controllo.
Per quanto riguarda il contenuto, i due indicatori selezionati dalla IAEG per il monitoraggio
del sotto-obiettivo 16.5, benché siano volti al controllo della corruzione e della concussione (in
inglese bribery) sono in realtà focalizzati unicamente su quest’ultima, evitando di menzionare, come
ben sottolinea Transparency International, altre forme di corruzione come l’estorsione da parte delle
forze di polizia, il nepotismo, la collusione, la malversazione, etc., che potrebbero avere un maggiore
impatto nella vita dei gruppi più vulnerabili.48 La mancanza di un ventaglio di indicatori differenziati
provoca quindi una visione distorta del fenomeno, che impedisce un approccio olistico e basato nei
diritti umani dei gruppi sociali che più di altri soffrono le conseguenze della corruzione a piccola
scala (cd. petty corruption).
Per quanto riguarda la corruzione internazionale, le misure previste dall’Agenda 2030 sono
contenute non solo nel sotto-obiettivo 16.5, ma anche e probabilmente in maniera più rilevante
nell’obiettivo 16.4 che stabilisce “By 2030, significantly reduce illicit financial and arms flows,
strengthen the recovery and return of stolen assets and combat all forms of organized crime”. Come
è evidente, in realtà, il citato sembra far riferimento unicamente alla questione dei flussi internazionali
illegali di denaro derivanti dal traffico di armi e/o dal crimine organizzato. Ciò nonostante, è peraltro
46 Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, Human Rights Indicators: A Guide
to Measurement and Implementation, doc. HR/PUB/12/5, 2012.
47 Nel documento finale sugli indicatori per il monitoraggio degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, si
definiscono il 16.5.1 come “Proportion of persons who had at least one contact with a public official and
who paid a bribe to a public official, or were asked for a bribe by those public officials, during the previous
12 months”; e il 16.5.2 come “Proportion of businesses that had at least one contact with a public official and
that paid a bribe to a public official, or were asked for a bribe by those public officials during the previous 12
months”. v. Nazioni Unite, Global indicator framework for the Sustainable Development Goals and targets
of the 2030 Agenda for Sustainable Development, doc. A/RES/71/313.
48 v. Transparency International, Monitoring Corruption and Anti-corruption in the Sustainable Development
Goals. A resource guide, aprile 2017, p. 20
16
evidente che l’appropriazione indebita di capitali pubblici nei paesi in via di sviluppo o la grand
corruption di funzionari statali da parte di grandi società transnazionali per l’ottenimento di benefici
per la propria attività commerciale è inevitabilmente legata all’esistenza di un sistema bancario e
fiscale internazionale (ma con base nel Nord) profondamente opaco.
Pertanto, risulta evidente che per realizzare un’azione globale contro la corruzione che non
provochi una sovra-responsabilizzazione dei paesi in via di sviluppo, è necessario potenziare anche
l’azione relativa alla meta 16.4 prevedendo misure che aumentino la trasparenza e il controllo anche
sui paesi con economie più sviluppate come quelle occidentali e sui paradisi fiscali.
5. Corruzione internazionale e commercio di armi nell’ordinamento spagnolo: diagnosi di un
binomio.
Secondo la percezione de suoi cittadini, confermata da un amplio spettro di processi più o
meno concludenti, la Spagna è caratterizzata da un problema di corruzione diffuso, benché non
sistemico, con un carattere marcatamente politico. In effetti, le cause principali dei più recenti casi di
corruzione si possono ricondurre soprattutto al finanziamento illecito dei partiti. Ciò ha determinato
un graduale aumento della sfiducia nel sistema partitico del paese, aggravatosi in particolare nel corso
degli ultimi quattro anni, che ha generato conseguenze significative a livello sociale e anche politico,
già conosciute nello scenario politico italiano, tra le quali la nascita di nuove formazioni politiche
“pulite” in aperta opposizione con i due partiti storici, il Partido Popular e il Partido Socialista Obrero
Español.
In effetti, nel rapporto della Procura speciale anti-corruzione del 2018 si afferma, senza mezzi
termini, che «[l]a corrupción política constituye, sin duda, uno de los más graves problemas que
afectan a nuestra sociedad actual»49, dato confermato inoltre da numerosi organismi e istituzioni
internazionali, così come da dati raccolti dal Centro de Información Estadística, secondo il quale, nel
2017, il 31,7% degli spagnoli riconosceva la corruzione come il loro secondo problema, superato
solamente dalla disoccupazione.
Questa diagnosi così poco brillante è peraltro ripresa nel rapporto volontario di applicazione
degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile relativo allo stesso anno, dove, insieme all’esistenza di
discriminazione etnica o razziale, l’alto livello di corruzione è l’unico fenomeno menzionato rispetto
all’OSS 1650. Ciò nonostante, si riconosce anche che negli ultimi anni sono stati presi diversi
provvedimenti in questo senso, come l’approvazione di un Plan de Regeneración Democrática51,
49 Fiscalía contra la Corrupción y la Criminalidad Organizada, Memoria 2018, p. 478.
50 Informe de España para el Examen Nacional Voluntario 2018, Gobierno de España, pag. 20 y pp. 82-83,
www.exteriores.gob.es
51 Ibidem, pag. 20.
17
nonché l’adozione di misure di tipo penale e processuale non ben specificate nel report ma alle quali
si farà riferimento più in avanti. Prendendo come indicatore il numero delle indagini in corso, si
afferma infatti che le persone detenute o accusate di corruzione sono passati da 583 nel 2010 a più di
2000 negli anni successivi al 2014, fino a raggiungere la notevole cifra di 2126 nel 2016.
Tuttavia, di fronte a questa presa di coscienza riguardo la problematica della corruzione a
livello nazionale, c’è da sottolineare un importante aspetto, che non viene ripreso né nel rapporto
sugli ODS né su quello dell’Anticorruzione, e che peraltro è ampliamente sottostimato a livello di
opinione pubblica, ossia la corruzione internazionale. Questo fenomeno, benché abbia un impatto
notevolmente inferiore a livello di percezione sociale, è un delle fattispecie incluse nell’Obiettivo 16,
in particolare con il goal 16.5, che infatti afferma “Ridurre considerabilmente la corruzione e la
concussione in tutte le sue forme”52. La corruzione internazionale, infatti, applicabile a diversi tipi di
transazioni transfrontaliere, ha conseguenze importanti rispetto al mantenimento della pace e della
sicurezza, nonché alla salvaguardia dei diritti umani e quindi, in ultima analisi, all’implementazione
dello stesso Obiettivo 16.
Come ricorda Fabián Caparros, «La corrupción de funcionarios extranjeros responde a
variables semejantes a la corrupción tendente a la obtención de posiciones dominantes sobre los
mercados locales. Se desarrolla con más facilidad en aquellos ámbitos dominados por la opacidad –
como el ya citado caso del comercio de armas –, desplegándose con especial comodidad en países en
vías de desarrollo»53. In questo senso, è significativo il fatto che uno degli altri target dell’Obiettivo
di Sviluppo sostenibile 16, il 16.4, ha come obiettivo proprio la lotta contro il traffico di armi e il
crimine organizzato54. Pertanto, la Agenda 2030 mette in evidenza come queste diversi fenomeni
criminosi non solo siano accomunati dall’essere una minaccia per la pace, lo sviluppo sostenibile e i
diritti umani, ma anche dal fatto che, spesso, si alimentano reciprocamente.
Non a caso, infatti, attualmente l’unico caso conosciuto di corruzione internazionale è quello
relativo alla denominata “Trama Defex”, un’azienda semi-pubblica coinvolta in un complessa rete
delittiva nel quale si annoverano il pagamento di ingenti somme di denaro ad agenti pubblici stranieri
e ai loro familiari per assicurare la vendita di materiale di difesa, di doppio uso o materiale di polizia
a paesi tra i quali Angola, Camerun, Egitto e Arabia Saudita, nonché riciclaggio di denaro ottenuto
tramite delle commissioni illegali, con la creazione di società fantasma in diversi paesi tra cui alcuni
paradisi fiscali.
52 Assemblea Generale, Res. 71/313 Work of the Statistical Commission pertaining to the 2030 Agenda for
Sustainable Development, pag. 21.
53 FABIÁN CAPARRÓS, E. A., «La corrupción de agente público extranjero e internacional», Valencia, Tirant lo
Blanch, 2003, pag. 39.
54 Assemblea Generale, ibidem.
18
I primi articoli relativi a questo caso cominciano ad apparire nel 2014 e fanno riferimento a
un contratto con la Polizia Nazionale dell’Angola per la vendita di materiale di polizia per un importo
di 152 milioni di euro. Secondo il giudice istruttore dell’Audiencia Nacional José de la Mata, i
benefici ottenuti con questa transazione supererebbero di gran lunga il costo di esecuzione (il 61,3%
a fronte del 38,6%) e solamente una parte di essi sarebbero stati destinati alle aziende partecipano in
Defex. Il resto sarebbe stato utilizzato per realizzare il pagamento di commissioni ad autorità e
funzionari pubblici angolani, nonché a beneficio privato tramite l’utilizzo di un complesso schema di
aziende fantasma per il riciclaggio dei fondi55. Nel corso dell’ultimo anno, inoltre, l’indagine si è
allargata coinvolgendo casi di corruzione relativa alla vendita di armi anche all’Arabia Saudita e al
Camerun, sempre da parte di Defex56.
Benché riconducibile a una sola azienda spagnola e, più specificamente, a una serie di
dirigenti già oggetto di indagini, questo caso risulta esemplificativo di come il problema della
corruzione internazionale sia un fenomeno niente affatto marginale, anche e soprattutto dato il
coinvolgimento una società con quota maggioritaria pubblica e che opera in un campo
particolarmente sensibile e sottoposto a un rigido, a volte opaco, schema di autorizzazioni e licenze
come quello del materiale e della formazione nell’ambito della difesa57. Proprio per questo, la vicenda
in analisi costituisce un utile caso di studio per quanto riguarda le problematiche riscontrabili nel
quadro giuridico spagnolo per la lotta contro questo fenomeno, che è già stato oggetto di osservazioni
e critiche da parte di organismi internazionali di cui la Spagna fa parte.
Uno degli strumenti giuridici internazionali maggiormente rilevanti in questo ambito è
senz’altro la Convenzione dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
(OCSE) sulla Corruzione nelle Transazioni Internazionali del 1997, ratificata dalla Spagna nel 200258.
In questo accordo si prevede, tra una serie di misure, non solo l’inclusione del crimine di corruzione
nell’ordinamento penale nazionale con un amplio spettro di fattispecie caratterizzate da un
comportamento criminoso “attivo” (art.1.1), ma vi si includono anche le fattispecie di complicità,
incitazione e assistenza (art. 1.2). Inoltre, all’art. 2 si stabilisce l’obbligo per i paesi parte alla
Convenzione, in accordance with its legal principles, di stabilire e assicurare la responsabilità delle
persone giuridiche per i casi di corruzione di un ufficiale pubblico straniero.
55 El País, El juez procesa a la empresa semipública Defex por la venta irregular de armas a Angola, 13 luglio
2018.
56 El País,“Defex actúa como una organización criminal”, 4 ottobre 2015; Defex, una empresa que exportaba
armamento como tapadera del Estado, 24 ottobre 2018; El fiscal pide 50 años de cárcel para el presidente de
la empresa pública de armas Defex por corrupción, 2 marzo 2019.
57 FABIÁN CAPARRÓS, E. A., «La corrupción de agente público…», op. cit., pag. 39.
58 Lo strumento di ratifica è stato pubblicato nel BOE núm. 46, de 22 de febrero de 2002, pp. 7155-7159.
19
La firma di questa Convenzione, quindi, ha portato a una serie di modifiche legislative, in
particolare di carattere penale, tra cui, a soli cinque anni dall’approvazione del Codice Penale
spagnolo, la Ley Orgánica 3/2000. In effetti, come si legge nell’esposizione dei motivi che hanno
portato a questa modifica normativa, la volontà di complementare la disciplina deriva dalla necessità
di includere «los presupuestos de este Convenio que no podían ser previstos por el legislador de 1995,
ante el fenómeno de la corrupción en las, cada día más frecuentes e intensas, transacciones
comerciales internacionales»59.
Con questo obiettivo si introdusse un nuovo Titolo nel Codice Penale spagnolo, nel quale si
include un solo articolo, il 445 bis. Si tratta di una riforma che passò praticamente in sordina, come
giustamente sottolinea Fabián Caparros quando ricorda che «[a] diferencia de otras reformas penales,
su aprobación –consensuada en el Parlamento como pocas– no se vio influida por el debate social.
Podría decirse, incluso, que su aprobación en el BOE pasó sin pena ni gloria, disminuida por su
coincidencia en el tiempo con otras disposiciones que mucho ocuparon la atención de los mass
media»60.
Il risultato di questa riforma, non misurabile per il suo impatto pratico, è stata però oggetto di
considerazioni negative durante la prima fase di valutazione prevista dalla stessa Convenzione61. In
effetti, nonostante si affermasse che la Spagna avesse positivamente implementato il trattato nei suoi
termini generali, allo stesso tempo non è risultò all’altezza per quanto riguarda la responsabilità delle
persone giuridiche, così come sull’aspetto sanzionatorio, considerato poco efficiente e non
sufficientemente deterrente62. Lo scoglio principale, infatti, che fu alla genesi di questa incompleta
trasposizione della Convenzione è da individuarsi proprio la tradizione giuridica spagnola, la quale
non ammette la responsabilità delle società, secondo il principio societas delinquere no potest.
In tutta risposta, fu approvata una nuova riforma del Codice Penale. Con la Ley Orgánica
15/200363, infatti, viene derogato il citato art. 445 bis e riformula il nuovo art. 445 CP. In quest’ultimo,
al secondo comma, si prevede l’applicazione delle conseguenze accessorie dell’art. 129 del CP nei
casi in cui il colpevole faccia parte di una società, organizzazione o associazione, anche di carattere
transitorio, che si dedichi alla realizzazione di queste attività64. Ciò nonostante la deroga non fu
59 Ley Orgánica 3/2000, de 11 de enero, de modificación de la Ley Orgánica 10/1995, de 23 de noviembre,
del Código Penal, en materia de lucha contra la corrupción de agentes públicos extranjeros en las
transacciones comerciales internacionales, BOE núm. 10, de 12 de enero de 2000, p. 1139.
60 FABIÁN CAPARRÓS, E. A., «La corrupción de agente público…», op. cit., pp. 78-79.
61 OCSE, Spain. Review of Implementation of the Convention and 1997 Recommendation, 2000.
62 Ibidem, pag. 27.
63 Ley Orgánica 15/2003, de 25 de noviembre, por la que se modifica la Ley Orgánica 10/1995, de 23 de
noviembre, del Código Penal, BOE núm. 283, de 26 de noviembre de 2003, pp. 41842-41875.
64 L’art. 129, successivamente modificato con la Ley Orgánica 1/2015, stabiliva che «1. El juez o tribunal, en
los supuestos previstos en este Código, y sin perjuicio de lo establecido en el artículo 31 del mismo, previa
audiencia del ministerio fiscal y de los titulares o de sus representantes legales podrá imponer, motivadamente,
20
considerata una misura adeguata, tanto che nella seconda fase di valutazione, avvenuta nel 2006, dove
si mette in evidenzia che la nuova normativa non prevede la responsabilità diretta delle persone
giuridiche e quindi continua ad omettere un elemento fondamentale della Convenzione.65
La terza, e per ora ultima modifica legislativa in ottemperanza degli obblighi internazionali
sorti con la ratifica della Convenzione OSCE, si è realizzata con la Ley Orgánica 5/2010, una riforma
estesa che tocca un vasta gamma di aspetti relativi alla giurisdizione penale66 e che, secondo quanto
stabilito nel preambolo, si regola in maniera dettagliata la responsabilità penale delle persone
giuridiche e per tanto si cerca di dare una risposta alle critiche formulate nel corso delle due fasi di
valutazione già menzionate.67
Nonostante questo ennesimo tentativo, in occasione della terza fase di valutazione, avvenuta
nel 201268, si appunta che, stante la nuova legislazione e in particolare all’art. 31 bis CP, par. 5, alcune
categorie di società continuano a non avere responsabilità giuridica. Come si afferma nel rapporto,
con questa disposizione si stabilisce «the exclusion of a large range of both State Owned Enterprises
(SOEs) as well as private companies which remain largely State controlled in a number of areas of
“general economic interest”»69. Inoltre, per quanto riguarda le aziende operanti nel settore della
difesa, secondo le informazioni ottenute, non è pacifico se rientrino o no in questa eccezione.
Non ci si trova di fronte, come si è visto, a un aspetto meramente secondario, bensì a una
lacuna grave, confermata dal fatto che la stessa OCSE definisce più volte questo settore come
las siguientes consecuencias: a) Clausura de la empresa, sus locales o establecimientos, con carácter temporal
o definitivo. La clausura temporal no podrá exceder de cinco años; b) Disolución de la sociedad, asociación o
fundación; c) Suspensión de las actividades de la sociedad, empresa, fundación o asociación por un plazo que
no podrá exceder de cinco años; d) Prohibición de realizar en el futuro actividades, operaciones mercantiles o
negocios de la clase de aquellos en cuyo ejercicio se haya cometido, favorecido o encubierto el delito. Esta
prohibición podrá tener carácter temporal o definitivo. Si tuviere carácter temporal, el plazo de prohibición no
podrá exceder de cinco años; e) La intervención de la empresa para salva- guardar los derechos de los
trabajadores o de los acreedores por el tiempo necesario y sin que exceda de un plazo máximo de cinco años».
65 OCSE, Espagne: Phase 2. Rapport sur l’application de la Convention et de la Recommandation de 1997 sur
la lutte contre la corruption d’agents publics étrangers dans le cadre des transactions commerciales
internationales, 2006.
66 Ley Orgánica 5/2010, de 22 de junio, per la que se modifica la Ley Orgánica 10/1995, de 23 de noviembre,
del Código Penal. BOE núm.152, de 23 de junio de 2010, pp. 54811-54883.
67 Nel preambolo, par. VII della L.O. 5/2010 si afferma, infatti, che 1«[p]ara la fijación de la responsabilidad
de las personas jurídicas se ha optado por establecer una doble vía. Junto a la imputación de aquellos delitos
cometidos en su nombre o por su cuenta, y en su provecho, por las personas que tienen poder de representación
en las mismas, se añade la responsabilidad por aquellas infracciones propiciadas por no haber ejercido la
persona jurídica el debido control sobre sus empleados, naturalmente con la imprescindible consideración de
las circunstancias del caso concreto a efectos de evitar una lectura meramente objetiva de esta regla de
imputación. Se deja claro que la responsabilidad penal de la persona jurídica podrá declararse con
independencia de que se pueda o no individualizar la responsabilidad penal de la persona física».
68 OCSE, Rapport de phase 3 sur la mise en œvre per l’Espagne de la Convention de l’OCDE sur la lutte contre
la corruption, dicembre 2012.
69 OCSE, Rapport de phase 3, op. cit., pag. 21.
21
estremamente vulnerabile al rischio di corruzione di ufficiali pubblici stranieri70, e come peraltro ci
ricorda il caso Defex al quale si è fatto anteriormente riferimento. Inoltre, il problema in analisi
costituisce il trait d’union tra il rischio di corruzione di ufficiale pubblico straniero e la mancanza di
trasparenza nelle procedure di esportazioni di armi e di materiale di doppio uso; ossia, i due punti
focali presenti nel target 16.4 dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 16.
In effetti, il sistema di approvazione di licenze e autorizzazioni all’esportazione di armi e di
altro materiale di difesa così come stabilito dalla legislazione spagnola71 attribuisce alla Junta
Interministerial Reguladora del Comercio Exterior de Material de Defensa y de Doble Uso (JIMDDU)
la funzione di approvare, sospendere o rifiutare le richieste di autorizzazioni presentate dalle aziende
esportatrici. Queste ultime devono essere inoltre previamente registrate così come stabilisce il Real
Decreto 2061/2008 72 , dove attualmente, secondo consta nel terzo report di valutazione della
Convenzione per la Spagna, di circa 780 aziende, la gran parte di dimensioni piccole o medie.73
Benché si tratti di una normativa certamente avanzata, specialmente per quanto riguarda la
elaborazione di un’analisi d’impatto sui diritti umani nel paese di destinazione finale come requisito
per l’autorizzazione all’esportazione74, questo meccanismo è caratterizzato una notevole mancanza
di trasparenza e accountability75. Infatti, oltre a non essere disponibili i dettagli delle procedure di
studio previo all’autorizzazione, per quanto riguarda il rischio di corruzione che colpisce questo
settore, nel 2012 si riconosceva che «[t]he authorisation and registration of defence exporters does
not currently include the need for exporters to declare that they and anyone acting on their behalf
have not, and will not, engage in foreign bribery»76.
Inoltre, secondo quanto stabilito nel già citato Real Decreto 2061/2008, l’ente preposto
all’emissione delle licenze e delle autorizzazioni all’esportazione, la Junta Interministerial para el
70 OCSE, Rapport de phase 3, op. cit., pag. 9,
71 v. Ley 53/2007, de 28 de diciembre, sobre el control del comercio exterior de material de defensa y de doble
uso, BOE núm. 312, de 29 de diciembre de 2007, pp. 53670-53676.
72 Real Decreto 2061/2008, de 12 de diciembre, por el que se aprueba el Reglamento de control del comercio
exterior de material de defensa, de otro material y de productos y tecnologías de doble uso. BOE, núm. 6, de
7 de enero de 2009, pp. 1217-1325
73 OCSE, ibidem, par. 185.
74 L’art. 8 lettera a) della citata disposizione stabilisce infatti che le richieste di autorizzazione saranno denegate
e le autorizzazioni saranno sospese o revocate «Cuando existan indicios racionales de que el material de
defensa, el otro material o los productos y tecnologías de doble uso puedan ser empleados en acciones que
perturben la paz, la estabilidad o la seguridad en un ámbito mundial o regional, puedan exacerbar tensiones o
conflictos latentes, puedan ser utilizados de manera contraria al respeto debido y la dignidad inherente al ser
humano, con fines de represión interna o en situaciones de violación de derechos humanos, tengan como
destino países con evidencia de desvíos de materiales transferidos o puedan vulnerar los compromisos
internacionales contraídos por España».
75 v. Il rapporto delle ONG Amnesty International, FundiPau, Greenpeace, Oxfam Intermón, Armas sin
control. Un oscuro negocio marca España, settembre 2017, pag. 4 e ss.
76 OCSE, Rapport de phase 3, op. cit., par. 185.
22
Comercio y Control del Material de Defensa y Tecnologías de Doble Uso (JIMDDU), aveva l’obbligo
di informare la Secretaría General de Comercio Exterior se ha conoscenza del fatto che l’azienda che
ha presentato la richiesta di iscrizione sia coinvolta in attività illecite o non possa garantire un
controllo effettivo sulle esportazioni, nel cui caso la richiesta verrebbe rifiutata. Nell’ipotesi invece
in cui un’azienda precedentemente iscritta vedesse cambiare queste condizioni, la sua iscrizione nel
registro potrebbe essere sospesa o revocata.77
Questa disposizione è stata modificata nel corso del 2014 tramite il Real Decreto 679/2014,
che, tra le altre modifiche, include pedissequamente i suggerimenti presentati nel corso della terza
fase di valutazione della Convenzione e per tanto, nel nuovo art. 15 è inclusa chiaramente la
fattispecie della corruzione tra le cause che possono generale la sospensione o revoca dell’iscrizione
del Registro especial de operadores de comercio exterior. In aggiunta, nella modifica si fa eco alle
osservazioni presentate nel report e, al comma 7, stabilisce che «[s]e analizará especialmente que las
empresas no están condenadas por delitos relacionados con la corrupción de agentes públicos
extranjeros en las transacciones comerciales internacionales, para lo cual se requerirá una declaración
por parte del interesado».
Tuttavia, ad oggi non si ha notizia di casi di applicazione di queste disposizioni. In effetti, il
deficit di implementazione della normativa contro la corruzione internazionale, non solo di tipo
penale ma, come si è visto, anche amministrativo, non permette di esprimere considerazioni relative
alla sua capacità di identificare e perseguire efficacemente questo tipo di reati, soprattutto nell’ambito
del commercio di armi. Nemmeno può indurre ad un facile ottimismo, in quanto non vi sono motivi
fondati per considerare l’industria di difesa spagnola, dato il suo alto livello di esportazioni e le
caratteristiche proprie di questo tipo di transazioni, immune dal problema della corruzione
internazionale.
6. Conclusioni
L’emergere della corruzione come ostacolo allo sviluppo socio-economico, e pertanto la sua
integrazione nel discorso relativo alla cooperazione nel quadro delle grandi organizzazioni
internazionali non è un fenomeno né recente né neutrale. Esso infatti è stato spesso utilizzato per non
mettere in discussione i presupposti ideologici che hanno guidato la cooperazione internazionale allo
sviluppo durante gli ultimi decenni e, in questo senso, la corruzione e la detrazione di fondi si sono
spesso configurate come elemento di sovra-responsabilizzazione dei paesi riceventi gli aiuti e
finanziamenti internazionali.
77 Real Decreto 2061/2008, art. 15.6.
23
Più recentemente, e in particolare dopo il deludente risultato degli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio, la corruzione ha gradualmente suscitato l’interesse di alcuni treaty bodies, che hanno
menzionato le gravi conseguenze della corruzione nel godimento dei diritti economici e sociali, in
particolare per quanto riguarda le categorie più vulnerabili. Parallelamente, tanto dottrina come la
Commissione per i Diritti umani (poi Comitato) hanno cominciato ad interrogarsi sulla natura della
corruzione come possibile violazione dei diritti umani in senso ampio (o di alcuni in particolare),
generando conclusioni piuttosto vaghe ma tuttavia rilevanti, le quali hanno reiterato
l’interconnessione empirica tra corruzione e violazioni dei diritti fondamentali.
In questo contesto, l’elaborazione della Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile costituisce
una svolta importante per quanto riguarda l’integrazione di obiettivi non meramente socio-economici
in un programma politico di sviluppo a livello globale. Infatti, non solo include la promozione dello
stato di diritto, la lotta alla corruzione e seppur vaghi riferimenti alla protezione dei diritti
fondamentali, ma si configura come la prima agenda universale, nella quale ogni paese è chiamato a
elaborare dei propri piani di sviluppo.
Come si è visto, nel caso spagnolo l’adattamento della normativa interna agli standard
internazionali per la lotta contro la corruzione internazionale è stata lenta e a singhiozzo. Inoltre, la
mancanza di giurisprudenza dettata ad oggi limita significativamente la possibilità di analisi sulla sua
efficacia. Tuttavia, le indagini sulla cd. trama Defex hanno finalmente messo in luce l’esistenza di
meccanismi rodati di corruzione di ufficiali pubblici stranieri per la firma di contratti di forniture di
armi e materiale di difesa consolidata nel tempo, che hanno coinvolto non solo le forniture all’Angola,
ma anche al Camerun e, secondo le ultime novità, probabilmente anche l’Arabia Saudita.78 Pertanto,
dal 2014 il caso Defex ha portato non sono alla prima, e ad oggi unica sentenza, per il reato di
corruzione internazionale, dando finalmente applicazione all’art. 445 CP, ma ha anche messo in luce
la vulnerabilità del commercio internazionale di armi alle diverse pratiche criminose, in particolare
la corruzione internazionale.
Nonostante ciò, continuano a sussistere dubbi sulla capacità delle autorità spagnole di avviare
in maniera pro-attiva (e non sotto impulso di autorità straniere come nel caso Defex) delle indagini
nei casi di sospetta corruzione internazionale. Inoltre, come si afferma nel report del 2015 di follow-
up della Convenzione OSCE, è evidente la mancanza di formazione specializzata per le forze di
polizia e per le autorità giudiziarie, nonché la necessità di avviare meccanismi di coordinamento più
efficienti capaci di evitare la chiusura prematura delle indagini.79
78 Consejo General del Poder Judicial, El juez propone juzgar a la empresa pública Defex y a su excúpula por
once contrato de material militar con Arabia Saudí, comunicato stampa, 6 marzo 2019.
79 OCSE, Spain: Follow-up to the Phase 3 Report & Recommendations, 2015, par. 3.
24
Inoltre, tenendo in considerazione la citata vulnerabilità alla corruzione del commercio di
armi, dall’analisi svolta è evidente la necessità dell’avvio di un percorso di riforma attuale volto a
aumentare i livelli di trasparenza previsti attualmente per quanto riguarda le pratiche amministrative
di autorizzazione e all’emissione di licenze di esportazione di materiale di difesa. Si tratta, infatti, di
un intervento necessario e complementare alla riforma del CP in materia di corruzione, che avrebbe
come obiettivo la prevenzione e la migliore individuazione di pratiche sospette di corruzione
internazionale.
Non a caso, l’Obiettivo di Sviluppo sostenibile 16, in particolare nei sui target 16.4 e 16.5,
include tanto la lotta contro la corruzione come la lotta contro il traffico illecito di armi, in quanto si
tratta di due fenomeni strettamente connessi tra loro, che non solo deviano ingenti risorse economiche
dei paesi in via di sviluppo ma possono anche mettere a rischio la difesa dei diritti umani nei paesi di
destinazione finale.
In questo senso, l’Agenda 2030 costituisce un’importante opportunità affinché, da un lato, le
autorità spagnole amplino la loro prospettiva sulla corruzione, attualmente incentrata unicamente
sulla corruzione politica, e riconoscano la corruzione internazionale come una problematica attuale e
che colpisce in particolare il commercio internazionale di armi e materiale di difesa e, dall’altro,
stabiliscano i propri obiettivi di implementazione volti a instaurare meccanismi che proteggano
adeguatamente lo stato di diritto e i diritti fondamentali.
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