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CENNI DI FARMACOLOGIA CLINICA DEGLI OPPIOIDI SINTETICI
Ernesto de Bernardis
medico farmacologo
Responsabile SerT Lentini
ernesto@debernardis.it
SOMMARIO
I principali oppioidi sintetici d’abuso sono caratterizzati da una potenza maggiore dell’eroina, che
ne condiziona effetti e rischio di overdose. Molti derivati del fentanil, e vari composti abbandonati
dalle case farmaceutiche, sono mal conosciuti. Il tramadolo ha potenza inferiore all’eroina ma una
farmacologia peculiare. I problemi dell’ossicodone derivano dalla sua farmacocinetica. Per
prevenire un’epidemia di overdose è importante progettare un’efficace informazione istituzionale.
La più parte della Letteratura scientifica sugli oppioidi sintetici d’abuso riguarda gli aspetti
di tossicologia forense, di chimica analitica, di epidemiologia e di pronto soccorso.
Presentiamo qui invece alcuni cenni di interesse per la medicina delle dipendenze, intesi a
farsi un’idea delle somiglianze e delle differenze tra questi nuovi attori e l’eroina, la
sostanza che più di tutte negli ultimi cinquant’anni abbiamo imparato, bene o male, a
conoscere e a contenere. La scelta di quali oppioidi sintetici prendere in considerazione
tra i moltissimi che stanno invadendo il Nordamerica e più recentemente l’Europa è basata
sulle notizie pubblicate su decessi e sequestri; è possibile però, estrapolando l’andamento
recente degli eventi, che appaiano nuove molecole completamente diverse e che il
panorama degli agenti patogeni cambi radicalmente.
IMPORTANZA DELLA POTENZA
La caratteristica comune alla maggior parte degli oppioidi sintetici d’abuso è la maggior
potenza rispetto all’eroina. In farmacologia più un farmaco è potente, minore è la quantità
necessaria per esercitare l’effetto atteso. In questo senso, quasi tutti gli oppioidi sintetici di
cui si riscontra il consumo fuori prescrizione sono più potenti dell’eroina, come si vede
dalla fig. 1 tratta da dati raccolti sull’animale da esperimento (Pérez-Mañá et al., 2018) con
alcune modifiche.
Fa eccezione il tramadolo, e infatti il tipo di consumo ed i problemi derivanti da esso sono
peculiari, come la sua farmacologia che riassumeremo alla fine dell’articolo.
Questi dati di potenza sono tratti da test di analgesia sull’animale, e quindi non vanno
presi alla lettera applicandoli numericamente come tali ad altri effetti come quelli
euforizzanti e cardiorespiratori, ma ci danno una valida idea di quanto sia pericolosa la
sostanza in questione.
Infatti si potrebbe immaginare che la maggior potenza sia un problema superabile, perché
se una sostanza è più potente basterebbe usarne di meno in proporzione. Questo è vero
nell’ambito di una filiera professionale sanitaria moderna, dove la molecola è prodotta e
distribuita a purezza e concentrazione nota, e utilizzata in quantità controllata e con le
precauzioni del caso.
Nel caso invece della produzione clandestina e dello spaccio, più alta è la potenza della
sostanza, maggiore è la probabilità che iniziando da produzione a purezza e titolo incerti,
e continuando con i vari passaggi di diluizione (taglio), ciò che raggiunge il consumatore
finale abbia concentrazione aleatoria, e in certi casi troppo alta. Sono particolarmente a
rischio i tagli effettuati mescolando la sostanza in polvere con altre polveri inerti; poiché gli
oppioidi sintetici sono tanto potenti, la differenza tra una dose efficace ed una dose letale
può dipendere da pochi granelli, ed è possibile che in una bustina o pallina casualmente
vada a finire qualche granello in più, un fenomeno detto dell’hot spot e descritto pure per i
cannabinoidi sintetici. Consumare in bolo, tutta in una volta, la sostanza acquistata,
equivale ad una roulette russa dove il colpo letale scatta per via dell’inevitabile variabilità
del taglio.
Neppure la tolleranza indotta dal consumo ripetuto è d’aiuto, perché la tolleranza agli
effetti desiderati (es. analgesico) si instaura più rapidamente di quella alla depressione
respiratoria, e quando il soggetto “sente” meno la sostanza tende ad aumentarne le dosi
(Boyer, 2012), che con un oppioide molto potente ha effetti proporzionalmente più severi.
In concreto questi fenomeni sono evidenti dai dati riportati dal “Medically Supervised
Injecting Centre” (sala per il consumo sicuro) di Sidney, Australia (Latimer et al., 2016).
Per quanto il fentanil da strada sia ivi di derivazione farmaceutica, estratto dai dispositivi
transtermici, e quindi con titolo meno aleatorio, conteggiando i casi di overdose all’interno
della sala si osserva che chi si somministra fentanil va in overdose con frequenza doppia
di chi fa uso di eroina, e addirittura otto volte di più rispetto a chi inietta prodotti
farmaceutici a base di ossicodone (che ha potenza pari all’eroina) o morfina (che ha
potenza di circa metà dell’eroina) e che verosimilmente richiedono poca o nulla
diluizione/taglio.
Ecco quindi che la potenza dell’oppioide si configura come fattore di rischio primario,
ferme restando dal punto di vista qualitativo le azioni che esso opera sull’organismo –
euforia, analgesia fisica ed emozionale, sedazione, poi sonnolenza, anestesia,
rallentamento della respirazione in parallelo con la sofferenza cardiaca fino all’arresto, o in
altre parole l’overdose.
Ovviamente all’opposto la potenza è vantaggiosa per i trafficanti che in questo modo
spostano facilmente volumi molto ridotti potendone confezionare una gran quantità di
singole dosi per i consumatori finali.
FENTANILI
I più diffusi agenti causali dell’epidemia nordamericana di overdose sono il fentanil ed i
suoi derivati, che presi in complesso indichiamo come fentanili. Il fentanil è uno specifico
prodotto farmaceutico di comune impiego in anestesia; i derivati sono potenzialmente
innumerevoli grazie al fatto che lo scheletro base del fentanil ha perlomeno 5 posizioni in
cui è possibile introdurre varianti chimiche mantenendone l’azione desiderata, cioè quella
agonista sui MOR, Mu Opiate Receptors (Ellis et al., 2018) (fig.2).
La maggior parte dei derivati non sono stati studiati formalmente, e ad oggi ne abbiamo
una conoscenza incompleta e aneddotica. Gli unici per i quali esiste una documentazione
soddisfacente sono alfentanil, sufentanil, e remifentanil, usati nell’uomo, carfentanil, usato
in medicina veterinaria nei grossi animali, e lofentanil studiato ma poi mai
commercializzato. Di tanti altri, come acetilfentanil, acriloilfentanil, alfametilfentanil, 3-
metilfentanil, butirrilfentanil e suoi derivati sul C4 (metossi e alogeni), furanilfentanil,
tetraidrofuranilfentanil, ciclopentilfentanil, ocfentanil (Abdulrahim & Bowden Jones, 2018)
sappiamo poco più di quello che è ricavabile dalle circostanze delle intossicazioni e dei
decessi.
Visto il continuo afflusso di nuovi derivati, sono stati sviluppati strumenti computazionali in
silico che partono dalla struttura chimica per ricavare una stima teorica dell’attività
agonista sui MOR, in maniera da orientare l’attività delle agenzie regulatorie in termini di
monitoraggio e repressione (Ellis et al., 2018).
Il fentanil venne sintetizzato dall’industria farmaceutica Janssen negli anni ’60, in un’epoca
in cui si cercavano oppioidi sempre più potenti, sulla linea di pensiero che a maggior
potenza corrispondesse maggiore sicurezza, perché un farmaco molto potente sarebbe
stato utilizzabile in quantità minori tali da rendere meno probabile la depressione
respiratoria.
E in effetti nell’animale da esperimento l’indice terapeutico degli oppioidi (cioè il rapporto
tra la LD50, dose letale, e la ED50, dose efficace in metà degli animali) è tanto migliore
quanto maggiore è la potenza del farmaco. Per esempio, per via endovenosa il rapporto
risulta approssimativamente 67 per la morfina, 200 per alfentanil, 333 per fentanil e fino a
2000 per sufentanil (Janssen, 1982; Poklis, 1995).
Questo è vero nelle mani dell’anestesista, in dosi controllate e in presenza di farmaci e
apparecchi rianimatori, tanto che il fentanil e i suoi derivati farmaceutici sono ampiamente
usati in chirurgia, soprattutto perché hanno effetti minimi sulla funzionalità e la stabilità
dell’apparato cardiovascolare, e sugli ormoni dello stress (Mather, 1983). L’ampia
disponibilità di fentanil in chirurgia e la percezione di sicurezza nell’uso controllato ed a
concentrazione nota ha fatto sì anche già dalla metà degli anni ’70 se ne riscontrasse
l’abuso da parte dei sanitari ed in particolare dagli anestesisti (Poklis, 1995).
In analogia con l’eroina, i fentanili sono attivi sui MOR, con scarsa affinità sui recettori
delta e kappa. Per il fentanil la dose letale nell’uomo, in assenza di sostegno alle funzioni
cardiorespiratorie, è intorno ai 2 mg; le concentrazioni analgesiche nel sangue sono di 1-2
ng/ml, quelle anestetiche di 10-20 ng/ml, per quanto nel policonsumo e quindi in presenza
di altri depressori del sistema nervoso centrale anche concentrazioni di 7 ng/ml si siano
rivelate letali (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA),
2018)
La più importante differenza tra fentanil ed eroina, ed ancor più morfina, è di natura
farmacocinetica ed è dovuta al fatto che il fentanil è molto più liposolubile.
Il fentanil si distribuisce nei lipidi circa 1000 volte di più della morfina ed in questa maniera
riesce a superare in maniera molto più veloce le barriere organiche come cute, mucose e
barriera ematoencefalica (Taylor, 2005) e a diffondere nelle membrane cellulari
raggiungendo più rapidamente i MOR. Quando somministrato nel sangue periferico, i
valori cambiano a seconda degli effetti, del modello e della specie scelta per gli
esperimenti, ma per esempio in test di analgesia sul ratto il fentanil è quasi 300 volte più
potente della morfina, in test di anestesia di 125 volte, e sulla mortalità di circa 64 volte.
Se si somministra direttamente nel fluido dei ventricoli cerebrali, eliminando il vantaggio
dovuto alla migliore diffusione attraverso barriera ematoencefalica, la differenza di potenza
permane ma in misura più contenuta, per esempio in test di analgesia sul coniglio risulta di
12 volte. (Mather, 1983).
Il fatto che sia liposolubile ne consente un facile ingresso ma una altrettanto facile uscita
dal sistema nervoso centrale e per questo i suoi effetti durano di meno dell’eroina, che
rimane intrappolata entro la barriera ematoencefalica dopo essere deacetilata in
monoacetilmorfina e morfina.
Un altro fattore che condiziona la brevità dell’azione del fentanil è che questo sparisce
rapidamente dal plasma (90% in 5 min) perché sequestrato dai tessuti, specie quelli
grassi, e quindi ha un volume apparente di distribuzione molto elevato. L’eliminazione
definitiva invece è lenta, con emivita di 3-7 ore, più prolungata di quella della morfina (2-4
ore) e dipende al 99% dal fegato (citocromi CYP 3A4, 3A5 e 3A7) con una piccola quota
riassorbita dal ricircolo enteroepatico. L’ottanta per cento di una dose ev di fentanil viene
eliminata entro 72 ore. Solo il 6% circa è escreto immodificato; i metaboliti sono inattivi, e il
principale è il norfentanil. Il fentanil è anche substrato della glicoproteina P, un
trasportatore di membrana responsabile del trasporto di molti farmaci, e nei soggetti
portatori di mutazioni del relativo gene il fentanil può permanere nel cervello un po’ più a
lungo (Poklis, 1995; Comer & Cahill, 2018).
L’ottimo assorbimento dei fentanili da cute e mucose hanno indotto a temere il rischio di
avvelenamento per coloro che lo maneggiano per spacciarlo o sequestrarlo. Le
raccomandazioni emanate dalle istituzioni statunitensi consigliano l’uso di guanti e
protezioni individuali come filtri respiratori e occhiali, il lavaggio immediato con acqua e
sapone delle aree cutanee eventualmente esposte, evitando disinfettanti cutanei che
possono invece favorirne l’assorbimento, la decontaminazione degli indumenti esposti, e
l’evitamento di gesti che possano sollevare nell’aria le sostanze in polvere (Office of
National Drug Control Policy, 2018).
Una volta entrato nel cervello, il legame della maggior parte dei fentanili con il loro
recettore è abbastanza simile a quello degli oppiacei naturali. L’affinità di legame del
fentanil con i MOR è analoga a quella della morfina, ossia a concentrazioni simili fentanil e
morfina legano una percentuale simile di MOR. Sufentanil e carfentanil hanno affinità
maggiore e quindi si legano a concentrazioni inferiori, ciclopropilfentanil e butirrilfentanil a
concentrazioni simili, alfentanil ed isobutirrilfentanil a concentrazioni superiori, per quanto
tutti entro un ordine di grandezza in più o in meno rispetto alla morfina (Baumann et al.,
2018; Yeadon & Kitchen, 1988)
Fanno eccezione una serie di derivati fentanilici caratterizzati chimicamente dalla
presenza di un metile (-CH3) nella posizione 3 dello scheletro comune (R3 della figura 2),
e i più importanti sono per l’appunto il 3-metil-fentanil, ed il lofentanil (Janssen, 1982).
Questi 3-metilderivati hanno un legame pseudo-irreversibile con i MOR (Xu et al., 1991),
comportandosi un po’ come la buprenorfina, e quindi a differenza del fentanil prolungano
la loro azione per svariate ore, aumentandone ulteriormente la pericolosità (Jin et al.,
1981).
Dopo il legame con il recettore, in termini quantitativi il fentanil mostra un’attività intrinseca
sull’animale da esperimento circa 8 volte maggiore della morfina, e doppia rispetto al
metadone (Adams et al., 1990).
Gli effetti cellulari del fentanil però differiscono in parte da quelli della morfina (Comer &
Cahill, 2018). Le principali vie di trasduzione del segnale innescato dal legame
dell’agonista con il MOR sono due, una dipendente da GMP ciclico ed una da una
proteina detta beta-arrestina. Mentre la morfina agisce prevalentemente sul GMP ciclico, il
fentanil attiva di più la via della beta-arrestina, coinvolta tra l’altro nell’internalizzazione dei
MOR e nella depressione respiratoria. Inoltre il fentanil rimane efficace anche in soggetti
portatori di una mutazione congenita del MOR, chiamata OPMR1, che è ritenuta essere
causa di una riduzione dell’efficacia della morfina soprattutto nel suo aspetto gratificante.
In complesso, quindi, possiamo attribuire la potenza e la pericolosità dei fentanili a tre
fattori: elevata liposolubilità, buona affinità recettoriale, ed elevata attività intrinseca con
azioni cellulari peculiari.
In buona parte questi fattori condizionano anche gli effetti soggettivi e obiettivi sull’uomo in
paragone a quelli dell’eroina.
In esperimenti di laboratorio, volontari consumatori di eroina considerano equivalenti in
termini di gradimento complessivo (“good effect”) dosi acute di fentanil di 0.25 mg, di
eroina di 12.5 mg e di morfina o ossicodone di 50 mg, con un rapporto 1:50:200 tra le
varie sostanze (Comer et al., 2008).
Sul campo però l’esperienza soggettiva con il fentanil generalmente non è troppo gradita
dai consumatori, perché la repentina salita e discesa degli effetti e l’eccessiva potenza
comportano una mancanza di gradualità che non dà il tempo di godere delle sensazioni
piacevoli derivate dall’oppioide (Carroll et al., 2017), e nelle interviste qualitative i
consumatori associano l’uso di fentanil a termini come “potenza” e “perdita di controllo”,
riferendo che a differenza dall’eroina l’incoscienza arriva all’improvviso senza
sperimentare le attese sensazioni piacevoli per un tempo soddisfacente (Mayer et al.,
2018).
Tra gli effetti dell’assunzione, rispetto all’eroina, sembrano maggiormente rappresentati
nausea e vomito, arrossamento del volto, formicolii (“spilli”) e parestesie specie al collo e
alla nuca, visione confusa e dispnea (Ciccarone et al., 2017).
Si sospetta che il consumo di fentanil da strada possa essere associato anche ad amnesia
anterograda da sofferenza bilaterale dell’ippocampo e del pallido (Duru et al., 2018),
verosimilmente attribuibile ad ipossia cerebrale. A conferma di ciò si è recentemente
osservato che una moderata quantità di fentanil (10%) addizionata all’eroina, simile a
quella riscontrata nei sequestri, dà luogo negli esperimenti sull’animale ad un sinergismo
con potenziamento, con profonda e prolungata ipossia cerebrale, a differenza della sola
eroina o del solo fentanil (Solis et al., 2017).
Forse per questo motivo dopo un’overdose i consumatori non sono in grado di
discriminare a posteriori in maniera attendibile la presenza di fentanil come contaminante
nella sostanza acquistata come eroina, e pertanto per la diagnosi differenziale rimane
necessaria la verifica con le opportune analisi dei campioni biologici (Bijral et al., 2018;
Griswold et al., 2018).
A valle degli effetti, la breve durata d’azione del fentanil comporta infine la comparsa di
sintomi astinenziali più precoci e pronunciati di quelli da eroina (Mayer et al., 2018) e
induce il consumatore al redosing cioè a ripetere la somministrazione più volte in poco
tempo (Abdulrahim & Bowden Jones, 2018) potenziandone gli inconvenienti sanitari e
sociali.
Nonostante tutti questi aspetti negativi, si riscontra una popolazione di consumatori che
preferisce gli effetti dei fentanili e ricerca attivamente gli spacciatori in grado di fornirli
(Carroll et al., 2017), preferibilmente in forma di fentanyl-laced heroin e cioè miscele
fentanil-eroina, che associano il rush intenso del primo alla tenuta dell’effetto della
seconda, con la capacità del fentanil di superare la tolleranza acquisita agli oppioidi da
strada o alla terapia agonista, in modo da continuare a “sentire” la sostanza (Ciccarone et
al., 2017).
Peraltro, l’autosomministrazione di fentanil in soggetti mantenuti a metadone a dosi medio-
basse (60-70 mg), dà luogo a effetti soggettivi e obiettivi (elettroencefalogramma) maggiori
rispetto alla somministrazione passiva da parte dello sperimentatore, sottolineando oltre
alla capacità del farmaco di soverchiare l’effetto della terapia agonista, anche l’importanza
del set e del setting e delle aspettative del consumatore (Greenwald & Roehrs, 2005).
La maggior potenza dei fentanili rispetto all’eroina è direttamente causa della maggiore
frequenza di overdose. L’overdose da fentanil è immediata, proprio per il veloce transito
della barriera ematoencefalica, e il passaggio dallo stato di incoscienza alla depressione
respiratoria e alla morte è altrettanto rapido.
Con le overdose da eroina siamo abituati ad avere un certo tempo per intervenire mentre il
ritmo respiratorio va via via rallentando, nel peggiore dei casi 20-30 minuti ma più spesso
anche 60-90 minuti prima dell’arresto cardiaco; con il fentanil, invece, la transizione dalla
coscienza all’insufficienza respiratoria può essere di secondi o di pochi minuti, senza dare
un tempo sufficiente per l’arrivo dei soccorsi (Abdulrahim & Bowden Jones, 2018), a volte
con immediata cianosi delle mucose, rantoli respiratori, schiuma alla bocca, e può essere
preceduta da alterazioni comportamentali o confusione mentale (Somerville et al., 2017).
In circa metà dei casi si riscontra un decesso estremamente rapido, caratterizzato da livelli
bassi o nulli del norfentanil nei fluidi biologici poiché il fegato non ha il tempo di
metabolizzare il farmaco prima della morte; ciò è associato alla comparsa di una rigidità
muscolare generalizzata che coinvolge anche i muscoli del torace e rende impossibile la
residua attività respiratoria.
Questo ipertono muscolare descritto per la prima volta nel 1953 (Hamilton & Cullen, 1953)
è ben noto nell’uso anestesiologico del fentanil, e in questo ambito viene trattato con
miorilassanti periferici come la succinilcolina, in maniera da non intaccare la profondità
dell’anestesia (Rosenberg, 1977); è invece infrequente con gli oppioidi poco liposolubili e
praticamente sconosciuto per l’eroina (Mayer et al., 2018).
A parità di dose e livelli ematici di fentanil, l’ipertono muscolare si riscontra in circa metà
dei soggetti sperimentali, specie in quelli con maggior tono vagale indicato da minore
frequenza cardiaca, ed è associato a perdita di coscienza, apnea, rigidità della parete
toracica e addominale, flessione del collo e degli arti superiori ed estensione di quelli
inferiori (Streisand et al., 1993). Non è dose-dipendente, viene revertito da naloxone, e
sembra dipendere da un’eccessiva attivazione delle vie noradrenergiche a partenza dal
locus coeruleus e dirette verso il midollo spinale (Burns et al., 2016).
È importante che i soccorritori siano a conoscenza di questa possibile presentazione, per
non sbagliare diagnosi in un soggetto che non presenti la classica flaccidità dell’overdose
da eroina, e per essere pronti ad una resistenza alle consuete manovre di rianimazione
cardiorespiratoria, con difficoltà ad articolare la mandibola e torace incomprimibile. (Mayer
et al., 2018).
Per risolvere la depressione respiratoria spesso sono necessarie dosi di naloxone
maggiori di quelle di comune impiego nelle overdose da eroina, sia per via endovenosa (4-
6 fiale da 0.4 mg anziché 1-2) (Mayer et al., 2018) che per via endonasale (Somerville et
al., 2017). È stato ipotizzato che la necessità di maggiori quantità di naloxone possa in
parte dipendere dalla competizione tra naloxone e fentanil per il meccanismo di trasporto
entro la barriera ematoencefalica (Rzasa Lynn & Galinkin, 2018).
Dal punto degli effetti soggettivi e della tossicità, finora i derivati del fentanil diffusi sul
mercato illegale somigliano al composto progenitore nella violenza e nella brevità, e le loro
particolarità risultano finora aneddotiche in assenza di studi formali.
È disponibile qualche informazione in più su acetilfentanil, che nell’intossicazione acuta
può portare a midriasi oltre che miosi, nonché agitazione, delirium ed ipertermia (Bowden
Jones, riportato dal congresso ISAM 2017,
https://twitter.com/OwenBowdenJones/status/924319469131960321). La sua potenza è
stimata 15 volte maggiore di quella dell’eroina, e quindi inferiore al composto progenitore,
ma è descritto dagli utilizzatori come troppo forte e caratterizzato da una sensazione
irresistibile di rallentamento del battito cardiaco e scivolamento verso l’incoscienza, tanto
che molti affermano di non voler più farne uso (Miller et al., 2018).
Ocfentanil, associato al primo decesso documentato per fentanili d’abuso in Italia (Casati
et al., 2018), è riportato aneddoticamente avere un effetto più stimolante che euforizzante
(Quintana et al., 2017).
Furanilfentanil, causa del secondo decesso documentato in Italia da fentanili (Avon, 2018)
non è ancora ben caratterizzato in termini di effetti (European Monitoring Centre for Drugs
and Drug Addiction (EMCDDA), 2017), così come ciclopropilfentanil (European Monitoring
Centre for Drugs and Drug Adiction, 2018).
Butirrilfentanil (Cole et al., 2015) è associato come il fentanil (Ruzycki et al., 2016) a
lesioni polmonari come emorragia alveolare ed emottisi.
Carfentanil, infine, è tanto potente da richiedere dosi massicce di naloxone per revertirne
l’effetto, stimate fino a 2 mg/kg, e per questo ben poco maneggevoli, tanto è vero che in
caso di rischio professionale di intossicazione acuta viene usato il naltrexone in infusione
per uso veterinario a dosi di 50-100 mg totali (Haymerle et al., 2010).
ALTRI OPPIOIDI SINTETICI
Appartengono a famiglie chimiche diverse ma sono accomunati dalla potenza maggiore
dell’eroina e dal fatto di essere stati scartati dall’industria farmaceutica, che ne ha descritto
la sintesi nella documentazione brevettuale pubblica.
Il più importante finora è stato U-47700, brevettato dalla casa farmaceutica Upjohn,
conosciuto anche come Pink per il colorito rosato, e implicato in un decesso in Italia dopo
assunzione in forma di spray nasale (Gerace et al., 2018). Si ritiene che la popolarità di U-
47700 sia attualmente in fase calante, dal momento che è oramai proibito in vari paesi del
mondo compresa la Cina, dove sono localizzati la maggior parte dei laboratori clandestini
di sintesi (Sharma et al., 2018).
U-47700 negli ultimi anni è risultato facilmente disponibile a buon prezzo; ha una potenza
intermedia tra morfina e fentanil; è utilizzato dai consumatori a dosi tra i 5 e i 25 mg, con
durata degli effetti di 1-2 ore dopo endovena e più prolungata per altre vie, ed è riportato
come più euforizzante dei fentanili (Solimini et al., 2018). La durata d’azione piuttosto
breve per via endovenosa è causa di intenso stimolo al redosing (Pérez-Mañá et al.,
2018), e siccome l’emivita finale di eliminazione appare prolungata, con accumulo del
farmaco nel fegato e nella bile e ricircolo enteroepatico, ciò può determinare rientro
ritardato dell’effetto oppioide e aumento del rischio di tossicità (Strehmel et al., 2018).
La risposta del mercato al tramonto di U-47700 è la produzione di un gran numero di
analoghi, a volte battezzati con nomi che richiamano il più noto progenitore anche se a
differenza di questo non provengono dai brevetti della casa farmaceutica Upjohn: ad
esempio U-48800) (Sharma et al., 2018) ed U-49900 (Fabregat-Safont et al., 2017), poco
apprezzati dai consumatori per effetti gratificanti meno spiccati ed effetti neurotossici e
irritativi sulle mucose.
AH-7921, brevettato dalla Allen & Hambury, è stato il progenitore chimico di U-47700, ed
ha avuto una certa fortuna nel consumo fuori prescrizione; a differenza degli altri finora
richiamati, è agonista sia sul MOR che sul KOR (recettore oppioide Kappa) con preferenza
per i MOR, ha una potenza simile a quella dell’eroina, lunga emivita di eliminazione, e ne
è riportato l’uso a dosi tra 5 e 25 mg (Solimini et al., 2018).
MT-45, di struttura chimica diversa dalle U-drugs appena viste, è agonista MOR, agonista
parziale DOR (recettore Delta), mentre lega ma è inattivo sui KOR-1 (Baumann et al.,
2018). Viene consumato a dosi da 30 a più di 60 mg, e gli effetti desiderati hanno esordio
lento inducendo al redosing; nonostante sia potente quanto la morfina, è 11 volte più letale
sull’animale, mentre sull’uomo sono stati riscontrati una varietà di effetti indesiderati
insoliti: ototossicità con prolungata perdita dell’udito e tinnito, cataratta, leuconichia striata,
follicoliti e dermatiti con alopecia (Solimini et al., 2018).
TRAMADOLO
Benché meno potente della morfina e considerato un antidolorifico maneggevole,
prescrivibile senza particolari formalismi, è importante in questo contesto perché risulta
uno dei farmaci più consumati fuori prescrizione nel bacino del Mediterraneo, in Medio
Oriente ed in Africa (dove è dato anche al bestiame come adattogeno in condizioni
ambientali sfavorevoli e si riscontra come contaminante del suolo e dei vegetali ivi
coltivati), più recentemente anche in Cina, Ucraina, Irlanda del Nord, e diffuso a prezzi
accessibili, in compresse che raggiungono anche i 225 mg ciascuna (Scheck, 2016). Il suo
consumo fuori prescrizione, riportato dai soggetti intervistati come sedativo, antidolorifico,
stimolante specie in contesti lavorativi pesanti e disumani o in guerra, anestetico emotivo,
o ritardante dell’orgasmo è stato riscontrato anche in Italia sia in immigrati provenienti
dalla zona di diffusione primaria che in soggetti di nazionalità italiana (atti della conferenza
“Il filo rosso del Tramadol”, Reggio Emilia, 31-10-2018,
https://www.facebook.com/events/2223736131235005/permalink/2248790942062857/ ).
La supposta maneggevolezza del tramadolo viene contraddetta nei fatti da una
farmacologia molto particolare (Young & Juurlink, 2013) e nel descriverla seguiremo la
falsariga di un articolo web di David Juurlink (Juurlink, 2018) che della consapevolezza dei
rischi di questo farmaco ha fatto una battaglia personale.
Il meccanismo d’azione del tramadolo è duplice: di per sé il farmaco è un inibitore della
ricaptazione di serotonina e noradrenalina (come l’antidepressivo venlafaxina che ha una
struttura molecolare molto simile) con attività oppioide risibile, ma nell’organismo viene
metabolizzato in O-desmetiltramadolo, che ha una moderata azione agonista sul MOR,
con potenza da un quarto a metà della morfina.
Il metabolismo dipende dal citocromo epatico CYP2D6, che è sotto controllo genetico. In
soggetti metabolizzatori rapidi o ultrarapidi, 1-5% dei cosiddetti caucasici, ma molto di più,
10-16%, dei soggetti dalla penisola araba e dal Corno d’Africa, la conversione nel
metabolita attivo è molto veloce ed il farmaco ha un’azione oppioide più spiccata e
maggior rischio di dipendenza e di overdose. Viceversa, nei metabolizzatori lenti (3-10%
dei caucasici, o in corso di terapia con farmaci che inibiscono il CYP2D6 come alcuni
antidepressivi, gastroprotettori, metadone etc. ), il tramadolo è meno attivo e necessita di
dosi maggiori, che possono in proporzione aumentarne l’attività serotoninergica e
noradrenergica, che non dipende dalla sua biotrasformazione. La differenza nei livelli
ematici del metabolita attivo tra i gruppi estremi è di circa 10-20 volte a distanza di un’ora
e mezza dalla somministrazione endovenosa (Stamer et al., 2007). Il tramadolo ha anche
un’altra via metabolica, dipendente da citocromo CYP3A4 che lo trasforma in N-
desmetiltramadolo che è inattivo.
Questa farmacologia particolare condiziona ciò che ci possiamo aspettare nell’uso
improprio o eccessivo. Non essendo molto potente, l’overdose per quanto conosciuta è
rara (Gioia et al., 2018), mentre è clinicamente importante la sintomatologia astinenziale,
che oltre a riconoscere una genesi oppioide deriva anche dalla sospensione acuta degli
effetti sulle monoamine, come ben noto per la venlafaxina, aggiungendo ulteriori effetti sul
sensorio, la cenestesi ed il tono dell’umore.
Inoltre, l’attività sulla ricaptazione delle monamine è frequentemente causa di episodi
convulsivi, specie in associazione con altri farmaci (es. antidepressivi, antipsicotici) o
droghe (es. amfetaminici) che aumentano il rilascio o riducono di questi neurotrasmettitori
(Boostani & Derakhshan, 2012; Ryan & Isbister, 2015). Sono registrati anche casi di
sindrome serotoninergica quando il tramadolo è associato ad altri antidepressivi
serotoninergici, più frequentemente rispetto ad altri oppioidi (Ansari & Kouti, 2016).
Ancora, il tramadolo, come la venlafaxina, è causa di ipoglicemia, soprattutto in soggetti
già affetti da diabete di tipo 1 (addirittura il 50%) o di tipo 2 (17%), ma anche nel 5% dei
non affetti (Golightly et al., 2017) e ciò può essere ulteriore causa di disturbi somatici e
neuropsichiatrici atipici, incluse convulsioni refrattarie agli anticonvulsivanti, ma sensibili
alla somministrazione di glucosio.
OSSICODONE
Non è propriamente un oppioide sintetico, ma semisintetico perché derivato dalla tebaina
del papavero da oppio. È probabilmente l’oppioide farmaceutico più utilizzato fuori
prescrizione in Nordamerica, con una presenza in Italia che nel tempo sta diventando
preoccupante a giudicare dalle notizie giornalistiche relative a consumo e spaccio, e
dall’esperienza degli ambulatori delle dipendenze.
La farmacodinamica dell’ossicodone non ha peculiarità speciali, trattandosi di un agonista
MOR, con dati contrastanti sull’azione su KOR e DOR, di potenza analgesica doppia della
morfina e simile all’eroina, ma meno incline di quest’ultima a dar luogo ad overdose
(Latimer et al., 2016), e con effetti gratificanti tanto armonici da essere ritenuto tra i
consumatori “la Rolls-Royce degli oppioidi sintetici” (Comer et al., 2008)
Al contrario, la sua farmacocinetica ha caratteristiche particolari che ne plasmano il rischio
di abuso e di effetti indesiderati.
La prima caratteristica interessante è legata alla farmacocinetica di popolazione delle
preparazioni farmaceutiche di ossicodone a rilascio controllato, che sono state
ampiamente diffuse nel mercato prima nordamericano e poi europeo. È noto infatti già da
molti anni (Sunshine et al., 1996) che perlomeno un quarto dei pazienti non ricavano
l’atteso beneficio dalla formulazione a rilascio controllato, sperimentando l’effetto
analgesico loro necessario solo per circa 5-7 ore anziché per le 12 ore pubblicizzate dal
Produttore. Come meglio raccontato dalla storica Vanessa Roghi su questo stesso
numero di MDD, la convenienza commerciale del Produttore a non ammettere questo
problema, spingendo i medici ad affrontarlo innalzando le dosi anziché frazionarle, ha
potenziato i fenomeni di tolleranza e dipendenza e gli eventi di overdose da ossicodone
nel Nordamerica, costituendo uno dei fattori scatenanti dell’odierna epidemia di overdose.
La seconda particolarità farmacocinetica è che l’ossicodone è (anche) un profarmaco,
soggetto a metabolismo da parte dei citocromi epatici e intestinali, in particolare il CYP2D6
che lo trasforma in ossimorfone, più potente, e CYP3A4/5 che invece lo trasforma in
norossicodone, oppioide debole e con scarsa penetrazione entro la barriera
ematoencefalica. L’azione oppioide complessiva quindi dipende dal bilancio tra queste
due vie metaboliche, delle quali in genere quella più importante è quella del CYP3A4/5,
mentre la produzione di ossimorfone da parte del CYP2D6 pesa solo per il 19% della dose
somministrata (Huddart et al., 2018).
Ciò dà luogo ad una variabilità simile a quella precedentemente vista per il tramadolo,
seppure in misura inferiore perché l’ossicodone è già sufficientemente attivo senza che
venga prima metabolizzato.
In soggetti carenti congenitamente di CYP3A4/5 o che assumono farmaci che inibiscono
questi citocromi (es. eritromicina, ketoconazolo, cimetidina, ranitidina e molti altri
compreso il cannabidiolo contenuto nella cannabis) l’azione dell’ossicodone è più intensa
e prolungata in maniera clinicamente significativa (Söderberg Löfdal et al., 2013). Quanto
al CYP2D6, l’attività varia ampiamente secondo il gruppo etnico di appartenenza, come
già discusso sopra per il tramadolo, ed in funzione di eventuali farmaci inibitori co-
somministrati; in questo caso tanto più il 2D6 è attivo, tanto maggiore è l’azione oppioide,
per quanto la rilevanza clinica di questo effetto comunque sia controversa (Söderberg
Löfdal et al., 2013). In alcuni studi comunque è stato riportato che soggetti con scarsa
espressione del CYP2D6 non riescono a trarre sufficiente effetto analgesico dalla
somministrazione di ossicodone (Huddart et al., 2018).
A tutt’oggi, in assenza di studi esaustivi sugli effetti dell’ossicodone nelle varie etnie
diverse da quella caucasica (Huddart et al., 2018) possiamo comunque speculare che in
soggetti che abbiano un’attività del 2D6 particolarmente spiccata (come abbiamo visto
sovente di etnia mediorientale e del Corno d’Africa, parte notevole degli immigrati in Italia)
possano “sentire” di più in acuto l’ossicodone, e che se in aggiunta assumono in acuto
farmaci inibitori del CYP3A4/5 siano ad elevato rischio di effetti indesiderati anche
pericolosi.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
L’uso fuori prescrizione di oppioidi sintetici non è un fenomeno nuovo in Italia, e farmaci
apparentemente banali ma dotati di un’attività oppioide mal compresa, come lo zipeprolo,
o di bassa intensità, come la lefetamina («Zitoxil Respirase» (pseudonimo), 2014) sono
stati in passato protagonisti della scena del consumo giovanile, agendo anche come
gateway drug verso l’eroina.
Oggi gli attori sono diversi, ed è verosimile che nel momento in cui questo articolo viene
ultimato i laboratori di sintesi clandestina stiano mettendo a punto nuove sostanze non
ancora proibite dalle convenzioni internazionali da diffondere sul mercato degli psiconauti
e dei dipendenti da oppioidi, e degli adolescenti in cerca di trasgressione.
Mentre in Italia attendiamo con preoccupazione l’arrivo di questa ondata di succedanei
dell’eroina, più pericolosi dell’eroina, non possiamo limitarci ad un intervento reattivo,
osservazionale, di catalogazione, proibizione e studio clinico a posteriori degli agenti
patogeni via via che arrivano, perché per ovvie ragioni si finisce per agire in ritardo,
quando già i danni sono fatti, un tributo di vite umane è stato già sacrificato, ed il mercato
dei sintetici si è già radicato. Intanto un pessimo segnale è il furto di fentanil in ospedale
(Ravizza & Santucci, 2018) : indica l’esistenza di un mercato, la cui crescita potrebbe
portare a vie di approvvigionamento dirette, via internet e logistica internazionale anziché
piccoli furti, come avviene nei Paesi già colpiti dall’epidemia di overdose.
Un intervento proattivo in senso preventivo deve partire dall’informazione, implementando
fuor di teoria quanto auspicato dai vertici dell’Istituto Superiore di Sanità: “È di importanza
critica informare al meglio la popolazione sull’elevato rischio di overdose presentato dal
consumo di oppioidi sintetici, per prevenire il rischio di far uso di sostanze adulterate o
sostituite da fentanili, e migliorare il monitoraggio e il controllo del fenomeno sempre più
rilevante del loro consumo” (Pichini et al., 2017, adattato in lingua italiana dallo scrivente).
Nella realtà nel nostro Paese invece l’informazione sugli oppioidi sintetici e sulle misure
concrete di riduzione del danno oggi circola (quando circola) soltanto nell’ambito del
rapporto diretto, di persona, tra consumatori e operatori sanitari e di prossimità, perché
non vi è traccia di campagne informative istituzionali sul tema, e il monitoraggio passa solo
dai laboratori forensi dopo decessi e sequestri.
Si attende l’inizio dell’esperimento di analisi sul campo con diagnostici monouso affidati ai
consumatori e a SerD della regione Emilia Romagna, per una stima iniziale dell’eventuale
presenza di fentanili nelle sostanze da strada, e per cominciare a immaginare piani di
intervento che ad oggi da quel che si vede pare non siano ancora di interesse primario per
il nostro Sistema Sanitario Nazionale.
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Figura 1
Didascalia:
Figura 1 - Potenza di alcuni oppioidi sintetici rispetto alla morfina; il tratteggio indica il
range dei dati pubblicati (modificato da Pérez-Mañá et al., 2018)
0,01 0,1 110 100 1000 10000
tramadolo
O-desmetiltramadolo
morfina
AH-7921
eroina
ossicodone
MT-45
butirril-F
U-47700
acetil-F
4-fluorobutirril-F
alfa-metil-F
fentanil (F)
ocfentanil
3-metil-F
sufentanil
beta-OH-3-metil-F
carfentanil
Figura 2
Didascalia:
Figura 2 - struttura chimica del fentanil e sede dei possibili sostituenti (Ellis et al., 2018)
Figura 2 (alternativa, se è possibile ottenere il permesso da Ellis CR, Kruhlak NL, Kim
MT, Hawkins EG, Stavitskaya L. Predicting opioid receptor binding affinity of
pharmacologically unclassified designer substances using molecular docking. PLoS One.
13(5): 1–18, 2018. doi:10.1371/journal.pone.0197734.)
Didascalia:
Figura 2 - alcune tra le principali sostituzioni chimiche del nucleo base del fentanil (Ellis et
al., 2018)