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03,2 I 2018 Archiv für Textmusikforschung
2018 I innsbruck university press, Innsbruck
ATeM I ISSN 1562-6490 I www.atem-journal.com
Nr. 3,2, 2018 I DOI 10.15203/ATeM_2018_2.14 OPEN ACCESS
Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili. Dalla Beat
Revolution alla Bit Generation. Milano: Egea, 2017.
ISBN 978-88-238-2190-3. 144 pagine.
Il volume di Lello Savonardo Pop music, media e culture giovanili. Dalla Beat Revolution alla
Bit Generation si inserisce all’interno del dibattito sulla sociologia della musica e propone
approfondimenti sulla popular music, i media e le culture giovanili soffermandosi, in partico-
lare, sul rapporto tra i diversi linguaggi musicali e lo sviluppo tecnologico. La tesi sostenuta
nel testo è che la musica pop da un lato determina nuove tendenze e dall’altro è a sua volta
influenzata dai fermenti culturali, sociali e di costume della nostra epoca. Essa costituisce la
colonna sonora di intere generazioni di giovani, accompagnando non solo le diverse forme
di intrattenimento ma anche il loro impegno sociale, la necessità di appartenenza e l’esigenza
di riconoscibilità e di protagonismo. La pop music non è statica, ma è in continua evoluzione
e la cultura popular costituisce lo sfondo su cui avvengono tali trasformazioni.
Tuttavia, ciò che sembra interessante rilevare, è che il testo si inserisce anche all’interno
del più ampio dibattito sui mass media, sulle tecnologie digitali, sulla sociologia della cultura
e della comunicazione. Attraverso la musica, infatti, Savonardo legge altri mutamenti sociali
e culturali e altri linguaggi che non sono strettamente quelli della musica, ma che includono
l’arte in senso lato e le diverse forme comunicative della modernità. Non si tratta, dunque, di
un manuale di sociologia della musica, ma di una riflessione che parte dalla popular music per
indagare campi che vanno dalle forme espressive e dai linguaggi giovanili fino all’evoluzione
dei media e delle tecnologie digitali, dalla sociologia della musica alla sociologia dei processi
culturali e comunicativi.
Come lo stesso autore sottolinea nel primo capitolo, la sociologia della musica è una
disciplina relativamente giovane che ha come oggetto d’analisi il complesso rapporto tra i
fenomeni musicali e la realtà sociale. Il capitolo si apre con una citazione di Franco Crespi,
il quale afferma che attraverso la musica si esprimono “sensazioni, emozioni, dimensioni del
desiderio e dell’immaginario individuale e collettivo, rappresentazioni della realtà naturale
e sociale, concezioni del mondo e della vita” (13). Il tema delle emozioni, in particolare,
attraversa tutta la riflessione contenuta all’interno del testo, fino a diventare il concetto
centrale nella postfazione a cura dell’artista Luciano Ligabue.
Senza alcuna pretesa di esaustività, l’autore avvia le proprie riflessioni passando in
rassegna alcune teorie rilevanti sul rapporto tra arte e società, per poi giungere ad introdurre
il lettore al dibattito scientifico sulla disciplina. Uno dei testi più importanti è senza dubbio
Introduzione alla sociologia della musica (1962) di Theodor Adorno, il primo ad aver
tentato di definire il campo della popular music che, secondo le sue teorie, racchiude tutte
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Mirella PAOLILLO Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili
le espressioni musicali destinate a una fruizione di massa, e che il filosofo sottopone a una
severa riflessione critica. Egli, attraverso l’introduzione del concetto di ‘industria culturale’,
afferma che, con la diffusione di massa del consumo di merci culturali, il rapporto tra il
valore d’uso e il valore di scambio del bene che viene acquistato sul mercato subisce una
profonda trasformazione. In particolare, il sociologo tedesco si sofferma sulla popular music
considerandola intrattenimento, svago, ma comunque mercificazione, omologazione,
asservimento al potere economico. Di contro, Walter Benjamin nel suo studio L’opera d’arte
nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936) afferma che “la disponibilità di strumenti
tecnici che permettono di produrre e riprodurre gli oggetti artistici porta finalmente a
compimento il superamento della concezione idealistica dell’arte, ovvero quella concezione
secondo cui l’arte è un’attività sacrale che l’artista, individuo ‘eccezionale’, pratica in piena
solitudine, e l’opera d’arte è un oggetto unico e irripetibile, che trae valore dal suo essere hic
et nunc” (25). Savonardo si sofferma anche su alcuni sociologi contemporanei che hanno
parlato di musica non necessariamente in modo diretto, ma facendo riferimento all’arte
in senso lato. Il pensiero di Pierre Bourdieu, ad esempio, tocca diversi aspetti dell’analisi
sociologica e, attraverso la sua opera La distinzione. Critica sociale del gusto (1979), propone
gli strumenti per comprendere le relazioni esistenti tra l’appartenenza sociale, gli stili di vita,
i gusti e i consumi musicali e artistici. Anche Howard S. Becker affronta il tema relativo
al rapporto tra società e forme di produzione e fruizione musicali. Egli chiama le culture
urbane ‘mondi dell’arte’ (art worlds) o ‘mondi culturali’ – siano esse etichettate come cultura
alta o popolare – e distingue diversi mondi artistici, che possono essere considerati come
sistemi sottoculturali, aventi ciascuno una propria fisionomia.
Nonostante il largo inquadramento teorico proposto all’interno del primo capitolo, in
un testo del genere ci si potrebbe anche aspettare un maggiore spazio dedicato alla rassegna
dei classici della sociologia della musica che però l’autore ha già trattato approfonditamente
in un precedente volume, pubblicato nel 2010, Sociologia della musica. La costruzione sociale
del suono dalle tribù al digitale.
Il cuore di questo volume è senza dubbio la riflessione sulla popular music e sulla canzone
d’autore, in relazione alle connessioni con i media, le tecnologie della comunicazione,
le realtà urbane e l’universo giovanile. Nel secondo capitolo, infatti, Savonardo affronta
l’argomento sottolineando che le definizioni di musica ‘leggera’, ‘rock’, ‘popular’, ‘pop’ sono
molteplici.
Tale riflessione si riferisce a un tipo di musica che ha uno strettissimo rapporto con i
mass media, con il consumo culturale e con l’universo giovanile: la cosiddetta musica
‘leggera’, d’intrattenimento e di consumo, intesa e fruita come svago e divertimento
e che, solitamente, non rientra nell’ambito della musica classica, ‘impegnata’, ‘colta’
o ‘seria’. È questo il significato generalmente attribuito al pop che include non solo
il rock ma anche molti altri generi musicali come, per esempio, il soul, il reggae, il
country, il punk, il rap. (53)
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Mirella PAOLILLO Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili
In particolare l’autore, inserendosi all’interno del dibattito recente, sposa la teoria di Gianni
Sibilla che opera una distinzione tra popular music e pop music sottolineando che il termine
‘popular’ si lega al folk, che indica le canzoni contadine, nazionali e tradizionali, mentre il
pop nasce negli anni Cinquanta con la musica giovanile operata dal rock ‘n’ roll. Anche Chiara
Santoianni definisce la pop music come la “musica dei mass media” (54), mettendo in luce
gli strettissimi rapporti tra la popular music e i mezzi di comunicazione di massa. La stessa
Santoianni sottolinea, inoltre, come la musica pop sia, soprattutto, la “musica dei giovani”
(54), esprimendo i linguaggi, i movimenti e le culture giovanili. Savonardo, dunque, intende
la popular music come un campo aperto di analisi e di riflessioni, talvolta contrastanti, che
caratterizzano l’attuale dibattito scientifico, a partire dalle diverse prospettive storiche,
musicali e socioeconomiche. L’autore si sofferma, infatti, sul pensiero di Richard Middleton
il quale più che definire i caratteri della popular music ne definisce il processo, considerandola
un terreno fertile su cui avvengono le trasformazioni.
L’argomentazione dell’autore prosegue sottolineando quanto l’industria culturale e i mass
media abbiano un ruolo determinante nei processi di produzione e di fruizione musicale,
oltre che nella predeterminazione delle forme di ascolto e di consumo. Riferendosi alla
cultura di massa e citando Iain Chambers, Savonardo parla di una “cultura di plastica” che
plasma i prodotti, gli oggetti e la cultura stessa: la plastica si adegua, forma e prende forma.
Con l’avvento dei mass media la musica ha trovato la sua fonte espressiva più esplosiva e
dirompente. L’autore, in particolare, considera la radio come “il più consolidato canale di
diffusione della musica. È stato il primo mezzo di comunicazione a diffondere su larga scala
prodotti sonori, contribuendo in maniera decisiva a definirne le forme di produzione e di
con-sumo, e favorendo lo sviluppo della musica pop come fenomeno di massa” (66).
Con il terzo capitolo la riflessione si sposta sulle tecnologie digitali e su quanto i new
media abbiano modificato le forme espressive e creative anche nella musica. Se i mezzi di
comunicazione di massa hanno ridefinito i confini del rapporto tra sfera pubblica e privata –
determinando, al tempo stesso, processi di omologazione e di differenziazione – le tecnologie
digitali della musica hanno moltiplicato i momenti di aggregazione e socializzazione collettiva.
Negli ultimi decenni i media digitali hanno generato processi creativi e forme espressive che
hanno portato a cambiamenti rilevanti anche nella produzione e nella fruizione dell’arte
e della cultura. Non a caso, sottolinea Savonardo, i prodotti musicali sono tra i principali
motori della condivisione digitale. A tal proposito, l’autore attinge a piene mani dalle teorie
sui processi culturali e comunicativi richiamando la letteratura di riferimento sui media
studies. Si sofferma, infatti, sulle teorie di Henry Jenkins, secondo cui la cultura convergente
favorisce la “narrazione transmediale” (103) – una nuova forma narrativa che, attraverso
l’uso di diversi tipi di media e piattaforme mediali, contribuisce a perfezionare e integrare
l’esperienza dell’utente – e di Lev Manovich, che nel volume Software culture (2008)
sottolinea come la cultura contemporanea si esprima sempre di più attraverso programmi
digitali che ci consentono di creare, riprodurre e ridefinire gli stessi oggetti culturali con i
quali interagiamo, che ci appartengono, che condividiamo ed ereditiamo (113). Uno dei
punti di riferimento intellettuali dell’autore è senza dubbio Derrick de Kerckhove, allievo di
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Mirella PAOLILLO Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili
McLuhan e considerato tra i principali studiosi delle connessioni tra le tecnologie e la mente
umana. In particolare, Savonardo utilizza i concetti di ‘sensorialità terziaria’, ‘psico-tecnologia’
e ‘pensiero connettivo’ dello studioso canadese per fare riferimento alla condivisione e allo
scambio di conoscenza determinati dal reciproco contatto tra i diversi individui connessi alla
Rete e per sottolineare che “la connessione tra i pensieri e tra le forme cognitive di diversi
individui rappresenta uno degli elementi più significativi che caratterizzano la diffusione
delle nuove tecnologie” (117).
Il dettagliato approfondimento sulle evoluzioni tecnologiche e sociali oggetto di questo
capitolo, mostra l’intenzione dell’autore di trattare la musica in questo testo come un punto
di osservazione dei mutamenti, dei cambiamenti, delle trasformazioni. La vera essenza di
questo volume sta nel fatto che la musica viene utilizzata come un escamotage narrativo,
un pretesto per parlare di contaminazioni culturali, di innovazione, di arte e creatività, di
giovani e nuovi linguaggi. Così, anche la riflessione sulla musica non può non prendere
corpo richiamando i mutamenti delle tecnologie digitali che stanno caratterizzando il terzo
millennio e di cui si nutrono le nuove generazioni.
Come afferma Antonio de Lillo, a partire dal 1970 nasce un filone di studi sociologici
sui fenomeni giovanili. I giovani, considerati da sempre componente marginale della società,
diventano i principali attori del cambiamento. Tale contesto storico, afferma Savonardo nel
quarto capitolo, favorisce l’emergere di una vera e propria cultura giovanile che, con il tem-
po e le costanti trasformazioni sociali, dà luogo a ‘subculture’ ben definite e diverse tra loro.
Tali subculture, sempre più immerse nei ritmi urbani e nei paesaggi sonori della
postmodernità, esprimono fin dagli anni Cinquanta, ovvero dalla Beat Revolution
all’emergere della Bit Generation, i linguaggi e le tendenze giovanili, ma anche
la frammentarietà, l’incertezza e la crescente crisi dei punti di riferimento che
caratterizzano la società contemporanea. (134)
Secondo l’autore i giovani sono portatori di valori, tendenze e stili di vita inediti, combinan-
do insieme elementi della tradizione culturale cui appartengono con forme di innovazione
che mettono in crisi gli schemi precostituiti. Anche in questo capitolo vengono esposte le
principali teorie sociologiche sulle culture giovanili, a partire dalla prospettiva dei cultural
studies, di cui il più noto esponente rispetto a questo filone di studi è Dick Hebdige, autore
del testo Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale (1979). L’idea di fondo di Hebdige è
che i valori caratteristici di un determinato sottogruppo siano il riflesso di quelli espressi da
uno specifico sottogenere della musica pop: ascoltare un certo tipo di musica, in determinati
luoghi, rappresenta un modo di affermare la propria identità. I linguaggi musicali rappre-
sentano la principale modalità attraverso cui si esprimono le nuove generazioni, da sempre
caratterizzate da un vago senso di ‘indefinitezza’ nella percezione della propria identità e
della propria collocazione sociale. A tal proposito, Savonardo chiarisce la distinzione tra la
Beat Generation, un movimento nato tra gli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati Uniti che
ha contribuito a “determinare forme espressive, culturali, sociali e politiche caratterizzanti
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Mirella PAOLILLO Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili
l’universo giovanile di quegli anni, influenzando in modo significativo le generazioni suc-
cessive e il dibattito sociologico sui giovani” (150), e la Bit Generation, che l’autore definisce
come “quel mondo giovanile che si nutre e si esprime tendenzialmente attraverso la ‘software
culture’, immerso nella ‘sensorialità terziaria’ e in quel ‘pensiero connettivo’ e ipertestuale
che caratterizza l’esperienza digitale” (149). Il capitolo, dunque, non si sofferma solo sulle
teorie delle culture giovanili, ma anche sull’analisi di alcune forme espressive recenti, come il
rap, che caratterizzano il mutamento culturale, artistico, tecnologico e musicale, di cui la Bit
Generation si nutre, in quanto generazione figlia dei media digitali. I giovani si esprimono
attraverso la musica e la musica diventa un centro preminente delle loro attività.
Ai fini di una comprensione più profonda del volume, va sottolineato che questo non va
inteso come il frutto di un puro esercizio teorico dell’autore, ma – come si legge sin dalle
prime pagine – si tratta del risultato di anni di attività scientifiche, di studi, di ricerca, di
confronti con artisti, di seminari e convegni sui linguaggi musicali, le culture giovanili, le
tecnologie digitali e la sociologia della musica. È il manifesto di un movimento che nasce a
Napoli, anche attorno alle attività dell’Osservatorio Territoriale Giovani dell’Università degli
Studi di Napoli Federico II1, che ha l’obiettivo ambizioso e lungimirante di costituire una
scuola sulle culture giovanili e i processi comunicativi.
La riflessione che conclude il libro riguarda in realtà l’apertura di nuovi interrogativi
sul ruolo sociale che svolgono gli artisti nell’ambito della pop music. In particolare l’autore,
utilizzando le categorie concettuali espresse da Pierre Bourdieu, si concentra sul crescente
potere simbolico e culturale delle popstar nella società contemporanea. Da sempre punti di
riferimento dei giovani, che si riconoscono nella loro musica e nei loro testi, le tradizionali
popstar e i nuovi “poeti urbani” assumono un ruolo sociale e politico (148). Nel 1963 Albe-
roni scrisse L’élite senza potere, in cui sosteneva che i divi, le star, costituiscono un’élite che,
pur non avendo un potere formale, ha un grandissimo peso sulla morale e sul costume, per
cui esistono due élite del potere: quella politica e quella dello spettacolo. Savonardo si spinge
ancora oltre, affermando che il potere simbolico della rockstar rappresenta la cultura che
diviene politica. Nelle società contemporanee, infatti, questo potere è strettamente legato
al ruolo dei media che contribuiscono ad amplificare e diffondere le produzioni artistiche
e culturali, potenziando la capacità di persuasione e di seduzione degli artisti stessi. Popstar
che si fanno veicoli di messaggi sociali, di campagne di sensibilizzazione, di proteste collet-
tive. Come sottolinea Savonardo:
Sin dalla seconda metà del secolo scorso, i concerti di musica pop hanno rappresentato,
sempre di più, veri e propri rituali collettivi a carattere internazionale (dalle prime
esibizioni di Elvis o dei Beatles ai più recenti fenomeni di divismo espressi da Madonna,
Michael Jackson o Lady Gaga) e le diverse espressioni musicali hanno spesso assunto
valori politici e sociali ispirati a una nuova solidarietà. Si pensi, in tal senso, ai concerti
a favore dei paesi in via di sviluppo, come il Live Aid del 1985, promosso dall’artista
Bob Geldof, o a quelli per la salvaguardia dell’ambiente, come il Live Heart del 2007,
ideato da Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti, o alle diverse forme di solidarietà
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Mirella PAOLILLO Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili
del mondo della musica a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali, solo per
fare alcuni esempi. (161-162)
Una riflessione a tutto campo sul potere simbolico dell’artista nella società contempo-
ranea, da “Cantautore” di Edoardo Bennato, brano che parla del profeta che diviene ri-
ferimento, al concept album The Wall, opera del ’79 dei Pink Floyd, divenuta poi un
film nel 1981, che racconta provocatoriamente la rockstar come un potenziale ‘dittatore’,
sottolineandone il potere sempre più forte e capace di guidare e orientare le masse, in un
contesto in cui la società del consumo e della comunicazione e lo star system seguono le
logiche del mercato, spingendo l’artista a fare altrettanto. Un’idea che richiama i processi
di omologazione e di standardizzazione e le teorie adorniane sulla popular music e l’indu-
stria culturale.
Ed è proprio la riflessione di una rockstar a chiudere il volume, firmando una postfazione
che – come dicevamo in apertura – ritorna al tema delle emozioni che parte dall’inizio del
testo. È un percorso nell’universo musicale e giovanile che termina con ‘il tempo dell’emo-
zione’:
Un tempo che matura in modo diverso a seconda delle tappe personali di vita
dell’autore. Un tempo che non è mai possibile provocare o indurre. Ma la curiosità,
l’indignazione, la propria vulnerabilità o fragilità, l’entusiasmo di una fase della vita
possono sicuramente favorirlo. Molti autori sostengono che scrivere tutti i giorni
provochi l’arrivo di quel tempo. Personalmente mi è capitato di utilizzare quel metodo.
(168)
Ligabue è uno degli artisti italiani di maggior successo ed è stato a lungo detentore del record
europeo di spettatori paganti per un concerto di un singolo artista. In queste ultime pagine,
la rockstar emiliana racconta, dal suo punto di vista di artista, come le emozioni nutrono le
canzoni, ma anche quanto esse abbiano un valore sociologicamente rilevante. La musica è
democratica, è libera, inafferrabile, non conosce barriere, “Talmente potente da non curarsi
di nessun tipo di distinzione sociale, etnica, anagrafica, religiosa o di sesso. Per lei tutte le
orecchie sono buone” (170). La canzone, aggiunge il cantautore, è “emozione in movimen-
to”, è un lavoro artigianale unico e irripetibile, una magia che si compie a metà strada tra la
voce di chi la canta e l’orecchio di chi l’ascolta (170).
In conclusione, il testo di Lello Savonardo può essere considerato come una riflessione a
tutto tondo intorno ai mutamenti sociali, culturali e tecnologici attraverso uno dei possibili
punti di vista, quello della musica. Si tratta di una sociologia moderna, di un approccio
nuovo che utilizza la sociologia della musica per leggere la contaminazione, il progresso, l’in-
novazione. L’approccio di Savonardo, quasi da outsider – anche a partire dalle sue ricerche
e i suoi studi – sembra rompere gli schemi di un’accademia che è troppo spesso vincolata
da logiche tradizionali, aprendo alla musica e alle culture giovanili, perché inevitabilmente,
come direbbe Chambers, è nei linguaggi musicali giovanili che si rintraccia la modernità. In
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Mirella PAOLILLO Lello Savonardo: Pop music, media e culture giovanili
uno scenario in cui gli studi sociali ed umanistici sembrano essere autoreferenziali e molto
spesso etnocentrici, una sociologia ‘on the road’, fuori dagli schemi tradizionali, potrebbe
cogliere in profondità i segnali della tarda modernità.
Mirella PAOLILLO (Napoli)
Nota
1 L’Osservatorio Territoriale Giovani (OTG), promosso dal Dipartimento di Scienze Sociali
dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e dal Comune di Napoli, e di cui Lello Savonardo
è Coordinatore scientifico, dal 2003 si propone come osservatorio permanente sulla condizione
giovanile a Napoli e provincia.
Bibliografia
Adorno, Theodor W.: Introduzione alla sociologia della musica. Trad. G. Manzoni e C. Vitali. Torino:
Einaudi, 2002.
Alberoni, Francesco: L’élite senza potere: ricerca sociologica sul divismo. Milano: Società editrice Vita
e pensiero, 1963.
Benjamin, Walter: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Trad. E. Filippini. Torino:
Einaudi, 2000.
Bourdieu, Pierre: La distinzione. Critica sociale del gusto. Ed. M. Santoro. Trad. G. Viale. Bologna:
il Mulino, 2001.
Hebdige, Dick: Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. Trad. P. L. Lazzi. Genova: Costa &
Nolan, 1983.
Manovich, Lev: Software culture: Società, informazione e conoscenza nell’era del software diffuso. Ed. e
trad. M. Tarantino. Milano: Olivares, 2010.
Savonardo Lello: Sociologia della Musica. La costruzione sociale del suono dalle tribù al digitale.
Torino: Utet, 2010.