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il Mulino 4/2014
Abdel Fattah al-Sisi, il nuovo pre-
sidente egiziano, è stato eletto
con il 97% dei suffragi. Il nasse-
rista Hamdin Sabbahi, unico can-
didato ammesso al voto insieme
all’exgenerale, si è fermato al 2%.
Secondo i dati ufficiali, tra il 26 e
il 27 maggio scorsi solo il 47% de-
gli egiziani si era recato alle urne;
per la bassa affluenza registratasi
il voto è stato allora esteso dal-
la Commissione elettorale per un
terzo giorno, il 28 maggio.
La campagna elettorale per le
presidenziali è stata segnata dalla
repressione dei movimenti islami-
sti. Il tribunale penale di Minya,
città dell’Alto Egitto, ha disposto
la pena di morte, confermata in
appello, per oltre 200 sostenito-
ri della Fratellanza. Le condanne
sono state emesse nell’ambito
del processo che vede imputati
1.200 affiliati al movimento per
gli scontri che hanno avuto luo-
go nella città dopo il massacro
di Rabaa al Adaweya: il sit-in dei
pro Morsi disperso da polizia e
militari dopo il colpo di Stato del
3 luglio 2013. Sono stati condan-
nati a morte anche i leader della
Fratellanza, tra cui la Guida su-
prema, Mohammed Badie.
Giuseppe Acconcia
L’Egitto di al-Sisi
Per la confraternita si apre la stra-
da della completa esclusione po-
litica. Il movimento è stato dichia-
rato gruppo «terroristico» dopo
l’attentato alla stazione di polizia
nella città di Mansura, lo scorso
24 dicembre. L’esclusione politica
e delle attività sociali del movi-
mento, per la prima volta nella
storia egiziana, trasformerebbe
l’accordo tra esercito e giudici in
una sorta di alleanza tra «moder-
nizzatori» per bandire un movi-
mento definito come «anti-moder-
no». È possibile però che,
considerando la bassa affluenza
alle urne alle presidenziali, l’eser-
cito opti per una semiesclusione
della Fratellanza: la totale estro-
missione dalla sfera politica ma
una parziale tolleranza delle sue
attività civili. D’altra parte, sebbe-
ne non ci siano segni in questo
senso, ma dopo l’acrimonia con
cui sono stati trattati gli islamisti,
potrebbe aprirsi una stagione di
semi-esclusione del movimento,
con una parziale partecipazione
politica. Si riprodurrebbe così lo
schema dell’expresidente Hosni
Mubarak, che costringeva gli isla-
misti alla semi-clandestinità per-
mettendo loro di partecipare alle
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Giuseppe Acconcia
elezioni come indipendenti. Infi-
ne, sebbene la Costituzione volu-
ta dai militari lo vieti, si potrebbe
profilare anche l’inclusione del
movimento nel frammentato si-
stema politico egiziano, con un
sostegno informale degli islamisti
a candidati laici in vista delle par-
lamentari del prossimo autunno.
Non è chiaro fino a che punto,
però, l’esercito vorrà arrivare nel-
la repressione delle attività carita-
tevoli del movimento. Ma i segnali
non sono incoraggianti. I dirigen-
ti di molte scuole vicine alla Fra-
tellanza sono sotto controllo. La
Commissione parlamentare, inca-
ricata di congelare i beni del mo-
vimento, ha sequestrato i fondi
di cinque Ong affiliate. Lo scorso
marzo, il comitato ha deciso il tra-
sferimento del management di 22
Ong (da agosto in tutto sono ol-
tre mille) del movimento metten-
dole sotto il diretto controllo del
governo. Nel gennaio 2014, i beni
di 710 esponenti della Fratellanza
sono stati congelati, incluse auto-
vetture, proprietà terriere e azien-
de compartecipate. Infine, decine
di scuole del movimento sono
state sequestrate o chiuse.
Gli islamisti hanno dimostrato di
non agire in discontinuità con
il precedente regime nell’anno
(2012-2013) in cui sono stati al
governo. La trentennale opposi-
zione a Mubarak ha logorato il
movimento, che non ha saputo
intaccare il potere dell’esercito,
della classe dirigente del Partito
nazionale democratico e del mi-
Per la Fratellanza
musulmana si apre la
strada della completa
esclusione politica
nistero dell’Interno. La macchina
dello Stato non rispondeva agli
ordini dell’expresidente Moham-
med Morsi, mentre c’erano se-
gnali di cooptazione di uomini
del vecchio regime, per esempio
all’interno dei sindacati. I Fratelli
musulmani operavano seguendo
le stesse logi-
che di Muba-
rak. «Non si può
controllare lo
Stato senza po-
liziotti e giudici»,
ci ha spiegato
l’ex candidato alle presidenzia-
li del 2012, l’islamista moderato
Moneim Abul Fotuh, leader del
movimento Egitto Forte. «Morsi
avrebbe dovuto dire pubblica-
mente di essere diventato presi-
dente ma di non avere il controllo
di nulla. Fino all’ultimo momento
credeva che l’esercito fosse con
lui, invece si sbagliava. In ogni
conferenza nelle università fuo-
ri dal Cairo chiedevo ai giovani
cosa pensassero del governo.
Tutti volevano elezioni anticipa-
te. Se Morsi non avesse accettato
elezioni anticipate, avremmo ini-
ziato azioni di disobbedienza ci-
vile, ma abbiamo sempre rifiutato
ogni interferenza dell’esercito»,
ha concluso Fotuh.
Con la deposizione di Morsi, l’e-
lezione di al-Sisi ha rinnovato la
commistione tra élite politica e
militare. «È l’ultima volta che mi
vedrete con questa uniforme»,
aveva detto al-Sisi dagli schermi
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L’Egitto di al-Sisi
della televisione pubblica all’an-
nuncio della sua candidatura nel
marzo scorso. Il passaggio dall’u-
niforme alla giacca e cravatta,
come fu per Gamal Abdel Nasser,
Anwar al Sadat e Hosni Mubarak,
si è così compiuto. Le dimissioni
di al-Sisi da ministro della Difesa
sono state poi essenziali per man-
tenere viva l’ambigua relazione
tra élite militare e politica che do-
mina l’Egitto dalla rivoluzione del
1952.
In seguito al movimento sociale
di piazza Tahrir del gennaio 2011,
l’esercito ha agito con molta cau-
tela per riprodurre il consueto
rapporto tra élite politica e mili-
tare. È intervenuto sul potenzia-
le rivoluzionario dei movimenti
di piazza. L’in-
contro in piaz-
za Tahrir tra gli
organizzatissimi
Fratelli musul-
mani e i giovani
rivoluzionari ha immediatamente
disattivato il potenziale del movi-
mento.
In un secondo momento, gli isla-
misti sono stati usati dall’élite mi-
litare per dimostrare al popolo
egiziano che solo l’esercito è in
grado di guidare il Paese. E così le
forze armate hanno di nuovo az-
zerato la distinzione tra politici e
militari intervenendo direttamen-
te per rimuovere l’expresidente.
Da quel momento, i militari han-
no imposto un controllo scientifi-
co sulla società egiziana: facendo
ciò che la Fratellanza si era dimo-
L’elezione di al-Sisi ha
rinnovato la commistione
tra élite politiche e militari
strata incapace di fare (coprifuo-
co, controllo della polizia, leggi
anti-proteste, leggi anti-terrori-
smo). Il potenziale rivoluzionario
dei movimenti di piazza è stato
così completamente azzerato. Se
il passaggio dall’élite politica a
quella militare è stato impercetti-
bile per gli egiziani nelle tre pre-
sidenze precedenti, tanto che po-
chi associano all’esercito Nasser,
al Sadat e Mubarak, questa volta
il passaggio dall’uniforme da ge-
nerale agli abiti civili da presiden-
te è avvenuto dopo un anno di
governo islamista.
Quando al-Sisi ha formalizzato
la sua candidatura, i militari han-
no bocciato l’altro uomo forte,
ex capo dello staff dell’esercito,
Sami Annan, che non è sceso in
campo dopo aver subito minac-
ce. A quel punto il generale Sedki
Sobhi, amico di al-Sisi, duro op-
positore dei movimenti operai,
ha preso il suo posto al ministero
della Difesa. Questo incarico ha
acquisito un potere sostanziale
dopo l’approvazione della Costi-
tuzione, entrata in vigore dopo il
referendum del 14 gennaio 2014,
anche in quel caso con una bassa
affluenza.
In campagna elettorale al-Sisi ha
puntato sull’esclusione dalla sce-
na politica della Fratellanza. «L’E-
gitto è ora uno Stato militare con
una facciata civile. Con la nuova
Costituzione i militari godono di
totale autonomia e nessuno può
fermarli», ci ha spiegato il costitu-
zionalista Zaid Al Ali, dell’Istituto
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internazionale per la democrazia
e l’assistenza elettorale (Idea). «Se
la Costituzione dei Fratelli musul-
mani limitava i processi militari ai
civili alle circostanze previste dal-
la legge, ora i crimini per i quali
un civile può essere riferito a una
corte militare sono talmente tanti
che basta partecipare a uno scio-
pero o a una manifestazione», ha
continuato Zaid.
Il principale strumento di con-
trollo di lungo termine, adope-
rato dallo Stato per disattivare
le contestazioni, è la legge anti-
proteste, approvata nel novembre
2013. Le principali Ong indipen-
denti, il centro Nadeem e l’Inizia-
tiva egiziana per i diritti persona-
li hanno condannato l’aumento
senza precedenti del numero di
persone sparite e torturate in car-
cere, con il pretesto delle leggi
anti-proteste e anti-terrorismo.
Molti detenuti sono stati arresta-
ti senza accuse e senza che, per
mesi, venisse notificato ai familia-
ri il luogo della detenzione. Se-
condo il sito indipendenteMada
Masr, sono 41mila le persone
arrestate dal giorno del colpo di
Stato militare del 3 luglio scorso,
tra cui 926 minori, 4.768 studenti
e 166 giornalisti. Al contempo, le
indagini sulle violenze di Rabaa
al Adaweya sono state costante-
mente inquinate. Sono poi oltre
2.000 le persone scomparse il 14
agosto scorso, tra i partecipanti ai
sit-in al Cairo.
«La legge anti-proteste è incostitu-
zionale. Le autorità impediscono
le manifestazioni dei movimen-
ti laici e questo non ha nulla a
che vedere con le proteste degli
islamisti per cui sono previsti li-
miti nella Costituzione [voluta dai
militari e approvata nel gennaio
2014, N.d.A.], per disposizioni
anti-terrorismo. Gli arrestati non
sono né terroristi né islamisti»,
ha spiegato il noto blogger Wael
Abbas. Secondo Abbas, i permes-
si per organizzare manifestazioni
vengono costantemente negati: è
successo a decine di proteste vo-
lute dai lavoratori. «Non esisteva
una legge così restrittiva in pre-
cedenza, se la polizia vuole attac-
care dei manifestanti inermi può
farlo per legge. Per esempio le
forze di sicurezza entrano delibe-
ratamente nelle università, sebbe-
ne questo sia vietato dalla Costi-
tuzione», prosegue Abbas.
Con l’avvio della roadmap, scat-
tata dopo la deposizione
dell’ex presidente Mohammed
Morsi, i governi ad interim di Ha-
zem Beblawi prima e Ibrahim
Mahleb poi si sono presentati
come esecutivi socialdemocratici.
Non solo, la stampa ha definito
«candidato di sinistra» l’unico riva-
le di al-Sisi, il nasserista Hamdin
Sabbahi. Questo tentativo di con-
trapporre programmi definiti di
«sinistra» alle politiche neoliberi-
ste, promosse dai Fratelli musul-
mani, è contraddetto sia dalle
scelte in politica economica degli
esecutivi ad interim sia dalla for-
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L’Egitto di al-Sisi
mazione «riformista» dell’unico
candidato delle opposizioni. Non
solo, l’uso strumentale dell’eti-
chetta di «sinistra» nasconde an-
che l’estrema frammentazione dei
movimenti progressisti egiziani in
vista del voto.
Per il boicottaggio delle presiden-
ziali si sono espressi Egitto Forte,
guidato dall’islamista moderato
Moneim Abul Fotuh, vicino ai
giovani islamisti della Corrente
egiziana (Tyar Masry). Pur criti-
cando duramente l’intervento dei
militari in politica, il movimento,
che si definisce di «centrosinistra»,
ha preferito op-
tare per la ricer-
ca politica piut-
tosto che per un
diretto impegno
elettorale. Nella
campagna per
il referendum costituzionale del
14 gennaio 2014, tre sostenitori
di Egitto Forte sono stati arrestati
e condannati dai due ai tre anni
per aver promosso assembramen-
ti, fuori dai seggi elettorali, per il
«no» alla Costituzione. Non han-
no appoggiato né il sindacalista
Sabbahi né l’ex generale al-Sisi
neppure i comunisti di Khaled
Ali. L’excandidato alle presiden-
ziali del 2012 e potenziale rivale
di al-Sisi nella tornata del 2014,
prima del suo ritiro, annunciato
nel marzo scorso, definì il voto in
Egitto una «farsa».
A sostenere Hamdin Sabbahi, si
annoveravano invece tre partiti
della frammentata «sinistra» egi-
L’estrema frammentazione
dei movimenti progressisti
in occasione delle
presidenziali
ziana. Prima di tutto, Corrente
popolare, movimento nato a so-
stegno della candidatura di Sab-
bahi alle presidenziali del giugno
2012, quando ottenne a sorpresa
il terzo posto dopo l’islamista Mo-
hammed Morsi e il nazionalista
Ahmed Shafiq. Pur opponendosi
a un ritorno in politica dei Fra-
telli musulmani, il partito – parte
del Fronte di salvezza nazionale,
maggior gruppo di opposizione
laico, socialista e liberale, sfal-
datosi dopo il referendum costi-
tuzionale del gennaio 2014 – ha
promesso la cancellazione della
legge anti-proteste che ha messo
alla sbarra i più noti attivisti dei
movimenti giovanili, e, in caso di
vittoria, uno «Stato più progressi-
sta». Con Sabbahi, si è schierato
anche il partito dell’Alleanza so-
cialista popolare (Tahluf shaabi
al-Ishtiraki) di Abdel Gaffar Chok-
ry, che, pur criticando il massacro
di Rabaa al Adaweya dell’agosto
2013, si è opposto alle scelte
dell’ex presidente Morsi. Anche
il partito dei Socialisti rivoluzio-
nari, guidato da Hossam el Ha-
malawy, si è espresso a sorpresa
per il voto al candidato nasserista.
In un documento, il movimento
vicino ai lavoratori, pur ammet-
tendo la formazione «riformista»
dell’unico rivale di al-Sisi, ha an-
nunciato che punterà su un voto
di «protesta» piuttosto che dare il
via libera al leader della «contro-
rivoluzione». Il movimento ha
solidarizzato con la Fratellan-
za dopo il massacro di Rabaa al
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Giuseppe Acconcia
Adaweya dell’agosto scorso, stig-
matizzando l’uso eccessivo della
violenza da parte dei militari.
Ad appoggiare invece l’ex mini-
stro della Difesa egiziana, tra i
movimenti percepiti come pro-
gressisti, insieme ai salafiti del
partito al Nour, all’exdiplomatico
Amr Moussa e ai liberali di Wafd
e Egiziani liberi del magnate Na-
guib Sawiris, ci sarà un partito
storico della «sinistra», cooptato
dal regime di Gamal Abdel Nas-
ser prima e Hosni Mubarak poi:
l’Unione progressista (Tagammu).
Infine, sebbene il partito social-
democratico egiziano (Esdp), che
vanta tra le sue fila l’expremier
Beblawi, si sia espresso per il boi-
cottaggio del voto, 31 alti espo-
nenti sono fuoriusciti dal gruppo
per entrare tra le fila del movi-
mento di Sawiris e sostenere la
candidatura di al-Sisi.
Caroselli e assembramenti han-
no accompagnato la chiusura dei
seggi e la diffusione dei risultati
definitivi. In assenza della capil-
lare rete di supervisione del voto,
disposta alle precedenti elezio-
ni dalla Fratellanza, è stato però
ampiamente contestato il dato
sull’affluenza al voto. Secondo
il Centro studi di opinione (Ta-
kamol Masr), l’affluenza sarebbe
stata molto più bassa dei dati uf-
ficiali. Le cronache di alcuni quo-
tidiani indipendenti locali hanno
parlato di seggi vuoti. Secondo
la campagna a sostegno di Sab-
bahi, meno del 25% degli aventi
Ridotto drasticamente
lo spazio per il dissenso,
i movimenti giovanili
attraversano una fase
critica
diritto si sarebbe recato a votare.
Anche il dato ufficiale del 47% è
al di sotto delle aspettative. Alla
vigilia delle elezioni, al-Sisi ave-
va assicurato che oltre 40 milioni
di egiziani si sarebbero recati alle
urne. Alle presidenziali del 2012,
le più plurali insieme alle parla-
mentari dell’anno precedente, si
recò nei seggi il 52% degli aven-
ti diritto. Al primo turno, in un
Paese estremamente frammen-
tato, l’ex presidente Mohammed
Morsi ottenne il
24% dei voti. Da
quel momento,
il discorso poli-
tico in Egitto si
è polarizzato tra
islamisti mode-
rati ed esercito.
E così ai due re-
ferendum costituzionali del 2012
e del 2014 si sono recati alle urne
poco più di un terzo degli eletto-
ri, motivati dal sostegno alla Fra-
tellanza, nel primo caso, e all’e-
sercito e al vecchio regime, nel
secondo.
Le migliaia di Fratelli musulma-
ni in carcere hanno avviato uno
sciopero della fame a oltranza il
giorno dell’annuncio ufficiale dei
risultati. Non solo, con il giura-
mento di al-Sisi, i movimenti gio-
vanili, che costrinsero Mubarak
alle dimissioni nel 2011, stanno
attraversando una fase critica. Lo
spazio per il dissenso si è ridotto
drasticamente. All’unica manife-
stazione degli ultimi mesi, per la
liberazione dell’attivista socialista
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L’Egitto di al-Sisi
Mahiennur el Masry, condanna-
ta a due anni per aver violato la
legge anti-proteste, alle porte del
sindacato dei giornalisti al Cairo,
hanno preso parte poche centi-
naia di persone.
Il 25 gennaio 2011 Tahrir è di-
ventata il simbolo delle conte-
stazioni perché ha unito giovani,
ultras, venditori ambulanti, don-
ne, migranti, poveri e attivisti, che
hanno formato la loro identità
anti-regime occupando lo spazio
pubblico. La più grande piazza
della città è diventata un labora-
torio unico di «politica di strada».
Gli emarginati hanno tentato di
riappropriarsi dello spazio pub-
blico e dei palazzi delle istituzio-
ni: le più imponenti manifestazio-
ni hanno avuto luogo intorno al
Parlamento (Moghles Shaab), alla
sede del governo (Qasr Al-Ai-
ni), al ministero dell’Interno (via
Sheykh Rihan) e per le strade li-
mitrofe a vari ministeri. In seguito
alle rivolte anti-Mubarak, lo spa-
zio pubblico è stato frammentato
dalle forze di sicurezza proprio
per scoraggiare le proteste. Così
i manifestanti da Tahrir si sono
spostati lentamente verso Qasr
Al-Aini per le contestazioni con-
tro la giunta militare. Con il pas-
sare dei mesi, sono iniziati i cor-
tei che, partendo da punti distinti
della città (Ramsis, Agouza, Saye-
da Zeinab, Mohandessin) hanno
raggiunto il centro delle proteste:
piazza Tahrir. I contestatori han-
no così idealmente superato le
mura, costruite in fretta dalle for-
ze di sicurezza, intorno ai palazzi
delle istituzioni pubbliche. Con il
golpe dello scorso luglio e il mas-
sacro del sit-in islamista di Rabaa
al Adaweya queste mura sono
tornate, più alte di prima anche
se immateriali, e ai contestatori,
come ai tempi di Mubarak, sono
rimaste solo le università e il sin-
dacato dei giornalisti come unici
recinti per protestare.
Pochi giorni dopo il voto, si è in-
sediato il secondo governo, tar-
gato Ibrahim Mahleb, dirigente
del Partito nazionale democratico
dell’ex presidente Hosni Muba-
rak, e premier ad interim uscen-
te. Non ci sono novità di rilievo
nel nuovo esecutivo. È stato con-
fermato il ministro della Difesa,
Sedki Sobhi, e il ministro dell’In-
terno, Mohammed Ibrahim, dura-
mente criticato per il massacro di
Rabaa al Adaweya. Spicca invece
il nome del nuovo ministro degli
Esteri, Sameh Shoukry, dal 2008
al 2012 ambasciatore egiziano
negli Stati Uniti. Non solo, è sta-
to dissolto il ministero dell’Infor-
mazione per creare il Consiglio
supremo dell’Informazione, i cui
poteri non sono ancora chiari.
Prima di lasciare il posto ad Ab-
del Fattah al-Sisi, il presidente
uscente, il costituzionalista Adly
Mansur, ha emanato vari decreti.
Mansur ha limitato ai soli sheykh,
riconosciuti dalla massima au-
torità sunnita, la moschea di Al
Azhar, il permesso di tenere ser-
moni nelle moschee. Ha poi au-
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mentato del 5% la tassazione sui
redditi e le aziende che fatturano
oltre un milione di ghinee l’anno
(più di centomila euro).
I primi provvedimenti del nuovo
governo sono stati duramente cri-
ticati dagli attivisti egiziani di ogni
orientamento politico. I social
network sono stati messi sotto
stretto controllo. Lo ha ricono-
sciuto il ministro dell’Interno Mo-
hammed Ibrahim, aggiungendo
però che si tratta di misure anti-
terrorismo. Il generale Hany Ab-
dellatif ha ammesso che gli ac-
count Facebook e Twitter dei
cittadini egiziani sono costante-
mente monitorati. E così il leader
del partito Dostur di Alessandria,
Safwan Mohamed, è stato arresta-
to solo per aver postato sulla sua
bacheca Facebook un «No ai pro-
cessi militari». Ma la censura del
rinato autoritarismo egiziano si è
abbattuta anche sulla satira politi-
ca. A pagarne le spese è il più
noto comico televisivo del Me-
dioriente, Bassem Youssef. Il suo
seguitissimo programma (per as-
sistere allo show negli ultimi mesi
venivano formati gruppi di ascol-
to in tutto il Paese) non sarà più
trasmesso dalla rete privata Mbc.
Sebbene Youssef abbia affrontato
già le critiche degli islamisti per la
sua satira pungente, i Fratelli mu-
sulmani non avevano disposto la
chiusura del programma. In una
conferenza stampa, l’autore de El
Barnameg (Il programma) si è
dichiarato «stanco» di dover muo-
versi da un canale all’altro per an-
dare in onda e allarmato dai ri-
schi per l’incolumità per la sua
famiglia.
Non solo, i giornalisti del cana-
le televisivo del Qatar Al Jazee-
ra sono stati condannati dai sette
ai dieci anni. L’australiano Peter
Greste e l’egiziano-canadese Mo-
hammed Fahmi sono stati con-
dannati a sette anni di carcere,
Baher Mohammed a dieci anni.
I reporter sono accusati di aver
diffuso «notizie false» e aver rap-
presentato l’Egitto in uno stato di
«guerra civile». Le accuse generi-
che che sono state mosse duran-
te il processo
riguardano la
copertura degli
eventi del sit-in
islamista di Ra-
baa al Adaweya,
nell’agosto scor-
so al Cairo. Amnesty International
ha lanciato dallo scorso gennaio
una campagna per il rilascio dei
giornalisti di Al Jazeera a cui han-
no aderito i media di tutto il mon-
do. A sette anni sono stati con-
dannati in contumacia altri undici
giornalisti della televisione vicina
ai Fratelli musulmani. Il ministro
degli Esteri australiano Julie Bi-
shop e il premier britannico Da-
vid Cameron si sono detti «scon-
volti e contrariati» per la sentenza.
Come se non bastasse, il blog-
ger Alaa Abdel Fattah è stato
condannato a quindici anni di
reclusione per aver violato la
legge anti-proteste dopo aver
partecipato a una manifestazio-
La censura del rinato
autoritarismo egiziano
è criticata dagli attivisti
di ogni orientamento
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L’Egitto di al-Sisi
ne pacifica contro la norma che
impedisce le contestazioni, lo
scorso novembre. L’attivista so-
cialista indipendente ha subito
censure e lunghi periodi di re-
clusione durante la fase di transi-
zione gestita dalla giunta militare
(2011-2012), è stato messo sot-
to inchiesta nell’anno di gover-
no islamista e ha passato cento
giorni in carcere con l’ultimo go-
verno ad interim. Per richiedere
la cancellazione della legge anti-
proteste e il rilascio dei detenuti
politici, 6 aprile, i Socialisti rivo-
luzionari ed Egitto Forte hanno
organizzato una marcia verso il
palazzo presidenziale al Cairo.
23 giovani, cinque dei quali del
movimento Tyar Masry (Corren-
te egiziana), vicina agli islamisti
moderati, sono stati arrestati. Sol-
tanto Osama al-Mahdy, torturato
dopo l’arresto, è stato rilasciato.
Per risolvere la crisi energetica,
dopo gli attacchi jihadisti ai ga-
sdotti nel Sinai e lo stop all’espor-
tazione di gas verso Israele e Gior-
dania (2012), l’impresa energetica
americana Noble, insieme a quel-
la israeliana Delek, si è impegna-
ta a rimettere in moto il mercato
energetico egiziano, riattivando
la produzione dei gasdotti, fermi
o a basso regime dall’avvio del-
le rivolte. L’idea è nata anche in
seguito alle scoperte di gas nelle
acque del campo Tamar. E così,
nello scorso maggio, è stata ap-
provata una lettera di intenti tra
Union Fenosa Gas (di cui fa par-
te Eni), che opera negli impianti
di Damietta e Tamar. L’Egitto è il
secondo produttore di gas in Afri-
ca: questo grazie alla gestione del
Canale di Suez e della Suez-Med
Pipeline. Un accordo del gene-
re potrebbe risolvere i continui
problemi energetici del Paese. Ri-
mettere in marcia le esportazioni
di gas potrebbe comportare però
nuovi tagli alla spesa pubblica e
al sistema dei sussidi che mette-
rebbero in ginocchio la fragile
economia del Paese.
Il primo a congratularsi con al-
Sisi per la sua elezione,nel corso
di un incontro al Cairo, è stato il
re saudita Abdullah, che ha par-
lato di vittoria «storica». I colloqui
tra i due capi di Stato hanno ri-
guardato gli ingenti aiuti finanzia-
ri all’Egitto, pari a 12 miliardi di
dollari incluse le linee di credito
provenienti dagli Emirati arabi. Il
via libera al corretto svolgimen-
to delle elezioni è venuto anche
dagli osservatori dell’Unione eu-
ropea, che hanno monitorato il
voto. L’Ue ha tuttavia chiesto alle
autorità egiziane di emendare la
controversa legge anti-proteste
per permettere manifestazioni
pacifiche. Dure polemiche sono
sorte, infine, tra autorità egiziane
e l’incaricato d’affari turco Heda-
yet Pastor per le critiche mosse da
Ankara alle «confuse» operazioni
elettorali egiziane. Tuttavia, l’U-
nione africana (Ua) ha riammes-
so l’Egitto tra i suoi Stati membri
(dopo averlo sospeso in seguito
al colpo di Stato).
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Giuseppe Acconcia
Una breve visita al Cairo del se-
gretario di Stato John Kerry ha
segnato una distensione dei rap-
porti tra Cairo e Washington. Gli
Stati Uniti hanno sbloccato 575
milioni di dollari, parte degli aiuti
militari al Cairo, pari a 1,3 miliar-
di, parzialmente congelati dopo il
colpo di Stato del 3 luglio scor-
so. Kerry ha anche assicurato che
presto verranno forniti all’Egitto
gli elicotteri Apache, come pro-
messo dal segretario alla Difesa
Usa Chuck Hagel.
I movimenti politici egiziani sono
in fermento per l’ultimo tassello
della roadmap di al-Sisi: le ele-
zioni parlamentari, previste per
il prossimo autunno. Tutti i par-
titi hanno espresso dure critiche
contro la bozza della nuova legge
elettorale, secondo la quale l’80%
dei seggi andrebbero a candidati
indipendenti, aprendo la strada
alla fine del pluralismo politico
e al partito unico. Per l’Egitto si
configura una fase critica dopo la
parziale transizione democratica,
avviata dopo le rivolte del 2011
e poi frenata dalla deposizione
del presidente eletto Mohammed
Morsi, espressione della Fratel-
lanza musulmana. Una sospen-
sione del processo di democra-
tizzazione nel principale Paese
del NordAfrica sta avendo effetti
concreti nelle transizioni dei Pae-
si vicini dalla Siria alla Libia fino
all’Iraq, con l’effetto di riportare
al potere vecchie élite e gerarchie
militari impedendo una genuina
costruzione di libertà di espres-
sione e pluralismo politico.
Giuseppe Acconcia
è giornalista e ricercatore specializzato in Iran, Siria ed Egitto presso il Centro
studi AlAhram. Ha pubblicato articoli, saggi e ricerche sul movimento riformista iraniano, le rivolte
in Siria ed Egitto nel 2011-2012, i Fratelli musulmani egiziani, il movimento sciita libanese Hezbollah.