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gli entroterra
delle città di mare
les arrière-pays
des villes de mer
ELEONORA CANEPARI, BRIGITTE MARIN, LUCA SALMIERI
(a cura di / sous la dir. de)
armattan ITALIA
.
Collana / Collection
“Europa - Mediterraneo - Mondo Arabo (EMMA)”
La casa editrice L’Harmattan Italia srl appartiene al gruppo
internazionale L’Harmattan (www.editions-harmattan.fr), con
sede centrale a Parigi, ma presente – con una dozzina di filiali –
in Europa e Africa.
Il catalogo accoglie opere pubblicate in italiano e in altre lingue
(francese, inglese, portoghese, spagnolo…) per favorire – trami-
te le varie strutture del gruppo – la diffusione all’estero dei volu-
mi (stampati con doppio ISBN). Il catalogo ha un taglio pretta-
mente universitario e i titoli approfondiscono tematiche connes-
se alle scienze socio-umanistiche.
L’Harmattan Italia ha rilevanza scientifica sia per la rete di cui
dispone, che le permette di promuovere le proprie pubblicazioni
in seno alla comunità accademica italiana e internazionale, sia
per l’edizione di collane i cui titoli sono sottoposti alla procedu-
ra di “blind peer review”(BPR). Ciò in adempimento dei criteri
di valutazione in uso a livello accademico.
Volume pubblicato con il contributo di
Publication réalisée avec le concours de
DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI ED ECONOMICHE
“SAPIENZA” UNIVERSITÀ DI ROMA
AIX-MARSEILLE UNIVERSITÉ /
CNRS - TELEMME - LIA MEDITERRAPOLIS
Ce travail a aussi bénéficié d’une aide du Gouvernement français
au titre du Programme Investissements d’Avenir, Initiative
d’Excellence d’Aix-Marseille Université - A*MIDEX
gli entroterra
delle città di mare
Abitanti, territori, mobilità
(XVII-XXI secolo)
LES ARRIÈRE-PAYS
DES VILLES DE MER
Habitants, territoires, mobilité
(XVIIe-XXIesiècle)
ELEONORA CANEPARI
BRIGITTE MARIN
LUCA SALMIERI
(a cura di / sous la dir. de)
L’Harmattan Italia L’Harmattan
via Degli Artisti 15 5-7 rue de L’École Polytechnique
10124 Torino 75005 Paris
Collana / Collection
“Europa - Mediterraneo - Mondo Arabo (EMMA)”
ultimi titoli pubblicati / dernières parutions
ABU, UNA STORIA EGIZIANA.
Opportunità e traversie di un progetto di cooperazione
Maria Donata Rinaldi
MEDITERRANEO CROCEVIA DI STORIA E CULTURE.
Un caleidoscopio di immagini
Laura D’Alessandro
MARE NOSTRUM. SUSTAINABLE TOURISM
IN THE MEDITERRANEAN REGION.
A Case of Participatory Approach in Rhodes and Tyre
Rosita Di Peri, Raffaella Giordana (eds)
PERCORSI D’IDEE NEL MEDITERRANEO /
PARCOURS D’IDÉES DANS LA MÉDITERRANÉE
Oriana Capezio (a cura / sous la dir.)
harmattan.italia@gmail.com
www.editions-harmattan.fr
© L’Harmattan Italia srl, Torino
© L’Harmattan, Paris
2018
ISBN ITALIA 978-88-7892-351-5
ISBN FRANCE 978-2-336-31234-7
INDICE / SOMMAIRE
Introduzione,
E. Canepari, B. Marin, L. Salmieri 7
Sezione 1/ Section 1
Des portes de la ville à la mer.
Habiter entre Rome et Maccarese au XVIIᵉ siècle,
E. Canepari 17
Territorialités suburbaines. Distretto et casali
de Naples à la fin de l’époque moderne,
B. Marin 31
La Goulette et sa région aux XIXeet XXesiècles :
mutation urbaine d’un faubourg maritime de la ville de Tunis,
B. Abidi 51
Roma, Napoli: due diversi casi di rapporto con l’hinterland,
a confronto tra Ottocento e Novecento,
L. Piccioni 65
Fermiers, parulani, ouvriers.
Transformations sociales et territoriales
d’une campagne industrielle (Naples Est, XIXe-XXesiècle),
M. Anselmo 79
Abitare tra Roma e il mare. Modelli residenziali
e culture abitative nel secondo Novecento,
B. Bonomo 94
Sezione 2/ Section 2
Au-delà des frontières de l’urbain. La dimension liquide
de la ville méditerranéenne,
R. Galdini 111
Alger et son territoire. Hinterland et incertitudes,
R. Sidi Boumedine 127
Deindustrializzazione, hinterland portuale
ed entroterra: il caso di Napoli Est,
L. Salmieri 141
5
Pour une approche morpho-historique
de longue durée des territoires suburbains,
R. Borruey 158
Transformations urbaines, développement local
et cohésion sociale : la quadrature du cercle,
M. Crisci, S. Lucciarini 172
Sezione 3/ Section 3
Mediterraneità di un territorio urbano
in trasformazione: il caso di Roma,
S. Pili, I. Tombolini 187
Trasversali mediterranee. L’Appennino e la costa,
E. Corradi, C. Cozza 203
Paesaggi logistici emergenti. Porti e aeroporti
in trasformazione tra costa e entroterra,
S. Favargiotti, B. Moretti 219
Fine dei grandi racconti urbani. Restart Scampia,
D. Buonanno, C. Piscopo 233
Bibliografia / Bibliographie 250
Gli Autori / Les Auteurs 272
6
Deindustrializzazione, hinterland portuale
ed entroterra: il caso di Napoli Est
Luca Salmieri
1. Per una sociologia degli spazi deindustrializzati
Nella sociologia la deindustrializzazione è trattata come un
insieme di processi che nei paesi avanzati hanno favorito il
passaggio della società industriale a quella dei servizi e della
conoscenza. In generale, viene definita come la misura del
passaggio dalla manifattura al settore dei servizi, (Smets
1990; Alderson 1999). Gli urban studies hanno associato que-
sta trasformazione alle dinamiche di counterurbanization
ovvero al trasferimento delle funzioni residenziali e commer-
ciali dai centri urbani alle aree libere degli entroterra semi-
rurali (Beeson 1990; Champion 2001; Mommaas 2004; Brady,
Denniston 2006).
L’emergere della città post-industriale era stato anticipato
sin dagli anni Sessanta nella sociologia americana (Strauss
1960; Friedmann 1964; Abu-Lughod 1966). La città post-
industriale è stato un argomento poi vastamente trattato da
diverse discipline (Hall 1997). Le indagini locali sugli effetti
della deindustrializzazione che hanno portato la sociologia ad
interessarsi del tema hanno quasi sempre riguardato il disgre-
garsi delle comunità operaie, la fine della «città-fabbrica», la
crescita della disoccupazione e la decadenza di alcune aree a
forte vocazione industriale (Battisti 2001). Il tema delle aree
industriali dismesse è stato oggetto di letture che hanno
sostanzialmente evidenziato gli effetti della crisi produttiva di
alcune aree, tentando di definire nuove politiche di progetta-
zione e sviluppo basate sulle potenzialità e sui nuovi ruoli che
i cosiddetti vuoti urbani potrebbero assumere in un’ottica di
più ampia rigenerazione (Sgorbati et al. 2005). Così, la dein-
141
dustrializzazione, dal punto di vista sociologico, ha rappre-
sentato una causa della trasformazione e del cambiamento, ma
non un oggetto di analisi in sé. A mio avviso si tratta di una
lacuna rilevante, poiché per comprendere la vita delle grandi
aree urbane europee sarebbe necessario mettere a fuoco il ter-
ritorio industrializzato e postindustriale degli entroterra.
Il principale interrogativo che la sociologia ha mancato di
porre è il seguente: cosa succede nei territori della deindu-
strializzazione? Lo svuotamento della fabbrica è una scom-
parsa organizzativa, produttiva, identitaria e simbolica, ma
non è una scomparsa fisica. I resti dell’industria sono una pre-
senza incombente, tangibile, incisiva che segna il territorio,
spesso lo degrada – dopo averlo inquinato – lo de-valorizza,
lo deprezza, lo marginalizza rispetto a nuove dinamiche eco-
nomiche. Questo tipo di siti ex-industriali non rappresentano
poi soltanto una «mancanza» – ovvero un’inattività, un vuoto,
un’improduttività, una risorsa non messa a valore, una deca-
denza. Essi segnalano anche una «presenza», spesso ingom-
brante, una escrescenza con cui il tessuto sociale deve conti-
nuare a fare i conti nella dimensione quotidiana dell’abitare di
un territorio.
2. Città portuali e hinterland del Mediterraneo
Nelle pagine che seguono proverò ad adottare uno sguardo
sociologico sulla deindustrializzazione, attraverso il caso del-
l’hinterland portuale di Napoli. In particolare, tenterò di
rispondere ad una serie di interrogativi su cui, a mio avviso, la
riflessione sociologica non si è ancora abbastanza soffermata.
1) Quali effetti produce la deindustrializzazione in termini di
spazi urbani? 2) Quali variabili sociologiche incidono sull’e-
sito dei manufatti industriali dismessi? 3) In che modo le logi-
che del capitalismo contemporaneo influenzano il destino dei
siti industriali abbandonati? 4) Quali dinamiche si osservano
nei tessuti sociali contigui ai siti industriali dismessi?
Napoli e il suo porto hanno potuto contare su una vasta indu-
strializzazione dell’hinterland che è andata avanti per oltre un
142
settantennio nel corso del Novecento e che ha subito una mas-
siccia crescita dal Secondo dopoguerra a seguito delle localiz-
zazioni coerenti alla sede portuale e agli investimenti pubbli-
ci e privati nei settori automobilistico, aeronautico, petrolchi-
mico, elettronico, tessile e agro-alimentare. Gli anni Settanta
segnarono poi la prima svolta critica, avviando una pesante e
irreversibile deindustrializzazione (Sommella, Stanzione
1992; Forte 2003). Nel decennio successivo si è passati al vero
e proprio abbandono di siti industriali importanti: alcune cen-
tinaia di aziende scomparirono. I settori ancora floridi negli
anni Novanta – calzature, cartotecnica, concia, abbigliamento
– sono poi entrati in crisi, avviando un processo di delocaliz-
zazione continua, con numerose fabbriche spostatesi dalle
periferie industriali della città e dei sette comuni della fascia
costiera più industrializzati (Bacoli, Pozzuoli, Portici,
Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata e Castellammare)
ai comuni a Nord della città, favoriti dalla vicinanza con le
autostrade e dalla disponibilità di suoli a buon mercato. Ma
molte più imprese si sono spostate fuori Italia o semplicemen-
te hanno chiuso gli stabilimenti locali. I nuovi agglomerati
ASI (area di sviluppo industriale) sono sorti a Caivano,
Acerra, Giugliano, Qualiano, a nord di Casoria, di Arzano e di
Frattamaggiore, in quella che rappresenta una corona dell’en-
troterra ancora più distante dalla linea di costa. Le altre aree
ASI della provincia si trovano ancora oggi ad Est (Pomigliano
d’Arco e Nola-Marigliano), ma ben lontane dalle ex-aree
industriali alle porte della città e vanno a completare la coro-
na periurbana, costituendo un’agglomerazione del costruito
più ampia della stessa urbanizzazione presente nel Comune di
Napoli.
Nella regione mediterranea molte aree interne delle metro-
poli portuali, Napoli compresa, hanno progressivamente perso
una certa compattezza urbana che aveva caratterizzato il
Novecento, evolvendo verso un assetto più diffuso, a causa di
una mutata forma dell’espansione degli insediamenti residen-
ziali e commerciali e delle infrastrutture collegate (Leontidou
1990; Catalàn et al. 2008; Gargiulo, Morelli, Salvati 2010;
143
Munafò et al. 2011). Ciò ha prodotto un processo di depaupe-
ramento delle superfici vergini e un’ibridazione post-indu-
striale dei paesaggi dell’entroterra. I questi casi gli entroterra
– ad esclusione di Genova che per la sua conformazione mor-
fologica non ha spinto lo sviluppo industriale verso l’interno,
ma ha dovuto adattarlo alla linea di costa – hanno subito gli
effetti di politiche di sviluppo che non sono state in grado di
far fronte all’espansione del disordine (Couch et al. 2007). In
tal modo, nella società industriale di massa le periferie aveva-
no costituito le zone di disimpegno della società civile. Ora
nell’ambito polimorfo degli hinterland delle città di mare, le
periferie si spostano ancora più all’interno, laddove l’abban-
dono e l’inattività dei siti industriali segnano il ristagno e la
devalorizzazione del territorio, in seno ad una vera e propria
esplosione delle sprawl (Ingersoll 2004; Bruegmann 2005)
come accaduto proprio nel caso dell’hinterland napoletano,
nella Piana della Campania (Di Gennaro 2014).
Le aree industriali dismesse, conosciute nel gergo interna-
zionale come brownfields (Andres, Grésillon 2013), hanno
oggi un ruolo importante nello scenario degli hinterland. La
loro collocazione in ambiti non più distanti, luoghi di poten-
ziale alto valore e di infrastrutture importanti, le rende prossi-
me ad un patrimonio di grande rilievo che in taluni casi attira
investimenti privati di capitali che trasformano. Tuttavia, que-
sti luoghi per essere riqualificati devono spesso essere bonifi-
cati a causa delle contaminazioni ambientali apportate dalle
precedenti attività. Ciò comporta costi molto elevati. Proprio
in relazione a questa discriminante, varia l’interesse degli
investitori, che spenderanno denaro solamente qualora il riuso
garantisca un’adeguata valorizzazione delle aree stesse. Il
recupero comporta così azioni complesse, basate spesso su
investimenti pubblici e profitti privati, e a seguito della riso-
luzione di una vasta gamma di problemi patrimoniali, proce-
durali, ambientali, funzionali, urbanistici, architettonici
(Dragotto, Gargiulo 2003).
Nel caso di Napoli, i brownfields sono entrati all’interno di
un mutato rapporto tra le dinamiche del commercio interna-
144
zionale e le infrastrutture portuali con i loro hinterland (Rossi
2007). Tali tendenze si sono consolidate in un contesto di evo-
luzione funzionale dei servizi logistici che ha portato al biso-
gno di nuove infrastrutture. Il forte sviluppo del trasporto con-
tainerizzato ha configurato le necessità che si trovino spazi per
poli logistici avanzati, meglio ancora se localizzati in una
zona retroportuale in cui è possibile fornire valore aggiunto
alle semplici operazioni di carico/scarico delle merci (Musso
et al., 2007). Gli hinterland retro portuali sono mutati di pari
passo. L’innalzarsi dei livelli di competizione tra i porti su
scala globale e sub-continentale ha spinto verso tentativi di ri-
valorizzazione e ri-attazione delle aree industriali dismesse,
buona parte delle quali rimasti però sulla carta. La dispersio-
ne logistica è una delle alterazioni che i processi legati alle
economie del mare hanno indotto al territorio retrostante,
generando nuove trame, piuttosto che riducendo i vuoti lascia-
ti dall’industria manifatturiera.
Figura 1) Provincia di Napoli. Linea di separazione ipotetica
tra aree urbanizzate di costa ed entroterra 2014.
Fonte: elaborazione grafica a cura dell’autore.
145
Il fenomeno del «porto diffuso» viene così ad inquadrarsi in
relazione alla scarsità di progetti di rigenerazione del paesag-
gio urbano, alla giacenza di reti infrastrutturali e alla margina-
lità delle aree retro portuali. Successivamente ad una prima
fase che interessa la fascia longitudinale della costa napoleta-
na, una diversa geografia dell’espansione del sistema portuale
si è orientata gradualmente autonomamente e disordinatamen-
te verso l’occupazione trasversale dei territori interni. È così
che il porto assume un ruolo di anello della catena intermoda-
le, non più luogo di lente manovre e tempi dilatati. A dilatar-
si, ora, sono gli spazi di stoccaggio intermodale che vanno ad
aumentare la pressione territoriale e la conflittualità con l’ur-
banizzato degli entroterra. La pressione nell’hinterland diven-
ta elemento di frizione tra i due sistemi contigui, ma separati,
fisicamente e amministrativamente che richiedono entrambi
suoli in cui sviluppare proprie logiche di espansione e proprie
attività.
Quando le aree industriali dismesse presentano costi di
riconversione troppo elevati per riuscire ad attrarre gli investi-
menti della logistica, il sistema di espansione retro portuale si
orienta verso spazi nuovi. Si verifica così un fenomeno di
«fuga dai porti» (Hoyle, Pinder 1992) ovvero l’abbandono
della soglia terra-mare e il dislocamento dell’infrastruttura
logistica in zone lontane dalla pressione dei centri urbanizzati
e maggiormente inclini alla necessaria espansione. L’assenza
di aree libere lungo la costa napoletana – una caratteristica di
quasi tutte le altre realtà portuali italiane, con la sola eccezio-
ne di Gioia Tauro – ha portato ad una serie di contraddizioni
nella convivenza con gli insediamenti urbani limitrofi ed ad
una vera e propria contaminazione di funzioni degli hinter-
land: il mutare del tipo di relazione funzionale del porto, si
caratterizza sempre più come una sorta di indifferenza loca-
lizzativa in cui l’unica variabile determinante è la relazione
stradale o ferroviaria con il porto e con il resto delle infra-
strutture di comunicazione. La dispersione delle attività retro
portuali nel periurbano dà vita al fenomeno delle «aree por-
tuali satellite». Queste enclaves logistiche, nate dalle medesi-
146
me esigenze economico-spaziali delle aree interportuali, sfug-
gono al controllo di una visione strategica d’insieme e vanno
ad occupare le aree marginali del territorio prossime alle infra-
strutture (prossime in termini di percorrenza su gomma e su
rotaia), modificando così il paesaggio circostante.
3. Il caso di Napoli Est
Nel caso di Napoli, le aree post-industriali abbandonate si
localizzano soprattutto nella zona ad Est del porto e della città.
Quest’ultima, per lungo tempo, ha rappresentato l’area pro-
duttiva urbana ma, in seguito ai fenomeni della dismissione
industriale, appare oggi come un vasto territorio «in attesa».
Figura 2) Veduta satellitare di Napoli-Est: A) Gianturco; B)
Ex-Raffineria; C) San Giovanni a Teduccio; D) Ponticelli-Barra.
Fonte: elaborazione grafica a cura dell’autore.
L’area di Napoli Est è delimitata a Ovest dalla Stazione cen-
trale, dal corso Arnaldo Lucci e dal fascio binari delle FS; a
Sud dalla via Marina e corso San Giovanni, ad Est dal raccor-
do autostradale. L’area include i quartieri San Giovanni a
Teduccio, Barra, Ponticelli, Gianturco e Poggioreale e rappre-
senta la più estesa area dismessa del Mezzogiorno, con una
superficie pari ad un quinto della superficie della città, per un
totale di circa 200 mila abitanti. Questo territorio può essere a
sua volta suddiviso in quattro sub-aree, tra cui quella denomi-
147
nata “Polo petrolifero” o “Ambito 13 – Ex-raffineria”, per una
superficie totale di circa 420 ettari, 120 dei quali occupati dai
suoli in dismissione delle principali aziende petrolchimiche
(Q8, Esso, Italcost, IP, Shell, Agip). In questa area insistono
gli ex-impianti petrolchimici, ovvero i serbatoi di carburante e
gli oleodotti, già in gran parte dismessi (fig. 2, area B). Gli
oleodotti da qui arrivano fino al porto, passando per i silos che
sono a Sud. Sono presenti anche i residui di altri settori mani-
fatturieri: industria alimentare, tessile e abbigliamento, legno,
carta, plastica e varie, trasformazione di materiali ferrosi.
Vi è una compresenza di aziende attive e dismesse, nuovi
centri commerciali e depositi container, ma i siti dismessi o
inattivi superano quelli in cui insistono realtà attive. L’area di
Napoli Est si presenta così come spazio frammentato, paesag-
gio urbano ibrido in cui coesistono diverse forme di città e
dove, in relazione al grado di trasformabilità di ciascuna di
esse, è spiccano le parti malleabili che si sono prestate o si
presterebbero alla colonizzazione logistica. Sono aree che si
collocano tra i fasci infrastrutturali di trasporto e di accesso
alla città e al porto commerciale, aree chiuse da recinti resi-
denziali o che chiudono enclave residenziali, zone dismesse e
centri ancora parzialmente produttivi, da cui emergono i totem
multicolori dei container che ne segnalano la presenza anche
a lunghe distanze. L’insufficienza numerica dei piazzali logi-
stici alle spalle delle banchine del porto napoletano ha reso
necessario l’ausilio degli interporti di Marcianise e Nola, posti
ancora più ad Est che assorbono gran parte delle merci prove-
nienti via mare mediante collegamenti viari su gomma.
Napoli Est è dunque sia attraversata dai flussi da e per gli
interporti, sia utilizzata, in forma sparsa, come area di stoc-
caggio e parcheggio temporaneo dei container in spazi dotati
delle tecnologie minime per il carico e lo scarico connessi al
trasporto su gomma. Le aree container e quelle adibite a
magazzini connotano il paesaggio urbano in cui si collocano
come spazi di “retro”, aree retrostanti di servizio che non
ambiscono a divenire parte del visibile del tessuto urbano, fac-
ciata principale offerta allo sguardo pubblico.
148
Figura 3) Veduta dell’interporto di Nola e scorcio
dell’interporto di Marcianise.
Fonte: Airviews (2016).
4. Abitare l’hinterland delle dismissioni
Dal 1998 le ex aree industriali di Napoli Est formano un sito
di interesse nazionale da bonificare. Ma ad oggi nessuna opera
di riqualificazione di queste ex-aree industriali è stata portata
a termine, se non per l’ex-area Corradini, trasformata in una
grande residenza per studenti universitari, la ex-Cirio, fabbri-
ca conserviera ora completamente ri-edificata come sede
dell’Università Federico II di Napoli e l’ex-manifattura
Tabacchi riadattata a residenza per studenti.
A partire da una ricerca iniziata nel 2015 su Napoli Est1e
non ancora completata, riporto di seguito alcuni risultati pre-
liminari con cui formulare le prime ipotesi rispetto ai quattro
interrogativi che ho sollevato in precedenza. Queste evidenze
mettono in luce la memoria della popolazione, ovvero la con-
149
tinua ricostruzione del paragone tra l’oggi, il quotidiano, l’at-
tuale e il panorama, le attività, le relazioni sociali del recente
passato dell’area in questione.
L’analisi di sociologia visuale ha restituito le immagini di un
territorio in cui si combinano: edifici a destinazione residen-
ziale di edilizia pubblica; edifici a destinazione residenziale di
edilizia privata, ma di fondazione abusiva; rari edifici pubbli-
ci per funzioni collettive (scuole, uffici pubblici, etc); manu-
fatti di origine non residenziale riattati ad abitazioni; piccoli e
grandi depositi commerciali, alcuni dei quali inattivi; esercizi
commerciali posti fronte strada con annesse ampie aree di
stoccaggio e deposito delle merci; manufatti abbandonati in
cui si scorgono le tracce di un’originaria destinazione indu-
striale o artigianale; piccole officine; vaste aree con corpi di
ex-fabbriche; capannoni; ampie aree recintate di superfice
abbandonata; corpi di fabbrica dismessi; terreni coltivati con
serre; spazi di sversamento e abbandono di rifiuti; angoli da
cui si scorgono spazi in-between (van Eyck, Ligtelijn 1999).
Figura 4) Napoli Est, San Giovanni a Teduccio: veduta aerea
dello scalo merci e dell’intersezione tra Gianturco e le ex-raffinerie.
Fonte: gentile concessione di Airviews, 2015.
150
L’analisi della percezione comune ha invece rilevato la dif-
fusa memoria delle fabbriche attive che rimanda ad un passa-
to caratterizzato dal dinamismo, dalla produttività e dalla
vivacità dell’area. Una quota considerevole dei rispondenti di
età superiore ai 45 anni (circa il 26% dell’intero campione di
120 partecipanti) ha dichiarato di aver lavorato in passato
all’interno dell’area di Napoli-Est, mentre ora lavora altrove
oppure è disoccupato o in pensione. Tra questi abitanti è molto
forte una rappresentazione del contesto come penalizzato
dalla deindustrializzazione in termini di effetti nefasti: impo-
verimento e rarefazione del tessuto sociale; degrado ambien-
tale; accresciuto pendolarismo. Non sorprende invece che
coloro che risiedono in queste zone da meno di un ventennio
risultino poco consapevoli delle giacenze industriali in dis-
missione, della loro storia, del loro legame con il territorio cir-
costante. Questi ultimi sollevano sì la questione del degrado,
ma non sottolineano, come fanno i residenti storici, il contri-
buto che i siti produttivi fornivano ai quartieri limitrofi in ter-
mini di indotto, tessuto sociale, vitalità. Gli effetti dell’abban-
dono delle aree industriali sono in questo caso rappresentati e
vissuti come un dato di fatto, come una giacenza storica del
panorama locale. Le aree dismesse sono vissute come un pro-
blema, come l’esito dell’incapacità delle amministrazioni
locali e nazionali di avviare bonifiche, e segno del degrado
delle periferie. Di qui l’insofferenza per una situazione di con-
fusione e promiscuità in cui versa la zona e per quella che è
percepita come una sovrapposizione non coordinata di diffe-
renti tipi di strutture, che accentua le reciproche influenze
negative.
Coloro i quali hanno invece una memoria storica e sociale di
questi luoghi perché vi abitano da tempo, perché addirittura vi
sono nati o perché in qualche caso hanno vissuto personal-
mente l’esperienza della dismissione di una delle tante fabbri-
che della zona (in particolare quelle di MecFond, Ergom,
Whirlpool e Ansaldo) intrattengono ancora una relazione
stretta con i segni geografici di quella presenza. Non erano
solo fabbriche, ma un intero universo sociale, che comprende-
151
va non soltanto lo stabilimento, ma anche alcune case per gli
operai, la mensa all’interno dello stabilimento e il teatro socia-
le sorto informalmente in un edificio accanto. In alcuni casi si
è in grado di riconoscere la palazzina del dopolavoro ora
ridotta a mura cadenti.
Quando nasci e cresci a San Giovanni a Teduccio, non hai molto che ti
circonda, ma quel poco che hai te lo porti dentro come se fosse la cosa
più importante. La tua storia. La mia San Giovanni è una periferia di
fabbriche morte, per la mia memoria alcune sirene già non suonavano
più e altre erano all’ultimo richiamo. Ma non è sempre stato così. Un
tempo le luci delle case popolari intorno avevano gli stessi ritmi della
fabbrica. Qualcuno mi diceva: “Vincenzina hai guardato la fabbrica?
Hanno accesso le luci”. Fino a quando, piano piano, non c’erano più
fabbriche da guardare (Intervista a V.D., 59 anni ex-operaia).
Gli spazi urbani di questa vasta area che comprende anche i
quartieri popolosi a San Giovanni a Teduccio, nella zona
Ovest di Barra e di Ponticelli si connotano adesso soprattutto
come aree di passaggio automobilistico e di mezzi pesanti,
assi di transizione da un luogo all’altro della città, paesaggi
amorfi di scorrimento. Una delle maggiori criticità rilevate è
la conformazione delle strade che attraversano l’area, preva-
lentemente adatte al transito di mezzi pesanti. «I luoghi di
ritrovo non ci sono più. Sono spariti mano a mano che tutta la
zona è diventata una specie di dormitorio. Certo ci sono i bar,
qualche centro commerciale, qualche palestra. Ma non vedi
più nessuno camminare per strada come succedeva fino a 20
anni fa. Ora tutti sono in auto» (Intervista a R.A., 69 anni, pen-
sionato). In conseguenza della dismissione dei siti industriali
che vi insistevano, lunghi tratti di strade non sono percorribi-
li a piedi, perché privi di marciapiede oppure con marciapiedi
sconnessi. Sono inoltre presenti aree di scarico abusivo di
rifiuti (specialmente in vicinanza dei sottopassi), incuria gene-
rale del manto stradale, assenza di aree di attraversamento
pedonale. «la strade non vengono pulite…solo in casi ecce-
zionali…tanto ci passano solo le automobili» (C.G., 42 anni,
casalinga). La presenza di barriere infrastrutturali, quali il rac-
cordo autostradale e le linee ferroviarie delle FS e della
152
Circumvesuviana, entrambe sopraelevate, contribuiscono in
parte alla condizione di degrado delle strade sottostanti ed alla
creazione di aree poco sicure per i pedoni. In sintesi, gli effet-
ti prodotti dalla deindustrializzazione in termini di spazio
urbano possono essere individuati nella forte separazione tra
l’entroterra e la costa, nell’ulteriore impoverimento dei rap-
porti con il mare, nella dequalificazione degli assi viari, nello
sfilacciamento delle relazioni sociali extra-residenziali.
Le difficoltà di recupero, riqualificazione o riuso dei siti
industriali dismessi o in condizioni di forte degrado vanno
ricondotte anche alla natura contemporanea delle dinamiche
economiche e culturali del capitalismo. La lettura in questo
caso deve considerare quei fattori che sono sia alla base del-
l’abbandono, sia la causa dell’assenza di intervento. Lo sce-
nario di Napoli Est si caratterizza per i due estremi opposti
della scala geografica del capitalismo: il capitalismo persona-
le e il capitalismo finanziario. Queste due modalità di messa a
valore economico che a prima vista sono agli antipodi, insi-
stono, come presenza la prima e come vuoto la seconda, sulle
sopravvivenze archeologiche del capitalismo industriale. La
preferenza del capitalismo personale per risorse e azioni
microscopiche e polverizzate agisce sul piano locale dell’av-
vio ex-novo di piccole attività nel campo dei servizi o nel
mondo del neo-artigianato, impossibilitate a considerare i
moloch dei residuati industriali come una potenziale risorsa
territoriale. Nelle dinamiche del capitalismo individuale, l’a-
gire sui siti ex-produttivi abbandonati non rientra nelle dispo-
nibilità di risorse economiche dell’iniziativa micro-imprendi-
toriale, né queste sarebbero in grado di intaccare la staticità
degli abbandoni.
Quando 7 anni fa ho aperto questa piccola attività commerciale [un
negozio di mobili da ufficio] avevo molte speranze: non molto lonta-
no da qui c’è il Centro Direzionale, si parlava di un sicuro recupero
dei capannoni che stanno qui di fronte…si vociferava persino che
avrebbe aperto un grande centro commerciale. Invece negli anni le
cose sono solo peggiorate…qui tutto intorno sono sorti depositi e
magazzini. Arrivano camion e furgoni. Caricano o scaricano la merce
153
e vanno via. Per ora resisto, ma penso che dovrò spostare il negozio
da qualche altra parte della città… (A.L., 43 anni, commerciante).
All’opposto, la preferenza del capitalismo finanziario per le
rendite e gli investimenti immateriali agisce sul piano genera-
le della scarsità di investimenti industriali nel territorio di
Napoli Est. I capitali finanziari operano in maniera selettiva
con i territori dell’industrializzazione: premiano gli investi-
menti immobiliari nelle aree libere dalle sopravvivenze indu-
striali oppure, nella migliore delle ipotesi, attendono che que-
ste vengano reinserite in progetti di bonifica e rigenerazione
che possano farsi carico degli ingenti costi di riconversione
dei terreni. «Noi come comitato civico ci battiamo da diversi
anni per la bonifica dell’area dell’ex-stabilimento della Q8…
una bonifica annunciata per quasi 20 anni. Per diversi mesi
abbiamo occupato simbolicamente alcuni ex-uffici della
Kuwait Petroleum Italia Spa. Soprattutto perché c’è stata
un’inchiesta da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di
Napoli, su un presunto traffico illecito di rifiuti. Da anni è
calato il silenzio per i troppi interessi economici in gioco. La
bonifica costa, non c’è dubbio, ma è chiaro che i vari governi
sino ad adesso sono sembrati disposti ad investire le somme
necessarie soltanto dietro pressione di eventuali interessi
finanziari privati» (E.T, 54 anni, impiegato, componente del
Comitato Civico San Giovanni a Teduccio).
In sintesi, di fronte alle grandi aree dismesse, se il capitali-
smo ad iniziativa personale trova ampio spazio nel vuoto del-
l’azione pubblica, accontentandosi di piccoli e grandi intersti-
zi, il capitalismo finanziario specula solo a seguito di grandi
progetti di bonifica basati sulla spesa pubblica.
Io sono favorevole che ci siano tutte queste attività commerciali nuove
che sfruttano gli spazi lasciati dalle fabbriche. Perché sono attività che
non inquinano e creano un minimo di vitalità. Però non possiamo mica
credere che tutte le aree abbandonate potranno riempirsi di queste atti-
vità. È impossibile. Fallirebbero. Ce ne sono già troppe. Il fatto è che
queste aree avrebbero bisogno di interventi pubblici…ma non si riesce
a gestire il degrado ordinario, figuriamoci tutto questo ammasso di
capannoni e stabili abbandonati (C.T., 46 anni, insegnante).
154
Sebbene la maggior parte degli intervistati abbia dichiarato
di riporre poche speranze circa la rigenerazione delle aree dis-
messe, molti hanno voluto sottolineare come negli anni recen-
ti nuove forme di aggregazione siano sorte con l’obiettivo di
mobilitare l’opinione pubblica e spingere le istituzioni locali e
quelle nazionali ad intervenire a favore della bonifica e della
rigenerazione.
Inoltre, la partecipazione a comitati, associazioni, incontri,
sit-in, discussioni e manifestazioni si è consolidata nel tempo;
ha travalicato momenti e finalità legate alla questione degli
spazi abbandonati, rinvenendo nella riattivazione della memo-
ria dei luoghi una modalità mobile e nomadica di riaggrega-
zione sociale.
La commemorazione dei morti per l’epidemia di colera del
1910-1911 è un rito annuale che si compie al Camposanto dei
Colerosi di Barra, in occasione del quale ogni anno un nutrito
gruppo di volontari di varie associazioni si premura di dece-
spugliare questo antico cimitero semi-abbandonato, stretto, in
Via Cupa Sant’Aniello, tra una fabbrica in disuso e un capan-
none zeppo di ferraglia abbandonata; oppure il “Comitato
Abitanti Via delle Brecce” ha organizzato manifestazioni e
attività a sostegno delle famiglie Rom, prima, durante e dopo
gli sgomberi delle stesse da alcune ex-aree industriali (l’ex
manifattura Tabacchi, le fabbriche in Via del Riposo); ancora,
diverse associazioni locali ricordano ogni anno la strage nazi-
sta della “Vetreria Ricciardiw del 29 settembre 1943, in Via
Ferrante Imparato – una commemorazione «senza istituzioni»
– come momento di «ricomposizione del legame tra gli abi-
tanti e i luoghi del territorio»; altre e diverse associazioni che
operano in tutta l’area dei Napoli Est, soprattutto con attività
culturali e sportive rivolte a giovani e adolescenti, richiamano
una voglia di partecipazione dei cittadini che si fa itinerante,
non solo nel corso di eventi realizzati nei nuovi parchi con-
quistati all’avanzare dell’incuria e dell’abbandono o nei pres-
si delle aree del degrado post-industriale, ma anche nell’am-
bito di incontri, dibattiti, tavole rotonde in cui si denuncia
l’immobilità degli organi di governo del territorio.
155
Una nuova tessitura di attività e relazioni sociali punteggia
così il territorio, lo abita, lo attraversa, a tratti vi si nasconde,
mentre il panorama continua ad essere solcato da segni e trac-
ce eterogenee: palazzi ritinteggiati con murales e abitazioni
con le facciate scrostate e il vivo dei mattoni di tufo in evi-
denza; comitati, associazioni, circoli che lottano per l’apertu-
ra di spazi verdi, strutture per lo sport e sfasciacarrozze,
depositi, officine abusive; nuove piccole attività artigianali e
commerciali negli angoli e nelle strade meno degradate, a
ridosso dei rioni popolari e vecchi capannoni in disarmo,
scheletri di fabbriche, file di container impilati l’uno su l’al-
tro; centri commerciali dal vago aspetto modernista, sale gio-
chi, autolavaggi e mercatini improvvisati all’aperto, carcasse
di furgoni lasciate per strada; bar, trattorie, panifici a condu-
zione familiare e palazzine scalcinate, pompe di benzina
abbandonate, ampie aree di parcheggio di ex-fabbriche rico-
perte di sterpaglia.
Nelle analisi delle forme di valorizzazione del territorio e in
generale nelle analisi della riqualificazione urbana degli spazi
pubblici e delle relazioni sociali, è ricorrente la riflessione
sulla perdita di valore degli spazi di relazione storici a svolge-
re la loro funzione di luoghi di incontro, mentre contempora-
neamente nuovi luoghi di relazione emergono nella pratica
quotidiana, in particolare dalle nuove generazioni. Tuttavia, al
di là della polarizzazione radicale tra i distopici della dismis-
sione post-industriale e gli apologeti della società dell’infor-
mazione, la sociologia dovrebbe interessarsi più da vicino al
tema della deindustrializzazione in chiave territoriale e spa-
ziale, senza limitarsi alla conta empirica delle trasformazioni
nella stratificazione dell’occupazione che passa dal settore
industriale a quello dei servizi, ma avendo cura di mettere in
rilievo le relazioni di tali siti con le variabili politiche, norma-
tive, economiche, tecnologiche e culturali dei contesti in cui
insistono.
156
Note
1La ricerca è sostenuta dal contributo finanziario della Camera di
Commercio di Napoli. Si è sinora basata su attività di indagine sul campo
attraverso sopralluoghi, interviste a residenti e la somministrazione di 120
questionari. Non è stata fissata una precisa datazione per il confronto tra il
“prima” e il “dopo” deindustrializzazione. Si è preferito procedere lascian-
do che fossero i residenti a fornire, quando possibile, date e altri riferimen-
ti temporali.
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271
GLI ENTROTERRA DELLE CITTÀ DI MARE / LES ARRIÈRE‐PAYS DES VILLES DE MER
Introduzione, E. Canepari, B. Marin, L. Salmieri
Sezione 1 / Section 1
Des portes de la ville à la mer, E. Canepari
Territorialités suburbaines, B. Marin
La Goulette et sa région aux XIXeet XXesiècles, B. Abidi
Roma, Napoli: due diversi casi di rapporto con l’hinterland, L. Piccioni
Fermiers, parulani, ouvriers, M. Anselmo
Abitare tra Roma e il mare, B. Bonomo
Sezione 2 / Section 2
Au-delà des frontières de l’urbain, R. Galdini
Alger et son territoire, R. Sidi Boumedine
Deindustrializzazione, hinterland portuale ed entroterra, L. Salmieri
Pour une approche morpho-historique de longue durée
des territoires suburbains, R. Borruey
Transformations urbaines, développement local
et cohésion sociale, M. Crisci, S. Lucciarini
Sezione 3 / Section 3
Mediterraneità di un territorio urbano
in trasformazione, S. Pili, I. Tombolini
Trasversali mediterranee, E. Corradi, C. Cozza
Paesaggi logistici emergenti, S. Favargiotti, B. Moretti
Fine dei grandi racconti urbani, D. Buonanno, C. Piscopo
Eleonora Canepari è ricercatrice in Storia moderna (Aix Marseille Univ, CNRS,
TELEMMe, Aix‐en‐Provence) e titolare di una cattedra d’eccellenza della Fonda‐
tion A*Midex.
Eleonora Canepari est chercheur en Histoire moderne (Aix Marseille Univ, CNRS,
TELEMMe, Aix-en-Provence) et titulaire d’une chaire d’excellence de la Fondation
A*Midex.
Brigitte Marin è professore di Storia moderna (Aix Marseille Univ, CNRS, TELEM‐
Me, Aix‐en‐Provence) e direttrice di studi presso l’EHESS.
Brigitte Marin est professeur d’Histoire moderne (Aix Marsei lle Univ, CNRS,
TELEMMe, Aix-en-Provence) et directrice d’études à l’EHESS.
Luca Salmieri è professore di Sociologia della cultura presso Sapienza, Univer‐
sità di Roma.
Luca Salmieri est professeur de Sociologie de la culture à la Sapienza, Università
di Roma.
En couverture: Domenico Spina, La Campagna Felice meridionale coll’accurata descrizione
delle Città, Villaggi, corsi d’acqua, ed altri luoghi cospicui secondo lo stato presente del cor-
rente anno 1761 (particolare). Società napoletana di storia patria.
EURO 32,50 ISBN (Italia) 978‐88‐7892‐351‐5 / ISBN (France) 978‐2‐336‐31234‐7