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Le privatizzazioni: un bilancio critico

Authors:
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Abstract

This paper discusses some conditions under which the Cohesion Policy of the European Union can effectively contribute to enhance R&I in Europe and the extent to which it offers a relevant framework for devising Research & Innovation policies at regional level overcoming possible tensions and maximising potentials for synergy. To do so, the paper mainly relies on an in-depth illustrative case study of an Italian Southern region, Apulia. The paper describes the regional innovation system put in place by the Apulia Region and analyses the value added that can be attributed to such a system as far as innovation and economic development promotion are concerned; on this basis, findings from the case study are generalised in a set of lessons learned with hopefully more general relevance: these are discussed in Section 4.
1
Working Paper Series
Massimo Florio
LE PRIVATIZZAZIONI: UN BILANCIO CRITICO
Working Paper N. 02/2014
www.csilmilano.com
2
LE PRIVATIZZAZIONI: UN BILANCIO CRITICO
1
Massimo Florio*
*Università degli Studi di Milano
Abstract
This paper briefly reviews some of the empirical findings of a research team of the University of Milan on privatization in different
countries. The discussed effects include: effects on consumers, tax-payers, workers, shareholders; on aggregate growth, public
finance, firms‟ productivity, research and development, quality of government.
Jel codes: L32, L33, H40
Keywords: Privatization, public enterprises, public debt, social welfare.
This version: November 7, 2014
1
Intervento al convegno „Ripensare la cultura politica della Sinistra. Una riflessione sulle idee-forza: Ricostruzione dello Stato‟, Roma 26-27
giugno 2014, Casa „I Cappuccini‟.
3
1. Introduzione
Il punto di vista comunemente accettato sulle privatizzazioni è che in generale sono desiderabili perché le imprese pubbliche sono
inefficienti. L‟inefficienza delle imprese pubbliche a sua volta deriverebbe da vari fattori: un eccesso di obiettivi, anche contraddittori,
loro assegnati dai governi; la cattura del management da parte dei sindacati dei lavoratori o da altri soggetti sociali non interessati
all‟efficienza; la corruzione dei manager e quindi del processo decisionale in imprese usate come strumento clientelare; lo spreco di
denaro pubblico perché le perdite vengono ripianate dai contribuenti; gli scarsi incentivi all‟innovazione dato che il management è
burocratico, avverso al rischio e comunque non beneficerebbe del profitto dato da innovazioni di successo; l‟insufficiente
internazionalizzazione; la scarsa capacità di finanziare gli investimenti; comportamenti anti-competitivi che influenzano il regolatore
portandolo a proteggere le imprese pubbliche; sistemi di tariffazione basati su sussidi incrociati che distorcono la concorrenza. Ed
altro ancora. Un catalogo di questo tipo è contenuto in un articolo di rassegna molto citato (Megginson and Netter, 2001
2
). Uno degli
autori, che è stato anche consulente del governo italiano, nel recensire sul Journal of Economic Literature un mio lavoro, si è persino
stupito che un economista di professione possa pensarla diversamente (Megginson, 2006
3
).
In quel che segue motivo perché sostengo che il bilancio delle privatizzazioni sia stato spesso (non sempre, ovunque) meno
favorevole di quello che si creda, e perché vi sono buoni argomenti per pensare che sia opportuno che gli Stati non si privino di un
significativo nucleo di imprese che abbiano una chiara missione pubblica (e siano ben gestite, ovviamente). Dato che mi occupo di
questo tema, soprattutto sotto il profilo empirico, ormai da molti anni, mi permetto di rinviare chi fosse interessato ai dettagli ad una
breve appendice bibliografica sulla mia ricerca, evitando di appesantire questo breve scritto con riferimenti puntuali. La
presentazione è organizzata per tipi di effetti delle privatizzazioni sui principali gruppi sociali: consumatori/utenti dei servizi;
contribuenti; lavoratori; azionisti. Passo poi a discutere l‟evidenza relativa ad alcuni temi di carattere più generale: l‟effetto delle
privatizzazioni sulla crescita economica aggregata; sulla produttività delle imprese; sulla ricerca e sviluppo; sulla finanza pubblica;
sulla qualità del governo.
2. Effetti sui consumatori/utenti dei servizi
Le imprese pubbliche privatizzate o di cui si propone la privatizzazione producono beni e servizi, quali l‟elettricità, i trasporti, l‟acqua
potabile, ecc. che interessano una vastissima platea di consumatori, praticamente la totalità dei residenti in un Paese. Quindi è
importante sapere in che direzione il benessere dei consumatori è influenzato dalle privatizzazioni. Il prezzo (al netto delle imposte)
è la variabile più importante che influisce sul benessere del consumatore. A questo riguardo, buona parte della letteratura empirica
non distingue adeguatamente fra privatizzazioni e apertura dei mercati alla concorrenza, chiaramente due tipi di riforma diversi,
come è dimostrato dal fatto che ci sono Paesi e settori aperti alla concorrenza in cui la maggior parte delle imprese di certi settori
sono pubbliche (ad es. i Paesi scandinavi per il settore elettrico), e Paesi dove le imprese sono private ma operano in regime di
concessione monopolistica (come il servizio idrico in Francia). Inoltre è fondamentale che l‟analisi non sia banalmente un confronto
di dati „prima‟ e „dopo‟ la privatizzazione, ma si tenga conto dei concomitanti cambiamenti tecnologici, che in alcuni settori sono stati
molto rilevanti (si pensi alle telecomunicazioni). L‟analisi empirica condotta dal nostro gruppo dell‟Università di Milano (analisi che
per alcuni settori ha crescente riscontro da parte di altri ricercatori) trova che le privatizzazioni nel settore elettrico sono correlate ad
aumenti dei prezzi in molti Paesi europei. Risultati analoghi li troviamo per il gas, e per alcuni servizi di telefonia, dove per altri servizi
troviamo effetti in direzione opposta. In sostanza, in modo più che prudente, si potrebbe dire che per il consumatore mediano le
privatizzazioni non hanno alcun impatto statisticamente misurabile sui prezzi.
Vi è però qualche evidenza che alcuni gruppi di consumatori, quelli a basso consumo (di solito correlato a basso reddito) hanno
chiaramente pagato prezzi più alti. Inoltre esaminando i dati campionari di Eurobarometro sulla soddisfazione dei prezzi per i
consumatori in Europa, si ha un riscontro: la soddisfazione è spesso maggiore nei Paesi con imprese pubbliche in posizione
dominante. Infine, alcune nostre ricerche sulla qualità dei servizi mostrano che, almeno nel caso elettrico, le interruzioni non
programmate aumentano con le privatizzazioni, presumibilmente concorrendo a determinare una minore soddisfazione dei
consumatori nei Paesi dove vi sono state privatizzazioni.
Non si può escludere che effetti benefici indiretti per i consumatori vengano dalla diminuzione dei prezzi dei servizi incorporati nei
prezzi di altri beni di consumo, dato che in generale i prezzi per le imprese in termini relativi sono cresciuti meno che per le famiglie,
ma si tratterebbe comunque di effetti minori. Nei Paesi in via di sviluppo i risultati sono probabilmente ancora meno favorevoli per i
consumatori, come mostrano lavori di altri gruppi di ricerca, ma il nostro campo di indagine principale è l‟Unione Europea. Non ci
occupiamo inoltre qui di privatizzazioni bancarie, di imprese manifatturiere, ed altre (per le quali le evidenze sistematiche sono
peraltro ancora inadeguate).
3. Effetti sui contribuenti
Lo studio approfondito del caso britannico, che è stato l‟archetipo delle privatizzazioni in Europa, conduce ad escludere che il
contribuente mediano abbia tratto beneficio dalle privatizzazioni e vi è semmai evidenza in senso opposto. In primo luogo, le
imprese sono state collocate in borsa a prezzi inferiori al loro potenziale valore di mercato, per forzarne il collocamento. Lo studio dei
rendimenti di borsa si effettua normalmente prendendo delle misure di rendimento totale opportunamente standardizzato e
2
Megginson W. L. & Netter J. M. (June 2001), „From State to Market: A Survey of Empirical Studies on Privatization‟, Journal of Economic
Literature, Vol. XXXIX pp. 321-389.
3
Megginson W. L. (2006), „The Great Divestiture: Evaluating the Welfare Impact of the British Privatizations, 1979-1997 by Massimo Florio‟ in
Journal of Economic Literature Vol. 44, No. 1, pp. 172-174.
4
rapportato ad un benchmark dato da un indice aggregato di tutti i titoli o dei principali titoli. Nel caso britannico, per molti dei settori
privatizzati si trovano rendimenti anormalmente più alti del benchmark che perdurano per molti anni, persino dieci anni. Si tratta di
una prova incontrovertibile di due effetti: la sottovalutazione iniziale dei beni venduti, e la successiva aspettativa del mercato che le
rendite connesse al potere di mercato delle imprese privatizzate sarebbero durate nel tempo, come in effetti è stato, costringendo
come è noto il governo Blair appena insediato ad una parziale correzione con una windfall tax sui sovrapprofitti. In diversi Paesi ci
sono stati fenomeni analoghi (ma non imposte straordinarie correttive), soprattutto - ma non solo - nelle ex-economie pianificate del
blocco sovietico, che fanno pensare anche che per una certa fase le privatizzazioni siano state una bolla speculativa, venuta meno
quando le condizioni del mercato finanziario si sono rivolte altrove o semplicemente si sono rivelate avverse.
Discuto brevemente in seguito la questione più generale dell‟effetto aggregato delle privatizzazioni sulla finanza pubblica. Mi sento
comunque di escludere che quando un bene che il mercato valuta 100 è venduto a 80 o meno, il suo proprietario virtuale, cioè il
contribuente, possa vedere migliorato il suo benessere.
4. Effetti sui lavoratori
Lady Thatcher nelle sue memorie è stata molto esplicita sul fatto che uno degli obiettivi delle privatizzazioni era mettere in ginocchio
il sindacato che nelle imprese pubbliche era particolarmente forte. Questo risultato è stato ottenuto, ma occorre notare due fatti. Il
primo è che la diminuzione dell‟occupazione nelle imprese pubbliche nel Regno Unito come in molti altri Paesi è un fenomeno che
precede nel tempo, a volte di diversi anni, le privatizzazioni, e quindi si tratta di ristrutturazioni condotte da management di nomina
pubblica. In secondo luogo, non si trova evidenza che le privatizzazioni abbiano inciso sui salari dei dipendenti, quanto piuttosto
sulle loro condizioni di lavoro. Nel complesso gli effetti sono stati quindi avversi ai lavoratori, ma forse meno di quanto si potrebbe
credere, quando si consideri che una serie di processi di esternalizzazione e di ristrutturazione erano stati avviati dalle stesse
imprese pubbliche.
Vi è invece evidenza incontrovertibile che piccoli gruppi di manager, non solo del top management, hanno ottenuto spettacolari
vantaggi retributivi nel passare dal settore pubblico a quello privato. In molti casi si è trattato esattamente degli stessi dirigenti e
quadri provenienti dalle ex imprese pubbliche (la cui qualità manageriale quindi per definizione è invariata ma retribuita in modo del
tutto diverso).
5. Gli azionisti
La contropartita automatica degli effetti avversi sui contribuenti derivanti dalla sottovalutazione delle imprese privatizzate è un
arricchimento degli azionisti privati, che hanno intascato ottimi capital-gains quando hanno rivenduto le azioni delle imprese
privatizzate, talvolta 24 ore dopo averle acquistate. La retorica del capitalismo popolare a riguardo è inconsistente. Nel Regno Unito,
come in molti paesi del Centro-Est Europa, i milioni di azionisti di cui si parla sono proprietari di portafogli azionari minuscoli, quindi
hanno goduto di trascurabili, anche se benvenuti, guadagni (un discorso molto diverso per spessore patrimoniale riguarda la
cessione a basso prezzo delle case popolari agli inquilini). Invece, guardando alla struttura della proprietà delle imprese, si può
concludere che fondamentalmente le privatizzazioni in molti Paesi hanno trasferito ricchezza dal contribuente mediano a due
categorie di investitori: investitori esteri e gestori di fondi. Il risultato paradossale è che imprese pubbliche trasnazionali, come EDF, il
quasi monopolio elettrico francese, sono diventate fra le maggiori beneficiarie della politica di privatizzazione britannica. In secondo
luogo, il management dei gestori di fondi (inclusi fondi pensione) è diventato il vero proprietario delle imprese. In altre parole, molto
spesso non si è avuto affatto il trasferimento del controllo delle imprese dal management di nomina pubblica al management di
imprese „private‟ (cioè con un gruppo imprenditoriale e industriale in posizione dominante), ma piuttosto ad un management
nominato da organismi finanziari. Le implicazioni e la desiderabilità di questo processo di finanziariazzazione della grande impresa
capitalistica, che peraltro non riguarda solo le imprese privatizzate, va oltre quanto qui posso discutere, ma occorre prendere atto
che molte delle asserite virtù della impresa privata sono riferibili a imprese industriali che non sono quelle che per lo più hanno in
effetti preso il controllo delle imprese privatizzate.
6. Effetti sulla crescita economica aggregata
Passando ad una prospettiva macroeconomica, si potrebbe ipotizzare che le privatizzazioni abbiano effetti non ben misurabili sui
singoli agenti, mentre sia misurabile l‟effetto aggregato che includa tutti gli effetti diretti e indiretti.
Di nuovo qui occorre cautela metodologica, perché ad esempio nelle economie ex-pianificate del Centro-Est Europa o nei Paesi
dell‟America Latina sono contemporaneamente successi molti cambiamenti e attribuire alle privatizzazioni la resurrezione
dell‟economia della Repubblica Ceca o la stabilizzazione del Cile è piuttosto azzardato. Il Paese dove la crescita è stata maggiore su
scala globale è la Cina, che benché abbia visto il fiorire dell‟impresa privata, anche di grandissime dimensioni, in realtà ha
privatizzato poco le sue imprese pubbliche maggiori, seguendo un percorso del tutto diverso dalla Russia negli anni ‟90. Una analisi
differenziale della crescita dei Paesi in America Latina o in Europa non suggerisce che siano cresciuti più velocemente quelli dove si
è privatizzato di più. Manca comunque un vero studio globale che consenta di giungere a conclusioni in questa prospettiva
aggregata. Nel caso che abbiamo più studiato a fondo, ancora una volta quello britannico, non esiste alcuna evidenza utilizzando
modelli econometrici standard che si sia verificato un effetto positivo sulla crescita attribuibile alle privatizzazioni. Tutti i modelli che
abbiamo testato rigettano l‟ipotesi di un duraturo impulso al tasso di crescita del Pil dei proventi delle privatizzazioni (come misura di
scala delle manovre).
5
7. Effetti sulla finanza pubblica
A completamento di quanto detto sopra sulla posizione del contribuente mediano, si può guardare al più ampio tema del concorso
che le privatizzazioni si suppone diano al miglioramento delle condizioni di finanza pubblica. L‟analisi di questo problema richiede
pazienza per esaminare diverse convenzioni contabili nazionali, ma un modo sintetico per qui riferirne è ancora ricorrere al caso
inglese. Prendiamo in considerazione un indicatore che alcuni Paesi hanno introdotto da diversi anni per tentare di cogliere sia il lato
delle attività che quello delle passività del bilancio pubblico. Invece di guardare al rapporto debito/Pil (a noi tristemente noto in Italia)
si considera il patrimonio netto del settore pubblico/Pil. Il patrimonio netto è la somma di attività e passività reali e finanziarie. È
esattamente ciò che si richiede ai bilanci delle imprese, ma bizzarramente non si richiede sistematicamente agli Stati. Nel caso
britannico il public-sector net worth è rilevato da molti anni. Negli anni 70, pur in presenza di difficili condizioni macroeconomiche, il
PSNW oscillava intorno al 70% del Pil. In altre parole, lo stato britannico „valeva‟, tutto considerato, quattro quinti del prodotto di un
anno del Paese. A partire dalla fine degli anni 80, mano a mano che progrediscono le privatizzazioni e contemporaneamente
crollano gli investimenti pubblici, si assiste ad una rapida decumulazione del patrimonio netto del settore pubblico, che alla fine del
periodo dei governi conservatori lo porta a valere meno di un quinto del Pil. Come ha scritto un autore non sospetto di antipatia
verso le privatizzazioni, David Newbery, il governo si è mangiato i proventi delle imprese che ha venduto (peraltro a basso prezzo
come si è detto)
4
.
La tesi recentemente sostenuta dai professori Giavazzi e Alesina
5
secondo cui privatizzazioni su larga scala potrebbero essere
risolutive della critica situazione della finanza pubblica italiana andrebbe esaminata alla luce di quanto sopra. Si può dimostrare che
persino una manovra estrema di cessione di gran parte del patrimonio pubblico nelle condizioni attuali di debito pregresso, tassi di
interesse reali, debolezza della crescita, e pur elevato avanzo primario, nel giro di poco più di dieci anni porterebbe le cose
esattamente dove sono ora. In altre parole, ci metteremmo abbastanza poco a mangiarci il patrimonio cumulato dallo Stato in
decenni e persino in secoli.
8. Effetti sulla efficienza delle imprese.
I risultati sulla produttività delle imprese sono forse i più sorprendenti. Un caso singolo che ho studiato a fondo è quello di British
Telecom, definita la „madre di tutte le privatizzazioni‟ (1984, con la cessione della maggioranza mediante collocamento sul mercato)
dagli autori che ho citato in apertura. Ho esaminato quaranta anni di bilanci pre e post privatizzazione, giungendo alla stupefacente
osservazione che il profitto lordo (ricavi meno costi operativi) di British Telecom era del 21,2% negli anni 1960-1969 (proprietà
pubblica gestita dal Ministero delle Poste) ed era del 21.2% trenta anni dopo nel periodo 1991-1999. La coincidenza fino ad un
decimale, nonostante tutto ciò che è cambiato nel frattempo, credo dica molto sul fatto che una grande impresa gestita
managerialmente e con un certo potere di mercato ha logiche proprie di controllo dei costi e dei ricavi e determinazione del margine.
Dato che un caso singolo, sia pure importante potrebbe non significare molto, in tempi più recenti, con un gruppo di ricercatori di
Milano siamo passati a studiare micro-dati di impresa in diversi Paesi, utilizzando database di bilanci aziendali quali Amadeus, Orbis
e Zephyr (BdV) che consentono di studiare grandi campioni. In un lavoro ancora non pubblicato relativo al settore della distribuzione
elettrica troviamo che in alcuni Paesi europei la produttività totale di fattori (TFP) è mediamente minore per l‟impresa pubblica, ma
che se si introducono variabili rappresentative della qualità delle istituzioni pubbliche, il risultato si rovescia. Dove i Paesi sono ben
governati, le imprese pubbliche sono più efficienti delle imprese private anche in senso strettamente produttivo. Su questo aspetto
torno in seguito.
In altri lavori recenti abbiamo trovato quanto segue:
a) se si prendono le prime duemila imprese del mondo della classifica di Forbes analizzata recentemente da alcuni
economisti OCSE
6
, circa il 10% sono a capitale pubblico per oltre il 50% (riteniamo che la quota di controllo sia spesso
peraltro molto minore e questo possa portare a una maggiore incidenza delle imprese pubbliche fra le prime del mondo):
queste grandi imprese pubbliche hanno un ROS (il rapporto fra utile e ricavi) significativamente maggiore di quelle private,
ROE circa uguale (rapporto fra profitti e capitale); e ROA inferiore (profitti sulle attività totali) perché hanno mediamente un
attivo molto maggiore dei privati.
b) Se si prendono le operazioni di mergers e acquisitions e si osserva il ROS degli acquirenti rispetto ai target nei quattro casi
rispettivamente di privati che acquistano privati, di privati che acquistano imprese pubbliche (ovvero privatizzazioni), di
imprese pubbliche che acquistano imprese private (ovvero pubblicizzazioni), o di imprese pubbliche che acquistano altre
imprese pubbliche, si trova che la differenza più alta di ROS fra acquirente e target si ha quando l‟acquirente è una
impresa pubblica
7
.
c) Concentrandosi sullo studio di 25.000 casi di acquisizioni negli ultimi dieci anni, indipendentemente dalla proprietà del
target, troviamo conferma che le imprese pubbliche acquistano imprese con un ROS significativamente inferiore al loro
8
.
4
Newbery D. (2003) „Che cosa può imparare l‟Europa dalle privatizzazioni britanniche‟ in Economia Pubblica, vol. 33:2, pp. 63-75.
5
Alesina A. e Giavazzi F., „Forza, vendete (e giù le tasse)‟, in Corriere della Sera, 5 novembre 2013.
6
Kowalski, P., et al. (2013), "State-Owned Enterprises: Trade Effects and Policy Implications", OECD Trade Policy Papers, No. 147, OECD
Publishing.
7
Clò S., Del Bo C., Ferraris M., Fiorio C., Florio M., Vandone D. (2014) „Publicization versus Privatization: Preliminary Findings 2000-2012‟,
CIRIEC working papers:
http://www.ciriec.ulg.ac.be/fr/telechargements/WORKING_PAPERS/WP14-03.pdf
8
Florio M. (2014), „The return of public enterprise‟, in Chavez D. And Torres S. (eds) Reorienting Development: State-owned Enterprises in Latin
America and the World, TNI Books, Amsterdam.
6
In altre parole gli acquisti di imprese private o pubbliche da parte di imprese pubbliche migliorano l‟efficienza del mercato per il
controllo societario sulla base della teoria standard della finanza che presuppone che l‟impresa più efficiente acquisti quella meno
efficiente.
9. Effetti sulla ricerca e sviluppo.
L‟evidenza su diversi Paesi e settori mostra che le imprese privatizzate investono in R&S generalmente di meno, talvolta molto di
meno, delle imprese pubbliche. Del resto questo è ciò che ci si deve aspettare se il management ha un orizzonte relativamente di
breve periodo nella ricerca di „valore per gli azionisti‟ quando i tempi di maturazione degli investimenti in ricerca sono lenti. La
retorica che vuole le imprese pubbliche sistematicamente meno efficienti di quelle private non trova fondamento nella realtà.
Telecom Italia, prima della sua privatizzazione, era stata una delle imprese europee più veloci nell‟introdurre le nuove tecnologie di
commutazione, la telefonia mobile, e i sistemi di compressione dei dati, ed era fra le migliori al mondo per capacità di
autofinanziamento, numero di linee per addetto, profittabilità e appunto investimento in ricerca e innovazioni a monte del suo
sistema di fornitura. Il confronto con l‟attuale Telecom Italia è impietoso. Si potrebbe dire che il caso italiano è anomalo, ma così non
è. Ovunque ci sia stata una privatizzazione, l‟assorbimento delle spese di ricerca sono cadute, come per il settore energetico ha
dimostrato Alessandro Sterlacchini
9
. Inoltre, Mariana Mazzucato
10
nel suo lavoro sullo stato innovatore ha demolito la ricorrente idea
che il management pubblico sia estraneo ai processi innovativi ed ha anzi fatto molti esempi in senso opposto. Ho ricordato altrove
11
come l‟impresa globale a più alta tecnologia del mondo, dove lavora una comunità scientifica di altissima qualità ed efficienza, è
un‟impresa pubblica europea, il CERN. L‟Economist, in un recente articolo, suggerisce che le grandi imprese private dovrebbero
studiare come funziona il CERN per apprendere il segreto di una organizzazione che dal top management ai giovani dottorandi,
opera quotidianamente sulla frontiera della conoscenza, risolvendo creativamente problemi tecnologici del tutto inediti, senza
ricorrere a stock-options per incentivare i risultati del management. Con il nostro gruppo e insieme al Dipartimento di Fisica
dell‟Università di Milano stiamo cercando di studiare questa organizzazione che nulla ha a che vedere con la finanza globale, eppure
è forse l‟impresa più globale e più innovativa del mondo, motivata esclusivamente dall‟obiettivo di produrre un bene pubblico puro: la
conoscenza (www.eiburs.unimi.it).
10. Effetti sulla qualità del governo.
Una tesi che viene spesso sostenuta è che le privatizzazioni, spazzando via le imprese pubbliche all‟interno delle quali alligna la
corruzione in varie forme, non possano che migliorare la qualità dei governi.
Il tema è per sua natura difficile, considerando che i dati sulla corruzione ovviamente non sono noti se non quando vengono appurati
da indagini giudiziarie. Tali indagini per una serie di ragioni abbastanza ovvie tendono a sottostimare alcuni fenomeni. L‟evidenza
aneddotica tuttavia dovrebbe quanto meno fare riflettere. Dal punto di vista di una impresa privatizzata operante in un mercato
regolamentato, non c‟è investimento con un tasso di rendimento più alto per euro speso di quello di corrompere il regolatore, o il
legislatore o il governo, o possibilmente tutti e tre i soggetti pubblici, per ottenere misure favorevoli. Gran parte della letteratura
conservatrice statunitense sulla cattura del regolatore non riguarda affatto le imprese pubbliche, ma le imprese private di quel paese.
Sistemi ben collaudati di revolving doors fra posizioni apicali nel settore pubblico e in quello privato regolamentato sono solo una
piccola parte delle questioni. L‟emergenza in Russia e in molti Paesi in via di sviluppo di oligarchie, spesso imparentate con i gruppi
che controllano i processi politici, che si appropriano delle immense rendite derivanti dal controllo delle risorse naturali privatizzate
dovrebbe suggerire una certa prudenza. Le considerazioni di Ernesto Rossi
12
molti anni fa meriterebbero di essere rilette per capire
quale forza corruttiva emani dall‟oligopolio privato in determinate situazioni. Sarebbe auspicabile che si calcolassero i costi sociali
relativi di diverse configurazioni della proprietà in mercati oligopolistici per vedere se l‟impresa pubblica nel suo insieme contribuisce,
contiene o è neutrale rispetto all‟incidenza della corruzione e quindi alla qualità complessiva dello Stato.
11. Conclusione
In un convegno dedicato alla ricostruzione di una cultura dello Stato, credo che sia decisivo chiedersi quale futuro dovrebbe avere
l‟impresa pubblica. La mia ipotesi a riguardo è che uno Stato che se ne privi totalmente o quasi ha vantaggi complessivi trascurabili
o nulli sotto il profilo della crescita e del benessere sociale aggregato, effetti distributivi e di finanza pubblica spesso avversi, ma
certamente incorre in rischi importanti sotto un profilo che sino ad ora credo sia stato poco considerato. Uno Stato che non abbia più
nella sua sfera le competenze professionali che derivano solo dal „saper fare‟, che non abbia ingegneri, medici, educatori, ricercatori,
tecnici, come avverrebbe inevitabilmente se passo dopo passo si privatizzasse ogni impresa pubblica industriale, ogni utility, ogni
azienda sanitaria e con logica consequenziale ogni istituzione scolastica e di ricerca, è in definitiva uno Stato di politici, di burocrati e
di poliziotti. A quel punto la profezia sia autoavvera: uno Stato del genere avrebbe dell‟economia e delle condizioni concrete della
società una visione indiretta e mediata, dovrebbe basarsi sulle informazioni che terzi non disinteressati gli forniscono per
determinare le proprie politiche. Sarebbe sottoposto a formidabili pressioni tese a deformarne ogni pretesa, peraltro sempre difficile,
di missione universalistica. Un organismo che tassa e reprime, ma non eroga servizi, non potrebbe essere uno Stato che i cittadini
sentano proprio, ed in un certo senso avrebbero ragione. Questo non è un argomento per dire che lo Stato debba produrre gelati e
9
Sterlacchini A. (February 2012), „Energy R&D in private and state-owned utilities: An analysis of the major world electric companies‟, in Energy
Policy, Vol. 41, pp. 494506.
10
Mazzucato M. (2014), Lo Stato Innovatore, Edizioni Laterza.
11
Florio M. (2014), „Stato, conoscenza e ricchezza delle nazioni‟, in "il Mulino" 3/2014, pp. 492-497.
12
Rossi E. (1962), Elettricità senza baroni, Laterza.
7
pomodori pelati. Ma è un argomento per dire che se non si comprende qual è la vera partita di carattere generale attorno al tema
delle privatizzazioni, non si ha una propria idea di Stato. Neppure nel senso di quella socialdemocrazia europea della prudenza, la
cui scomparsa preoccupava lo storico Tony Judt nella sua ultima lezione
13
.
13
Judt T. (2009) „What is living and what is dead in social democracy?‟, in New York Review of Books, 56:20.
8
Appendice bibliografica
La mia ricerca sulle privatizzazioni è riassunta principalmente in due libri:
M. Florio, (2004), The Great Divestiture. Evaluating the welfare impact of British privatisation 1979-1997, The MIT Press, Cambridge
(Mass.).
M. Florio, (2013), Network industries and social welfare: The experiment that reshuffled European utilities, Oxford University Press
USA.
Nel primo discuto costi e benefici sociali delle privatizzazioni britanniche. In quello più recente degli effetti sui consumatori di quindici
paesi UE delle privatizzazioni e liberalizzazioni nei settori dell‟elettricità, del gas, e delle telecomunicazioni.
Questi lavori sono stati preceduti da articoli in riviste internazionali, sottoposti a referaggio anomimo, che hanno coinvolto circa venti
coautori, spesso dottorandi e giovani ricercatori in Italia e all‟estero. Complessivamente oltre cento referees sono stati mobilitati dagli
editors delle riviste e delle case editrici per controllare il nostro lavoro empirico ed il confronto con la comunità scientifica è stato
importante per validare i nostri risultati. Senza dare qui la lista degli articoli e di tutti i coautori (spesso giovani e tutti molto
competenti, cui sono molto grato per avere corso il rischio di presentare con me risultati controcorrente), le riviste internazionali in
cui sono apparsi (in alcuni casi ripetutamente) nostri lavori includono: Annales d’Economie et Statistiques, Annals of Public and
Cooperative Economics, Applied Economics, Empirica, Energy Economics, Energy Economics and Environmental Policy, Energy
Policy, International Review of Applied Economics, Review of International Political Economy, Fiscal Studies, Journal of
Development Studies, Journal of Economics, Journal of Economic Policy Reform, Telecommunications Policy, Transport Policy.
Come guest editor ho coordinato tre special issues di riviste internazionali su questi temi, coinvolgendo numerosi studiosi sia come
autori che come referees: „Critical Issues in Public Enterprise Reform‟, Journal of Economic Policy Reform, Iss. 3.(2013); Public
enterprises and quality of institutions: alternatives to privatisation‟, International Review of Applied Economics, Vol. 27, Iss. 2. (2013);
The future of public enterprises: contributions to a new discourse‟, Annals of Public and Cooperative Economics, Vo. 82, Iss.
4.(2011).
Altri lavori sono apparsi in capitoli di libro e in volumi curati (fra cui un libro in corso di pubblicazione presso MIT Press, con Arnold
Picot, Nico Grove, Johan Kranz). In Italia ho pubblicato per dieci anni il capitolo sulle privatizzazioni in Il Rapporto di Finanza
Pubblica, edito da Il Mulino, e curato da Luigi Bernardi (fra il 1992 e il 2001); un numero speciale di Economia Pubblica che anticipa
The Great Divestiture (“Privatizzazioni e benessere: il caso britannico”, 2003), un altro fascicolo monografico su „I servizi pubblici e
l‟integrazione economica europea‟ in Economia Pubblica (2004), e numerosi altri articoli in riviste referate fra cui Politica Economica,
L’industria, QA Rivista dell’Associazione Rossi-Doria, Economia delle Fonti di Energia e dell’Ambiente, Democrazia e Diritto,
Meridiana, oltre a numerosi interventi di carattere divulgativo. Attualmente mi occupo del futuro della pubblica impresa in un progetto
(„The future of public enterprise. Mission, performance and governance: Learning from success and failures‟) promosso da CIRIEC
International (Centre International de Recherches et d'Information sur l'Economie Publique, Sociale et Coopérative), cfr. anche
www.publicenterprise.unimi.it e nel quadro di un Jean Monnet Network che include sei università europee.
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The privatization carried out under the Thatcher and Major governments in Britain has been widely (although not universally) considered a success, and has greatly influenced the privatization of state industries in the transition economies of Eastern Europe. Massimo Florio's systematic analysis is the first comprehensive treatment of the overall welfare impact of this broad national policy of divestiture. Using the tools of social cost-benefit analysis, Florio assesses the effect of privatization on consumers, taxpayers, firms, shareholders, and workers. His conclusion may be surprising to some; his findings suggest that the changeover to private ownership per se had little effect on long-term trends in prices and productivity in Britain and contributed to regressive redistribution. After historical and theoretical overviews of privatization and a look at macroeconomic trends in the Thatcher-Major era, Florio considers in detail the microeconomic effects of British privatization on several key groups. In successive chapters, he examines firms and productivity changes; shareholders' windfall gains and evidence of underpricing and outperformance in privatized companies; workers, management, and changes in industrial relations; consumers and the quantity and quality of goods after the change to public ownership; and taxpayers and the interplay between privatization and tax reform. He follows these chapters with a case study of British Telecom—significant not only because it was the largest divestiture of the period but also because of its influence on subsequent telecommunications privatization elsewhere. The final chapter considers the overall quantitative impact of the Thatcher-Major privatization on all sectors and its relationship with regulation and liberalization. The Great Divestiture not only offers an exhaustive analysis of the effects of the British process of privatization but also illustrates a method of inquiry and a testable research approach that could prove to be useful in similar studies of other countries.
The future of public enterprises: contributions to a new discourse
"The future of public enterprises: contributions to a new discourse", Annals of Public and Cooperative Economics, Vo. 82, Iss. 4.(2011).
Altri lavori sono apparsi in capitoli di libro e in volumi curati (fra cui un libro in corso di pubblicazione presso
  • Arnold Con
  • Nico Picot
  • Grove
Altri lavori sono apparsi in capitoli di libro e in volumi curati (fra cui un libro in corso di pubblicazione presso MIT Press, con Arnold Picot, Nico Grove, Johan Kranz). In Italia ho pubblicato per dieci anni il capitolo sulle privatizzazioni in "Il Rapporto di Finanza Pubblica", edito da Il Mulino, e curato da Luigi Bernardi (fra il 1992 e il 2001);
The future of public enterprise. Mission, performance and governance: Learning from success and failures") promosso da CIRIEC International (Centre International de Recherches et d'Information sur l
  • Di Economia Pubblica Che Anticipa The Great Divestiture
un numero speciale di Economia Pubblica che anticipa The Great Divestiture ("Privatizzazioni e benessere: il caso britannico", 2003), un altro fascicolo monografico su "I servizi pubblici e l"integrazione economica europea" in Economia Pubblica (2004), e numerosi altri articoli in riviste referate fra cui Politica Economica, L'industria, QA Rivista dell'Associazione Rossi-Doria, Economia delle Fonti di Energia e dell'Ambiente, Democrazia e Diritto, Meridiana, oltre a numerosi interventi di carattere divulgativo. Attualmente mi occupo del futuro della pubblica impresa in un progetto ("The future of public enterprise. Mission, performance and governance: Learning from success and failures") promosso da CIRIEC International (Centre International de Recherches et d'Information sur l'Economie Publique, Sociale et Coopérative), cfr. anche www.publicenterprise.unimi.it e nel quadro di un Jean Monnet Network che include sei università europee.