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TIZIANO GOMIERO
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WORKING PAPER
Anatomia di una bufala
“Mais geneticamente modificato, nessun rischio per la salute”
Una analisi delle notizie riportate dai media italiani in merito ai risultati
del lavoro di Pellegrino et al. 2018, e dei limiti del lavoro
10 marzo 2018
Tiziano Gomiero
Tiziano Gomiero si interessa di analisi integrata degli agroecosistemi, sviluppo rurale, agricoltura biologica, OGM,
agroenergie, ecologia umana, bioeconomia (economia ecologica), conservazione della biodiversità ed educazione
ambientale. Svolge attività di ricerca indipendente. Su queste tematiche ha pubblicato una sessantina di lavori, una
trentina dei quali come articoli scientifici su riviste internazionali.
https://www.researchgate.net/profile/Tiziano_Gomiero
https://scholar.google.it/citations?user=DjwZWUgAAAAJ&hl=en
https://www.scopus.com/authid/detail.uri?authorId=6507577820
Finanziamenti: La redazione di questo lavoro è stata svolta in maniera autonoma e indipendente senza alcun tipo di
finanziamento.
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commerciali.
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Indice
Introduzione
Parte 1. Notizie semanticamente modificate, ovvero bufale
1.1 Una scoperta eclatante, ma forse anche no
1.2 Il lavoro di Pellegrino et al. non parla di OGM e salute umana
1.3 La “scoperta” che il mais Bt è meno contaminato da fumosine: nulla di nuovo sotto il sole
1.4 Le aflatossine contaminano il mais Bt come il convenzionale: di questo non si parla
1.5 Bufale a contorno
1.5.1 Secondo i media sono stati analizzati 6000 lavori svolti in 21 anni di ricerca in tutto il
mondo: in realtà il lavoro di Pellegrino et al. ha usato i dati di soli 76 articoli
1.5.2 A La Repubblica non si sa il francese e si sbaglia la traduzione dell’articolo pubblicato
su Le Monde
1.5.3 Il caso del riso dorato (golden rice)
1.5.4 Il Foglio: “Solo due studi hanno dimostrato la pericolosità degli OGM, ed entrambi
sono stati ritrattati”
Box 1. Il caso di Árpád Pusztai e la difficoltà della ricerca indipendente
1.5.5 Il mais che importiamo: qualche chiarimento
1.5.6 Il signor Fidenato e le complesse implicazioni legali della coltivazione di colture GM
1.6 Riflessioni conclusive
Parte 2. Limiti del lavoro di Pellegrino et al.
2.1 Aspetti legati alla presentazione risultati
2.1.1 Il titolo dell’articolo non rappresenta chiaramente il contenuto del lavoro
2.1.2 Non si parla degli effetti del mais GM sulla salute umana
2.1.3 Il mais resistente agli erbicidi non è stato trattato dal lavoro anche se il titolo parla di
mais GM in generale
2.1.4 Il paradosso della biomassa: quale equivalenza?
2.2 Possibili distorsioni dei risultati
2.2.1 Meta-analisi: analisi dei risultati dei lavori vs analisi sull’aggregazione dei dati dei
lavori
2.2.2 L’aggregazione dei dati non tiene conto delle specifiche modificazioni genetiche
introdotte
2.2.3 Il ruolo del tempo
2.3 Limiti dei risultati: fumosine, micotossine e aflatossine
2.3.1 Ridotto numero di lavori considerati
2.3.2 Analisi dei risultati dei 4 lavori considerati
2.3.3 Micotossine: quale differenza?
2.3.4 Il caso delle aflatossine
2.3.5 Risultati obsoleti?
2.4 Valutazione della produttività
2.4.1 La scelta di alcuni lavori è discutibile
2.4.2 Sui lavori che confermerebbero tali differenze
2.4.3 Che dice l’Accademica delle scienze statunitense e la stampa USA
2.4.4 Aspetti economici: un importante indicatore non considerato
2.4.5 La paradossale situazione agro-socio-alimentare statunitense
Referenze
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Introduzione
Il 15 e 16 febbraio 2018 i media italiani ci hanno entusiasticamente fatto sapere che gli OGM sono
sicuri per la salute umana. Secondo i media, questo sarebbe il risultato a cui è giunta una nuova
ricerca, svolta da un gruppo italiano della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, pubblicata dalla
rivista Scientific Reports (Pellegrino et al., 2018), che avrebbe analizzato i risultati di ben 6.000
lavori scientifici (in realtà solo 76) prodotti nel mondo negli ultimi 21 anni (1996-2016).
Questo lavoro vuole fornire al lettore le informazioni che i media italiani hanno deliberatamente
travisato e omesso di riportare, e che gli esperti che avrebbero potuto, e soprattutto dovuto, si
sono ben guardanti dal correggere. Analizzerò inoltre i molti limiti del lavoro.
Questo documento si compone di due parti. La prima parte riguarda la natura della bufala, le
informazioni fornire dai media e cosa invece ci dice veramente il lavoro sul quale questa bufala è
stata costruita. La seconda parte analizza più in dettaglio alcuni aspetti problematici del lavoro e
dei suoi risultati.
Una analisi approfondita del lavoro richiederebbe la revisione dettagliata degli studi e dei metodi
usati. Questo richiede parecchio tempo. Tuttavia, credo che da una prima analisi del lavoro,
possiamo certamente smentire quanto riportato dai media e ravvisare degli importanti limiti del
lavoro stesso.
Parte 1. Notizie semanticamente modificate, ovvero bufale
1.1 Una scoperta eclatante, ma forse anche no
La lettura dei titoli dei giornali non lascia alcun dubbio, il lavoro dimostra definitivamente che il mais
GM non presenta alcun rischio per la salute umana. Passiamo in rassegna alcuni titoli (la notizia è
stata riprese tal quale anche dalle testate giornalistiche televisive).
• Repubblica (15/02). Mais ogm, lo studio italiano: nessuna evidenza di rischi per la salute.
• Corriere (15/02). Studio italiano rilancia il dibattito «Il mais Ogm non fa male alla salute».
• La Stampa (16/02). Ora ci sono le prove: il mais Ogm non è nocivo.
• Il Fatto (15/02). Mais ogm non è rischioso per salute umana e l’agricoltore Fidenato: “Ora
farò ricorso contro lo Stato”.
• Il Sole 24 Ore (15/02). Il mais Ogm è più «produttivo» e non presenta evidenza di danni alla
salute.
• Il Foglio (15/02). La scienza ribadisce che gli Ogm non fanno male, anzi. L'Europa si
aggiorni.
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• Le Scienze (mensile scientifico), il 16/02 (sito web). Il mais GM è sicuro e rende di più.
• Sky24 (15/02) Mais ogm, studio: nessuna prova di rischi per la salute.
Nei titoli leggiamo “mais OGM”, cioè “mais organismo geneticamente modificato”, sarebbe più
corretto scrivere “mais GM”, o meglio ancora “mais transgenico”. Ogni nuovo organismo è
geneticamente modificato rispetto ai predecessori. Il termine “transgenico” esprime meglio le
caratteristiche degli OGM, cioè il trasferimento di geni da specie diverse che non saprebbe
possibile in condizioni naturali (in realtà virus e batteri rendono questo processo possibile anche in
condizioni naturali, e questo dovrebbe essere una ragione di più per essere cauti con gli OGM).
Una notizia di tale, enorme rilevanza, val bene tanta enfasi, se fosse vera. Purtroppo si tratta di
una bufala. Che articolo scientifico abbiano letto i nostri giornalisti è un mistero. Basta leggere il
titolo e il sunto del lavoro per capire che gli effetti tossicologici si riferiscono solo alla presenza di
alcune micotossine (fumosine in particolare) non ai rischi posti dalla modificazione genetica.
Ovviamente, se la notizia fosse vera il lavoro sarebbe stato pubblicato su riviste ben più
prestigiose. Scientific Reports è certamente una rivista di buon livello, ma tra le riviste del gruppo
Nature, è la meno prestigiosa. Per avere un’idea, il fattore di impatto (indicativo del livello della
rivista, però non dei singoli lavori) di Nature è 40, per Nature communication è 11, per Scientific
Reports è 4. Se il lavoro fosse stato di maggior rilevanza sarebbe stato pubblicato almeno su
Nature communication, mentre se fosse vero quanto riportato dai media italiani sarebbe stato
pubblicato su Nature.
Che la “notizia” sia una bufala ce lo dice anche la risonanza internazionale avuta dal lavoro,
nessuna! Per i media stranieri “la notizia” non esiste. Il quotidiano britannico The Guardian, sempre
molto attento alle questioni ambientali, e che ha spesso pubblicato articoli favorevoli agli OGM, il
16/02 parla delle flatulenze delle vacche olandesi, una notizia che evidentemente considera molto
più rilevante del nostro articolo sul mais GM. Lo spagnolo El Pais, sempre molto favorevole agli
OGM, non parla del lavoro. La notizia non figura tra le notizie nemmeno nei quotidiani francesi e
tedeschi.
La notizia nei maggiori siti web pro OGM… Il sito della Monsanto (la maggior produttrice di mais
GM), non ne dà notizia. Il sito Genetic Literacy Project, forse il più importante sito di informazione
pro OGM (che si definisce fondato sui fatti scientifici), non ne parla. Il sito Biofortified (finanziato
dall’industria biotech), cita l’articolo e titola semplicemente e correttamente “Impatto del mais GM:
una meta-analisi” (Biofortified, 2018). La recensione che ne fa la stessa editrice del sito, Anastasia
Bodnar, non fa ovviamente alcun riferimento alla prova che il mais GM non nuoccia all’uomo, ma,
correttamente, parla solo della riduzione della presenza di alcune micotossine. L’editrice è critica
sui metodi comparativi adottati che non tengono conto delle diverse caratteristiche delle
modificazioni indotte (si veda la seconda parte per dettagli). Il sito Alliance for Science della Cornell
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University, apertamente schierato per la promozione degli OGM (finanziato dalla Bill & Melinda
Gates Foundation e da altri finanziatori pro OGM) ne dà invece ampio risalto (Alliance for Science,
2018).
1.2 Il lavoro di Pellegrino et al. non parla di OGM e salute umana
Lavori di revisione che trattano l’argomento specifico OGM e salute umana sono già stati
pubblicati. È bene specificare non sono mai stati fatti esperimenti sugli effetti degli OGM sulla
salute umana e che quando si parla di esperimenti si intende sempre su organismi animali o
colture cellulari (se si esclude un test sul riso dorato fatto su bambini cinesi, lavoro poi ritirato dalla
rivista per non aver rispettato il protocollo etico – sezione 1.5.3 per maggiori dettagli sul riso
dorato). Al momento non vi sono risultati conclusivi. Per riassumere i risultati al momento
disponibili possiamo far riferimento alla recente revisione della letteratura svolta da José Domingo
(Domingo, 2016), uno dei maggiori tossicologi spagnoli ed europei. Domingo conclude che 1) dai
lavori svolti sembrano non sussistere differenze tra prodotti GM e convenzionali, 2) i lavori svolti
fino ad ora sono però per la maggior parte di breve periodo (30-90 giorni), mentre sono necessari
test di lungo periodo per comprovare i risultati ottenuti, 3) al momento, i lavori di lungo periodo
danno risultati discordanti, 4) si hanno informazioni solo per mais, soia, riso, e pochi dati per il
frumento, mentre per altre colture GM (erba medica, colza, patate, barbabietola, pomodoro,
cicoria, mele, lino, piselli, zucchini, cetrioli, melanzane, papaya), non vi sono sufficienti informazioni
al riguardo. Domingo sottolinea che ogni varietà GM deve essere adeguatamente testata e che
non si possono trarre conclusioni generali da risultati ottenuti in test specifici, cioè che gli OGM
devono essere adeguatamente testati caso per caso, un punto su cui concordano molti esperti.
Altri autori (p.es. Tsatsakis et al., 2017) notano che dall’analisi degli studi comparativi, anche
quando le conclusioni riportano una equivalenza tra alimenti GM e convenzionali, sono spesso
presenti delle leggere alterazioni nei prodotti GM. Queste alterazioni non risultano statisticamente
significative ma sono presenti in maniera sistematica.
Per quanto riguarda il mais GM, un lavoro del 2013 del gruppo di Séralini pubblicato sulla rivista
Journal of Applied Toxicology (Mesange et al., 2013), ha scoperto che recenti varietà di mais Bt
(della Monsanto) sono citotossiche (tossiche per le cellule umana). Lo stesso gruppo di lavoro, nel
2016 ha pubblicato, sulla rivista Scientific Reports (Mesange et al., 2016), i risultati di una ricerca
sul mais NK603 tollerante al Roundup®, della Monsanto, nella quale sono stati trovati alterazioni
del metabolismo delle cellule umane con la produzione di sostanze potenzialmente tossiche per le
cellule. Questi lavori, come altri pubblicati nei negli ultimi anni (come per esempio l’importante
lavoro di Bøhn et al., 2014), indicando che le colture GM non sono “sostanzialmente equivalenti”
alle convenzionali (paradossalmente lo prova anche il lavoro di Pellegrino et al., se fosse vero che
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il mais Bt presenta una significativa differenza rispetto al mais convenzionale per quanto riguarda
la velocità di decomposizione della biomassa – sezione 2.1.4 per maggiori dettagli).
Il lavoro di Pellegrino et al. non fa riferimento ad alcuno degli articoli citati, né ad altri che hanno
davvero trattato il tema, e nemmeno al citatissimo (dai pro OGM) rapporto della Commissione
Europea (EC, 2010) che riassume i risultati dei progetti finanziati dalla Commissione sul tema degli
OGM (la maggior parte dei lavori però riguarda aspetti tecnici e legislativi). O Pellegrino et al. non
conoscono la letteratura al riguardo, o forse non hanno ragione di citarla dato che il loro lavoro
non si occupa di OGM e salute umana.
Il lavoro di Pellegrino et al. non tratta nemmeno il problema posto dalle varietà di mais GM
resistenti agli erbicidi (Bøhn et al., 2014; Mesange et al., 2016). È stato dimostrato che le colture
GM resistenti agli erbicidi accumulato tali erbicidi nella pianta stessa, parti eduli incluse
(Bøhn et al., 2014). Per cui, nel caso delle colture GM, l’erbicida si trova negli alimenti, non più
come residuo, come nel caso delle colture convenzionali trattate con pesticidi, ma direttamente
come parte stessa del prodotto. Questo pone dei seri problemi per la salute pubblica. Problemi che
non sono mai stati affrontati dalle istituzioni e dal settore biotech.
1.3 La “scoperta” che il mais Bt è meno contaminato da fumosine: nulla di nuovo
sotto il sole
Gli aspetti inerenti alla salute umana discussi dal lavoro di Pellegrino et al. (“la scoperta”),
riguardano in particolare la presenza di fumosine. Il lavoro ci informa che, da una complessa
analisi statistica di soli 19 dati risalenti a 15-20 anni fa, estrapolati dai 4 articoli presi in
considerazione (solo 4 lavori di qualità in 21 anni di ricerca a livello mondiale?), il mais Bt presenta
una minor (30%) concentrazione di fumosine rispetto al mais convenzionale. Nulla di nuovo sotto il
sole! Per le micotossine, notiamo che nel testo si riporta una differenza del 30%, mentre nel grafico
presente nell’articolo non notiamo alcuna differenza significativa.
1.4 Le aflatossine contaminano il mais Bt come il convenzionale: di questo non si
parla
La letteratura scientifica ci dice che per le aflatossine non vi sono differenze tra il mais Bt e quello
convenzionale. Però di questo non ci viene data notizia, né da Pellegrino et al., né dai media, né
dagli esperti. Il mais Bt è mais geneticamente modificato per resistere ad alcuni parassiti, come la
piralide, una nottua (farfalla notturna), le cui larve causano danni ai fusti e alla “pannocchia” del
mais (in realtà una spiga). Bt sta per Bacillus thuringiensis, un batterio del suolo che produce delle
tossine mortali per alcuni gruppi di insetti, come i lepidotteri (farfalle) e coleotteri (carabidi,
coccinelle, etc.). Alcuni parassiti del mais non sono sensibili al Bt per cui attaccano il mais
convenzionale quanto il mais Bt. Acari, afidi and altri gruppi di insetti come le cimici, possono
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anche aumentare nelle colture Bt, anche su varietà di mais GM ingegnerizzate per produrre ben
sei diversi tipi di tossine Bt (Fatoretto et al., 2017). Il mais Bt dovrebbe limitare i danni arrecati dai
parassiti sensibili al Bt, e ridurre il rischio di contaminazione del mais da parte di funghi
micotossicogeni pericolosi per la salute dell’uomo e degli animali da allevamento, che in particolari
condizioni climatiche-ambientali, possono contaminare le colture e quindi gli alimenti. Alcuni di
questi funghi, come quelli del genere Fusarium, che producono tossine note come fumosine,
colonizzano il mais grazie ai danni provocati dai parassiti. È noto dagli anni 90 che il mais Bt può
aiutare a ridurne la presenza di fumosine. Altri tipi di funghi, come quelli del genere Aspergillus,
che producono le pericolose aflatossine, colonizzano il mais anche senza bisogno del vettore, cioè
dei parassiti del mais (che siano o meno resistenti al Bt). È noto dagli anni 90 che il mais Bt è
molto meno efficace contro questo tipo di funghi, i quali contaminato in maniera simile il mais Bt
come il convenzionale (maggiori dettagli nella seconda parte).
1.5 Bufale a contorno
In alcune recensioni giornalistiche leggiamo altre curiose notizie, che immagino, secondo gli
estensori dei pezzi, dovrebbero servire a meglio educarci circa l’importanza degli OGM.
1.5.1 Secondo i media sono stati analizzati 6000 lavori svolti in 21 anni di ricerca in tutto il
mondo: in realtà il lavoro di Pellegrino et al. ha usato i dati di soli 76 articoli
Anche se nei titoli giornalistici si scrive che la meta-analisi copre 21 anni di ricerca (1996-2016), il
lavoro si basa sull’analisi di soli 76 lavori. Non molti visti i tanti criteri diversi che si cerca di
comparare. Infatti, alcune delle comparazioni si basano su pochi lavori, per cui hanno un valore
molto limitato.
Le Scienze scrive che l’articolo “… ha preso in esame la letteratura scientifica sottoposta a peer
review apparsa fra il 1996 e il 2016, per un totale di 6.006 pubblicazioni”, ma omette di dire che di
questi solo 76 sono stati selezionati per essere usati nell’analisi. Scrivono Pellegrino e colleghi “To
date, a considerable number of scientific articles on GE maize is present in the literature (6,006
publications examined). However, on the basis of the criteria adopted for data selection, only 76
publications were eligible for the meta-analyses” (trad. Ad oggi, in letteratura è presente un
considerevole numero di articoli scientifici sul mais GM (6.006 le pubblicazioni esaminate).
Comunque, sulla base dei criteri adottati per la selezione dei dati, solo 76 pubblicazioni sono
risultate idonee alla meta-analisi). Il Corriere riporta “Secondo una vasta analisi dei dati relativi a
21 anni di coltivazioni nel mondo”, Repubblica ci informa che lo studio “ha analizzato i dati sulle
colture dal loro inizio nel 1996 fino al 2016”, e Il Fatto “lo studio ha analizzato i dati sulle colture dal
loro inizio nel 1996 fino al 2016”, ma non ci dicono quante di queste analisi siano state usate (solo
76). La Stampa ci dice nel sottotitolo che i ricercatori hanno “incrociati i dati di oltre 6.000 articoli
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scientifici”, che però diventa “che hanno passato in rassegna 64 ricerche” nel testo (64 non è 76,
numero a caso?). Il Foglio e il Sole 24 Ore parlano invece di “11.699 osservazioni” (che sono però
i dati complessivamente ottenuti dai 76 lavori considerati), ma non ci dicono quanti lavori
sperimentali sono stati considerati. In questo tipo di analisi, la distribuzione dei dati nei lavori presi
in considerazione è una questione importate.
1.5.2 A La Repubblica non si sa il francese e si sbaglia la traduzione dell’articolo pubblicato
su Le Monde
Sulla rivista Scientific Reports, nel 2016, fu pubblicato un articolo nel quale si dava notizia della
scoperta che varietà di mais GM (mais NK603 tollerante al Roundup®, della Monsanto) causano
alterazioni del metabolismo delle cellule umane e la produzione di sostanze tossiche (Mesnage et
al., 2016, lavoro non citato da Pellegrino et al.). Di questo studio ne parla Repubblica nell’articolo
del 15/02, nella recensione del lavoro di Pellegrino et al. (2018). Repubblica cita il “coautore” di
tale lavoro, Bernard Salles, il quale, secondo Repubblica, intervistato da Le Monde, avrebbe
affermato che tali risultati non indicano comunque l’esistenza di problemi per la salute umana.
Anche qua ci chiediamo che articolo abbia letto il giornalista di Repubblica (che forse non ha visto
il lavoro originale del quale si parla), e siamo costretti a dubitare della padronanza, almeno a livello
basilare, delle lingue straniere da parte dei nostri giornalisti (e della conoscenza dell’esistenza del
traduttore di google, tra i molti disponibili). Bernard Salles non è coautore del lavoro di Mesnage et
al. (2016), come chiaramente riporta Le Monde, che scrive “… explique Bernard Salles, directeur
de l’unité de toxicologie alimentaire de l’Institut national de recherche agronomique (INRA), qui n’a
pas participé à l’étude” (Le Monde, 2016). In Francese “n’a pas participé” significa “NON ha
partecipato” (in francese la forma negativa è ne verbo pas, ne viene spesso scritto in forma
contratta n’). Nell’articolo originale Bernard Salles, dice certamente che i risultati non confermano
che il mais GM RR sia tossico per l’uomo, e che quanto trovato da Mesnage et al. può essere
dovuto alle differenze tra le varietà studiate, come dicono anche altri esperti (la variabilità tra le
varietà non è stata è stata considerata nel lavoro di Pellegrino et al.), ma dice anche che sono
necessari ulteriori studi per capire la portata della scoperta.
1.5.3 Il caso del riso dorato (golden rice)
Il Foglio introduce il pezzo rammentandoci la lettera del 2016 sottoscritta da 110 Nobel (107 nella
lettera originale, 131 ad oggi) nella quale si chiedeva a Greenpeace di smetterla con la sua
opposizione ideologica agli OGM che impedisce di salvare la vita a milioni di persone (Repubblica,
2016, lettera originale Support Precision Agriculture, 2016 – da notare che l’agricoltura di
precisione non ha nulla che vedere con gli OGM). La lettera si riferiva all’opposizione di
Greenpeace alla coltivazione del riso dorato, ingegnerizzato per produrre beta carotene (che dà al
riso il colore dorato), un precursore della vitamina A. La carenza di vitamina A è causa di molte e
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importanti alterazioni del metabolismo, tra le quali la compromissione della visione. Una prolungata
carenza di vitamina A può portare alla cecità e anche alla morte. La vitamina A è una vitamina
solubile nei grassi, per cui si accumula nell’organismo, ed è tossica se assunta in eccesso.
Tuttavia la realtà è ben diversa. Il riso dorato non è stato commercializzato semplicemente perché
la modificazione genetica ne aveva compromesso la produttività. Il riso dorato non poteva essere
coltivato dai poveri agricoltori asiatici, al momento almeno, perché date le basse rese avrebbero
rischiato di morire di fame (Eisenstein, 2014; Gomiero, 2017). Di questo problema ne aveva dato
notizia, nel 2013, lo stesso Istituto internazionale per la ricerca sul riso (IRRI) della Filippine, che
ha condotto i test (IRRI, 2018 – questa è la terza versione della pagina che dà la notizia, le pagine
con le precedenti versioni non sono più attive). La notizia è stata ripresa dalle maggiori riviste
scientifiche internazionali (per esempio Michael Eisenstein in Nature, 2014). Nelle Filippine, dove
si è testato il riso dorato, si coltivano da molti anni altri OGM. Per cui l’opinione di Greenpeace
sembra avere davvero poca importanza. La lettera si spiega come un modo per mascherare il
fallimento del progetto (almeno al momento). Un progetto durato un ventennio e costato centinaia
di milioni di dollari. Un fallimento che avrebbe potuto offuscare l’immagine degli OGM agli occhi del
pubblico. Greenpeace, quindi, è stata usata come capro espiatorio. Al momento non si hanno
nuove informazioni al riguardo, sembra che una nuova varietà sia pronta ma non sono stati
pubblicati studi al riguardo e si possono già ravvisare alcune problematiche nel caso di una sua
adozione su larga scala nel sub-est asiatico, che non sarebbe comunque possibile, come
idealizzato dai promotori del riso dorato, per le complesse condizioni agroecologiche del
continente, le centinaia di varietà coltivate e adattate alle specifiche località, nelle 2-3 stagioni
produttive in agroecosistemi molti diversi. Esperti nel campo della nutrizione, tra i quali
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (come Francesco Branca direttore del Dipartimento
Nutrizione e Salute dell’OMS) sostengono che il problema può essere affrontato più
adeguatamente aiutando le famiglie a coltivare vegetali e diversificando la dieta, e con la
distribuzione di supplementi vitaminici in capsule (al costo inferiore all’euro anno per bambino)
(Enserin, 2008; Grenier, 2014; Stone e Glover, 2016). Negli ultimi decenni, i paesi asiatici sono
riusciti a ridurre notevolmente l’estensione di questo problema, anche senza il riso dorato. Inoltre,
sono stati sviluppati mais e patate ricche in beta carotene in maniera tradizionale, in tempi molto
più brevi e a costi incredibilmente più contenuti. Varietà che non sono coperte da brevetti e che gli
agricoltori possono coltivare e scambiare liberamente.
1.5.4 Il Foglio: “Solo due studi hanno dimostrato la pericolosità degli OGM, ed entrambi
sono stati ritrattati”
Una digressione, ma che vale la pena fare. Il Foglio, in un articolo del 31 maggio 2016, ci “informa”
che “… gli unici due studi che dovrebbero dimostrare la pericolosità degli Ogm, quelli del francese
Gilles-Eric Séralini e dell’italiano Federico Infascelli. Ma entrambi i lavori sono stati ritirati”. Ma
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allora siamo in una botte di ferro, se fosse vero. Purtroppo anche qua le cose sono molto diverse.
Il lavoro di Infascelli va certamente biasimato (di lavori scientifici ne vengono ritirati parecchi,
anche da riviste prestigiose, per varie ragioni; nel 2017 in un colpo solo, una rivista ha ritirato 107
studi sulla biologia del cancro, perché la revisione scientifica dei lavori era risultata fasulla! -
Retraction Watch, 2017). Il lavoro di Gilles-Eric Séralini e colleghi è invece vivo e vegeto,
ripubblicato nel 2014 dalla rivista scientifica Environmental Sciences Europe (casa editrice
Spinger, una delle più importanti case editrici scientifiche, a comitato editoriale tedesco). È
allarmante che l’autore dell’articolo sia così poco informato, disinformandoci. Il lavoro di Séralini fu
ritirato, tra le proteste generali, quando al comitato editoriale della rivista arrivò un ex-collaboratore
della Monsanto, che lasciò l’incarico poco dopo il ritiro dell’articolo da parte della rivista (a missione
compiuta?). Nel 2016, dalla lettura della corrispondenza Monsanto, si è scoperto che la
multinazionale fece pressioni sulla rivista perché ritirasse l’articolo. Il prestigioso quotidiano
francese Le Monde, per l’occasione pubblicò un articolo in cui parlò di metodi scandalosi usati
dalle multinazionali per manipolare la conoscenza scientifica (Le Monde, 11 luglio 2016). Di lavori
pubblicati su importanti riviste scientifiche che ravvisano rischi nelle caratteristiche degli OGM, ve
ne sono decine. Il grande numero dei supposti lavori a favore degli OGM sono per la maggior parte
lavori sui metodi o di opinione, o esperimenti di breve periodo e su poche colture GM (Dominigo,
2016).
Box 1. Il caso di Árpád Pusztai e la difficoltà della ricerca indipendente
Il caso di Árpád Pusztai
Nel 1999, Árpád Pusztai lavorava da quasi 40 anni al famoso Rowett Institute, in Scozia. Pusztai
era il massimo esperto mondiale nel campo delle lectine (un gruppo di proteine che hanno un
importante ruolo nella comunicazione cellulare e per il sistema immunitario), con all’attivo quasi
300 lavori scientifici e una quindicina di libri. Negi anni 90 Pusztai era addirittura un sostenitore
degli OGM. La sua provata competenza gli permise di vincere un bando di ricerca pubblico per
testare una patata GM modificata con una lectina del bucaneve. Inaspettatamente, nei suoi test
incappò in un problema che lo fece ricredere sull’affidabilità di queste colture. Gli esperimenti
mostravano che ratti nutriti con alimenti comprendenti le patate GM erano affetti da problemi
all’intestino e al sistema immunitario. Sulle prime i dirigenti del Rowett Institute si congratularono
con Pusztai per il lavoro svolto (sottomesso per la pubblicazione a The Lancet, una delle più
prestigiose riviste scientifiche). Tuttavia una serie di telefonate portarono l’istituto a rivedere il
loro giudizio e a sospendere Pusztai su due piedi e quindi non rinnovare più il contratto di lavoro
(Guardian, 2008) (a due anni dalla pensione). Il lavoro di Pusztai fu duramente attaccato
addirittura della Royal Society. Si veda per esempio quanto pubblicato da The Lancet sullo
scambio di lettere tra Peter Lachmann e Ewen and Pusztai (Lachmann e Ewen and Pusztai,
1999). Pusztai per anni chiese che si ripetesse l’esperimento. Ovviamente, l’esperimento non fu
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mai più replicato. Data l’importanza del problema sollevato dal lavoro di Pusztai, sarebbe stato
molto più logico, e necessario, approfondire la ricerca, piuttosto che sbarazzarsene (di ricerca e
ricercatore). Comunque, l’articolo di Árpád Pusztai (Ewen e Pusztai, 1999), fu rivisto da sei
esperti e quindi pubblicato da The Lancet, e non è mai stato ritirato dalla rivista, un fatto che si
dimentica di ricordare. Va detto che di questi 6 esperti, 2 considerarono il lavoro malfatto, uno di
questi tuttavia espresse l’opinione che il lavoro si pubblicasse comunque per evitare che si
generassero dubbi sui motivi della non pubblicazione. Il secondo esperto, John Pickett, si
espresse invece per la non pubblicazione dell’articolo. Nel 2014 il Daily Mail scrisse che John
Pickett figurava tra gli autori di un rapporto “indipendente” che suggeriva al Governo Britannico
l’apertura alle colture GM, mentre come gli altri quattro autori di tale rapporto, Pickett era in forte
conflitto di interessi lavorando da tempo per le multinazionali del biotech (Daily Mail, 2014).
Pickett è stato anche responsabile al Rothamsted Research centre, del progetto per la
creazione di frumento GM (per la produzione di feromoni per repellere gli afidi), progetto svolto
tra il 2012-2015, tra le proteste generali, e costato 3 milioni sterline. Progetto fallito perché
nonostante il frumento producesse il feromone, gli afidi non sembravano curarsene (Cressey,
2015). L’editore della rivista The Lancet, inoltre, denunciò di aver ricevuto minacce da un
collega pro OGM, membro della Royal Society (del quale però non volle rivelare il nome), nel
caso avesse pubblicato l’articolo. La pubblicazione dell’articolo sarebbe costata all’editore il suo
posto di editore alla rivista (attraverso pressioni sulla casa editrice per la sua rimozione
dall’incarico). Data l’enorme reputazione scientifica dell’editore di The Lancet (la più importante
rivista medica a livello internazionale) una tale minaccia poteva essere lanciata solo se
supportata da una struttura di potere di altissimo livello. Secondo il The Guardian l’autore delle
minacce fu Peter Lachmann, membro della Royal Society e che al tempo lavorava con almeno
tre diverse società di biotecnologie (Guardian, 1999). Il caso Pusztai ha rappresentato anche
l’occasione per una lectio magistralis con la quale educare i giovani ricercatori sui nuovi modelli
di ricerca scientifica (se abbiamo fatto questo a lui immaginate cosa possiamo fare a voi). Sugli
OGM Pusztai ha scritto un libro che è stato tradotto anche in italiano (Pusztai e Bardocz, 2008),
dove parla anche del suo esperimento sulla patata GM. Oltre a Pusztai, anche altri ricercatori
hanno pagato per aver pubblicato risultati problematici sugli OGM.
La difficoltà di svolgere ricerca indipendente
Va detto che non è semplice svolgere ricerca indipendente in questo settore. Servono cospicui
finanziamenti e poter accedere a materiale certificato dai produttori di OGM. Non è facile che le
industrie concedano i loro semi certificati, e nel caso lo facciano richiedono la sottoscrizione di
un contratto che le pone in controllo dei risultati della ricerca. Il ricercatore che si interessi a
queste problematiche può rischiare di crearsi inimicizie a livello accademico. Le università sono
sempre più dipendenti dai finanziamenti privati. Le carriere dei ricercatori, e il loro potere in seno
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all’accademia, sono legate ai finanziamenti che riescono ad attrarre (la possibilità di partecipare
ai brevetti e ciò che ne consegue è un altro aspetto che può spingere verso una
sopravalutazione dei benefici degli OGM). Le industrie biotech investono somme notevoli nelle
università, sia in ricerca, ma anche nella creazione di nuove strutture e opere di mecenatismo.
Le stesse industrie possono rappresentare degli ambiti posti di lavoro per i ricercatori e/o per le
loro consulenze. Vi possono essere quindi delle forti pressioni a livello accademico su eventuali
ricercatori che potessero mettere a rischio la benevolenza dei potenziali investitori (che se non
investono nella nostra università investono nella nostra concorrente). La necessità di attirare
fondi, e specifici accordi contrattuali stilati con i finanziatori, possono indurre i ricercatori a non
pubblicare risultati problematici, o a strutturare dei programmi di ricerca che evitino il rischio di
imbattersi in tali risultati. L’estrema precarizzazione del lavoro di ricerca (oramai una tendenza
comune ovunque) di certo non incoraggia i giovani ricercatori a mettere in discussione l’utilità o
la sicurezza di tali tecnologie. Con la pubblicazione di un lavoro non condiviso dai finanziatori
della sua istituzione, o dal potere accademico, un ricercatore precario potrebbe facilmente veder
svanire sogni di carriera e il rinnovo del contratto. Ma non solo i giovani ricercatori precari, come
abbiamo visto!
Ingerenze delle multinazionali del biotech nei risultati della ricerca
Con l’aumentare del potere economico delle multinazionali del biotech, la loro influenza sembra
farsi sempre più pensate sia in ambito accademico che istituzionale (Gomiero e Di Donato,
2017). Nel 2017 ha destato scandalo la scoperta che un articolo “scientifico” che screditava il
rapporto dello IARC, l’agenzia specializzata per il cancro dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità, sulla probabile cancerogenicità del glifosato, fosse stato commissionato e manipolato
dalla Monsanto, e pubblicato come lavoro “scientifico” indipendente a firma di un team di stimati
scienziati, i quali 1) hanno accettato la commissione del lavoro da parte di una agenzia di
consulenza contrattata dalla Monsanto allo scopo specifico di screditare il lavoro dello IARC, 2)
hanno accettato che la Monsanto mettese mano al lavoro senza che questo fosse dichiarato
nell’articolo (Bloomberg businessweeek, 2017). Un altro caso del genere è stato scoperto in un
lavoro sul gifosato del 2011, un lavoro svolto in buona parte da una ricercatrice della Monsanto,
che poi non è apparsa tra gli autori per far risultare il lavoro come svolto da ricercatori
indipendenti (Bloomberg businessweeek, 2017). Capire perché stimati scienziati accettino di
partecipare a imprese del genere sarebbe una interessante questione per un lavoro di ricerca.
Una ingerenza dell’industria che pare sia stata replicata anche nel rapporto sul glifosato prodotto
dell’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare (Guardian, 2017; Il Salvagente, 2017;
Horel e Foucart, 2017). Tutta la documentazione sul ruolo della Monsanto nel condizionare la
scienza e le istituzioni pubbliche è disponibile al sito The Monsanto Papers (2017). Mentre nel
sito www.poisonpapers.org sono depositati migliaia di documenti sulla storia dell’industria
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chimica e agrochimica negli USA (The Poison Papers, 2018). Sulla storia del glifosato nel 2017
la giornalista investigativa Carey Gillam ha pubblicato il libro “Whitewash. The Story of a Weed
Killer, Cancer, and the Corruption of Science” (Copertura. La storia di un erbicida, del cancro, e
della corruzione della scienza), che speriamo qualche editore italiano proponga ai nostri lettori.
1.5.5 Il mais che importiamo: qualche chiarimento
Sul Corriere leggiamo anche l’intervento del prof. Defez, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ci
dice che “Ma dato che non coltiviamo Ogm, nel 2018 importeremo un miliardo di euro di mais
dall’estero, in parte geneticamente modificato”. Anche il Sole 24 Ore ci informa della nostra
dipendenza dal mais importato. Il prof. Defez è un sostenitore entusiasta del mais GM e delle
colture GM in generale. Il prof. Defez non si cura di spiegare l’errata interpretazione dei risultati del
lavoro da parte dei quotidiani. Alcune precisazione sul mais che l’Italia importa e sul mais italiano.
(1) La maggior parte del mais che l’Italia importa, lo importa da Francia, Ucraina, Ungheria
e altri paesi dell’est, ed è mais convenzionale (non GM). Evidentemente tali paesi non
hanno alcun problema a produrre mais convenzionale, anche se potrebbero coltivare mais
GM. In Spagna, unico paese europeo dove si coltiva mais GM, dal 2012 non si registrano
aumenti di superficie coltivata a mais GM (il 15-25% dell’area totale coltivata a mais, non si
conosce la reale superficie coltivata a mais GM dato che il governo usa delle stime sulla
semente venduta non sull’area effettivamente coltivata). La comunità autonoma di Aragona,
la più importare regione spagnola per la produzione di mais GM, negli ultimi anni ha visto
l’area coltivata a mais GM diminuire di un 20%. Il monitoraggio condotto dal 2010 non
segnala una maggior produttività del mais GM rispetto al convenzionale (Gobierno de
Aragon, 2017). In Repubblica Ceca, anni fa alcuni agricoltori iniziarono a coltivare mais
GM (sotto la spinta anche del governo ceco). La coltivazione di mais GM è stata quindi
abbandonata dagli agricoltori per le basse rese economiche delle colture GM (medesime
rese ma maggiori costi).
(2) La diminuzione della produzione di mais in Italia è dovuta a vari fattori. Per esempio, i
bassi prezzi dei prodotti agricoli e le piccole dimensioni delle aziende agricole Italiane che
rendono poco remunerative le colture cerealicole. È noto che il settore agricolo soffre del
paradosso delle produttività, più aumenta la produzione più diminuisce il reddito degli
agricoltori. A fronte dei costi fissi costanti o in crescita, l’alta produttività riduce
drasticamente il prezzo dei prodotti sui mercati, e l’aumento della produttività può non
bastare a compensare la caduta dei prezzi (nonostante i sussidi pubblici).
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A volte vi sono anche precise responsabilità istituzionali, per esempio quando si impongano
agli agricoltori europei delle giuste regolamentazioni per la salvaguardia della salute del
consumatore e dell’ambiente, che però non sono fatte rispettare ai paesi dai quali
importiamo tali prodotti. Un esempio, in Canada, sui cereali si possono usare erbicidi in
fase di pre-raccolta, per velocizzare e omogenizzare la maturazione della coltura, in Europa
giustamente no. Però si permette che si importi frumento dal Canada trattato con erbicidi,
un evidente caso di concorrenza sleale che mette a rischio la salute dei consumatori (senza
che questi beneficino nemmeno una riduzione dei costi dei prodotti).
(3) La questione micotossine non sarà risolta dal mais Bt, che non protegge il mais dai
funghi del genere Aspergillus, i quali producono le pericolose aflatossine, dato che tali
funghi si propagano nel mais anche senza vettore (i parassiti del mais come la piralide).
Inoltre, vi sono parassiti del mais che non sono sensibili alle tossine Bt. La monocoltura
intensiva di mais Bt porterà comunque allo sviluppo di popolazioni di parassiti resistenti al
Bt, come è successo negli USA, dove le infestazioni di funghi micotossicogeni nel mais GM
sono diffuse.
(4) Dovremmo piuttosto ridiscutere i modelli produttivi, come il perpetuarsi della
monocoltura intensiva di mais su larga scala, o il susseguirsi di colture cerealicole. Dato
che ciò porta all’accumulo delle spore fungine nel terreno, che infettano le colture
cerealicole successive. Le colture GM resistenti agli erbicidi sono state promosse anche
per permettere di evitare l’aratura del terreno, quindi come pratica conservativa.
Certamente arature profonde, usate per contrastare il diffondersi delle malerbe, impattano
fortemente sulla struttura del suolo e sarebbero da evitare. Tuttavia le pratiche di non
lavorazione non sono immuni da problemi, come ad esempio la compattazione del suolo.
Un problema importante è, appunto, l’accumulo di spore fungine e altri parassiti nel suolo,
un rischio che può essere ridotto di molto da una minima lavorazione del suolo, cioè
dall’interramento dei residui colturali, e per questo basta una lavorazione dei primi dieci
centimetri di suolo. Vanno studiate strategie di difesa delle colture basate su approcci
agroecologici, anche in risposta al mutare delle condizioni climatiche, e si può lavorare su
varietà che sono naturalmente più resistenti alle micotossine. È noto che differenti varietà di
mais hanno un diverso livello di resistenza ai parassiti, e alcuni esperti suggeriscono di
lavorare di più sullo sfruttamento delle caratteristiche di queste varietà.
1.5.6 Il signor Fidenato e le complesse implicazioni legali della coltivazione di colture GM
Il Fatto accenna alla possibilità che il signor Fidenato faccia ricorso contro lo stato per avergli
impedito di coltivare il mais GM. Magari prima sarebbe utile chiarire gli aspetti legali implicati nella
coltivazione degli OGM. Stando alle sentenze emanate in nord America una industria biotech può
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entrare nei campi di qualunque agricoltore senza alcun permesso, raccogliere campioni di prodotto
e verificare se siano OGM di sua proprietà. Se trova i “suoi geni” l’agricoltore deve pagare le
royalties. Anche nel caso in cui il campo sia stato contaminato dal vicino! Per cui, se il signor
Fidenato contaminasse i vicini col suo mais GM, potremmo cadere nel paradosso che non solo il
signor Fidenato non risponderebbe per il danno che causa, ma li costringerebbe addirittura a
pagare delle multe alle industrie bioetch. Le nuove varietà di soia GM coltivate negli USA, sono
resistenti a erbicidi molto volatili che possono danneggiare le colture limitrofe non GM a causa
dell’effetto deriva (la dispersione dei pesticidi usati per i trattamenti nelle arre limitrofe alle zone
trattate, giornate ventose posso trasportare tali prodotti a chilometri di distanza). Di questi danni
non risponde nessuno (danni che negli USA sono stati causa addirittura di sparatorie tra
agricoltori, col morto). Non solo, la Monsanto sta tentando di fare pressioni per proibire ad alcuni
stati di bandire l’uso di tali pericolosi erbicidi, la cui adozione da parte di alcuni agricoltori
obbligherebbe tutti gli altri a usare colture GM della Monsanto (quando ciò fosse possibile) per non
avere i loro raccolti distrutti dai fenomeni di deriva a cui i nuovi erbicidi vanno incontro (mentre per
colture che non resisto a questi erbicidi non c’è scampo). Credo quindi che prima di parlare di
liberalizzazione degli OGM sia necessario chiarire queste complesse questioni.
1.6 Riflessioni conclusive
Rispetto alle controparti europee le nostre testate giornalistiche non eccellono certo per la
copertura dei temi tecnico-scientifici e la qualità del trattamento dell’informazione. Tuttavia, il livello
di negligenza a cui abbiano assistito in questi giorni è indegno di un paese civile, e ci può far
sospettare di essere di fronte ad un vero e proprio piano di disinformazione di massa. Qualcuno ha
giustamente fatto notare che nel lavoro non si parla di sicurezza degli OGM per la salute umana
(come Gianni Tamino, intervistato da Il Salvagente), ma ciò non è servito, ovviamente, a indurre i
media a riformulare correttamente la notizia (se mai l’articolo di Pellegrino et al. potesse
rappresentare una notizia). Rattrista vedere come i mezzi di comunicazione italiani dimostrino tale
disprezzo per i cittadini, per i loro lettori e per la verità. Rattrista anche vedere come il nostro
sistema accademico non si sia preoccupato di intervenire per chiarire la questione, ma l’abbia
attivamente cavalcata. Un triste momento per la l’informazione e la scienza italiana.
Il dibattito sugli OGM infervora la discussione pubblica da almeno un ventennio. Da un lato c’è chi
vede negli OGM una sorta di panacea in grado di risolvere i problemi del mondo: “il gene magico”.
Dall’altra chi crede che i problemi siano molto più complessi della semplicistica narrazione fatta dai
promotori delle biotecnologie, e che crede che la deregolamentazione degli OGM non sia il corretto
approccio per risolvere tali problemi. I critici ritengono, inoltre, che tali narrative, più che fondate
sulla reale utilità degli OGM per la società, possano piuttosto trovare una giustificazione in interessi
di parte. Sappiamo che vi sono enormi interessi economici in gioco, e il comportamento dei tecnici
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del DNA (gli scienziati sono altra cosa) non aiuta a rassicurarci circa la loro supposta neutralità
scientifica.
Come tutte le tecnologie, anche le biotecnologie possono essere utili. E lo sono, l’insulina, per
esempio, è da tempo prodotta da batteri GM. Nemmeno i più acerrimi critici delle biotecnologie si
oppongono al loro uso in campo biomedico, sempre che si rispettino l’etica e la volontà delle
persone. Ma cosa ben diversa è infarcire le colture, su scala planetaria, di farmaci e vaccini, come
entusiasticamente proposto dai biotecnologi negli anni 2000, accecati dal mito del “gene magico”
(e forse dai potenziali investimenti delle multinazionali e possibili ricavi dalle royalties dei brevetti).
Vi sono serie ragioni per essere critici sull'uso che si sta facendo delle biotecnologie in campo
agricolo. Sappiamo, per esempio, che le colture resistenti agli erbicidi hanno portano all'aumento
dell’uso degli erbicidi e al loro accumulo nelle colture. Sarebbe logico, quindi, discutere la messa al
bando di tali colture GM. Si è fatto l'esperimento, si è capito che queste colture non funzionano,
ora basta. Insistere su questo tipo di colture GM non può che avere come unica ragione il profitto
privato a discapito della salute pubblica. Ritengo che il fatto che i biotecnologi non si curino di
questa problematica sia di per sé un serio problema.
La fiducia dei cittadini nei media e nelle istituzioni è a livelli minimi. Cercare di promuovere gli OGM
attraverso la disinformazione mediatico-istituzionale, come quella organizzata in concomitanza con
la pubblicazione di Pellegrino e colleghi, non può che aumentare la sfiducia dei cittadini verso i
promotori delle biotecnologie, evidentemente disposti a tutto per raggiungere i loro obbiettivi, verso
i media, che si prestano ad essere il braccio operativo di questo processo di disinformazione, e
verso le istituzioni scientifiche, che col loro tacere ne diventano complici. La fiducia è vero collante
che tiene insieme una società. La gravità di questi comportamenti è molto maggiore di quello che
si potrebbe supporre, perché mina le fondamenta stesse della società e ne compromette la
governabilità. Quando i cittadini si oppongono alle vaccinazioni o a una qualche indicazione
istituzionale, non lo fanno per ignoranza o perché non credono alla scienza, ma perché non
credono agli scienziati e ai rappresentanti delle istituzioni, perché non ne hanno più fiducia.
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Parte 2. Limiti del lavoro di Pellegrino et al.
Una valutazione approfondita della ricerca richiede di visionare i lavori considerati e i metodi di
analisi usati. Questo richiede parecchio tempo e un lavoro ad hoc. Tuttavia dalla lettura dell’articolo
e di alcuni dei lavori citati, si possono individuare varie problematiche. Alcuni dei limiti del lavoro
sono stati riconosciuti dagli stessi autori. Nelle conclusioni, Pellegrini et al. fanno presente che
sono ancora pochi lavori sperimentali svolti adeguatamente e secondo criteri standardizzati. In 20
anni di ricerca internazionale, questa dovrebbe essere una informazione interessante e molto
preoccupante allo stesso tempo. Inoltre, gli autori dichiarano che dato il numero limitato di studi
considerati, il lavoro non è in grado di provare, per esempio, se il mais GM Bt riduca o meno l’uso
dei pesticidi.
2.1 Aspetti legati alla presentazione risultati
2.1.1 Il titolo dell’articolo non rappresenta chiaramente il contenuto del lavoro
L’articolo titola: “Impact of genetically engineered maize on agronomic, environmental and
toxicological traits: a meta-analysis of 21 years of field data” (trad. Effetti agronomici, ambientali e
tossicologici del mais GM: una meta-analisi di 21 anni di dati). La lettura del lavoro ci fa capire però
che nonostante il gran numero di obbiettivi, sono stati pochi i lavori considerati (solo 76 quelli
usati). Il mais GM per la resistenza agli erbicidi non è stato considerato. Gli aspetti tossicologici si
riferiscono solo alla presenza di alcune micotossine (le aflatossine non sono state considerate,
nonostante la loro rilevanza), per cui usare il termine generico di “toxicological traits” è scorretto.
Non vi sono risultati su importanti questioni agronomiche come l’uso dei prodotti agrochimici. Un
titolo più corretto avrebbe potuto essere “Mais Bt: una meta-analisi su alcuni aspetti agronomici e
ambientali, e sul contenuto di alcune micotossine”.
2.1.2 Non si parla degli effetti del mais GM sulla salute umana
Il lavoro di Pellegrino e colleghi o non conosce, o evita di citare, i recenti risultati sugli effetti del
mais GM sulle cellule umana. Un lavoro del 2013 del gruppo di Séralini pubblicato sulla rivista
Journal of Applied Toxicology (Mesnage et al., 2013), ha scoperto che recenti varietà di mais Bt
(della Monsanto) sono citotossiche (tossiche per le cellule umana). Lo stesso gruppo di lavoro, nel
2016 ha pubblicato, sulla rivista Scientific Reports, i risultati di una ricerca sul mais NK603
tollerante al Roundup®, della Monsanto (Mesnage et al., 2016), dove sono stati trovati alterazioni
del metabolismo delle cellule umane con la produzione di sostanze potenzialmente tossiche per le
cellule. Questi lavori (che non sono citati da Pellegrino et al.), come altri pubblicati nei negli ultimi
anni, indicando che le colture GM potrebbero non essere poi così “sostanzialmente equivalenti”
alle convenzionali.
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2.1.3 Il mais resistente agli erbicidi non è stato trattato dal lavoro anche se il titolo parla di
mais GM in generale
Il lavoro analizza solo le varietà di mais GM ingegnerizzate per la produzione della tossina Bt, per
la resistenza alla piralide e altri insetti. Non sono invece considerate le varietà ingegnerizzate per
la resistenza agli erbicidi. Per cui il lavoro non può dirsi completo. Come abbiamo visto, le colture
GM resistenti agli erbicidi accumulano tali erbicidi anche nei semi e prodotti della pianta che poi
entrano nella catena alimentare.
2.1.4 Il paradosso della biomassa: quale equivalenza?
Nel caso della perdita di biomassa, unico indicatore con differenza significativa per il criterio
decomposizione biomassa, ci troviamo di fronte a un paradosso. Da un lato, vediamo che per la
comparazione sono stati usati solo 6 dati provenienti da test con una durata che varia dai 5 giorni a
un anno e mezzo, svolti in condizioni molto diverse e che includono diverse tipologie di mais Bt,
per cui è dubbio che una tale comparazione possa avere una qualche validità statistica. Dall’altro,
se fosse provato il sussistere di una tale differenza dovremmo concludere che il mais Bt non è
sostanzialmente equivalente al mais convenzionale, ma che il mais Bt ha subito delle alterazioni
composizionali che ne determinano un differente processo di decomposizione. Questo aspetto non
è stato discusso dagli autori.
2.2 Possibili distorsioni dei risultati
I lavori di questo tipo sono assai complessi da intraprendere. Pellegrini et al. osservano che
mentre vi sono parecchie revisioni della letteratura, ci sono pochissime meta-analisi. Questo non è
un caso! Fare delle rigorose meta-analisi è molto difficile. Più delle tecniche di analisi statistiche, i
risultati, infatti, dipendono dalla scelta del campione di lavori che verrà analizzato. E come
scegliere il campione non è cosa semplice. Attraverso la selezione della letteratura, ad una meta-
analisi possiamo far confessare qualsiasi cosa. Di seguito alcuni dei problemi che dobbiamo
affrontare in questo tipo di analisi e che sono presenti nel lavoro di Pellegrini e colleghi.
2.2.1 Meta-analisi: analisi dei risultati dei lavori vs analisi sull’aggregazione dei dati dei
lavori
Nell’usare i dati dei lavori, invece che i risultati dei lavori (che sono comunque stati svolti con rigore
statistico), potrei trovarmi con molti dati provenienti da pochi lavori, svolti magari da uno stesso
gruppo di ricerca, nello stesso posto (stessi campi sperimentali), in un breve lasso di tempo.
Questo ovviamente porta a una distorsione dei risultati, dato che un singolo contesto spazio-
temporale può essere sovra rappresentato rispetto agli altri. I risultati quindi non possono essere
rappresentativi di condizioni generali. Per ovviare a questi inconvenienti, Pellegrino et al. usano
complessi metodi statistici che introducono dei pesi sul valore dei dati proveniente dai diversi
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lavori. Ma questo complica l’analisi e non può comunque tener conto dell’alta variabilità delle
condizioni in cui si sono svolti i test.
Per esempio, per il caso delle fumosine, gli autori hanno usato i dati trovati in 4 articoli scientifici
per compilare un nuovo database. In due di questi vi sono state infestazioni artificiali e i lavori sono
stati svolti in condizioni molto diverse. Un lavoro riporta una differenza a favore del mais Bt (minor
presenza) in un grosso set di test, ma non in un altro set di test più piccolo. Considerando i risultati
dei lavori, le conclusioni potrebbero essere diverse, per esempio che in alcuni casi il Bt può
proteggere dal Fusarium (cosa nota), in altri meno. Rimane l'incognita di come avrebbero risposto
le colture nei due test che sono stati artificialmente manipolati dai ricercatori se non vi fossero state
manipolazioni.
La complessità di analisi di questo tipo è confermata dalla complessa elaborazione statistica che
gli autori hanno dovuto adottare (con l’attribuzione di pesi per il diverso numero di test condotti,
l’eterogeneità dei risultati etc.). Complessità statistica che però non può, per esempio, tener conto
delle differenti conduzioni di alcuni esprimenti, infestazioni naturali e infestazioni artificiali, o delle
differenze temporali dei lavori, delle diverse località e condizioni agroecologiche in cui tali lavori si
sono svolti. Per questo le meta-analisi fanno più frequentemente riferimento ai risultati dei singoli
lavori e non a rielaborazioni dei dati aggregati dei loro database. Questo è un problema dato che le
conclusioni a cui possiamo pervenire potrebbero essere diverse a seconda che si considerino i
risultati dei lavori o si faccia riferimento al database aggregato dei dati.
2.2.2 L’aggregazione dei dati non tiene conto delle specifiche modificazioni genetiche
introdotte
Anastasia Bodnar, nella sua recensione del lavoro nel sito Biofortified, critica il lavoro per non aver
distinto i differenti tipi di modificazioni genetiche introdotte nel mais GM, ognuna delle quali ha
benefici e problemi. Trattare le varietà di mais GM, senza distinguere le specifiche modificazioni
genetiche che le caratterizzano, scrive la Bodnar, può indurre delle distorsioni sistematiche (“bias”
in inglese) nell’analisi dei risultati. La medesima questione fatta notare da Bernard Salles per il
lavoro di Mesnage et al. (2016), e che Repubblica riporta, senza rendesi conto che la questione
vale anche per il lavoro di Pellegrino e colleghi.
2.2.3 Il ruolo del tempo
L’uso di referenze molto datate, specialmente in agro-ecologia, può mascherare gli effetti co-
evolutivi che hanno naturalmente luogo in natura, per esempio lo sviluppo della resistenza da parte
dei parassiti ai pesticidi. Sappiano che negli ultimi anni, in molte aree degli USA, i parassiti sono
tornati ad essere un problema per il mais in quanto hanno sviluppato resistenza al Bt (come ci si
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aspettava). Nel caso del lavoro di Pellegrino et al. le referenze potrebbero essere quindi obsolete e
non rappresentare più la realtà attuale.
Un altro importante ruolo del tempo è che col tempo possono cambiare i metodi e le tecnologie, e
magari si possono rilevare differenze che prima non si potevano rilevare. Possono emergere
nuove conoscenze che cambiano la percezione stessa della natura del problema. In tal caso i
lavori precedenti, per quanti ve ne siano, possono perdere molta della loro rilevanza: il lavoro
recente, anche se unico, può risultare molto più rilevante di tutti i lavori precedenti, per cui non lo
posso usare banalmente come lavoro singolo in una meta-analisi.
Prendiamo ad esempio il caso Bt e biodiversità. Per la biodiversità la struttura della popolazione di
organismi è molto importante. Per esempio per il gruppo degli insetti Coleotteri Carabidi, che vi sia
una differenza nel numero di specie o di individui è un dato, ma è importante anche sapere la
struttura delle specie, cioè quanti individui appartenenti a quale specie troviamo (studi su porcellini
di terra hanno rilevato anche differenze tra maschi e femmine, che probabilmente risentono in
maniera diversa del tipo di gestione degli agroecosistemi). Questo aspetto è di particolare
rilevanza nel caso di questioni legate alle conservazioni della biodiversità (p.es. specie rare, o in
pericolo di estinzione). La struttura della popolazione può quindi cambiare nel tempo, per esempio
per gli effetti dovuti all’accumulo di certe sostanze o per lo sviluppo della resistenza ai prodotti. Per
i Carabidi, gli autori usano solo 3 lavori, 1 del 2005 con 2 dati, uno ancora del 2005, con 2 dati, e
uno del 2006 con 18 dati. I dati non mostrano una differenza tra mais Bt e mais convenzionale.
Però sarebbe stato utile anche sapere se vi fosse una differenza nelle due strutture di popolazione.
I dati sono quindi di un 15 anni fa, possiamo assumere che le condizioni siano ancora le
medesime?
Una ricerca pubblicata in una importante rivista scientifica del 2012 (Stephens et al., 2012), dove i
test si sono eseguiti su linee di mais isogeniche, ha scoperto che la durata della vita di coccinelle
che si nutrivano di afidi nei campi di mais Bt durava 40% in meno di quelle che si nutrivano nei
campi di confronto su mais non-GM (della medesima varietà isogenica). Gli afidi presenti nel mais
Bt, che non sono sensibili al Bt, accumulavano le tossine che quindi venivano assorbite dalle
coccinelle che se ne nutrivano, e per le quali il Bt è invece tossico. In questo caso, anche se non vi
sono differenze tra mais Bt e convenzionale per la presenza di coccinelle (come trova la meta-
analisi di Pellegrino et al.) ci possono essere comunque grandi differenze per le diverse dinamiche
di popolazione, e la popolazione di coccinelle ne risulta grandemente affetta.
2.3 Limiti dei risultati: fumosine, micotossine e aflatossine
Il lavoro di Pellegrini et al. si focalizza sulla questione micotossine, e tra queste le fumosine in
particolare (sono noti più di 400 tipi di micotossine). La questione micotossine è certamente molto
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importante. Le micotossine sono tossine prodotte da specie di funghi che attaccano il mais e altre
colture (in campo e/o durante lo stoccaggio), che si sviluppano in particolari condizioni climatiche
(ma anche in relazione alle tecniche colturali, alle varietà di mais coltivate), e si diffondono anche
grazie alla presenza di vettori, come insetti (la piralide del mais), che facilitano la colonizzazione
della coltura. I funghi del genere Fusarium generano tossine note come fumosine, funghi del
genere Aspergillus generano tossine note come aflatossine. Le micotossine sono tossiche con
diversi gradi di pericolosità per l’uomo. Andiamo dalle vomitotossine (deossinivalenolo, acronimo
DON) che causano problemi come diarrea, abbassamento delle difese immunitarie, alle
estremamente tossiche e cancerogene aflatossine (di diversi tipi, l’aflatossina B1 la più pericolosa -
esistono una ventina di tipi di aflatossine). Informazioni al riguardo sono dunque molto importanti,
ma nulla ci dicono sulla questione se le modificazioni genetiche indotte negli OGM possano
comportare rischi per la salute umana (come invece la titolistica ci vuol far credere).
2.3.1 Ridotto numero di lavori considerati
Per le fumosine pare esistano solo quattro lavori di qualità sufficiente per essere inclusi in questa
analisi. Solo lavori svolti negli USA, e molto datati: Bruns e Abbas (2003), Clements et al. (2003),
Hammond et al. (2004) e Abbas et al. (2008). Nessun lavoro fatto bene al mondo negli ultimi 10
anni? Una informazione molto interessante. Potremo concludere che si sa molto poco al riguardo.
Un serio problema! I lavori di Bruns e Abbas (2003) e Abbas et al. (2008), si riferiscono alla stessa
località. Il lavoro di Abbas et al. (2008), analizza i residui colturali, cioè il materiale lasciato al suolo,
per cui non credo sia un lavoro che si sarebbe dovuto considerare. Il lavoro, non trova differenze
significative tra mais Bt e convenzionale per micotossine e fumosine (mentre generalmente il mais
Bt presenta una minor concentrazione di fumisine), ma, caso abbastanza raro, trova una differenza
per le aflatossine del tipo B1 (minor presenza nel mais Bt) mentre, per le aflatossine B2 non vi
sono differenze.
2.3.2 Analisi dei risultati dei 4 lavori considerati
Dalla lettura di questi quattro lavori vediamo che per le fumosine, due (Bruns e Abbas, 2003, e
Abbas et al., 2008) non trovano differenze statisticamente significative tra mais Bt e
convenzionale. Nel lavoro di Clements et al. (2003) il mais è stato infettato manualmente dai
ricercatori stessi, e con diversi ceppi di Fusarium. Le infestazioni, con la falena Helicoverpa zea
(corn earworm), sono state anch’esse artificiali, con parassiti forniti dalla Monsanto. Il lavoro di
Hammond et al. (2004) è stato svolto dalla Monsanto nel 2004. Il lavoro sembra corretto, però
anche in questo caso abbiamo casi in cui l’infestazione è stata artificialmente indotta dai
ricercatori, e in un set di dati (stato dello Iowa per l’anno 2002, con forte infestazioni di parassiti del
mais) non sono state riscontrate differenze per la presenza di fumosine tra mais Bt e
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convenzionale. Quindi dei quattro lavori considerati (molto datati) due, e parzialmente un terzo,
sono lavori che potrebbero essere considerati problematici per una meta-analisi di questo tipo.
Il lavoro di Pellegrino et al. dà risalto al fatto che il mais Bt contenga meno fumosine, cosa risaputa
fin dagli inizi della commercializzazione del mais Bt, ma omette di far notare che il contenuto di
micotossine e aflatossine è lo stesso.
2.3.3 Micotossine: quale differenza?
Nel testo dell’articolo gli autori scrivono che le micotossine nel mais Bt sono il 30% inferiori di
quelle trovate nel mais convenzionale. Ma il grafico 2(b) non mostra differenze tra i due casi. Per
cui uno dei due dati è sbagliato. Da una scorsa ai dati forniti in database abbiamo una media per il
mais Bt di 8 µg/g, e una media per il mais non-Bt di 9 µg/gr, una differenza che non dovrebbe
essere significativa, anche applicando la complessa analisi statistica usata dagli autori (data la
grande variabilità dei test a cui si fa riferimento).
2.3.4 Il caso delle aflatossine
Pellegrino et al. non trattano il caso delle aflatossine. Questo nonostante vi siano molti lavori al
riguardo, essendo le aflatossine le tossine che maggiormente contaminano il mais e le più
pericolose, quindi quelle sulle quali è più necessario avere informazioni. È noto che il mais Bt
risulta più efficace nel limitare le fumosine rispetto alle aflatossine (Williams et al., 2010; Reay-
Jones e Reisig, 2014; Abbass et al., 2016; Mitchella et al., 2017).
I funghi del genere Fusarium, da cui le fumosine, necessitano di un vettore (parassita del mais,
alcuni dei quali sono sensibili alla tossina Bt) che gli aiuti a colonizzare la pianta. I funghi del
genere Aspergillus, da cui le aflatossine, si disperdono invece anche senza bisogno del parassita
del mais. Ma di questo gli autori non parlano. Un recente lavoro (Reay-Jones e Reisig, 2014), che
Pellegrino et al. usano per i dati per la valutazione delle produttività, riporta anche i test per le
aflatossine (che però Pellegrino et al. non usano), e conferma quanto risaputo e cioè che il mais Bt
è inefficace per la protezione dai funghi del genere Aspergillus e dalle aflatossine. Anzi, gli autori,
nei loro test, trovano che la presenza di aflatossine è doppia nel mais Bt rispetto al mais
convenzionale!
Abbas e colleghi, tossicologi del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, in un lavoro del 2016
(Abbass et al., 2016), scrivono che nello stato del Mississippi il mais Bt non è in grado di
rimpiazzare altri tipi di controllo dei funghi micotossicogeni (uso di pesticidi o biopesticidi), e che
nei test effettuati non sono state trovare differenze tra mais GM e convenzionale nella risposta a
funghi micotossicogeni (un lavoro di questo gruppo di ricerca - Abbass et al., 2008 - è stato citato
da Pellegrini et al., che però sembrano non aver seguito la produzione di questi autori). La
letteratura scientifica ci informa anche che negli USA, al momento, mancano dati sui costi
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economici dell’impatto delle aflatossine, e che la valutazione di tale impatto è resa difficile dalla
variabilità del processo di contaminazione, e che questa che varia col tipo di specie fungina,
varietà di mais, tecniche di coltivazione, contesti agro-ecologici, etc., e anche a seconda dei diversi
metodi di campionamento delle micotossine usati (Mitchella et al., 2013). Questioni che il lavoro di
Pellegrino et al. non discute.
Da notare che negli USA, i limiti di legge per la presenza di micotossine nel mais sono molto più
alte che in Europa (tutti i limiti tossicologici sono più alti che in Europa). In Europa, per il mais per il
consumo umano, la presenza di aflatossine massima ammessa è di 10 microgrammi/kg (10 µg/kg
anche per il riso e 4 µg/kg per gli altri tipi di cereali), negli USA è di 20 µg/kg.
2.3.5 Risultati obsoleti?
Ma anche dando per buoni i risultati del lavoro di Pellegrino et al. i risultati potrebbero essere
obsoleti, data l’evoluzione della resistenza alle tossine sviluppata dai parassiti nel corso del tempo.
Un recente lavoro svolto in Brasile ha scoperto che una nottua parassita del mais riesce a
sviluppare popolazioni resistenti al Bt in soli tre anni (Fatoretto et al., 2017). Il lavoro riporta che
sebbene agli inizi l’introduzione del mais Bt in Brasile avesse ridotto la presenza di insetti dannosi
per il mais, popolazioni resistenti al Bt sono comparse velocemente. Infatti, nonostante il mais
coltivato negli USA sia praticamente tutto mais GM, in molti stati le infestazioni da funghi
micotossicogeni sono estese e danneggiano le colture in maniera importante (Reuters, 2013). In
alcuni stati (come il Texas, dove si riscontrano alti livelli di micotossine (Texas Farm Bureau,
2010), il problema è talmente serio che si è addirittura discusso la possibilità di dismette la
coltivazione di mais. Per il controllo dei funghi micotossicogeni si usano comunemente dei fungicidi
(Texas AgriLife Extension, 2010, 2014).
2.4 Valutazione della produttività
Pellegrino et al. ci informano che stando ai loro calcoli la produttività del mais Bt risulta in media il
10% più alta del mais convenzionale (tra il 5 e il 25%). Tuttavia usando i risultati dei singoli lavori
potremmo ottenere risultati diversi. Un’occhiata dai dati usati dal database mostra chiaramente una
forte eterogeneità dei dati (alta variabilità dentro di sue set di dati mais Bt e convenzionale). La
meta-analisi si sarebbe potuta fare anche sui risultati dei singoli lavori, semplificando le
complicazioni dovute alle differenti caratteristiche dei lavori svolti (numero di test, anno in cui si
sono svolti, condizioni ambientali, varietà considerate, tipo di gestione etc.).
2.4.1 La scelta di alcuni lavori è discutibile
Un set di 36 dati sui 276 usati per la produttività (il 13%) (Brewer et al., 2014), proviene da un
esperimento molto particolare. In questo esperimento le piante sono state poste sotto stress idrico
e infettate artificialmente sia per i parassiti che per i funghi (del genere Fusarium). È noto che
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stress idrici riducono la capacità delle piante di resistere ai parassiti. Inoltre, per accentuare
l’infestazione, il mais è stato piantato tardivamente. Condizioni queste, che in realtà non si
verificano, ma sono il frutto dell’obbiettivo dell’esperimento, che non era quello di valutare la
produttività in condizioni normali, ma quello di analizzare l’effetto dell’espressione della tossina Bt
nelle varietà di mais Bt.
Va notato che alcuni lavori riportano danni al mais Bt da parte dei parassiti non diversi da quelli
causati nel mais convenzionale. Non sempre, infatti, l’espressione del gene per la produzione della
tossina Bt funziona come atteso, e diverse varietà di mais Bt danno risultati diversi, come riportano
sia Brewer et al. (2014), che altri autori citati dal Pellegrino et al. (p.es. Buntin et al., 2004). I test
condotti da Buntin et al. (2004), i cui dati sono stati usati da Pellegrino et al. per i loro database
sulla produttività (9% dei dati) non riportano differenze significative di produttività tra mais Bt e non
Bt, e non trovano differenze nel contenuto di aflatossine (i dati sulle aflatossine di questo articolo
non sono stati usati da Pellegrino et al. per i loro lavoro, che non tratta la questione). Inoltre, non è
chiaro come i dati originali siano stati trasferiti nel database, dal momento che, per esempio, alcuni
dati sono stati riportati nel database tal quali come da articoli originali, in altri casi in forma
aggregata.
2.4.2 Sui lavori che confermerebbero tali differenze
Si afferma che per la produttività (tonnellate per ettaro) il lavoro svolto conferma quanto trovato in
altre tre meta-analisi: Finger et al. (2011), Areal et al. (2013), Klümper e Qaim (2014), quest’ultimo
trova una differenza del 30%. Vediamo nel dettaglio questi lavori.
• Finger et al. (2011). Le differenze riportare nel lavoro di Finger et al. (2011) non sono
statisticamente significative, per cui non si può affermare che vi siano differenze in senso
statistico (ma se diamo per buone differenze di medie senza significatività, forse non è il
caso di mettersi a fare complesse meta-analisi).
• Areal et al. (2013). Nel lavoro di Areal et al. (2013) gli “studi” considerati sono solo 6, e 5 di
questi sono relazioni tecniche non articoli scientifici (uno è addirittura un pezzo pubblicato
in un settimanale di informazione agraria). L’unico articolo scientifico riguarda piccoli
agricoltori in Sud Africa e non trova differenze in produttività tra mais Bt e convenzionale.
Una di queste relazioni tecniche, che riguarda la produttività del mais Bt in tre regioni della
Spagna (ma che non riporta le varietà o le tecniche di gestione, il tipo di suolo e di
agroecosistema), è stata successivamente pubblicata in una importate rivista scientifica
(Gómez-Barbero et al., 2008). In due di queste tre regioni non vi è stata alcuna differenza
di produttività tra mais Bt e convenzionale, nella terza il mais Bt ha riportato una produttività
maggiore del 10% (data la mancanza di alcuni dati sulle condizioni locali, gli autori non
sono in grado di giustificare le ragioni della differenza). Recenti monitoraggi svolti nella
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provincia spagnola di Aragona (la più importante per la coltivazione di mais GM), su diverse
varietà di mais Bt e convenzionale, non hanno trovato alcuna differenza di produttività.
Anzi, negli ultimi anni, il convenzionale si è dimostrato leggermente più produttivo
(Gobierno de Aragon, 2017). Gli autori del monitoraggio, in corso dal 2010, riportano che
negli ultimi anni vi è stata una riduzione della coltivazione di mais GM del 20%.
• Klümper e Qaim (2014). Il terzo lavoro citato include molte relazioni di campo, relazioni
tecniche, documenti interni etc., cioè letteratura grigia non pubblicata e non sottoposta al
vaglio di esperti (peer review), per le quali non è facile stabilire la qualità, specialmente per
i paesi in via di sviluppo (che rappresentano la maggior parte dei lavori usati). Pellegrino et
al. giustamente fanno notare questo problema. La maggior parte dei lavori usati dall’analisi
di Klümper e Qaim (2014), inoltre, risale ai primi anni 2000, dati che ad oggi potrebbero
essere considerati obsoleti. Il sistema di aggregazione dei dati usato dagli autori non
distingue mais Bt dal convenzionale ma compara colture GM Bt, mais e cotone insieme,
con le convenzionali (anche per la resistenza agli erbicidi), per cui la lettura dei risultati
risulta confusa. Personalmente non capisco il perché di una tale confusione quando
trattandosi di una comparazione che considera solo soia, mais e cotone si sarebbero
potute facilmente comparate le prestazioni delle singole colture GM e non GM e con i loro
specifici tratti.
2.4.3 Che dice l’Accademica delle scienze statunitense e la stampa USA
La stessa Accademica delle scienze Americana (U.S. National Academies of Sciences, 2016)
scrive (nello stesso lavoro citato dagli autori) che non vi sono evidenze sostanziali per poter
affermare che gli OGM abbiano fatto aumentare le rese produttive più di quanto non ci si
aspettasse dal miglioramento varietale convenzionale (infatti prima vengono creati ibridi ad alta
rese, e su questi vengono quindi inseriti i geni per la resistenza a parassiti o agli erbicidi).
Affermazione confermata anche da recenti analisi per il caso del mais. La recente analisi condotta
da Robert Nielsen del Dipartimento di Agronomia della Purdue University (Nilsen, 2017) dimostra
che l’aumento della produttività del mais americano si mantiene costante dagli anni 50 e non vi è
stata alcuna accelerazione in questo trend dopo l’introduzione delle colture GM. Il 29 ottobre del
2016, il quotidiano statunitense The New York Times pubblicò un articolo di Danny Hakimoct, nel
quale si sosteneva che negli USA le colture GM non avevano né fatto aumentare le rese né fatto
diminuire l’uso dei prodotti agrochimici (NYT, 2016).
2.4.4 Aspetti economici: un importante indicatore non considerato
Pellegrino et al. ci informano che stando ai loro calcoli la produttività del mais Bt risulta in media il
10% più alta del mais convenzionale (tra il 5 e il 25%). Come fanno notare gli autori del lavoro, il
test non ha valutato gli aspetti economici. Dati i maggiori costi delle sementi Bt (anche più del
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doppio delle convenzionali), è da verificare se una differenza di produttività del 10% compensi i
maggiori costi del mais Bt. Da lavori di letteratura sembra che i benefici del mais Bt si verifichino
nel caso di forti infestazioni di parassiti (ma a volte non vi è differenza nemmeno in questi casi).
Quando questo non sia il caso, i maggiori costi del mais Bt non portano differenze di produttività, e
non compensano per i maggiori costi delle sementi Bt.
Negli ultimi anni, i media statunitensi pubblicano articoli che stanno mettendo in dubbio la reale
efficacia delle colture GM per gli agricoltori statunitensi. Il prestigioso quotidiano economico Wall
Street Journal scrive (WSJ, 2016), che nonostante quasi tutta la soia e il mais USA siano GM,
molti agricoltori su queste colture stanno addirittura lavorando in perdita. Infatti, mentre il costo
delle sementi GM dagli anni 90 è quadruplicato (+400%), la produttività della soia è aumenta solo
del 4% e quella del mais del 20%, mentre il prezzo pagato agli agricoltori negli ultimi anni è
diminuito del 50% (e questo nonostante i sussidi statali per mandare al macero – bruciare – il 50%
della produzione!). Il Wall Street Journal scrive che sempre più agricoltori stanno tornando alle
sementi convenzionali dato che la spesa per quelle GM risulta sempre meno conveniente.
2.4.5 La paradossale situazione agro-socio-alimentare statunitense
Gli OGM sono stati entusiasticamente promossi come risolutori della fame nel mondo. Introdotti
due decenni fa, negli USA, gli OGM rappresentano la quasi totalità delle grandi colture. Negli USA
il principale problema dell’agricoltura è sempre stato lo smaltimento delle eccedenze, risolto
spingendo i consumi di carne e latte, e più recentemente bruciando il 50% della produzione di mais
e soia (la bufala delle agroenergie), si stima che il 30% della produzione vada sprecata (Gomiero,
2015, 2017). Negli USA vi sono 45 milioni di persone che non riescono a nutrirsi a sufficienza,
sempre più agricoltori finiscono in bancarotta, l’inquinamento è un problema sempre più serio, le
malattie (di tutti i tipi) stanno aumentando a ritmi vertiginosi, i cittadini USA sono tra i meno in
salute tra quelli dei paesi sviluppati, e meno in salute anche rispetto a paesi in via di sviluppo. Pare
che gli OGM non siano serviti a molto (o forse gli OGM sono in qualche modo parte del
problema?). Forse gli OGM non sono poi la panacea che ci è stata venduta. Forse dovremo
parlare di cose serie come, per esempio, l’iniqua distribuzione della ricchezza (negli USA l’1%
delle famiglie controlla del 40% della ricchezza del paese), lo strapotere di poche mega-
multinazionali che oramai condizionano le scelte politiche delle istituzioni e la stessa ricerca
scientifica. Ma mettere in discussione il sistema di potere non si può, per cui, rimanendo in tema di
bufale, parliamo pure dei grandi benefici che gli OGM hanno portato alla società americana.
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