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L'età del cosmo in Kelvin VS l'età del cosmo in Darwin - L'evoluzione della natura e l'evoluzione della cultura

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Have you ever wondered whether the law of evolution of species by natural selection extends beyond the sphere of biology? In that case I hope this contribution with its provocative title-it's almost as if I am considering the use of two different units of measure to estimate the age of the universe, the well-known Kelvin and a made-up "Darwin"-will provide a satisfactory answer, showing clearly how Darwin's theory is to be considered an essential law of nature. Once presented, in the mid-19th century, the theory offered many interesting ideas to those who chose either to embrace it or to reject it, suggesting lines of thought for the understanding of nature. In this paper, in particular, I will describe the impact of Darwin's theory on astrophysics and cosmology, despite their apparent distance from Darwin's field of work. I will point out that, amongst the many objections against the theory of evolution (most of which were of a theological nature), those issuing from the world of physics were the most effective, leading to a debate which was very fertile and culturally relevant. At the end of the paper I will play with some ideas which sprung from the study of the physical subjects under debate at that epoch, mainly time and gravitation. Keywords Earth, geological eras, evolutionism, creationism, age of the Sun, age of the Earth Il tempo può essere misurato al suo passare; passato, non può, perché non è.-S.Agostino, Le Confessioni, XI, 16
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L’
ETÀ DEL COSMO IN
K
ELVIN VS L
ETÀ DEL COSMO IN
D
ARWIN
.
L’
EVOLUZIONE DELLA NATURA E L
EVOLUZIONE DELLA CULTURA
Angelo Adamo
Abstract
Have you ever wondered whether the law of evolution of species by natural selection
extends beyond the sphere of biology? In that case I hope this contribution with its
provocative title - it’s almost as if I am considering the use of two different units of
measure to estimate the age of the universe, the well-known Kelvin and a made-up
“Darwin” - will provide a satisfactory answer, showing clearly how Darwin’s theory is
to be considered an essential law of nature. Once presented, in the mid-19th century, the
theory offered many interesting ideas to those who chose either to embrace it or to reject
it, suggesting lines of thought for the understanding of nature. In this paper, in particular,
I will describe the impact of Darwin’s theory on astrophysics and cosmology, despite
their apparent distance from Darwin’s field of work. I will point out that, amongst the
many objections against the theory of evolution (most of which were of a theological
nature), those issuing from the world of physics were the most effective, leading to a
debate which was very fertile and culturally relevant.
At the end of the paper I will play with some ideas which sprung from the study of the
physical subjects under debate at that epoch, mainly time and gravitation.
Keywords
Earth, geological eras, evolutionism, creationism, age of the Sun, age of the Earth
Il tempo può essere misurato al suo
passare; passato, non può, perché non è.
– S.Agostino, Le Confessioni, XI, 16
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1. Breve storia dei primi tentativi di determinazione dell’età del mondo
Figura 1 – Kelvin vs Darwin.
Credo che per un astrofisico la valenza della teoria darwiniana sia contenuta soprattutto
nei pochi paragrafi del capitolo Imperfezione della documentazione geologica del
celebre L’Origine delle specie per selezione naturale (Darwin, 1859). In seguito alle
polemiche generate dalle idee ivi espresse, nelle edizioni successive dello stesso libro,
l’autore cancellò alcuni di questi paragrafi mentre arricchì altri degli appunti sollevati
da studiosi di discipline diverse.
Nella prima stesura di quel capitolo, stimolato dalla lettura del testo Principi di
Geologia di Charles Lyell (1830), Darwin tentò di dare una stima del tempo necessario
perché alcuni cambiamenti geologici avvenuti, a suo parere, in un lontanissimo passato
potessero aver avuto luogo. Arrivò così a proporre un valore minimo per l’età della
Terra che – forse egli non se ne rese del tutto conto – ebbe l’effetto di inserire di diritto
la sua visione evoluzionistica in un contesto fino a quel momento appartenuto alla sola
sfera teologica, diventando così egli stesso attore fondamentale del dibattito che in
quegli anni stava timidamente prendendo piede con gli «attacchi» alle idee religiose
provenienti dalla stessa scienza geologica; prima di allora, infatti, la più nota
valutazione dell’età del mondo era quella fornita nel XVI sec. dall’arcivescovo
irlandese James Ussher il quale, nel suo The Annals of the World, in circa 2000 pagine
arrivava a stabilire con una precisione che non avrà uguali prima, dopo, che il
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mondo sarebbe stato creato alle ore sei del pomeriggio di Sabato ventidue Ottobre del
4400 a.C. (Save the date!).
Il metodo da lui usato – tutt’altro che scientifico, anche se credo abbia colpito
l’opinione pubblica per il fatto di aver tradotto in numeri il testo dell’Antico Testamento
– consisteva nel contare le ventuno generazioni di cui si narrano le vicende, dandone
una descrizione in termini di una sequenza di precisi intervalli di tempo. Sapendo che in
quel testo l’età del padre viene sempre dichiarata alla nascita del primogenito, nel
procedere alla costruzione della sua cronologia, Ussher iniziò a contare gli anni a
partire, guarda caso, da Adamo il quale, allorché generò per la prima volta un figlio che
chiamò Set («comincio da –»), aveva ben centotrenta anni.
Per ovvi motivi, il mio antenato non ebbe mai a dubitare della paternità dei suoi figli:
pare che all’epoca non vi fossero ancora postini. Dopo aver generato Set, Adamo visse
ancora ottocento anni durante i quali generò altra prole e, a conti fatti, in tutto visse solo
novecentotrenta anni prima di morire per cause incerte.
Come fa notare Gorst (2002), Ussher non fu certo il primo a tentare la titanica impresa
di determinare l’età del mondo. Prima di lui vi si provò anche Teofilo di Antiochia (II
sec a.C.) il quale propose come data di inizio il 5698 a.C.
Poi fu la volta del Venerabile Beda (VII sec. d.C.) che arrivò a una conclusione simile
azzardando come anno di inizio del mondo il 5199 a.C.
A questi due, seguì nel XVI sec. anche Martin Lutero il quale, non discostandosi molto
da Ussher, propendeva per fissare l’inizio di tutto nel 4000 a.C.
Un’impresa intellettuale così stimolante come la determinazione del momento zero in
cui il cosmo è nato non poteva non stuzzicare la curiosità di qualche astronomo e fu così
che pure Giovanni Keplero nel XVII sec. arrivò alla seguente conclusione: molto
probabilmente tutto ebbe inizio nel 3992 a.C.
Come si può immaginare, queste furono solo le più illustri ipotesi tra le centoventotto
fino a oggi certificate, tutte in disaccordo tra loro e prodotte in un periodo storico nel
quale la sfida rappresentata dalla determinazione dell’istante in cui tutto ebbe inizio
aveva assunto quasi lo status di uno sport da élite culturale.
Il problema di tutte queste proposte risiedeva chiaramente nel fatto che ognuno degli
studiosi citati applicava qualcosa di simile al metodo stratigrafico proprio della
geologia, dell’archeologia e della paleontologia, non alla Natura o a opportune porzioni
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di essa, ma alle pagine di un libro ritenuto l’unico documento sopravvissuto intatto alle
ere e contenente verità rivelate e altre meno evidenti, da ricercare «pelandone» i
capitoli: la Bibbia.
E se sorprende scoprire che tra coloro i quali hanno tentato con questo particolare
metodo esegetico di determinare la datazione del mondo vi sia anche il nome di un
eminente astronomo, ricordo che fino più o meno alla metà del XIX secolo non si
sospettava nemmeno di poter avere reperti migliori di quel libro per affrontare questo
genere di ricerca in un modo più appropriato.
Nel testo biblico, riguardato come un resoconto sì preciso, ma anche da interpretare, di
come le cose siano effettivamente andate nel cosmo dall’origine dei tempi, gli elementi
del reale fanno progressivamente il loro ingresso in scena per opera del grande
demiurgo. Egli, a partire da quel famoso momento iniziale, iniziò a introdurli già
confezionati e «pronti all’uso», quindi senza che ognuno di essi possedesse una sua
particolare storia evolutiva; quella che invece Darwin, nel tentativo di trovare un quadro
generale capace di fare da sfondo alla sua teoria evoluzionistica nata dall’attenta
osservazione degli organismi viventi esaminati, arriva a teorizzare per lo stesso pianeta
Terra.
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Figura 2 – Creazionismo.
Infatti, nel già citato capitolo del suo capolavoro del 1859 (Darwin, 2013), parlando del
Weald, una zona del sud-est dell’isola britannica molto interessante dal punto di vista
geologico, egli afferma:
«Chi è in grado di leggere la grandiosa opera di Sir Charles Lyell Principles of Geology, che gli storici
futuri riconosceranno come opera che ha prodotto una vera rivoluzione nella scienza, e con tutto ciò non
ammette quanto incocepibilmente grandi siano stati i periodi di tempo trascorsi, può chiudere subito
questo mio libro.
[…] Chi studi più attentamente l’azione del mare sulle coste, rimarrà, credo, profondamente
impressionato dalla lentezza con cui vengono erose le coste rocciose. Sono soprattutto interessanti a
questo proposito le osservazioni di Hugh Miller e di quell’eccellente osservatore che è il sig. Smith di
Jordan Hill. Avendo ben impresso nella mente questi concetti, esaminiamo strati di conglomerati aventi
uno spessore di molte migliaria di piedi, che, sebbene, probabilmente, si siano formati ad una velocità
superiore a quella di molti altri depositi, essendo formati di ciottoli consumati ed arrotondati ciascuno
dei quali reca l’impronta del tempo – ci danno un’idea della lentezza con la quale si è accumulata l’intera
massa. Ricordiamo la profonda osservazione di Lyell, secondo la quale lo spessore e l’estensione delle
formazioni sedimentarie dipendono dall’entità della degradazione subita dalla crosta terrestre in altri
punti. I depositi sedimentari di tanti paesi indicano che vi è stata una fortissima degradazione. Il prof.
Ramsay mi ha fornito lo spessore massimo – nella maggior parte dei casi tratto da misure diretta ma
qualche volta stimato – delle diverse formazioni esistenti in varie parti della Gran Bretagna. Ecco il
risultato:
Strati paleozoici (escluse le rocce ignee) 57.154 piedi
Strati secolari 13.190 piedi
Strati Terziari 2.240 piedi
(1 piede = 30,48 cm; 1 miglio = 1 609,344 mt).
Per un totale di 72.584 piedi, ossia quasi tredici miglia e tre quarti.
[…] Per questo gli altissimi strati di rocce sedimentarie della gran Bretagna ci danno solo una una idea
inadeguata del tempo trascorso durante il loro accumulo.
[…] Se conoscessimo la velocità con la quale il mare suole abitualmente erodere una scogliera di una data
altezza, potremmo misurare il tempo occorso per erodere il Weald. Naturalmente è una cosa che non si
può fare, ma, tanto per avere una grossolana idea dell’argomento, possiamo ipotizzare che il mare corroda
una scogliera alta 500 piedi alla velocità di un pollice per secolo. A prima vista potrà sembrare una stima
in difetto, però è lo stesso anche se volessimo presumere che una scogliera alta una iarda arretri alla
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velocità di una iarda circa in ventidue anni. […] Dunque, ne concludo che, in circostanze ordinarie,
ammettere un’erosione di un pollice al secolo su tutta la lunghezza di una scogliera, significa dare una
stima piuttosto ampia. Partendo da questi dati, con questo ritmo l’erosione del Weald deve avere richiesto
306.662.400 anni (diciamo trecento milioni di anni in cifra tonda).
[…] Queste poche osservazioni, io le ho fatte perché è importantissimo farsi un’idea sia pure imperfetta,
del passare del tempo. In tutti questi anni e in tutto il mondo, terra ed acqua sono state popolate da torme
di organismi. Qualche infinito numero di organismi, tale che la mente non riesce neppure a concepirlo, si
deve essere succeduto nel lungo trascorrere degli anni! Ed ora, rivolgendo l’attenzione al più ricco dei
musei geologici, come ci appare striminzita la collezione in esso contenuta!».
Figura 3 – Darwin invecchia la Terra.
Come è noto, l’idea di Darwin fu generalmente riguardata come pericolosa da tutta la
comunità degli intellettuali del tempo, e non solo da loro, i quali proprio non potevano
accettare che 1) l’evoluzionismo andasse contro i precetti tanto cari al cristianesimo e
soprattutto che 2) l’uomo, spodestato dal ruolo centrale fino a quel momento posseduto
nella visione che in seguito fu battezzata col termine «creazionista», fosse casualmente
derivato dai primati, addirittura.
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Figura 4 – Il rovescio della uomaglia.
2. Il calcolo di Darwin dell’età minima della Terra si rivela una bomba. A
tempo
Ad aggravare la posizione di Darwin intervenne poi quel suo calcolo dell’età minima
della Terra un calcolo prima passato inosservato a causa del clamore suscitato già
dalla sola idea evolutiva alla base della teoria – che arrivò a infastidire finanche la
comunità dei fisici e in particolare colui il quale se ne fece portavoce: il famoso William
Thompson che in seguito diverrà Lord Kelvin. Questi nel 1854, quindi pochi anni prima
della pubblicazione del testo di Darwin, aveva dato alle stampe una memoria dal titolo
On the mechanical energies of the Solar System nella quale azzardava una valutazione
dei tempi entro i quali il Sole avrebbe dovuto spegnersi se, come alcuni ritenevano, la
produzione di energia al suo interno fosse stata dovuta alla sola perdita di calore
primitivo posseduto. Come riferisce Bellone (2000), Kelvin fa riferimento alle misure di
tale Claude Pouillet il quale nel 1827 stimò che il Sole emetta circa 300 unità termiche
«per minuto secondo per piede quadrato di superficie». E commentava di conseguenza
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che «per produrre calore allo stesso ritmo sarebbe necessaria una quantità di carbone
maggiore a 0,42 libbre per secondo, ovvero a 1500 libbre per ora» (Bellone, citato in
Rossi, 1998, pag. 669).
Figura 5 – Sole a vapore.
Dall’analisi partita con le considerazioni di Pouillet, a Kelvin apparve chiaro che la
fonte chimica di energia – ovvero il carbone, cui spesso ci si riferiva come «sole solido»
– non poteva dare sufficiente spiegazione dell’emissione solare e notò che quella
avrebbe addirittura assunto il carattere di un’ipotesi allarmistica in quanto «Di tale
passo, una massa di dimensioni pari a quelle del Sole si consumerebbe, bruciando in
8000 anni» (Bellone, citato in Rossi, 1998, pag. 670)
Farà forse sorridere il goffo tentativo di spiegare l’emissione solare ipotizzando che al
suo interno si possa verificare la combustione del carbone. Per immaginare un
corrispettivo ai giorni nostri, dovremmo forse effettuare il calcolo di quanta benzina o
quanto gasolio dovrebbe consumare ogni secondo una stella per poter rendere conto
della quantità di luce e calore da essa emessa.
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Figura 6 – Sole motore a stella.
Per non trovare ingiustamente ridicolo un simile approccio, ricordiamoci che a metà del
secolo XIX si viveva ancora in un clima da rivoluzione industriale caratterizzata da
nuove dinamiche sociali, linguistiche, intellettuali e i processi fisici indagati dalla
«giovane» termodinamica facevano da padroni, specie in relazione allo studio del
rendimento delle macchine a vapore che impestavano l’ambiente di nuovi rumori e
fetori dovuti al gas malsano che emettevano: un fumo denso e capace di creare nebbia.
Sotto la spinta del progresso industriale, il mondo aveva così assunto un aspetto del
tutto nuovo che trovo magistralmente rappresentato, anche se in un’epoca di non molto
successiva al periodo di cui stiamo narrando le vicende, nelle opere pittoriche
dell’italiano Mario Sironi.
La caoticità della vita cittadina, resa più interessante (ma anche molto più complicata)
dall’arrivo di masse dalle campagne in cerca di lavoro nelle industrie, mi sembra poter
reggere bene l’idea che qui propongo di una termodinamica sociale; essa si potrebbe
occupare dell’applicazione delle leggi fisiche elaborate in quel periodo a gas di persone:
particelle umane, tutte approssimativamente uguali fra loro in massa e dimensione, alla
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spasmodica ricerca di una realizzazione personale che sotto la spinta di nuove energie e
temperature politico-economiche – più elevate di quelle registrate in epoche di sole
economie agricole di sicuro più lente, quindi più fredde si muovevano perlopiù di
moto caotico. E non mi sorprende scoprire che, con l’attitudine tipica dell’epoca per lo
studio del rendimento delle macchine, il celebre romanziere e drammaturgo Alexandre
Dumas abbia subito proprio in quegli anni un processo teso a svelare quale fosse il
mistero alla base della sua sterminata produzione letteraria.
Dal momento che ciò che gli venne imputato fu un’anomala produzione di opere
difficilmente riconducibile a una sola persona con normali cicli di veglia-lavoro-sonno,
propenderei per collocare questa vicenda nella storia della termodinamica più che in
quella della letteratura alla quale verrebbe spontaneo ricondurla: stabilire se la grande e
costante produzione di energia creativa irradiata dal sistema fisico Dumas potesse
realmente essere generata da una sola persona in fondo, lo scrittore francese
apparteneva a tutti gli effetti alla categoria dei sistemi fisici umani – con a disposizione
normali giornate da ventiquattro ore o, se in assenza di un surplus di tempo concesso a
lui e solo a lui, si dovesse indurre l’esistenza di un altro meccanismo energetico attivo
nell’ombra, mi fa tornare con la mente all’argomento qui trattato del duello intellettuale
tra Darwin e Kelvin circa l’energia e l’età del Sole. Per inciso, il processo poi stabilì che
in effetti l’autore de I tre moschettieri e di numerosissimi altri romanzi storici si serviva
di ben sessantatré collaboratori fidati. Veri e propri ghost writer ante-litteram, essi
erano stipendiati e agivano nell’ombra come anonimi elementi di una catena di
montaggio letteraria del tutto simile a quelle meccaniche già attive nelle fabbriche del
tempo dalle quali probabilmente il Dumas aveva attinto l’idea.
In questo clima culturale, per farsi comprendere dai più, non credo che Kelvin potesse
trovare niente di meglio da fare se non paragonare il Sole a un motore a carbone di
quelli responsabili della generazione di smog, neologismo nato in quegli anni dalla
somma di smoke e fog: un fumo scuro e denso che egli stesso, come tutti, probabilmente
era costretto a respirare nelle grandi città industriali.
Da quanto detto, appariva chiara la necessità di teorizzare altri possibili processi
energetici all’opera nel nostro Sole e capaci di garantire a esso e all’intero Sistema
Solare da lui governato con fermo pugno gravitazionale un’esistenza più lunga delle
poche migliaia di anni che, come i calcoli dimostravano, la combustione del carbone
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avrebbe potuto fornire. Le valutazioni successive del fisico inglese, basate sul modello
gravitazionale proposto da Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz, ebbero il pregio
di mostrare la potenza del nuovo metodo astrofisico che stava facendosi strada con la
sua peculiare capacità di mettere insieme la gravitazione newtoniana e le leggi della
neonata termodinamica.
Figura 7 – Spremitura gravitazionale.
Sempre a partire dalla valutazione di Pouillet, Helmotz infatti aveva provato a calcolare
il lavoro compiuto dal campo gravitazionale stellare per contrarre una struttura grande
quanto il Sole, scoprendo così che una diminuzione seppur minima del suo raggio
avrebbe indotto una produzione energetica tale da poter giustificare l’emissione
misurata, a patto di teorizzare una temperatura interna della stella di più di 20 milioni di
gradi: «Even an imperceptible annual contraction would be able to account for the
energy irradiated» (Kragh, 1996, pag. 82).
Finalmente, dopo aver esplorato varie ipotesi tra le quali anche un apporto esterno di
energia e materia fornito dall’arrivo di meteoriti sulla superficie della nostra stella, si
era trovato lo strumento teorico per comprendere l’evidente longevità del Sole e la sua
emissività pressoché costante nel tempo; nonostante questo nuovo modo di vedere
l’evoluzione stellare, le necessarie correzioni apportate nel 1883 da Kelvin al calcolo di
Helmotz sembravano dimostrare come il Sole non potesse avere i numeri necessari a
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garantire luce e calore per un tempo superiore a circa 100 milioni di anni, un periodo
decisamente maggiore di quello ottenuto precedentemente ipotizzando un’origine
chimica dell’energia solare, ma tragicamente minore dei 300 milioni teorizzato da
Darwin e necessario alla sua idea di evoluzione applicato al pianeta e alle specie su esso
viventi.
Figura 8 – Lapidazione solare.
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Figura 9 – Kelvin si oppone a Darwin.
A conti fatti, vi era solo spazio per un’idea di evoluzione dei sistemi fisici e biologici
più rapida, in perfetto accordo con quella cui Kelvin credeva fermamente: essa poteva
essere stimolata da eventi catastrofici come la caduta di asteroidi avvenuta anche sul
nostro pianeta; asteroidi che avrebbero avuto il ruolo di indurre profondi cambiamenti
nella geologia terrestre così come pure nella generazione di forme di vita. Il calcolo di
Darwin ispirava e quasi pretendeva un inquadramento della sua teoria evoluzionistica
nel panorama delle idee fisiche che, con la termodinamica e con l’astrofisica, proprio
sul finire del XIX secolo stavano ricevendo grande impulso.
Lo pretese, lo ottenne e storicamente questo pare sia stato il più grosso problema che il
naturalista inglese ebbe dal momento in cui propose la sua teoria e fino alla sua morte.
3. Prime critiche alla teoria darwiniana
Fu così, infatti, che Darwin si trovò a dover fronteggiare non solo le critiche mosse
dall’allora presidente della società di geologia John Phillips – il quale nel frattempo
aveva messo pubblicamente in evidenza alcuni fondamentali errori di metodo commessi
dall’evoluzionista inglese nel valutare l’erosione delle rocce del Weald ma anche e
soprattutto la forte opposizione di Lord Kelvin, ovvero di colui che godeva della fama
di fisico più autorevole del suo tempo.
Questi, molto probabilmente mosso da motivazioni che andavano ben al di là della
semplice e pura passione per la rigorosa speculazione scientifica, non mancò mai di
contrastare la teoria darwiniana per affermare una supremazia della fisica su tutte le
altre discipline scientifiche, non ultima sulla geologia alla quale la Terra veniva sottratta
in quanto da considerarsi pianeta, quindi oggetto di studio da inquadrare nel più vasto
ambito astrofisico e cosmologico.
In questa prima fase dello scontro, le polemiche stimolate dal calcolo di Darwin – errato
nel metodo, ma giusto nella visione globale che assegnava un’età estremamente lunga
alle strutture geologiche terrestri ebbero almeno l’effetto positivo di detronizzare una
volta per tutte il computo dell’età del mondo proposto da Ussher che, potrà sembrar
strano, ancora sopravviveva intatto nell’opinione pubblica: se nel 1701 la Chiesa di
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Inghilterra aveva approvato una famosa versione della Bibbia con la data «4004 a.C.»
stampata sui margini delle pagine, nel 1885, per ordine dello stesso organismo, la nuova
versione autorizzata del libro sacro non riportava più alcun riferimento a quel famoso,
presunto istante iniziale.
Figura 10 – Kelvin incazzato.
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4. Il fantasma che perseguitò il genio
Sul finire della sua vita, Darwin corresse più e più volte la sua opera in modo da tentare
di andare incontro alle per lui ineludibili ragioni dei fisici. Nella sesta edizione (1872)
del suo libro L’origine delle specie, scrisse: «É probabile, come fa rilevare sir William
Thomson, che il mondo, nelle epoche molto antiche, andasse soggetto a cambiamenti
delle condizioni fisiche molto più rapidi e violenti di quelli che avvengono
attualmente».
Figura 11 – Darwin ci ripensa.
Contro le argomentazioni dei fisici, il suo sapere biologico non aveva armi, ma egli
non domo, e in questo si rivelava ancora una volta un eccezionale visionario capace di
veritieri sguardi sul futuro – si appoggiava di tanto in tanto alla necessità dell’esistenza
di qualche fattore il quale, sfuggito all’attento sguardo dei fisici, doveva agire
indisturbato in Natura. È in qualche misura emozionante per chi scrive pensare che,
prima di morire, forse l’unico, immenso cruccio di Darwin, del grande evoluzionista
Charles Darwin, sia stato un tormento di ordine fisico e confesso di aver immaginato di
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usare una macchina del tempo per andare a fargli visita sul letto di morte e sussurrargli
nell’orecchio: «vengo dal futuro per dirle di morire tranquillo: aveva ragione lei».
Purtroppo per lui, il destino non volle donargli la gioia di vedere la soluzione al
problema che forse più di ogni altro ne aveva afflitto l’esistenza, facendo
pericolosamente vacillare il poderoso impianto della sua teoria.
Prendo a prestito da Hauser (2001) un concetto che mi sembra calzare perfettamente
alla situazione del personaggio Charles Darwin, protagonista, suo malgrado, del
romanzo ottocentesco della sua incredibile vita, quella in parte da lui stesso narrata nel
suo diario di viaggio. Il noto storico dell’arte afferma infatti che:
«Nel romanzo della delusione balenava ancora l’idea della tragedia, che faceva ancora l’eroe in lotta
contro la volgare realtà, vittorioso pur nella sconfitta. Invece nel romanzo ottocentesco l’eroe risulta vinto
nell’intimo, anche quando sembra giungere alla meta e, spesso, proprio in quel momento. […] è il
romanzo moderno che per primo crea la cattiva coscienza dell’eroe nel conflitto con l’ordine borghese, e
gli impone di accettare i costumi e le convenzioni sociali, almeno come regole di gioco» (Hauser, 2001,
Vol. IV, pag. 10).
Forse potrà consolare il lettore sapere che egli fu vendicato dal percorso tracciato dalle
sue idee e sviluppatosi dopo la sua scomparsa avvenuta nel 1882 (ora probabilmente si
aggira, in ottima compagnia, nella geena di agostiniana memoria, da Dio «preparata per
coloro i quali scrutano i misteri profondi»), idee che ebbero il potere di instillare fiducia
nei suoi sostenitori, quelli ancora rimastigli fedeli. Esse, a ben vedere, ispirarono
l’elaborazione di nuovi metodi di studio capaci di mettere in grado biologi e geologi di
compiere stime dei tempi evolutivi indipendenti da quelle elaborate e usate in ambito
astrofisico.
Ce lo spiega anche Bellone quando scrive:
«La polemica che è stata qui ricordata per sommi capi non è comunque riducibile a uno scontro tra fisici
dogmatici e biologi e geologi ingiustamente oppressi. Uno degli aspetti positivi, per le scienze biologiche
e geologiche, che quella polemica comportò, fu infatti quello di spingere gli evoluzionisti dei tempi
lunghi a riflettere sugli apparati teorici e sulle generalizzazioni empririche che stavano alla base delle loro
spiegazioni, e a cercare prove sperimentali smpre più affidabili, così da colmare il fossato che li separava
dall’indagine fisico-matematica o dalle ricerche in cosmologia e astrofisica» (Bellone, citato in Rossi,
1998, pag. 675.
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Figura 12 – Huxley, il mastino di Darwin.
Tra i fedeli al darwinismo, val la pena citare Thomas Henry Huxley, il celebre «mastino
di Darwin», e il biologo e scrittore Hebert George Wells per un fatto singolare che lo
portò a inserirsi, a modo suo, nella polemica nata attorno al problema della
determinazione dell’età del Sole e della Terra. Nell’introduzione al suo capolavoro La
guerra dei mondi (1996), parlando del pianeta Marte, nel 1898 egli scrisse: «Quel
pianeta deve essere, se l’ipotesi delle nebulose è esatta, più vecchio del nostro, e il corso
della vita deve essere cominciato sulla sua superficie molto prima che la Terra avesse
finito di solidificarsi» (Wells, 1991, pag. 6).
Come si può apprezzare da queste poche righe, l’idea di una età finita, calcolabile, del
pianeta Marte e, implicitamente, di quella del nostro pianeta, si era fatta strada.
Questa idea, già contenuta nella teoria di Laplace e poi in quella iniziale di Helmotz il
quale prevedeva tempi estremamente lunghi per la formazione del Sistema Solare a
partire da una nube che si sarebbe via via condensata generando prima il Sole e poi i
vari pianeti, da quelli esterni a quelli più vicini all’astro, proprio grazie alle teorie di
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Darwin cui nel resto del libro lo scrittore inglese fa chiaramente riferimento, diventa
una verità sulla quale fare evolvere la storia da lui narrata. E proprio a proposito di
evoluzione, col riferimento esplicito alla solidificazione della Terra che chiude il passo
su riportato, appare chiaro quale sia il modello geologico di riferimento scelto dal
celebre romanziere.
Lo stesso dicasi per l’età dello stesso fenomeno vita che invece fino a quel momento era
ritenuto di assoluta ed esclusiva pertinenza di Dio.
5. Ricadute del pensiero darwiniano
La grandezza del pensiero di Charles Darwin la si coglie proprio notando come egli,
piuttosto che riguardare al problema «evoluzione degli organismi viventi» ritenendo di
doverlo risolvere solo in sede biologica, intuì di doverlo inquadrare in un contesto molto
più ampio, che esulava dalle sue competenze specifiche. Come si è appena detto, questo
modo di pensare così ampio e arioso, venne subito compreso e fatto proprio dai suoi
seguaci e in particolare da Wells che se ne servì per fare delle ipotesi scientifiche prima,
e narrative poi, sul fenomeno «vita marziana», regalando un vero e proprio capolavoro
alla letteratura fantascientifica di fine ’800.
Mediante l’elaborazione di quelle nuove tecniche di datazione geologica e biologica
indipendenti dalle altre di natura astrofisica, crebbe l’opposizione alla supremazia della
fisica, un’opposizione che si concretizzò soprattutto con la contestazione alle posizioni
di Lord Kelvin, scomodo paladino di quella disciplina, il quale, pur tra grandi successi,
visse con qualche difficoltà gli ultimi anni di vita: pare addirittura che alla sua ultima
conferenza pubblica dovette difendersi dalle aperte polemiche alle sue idee, espresse da
un pubblico agguerrito con una sicumera fino a quel momento sconosciuta al mondo
accademico al di fuori di quello dei fisici.
A ben vedere, uno degli obiettivi più importanti raggiunti in questa vicenda fu di aver
dato finalmente, e in modo definitivo, valore all’idea di evoluzione cosmica o, se si
preferisce rimanere in tema di evoluzionismo in biologia, di evoluzione dell’animale,
dell’organismo cosmico. Un’idea che, forse partita con Buffon, Kant e Laplace e
passata attraverso i calcoli di Helmotz, arrivava con Darwin, Kelvin – sì, anche lui
contribuì – e i fisici che inaugurarono l’età della nascente fisica atomica, ad essere una
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verità incontrovertibile. In seguito, apparve chiara la necessità di operare su di essa
affinamenti successivi, piuttosto che elisioni totali come quella che avrebbe preferito
attuare la Chiesa, recalcitrante ad accettare la fine del concetto di staticità cosmica e di
compiutezza del disegno divino.
Prima di morire nel 1907, Kelvin ebbe il tempo di capire come la da poco scoperta
radioattività, quel famoso fattore sfuggito ai fisici, teorizzato e quasi invocato da un
Darwin oramai anziano e stanco, avesse la capacità di retrodatare fino ad almeno un
miliardo di anni l’età del Sole, quindi della Terra: quel fenomeno fisico dava a
posteriori ragione al suo acerrimo nemico e alla sua teoria evoluzionistica così
bisognosa di tempi straordinariamente lunghi.
A conti fatti, Kelvin aveva vinto la battaglia, ma aveva perso la guerra.
E aveva perso anche il sostegno di quelli che a suo tempo si erano rivelati insperati
sostenitori, abbagliati dalla forza delle argomentazioni offerte dal blocco concettuale
della fisica, materia promettente e quasi arrogante nel suo mietere successi, così come si
presentava sul finire del secolo XIX.
Se, infatti, George, figlio di Darwin forse davvero rapito dalle idee di Helmotz e di
Kelvin (diventerà poi docente di astronomia e fisica sperimentale all’università di
Cambridge), o forse guidato da quel sano processo di demolizione della figura paterna
che inizia in adolescenza e a volte finisce, se mai finisce, molto tardi – si era in un
primo momento espresso a sostegno delle argomentazioni del grande fisico inglese
asserendo:
«Se mio padre dovesse riscrivere oggi la sua opera, non ho dubbi che rivedrebbe la cifra assegnata all’età
del mondo, e su quella riga comincerebbe a scrivere un “1” seguito da degli “0”. Non credo che si
abbasserebbe alla cifra indicata da voi, ma non avrebbe più la pretesa di indicarne una» (citato in Gorst,
2002, pag. 184),
in seguito alla scoperta della radioattività, decise di scrivere direttamente alla già
esistente rivista Nature per annunciare pubblicamente la fine del suo sostegno alle
posizioni di Kelvin e, di conseguenza, per dichiararsi sostenitore della visione di suo
padre.
45
6. Considerazioni finali – DivertiTempo: giocando con ciò che ci è oscuro
E ora, approfittando del fatto di aver presentato gli attori fondamentali di questa vicenda
e le loro teorie, mi concedo alcune considerazioni personali e, diciamocelo pure, del
tutto inutili, inerenti il tempo, la sua misurazione e, in definitiva, la sua natura.
Beninteso, non pretendo certo di svelare qualcosa di nuovo su ciò che esso davvero è:
come è ovvio che sia, capita anche al sottoscritto di non sfuggire alla famosa
constatazione di S.Agostino: «Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e
intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri. Cos’è dunque il tempo? Se nessuno
m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so» (S. Agostino,
2015).
Figura 13 – S. Agostino e l’Ore-ola.
46
Giunto a questo punto, potrei quindi chiudere l’articolo, speranzoso di aver mantenuto
le promesse fatte nell’abstract, ma preferisco approfittare di questo spazio per attuare un
gioco che da sempre mi diverte, pericolosamente simile al metodo usato da Ussher e
tutti i suoi emuli: andare dalle parole e le immagini, ai numeri, o compiere il percorso
inverso.
Partirò allora col notare come, nel tentativo di misurare lo scorrere di questo fluido dalla
natura così evanescente, non possiamo fare altro che servirci di qualcosa che compie
cambiamenti ciclici, quindi di oggetti di varia misura e in movimento/cambiamento
regolare. Allora, piuttosto che riferirci a secondi, minuti e altre entità che non vediamo
e delle quali non sappiamo definire in modo esatto la natura, forse faremmo meglio a
parlare di cambiamenti o di movimenti istantanei di qualcosa che riusciamo a
visualizzare, da usare come unità di misura di cambiamenti più lunghi risultanti dalla
somma di tante unità di cambiamento/variazione. Detto in altri termini, mi trovo nella
curiosa situazione di notare come sia meglio parlare di variazione piuttosto che di
tempo, attuando così un ragionamento che ha del circolare: da sempre, infatti, riferiamo
al tempo qualsivoglia variazione osserviamo nella realtà.
Nel calcolare cambiamenti (leggi tempi) aventi a che fare con la quotidianità, e
confrontabili per durata con i concetti di secondo, ora, giorno, mese, anno, …
anticamente si osservavano vari fenomeni come ad esempio lo spostamento dell’ombra
dello gnomone. Essa, variando regolarmente durante l’arco della giornata in cielo,
fintanto che è visibile, il Sole descrive proprio un arco che, culminando a Sud, va da Est
a Ovest mostra, senza che lo si guardi direttamente, in che direzione il Sole si trova
adesso, quindi ci permette di percepire l’ora, consentendoci anche di misurare lo
spostamento dalla posizione che occupava prima (l’ora passata, l’adesso precedente) e
quella che occuperà dopo (l’ora in arrivo, l’adesso successivo).
Il giorno era l’intervallo che intercorreva tra il sorgere del Sole a Est e la sua ricomparsa
dallo stesso punto cardinale dopo il buio notturno: un lungo intervallo di oscurità che mi
piace pensare come «la grande ora», quella della sospensione e del sonno; un’ombra
grandissima e avvolgente che, dopo aver combattuto e perso con l’abbacinante luce
diurna la quale le concedeva solo piccole dimensioni (l’ombra degli oggetti durante le
ore di luce), finalmente vince sulla luce solare imponendosi su tutto: a proiettare ombra
47
non sarà più un paletto conficcato nel terreno, ma la Terra stessa con la sua
circonferenza.
Il mese lo si poteva misurare come intervallo tra la comparsa di una particolare fase
della Luna e il suo ritorno successivo da attendersi solo dopo aver osservato tutte le
variazioni intermedie. Un periodo, questo, confrontabile con la lunghezza del ciclo
mestruale delle appartenenti alla nostra specie. Da notare come da questa similitudine,
troppo evidente per non destare l’attenzione dei nostri antenati sempre alla ricerca di
regolarità nella Natura, prenda piede la tradizione che vuole il nostro unico satellite
naturale come divinità femminile. Infine l’anno – un intervallo che, per ovvi motivi
legati alla pastorizia, all’agricoltura e alla navigazione, aveva una importanza
subordinata a quella dei quattro segmenti stagionali – poteva essere misurato con buona
approssimazione sommando i giorni che intercorrevano tra i due solstizi e i due
equinozi.
Altri fenomeni ciclici e più o meno regolari che venivano osservati con lo stesso fine di
misurare il trascorrere del fluido temporale erano la rotazione regolare della volta
celeste, il battito cardiaco, il cadere delle gocce d’acqua uscite da un tubicino collegato
a un serbatoio, …
In seguito, come abbiamo già visto, andando avanti con il computo di unità di
cambiamento sempre più lunghe, per dare una misura approssimativa del concetto di ere
geologiche, Darwin propose di misurare l’erosione delle rocce e l’ampiezza degli strati
sedimentari. A contrastarlo intervenne lord Kelvin il quale, per misurare l’età del
pianeta Terra, pensò di usare il Sole come strumento, un orologio decisamente più
grande di quelli fino a quel momento usati, e al tempo che avrebbe impiegato per
collassare sotto l’effetto del suo stesso peso con conseguente produzione di energia e
suo consumo sottoforma di luce e calore.
48
Figura 14 – Orologio solare.
Mi ero ripromesso di evitare di parlare di «tempo» privilegiando quello di «variazione»
e di «cambiamento» e fintanto che abbiamo ragionato di ombre, stagioni, moto
apparente del Sole, è stato possibile farlo, evitando di chiamare in causa ciò che non si
vede (il tempo) e privilegiando fenomeni che cadono sotto i nostri occhi, quindi visibili,
esperibili, definibili con precisione. Giunti però a questo punto della storia, non
possiamo più permetterci di dribblare la presenza di quel fluido temporale dalla natura
enigmatica in quanto i cambiamenti cosmici di cui da qui in poi parleremo come si
può intuire, si tratta di cambiamenti lenti, lontani, disumani, impossibili da cogliere coi
nostri sensi rendono il concetto di «variazione» altrettanto enigmatico e finanche più
scomodo del concetto stesso di «tempo».
Ad esempio, trattando di ere cosmiche, si scoprì che gli antichissimi ammassi globulari
orbitanti nelle periferie galattiche potevano essere usati per tarare l’età del «contenitore»
universale, mentre, una volta scoperta la posizione della Terra rispetto al centro della
Via Lattea, la galassia alla quale apparteniamo, si riuscì a valutare l’anno galattico
come tempo, circa 237 milioni di anni terrestri, che impiega il Sole per girare attorno al
centro di detta galassia.
49
Prima di arrivare alla relatività einsteniana e di imbatterci quindi nello spazio-tempo, un
sinolo indivisibile di fondamentale importanza nel parlare di cosmo, si era dunque già
arrivati a capire, consapevolmente o inconsapevolmente, che misurare lassi di tempo
piccoli richiede «orologi» di piccola dimensione, mentre per misurare tempi sempre più
grandi, necessitiamo di «orologi» di dimensioni fisiche via via più imponenti.
Sembra quasi che l’oggetto usato come orologio, per essere utile nella misurazione di
quel particolare lasso di tempo o, se si preferisce, di quella variazione, debba avere le
dimensioni giuste per contenerlo/a. Esempi a questo proposito possono essere la
meridiana la cui ombra cade sempre all’interno delle linee tracciate durante i solstizi e
l’orologio a lancette che «contiene», «trattiene» al suo interno le variazioni periodiche
delle posizioni di quelle tre barrette metalliche.
Ad anticipare la strettissima connessione tra spazio e tempo intuita da Einstein, si era
quindi trovata la proporzionalità diretta tra le due dimensioni fondamentali del nostro
universo: piccoli tempi-piccoli strumenti; grandi tempi-grandi strumenti; tempi cosmici-
strumenti di dimensioni cosmiche.
Questa proporzionalità, piuttosto che immaginarla, la si può vedere espressa con
chiarezza in diverse relazioni tra grandezze fisiche. In particolare, trovo che essa sia ben
rappresentata nelle due equazioni che esprimono rispettivamente il periodo di
oscillazione di un pendolo semplice (per piccole oscillazioni) e la lunghezza del
percorso di un punto materiale sotto l’effetto di un campo di forze che ne acceleri il
moto in modo uniforme:

, 

2
Da entrambe le precedenti espressioni, appare in modo chiaro come, in realtà, la
suddetta proporzionalità non esista tra il tempo e lo spazio, bensì tra il tempo e la radice
quadrata dello spazio; e per il tramite della gravità. In particolare, dalla prima delle due
relazioni dovuta, come è noto, a Galilei, si può arrivare a dedurre facilmente finanche la
terza legge di Keplero (Adamo, 2009) e nel seguito userò la prima delle due relazioni
proprio come sunto di quella legge così da attuare delle valutazioni le quali, pur se
quantitative, andranno riguardate come delle comode approssimazioni. L’idea è che
usando l’espressione per il periodo del pendolo T piuttosto che la relazione kepleriana,
rimanga visivamente chiaro il punto di partenza, ovvero che vi è quella stretta
50
proporzionalità tra tempo e radice quadrata dello spazio visto qui come dimensione
dell’«orologio» che si è deciso di usare. Detto ciò, lo ripeto: le stime che darò, pur se
numeriche, andranno considerate solo come aventi valore qualitativo, essendo
approssimazioni tese a mostrare esclusivamente andamenti e ordini di grandezza.
Consideriamo allora il sistema Terra-Luna come se si trattasse di un pendolo.
La lunghezza della corda sarà uguale alla distanza del nostro satellite da noi, quindi pari
a circa 384.400 km. Nella relazione esprimente il periodo T, sostituendo
all’accelerazione di gravità g la sua espressione GM
T
/D
Terra-Luna
, dove M
T
è la massa
della Terra responsabile del campo gravitazionale e D
Terra-Luna
è la distanza tra la Terra e
il nostro satellite, si ottiene:
Luna

Terra-Luna

T

Terra-Luna
2
= 2.386.368 sec = 27,62 giorni ≈ mese sidereo lunare
Facciamo ora lo stesso calcolo, stavolta applicandolo al sistema Sole-Terra e
riguardando quest’ultima come pendolo in oscillazione attorno al nostro astro
(
Sole-Terra
≈149106 km).
Avremo:
Terra

Sole-Terra

Sole

Sole-Terra
2
  !"#  $ %##!
Se poi, continuando a usare la metafora del pendolo, consideriamo l’oscillazione del
Sole attorno al centro galattico dal quale è separato da una corda lunga circa 7,6
kiloparsec (qui e nel seguito, a.l. starà per «anno luce» 9,461 × 10
17
cm e parsec =
3,26 a.l.) tenuta in tensione da una massa pari a circa:
entro 7,6 kpc
&''()
44
*+
otteniamo:
Sole

Buldge-Sole

Galassia

Buldge-Sole
2
$()
6
,+ $ -./01 2#%##!%3%// 4!
51
Questo risultato forse suggerisce che abbiamo immesso un valore della massa ben
superiore a quello effettivamente contenuto nei 7,6 kpc che ci dividono dal centro, ma
ancora una volta, ci interessano gli ordini di grandezza e non i numeri esatti.
Nel calcolare quanto tempo prende percorrere le varie orbite, ci siamo spinti sempre
verso dimensioni più grandi dello strumento da usare: sembrerà tautologico, ma non si
può calcolare una variazione lunga quanto un mese lunare senza misurare quanto tempo
impiega la Luna a girare lungo l’orbita attorno alla Terra e non si può calcolare la
variazione lunga un anno terrestre senza misurare quanto tempo impiega la Terra a
spostarsi lungo l’orbita attorno alla nostra stella. Ancora una volta, sembra quasi che il
tempo misurato sia contenuto nello spazio osservato che a sua volta pare trattenere il
tempo circondandolo, limitandolo, confinandolo. Se allora, nel tentativo di valutare il
contenimento temporale di spazi minori di quelli fino a ora valutati, proviamo ad attuare
una specie di passaggio al limite per la dimensione dell’orbita descritta dai vari pendoli
che diminuisce fino a tendere al valore del raggio dei corpi che più di altri generano il
campo, potremmo riuscire a calcolare quale sia quello spazio capace di trattenere
intervalli pari a ore, minuti o finanche secondi, ovvero tempi che in passato venivano
misurati mediante l’uso di gnomoni e meridiane.
Pur sapendo che la plausibilità del considerare la testa di uno gnomone come un corpo
in rotazione sincrona con la Terra dalla quale dista così poco da renderne la distanza
assimilabile allo stesso raggio terrestre è di sicuro questionabile, mi si consenta qui di
provare a usare ugualmente questa metafora così da arrivare a valutare quale sia il
tempo impiegato a percorrere quell’orbita minima da una piccola massa, la testa dello
gnomone, posta lì a misurare il tempo.
Dal momento che a distanze così piccole, la corda del pendolo è di fatto pari alla
dimensione radiale del corpo che genera il campo gravitazionale, con questo metodo si
potrà arrivare a stimare non più quale è il tempo che prende percorrere una data orbita,
ma quale sia il tempo «trattenuto» dallo spazio occupato dalla massa che genera quel
campo gravitazionale particolare, quindi quel tempo particolare. Potremmo allora
spingerci oltre, fino a dire definitivamente che gli spazi delle orbite considerate
contengono, trattengono i tempi calcolati, forti di una capacità contenitiva dipendente
dall’entità della masse che, con la forza gravitazionale, modellano da dentro lo spazio:
52
l’orbita lunare contiene un tempo pari a circa un mese sidereo; l’orbita terrestre attorno
al Sole contiene un tempo in buona approssimazione pari al nostro anno; l’orbita del
Sole attorno al centro della galassia contiene un tempo dell’ordine del centinaio di
milioni di anni e l’orbita della testa dello gnomone, quindi la massa terrestre sottostante,
trattiene un tempo pari a:
Contenuto dalla Terra
5
Terra

Terra
5
Terra2
67896':;<=;&>+8
Alla Luna, se immaginiamo di conficcare uno gnomone sulla sua superficie, compete un
contenuto temporale pari a:
Contenuto dalla Luna

?
Luna

Luna
?
Luna2
)6:;<=;$ 2 ore
che è di poco maggiore del tempo contenibile dalla Terra a causa della dipendenza della
relazione dall’inverso della radice della densità media che nel caso della Terra è ρ
Terra
5,5 g/cm
3
mentre per la
Luna ha il valore decisamente minore ρ
Luna
≈ 3,3 g/cm
3
.
Al Sole (densità media ρ
Sole
1,4 g/cm
3
, quindi confrontabile con quella dell’acqua,
ρ
H2O
0,9 g/cm
3
) e alla galassia competono invece, in proporzione, «piccoli
possedimenti temporali» pari a:
Contenuto dal Sole
5
Sole

Sole
5
Sole2
)@'67896>+8
Contenuto dalla Via Lattea
5
Via Lattea

Via Lattea
5
Via Lattea2
)()
6
<<;
Sapendo che il contenuto medio di gas di una galassia a spirale media si potrebbe
trattare di una Sb, in ogni caso, quest’ultima frase aprirebbe scenari di discussioni
infinite, ma, lo ricordo, in questa sede ci interessa solo fare discorsi per ordini di
grandezza – è di circa il 20%, allora ricalcoliamo il tempo trattenuto dalla sola
53
componente stellare della galassia sottraendo alla massa totale quella percentuale
sottoforma di componente gassosa e pari a
gas
A'6()
11
(B()
33
gr
6()
44
*+
Una volta effettuato, il semplice calcolo ci dà per la restante massa un valore
approssimativo pari a circa 10
45
gr e per verificare se il ragionamento è a grandi linee
accettabilmente corretto, cerchiamo di stabilire quante stelle vi sono nella Via Lattea
calcolando la quantità di tempo trattenuta dalla sola componente stellare e dividendo per
il tempo, già calcolato in precedenza, che compete a una stella media
(5
Via Lattea
'CD9):
Contenuto in stelle della Via Lattea
5
Via Lattea

Via Lattea
5
Via Lattea2
A6()
15
789'()
8
,+
Come si diceva, per avere con questo metodo una valutazione approssimativa di quante
stelle possiede la Via Lattea, non ci resta che prendere quest’ultimo valore e dividerlo
per il tempo che compete a una stella media che, da campionamenti statistici compiuti
nel nostro vicinato cosmico, sappiamo essere un astro con caratteristiche simili a quelle
del nostro Sole. Il calcolo quindi fornisce un valore pari a:
E
Stelle della Via Lattea
A6()
15
789
)@'6789$ ))- 3 %"1 1 F/.33.
che è chiaramente una sovrastima credo motivata da vari fattori, non ultimo il fatto che
non tutte le stelle sono dello stesso tipo spettrale del Sole. In particolare, ve ne sono
tante con masse decisamente pgrandi e tante altre che invece sono collassate, quindi
di densità altissima. Potremmo anche arrivare a dire che, una volta tolto il gas, la massa
restante comprenderà stelle e materia oscura, un miscuglio che potrebbe rendere
definitivamente chiaro il perché di quell’eccedenza numerica.
54
Sarebbe interessante fare il calcolo usando le percentuali di tipologie stellari che
emergono da survey galattiche profonde. Per effettuarlo, attendo i risultati definitivi
della missione GAIA.
Per finire degnamente la breve carrellata di stime di contenuti di tempo spettanti a
singole strutture, calcoliamoci quale sia quella racchiusa in un buco nero. Per farlo,
consideriamone uno stellare, quindi di dimensioni di qualche decina di chilometri e con
una massa di almeno dieci masse solari.
Si avrà, allora:
Buco Nero stellare
5
Buco Nero Stellare
()(
Sole
5
Buco Nero Stellare2
)
C:()
5
3
''()
-8
G,<8(9:
2
(*+
2
()(B()
33
gr B()
-4
789
Quindi un tempo brevissimo. Se vogliamo, possiamo vedere un buco nero come un
corpo che, possedendo di suo pochissimo tempo, potrebbe rubarne ad altri di densità
minore con i quali entra in interazione, accrescendo, confinando tempo intorno a sé.
55
Figura 15 – Disco di AccresciTempo.
Pur essendo legato alla metafora dello gnomone, ammetto che l’immagine di un
pendolino suggerita proprio dall’uso della relazione di Galileo e immaginato
posizionato di volta in volta sulla superficie della Terra, della Luna, del Sole sia più
appropriata e fisicamente corretta.
Lasciamoci ancora una volta condurre dalla curiosità per scoprire quale sia il tempo
posseduto da un contenitore delle dimensioni di un corpo umano, al fine di capire quale
sia il nostro «tempo proprio» che, beninteso, non va confuso con quello omonimo della
relatività ristretta.
Il calcolo ci porta facilmente a scoprire che il corpo umano, considerato a simmetria
sferica come le mucche di una famosa barzelletta, con un’altezza di due metri e una
massa di cento chili, quindi una densità media molto bassa e pari a ρ 0,023 g/cm
3
(chiaramente non si tratta di un valore reale, ottenuto a causa della scelta di considerare
un omone sferico con un metro di raggio pari a un metro e con una massa di cento chili.
56
Il valore medio reale comunemente accettato per la densità umana è ρ 0,985 g/cm
3
)
contiene una quantità di tempo pari a:
Contenuto dal corpo umano
H
uomo

(
uomo
H
2
6')7896:;<=;
valore che può essere interpretato come il lentissimo periodo di oscillazione di un
pendolino sistemato sulla superficie di un corpo, ovviamente non importa se umano o di
altra natura, posto nello spazio vuoto e lontano dall’influenza di altre masse.
Per apprezzarne appieno il significato, notiamo che lo stesso pendolino in prossimità di
un buco nero oscillerebbe con un periodo pari a un decimillesimo di secondo.
Usando ancora una volta un’analogia, mi spingo un altro passo più in là, trovando
qualcosa di affascinante ma che ancora non so se potrà mai tornarmi davvero utile.
Avendo visto come questo tempo caratteristico dipenda formente dal potenziale
gravitazionale che trattiene il tempo, ho pensato di considerare un analogo del concetto
di Capacità (Carica su Potenziale elettrico) usato in elettromagnetismo, provando a
calcolare quale sia la Capacità Temporale vista come attitudine di un campo
gravitazionale a contenere tempo. Facendolo per i vari casi prima esaminati, otteniamo:
I
T
8++8:D>I><8<=>GJJ8++(5
Terra

Terra
6()
-9
sec ∙ dyn
-1
∙ cm
-1
I
T
K=<8:D>I><8<=>GJJK=<(5
Luna

Luna
6()
-7
sec ∙ dyn
-1
∙ cm
-1
I
T
L>J88:D>I><8<=>GJL>J8(5
Sole

Sole
()
-7
sec ∙ dyn
-1
∙ cm
-1
I
T
M=9>E8+>L8JJ+89><)
Sole
8:D>I><8<=>G=<M=9>E8+>78JJ+8(5
B.N.s.

B.N.s.
)
57
I
T
N;K88:D>I><8<=>GJJN;K8(5
Via Lattea

Via Lattea
6'sec ∙ dyn
-1
∙ cm
-1
I
T
I>+D>=:<>8:D>I><8<=>GJI>+D>O:<>(5
Uomo

Uomo
'()
9
sec ∙ dyn
-1
∙ cm
-1
In tutto ciò, abbiamo scoperto che, nel determinare cosa sia il tempo, almeno da un
punto di vista numerico, dobbiamo parlare di spazio e di gravità. Abbiamo poi
compreso come entrambi questi fattori siano fortemente dipendenti dalla massa, anzi,
dalla densità media di un oggetto. Da notare che la grandezza appena introdotta, che ho
indicato come Capacità Temporale, per un buco nero è nulla, per la galassia è di solo
qualche decina di secondi dyn
-1
∙ cm
-1
e quella di un corpo con densità e dimensioni
umane è elevatissima. Sembra quasi che la massa spinga fuori il tempo dai corpi che più
sono densi, meno hanno spazio per contenere altro, anche se questo altro è un fluido
dalla materia oscura e inconsistente come il tempo. Sulla stessa scia di pensieri, si può
ritenere che il cosmo nel suo istante iniziale non contenesse affatto tempo. Non appena
partì la sua storia espansiva, iniziò a generare il suo contenuto temporale che oggi si può
valutare facendo il semplice prodotto del tempo medio contenuto da una galassia
moltiplicato per il numero stimato di galassie esistenti, ovvero:
T
Totalità delle galassie
()
8
<<;(10
11
galassie = 2,5(10
19
anni
Dal momento che il cosmo, presentando ampi spazi vuoti, non è riempito totalmente da
galassie, possiamo inferire che:
T
Universo
>> T
Totalità delle galassie
=
2,5(10
19
anni
E sapendo che la somma di materia oscura ed energia oscura arriva a coprire il 95 %
circa di ciò che permea l’universo del quale noi vediamo solo la componente luminosa
sottoforma di stelle e galassie, possiamo quantificare a quanto ammonta T
Universo
(E@M@PQ
-0,5
ponendo:
58
Materia Oscura + Energia Oscura
)(()
19
<<;()
19
<<;
La somma dei due valori T
Totalità delle galassie
+
Materia Oscura + Energia Oscura
ci dovrebbe quindi
dare il tempo totale contenuto dal nostro cosmo che risulta essere dell’ordine dei )(
)
19
<<;@
Sapendo che il nostro cosmo dimostra di avere un’età 
misurato
6()
9
<<;,
sembra quasi che il calcolo di prima si riferisca all’esistenza di una specie di serbatoio
temporale creato dal processo di espansione che, abbassando progressivamente il valore
della densità cosmica, crea questa materia oscura temporale.
Giunti quasi alla fine del discorso, seguendo la folle traccia che ci ha condotto fin qui,
possiamo allora calcolare il contenuto di questo serbatoio che potremmo forse
riguardare come l’aspettativa di vita del nostro cosmo. Una prospettiva vitale che, dal
confronto tra i due tempi T
Totalità delle galassie
+
Materia Oscura + Energia Oscura
e
misurato
risulta
essere: T
Totalità delle galassie
+
Materia Oscura + Energia Oscura
-
misurato
=()
19
<<;.
Da questo valore, deducendola dalla solita relazione che abbiamo usato nei calcoli
precedenti, possiamo calcolare l’estensione dell’Universo come:
D = (
2cosmo ∙
''()
-8
G,<8(9:
2
(*+
2
()
22
()
33
gr)
0,33
= 126()
9
a.l.
una misura confrontabile con il valore accettato per il diametro D = 92 ()
9
a.l.
dell’universo visibile.
Calcolando con questi dati la Capacità Temporale per il contenitore cosmico, otteniamo:
I
T
I>7:>8:D>I><8<=>GJI>7:>(5
Universo Visibile

Totalità delle galassie
)()
19
<<;('()
9
(B')
17
4-
''()
-8
G,<8(9:
2
(*+
2
()
22
()
33
*+
ABsec ∙ dyn
-1
∙ cm
-1
Se invece teniamo conto della presenza di materia ed energia oscure, otteniamo:
59
I
T
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Universo Visibile
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Totalità delle galassie + Materia oscura+ energia oscura
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-1
Un risultato simile a quello ottenuto per I
T
M=9>E8+>L8JJ+88così enigmatico da
suggerirmi di dover meditare ancora e ancora su queste idee. In ogni caso, da quanto
detto sembra quasi emergere che il vuoto sia in realtà un perfetto contenitore di tempo e
che in Natura, piuttosto che l’antico horror, potrebbe valere l’amor vacui.
Addirittura potremmo arrivare ad assimilare il concetto di tempo con quello di vuoto: la
sua presenza potrebbe essere dovuta a spazio privo di altri attributi che si apre tra enti,
allontanandoli e facendo scendere la densità generale. La cosiddetta freccia del tempo
sarebbe così la direzione in entrata di questo fluido che, quando non lascia segni così
evidenti su persone o cose, spesso ci induce a esclamare «sembra senza tempo».
Il disfacimento degli enti che di solito connettiamo all’azione del tempo, potrebbe anche
essere connesso all’ingresso di spazio vuoto nella loro struttura interna. Se così fosse, il
vuoto tra le galassie farebbe salire il contenuto del serbatoio temporale a valori tali per
cui si avrebbe
cosmo S
)()
19
<<;
Simili considerazioni sembrano suggerirmi altre stimolanti analogie come quella che vi
è tra decadimento di sostanze radioattive e misurazione dell’età delle stesse: al
decadimento, ovvero all’emissione di energia, quindi di massa, corrisponde un ingresso
di fluido temporale. L’universo giocattolo che si è venuto a creare baloccandoci fin qui
con concetti semplici e forzando promettenti analogie, appare allora come un oggetto il
cui obiettivo finale sembra essere proprio la creazione del tempo tramite l’espansione.
Questa idea presenta tutti i tratti utili per costituire la base teorica sulla quale costruire –
seguendo l’esempio di Wells che usò narrativamente le teorie di Darwin e di tanti altri
scrittori di fantascienza che hanno esplicitato le caratteristiche fisiche dei mondi da loro
immaginati – un mondo narrativo alternativo nel quale collocare personaggi e vicende si
spera entusiasmanti. In tutto ciò, almeno che io non crei un avvincente avventura
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attorno ai concetti qui espressi, mi sono macchiato dell’orrendo delitto di aver occupato
il vostro preziosissimo tempo con questa divagazione.
Fintanto che l’evoluzione non sarà capace, se mai lo sarà, di farci diventare una specie
evanescente con un corpo di densità bassissima e una aspettativa di vita
proporzionalmente molto più lunga, l’aver sprecato il vostro tempo, quel preziosissimo
tempo regalatoci dall’incessante lavorio dell’Universo, rimane un orrendo delitto del
quale mi scuso.
Allora vi lascio.
E vi auguro una buona evoluzione.
Bibliografia
Adamo Angelo, Lo spazio e il tempo prima dello spazio-tempo, Atti del Convegno
GAL-Hassin, VIII Edizione, Settembre 2016.
Adamo Angelo, Pianeti tra le note, Springer, Milano, 2009.
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Bellone, Enrico, L’età del Sole, in Rossi, Paolo (cur.), Dall’Età romantica alla società
industriale 2, TEA, Milano, 1989, pp. 663-676.
-Darwin Charles, On the Origin of Species, John Murray, London, 1859 (trad. it.
Consultata: L’origine delle specie per selezione naturale, Newton Compton, Roma,
2013);
Gorst Martin, Quando il mondo è cominciato, Edizioni Piemme, Casale Monferrato
2002.
Hauser, Arnold, Storia Sociale dell’Arte, Volume IV, Einaudi PBE, Torino, 2001.
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Macdougall J. Douglas, Storia della Terra, Einaudi, Torino, 1999.
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Rossi, Paolo (cur.), Dall’Età romantica alla società industriale 2, TEA, Milano, 2000.
Wells Herbert George, La guerra dei mondi, Mursia, Milano, 1991.
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L'esposizione di orologi solari che fa bella mostra di sé nel prato antistante il planetario di Isnello costituisce una splendida occasione per parlare di astronomia antica: uno studio del cielo con alla base una visione alquanto ingenua del mondo e della nostra posizione al suo interno. L'Orologio Geografico, l'Orologio Polare, il Cerchio di Ipparco offrono quindi a noi astronomi e divulgatori del GAL Hassin un ottimo punto di partenza dal quale far " decolla-re " con gradualità il pubblico " alla volta " di descrizioni del cosmo sempre più ampie e profonde: salito il primo gra-dino, continuiamo idealmente sulla scala di distanze che conduce da Isnello alla Luna, dalla Luna al resto del Sistema Solare; dal Sistema Solare alle stelle vicine, alla Via Lattea e all'universo, nella speranza di mostrare con chiarezza come la storia dell'astronomia antica si leghi senza soluzione di continuità a quella dell'astrofisica moderna. Questo viaggio alla conquista dello spazio al di fuori del-l'atmosfera è a tutti gli effetti anche un viaggio alla sco-perta del concetto stesso di spazio; prelude, inoltre, alla scoperta della coordinata tempo, immagine fisica di un con-GAL Hassin 2016 141
mi sono macchiato dell'orrendo delitto di aver occupato il vostro preziosissimo tempo con questa divagazione
  • Ai Concetti Qui Espressi
ai concetti qui espressi, mi sono macchiato dell'orrendo delitto di aver occupato il vostro preziosissimo tempo con questa divagazione.
evoluzione non sarà capace, se mai lo sarà, di farci diventare una specie evanescente con un corpo di densità bassissima e una aspettativa di vita proporzionalmente molto più lunga, l'aver sprecato il vostro tempo, quel preziosissimo tempo regalatoci dall'incessante lavorio dell
  • Fintanto
Fintanto che l'evoluzione non sarà capace, se mai lo sarà, di farci diventare una specie evanescente con un corpo di densità bassissima e una aspettativa di vita proporzionalmente molto più lunga, l'aver sprecato il vostro tempo, quel preziosissimo tempo regalatoci dall'incessante lavorio dell'Universo, rimane un orrendo delitto del quale mi scuso.
Un orologio… a tempo
  • Adamo Angelo
Adamo Angelo, "Un orologio… a tempo", Domenicale de Il Sole 24 Ore, 17 Aprile 2017.
Quando il mondo è cominciato
  • Gorst Martin
Gorst Martin, Quando il mondo è cominciato, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2002.
Dall'Età romantica alla società industriale 2, TEA
  • Enrico Bellone
  • L'età Del Sole
Bellone, Enrico, L'età del Sole, in Rossi, Paolo (cur.), Dall'Età romantica alla società industriale 2, TEA, Milano, 1989, pp. 663-676.
  • Arnold Hauser
  • Storia Sociale Dell'arte
Hauser, Arnold, Storia Sociale dell'Arte, Volume IV, Einaudi PBE, Torino, 2001.
Dall'Età romantica alla società industriale 2
  • Paolo Rossi
Rossi, Paolo (cur.), Dall'Età romantica alla società industriale 2, TEA, Milano, 2000. Wells Herbert George, La guerra dei mondi, Mursia, Milano, 1991.