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Rivista delle società – 2017
FEDERICO GHEZZI (♣)
L’efficacia dei poteri di enforcement delle autorità antitrust na-
zionali nella proposta di Direttiva europea e le possibili conse-
guenze sul sistema sanzionatorio italiano.
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Le inefficienze e le lacune delle autorità nazio-
nali. – 3. La proposta di direttiva e le disposizioni in tema di poteri sanzio-
natori e decisori. – 4. L’impresa quale soggetto a cui è imputata la san-
zione. – 5. Le sanzioni alle associazioni di imprese. – 6. Il ripristino delle
condizioni di concorrenza sul mercato. – 7. Tanto rumore per nulla? Qual-
che considerazioni conclusiva sulla proposta di direttiva.
1. Lo scorso 22 marzo 2017 la Commissione Europea ha pub-
blicato una proposta di direttiva volta a conferire alle autorità nazio-
nali di tutela della concorrenza maggiori poteri di enforcement e ad
assicurare il corretto funzionamento del mercato interno (1). La dif-
fusione del testo della proposta, unitamente ad una serie di corposi
documenti accompagnatori, è avvenuta all’esito di un percorso lungo
e articolato (2) nel quale, oltre alla Commissione, hanno giocato un
(♣) Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università Bocconi di Milano.
(1) Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, che conferisce
alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più effi-
cace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno, Bruxelles, 22.3.2017
COM(2017), 142 final 2017/0063 (COD). Sulla proposta, per alcune prime osservazioni,
cfr. M. BOTTA, The draft Directive on the Powers of National Competition Authorities:
the Glass Half Empty and Half Full, in 38 E.C.L.Rev., 2017, 470-477; H. ANDERSSON,
ECN Plus – Should the New EU Directive Empowering National Competition Authorities
be all about Effectiveness?, Ascola – Stockholm, 15-17 June 2017; W.P.J. WILS, Com-
petition Authorities: Towards more Independence and Prioritization? The European
Commission’s “ECN+” Proposal for a Directive to Empower the Competition Authority
of the Member States to be more Effective Enforcers, New Frontiers of Antitrust – Paris,
June 2017; C.S. RUSU, The Commission’s 2017 EU Antitrust Draft Directive: Addressing
the Public Enforcement Fragmentation, mimeo 2017, nonché F. GHEZZI, B. MARCHETTI,
La proposta di direttiva in materia di Rete europea della concorrenza e la necessità di
un giusto equilibrio tra efficienza e garanzie, in Rivista italiana di diritto pubblico comu-
nitario, 2017, 1431 ss.
(2) La proposta è il prodotto di vari studi, comunicazioni, documenti delle istitu-
zioni comunitarie e nazionali volti a verificare le capacità, modalità, ed efficacia dell’in-
tervento delle autorità antitrust nazionali, nonché il grado di convergenza delle loro pro-
cedure. In questo senso, la Commissione e i suoi servizi sono intervenuti a più riprese (la
cronologia è ricordata in EUROPEAN COMMISSION STAFF DOCUMENT, Enhancing Com-
petition Enforcement by the Member States’ Competition Authorities: Institutional and
Procedural Issues, Brussels, 9-7-2014 SWD(2014) 231 final), ma soprattutto si sono fatte
parti attive le varie autorità nazionali nell’ambito della REC, pubblicando tra il 2012 e il
2013 due rapporti generali su “Decision-Making Powers” e “Investigative Powers” (con-
sultabili all’indirizzo: http://ec.europa.eu/competition/ecn/documents.html) e una serie di
raccomandazioni sui poteri di indagine, sulle misure di attuazione e sulle sanzioni nel
contesto delle ispezioni e delle richieste di informazioni; sui poteri di raccolta delle prove
digitali, sull’assistenza nelle ispezioni compiute per conto di altre autorità; sul potere di
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ruolo di primo piano le autorità nazionali di tutela della concorrenza,
anche nell’ambito della c.d. Rete europea della concorrenza (3). Data
la base giuridica della proposta, che si fonda non solo sull’art. 103
(4), ma anche sull’art. 114 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea (5), per la sua approvazione saranno chiamati
ad esprimersi congiuntamente il Parlamento e il Consiglio europeo.
Si ritiene che l’adozione del testo definitivo della Direttiva possa av-
venire nel primo semestre del 2018; da quel momento, ai sensi
dell’art. 32 scatterà per gli Stati membri il termine di due anni per il
suo recepimento.
La proposta mira ad incidere sul modo in cui devono operare le
autorità nazionali di tutela della concorrenza, le quali, per effetto
fissare priorità; sulle misure cautelari; sulle decisioni con impegni, nonché sul potere di
imporre rimedi strutturali. Queste raccomandazioni costituiscono di fatto il nucleo cen-
trale della Proposta di direttiva, la quale, pertanto, non può essere intesa come una impo-
sizione dall’alto quanto piuttosto come un processo di collaborazione orizzontale.
(3) Lo European Competition Network (o ECN), è la rete di autorità pubbliche (le
autorità nazionali e la Commissione) che agiscono nell’interesse generale e in stretta col-
laborazione al fine di tutelare la concorrenza così come disciplinata dagli articoli 101 e
102 del Trattato. Sulla Rete europea di concorrenza cfr., senza pretese di completezza, i
seguenti studi recenti: C.S. RUSU, The Commission Communication on Ten Years of An-
titrust Enforcement Under Regulation 1/2003 – Prospective Priorities and Challenges,
Springer, 2017; K. CSERES, A. OUTHUIJSE, Parallel Enforcement and Accountability: The
Case of EU Competition Law (June 30, 2017), Univ. Groningen Faculty of Law Research
Paper No. 2017-11; W. SAUTER, Coherence in EU Competition Law, O.U.P., 2016; B.
LASSERRE, The Future of the European Competition Network (May 16, 2014), 21st St.
Gallen Int. Competition Law Forum ICF, May 2014; B. MARCHETTI, Le garanzie proce-
durali e processuali delle imprese nella Rete europea della concorrenza, in Rivista della
regolazione dei mercati, 2014, 1, 5-28; A. MUNDT, The ECN's Way Ahead: Making De-
centralised Antitrust Enforcement Waterproof, in 5 Journal of Eur. Comp. Law & Pract.,
2014, 519–520; G. MONTI, Independence, interdependence and legitimacy: the EU Com-
mission, National Competition Authorities, and the European Competition Network,
Working Paper EUI LAW; 2014/01; D.M.B. GERARD, The ECN - Network Antitrust En-
forcement in the European Union, in D. GERADIN, I. LIANOS (eds.), Research Handbook
on EU Competition Law, Cheltenham 2013; W. WILS, Ten Years of Regulation 1/2003-
A Retrospective, in Journal of Eur. Comp. Law & Pract., 2013, 293 ss.; D.J. GERBER,
The Evolution of a European Competition Law Network, working paper, su
www.http://works.bepress.com/david_gerber/46; F. CENGIZ, Multi-Level Governance in
Competition Policy: the European Competition Network, in Eur. L. Rev., 2010, 35; Y.
SVETIEV, Networked Competition Governance in the EU: Delegation, Decentralization
or Experimentalist Architecture?, in C. SABEL, J. ZEITLIN (eds.), Experimentalist Gov-
ernance in the EU, Oxford 2010.
(4) Come è noto, l’art. 103 TfUE dispone che i regolamenti e le direttive utili ai
fini dell'applicazione dei principi contemplati dagli articoli 101 e 102 in materia di intese
e abusi di posizione dominante sono stabiliti dal Consiglio, su proposta della Commis-
sione e previa consultazione del Parlamento europeo.
(5) Salvo che i trattati non dispongano diversamente, il Parlamento europeo e il
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione
del Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno
per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.
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dell’art. 3 del Reg. (CE) 1/2003 (6), quando l’intesa o l’abuso di po-
sizione dominante possano pregiudicare il commercio tra Stati mem-
bri, sono ora tenute ad applicare il diritto antitrust europeo (oltre,
eventualmente, al diritto nazionale).
La piena “investitura” delle autorità nazionali in punto di ap-
plicazione delle regole di concorrenza europee ha avuto conseguenze
sistematiche di grande rilievo, comportando il passaggio da un mo-
dello di enforcement fortemente accentrato ad uno che si fonda pre-
valentemente sull’attività di una molteplicità di autorità che operano
come nodi periferici di una Rete. I dati empirici a disposizione sono
assai eloquenti riguardo alla rivoluzione copernicana avvenuta negli
ultimi quattordici anni: per effetto dell’istituzione della Rete e della
nuova geografia dell’enforcement da essa prodotta, dal 2004 al 2017
oltre l’85% dei provvedimenti assunti ai sensi degli articoli 101 e
102 del Trattato si deve all’opera delle autorità nazionali (7); paral-
lelamente, il numero di decisioni prese annualmente sulla base delle
norme antitrust europee è aumentato esponenzialmente (8).
Per un verso, il decentramento ha dunque contribuito in misura
assai significativa all’efficacia quantitativa dell’enforcement delle
regole di concorrenza europee (9); per altro verso, esso ha tuttavia
(6) Regolamento (CE) n. 1/2003, del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente
l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, in GUCE
L1, 2003, 1 ss.
(7) E, guardando alla giurisprudenza più recente della Corte, questo effetto non
potrà che ampliarsi ulteriormente. Cfr. ad esempio Tribunale, 16 maggio 2017, causa T-
480/15, Agria Polska et al. c. Commissione, ECLI:EU:T:2017:339, punti 58 ss. (anche
per la considerazione che la Commissione avrebbe diritto a rilevare la mancanza di inte-
resse comunitario laddove il caso potrebbe essere meglio trattato dalle autorità nazionali
e, ove queste pure si rifiutassero per questioni di priorità, dai giudici nazionali, atteso
peraltro il contributo che le decisioni dei giudici potrebbero dare ad incrementare l’effetto
utile degli artt. 101 e 102); per alcuni precedenti riferimenti v. C.S. RUSU, Workload Di-
vision after the Si.mobil and easyJet Rulings of the General Court, 11 Comp. Law Rev.,
1, 2015, 163-172.
(8) Mentre nel periodo 2005-2016 la Commissione ha avviato ai sensi degli articoli
101 e 102 un numero di istruttorie variabili tra le 10 e le 20 ogni anno, nel medesimo
periodo le autorità nazionali hanno avviato circa 1700 casi, ossia in media 141,6 casi
all’anno. I dati sono riportati nella Relazione della Commissione alla Proposta di Diret-
tiva. Sulla rilevanza di questi dati e del contributo delle autorità nazionali, cfr. M.
VESTAGER, Keynote Speech, in Cuncurrences’ New Frontiers of Antitrust, Paris, 15 June
2015, ove la Commissaria afferma «since taking up my post last November, one of the
happiest discoveries has been the remarkable achievements made jointly by the Commis-
sion and national competition authorities in the European Competition Network».
(9) Ciò non significa necessariamente un incremento dell’enforcement antitrust in
assoluto. Non è chiaro infatti se l’attività delle autorità antitrust nazionali a tutela della
concorrenza sia complessivamente aumentata, oppure se esse abbiano semplicemente
fondato un maggior numero di decisioni sugli artt. 101 e 102 TfUE invece che sulle omo-
loghe norme nazionali. La desiderabilità di un maggiore decentramento è peraltro anche
connessa (a) al migliore posizionamento (sotto il profilo informativo, linguistico, ecc.)
delle ANC quando devono trattare casi sostanzialmente nazionali e (b) alla possibilità che
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prodotto una minore uniformità nell’intensità e nei risultati dell’en-
forcement, sia per questioni procedurali, sia per i diversi assetti, ri-
sorse, e poteri di cui le autorità antitrust sono dotate (10). Se, infatti,
il Reg. 1/2003 ha imposto alle autorità nazionali di applicare il diritto
europeo, la configurazione delle autorità, nonché i loro poteri istrut-
tori, decisori e sanzionatori sono tutt’ora disciplinati dal diritto na-
zionale (11). La mancanza di basi minime comuni e talune lacune in
termini di disegno istituzionale delle autorità, nonché di poteri di en-
forcement (ispettivi, istruttori, sanzionatori e rimediali) hanno con-
dotto ad una marcata difformità applicativa, determinando una tutela
della concorrenza sub-ottimale da parte delle autorità meno “attrez-
zate” e, più in generale, distorsioni e squilibri nell’applicazione del
diritto antitrust all’interno del mercato unico.
Lo scopo della proposta di direttiva è dunque quello di garantire
le precondizioni (12) per la creazione di un level playing field per le
imprese ed i consumatori, prevedendo per le autorità nazionali un
insieme minimo di caratteristiche comuni in termini di indipendenza,
risorse, poteri di indagine e sanzionatori, nonché meccanismi di coo-
perazione reciproca (13).
si instauri una sorta di competizione virtuosa tra autorità, dando ad esempio luogo a nuove
e più efficaci modalità di intervento ed analisi dei casi, ecc. Su questi aspetti si veda già
J. VENIT, Brave New World. The Modernisation of Enforcement under articles 81 and 82
of the Treaty, in 40 Common Market Law Review, 2003, 562. Per un’analisi dei molti
“successi” determinati dall’entrata in vigore del Reg. 1/2003 v. W. WILS (nt. 3), 2013,
293. (10) Si riconosce invece maggiore uniformità sul piano dell’applicazione del diritto
sostanziale e dei principi europei in materia di concorrenza. V. tra i molti K. CSERES,
Comparing Laws in the Enforcement of EU and National Competition Law, in 3 Eur. J.
Legal Stud., 2010, 12-15, nonché i vari contributi pubblicati in A. ALMAŞAN E P.
WHELAN, The Consistent application of EU Competition Law – Substantive and Proce-
dural Challenges, Springer, 2017.
(11) Infatti, al di là dell’obbligazione generale contenuta nell’art. 35 Reg. 1/2003,
nessuna norma del regolamento regola i poteri istruttori e sanzionatori delle autorità, così
che lo «institutional set up varies and the EU leaves the Member States a large degree of
flexibility for the design of their enforcement regimes»; cfr. H. ANDERSSON (nt. 1), 4.
(12) Come indicato in M. BOTTA (nt. 1), 471, i benefici in termini di armonizza-
zione dipenderanno non solo dal recepimento della direttiva, ma soprattutto dalla misura
in cui le autorità applicheranno effettivamente i nuovi poteri. Peraltro, vi sono evidenze
che in alcuni Stati membri, quali la Spagna, l’introduzione di più efficaci strumenti e
poteri di enforcement ha condotto ad un incremento sia nel numero di istruttorie concluse,
sia nella percentuale di divieti, sia nell’ammontare delle sanzioni comminate. Cfr. COM-
MISSION STAFF WORKING DOCUMENT, Impact Assessment Accompanying the document
proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council to empower the
competition authorities of the Member States to be more effective enforcers and to ensure
the proper functioning of the internal market, Bruxelles, 22-3-2017, SWD(2017) 114 fi-
nal Part 1/2, 10.
(13) Norme ad armonizzazione piena sono invece previste nella specifica materia
dei programmi di clemenza. Il considerando n. 10 della proposta di Direttiva specifica
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L’armonizzazione avviene tuttavia in un contesto volto a ga-
rantire maggiore efficacia nell’enforcement, con la previsione di più
incisivi poteri investigativi, decisionali e sanzionatori, nonché forme
di coordinamento tra le autorità delle Rete, tali da assicurare una ca-
pacità di intervento a tutela della concorrenza in tutto simile a quella
che caratterizza l’attività della Commissione. Dunque, ed in sintesi,
una armonizzazione ottenuta grazie ad un generale rafforzamento dei
poteri di enforcement, nel senso di un incremento del livello com-
plessivo di capacità dissuasiva del sistema di applicazione degli arti-
coli 101 e 102 del Trattato (14).
In questo lavoro mi propongo di valutare gli effetti che su al-
cuni dei piani segnalati – in particolare quello latamente sanzionato-
rio – la proposta di direttiva produrrà per l’ordinamento e per le im-
prese italiane. Si è infatti sostenuto che la proposta di direttiva derivi
dall’esigenza di intervenire sui poteri delle autorità degli Stati mem-
bri di più recente adesione, meno avvezze alla tutela della concor-
renza e con assetti insufficienti, in quanto inidonei a garantire indi-
pendenza, risorse e poteri adeguati al fine di un efficace intervento
sui mercati (15). Se l’affermazione è condivisibile sotto molteplici
profili, nondimeno è innegabile che la proposta di direttiva è suscet-
tibile, se approvata, di determinare un impatto alquanto significativo
in tutti i principali Stati membri, compresa l’Italia.
Da ultimo, intendo brevemente soffermarmi sui lavori del Par-
lamento europeo e del Consiglio che, pur riguardando molteplici
aspetti della Direttiva, si sono concentrati sulla equazione “armoniz-
zazione nel segno di una maggiore dissuasione” e sul conseguente
ruolo delle sanzioni, con l’apparente intento di voler ridimensionare
la portata dirompente della proposta.
2. Nel 2014, illustrando i pur positivi risultati ottenuti nei primi
10 anni di applicazione del Reg. 1/2003 (16), la Commissione am-
metteva che la parziale divergenza riscontrata in tema di public en-
forcement negli Stati membri impediva di assicurare un level playing
field agli operatori economici. Al fine di creare uno spazio comune
effettivo di applicazione delle norme in materia di concorrenza
infatti che «per quanto riguarda le condizioni per la concessione del trattamento favore-
vole nei casi di cartelli segreti, sono necessarie norme dettagliate».
(14) Cfr. nello stesso senso C.S. RUSU (nt. 1), 4.
(15) Si v. in questo senso M. BOTTA (nt. 1), 472 ss.
(16) Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione al Parla-
mento europeo e al Consiglio – Dieci anni di applicazione delle norme antitrust ai sensi
del regolamento (CE) n. 1/2003: risultati e prospettive future, Bruxelles, 9-7-2014,
COM(2014) 453 final.
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all’interno dell’Unione europea era pertanto necessario garantire
maggiori convergenze tra i sistemi nazionali (17).
Nella Relazione alla proposta di direttiva, la Commissione rag-
gruppa in cinque grandi gruppi le lacune nei sistemi di enforcement
delle autorità nazionali (18).
Il primo riguarda il grado di indipendenza delle autorità. Indi-
pendenza dal potere politico, ma anche più generalmente indipen-
denza da qualsiasi altro soggetto e istanza nell’assumere le decisioni
che attengono a restrizioni della concorrenza (19). Garanzie di indi-
pendenza mancano anche sotto il profilo dei rapporti tra staff e mem-
bri delle autorità e dipendenti delle imprese “vigilate”. Ma al profilo
dell’indipendenza si lega pure quello delle risorse umane, economi-
che, finanziarie e infrastrutturali di cui sono dotate le autorità. È
chiaro come carenze in termini di risorse economiche o di personale
e di competenze specifiche possano minare le capacità di indagine
dell’autorità, nonché la possibilità di offrire la propria cooperazione
ad altre autorità nell’ambito del network. La circostanza di non po-
tere stabilire priorità e quindi di allocare in modo efficiente le proprie
scarse risorse aggrava ulteriormente i problemi segnalati.
La seconda lacuna lamentata riguarda i poteri di indagine. Nu-
merose autorità antitrust nazionali non dispongano di tutti gli stru-
menti necessari per individuare e combattere efficacemente le viola-
zioni del diritto della concorrenza. Ad esempio, ad alcune di esse
mancano poteri di indagine fondamentali che permettano loro di rac-
cogliere dati e informazioni ritenuti utili a fini istruttori, condurre
ispezioni a sorpresa al di fuori dei locali dell’impresa o, ancora, rac-
cogliere elementi di prova contenuti su supporti digitali, quali ad
esempio tablet o telefoni, posseduti dall’impresa o comunque acces-
sibili perché ad esempio archiviati in ambiente cloud. I loro poteri di
(17) Cfr. COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT (nt. 12), punto 46.
(18) COMMISSIONE EUROPEA, Relazione di accompagnamento alla Proposta di di-
rettiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità garanti della
concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto
funzionamento del mercato interno, 2.
(19) L’approccio del reg. 1/2003, che nulla dispone in questo campo, è molto di-
verso rispetto a quello seguito dalle autorità europee in altri campi “regolati”, dove le
normative comunitarie richiedono che le autorità nazionali preposte alla regolazione set-
toriale abbiano determinate caratteristiche robuste in termini di indipendenza, nonché di
risorse finanziarie, umane e materiali. Cfr. A. ITALIANER, Completing Convergence, in
Riv. it. Antit. 2015, 1, 9; AMERICAN CHAMBER OF COMMERCE TO EUROPEAN UNION, Em-
powering the national competition authorities to be more effective enforcers, February
2016, 2; ASSONIME, European Commission consultation “Empowering the National
Competition Authorities to be more effective enforcers” Some comments – 4/2016, 2, e
BUNDESKARTELLAMT, Empowering the national competition authorities to be more ef-
fective enforcers, January 2017, 15.
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indagine sono, inoltre, spesso privi di efficacia perché non sono pre-
viste o non sono sufficientemente efficaci le sanzioni in caso di ina-
dempienza da parte delle imprese.
Ulteriore carenza riscontrata nella Relazione riguarda i pro-
grammi di clemenza, programmi che la Commissione considera stru-
mento principe sotto il profilo dell’enforcement, grazie alla loro ca-
pacità di incrinare la fiducia tra coloro che partecipano ai cartelli e
così consentirne l’individuazione. Nel corso degli anni, la Commis-
sione è giunta a ritenere che per il successo dei programmi sia neces-
saria la massima certezza del diritto per coloro che vi aderiscono. Ciò
significa che, una volta soddisfatte le condizioni previste, le imprese
devono avere la ragionevole certezza di ottenere l’immunità dalle
sanzioni senza al contempo il timore che tale collaborazione possa
condurre direttamente o indirettamente ad avviare altri procedimenti
civili, amministrativi o penali. Detta esigenza di certezza vale anche
orizzontalmente, ossia quando le parti partecipino a cartelli che ab-
biano generato un impatto nel territorio di più Stati membri e deb-
bano pertanto presentare un fascio di domande di trattamento favo-
revole in diversi ordinamenti. La mancanza di coordinamento e uni-
formità nelle legislazioni nazionali potrebbe ridurre fortemente l’ap-
petibilità di tali programmi.
Ancora, le deficienze segnalate ostacolano il corretto funziona-
mento del sistema di cooperazione tra le autorità nazionali, stretta-
mente necessario al fine dell’applicazione degli articoli 101 e 102 da
parte delle autorità nazionali quando la fattispecie, pur originandosi
e avendo il nucleo centrale dell’impatto a livello domestico, possa
richiedere lo sviluppo dell’attività investigativa, istruttoria e deciso-
ria anche al di fuori dei confini nazionali. L’efficace funzionamento
di un tale sistema di competenze parallele a “rete” dipende infatti
anche dalla capacità delle autorità di fare affidamento le une sulle
altre per lo sviluppo dell’insieme delle attività prodromiche all’as-
sunzione delle decisioni e di quelle successive, ed in particolare ese-
cutive.
Infine, ed è questo il punto che si intende sviluppare nei suc-
cessivi paragrafi, il sistema sanzionatorio a disposizione delle auto-
rità nazionali non è per nulla armonizzato. In taluni Stati membri si
prevede un massimo edittale, mentre in altri una soglia massima
fissa, espressa nella moneta locale (20) o in percentuale del fatturato;
ancora, quando ci si riferisce al fatturato, la percentuale massima (21)
(20) In Estonia vi è una soglia massima corrispondente a 16 milioni di euro per la
violazione del divieto di intese (meglio, se il caso è trattato da un tribunale penale) e di
400.000 euro per i casi di abuso di posizione dominante.
(21) Soglia massima che in alcuni ordinamenti, quali quello tedesco e spagnolo, è
considerata come massimo edittale e quindi mai superabile nell’ambito della metodologia
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talvolta è diversa (22) e differenti sono la nozione di impresa (23) e la
dimensione geografica del fatturato (24) prese in considerazione ai
fini del calcolo della sanzione effettiva (25). Ciò porta a fare sì che
«la sanzione per la stessa infrazione può essere molto più elevata in
uno Stato membro rispetto a un altro, senza che tale differenza sia
giustificata da circostanze oggettive» (26). Disarmonie molto evi-
denti vi sono pure in relazione sia alle sanzioni rimediali, quali le
misure comportamentali o strutturali (27), sia alle sanzioni c.d. pro-
cedurali, che sono fondamentali al fine di assicurare la correttezza
della condotta delle imprese tanto in fase istruttoria e di raccolta delle
prove, quanto nella successiva fase esecutiva della decisione, spe-
cialmente nel caso di imposizione di rimedi comportamentali o strut-
turali ma anche a seguito di decisioni con impegni.
Tutte queste lacune, maggiori per talune autorità che per altre,
ma che per qualche aspetto riguardano ciascuna delle autorità anti-
trust degli Stati membri, determinano un funzionamento subottimale
di calcolo della sanzione, mentre in altri è considerata come soglia massima alla quale
eventualmente riportare la sanzione effettiva calcolata.
(22) Generalmente essa è pari al 10% ma in alcuni Stati membri è prevista al 5%
per talune infrazioni, mentre in altri può giungere, nei casi più gravi e di durata maggiore,
fino all’80% del fatturato annuale dell’impresa.
(23) In taluni ordinamenti, coerentemente con la nozione di singola unità econo-
mica elaborata dalla Commissione e avallata dalla Corte di giustizia, la soglia massima si
riferisce al fatturato consolidato del gruppo di cui l’impresa che ha violato la normativa
fa parte. In altri ordinamenti, si guarda invece unicamente al fatturato della sola società
che commesso l’infrazione. Analoghi problemi si hanno in relazione alla c.d. successione
di impresa e quindi alla possibilità di richiedere il pagamento della sanzione che avrebbe
dovuto pagare una impresa incorporata all’impresa incorporante o risultante dalla fusione
(problema che molto dibattito ha suscitato soprattutto in Germania e che solo di recente
ha trovato soluzione con la 9a Novella al GWB del giugno 2017.
(24) In taluni Stati membri si fa riferimento (per la soglia massima) al fatturato
mondiale dell’entità coinvolta nella violazione; in altri, come il Belgio, al solo fatturato
nazionale.
(25) Per uno studio aggiornato sul tema, cfr. N. DUNNE, Converging in Competition
Fining Practices in the EU, in 53 Common Market Law Review, 2016, 457 ss., nonché D.
GERADIN, The EU Competition Law Fining System: A Reassessment, TILEC Discussion
Paper No. 2011/52, 2011, 35.
(26) Alcune elaborazioni hanno condotto ad affermare che per la stessa infrazione
(di uguale durata, gravità), posta in essere da imprese con il medesimo fatturato a livello
nazionale e mondiale la sanzione applicabile può variare del 2500% (in realtà le diffe-
renze possono essere pure maggiori). Si tenga inoltre presente che in alcuni Stati membri,
quali l’Estonia o l’Irlanda, la circostanza che le sanzioni abbiano natura penale ha con-
dotto, per varie ragioni, a non applicare alcuna sanzione anche in casi di restrizioni oriz-
zontali.
(27) In ben 11 Stati membri le misure strutturali non possono essere applicate né
per violazioni dell’art. 101, né per violazioni dell’art. 102.
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del network. In presenza delle stesse violazioni l’esito dell’accerta-
mento potrebbe infatti condurre a risultati del tutto diversi a seconda
dell’ordinamento in cui si incardina il procedimento.
Una prima, evidente, conseguenza negativa è una perdita di ef-
ficacia del sistema nel suo complesso. Se si accetta la premessa se-
condo la quale le violazioni antitrust determinano una riduzione del
benessere complessivo e che, per scongiurare tale possibilità, l’inter-
vento antitrust debba essere orientato a principi di deterrenza indivi-
duale e generale, la circostanza che l’enforcement sia subottimale
(anche) per carenze nei poteri a disposizione di talune autorità deve
essere stigmatizzata in quanto tale da impedire il pieno consegui-
mento degli obiettivi per i quali la normativa a tutela della concor-
renza è stata introdotta (28).
Il secondo effetto negativo è interno al sistema. Sistemi di en-
forcement tra loro non sufficientemente coordinati e non altrettanto
efficaci possono infatti provocare distorsioni della concorrenza nel
mercato interno (29), con imprese che potrebbero sfruttare la mancata
armonizzazione per collocare le basi operative negli ordinamenti
meno efficaci nella tutela della concorrenza, mettendosi così (par-
zialmente) al riparo da istruttorie e sanzioni.
Infine, in presenza di autorità che non dispongono degli oppor-
tuni strumenti di indagine o di enforcement, non possono funzionare
i meccanismi di cooperazione e assistenza tra autorità nell’ambito
della Rete, che pure sarebbero fondamentali in caso di istruttorie ri-
guardanti intese o abusi ai quali partecipano imprese operanti in più
Stati membri.
(28) Tra il 2004 e il 2015 vi sono autorità nazionali che hanno applicato il diritto
antitrust europeo in più di 100 decisioni, come la Francia, la Germania, l’Italia e la Spa-
gna. Altre, quale la Repubblica Ceca, la Finlandia, la Polonia, la Bulgaria e l’Irlanda in
meno di 15: v. COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT (nt. 12), 9. Questa elevata di-
screpanza quantitativa può dipendere da molteplici fattori, quali le dimensioni degli Stati
membri, l’apertura agli scambi commerciali intracomunitari, e il modo in cui è interpre-
tata la clausola del possibile pregiudizio al commercio tra Stati membri, che fa scattare
l’obbligo di applicare il diritto antitrust europeo. Rimane il fatto che le autorità che hanno
applicato in modo “saltuario” il diritto europeo sono le stesse che hanno manifestato i
maggiori problemi in termini di assetti, risorse, indipendenza e carenza di poteri istruttori
e decisori.
(29) In aggiunta, dato il funzionamento del network, le imprese sarebbero soggette
ad una forte incertezza applicativa dovuta alla «arbitrary differences in the enforcement
of Articles 101 and 102 TFEU, depending on whether their case is handled by a “weak”
or by a “strong” authority, or whether national rules on enforcement offer loopholes or
not». Cfr. EDITORIAL COMMENT, Public enforcement of EU competition law: Why the
European antitrust family need a therapy, in 52 Common Market Law Review, 2015,
1195.
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Rivista delle società – 2017
3. Con l’intento di superare alcune delle criticità esaminate, la
Commissione, anche all’esito dei positivi riscontri del processo di
consultazione con i soggetti interessati, ha presentato nel marzo 2017
la Proposta di Direttiva (c.d. ECN+) qui in commento (30), che per i
profili che interessano stabilisce non una disciplina di dettaglio che
ciascun ordinamento deve puntualmente recepire, quanto piuttosto
un insieme di standard minimi da rispettare e non una disciplina di
dettaglio comune. Gli Stati membri mantengono infatti la possibilità
di conferire alle autorità nazionali di tutela della concorrenza poteri
ulteriori rispetto a quelli già previsti, così come sanzioni più elevate
di quelle stabilite nel testo della Direttiva.
Ciò posto, con particolare riferimento alla disciplina delle san-
zioni (31), i considerando che precedono la proposta di Direttiva af-
fermano il principio secondo il quale, onde garantire un’applicazione
efficace e uniforme degli articoli 101 e 102, le autorità nazionali do-
vrebbero avere il potere di imporre sanzioni effettive, proporzionate
e dissuasive alle imprese e alle associazioni di imprese (32). Inoltre,
al fine di assicurare una corrispondenza tra l’ammontare della
sanzione e la rilevanza economica della violazione, nel calcolo della
sanzione occorrerebbe prendere in considerazione il valore delle
vendite dei beni o servizi ai quali si riferisce l’infrazione, nonché la
gravità e la durata dell’infrazione, tenuto conto delle circostanze del
caso di specie, del contesto in cui è avvenuta l’infrazione e
dell’effetto dissuasivo delle ammende (33). Tale sanzione dovrebbe
(30) Lo strumento, una direttiva e non – come molti ritenevano più verosimile – un
regolamento, è stato prescelto per meglio «tenere conto delle tradizioni giuridiche e delle
specificità istituzionali degli Stati membri». Si legge inoltre nella Relazione che, a diffe-
renza del regolamento, la direttiva lascia agli Stati membri la scelta dei mezzi più adeguati
per attuare le misure previste dalla direttiva. Sotto altro profilo, si è ritenuto che un inter-
vento “normativo” da parte delle autorità comunitarie non fosse più procastinabile. In
particolare, il BUNDESKARTELLAMT, (nt. 19), 10, sottolinea che: «legislative action on EU
level is necessary to set down minimum requirements for effective competition enforce-
ment on the national level. In some areas, solution found by national legislators have
proven insufficient to resolve existing impediments to effective enforcement on the na-
tional level. An example is the so far unsuccessful attempt by the German legislator to
effectively counter fine evasion strategies». Si tratta peraltro di una posizione comune a
quasi tutte le ANC, molte delle quali scottate dal fatto di non essere riuscite a fare appro-
vare alcune modifiche e integrazioni alle proprie normative interne sulla base delle rac-
comandazioni dell’ECN. Pochissime sono le autorità neutrali (quali quella olandese),
mentre la sola autorità inglese si è mostrata contraria ad un intervento normativo.
(31) Per una descrizione degli altri aspetti dell’enforcement disciplinati dalla pro-
posta di direttiva sia consentito di rinviare a F. GHEZZI, B. MARCHETTI (nt. 1), in part.
1452 ss.
(32) Si veda il Considerando n. 29.
(33) Il Considerando n. 32 afferma inoltre che « i fattori che possono rientrare in
questa valutazione sono il fatturato per i beni e i servizi per i quali è stata commessa
l’infrazione e le dimensioni e la potenza economica dell’impresa, in quanto rispecchiano
l’influenza che l’impresa ha potuto esercitare sul mercato. Inoltre, l’esistenza di infrazioni
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Rivista delle società – 2017
essere incrementata nel caso di reiterazione della stessa condotta.
Infine, sulla scorta del fatto che l’effetto dissuasivo delle ammende
varia notevolmente da un paese all’altro e in alcuni Stati membri la
soglia legale massima dell’ammenda è molto bassa, l’importo
massimo dovrebbe essere fissato a un livello comune, non inferiore
al 10% del fatturato mondiale totale dell’impresa interessata (34).
Per questi motivi, l’art. 12 della proposta stabilisce l’obbligo
per gli Stati membri di provvedere affinché «le autorità
amministrative nazionali garanti della concorrenza possano
procedere all’imposizione, mediante decisione in un procedimento
amministrativo, o possano chiedere l’imposizione, in un
procedimento giudiziario non penale, di ammende efficaci,
proporzionate e dissuasive alle imprese o associazioni di imprese
quando, intenzionalmente o per negligenza, commettono
un’infrazione alle disposizioni degli articoli 101 o 102 del TFUE».
L’art. 13, che disciplina il calcolo delle ammende, prevede che gli
Stati membri debbano assicurare che, quando le autorità nazionali
garanti della concorrenza determinano l’importo dell’ammenda per
un’infrazione all’articolo 101 o all’articolo 102 del TFUE, si tenga
conto sia della gravità che della durata dell’infrazione. L’articolo 14,
infine, rubricato importo massimo della sanzione, detta il limite
superiore dell’ammenda che un’autorità nazionale garante della
concorrenza può infliggere a ciascuna impresa partecipante a una
violazione degli articoli 101 o 102 del TFUE, fissato «a un livello
non inferiore al 10% del suo fatturato mondiale totale realizzato
durante l’esercizio sociale precedente la decisione».
Su questa serie di disposizioni generali se ne innestano due
specifiche, la prima che deriva dalla presa d’atto e conseguente
cristallizazione di un ormai consolidato principio elaborato dalla
giurisprudenza europea, mentre la seconda era già presente nel
contesto dell’art. 23 del Reg. (CE) 1/2003.
Da un lato, infatti, si osserva che la nozione di impresa, di cui
agli articoli 101 e 102 TfUE, dovrebbe essere applicata in modo
uniforme, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea, e quindi facendo riferimento ad un’unità
economica, anche qualora essa sia costituita da più persone fisiche o
giuridiche. In particolare, tale nozione di impresa dovrebbe essere
pertanto applicata «per stabilire la responsabilità di una società
reiterate da parte dello stesso soggetto colpevole dimostra la sua propensione a commet-
tere tali infrazioni ed è, pertanto, un indice molto significativo della gravità del compor-
tamento in questione e, quindi, dell’esigenza di aumentare il livello della sanzione per
conseguire un reale effetto dissuasivo».
(34) Si veda il Considerando n. 34. Come si è già osservato, ciò non dovrebbe
impedire agli Stati membri di mantenere o introdurre un importo massimo di ammenda
più elevato.
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Rivista delle società – 2017
madre e infliggerle un’ammenda per sanzionare il comportamento di
una delle sue controllate, qualora la società madre e la sua controllata
rappresentino una sola unità economica» (35). A tal fine, l’art. 12,
paragrafo 3, richiede dunque agli Stati membri di assicurare che «si
applichi la nozione di impresa ai fini dell’imposizione delle
ammende alle società madre e ai successori legali ed economici delle
imprese» (36).
D’altro lato, la proposta riprende testualmente una disposizione
del Reg. 1/2003 in relazione alle ammende da applicarsi alle
associazioni di imprese. Il considerando n. 33 alla proposta di
Direttiva offre una spiegazione – per la verità espressa in modo forse
semplicistico – circa la necessità di adottare un criterio sanzionatorio
specifico. Si afferma infatti che, «poiché, come dimostra
l’esperienza, le associazioni di imprese svolgono regolarmente un
ruolo nelle infrazioni alle norme di concorrenza, le ANC dovrebbero
poter infliggere loro ammende efficaci». Sulla scorta di questa
premessa, si introduce una modalità di calcolo della sanzione legata
al valore delle vendite delle associate e prevede altresì una
ripartizione sequenziale dell’obbligazione debitoria tra
l’associazione e i suoi membri. Tale modalità è poi riflessa nell’art.
14 della proposta, il quale stabilisce che qualora l’infrazione
commessa da un’associazione di imprese riguardi le attività dei suoi
membri, l’importo massimo dell’ammenda è fissato a un livello non
inferiore al 10% della somma dei fatturati mondiali totali di ciascun
membro operante sul mercato interessato dall’infrazione commessa
dall’associazione. Per quanto concerne invece la ripartizione
dell’ammenda, l’art. 13, paragrafo 2, soggiunge che qualora sia
irrogata un’ammenda ad un’associazione di imprese che tenga conto
del fatturato dei suoi membri è l’associazione che comunque deve
(in prima battuta) provvedere al pagamento. Qualora tuttavia, data
(35) Il Considerando n. 31 aggiunge che, onde evitare che le imprese si sottraggano
alla responsabilità ai fini dell’ammenda per la violazione degli articoli 101 e 102 TfUE
operando cambiamenti di natura giuridica o organizzativa, le autorità nazionali dovreb-
bero poter individuare i successori giuridici o economici dell’impresa responsabile, e in-
fliggere loro le ammende per violazione degli articoli 101 e 102, conformemente alla
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
(36) Tale ultima precisazione è stata invocata con particolare vigore dal Bunde-
skartellamt, anche a seguito di alcune vicende che hanno visto alcune imprese colpite da
sanzioni (in particolare nel noto caso del Wurst-Kartell, che aveva portato nel 2014 a
condannare 21 produttori di wurstel per circa 338 milioni di euro) evitare il pagamento
attraverso successive operazioni di fusione per incorporazione (cfr. http://www.bunde-
skartellamt.de/SharedDocs/Meldung/DE/Pressemitteilun-
gen/2017/26_06_2017_Bell_Wurstkartell.html). La nona GWB-novelle, approvata nel
giugno 2017, sembra peraltro avere colmato anche questa lacuna, posto che il nuovo § 81
stabilisce tra l’altro la responsabilità del successore per il pagamento delle sanzioni
dell’impresa incorporata.
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Rivista delle società – 2017
l’entità dell’ammenda, l’associazione non sia in grado di far fronte
al pagamento, essa è tenuta a richiedere ai propri membri contributi
a concorrenza dell’importo dell’ammenda. Se i membri
dell’associazione non ottemperano volontariamente attraverso i
contributi, le autorità antitrust nazionali potranno successsivamente
richiedere il pagamento dell’importo dell’ammenda ancora dovuto
da qualsivoglia impresa i cui rappresentanti sedessero negli organi
decisionali dell’associazione. Nella misura in cui fosse ancora
necessario, le autorità potranno infine esigere le somme residue da
qualsivoglia membro dell’associazione che al tempo della infrazione
operasse sul mercato oggetto di istruttoria (37). Da ultimo, occorre
rimarcare che non deve essere tuttavia richiesto il pagamento ai
membri dell’associazione che non hanno commesso l’infrazione o
non ne erano a conoscenza, o che si sono attivamente dissociati da
essa prima dell’inizio dell’indagine (38).
Per concludere questo breve panorama sulla parte della
proposta di Direttiva legata alle sanzioni, occorre aggiungere che
l’art. 9 contempla il generale potere delle autorità nazionali di
constatare e fare cessare le infrazioni, e aggiunge che a tal fine
possono imporre l’adozione di tutti i rimedi comportamentali o
strutturali proporzionati all’infrazione commessa e necessari a far
cessare effettivamente l’infrazione stessa. Non sfugge che detti
rimedi non possano qualificarsi tecnicamente una sanzione, ma si
ritenuto opportuno considerarli in questa sede in quanto con le
sanzioni condividono la finalità di evitare ove possibile la
reiterazione delle violazioni (39). Per assicurare che tali rimedi siano
(37) La responsabilità di ciascuna impresa per il pagamento dell’ammenda non può
superare l’importo massimo del 10% del fatturato mondiale totale realizzato nell’eserci-
zio precedente la decisione.
(38) In questo modo la proposta di Direttiva, come del resto il Reg. 1/2003, supera
l’obiezione legata alla violazione del principio della responsabilità personale. Nel conte-
sto delle regole antitrust, responsabilità personale significa infatti che un comportamento
anticoncorrenziale debba essere imputato, quantomeno in linea di principio, alle persone,
fisiche o giuridiche, che esercitano l’attività dell’impresa che ha infranto gli articoli 101
o 102. Il principio sarebbe dunque chiaramente violato qualora fossero chiamate a pagare
l’ammenda anche imprese del tutto estranee alle condotte vietate. Si noti che il conside-
rando n. 33 dispone ulteriormente che nella ripartizione le autorità nazionali dovrebbero
tener conto della dimensione relativa delle imprese appartenenti all’associazione e, in
particolare, della situazione delle piccole e medie imprese. Di tale indicazione non vi è
tuttavia traccia nell’art. 13 della proposta di Direttiva.
(39) V., in proposito, Corte Giust. CE, 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Che-
miefarma/Commissione, in Raccolta, 661, punto 173, secondo cui le sanzioni per i com-
portamenti anticoncorrenziali «hanno lo scopo di reprimere comportamenti illeciti, come
pure di prevenire il loro ripetersi; v. anche Corte Giust. UE, 7 giugno 2007, causa
C-76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, in Raccolta, I-4405, punto 22,
e, relativamente alla finalità di prevenire violazioni future mediante la dissuasione, v.
Corte di giust. UE, 29 giugno 2006, causa C-289/04 P, Showa Denko/Commissione, in
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Rivista delle società – 2017
rispettativi, l’art. 15 della proposta dispone che le autorità antitrust
nazionali possano infliggere alle imprese e alle associazioni di
imprese, mediante decisione, penalità di mora efficaci, proporzionate
e dissuasive, stabilite in proporzione al rispettivo fatturato totale
giornaliero (40).
4. Al fine di valutare le conseguenze che, qualora la proposta
di Direttiva venisse approvata senza significative modifiche, potreb-
bero aversi in Italia è opportuno prendere le mosse dalle sanzioni
applicabili alle imprese (41).
Si deve sotto questo profilo ricordare che la disciplina italiana,
contenuta nell’art. 15 l. 287/1990 era già stata modificata nel 2001,
proprio per avvicinare il nostro regime sanzionatorio a quello euro-
peo (42). Anche grazie a questo intervento, leggendo il testo dell’art.
Raccolta, I-5859, punto 61, e 29 giugno 2006, causa C-308/04 P, SGL Carbon/Commis-
sione, ivi, I-5977, punto 37.
(40) Si noti che l’unica differenza rispetto a quanto stabilito dall’art. 24 Reg. 1/2003
in relazione alle penalità di mora che la Commissione può irrogare è che in quest’ultimo
caso è fissato il livello massimo dell’importo, che può giungere fino al 5% del fatturato
medio giornaliero.
(41) Un’ulteriore serie di interventi che costringerà a modificare il nostro apparato
sanzionatorio riguarda le c.d. sanzioni procedurali e quelle stabilite in caso di mancato
rispetto delle decisioni. Sotto il primo profilo, la l. 287/1990 prevede già sanzioni nei casi
in cui le imprese si rifiutino di fornire documenti o informazioni ovvero forniscano infor-
mazioni inesatte, incomplete o fuorvianti. Si tratta peraltro di sanzioni di modesto am-
montare massimo (la legge originariamente prevedeva, in relazione alle varie fattispecie,
sanzioni fino a 50 o 100 milioni di lire). L’articolo 12 della proposta di Direttiva amplia
l’ambito di applicazione delle sanzioni procedurali ad altre fattispecie (ad es. qualora
siano infranti i sigilli apposti dai funzionari o dalle persone che li accompagnano in sede
ispettiva o qualora le imprese indagate si oppongano ad un accertamento ispettivo) e so-
prattutto richiede che queste sanzioni debbano essere efficaci, dissuasive e proporzionate
al loro fatturato totale. Sarà pertanto necessario adeguare il massimo edittale, fissandolo
peraltro in proporzione al fatturato delle imprese o associazioni di imprese interessate.
La normativa nazionale è invece già conforme all’ulteriore previsione dell’art. 12,
che dispone l’applicazione di sanzioni dissuasive e proporzionate al fatturato in caso di
mancato rispetto di una decisione con impegni o nel caso di mancato rispetto di una mi-
sura cautelare. La l. 287/1990 prevede sanzioni anche nel caso di mancato rispetto di una
decisione di divieto con diffida, che invece la proposta – verosimilmente per una disat-
tenzione – non prende in considerazione.
Da ultimo, l’art. 15 della proposta di Direttiva introduce le penalità di mora, non
previste dalla l. 287/1990. In particolare, tali penalità di mora, che possono essere inflitte
mediante decisione, e che devono essere commisurate al fatturato giornaliero delle im-
prese interessate, sono stabilite al fine di costringere le imprese a sottoporsi alle ispezioni;
a fornire informazioni complete ed esatte nel caso in cui si rifiutino o omettano di rispet-
tare i termini, nonché al fine di rispettare una decisione di divieto con diffida, una misura
cautelare, o un impegno assunto a seguito di una decisione con impegni.
(42) L’art. 15 l. 287/1990, che disciplina le sanzioni, è stato modificato per unifor-
marlo alla normativa comunitaria con l’art. 11, comma 4, della l. 57/2001, recante dispo-
sizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati.
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Rivista delle società – 2017
15 l. 287/1990 non si ravvisano oggi differenze sostanziali rispetto
all’art. 23, paragrafo 2, Reg. 1/2003. Identica è la soglia massima,
pari al 10% per cento del fatturato delle imprese coinvolte nell’infra-
zione (43); identico il riferimento alla gravità e alla durata dell’infra-
zione.
Inoltre, recentemente l’Autorità garante ha emanato delle linee
guida volte a illustrare le modalità di calcolo delle sanzioni, che si
ispirano fortemente, ancorché non integralmente, alle guidelines
della Commissione (44) e di fatto sono pienamente coerenti rispetto
alla proposta di direttiva e ai suoi considerando in tema di quantifi-
cazione delle ammende.
Tenuto conto di quanto appena osservato, ci si aspetterebbe di
potere concludere che, sotto il profilo sanzionatorio, non vi siano dif-
formità significative tra l’ordinamento nazionale e quello comunita-
rio, tanto in relazione alla lettera della legge, quanto in relazione alla
sua applicazione, in piena armonia con la giurisprudenza europea
(45). In realtà, vi era – e sembra esservi tuttora – una significativa
distinzione, che attiene peraltro al profilo della interpretazione so-
stanziale del concetto di impresa, che ha sinora determinato diver-
genze importanti, non solo nella quantificazione in concreto delle
sanzioni, ma soprattutto sotto il profilo della deterrenza sostanziale.
Come è noto, a livello europeo l’imputazione di una condotta e
la conseguente responsabilità sanzionatoria avviene guardando
(43) Si noti, peraltro, che sia in Italia che in sede comunitaria il tetto del 10% deve
intendersi come soglia legale massima e non invece come massimo edittale, e ciò è pe-
raltro ribadito nell’art. 14 della proposta di direttiva.
(44) Cfr. AGCM, Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quanti-
ficazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione
dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90, adottate in data 22 ottobre 2014. Per un
confronto tra le linee guida nazionali e quelle europee sia consentito il rinvio a F. GHEZZI,
G.D. PINI, Le nuove linee guida dell’Autorità garante della concorrenza sulla quantifi-
cazione delle sanzioni antitrust: maneggiare con cautela, in Riv. soc., 2015, 1196 ss.;
nonché F. GHEZZI, The Italian Guidelines on the Method of Setting Fines. A (half) Step
towards Transparency and Deterrence, in Oss. Dir. Civ. Comm., 2016, 297 ss.
(45) La Corte ha più volte segnalato che l’efficacia delle sanzioni inflitte dalle au-
torità nazionali garanti della concorrenza è una condizione per l’applicazione uniforme
del diritto della concorrenza dell’UE e non si possono dunque tollerare sistemi sanziona-
tori non allineati rispetto alle norme e ai principi europei. Cfr. Corte Giust. UE, 11 giugno
2009, causa C-429/07, Inspecteur van de Belastingdienst/X BC, in Raccolta, I-04833, §
36-39.
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Rivista delle società – 2017
all’impresa come singola unità economica (46). Senza qui potere ap-
profondire la questione (47), in base a questa prospettazione la re-
sponsabilità del comportamento di una controllata può essere impu-
tata alla società controllante qualora, pur avendo personalità giuri-
dica distinta, tale società controllata non determini in modo auto-
nomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza,
alle istruzioni che le vengono impartite dalla controllante (48), in con-
siderazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e
giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche (49).
In una siffatta situazione, posto che la società controllante e la
sua controllata fanno parte di una stessa unità economica e formano
così una sola impresa ai sensi degli articoli 101 e 102 TfUE, la Com-
missione può emanare una decisione che infligge ammende nei con-
fronti della società controllante, senza necessità di dimostrare l’im-
plicazione personale di quest’ultima nell’infrazione, l’eventuale isti-
gazione dell’altrui condotta illecita, né una conoscenza od acquie-
scenza nei confronti della condotta della controllata (50).
Questo orientamento è particolarmente importante perché, qua-
lora sia comprovato da parte della Commissione il concreto esercizio
(46) Questa impostazione ha rilievo sia sul piano esterno, sia sul piano interno,
dando luogo al c.d. «Konzernprivileg», ossia alla disapplicazione del divieto di intese
anticoncorrenziali per gli accordi intercorrenti all’interno della medesima unità econo-
mica. Si veda Corte Giust. CE, 13 luglio 1966, 32/65, Italia/Consiglio e Commissione, in
Raccolta, 458, 485 ss.; 24 ottobre 1996, causa C-73/95 P, Viho/Commissione, in Rac-
colta, I-5457, punto 16.
(47) Per una disanima della questione in diritto europeo, sia consentito rinviare a
F. GHEZZI, M. MAGGIOLINO, L'imputazione delle sanzioni antitrust nei gruppi di imprese,
tra “responsabilità personale” e finalità dissuasive, in Riv. soc., 2014, 1060 ss.; per gli
sviluppi più recenti a livello nazionale, v. invece F. GHEZZI, Impresa e sanzioni nella
prassi applicativa dell’Autorità garante della concorrenza: qualche problema tecnico, in
Giur. comm., 2016, I, 812.
(48) Cfr. Corte giust. UE, 14 dicembre 2006, causa C-217/05, Confederación Es-
pañola de Empresarios de Estaciones de Servicio, in Raccolta, I-11987, punto 41.
(49) Il principio è stato per la prima volta applicato in Corte Giust. CE, 14 luglio
1972, causa 48/69, Imperial Chemical Industries, in Raccolta, 621, punto 132, ed è stato
motivato in particolare nella sentenza Corte giust. UE, 10 settembre 2009, causa C-97/08,
Akzo Nobel, in Raccolta, I-8237, e nelle relative conclusioni formulate dall’avv. gen. Ko-
kott, in Raccolta, I-8301. Dal 2009, la giurisprudenza è del tutto pacifica sul punto.
(50) Tra le molte si vedano, in tal senso, Corte giust. UE, 16 giugno 2016, causa
C-155/14 P, Evonik Degussa GmbH, AlzChem AG c. Commissione, e 5-3-2015, cause C-
92/13 P e C-123/13 P, Commissione c. Versalis et al., punto 40. Sempre la Corte di giu-
stizia UE ritiene pacificamente che, nella particolare ipotesi in cui una società controllante
detenga, direttamente o indirettamente, la totalità o la quasi totalità del capitale di un’im-
presa che abbia commesso un’infrazione alle regole di concorrenza, esista una presun-
zione relativa secondo cui tale società controllante esercita effettivamente un’influenza
determinante sulla sua controllata. Cfr. tra le molte Corte giust. UE, 29 settembre 2011,
causa C-521/09 P, Elf Aquitaine c. Commissione, punto 56.
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Rivista delle società – 2017
di un’influenza determinante da parte della capogruppo, la circo-
stanza che l’impresa sia ramificata in una serie di società operative
aventi separata personalità giuridica diviene irrilevante sul piano
sanzionatorio, ponendosi attenzione unicamente all’agente econo-
mico in quanto tale, l’impresa. Viene così meno la distinzione, in
punto di imputazione della responsabilità sanzionatoria, tra il caso in
cui una società ponga in essere direttamente una infrazione e quello
in cui detta infrazione sia stata compiuta indirettamente, attraverso
una società controllata.
L’infrazione della controllata viene imputata anche alla capo-
gruppo (51), che è altresì considerata solidalmente responsabile per il
pagamento dell’ammenda con la controllata. Inoltre, e ancor più si-
gnificativamente, fermo restando il metodo di calcolo della sanzione
di base (che si fonda su percentuali del fatturato realizzato nel mer-
cato oggetto della violazione), la soglia legale massima del 10% è
rapportata al giro d’affari complessivo non della sola società che ha
materialmente posto in essere la violazione, ma della singola unità
economica di cui la società controllata fa parte. La soglia è quindi
rapportata al (potenzialmente assai più elevato) fatturato consolidato
di gruppo, che costituisce il migliore indice della idoneità dell’am-
menda ad incidere efficacemente sulla capacità economica e finan-
ziaria del soggetto agente, esercitando un effetto dissuasivo (52). In
aggiunta, anche talune delle aggravanti previste ai fini del calcolo
della sanzione complessiva, quali la recidiva e l’incremento della
sanzione a scopo dissuasivo, sono parametrate alle dimensioni della
singola unità economica e non già a quelle della sola società che ha
posto in essere la violazione.
In quanto società madre che esercita un’influenza determinante
sulle proprie controllate, la controllante tiene le fila del gruppo so-
cietario, sicché essa non può scaricare tout court sulle singole con-
trollate la propria responsabilità per comportamenti anticoncorren-
ziali verificatisi nel gruppo. L’imputazione della condotta e della re-
lativa responsabilità sanzionatoria anche alla controllante ha di con-
seguenza l’ulteriore effetto di spingere i vertici della società madre
ad attivarsi al fine di adottare strumenti efficaci di monitoraggio e
(51) La capogruppo conseguentemente deve essere pienamente coinvolta nel pro-
cedimento istruttorio, può esercitare i suoi diritti di difesa al pari delle altre “parti” ed è
destinataria del provvedimento.
(52) Si ritiene che solo in tal modo si possa anche garantire che nel calcolo dell’en-
tità dell’ammenda da infliggere si tenga conto correttamente del reale potere economico
dell’impresa nel suo complesso e che l’esecuzione dell’ammenda non risulti compro-
messa da eventuali spostamenti patrimoniali fra la società madre e le sue controllate. Si
veda l’opinione dell’Avvocato generale Kokott, cit. in nota 49, punto 43. Cfr., inoltre,
Corte Giust. UE, 17 giugno 2010, causa C-413/08 P, Lafarge, punto 104.
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Rivista delle società – 2017
controllo delle condotte concorrenziali delle imprese che fanno parte
del gruppo (53).
Se questi sono i principi ormai consolidati che possono rica-
varsi dalla giurisprudenza comunitaria, fino ad epoca molto recente,
salvo alcuni casi sporadici, l’Autorità garante, nel valutare l’imputa-
zione delle condotte, aveva invece preso a riferimento l’impresa con-
cepita in senso “atomistico”, ossia come soggetto giuridico che ha
direttamente e materialmente compiuto la violazione. L’ordine di
cessazione della condotta vietata e la sanzione dovevano pertanto es-
sere diretti solo a tale impresa, unica responsabile del suo paga-
mento. All’impresa atomisticamente considerata dovevano inoltre ri-
ferirsi, nel calcolo della sanzione, le situazioni soggettive che pos-
sono dare luogo ad aggravanti, quali l’ipotesi della recidiva o le di-
mensioni assai significative dell’attività (54). Da ultimo, la soglia le-
gale massima, pari al 10% del fatturato, è sempre stata riferita al giro
di affari di tale impresa, come dimostrano pure le decisioni sanzio-
natorie assunte nel 2017 (55).
Ora, l’Autorità garante non era certamente l’unica autorità della
Rete a non avere voluto abbracciare con decisione la nozione di im-
presa elaborata dalla Commissione e dalle corti europee (56). Non vi
è bisogno di sottolineare, tuttavia, come questa divergenza interpre-
tativa non potesse essere tollerata nel quadro degli obiettivi della pro-
posta di Direttiva, essendo una comune nozione di impresa di vitale
importanza sia al fine di assicurare un level playing field dal punto
di vista del trattamento sanzionatorio, sia per garantire una pressione
(53) Cfr. altresì COMMISSIONE EUROPEA (nt. 12), 19, ove si sostiene che quado le
diverse entità giuridiche appartenenti ad un’unica impresa sono ritenute responsabili in
solido per il pagamento delle ammende «si trasmette chiaramente all’intero gruppo azien-
dale il messaggio che l’assenza di una buona governance e l’inadempienza del diritto
della concorrenza non resteranno impunite».
(54) Ciò risulta altresì, ancorché non esplicitamente, dalla lettura delle Linee guida
nazionali sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni am-
ministrative, citate retro, in nota 44.
(55) Cfr. ad esempio AGCM, 25 luglio 2017, provv. 26705, Aumento prezzi ce-
mento; AGCM, 18 ottobre 2017, provv. 26815, Servizi di supporto e assistenza tecnica
alla Pa nei programmi cofinanziati dall’UE (nel quale provvedimento si è applicata la
nozione di impresa solo per dimostrare che le varie imprese aderenti ai satelliti delle so-
cietà di revisione fossero tutte appartenenti alla medesima unità economica ma non ai fini
dell’ammontare della sanzione, posto che a parere dell’Autorità garante ciascuna delle
imprese aveva comunque partecipato attivamente all’infrazione); nonché AGCM, 19 lu-
glio 2017, provv. 26686, Tondini per cemento armato, dove ad esempio per Riva Acciaio
S.p.A. si è fatto riferimento al solo fatturato diretto e non a quello realizzato dalla capo-
gruppo e quindi al fatturato mondiale realizzato dal gruppo Riva nel suo complesso.
(56) Cfr. COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT (nt. 12), per un elenco dei
Paesi in cui tale nozione non si applica, talvolta anche perché le sanzioni sono comminate
nell’ambito di procedimenti di natura penalistica, ove quindi l’imputazione della respon-
sabilità avviene secondo principi più stringenti.
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Rivista delle società – 2017
sufficiente sui vertici delle entità interessate onde persuaderli ad ef-
fettuare i controlli opportuni sulla compliance delle controllate con
le prescrizioni a tutela della concorrenza (57).
L’insieme di queste argomentazioni e la prospettiva della pros-
sima adozione della Direttiva hanno verosimilmente spinto l’Auto-
rità garante a compiere qualche passo nella direzione dell’accogli-
mento del principio della singola entità economica nella propria
prassi applicativa. Qualche avvisaglia del mutato orientamento po-
teva già intravedersi dalla lettura di un articolato provvedimento del
2016 in cui l’Autorità garante aveva imputato alla società capo-
gruppo la responsabilità delle condotte delle controllate parti del pro-
cedimento, condannandola al pagamento della sanzione in solido con
le controllate (58). Peraltro, pur avendo l’autorità fatto riferimento al
principio euro-unitario della singola entità economica, e avendo con-
siderato ai fini della individuazione della soglia legale massima della
sanzione il fatturato realizzato a livello mondiale della capogruppo,
questo provvedimento non poteva dirsi dirimente, posto che alla vio-
lazione aveva partecipato direttamente anche l’impresa controllante.
Dunque, sia la capogruppo che le sue controllate dovevano conside-
rarsi responsabili per fatto proprio.
Più recentemente, tuttavia, in una serie di provvedimenti l’Au-
torità garante ha intrapreso la prassi di avviare le istruttorie (e assunto
provvedimenti specificamente volti ad estendere soggettivamente i
procedimenti) nei confronti non solo delle imprese che hanno posto
in essere condotte asseritamente restrittive della concorrenza, ma an-
che di tutte le imprese che si trovano a monte nella catena di controllo
(59). Posto che si tratta di procedimenti ancora in corso, non è dato
(57) È questa, ad esempio, la posizione dell’autorità antitrust britannica, ad avviso
della quale: «it is important to be able to use fines to incentivise the parent company to
put in place appropriate systems and controls or otherwise seek to ensure that its subsid-
iaries comply with competition law, and not just to consider one part of the overall in-
fringing undertaking. The deterrence objective (…) can be achieved only if a fine can be
set taking account of the global turnover of the wider undertaking where this would be
appropriate». Cfr. COMPETITION & MARKET AUTHORITY (CMA), UK Competition and
Markets Authority’s response to the European Commission’s public consultation on Em-
powering the national competition authorities to be more effective enforcers, 10 February
2016, 9. Cfr. anche BUNDESKARTELLAMT (nt. 19), 46.
(58) AGCM, 8 giugno 2016, provv. 26064, Accordo tra operatori del settore del
Vending, confermata in TAR Lazio 28 luglio 2017, n. 9048, che peraltro non si è soffer-
mato sulla questione sviluppata nel testo.
(59) Si vedano tra le altre AGCM, 17 maggio 2017, provv. 26616, Restrizioni alle
vendite on line di stufe; 19 luglio 2017, provv. 26688, Affidamento appalti per attività
antincendio boschivo; 4 maggio 2017, provv. 26581, ENEL/Condotte anticoncorrenziali
nel mercato della vendita di energia elettrica. Si deve altresì notare che in Affidamento
appalti per attività antincendio boschi, una delle capogruppo nei confronti delle quali è
stata estesa l’istruttoria è estera (Babcock Mission Critical Service International SA). Uno
dei punti toccati dalla proposta di direttiva riguarda proprio il problema dell’esecuzione
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Rivista delle società – 2017
sapere se si tratti di una svolta definitiva o se, invece, l’avvio nei
confronti anche delle società capogruppo non sia piuttosto da ricon-
dursi al timore di un loro coinvolgimento diretto nelle pratiche re-
strittive. Certo è che nella prassi sin qui seguita, l’Autorità non aveva
mai sentito l’esigenza di coinvolgere anche le società controllanti nei
procedimenti riguardanti le condotte delle loro controllate.
Se questa tendenza venisse confermata, e dunque l’Autorità ga-
rante adottasse la prassi di rapportare la soglia massima legale,
l’esame della recidiva, nonché la maggiorazione per tenere conto
dell’effetto dissuasivo, alla singola unità economica, e dunque al
gruppo, verrebbe eliminata la principale distinzione rispetto all’ordi-
namento comunitario sul piano sanzionatorio. Peraltro, questo spon-
taneo adeguamento dovrebbe pure comportare una modifica delle li-
nee guida nazionali in tema di quantificazione delle sanzioni, che ri-
sentono del fatto di essere state redatte considerando quale soggetto
cui imputare la sanzione l’impresa atomisticamente considerata (60).
5. Di altrettanto significativo impatto potenziale è la disposi-
zione riguardante le sanzioni applicabili ad associazioni di imprese
ed organismi similari. Le associazioni di imprese, di cui nessuno di-
scute il ruolo di stimolo al miglioramento dell’efficienza dei mercati,
di promozione della coscienza di valori sociali e civili, di legittima
tutela degli interessi degli associati, talvolta possono tuttavia assu-
mere una parte attiva nell’assunzione di delibere o altre decisioni po-
tenzialmente restrittive della concorrenza, favorire e organizzare lo
scambio di informazioni sensibili, o ancora ospitare incontri nei quali
si stabiliscono o si verificano le condizioni di funzionamento di un
delle indagini nei confronti (nonché il pagamento delle sanzioni da parte) delle società
non residenti nello Stato membro in cui è avvenuta l’infrazione. In particolare, l’art. 25
della proposta stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché, su richiesta dell’au-
torità richiedente, l’autorità adita dia esecuzione alle decisioni che impongono ammende
o penalità di mora adottate conformemente agli articoli 12 e 15 dall’autorità richiedente.
Questa disposizione si applica soltanto nella misura in cui: (a) l’impresa nei cui confronti
l’ammenda o la penalità di mora ha carattere esecutivo non è giuridicamente presente
nello Stato membro dell’autorità richiedente; (b) è evidente che l’impresa nei cui con-
fronti può essere eseguita l’ammenda o la penalità di mora non dispone di beni sufficienti
nello Stato membro dell’autorità richiedente. L’autorità adita provvede affinché l’esecu-
zione nello Stato membro adito sia effettuata secondo le leggi, regolamentazioni e prassi
amministrative nazionali in vigore nello Stato membro adito. L’autorità richiedente può
presentare una richiesta di esecuzione soltanto quando la decisione che ne permette l’ese-
cuzione nello Stato membro richiedente è definitiva e non può più essere impugnata con
mezzi ordinari.
(60) Data la realtà e la ramificazione dei gruppi nazionali potrebbe al contempo
rivedersi la prassi dell’Autorità garante di non considerare l’esistenza di efficaci pro-
grammi di compliance di gruppo ex ante facto quali fattori mitiganti la sanzione.
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Rivista delle società – 2017
cartello (61). Dall’esame della prassi applicativa si può notare come
questo fenomeno abbia assunto una notevole estensione, soprattutto
se alla nozione di associazione di impresa si dà un significato ampio.
A titolo esemplificativo, tra il 2010 ed il 2017 su 51 decisioni di ac-
certamento assunte dall’Autorità garante in materia di intese (62),
circa il 60% ha visto il coinvolgimento diretto di associazioni di
primo o secondo grado, ordini professionali, consorzi, o altri enti di
coordinamento imprenditoriale.
Il problema che si è finora manifestato nel nostro ordinamento
consiste nell’impossibilità di esercitare effetti dissuasivi qualora la
condotta restrittiva sia imputabile alla sola associazione. Ciò, in par-
ticolare, potrebbe avvenire quando la decisione illecita sia stata as-
sunta da un organo dell’associazione ed il processo di elaborazione
e approvazione di detta decisione non sia riferibile direttamente o
indirettamente (anche) alle imprese associate o ad un loro sottoin-
sieme. In tale situazione – più frequente ove gli enti associativi ab-
biano un numero cospicuo di membri (63) – la normativa antitrust
nazionale stabilisce che la condotta debba essere imputata alla sola
associazione e la sanzione deve di conseguenza essere commisurata
al suo “fatturato”.
Tuttavia, come è noto il concetto di fatturato non si attaglia alle
attività di una associazione. Per convenzione, si considera dunque
che il fatturato dell’associazione corrisponda alle quote associative
versate annualmente dai membri; pertanto la soglia massima a cui
può giungere la sanzione applicata all’associazione rappresenta un
decimo delle quote associative versate nell’anno precedente la deci-
sione. In aggiunta, per il pagamento dell’ammontare della sanzione,
che rappresenta di norma una somma irrisoria se raffrontata al fattu-
rato delle singole imprese associate, è responsabile la sola associa-
zione. Pertanto, condotte che possono arrecare un danno alquanto si-
gnificativo su una platea di utilizzatori molto vasta sono colpite da
sanzioni del tutto inadeguate sotto il profilo della deterrenza (64).
(61) Meriterebbe peraltro un ripensamento il tenore del considerando n. 33 alla
proposta di Direttiva, il quale recita «poiché, come dimostra l’esperienza, le associazioni
di imprese svolgono regolarmente un ruolo nelle infrazioni alle norme di concorrenza, le
ANC dovrebbero poter infliggere loro ammende efficaci». Altro è constatare che in talune
occasioni le associazioni abbiano assunto un ruolo diretto o di facilitazione nell’ambito
di una infrazione, altro è invece postularlo, come sembrerebbe fare il considerando n. 33,
quasi che questo fosse il vero fine di ogni associazione di imprese.
(62) Senza dunque considerare le decisioni con impegni, ove non è accertata la
colpevolezza dei soggetti coinvolti nel procedimento.
(63) Si pensi ad esempio agli ordini professionali, ma anche alle maggiori associa-
zioni di categoria, quali quelle bancaria o assicurativa.
(64) In altri ordinamenti, quali quello tedesco, che avevano il medesimo problema,
il Bundeskartellamt ha rinunciato in alcuni casi a perseguire le associazioni, dedicando le
sue risorse scarse ad altre fattispecie. V. BUNDESKARTELLAMT (nt. 19), 45.
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Rivista delle società – 2017
Proprio questo motivo aveva indotto l’Autorità garante ad in-
vocare, senza successo, una riforma della normativa antitrust nazio-
nale in senso conforme a quella europea (65). Come si è visto, la pro-
posta di direttiva sana questa lacuna e prevede, agli articoli 13 e 14,
una serie di disposizioni che replicano testualmente quanto già sta-
bilito dall’art. 23 Reg. 1/2003 in materia di ammende alle associa-
zioni di imprese.
Il recepimento della direttiva in Italia potrà pertanto permettere
all’Autorità garante della concorrenza di applicare sanzioni più effi-
caci e dissuasive nelle ipotesi in cui dietro alla illecita decisione o
alla illecita attività dell’associazione non sia possibile individuare la
diretta partecipazione delle singole associate che ne beneficiano. Si
tratta, ad esempio, dei casi in cui un’associazione di grandi dimen-
sioni, al fine di coordinare le proprie associate, assuma direttamente
decisioni volte ad influenzare le politiche in materia di prezzi, mer-
cati, o produzione senza che nel processo deliberativo sia possibile
provare il diretto coinvolgimento delle imprese associate. Ma, vero-
similmente, si tratta altresì di situazioni nelle quali potrebbe essere
possibile risalire al ruolo di ciascuna delle imprese nella predisposi-
zione della condotta restrittiva, ruolo che tuttavia l’Autorità garante
potrebbe astenersi dal dimostrare, potendo direttamente imputare la
condotta (o meglio, la sua fase finale deliberativa) all’associazione,
facendone indirettamente ricadere le responsabilità sotto il profilo
sanzionatorio alle imprese associate (66), con evidenti vantaggi sul
piano probatorio.
Qualora, invece, vi fosse e fosse agevolmente dimostrabile –
come è avvenuto in un gran numero di istruttorie - il diretto coinvol-
gimento delle imprese e queste venissero individualmente sanzionate
per la condotta restrittiva, l’associazione potrebbe bensì essere col-
pita da una sanzione per il suo ruolo “facilitante”, ma su basi e con
limiti diversi, posto che in mancanza si violerebbe (se non formal-
mente, quantomeno sostanzialmente) il principio del ne bis in idem
(67).
(65) AGCM, Empowering the national competition authorities to be more effective
enforcement – Reply to the Commission’s public consultation - September 2016, 15.
(66) E salva ovviamente la possibilità, prevista dalla proposta di Direttiva, che le
associate siano in grado di dimostrare che non hanno commesso l’infrazione o non ne
erano a conoscenza, o che si sono attivamente dissociate da essa prima dell’inizio dell’in-
dagine.
(67) La ratio della regola sanzionatoria è che l’associazione di imprese è soggetta
alla stessa sanzione che le parti meriterebbero qualora avessero agito direttamente, senza
il velo associativo. In tal modo, si impedisce un possibile aggiramento del divieto di in-
tese. Se, invece, le parti dovessero essere autonomamente soggette a sanzione, l’ulteriore
ammenda applicata all’associazione, laddove calcolata sulla base del fatturato delle parti,
rappresenterebbe una inammissibile duplicazione. L’associazione potrebbe al più essere
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Rivista delle società – 2017
6. L’ultimo aspetto che rileva in tema di conseguenze latamente
“sanzionatorie” della violazione è connesso ai poteri connessi alla
cessazione delle infrazioni. Si è già detto come l’articolo 9 della pro-
posta di Direttiva specifichi che le autorità nazionali di tutela della
concorrenza debbano disporre del potere di adottare tutti i rimedi
comportamentali o strutturali proporzionati all’infrazione commessa
e necessari a far cessare effettivamente l’infrazione stessa. Ancora
una volta, il testo della disposizione, suggerito in una delle
Raccomandazioni elaborate nel corso del 2013 dal network delle
autorità europee di tutela della concorrenza, richiama una simile
norma contemplata dall’art. 7 del Reg. 1/2003. Con una differenza
di non poco conto, e le cui conseguenze potrebbero essere maggiori
di quanto a prima vista apparirerebbe. Infatti, l’art. 7 Reg. 1/2003
stabilisce che la Commissione possa imporre rimedi strutturali solo
quando non esista un rimedio comportamentale parimenti efficace o
quando un rimedio comportamentale parimenti efficace risulterebbe,
per l'impresa interessata, più oneroso del rimedio strutturale. L’or-
dine di priorità tra interventi comportamentali e strutturali scompare
nella proposta avanzata dalla Commissione (68).
Per quanto riguarda il nostro ordinamento, tali rimedi non sono
esplicitamente contemplati dalla normativa nazionale a tutela della
concorrenza, non essendo peraltro stati inseriti nelle modifiche alla
l. 287/1990 che una decina di anni orsono furono attuate per unifor-
mare l’apparato dei poteri decisionali nazionali alle previsioni del
Reg. 1/2003 (69). È indubbio tuttavia che in casi eccezionali essi pos-
sano risultare strumenti imprescindibili al fine di assicurare una riso-
luzione rapida, osservabile ed efficace ai problemi concorrenziali ri-
scontrati e ad evitare il rischio di recidive, in particolare ma non
esclusivamente in casi di abuso di posizione dominante.
Nella sua ormai lunga esperienza applicativa, l’Autorità ga-
rante della concorrenza ha, in taluni provvedimenti, sperimentato la
soggetta ad una ammenda per il proprio ruolo facilitante, ma in quest’ultimo caso la san-
zione dovrebbe essere commisurata al proprio, e non all’altrui fatturato.
(68) Si tratterebbe peraltro di una rimodulazione delle modalità di imposizione dei
rimedi condivisa pure dall’altro lato dell’atlantico. Si veda in particolare il recentissimo
discorso dell’Assistant Attorney General Makan Delrahim, Keynote Address at American
Bar Association's Antitrust Fall Forum, Washington, DC, November 16, 2017, in cui
emerge una posizione fortemente contraria ai rimedi comportamentali (nell’ambito del
controllo delle concentrazioni), poiché eccessivamente costosi, regolatori, e di complessa
attuazione, che peraltro snaturerebbero la funzione antitrust.
(69) Nel 2006, come è noto, con l. n. 248/2006, l’Autorità garante è stata autoriz-
zata ad assumere decisioni con impegni, ordinare l’imposizione di misure provvisorie,
applicare i programmi di clemenza.
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Rivista delle società – 2017
possibilità di arricchire la diffida di un contenuto prescrittivo attra-
verso l’imposizione di misure comportamentali e strutturali (70). La
giurisprudenza ha in taluni casi ritenuto illegittime le misure imposte
dall’Autorità, in quanto lesive del principio di proporzionalità, senza
peraltro escludere la titolarità del potere di imporle (71); in altri ha
manifestato una qualche, timida, apertura (72).
L’esplicita previsione dei poteri di imporre misure comporta-
mentali e strutturali rappresenterebbe un passo significativo, in
quanto sgombrerebbe ogni dubbio sulla titolarità dei relativi poteri,
disciplinandone altresì le modalità applicative e i limiti e sprone-
rebbe l’Autorità garante a servirsene con maggiore convinzione.
Molteplici sono infatti le situazioni nelle quali il potere delle
parti o struttura del mercato e/o il dedalo di relazioni di mercato e tra
le imprese sembrerebbero costituire la causa principale o quanto-
meno un elemento fortemente facilitante delle condotte anticompeti-
tive. In assenza di interventi mirati sulla struttura o su detti legami la
sanzione, per quanto elevata e dissuasiva, non sarebbe pertanto suf-
ficiente ad eliminare il rischio di reiterazione di condotte restrittive
della concorrenza.
Paradigmatico è il recente caso Accordo tra operatori nel set-
tore Vending, nel quale l’Autorità ha riscontrato una estesissima con-
certazione tra le parti volta alla ripartizione dei mercati e della clien-
tela, nonché al coordinamento in relazione ai prezzi di vendita dei
prodotti distribuiti mediante distributori automatici e semi-automa-
tici (73). Ebbene, un intero capitolo del provvedimento finale è dedi-
cato alla fitta rete di partecipazioni incrociate tra le parti, corredate
altresì da interlocking directorates, nonché di partecipazioni comuni
in società terze attive nel settore. Ad avviso dell’Autorità questo fitto
reticolo ha avuto un ruolo essenziale non solo nel favorire un equili-
brio non aggressivo di quiet life, ma anche per condividere strategie
e facilitare richieste, scambi o condivisioni di informazioni, ottenuti
(70) Si vedano ad esempio AGCM, 14-6-2006, provv. n. 15604, Rifornimenti ae-
roportuali; 26-4-2006, n. 15392, Gas tecnici; e più recentemente 6-6-2012, n. 23639,
Coop. Estense. Su questi provvedimenti e sulla giurisprudenza formatasi in materia cfr.
C. LO SURDO, Commento all’art. 15, in L.C. UBERTAZZI, a cura di, Commentario breve
alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, 2016, ad avviso della quale
in virtù del principio dell’effetto utile richiamato dalla giurisprudenza, il potere di ordi-
nare «l’eliminazione delle infrazioni» potrebbe considerarsi implicitamente comprensivo
del potere di imporre misure specifiche volte alla prescritta «eliminazione».
(71) Cons. St., 8-2-2008, nn. 421 e 423, Rifornimenti aeroportuali; TAR Lazio, 15
gennaio 2007, n. 204 e Cons. St., 7 marzo 2008, n. 1006, Gas tecnici.
(72) Vedi ad es. Cons. St., 8 aprile 2014, n. 1673, Coop Estense; TAR Lazio, 26
giugno 2008, n. 6213, Calcestruzzo cellulare autoclavato; TAR Lazio, 20 febbraio 2008,
n. 1542, Mercato dello zolfo grezzo.
(73) Cfr. AGCM, 8 giugno 2006, provv. n. 26064, Accordo tra operatori del settore
Vending, punti 395 ss.
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Rivista delle società – 2017
dagli amministratori comuni oppure grazie alle comunicazioni del
socio di maggioranza ai soci di minoranza, rappresentanti di imprese
concorrenti (74).
Tuttavia, dopo avere indicato il rilievo centrale del sistema di
partecipazioni di minoranza incrociate nel facilitare a più livelli la
collusione, nel provvedimento l’Autorità garante si è limitata ad ap-
plicare sanzioni – peraltro fortemente ridotte rispetto all’importo di
base a motivo del superamento (anche di 15 volte) della soglia legale
massima – e a diffidare le parti dal porre in essere comportamenti
aventi oggetto o effetti analoghi a quelli accertati.
Dunque, per un verso l’applicazione del principio di proporzio-
nalità non ha consentito all’Autorità di applicare sanzioni sufficien-
temente dissuasive (secondo il criterio seguito nelle linee guida na-
zionali, che sul punto ricalca esattamente quello comunitario); per
altro verso, non si è nemmeno agito su una delle principali cause –
quantomeno ad avviso dell’autorità procedente – di quelle condotte
restrittive della concorrenza. Data l’enfasi posta nel provvedimento
ai legami partecipativi tra le parti non si può ritenere che l’Autorità
garante non si sia chiesta se nel caso di specie non fosse più utile
affiancare alle sanzioni (peraltro correttamente ridotte) rimedi strut-
turali o comportamentali. Ed è verosimile che tali misure non siano
state adottate anche alla luce dei molti precedenti negativi di fronte
agli organi giurisdizionali amministrativi.
Laddove la proposta di direttiva venisse adottata, l’Autorità ga-
rante potrebbe dunque disporre di uno strumento di intervento ulte-
riore, altrettanto se non maggiormente efficace soprattutto quando
situazioni di crisi del mercato o altri fattori non consentano di utiliz-
zare in maniera altrettanto efficace lo strumento sanzionatorio.
7. Prima di formulare alcune osservazioni conclusive sulla pro-
posta di Direttiva e sui suoi effetti sull’enforcement da parte della
nostra autorità di tutela della concorrenza, con particolare riferi-
mento ai poteri sanzionatori, è opportuno notare che – al momento
in cui si scrive – fervono i lavori delle commissioni del Parlamento
e del Consiglio europeo sul testo pubblicato dalla Commissione Eu-
ropea (75). Ora, è difficile comprendere se e quali emendamenti sa-
ranno accolti tra quelli presentati nei vari incontri e gruppi di lavoro
(74) AGCM, 8 giugno 2006, Accordo tra operatori del settore Vending, cit., punto
222 ss.
(75) Per il Parlamento eruopeo si vedano gli emendamenti raccolti dal Comitato
sugli affari economici e monetari in data 19 settembre 2017 e 6 novembre 2017 (PE
613.265 v. 61-00), unitamente alla bozza di relazione predisposta dal Relatore Andreas
Schwab; per il Consiglio UE si veda il testo di compromesso trasmesso dalla Presidenza
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Rivista delle società – 2017
dai rappresentanti del Parlamento e dalle delegazioni degli Stati
membri in seno al Consiglio. Vi è tuttavia da dire che mentre la pro-
posta di Direttiva nel suo complesso ha ricevuto un positivo accogli-
mento, proprio i capitoli dedicati alle sanzioni sono stati oggetto di
particolari critiche, tanto che su di essi si concentra la maggior parte
delle proposte di intervento correttivo.
Per quanto concerne la sanzione applicabile da parte delle au-
torità nazionali di tutela della concorrenza, le osservazioni si appun-
tano sul limite massimo, che la proposta direttiva fissa in almeno il
10 per cento del fatturato mondiale realizzato dalle imprese interes-
sate (ove per impresa si dovrebbe considerare la singola unità eco-
nomica). In primo luogo, molti emendamenti, ritenendo necessaria
una maggiore armonizzazione nell’ambito del network di autorità di
tutela della concorrenza, chiedono che tale limite sia omogeneo in
tutti gli Stati membri e quindi non ulteriormente innalzabile. In se-
condo luogo, e soprattutto, i promotori di tali emendamenti vorreb-
bero che il parametro del fatturato complessivo a livello mondiale
venisse sostituito con il fatturato “rilevante” realizzato dalle (sole)
imprese che hanno commesso l’infrazione (76). È chiaro che così fa-
cendo si eliminerebbe del tutto ogni possibile effetto dissuasivo con-
nesso alle sanzioni, trasformandole in una tassa sui profitti illeciti,
per giunta decrescente all’aumentare della durata dell’infrazione (77).
Ulteriori e ancor più drastiche modifiche sono state suggerite
alle disposizioni relative alla sanzione applicabile alle associazioni
di imprese: in questo caso si è infatti chiesto di eliminare del tutto la
al Gruppo di lavoro sulla concorrenza in data 10 novembre 2017 (2017/0063(COD)
13820/17.
(76) Si veda in questo senso l’emendamento n. 37 proposto dal Rapporteur del Co-
mitato, Alexander Schwab, al testo dell’art. 12. La motivazione fornita è che: «given that
in practical terms all Member States already foresee a percentage of 10% as a maximum
amount of the fine and this is considered, among others in academia, a reasonable limit
compared to the usual illicit gains obtained by infringing undertakings, it is appropriate
to apply a maximum amount of 10% in all Member States in order to create a more uni-
form Union-wide approach and a predictable system». È chiaro che, a prescindere dalla
ragionevolezza del valore (molti studi ritengono che gli overcharges annuali dovuti agli
illeciti siano certamente superiori al 10% del fatturato: cfr. ad es. R.H. LANDE, J. M. CON-
NOR, Cartels as Rational Business Strategy: Crime Pays, in 34 Cardozo Law Review,
2012, 427 ss. e più recentemente J.M. CONNOR, Price-Fixing Overcharges: Revised 3rd
Edition (February 24, 2014). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2400780), in
questa affermazione vi è molta confusione tra ciò che rappresenta ex post il valore dei
profitti illecitamente realizzati dalle imprese (grazie ad un cartello) e la funzione di de-
terrenza che è assegnata alle sanzioni antitrust, che dunque dovrebbe disincentivare ex
ante il compimento degli illeciti. Ma anche a prescindere da questa fondamentale distin-
zione, l’affermazione non tiene conto che abusi e cartelli possono avere una durata plu-
riennale, mentre il limite superiore della sanzione è fisso.
(77) Se infatti la sanzione massima fosse pari al 10% del fatturato realizzato nel
mercato di riferimento, e – ad esempio – il cartello o l’abuso si protraessero per una durata
quinquennale, il costo della sanzione corrisponderebbe al 2% del fatturato annualmente
realizzato.
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Rivista delle società – 2017
norma relativa al calcolo delle sanzioni per le associazioni di im-
prese, e dunque il riferimento previsto dall’art. 14, paragrafo 2, della
proposta di Direttiva alla somma dei fatturati mondiali totali di cia-
scun membro operante sul mercato interessato dall’infrazione com-
messa dall’associazione (78).
Se così fosse si potrebbe concludere citando il titolo della fa-
mosa commedia di William Shakespeare, “Molto rumore per nulla”,
ma proprio una sua più attenta lettura consente di concludere che tal-
volta, i “complotti” tesi a sviare le storie dal lieto fine a cui sono
destinate, come quello ordito da Don Juan, sono destinati a fallire.
Ed in effetti guardando alla genesi di alcuni dei principali interventi
normativi promossi dalla Commissione in questi ultimi 20 anni, quali
i regolamenti (CE) 1/2003 e (CE) 139/2004 e la Direttiva
2014/104/UE in tema di azioni di risarcimento dei danni, si può os-
servare che i testi base predisposti dalla Commissione hanno poi so-
stanzialmente resistito alla messe di richieste di modifiche e integra-
zioni che erano state allora avanzate.
Di conseguenza, le brevissime osservazioni di seguito presen-
tate riguarderanno la Proposta di Direttiva così come scritta dalla
Commissione, sperando che essa non venga stravolta nella sua ver-
sione finale.
Una prima serie di osservazioni sul sistema sanzionatorio ri-
guarda il level playing field che la proposta di Direttiva si propone di
realizzare, introducendo sia comuni parametri e metodologie di cal-
colo della sanzione, sia identici limiti massimi. Ora, è chiaro che se
si vuole instaurare un efficace sistema di competenze parallele per
l’applicazione degli articoli 101 e 102 TfUE, con una ripartizione dei
casi all’interno del network che non guardi esclusivamente al criterio
della nazionalità delle imprese o del territorio in cui si manifestano
gli effetti, è necessario non solo che le sanzioni applicabili dalle au-
torità nazionali degli Stati membri siano tra loro comparabili nel me-
todo e nell’ammontare, ma anche che esse non si discostino dalle
ammende applicabili dalla Commissione ai sensi del Reg. (CE)
1/2003. Per questo motivo, se è da un lato da approvare l’idea di una
convergenza tra le normative degli Stati membri e l’applicabile di-
sciplina comunitaria (79), non altrettanto condivisibile appare preve-
(78) Si vedano in questo senso gli emendamenti n. 196 e 210, a firma dei parla-
mentari Martusciello e Comi, che peraltro non hanno fornito alcuna motivazione a sup-
porto di tale importante modifica.
(79) Conformemente, peraltro, agli auspici della Corte. Cfr. Corte Giust. UE, 11
giugno 2009, causa C-429/07, Inspecteur van de Belastingdienst e X BV, in Raccolta, I-
04833, punti 36 e 37, ove si legge che “disgiungere il divieto generale di pratiche anti-
concorrenziali dalle sanzioni previste per l’inosservanza dello stesso equivarrebbe quindi
a privare di efficacia l’azione delle autorità incaricate di vigilare sul rispetto del divieto
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dere, come nell’articolo 14 della proposta, che i livelli fissati rappre-
sentino uno standard minimo (l’importo massimo dell’ammenda è
fissato a un livello non inferiore al 10% del suo fatturato). Sebbene
sia plausibile che la maggior parte degli Stati membri si manterraà o
si indirizzerà verso i parametri e i massimali stabiliti nella Direttiva,
consentire deviazioni, seppure al rialzo, potrebbe determinare squi-
libri e fenomeni indesiderati, in particolare per le imprese, soggette
a regimi sanzionatori differenti in relazione alla medesima disciplina
sostanziale.
Piuttosto, se si dovesse muovere una critica alla proposta di di-
rettiva, si dovrebbe sottolineare che, pur nell’ambito di principi co-
muni relativi alla fissazione dei tetti massimi e dei parametri di quan-
tificazione delle sanzioni, essa avrebbe dovuto tenere conto di come,
in linea di principio, il tessuto imprenditoriale destinatario degli in-
terventi delle autorità degli Stati membri sia parzialmente diverso da
quello oggetto di attenzione della Commissione. Se è vero che non
sono mancati interventi dell’autorità antitrust europea nei confronti
di imprese di medio piccole dimensioni, con attività spesso concen-
trate in un unico mercato del prodotto, è statisticamente molto più
frequente che questi casi ricadano nelle competenze delle autorità
nazionali di tutela della concorrenza. Data l’esperienza sia della
Commissione che delle autorità nazionali in questo campo, si sareb-
bero dunque potuti introdurre gli opportuni aggiustamenti nel calcolo
della sanzione nei confronti di questi soggetti, effettivamente pena-
lizzati dagli attuali meccanismi di quantificazione, tanto da richie-
dere continui interventi “eccezionali” di rettifica dell’ammenda irro-
gata da parte delle stesse autorità (80).
Una seconda serie di considerazioni riguarda gli effetti del re-
cepimento della Direttiva nel nostro ordinamento. È anzitutto da sa-
lutarsi con favore l’ampliamento dei poteri di intervento e decisio-
nali, con specifico riferimento alla previsione di rimedi comporta-
mentali e strutturali. Vi sono situazioni specifiche nelle quali le san-
zioni non rappresentano lo strumento più efficace o non possono es-
sere utilizzate nella misura opportuna. La disponibilità di una serie
in parola e di sanzionare siffatte pratiche. Le disposizioni degli artt. 81 CE e 82 CE sa-
rebbero quindi inoperanti se non fossero corredate di misure coercitive ex art. 83, n. 2,
lett. a), CE. Come sostenuto dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni,
esiste un intrinseco legame tra le ammende e l’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE
(…). L’efficacia delle sanzioni inflitte dalle autorità garanti della concorrenza nazionali
o comunitarie in forza dell’art. 83, n. 2, lett. a), CE è pertanto una condizione per l’appli-
cazione uniforme degli artt. 81 CE e 82 CE”.
(80) E ciò non in contrasto, ma in coerenza con gli obiettivi che l’Unione Europea
si è data, posto che tanto la legislazione quanto le strategie di intervento delle autorità
europee mirano ad assicurare che le politiche e le azioni dell'Unione siano adatte alle
piccole imprese, le quali devono essere possibilmente favorite e non certo discriminate
rispetto alla grande impresa.
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di “misure” alternative aggiunge flessibilità all’intervento dell’Au-
torità garante, al fine di ripristinare condizioni di concorrenza effet-
tiva sui mercati.
Si è poi notato che il recepimento nel nostro ordinamento della
nozione di singola unità economica e le nuove modalità di calcolo
del fatturato in relazione alle violazioni delle associazioni di imprese
comporteranno un significativo incremento del limite massimo delle
sanzioni, in termini assoluti (e, per quanto concerne i gruppi, anche
in termini percentuali, se rapportati ai mercati in cui è avvenuta la
violazione). Taluni hanno manifestato dubbi sull’opportunità di un
siffatto incremento, che potrebbe condurre l’Autorità garante ad
usare la leva sanzionatoria sino a determinare un dannoso eccesso di
deterrenza, provocando o incrementando le tensioni finanziarie di
imprese già molto sfiancate dalle crisi (81).
Al riguardo, possono aversi idee diverse sulla natura delle vio-
lazioni antitrust, sul loro disvalore sociale, e quindi sulla necessità di
adottare sanzioni amministrative, civili, o addirittura penali. Se si ri-
tiene che alcune violazioni – in particolare i cartelli – debbano essere
considerati un crimine contro la proprietà simile al furto o alla rapina,
e che dunque «cartel activity robs consumers and other market par-
ticipants of the tangible blessings of competition» (82), bisogna con-
cludere che le sanzioni nei confronti dei cartelli «are not really prices
designed to ration the activity; the purpose so far as possible is to
extirpate it» (83).
L’esigenza di avere sanzioni amministrative che inducano le
imprese a considerare con particolare attenzione le prescrizioni anti-
trust e ad evitare di porre in essere le condotte più gravi è peraltro
maggiormente sentita negli ordinamenti, come il nostro, dove stori-
camente l’enforcement privato non ha svolto né la sua funzione pro-
pria, né quella “complementare” di rafforzamento della deterrenza
specifica e generale (84).
(81) Mi riferisco, ad esempio, agli incisivi interventi di Mario Libertini e di Antonio
Matonti al recente workshop Assonime-AAI su "I poteri delle autorità nazionali di con-
correnza e le garanzie: verso la direttiva ECN+”, Roma 20 novembre 2017.
(82) Così G.J. WERDEN, Sanctioning Cartel Activity: Let the Punishment Fit the
Crime, che può leggersi all’indirizzo: https://www.justice.gov/atr/sanctioning-cartel-ac-
tivity-let-punishment-fit-crime.
(83) È questa la arcinota posizione di R. POSNER, An Economic Theory of Criminal
Law, in 85 Col. Law Rev., 1985, 1215, ma sulla distinzione v. anche J. COFFEE, Jr., Par-
adigms Lost: The Blurring of the Criminal and Civil Law Models--And What Can Be
Done About It, in 101 Yale Law Journal, 1992, 1875 ss.
(84) Si vedano, in questo senso, tra gli altri, S. BASTIANON, La tutela privata anti-
trust: Italia, Unione Europea e Nord America, Milano, 2012, 15 ss.; M. CARPAGNANO,
Vent’anni di applicazione giudiziale delle re- gole di concorrenza in Italia: 1999-2010, in
Concorrenza e mercato, 2011, 284 ss.; M. BARCELLONA, Funzione compensativa della
responsabilità e private enforcement della disciplina antitrust, in M. MAUGERI - A. ZOP-
PINI (a cura di), Funzioni del diritto privato e tecniche di regolamentazione del mercato,
Bologna, 2009, p. 57 ss.
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Tuttavia, ed è questo il punto che si vuole qui sottolineare, l’au-
mento teorico delle sanzioni massime applicabili dovuto alla incor-
porazione del principio della singola unità economica o della moda-
lità di calcolo del fatturato per le associazioni di imprese non com-
porta automaticamente un incremento (eccessivo) nel livello delle
sanzioni (85). Questo eventuale effetto dipenderà infatti da come
l’Autorità effettuerà la quantificazione stabilita nelle linee guida, ed
in particolare dall’apprezzamento del carattere del parametro della
gravità. Ed è su questo l’aspetto su cui forse occorrerebbe interro-
garsi, giacché dall’analisi dei provvedimenti dell’Autorità non sem-
brerebbe emergere una considerazione sufficientemente approfon-
dita del tenore della gravità delle singole condotte, con l’effetto di
una generale – e talvolta ingiustificata – spinta verso l’alto della san-
zione di base e, di conseguenza, del suo ammontare finale. Una mag-
giore attenzione alla graduazione del parametro della gravità po-
trebbe allora scongiurare un appiattimento verso l’alto delle sanzioni
ed evitare, pertanto, eventuali fenomeni di over-deterrence.
(85) In particolare non risultano molti precedenti in cui l’Autorità garante è stata
“costretta” a ridurre la sanzione applicata ad imprese controllate da gruppi di grande di-
mensione a motivo del superamento della soglia massima stabilita sulla base del fatturato
della controllata.