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Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il Museu do Aljube

Authors:

Abstract and Figures

History Museums on Twentieth-century dictatorships provide an interesting point of view to reflect on the thorny matter concerning the connections between controversial past, divided memories, and public history. Both the existence and the absence of museum exhibitions dedicated to the own dictatorial experience reveal some important implications of the problem to rethink the national past without obscuring its darkest pages. This article, with a comparative approach, will focus on two case studies, namely post-Salazarist Portugal and post-Francoist Spain, in order to explain how in Iberian countries the memory of the dictatorships has been revisited by the making of exhibition places. In particular, I will take into consideration two opposite examples of representation of the dictatorial past: the Museu do Aljube, in Lisbon, and the monumental memorial called Valle de los Caídos, near Madrid.
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St�rica
L A B O R A T O R I O D I S T O R I A
ALMA MATER STUDIORUM
Università di Bologna
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
COMUNICARE
STORIA
STORICAMENTE.ORG
Laboratorio di Storia
Matteo Pasetti
Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il
Museu do Aljube
Numero 13 - 2017
ISSN: 1825-411X
Art. 11
pp. 1-24
DOI: 10.12977/stor670
Editore: BraDypUS
Data di pubblicazione: 21/07/2017
Sezione: Comunicare storia: “Musei, traumi, memorie del
novecento”
History Museums on Twentieth-century dictatorships provide an interesting point of view
to reect on the thorny matter concerning the connections between controversial past, divided
memories, and public history. Both the existence and the absence of museum exhibitions de-
dicated to the own dictatorial experience reveal some important implications of the problem to
rethink the national past without obscuring its darkest pages. This article, with a comparative
approach, will focus on two case studies, namely post-Salazarist Portugal and post-Francoist
Spain, in order to explain how in Iberian countries the memory of the dictatorships has been
revisited by the making of exhibition places. In particular, I will take into consideration two
opposite examples of representation of the dictatorial past: the Museu do Aljube, in Lisbon,
and the monumental memorial called Valle de los Caídos, near Madrid.
Sulle peculiarità del duplice caso iberico
Nelle pagine conclusive di Postwar, tirando le la di una densa riessio-
ne sul rapporto dell’Europa contemporanea con il traumatico passato
lasciato in retaggio dalle dittature novecentesche, Tony Judt aermava
che «la soluzione dell’Occidente al problema delle memorie scomode
è stata quella di scolpirle, quasi letteralmente, nella pietra» [Judt 2007,
1017]. Dopo la tendenza all’oblio o alla distorsione memoriale prevalsa
Memoriali iberici post-
dittatoriali: la Valle de los
Caídos e il Museu do Aljube
MATTEO PASETTI
Univ. Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà
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nei primi decenni postbellici, seguita da una lenta e dicoltosa opera
di scavo nelle zone oscure della propria storia, all’alba del XXI seco-
lo i paesi europei hanno adottato una strategia di «rammemorazione
pubblica istituzionalizzata» [1021], veicolata soprattutto tramite musei
e monumenti sparsi in numero crescente sull’intero continente. Non si
è giunti così - ammoniva Judt - a una soluzione denitiva del proble-
ma, poiché rimane indispensabile per la convivenza dei popoli europei
quella forma di «disincanto» nei confronti del passato che deriva solo
dal continuo approfondimento della conoscenza storica [1022-1023].
Tuttavia, è indubbio che si sia dispiegato un complicato processo di
rielaborazione della memoria collettiva, con importanti implicazioni sia
sulla rappresentazione identitaria dei singoli stati nazionali, sia sull’idea
stessa di Europa.
Il duplice caso iberico - posto al centro dell’attenzione nel presente con-
tributo1 - ore una prospettiva peculiare per osservare tale costruzione
di una memoria pubblica istituzionalizzata, in ragione delle specici-
tà che connotano la storia politica di Portogallo e Spagna nell’arco del
Novecento e che di conseguenza determinano alcune varianti rispetto
al quadro europeo. Infatti, nel lungo dopoguerra che si è concluso con
il generale approdo di tutti gli stati del continente alla democrazia (per-
lomeno sul piano formale), si possono distinguere tre ondate di transi-
zioni post-dittatoriali. La prima in ordine cronologico fu susseguente al
crollo dei regimi fascisti nella Seconda guerra mondiale. La terza e più
1  Questo testo rappresenta un primo passo in direzione di una più ampia indagine
sulla musealizzazione della storia delle dittature novecentesche nell’Europa contem-
poranea. L’indagine è promossa dal progetto di ricerca “Predappio Europa”, nan-
ziato dal Comune di Predappio in collaborazione con Ser.In.Ar. Forlì Cesena. Una
prima versione del testo, in inglese e in forma più sintetica, è stata presentata col titolo
Exhibiting the Dictatorial Past: The Iberian Cases between Memory and Oblivion alla IV
conferenza annuale dell’International Federation for Public History (Ravenna, 5-9
giugno 2017), all’interno del panel Representing the European Troubled Past: a Com-
parative Perspective, coordinato da Claudia Baldoli. Ringrazio tutti i colleghi che mi
hanno fornito spunti e consigli, ma in particolare Annarita Gori e Giulia Quaggio
per l’attenta lettura.
MATTEO PASETTI
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recente è scaturita dalla dissoluzione del Patto di Varsavia e dalla ne
delle esperienze comuniste dopo il 1989. Tra queste due, una seconda,
più circoscritta ondata è coincisa appunto con i pressoché concomitanti
collassi dei regimi salazarista e franchista (ai quali si può aggregare, con
una certa approssimazione, il rovesciamento della molto più breve “dit-
tatura dei colonnelli” in Grecia)2. Già la cronologia colloca dunque in
una posizione a sé stante la transizione dei due paesi iberici verso sistemi
istituzionali democratici, e tale collocazione temporale ha condizionato
per vari aspetti il formarsi delle speciche memorie collettive.
Per quanto concerne il rapporto con il proprio passato dittatoriale, in-
fatti, il duplice caso iberico appare in gran parte slegato dall’esito dei
grandi conitti bellici globali, ovvero dalla ne della Seconda guerra
mondiale, da un lato, e dalla conclusione della Guerra fredda, dall’altro.
Beninteso: ciò non signica che tali cesure epocali abbiano avuto un
impatto irrilevante in Portogallo e Spagna; anzi, con ogni evidenza la
storia dei regimi salazarista e franchista risulta profondamente intrec-
ciata ai mutamenti dello scenario internazionale. Tuttavia, nelle società
iberiche post-dittatoriali, la memoria dei rispettivi regimi è meno vin-
colata alle vicissitudini della Seconda guerra mondiale e della Guerra
fredda.
In primo luogo, a dierenza delle società post-fasciste nell’immediato
dopoguerra, il Portogallo post-salazarista e la Spagna post-franchista
non hanno dovuto fare i conti con il retaggio delle soerenze e dei
lutti provocati dalla catastrofe bellica del 1939-1945. Né hanno dovuto
arontare i traumi lasciati in vari paesi europei dall’esperienza dell’oc-
cupazione nazifascista. Per la memoria collettiva delle popolazioni ibe-
riche, la Seconda guerra mondiale non ha insomma quella centralità
che detiene nel resto del continente - sebbene l’eredità di altre guerre
abbia costituito un nodo cruciale nella rappresentazione pubblica del
2  Per un inquadramento sul tema della transizione nei paesi dell’Europa meridiona-
le, cfr. Costa Pinto, Morlino (eds.) 2011.
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passato portoghese e spagnolo.
A corollario della relativa marginalità della Seconda guerra mondiale,
nel caso iberico è stata apparentemente meno problematica anche la
memoria della Shoah, per il semplice motivo che le dittature di Sala-
zar e Franco parteciparono con un ruolo decisamente secondario allo
sterminio degli ebrei. Ho scritto “apparentemente” perché in realtà, at-
torno a questo tema, si sono sviluppate posizioni divergenti che hanno
acceso il dibattito pubblico. Fino a tempi recenti, è prevalso un uso
pubblico del passato volto a sminuire la dimensione violenta, razzista,
in ultima analisi fascista dei regimi iberici, sulla base della loro neutra-
lità nella guerra mondiale e della (presunta) totale estraneità al progetto
genocidiale del nazismo. Secondo questa versione dei fatti, divulgata
in entrambi i paesi soprattutto da storici e intellettuali di area conser-
vatrice, l’assenza di una legislazione antisemita e di una collaborazione
formale alla “soluzione nale” fornirebbe un’ulteriore conferma alla tesi
che si trattò di due dittature moderate, più soft, meno criminali rispetto
alla Germania nazista, all’Italia fascista, e al novero dei vari collabora-
zionismi. Anzi, in particolare Franco è stato a lungo descritto come
un magnanimo salvatore degli ebrei, in virtù dell’ospitalità concessa a
un certo numero di rifugiati nelle sedi diplomatiche spagnole (almeno
nché, nel 2010, non è emerso dagli archivi un documento datato 13
maggio 1941 che svelava una verità diversa, ovvero che lo stesso Franco
aveva fatto schedare i circa 6.000 sefarditi residenti in Spagna, compi-
lando una lista probabilmente consegnata ai gerarchi di Hitler con la
promessa di procedere alla deportazione in caso di entrata in guerra)3.
Negli ultimi anni, invece, nuovi studi storici si sono concentrati sul-
le molteplici interazioni tra i regimi iberici e la Shoah, restituendo al
tema una maggior complessità e depotenziando il mito delle “dittature
3Il merito del ritrovamento va al giornalista ebreo Jacobo Israel Garzón: per un
resoconto della vicenda, si veda per esempio Elisabetta Rosaspina, Gli ebrei spagnoli
venduti da Franco, «Corriere della Sera», 22 giugno 2010.
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moderate”4. Portogallo e Spagna sono rientrati così nel campo d’indagi-
ne sulla storia e la memoria dello sterminio. Tuttavia, rimane il dato di
fatto che nel discorso pubblico di entrambi i paesi la Shoah abbia minor
rilevanza rispetto a gran parte degli stati europei: per esempio - secon-
do un elenco fornito da Wikipedia, e quindi da prendere con largo
benecio d’inventario - esiste in Spagna un solo memoriale dell’Olo-
causto (ad Almeria) e nessuno in Portogallo5.
Considerazioni in un certo senso analoghe possono essere svolte ri-
guardo alle dierenze tra seconda e terza ondata di transizioni post-
dittatoriali nell’Europa del Novecento6. Sebbene nel dopoguerra le due
dittature iberiche fossero legittimate sul piano internazionale dall’anti-
comunismo, che garantiva loro l’appartenenza al blocco occidentale, la
rielaborazione delle memorie collettive nelle democrazie portoghese e
spagnola non è rimasta schiacciata dagli schematismi della Guerra fred-
da e del suo epilogo, come invece è accaduto in Europa orientale dopo
il 1989. In altri termini, la memoria storica delle dittature nella penisola
iberica non è stata segnata né dai traumi della Seconda guerra mondia-
le, né tanto meno dalle degenerazioni che aissero il mondo sovietico
nel corso della Guerra fredda.
Avendo fatto seguito a regimi dichiaratamente nazionalisti, le socie-
post-salazarista e post-franchista hanno arontato (o evitato di af-
frontare) problemi di memoria con connotazioni politiche antitetiche
rispetto a quelli dei paesi post-comunisti. Il loro discorso sul passato
non è stato subordinato al recupero di un’identità nazionale nalmente
liberata dal giogo di un potere sovranazionale esogeno, che nell’Europa
4  Per un recente insieme di casi di studio, dedicati non solo a Portogallo e Spagna
ma anche ad altri paesi neutrali, cfr. Guttstadt et al. (eds.) 2016.
5Cfr. Wikipedia, List of Holocaust memorials and museums: https://en.wikipedia.
org/wiki/List_of_Holocaust_memorials_and_museums. Questo e tutti gli URL citati
erano attivi al 30 giugno 2017.
6Per un parallelismo tra le esperienze post-dittatoriali dell’Europa meridionale e
dell’Europa orientale, si vedano i casi di studio raccolti in Troebst (ed.) 2010.
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dell’est in diversi casi si era manifestato prima con l’occupazione nazista
e poi con la lunga sottomissione a Mosca (oppure, nel caso limite della
Russia, di un potere autoctono ma ora percepito come anti-nazionale
ed estraneo alla propria tradizione storica). Perciò, una narrazione del
passato come quella proposta in certi luoghi di memoria dell’ex bloc-
co sovietico, in cui le comunità locali sono interamente rappresentate
come mere vittime di un dominio imperialistico, terroristico e totali-
tario imposto dall’esterno (un esempio emblematico è il Terror Háza
Múzeum di Budapest [Apor 2014], ma la tendenza è riscontrabile in
tutta l’area che va dai paesi baltici al Caucaso) è ovviamente del tutto
inconcepibile nella penisola iberica.
Semmai, nel caso della Spagna, qualcosa di vagamente analogo, ma in
scala minore, si registra a livello regionale, tramite una rilettura stori-
ca della dittatura franchista come violenta politica di centralizzazione,
di nazionalizzazione forzata, di oppressione delle identità locali. In tal
modo, si è diuso un uso pubblico della storia funzionale alle pulsioni
autonomiste/indipendentiste presenti in determinate regioni, che spes-
so traggono legittimazione dall’antifranchismo, ma che tendono a (ri)
proporre il paradigma delle identità contrapposte e delle memorie divi-
se. Senza addentrarci nella questione, qui si è introdotto il tema soltanto
per sottolineare che l’elaborazione della memoria collettiva post-fran-
chista (e per dierenti aspetti, anche di quella post-salazarista) di certo
non è stata e non è priva di criticità (come invece traspare da una “lette-
ratura della pacicazione”, secondo la quale la transizione spagnola sa-
rebbe riducibile a un’esperienza a-traumatica, grazie alla coltre di oblio
stesa sul passato che avrebbe favorito un rapido e indolore passaggio alla
convivenza democratica)7. Per esempio, in entrambi i casi iberici uno
dei punti di maggior criticità riguarda il retaggio delle guerre che - con
eetto opposto - hanno segnato l’inizio del franchismo e la ne del sa-
7  Un esempio signicativo è dato dal libro di Pérez-Díaz 2003, che anche in Italia
ha avuto una certa fortuna nel diondere un’immagine armoniosa della transizione
spagnola.
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lazarismo: quella civile del 1936-1939 per la Spagna e quella coloniale
del 1961-1974 per il Portogallo. La memoria delle due dittature è stata
fortemente turbata da questi conitti bellici e dalle profonde lacerazioni
lasciate nelle rispettive comunità nazionali8.
Se tale è, a grandi linee, lo sfondo sul quale collocare il problema delle
memorie collettive nelle società iberiche post-dittatoriali, il presente
contributo si limita a prendere in esame due luoghi paradigmatici per
osservare la recente evoluzione della «rammemorazione pubblica isti-
tuzionalizzata» in Spagna e Portogallo: la9 Valle de los Caídos nei pressi
di Madrid e il Museu do Aljube di Lisbona.
La Valle de los Caídos: da sacrario a sepolcro
La Valle de los Caídos è un complesso monumentale pubblico, vicino
a San Lorenzo de El Escorial, nella valle di Cuelgamuros alle pendici
della Sierra de Guadarrama, poche decine di chilometri a nordovest di
Madrid. Composto da una serie di elementi architettonici distinti, il
suo fulcro è rappresentato dalla Santa Cruz (g.1), una gigantesca cro-
ce cristiana eretta su una base di granito in cima a un dosso: con i suoi
8  Sulla memoria della guerra civile nella Spagna post-franchista esiste ormai un’am-
pia letteratura storiograca: tra i principali riferimenti, si vedano almeno Aguilar 1996
e 2008; Juliá (dir.) 2006; Castro 2008; Cuesta 2008. Un contributo al dibattito è stato
oerto anche da studiosi italiani, fra i quali Quaggio 2006, Ranzato 2006 e Violi 2013.
Finora meno indagato dalla storiograa appare invece il tema della memoria della
guerra coloniale portoghese: per una rassegna generale, cfr. Lo 2010; per alcuni casi
di studio, centrati prevalentemente sull’immaginario cinematograco, cfr. Teixeira
(ed.) 2001; per una raccolta di testimonianze, cfr. Lobo Antunes 2015. Negli ultimi
anni, tuttavia, l’interesse per il tema sembra essersi ridestato: un recente esempio è
fornito dalla tavola rotonda As guerras Coloniais Portuguesas: Memória e História, che
ha chiuso l’ICS Annual Conference 2017.
9  Anche se sarebbe più corretto l’uso dell’articolo maschile, in conformità al sostan-
tivo spagnolo (el valle), per ragioni meramente fonetiche si è preferito declinare la
locuzione Valle de los Caídos al femminile.
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150 metri di altezza, costitu-
isce una delle più imponenti
croci del mondo e risulta vi-
sibile no a 40 chilometri di
distanza. A un lato del dosso,
si trova l’Abbazia benedettina
della Santa Croce, una parte
della quale è adibita a foreste-
ria turistica gestita dai monaci
(g.2). All’altro lato, in parte
scavata dentro la roccia, è posta la Basilica della Santa Croce (consacrata da
papa Giovanni XXIII nel 1960), il cui accesso è formato da una scalinata e da
un’ampia spianata (g.3). Attorno alla valle, si estende un paesaggio boschivo,
con prevalenza di conifere, mentre completa l’insediamento un parcheggio
che accoglie numerosi visitatori e turisti provenienti da tutta la Spagna e anche
dall’estero (g.4): secondo i dati uciali, nel corso degli ultimi due anni (2015
Fig. 2. Valle de los Caídos: panoramica della valle, con in
primo piano l’Abbazia benedettina della Santa Croce (fonte:
https://es.wikipedia.org/wiki/Valle_de_los_Caídos).
Fig. 3. Valle de los Caídos: facciata e scalinata d’accesso della
Basilica della Santa Croce (fonte: https://es.wikipedia.org/wiki/
Valle_de_los_Caídos).
Fig. 1. Valle de los Caídos: la monu-
mentale Santa Cruz (fonte: https://
es.wikipedia.org/wiki/Valle_de_los_
Caídos).
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e 2016) hanno vi-
sitato l’area rispet-
tivamente 254.069
e 262.860 perso-
ne, tra le quali una
quota crescente
di sudamericani e
asiatici10.
Com’è noto, questo
complesso monu-
mentale risale all’epoca franchista11. Nel 1940, appena conclusa vittorio-
samente la guerra civile, fu Francisco Franco in persona a concepire la
costruzione di un luogo per commemorare i miliziani caduti in batta-
glia e onorare in particolare la gura di José Antonio Primo de Rivera,
il fondatore della Falange, fucilato dai repubblicani nel novembre 1936.
Come si legge nel decreto rmato dal Caudillo il 1° aprile 1940, il me-
moriale aveva la funzione di «perpetuare il ricordo dei caduti nella no-
stra Gloriosa Crociata», di celebrare «con la grandezza dei monumenti
antichi» tutti «gli eroi e i martiri» che si erano sacricati nel nome «di
Dio e della Patria»12. Doveva sorgere insomma un monumento com-
memorativo e celebrativo della “crociata nazionalista”, nell’ambito di
un grandioso programma di interventi architettonici e urbanistici vol-
to a forgiare il canone identitario della nuova Spagna franchista [Box
2012].
10  Cfr. Negre J., Los dos mundos del Valle de los Caídos, «El Mundo», 15 maggio 2017:
http://www.elmundo.es/cronica/2017/05/15/5916f61222601da77d8b457c.html.
11Nonostante la rilevanza nel campo della rappresentazione simbolica prima del
regime franchista e poi della democrazia spagnola, non sono molte le monograe che
ripercorrono la lunga storia della Valle de los Caídos: sebbene di taglio giornalistico,
una delle più documentate è fornita da Olmeda 2009.
12  Decreto legge del 1° aprile 1940, in «Boletin Ocial del Estado», 2 aprile 1940,
p.2240: https://www.boe.es/datos/pdfs/BOE//1940/093/A02240-02240.pdf.
Fig. 4. Valle de los Caídos: mappa satellitare (fonte: Google Maps).
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Tuttavia, al termine dei lavori protrattisi no alla ne degli anni Cin-
quanta e condotti sfruttando anche la manodopera forzata di migliaia
di prigionieri politici (un aspetto che in anni recenti ha avuto natu-
ralmente profonde ripercussioni sul dibattito pubblico), la Valle de los
Caídos acquisì un signicato in parte dierente da quello originaria-
mente previsto [Moreno Garrido 2010]. Rispetto al progetto iniziale,
che prevedeva di commemorare solo i martiri franchisti, venne deciso di
trasformare il luogo in una sorta di sacrario per tutti i caduti nella guerra
civile. Per tale ragione, oltre alla salma di Primo de Rivera, all’interno
della basilica furono inumati nelle cripte laterali i resti di più di 33.000
vittime di entrambi gli schieramenti, prelevati da varie fosse comuni
spesso all’insaputa dei pa-
renti [Sueiro 1977; Solé i
Barjau 2009]. Nelle mu-
tate condizioni politiche,
interne e internazionali, la
parola d’ordine della pro-
paganda franchista diven-
ne “Paz” [Rodrigo 2013]:
di conseguenza «il Monu-
mento ai caduti per la Spa-
gna» - proclamava la guida
turistica uciale pubblicata
nel 1959, anno dell’inaugu-
razione (g.5) - «deve essere
accolto da tutti gli spagnoli
come giusto tributo alla memoria di coloro che, in difesa dei propri
ideali, consegnarono in modo disinteressato il maggior e più ricco pa-
trimonio dell’uomo: la vita» [Patrimonio Nacional 1959, 6].
Attraverso una massiccia simbologia cattolica (d’altra parte, la commi-
stione con l’integralismo cattolico connotò sempre più l’evoluzione del
regime franchista), la Valle de los Caídos mirava dunque a diondere
Fig. 5. Francisco Franco inaugura la Valle de los Caídos,
1 aprile 1959.
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un (ambiguo) messaggio di riconciliazione nazionale e a fornire una
dimostrazione (fuorviante) dell’avvenuta pacicazione della società
spagnola. Si trattava di un messaggio di «calcolata ambiguità» [Agui-
lar 1993], poiché al tema originario della “gloriosa crociata” contro le
forze anti-nazionali si sovrapponeva l’immagine del sacricio di massa
nel nome della Spagna, ma senza un’eettiva rielaborazione delle me-
morie dei vinti, senza alcuna rivalutazione delle ragioni repubblicane,
semplicemente cancellando la storia ai ni di un’autorappresentazione
del franchismo meno condizionata dalla matrice fascista. E si trattava
inoltre di una dimostrazione fuorviante, poiché la società spagnola era
tutt’altro che pacicata, bensì soocata dal regime, mentre le lacera-
zioni prodotte dalla guerra civile erano destinate a riemergere appena
sarebbe stato possibile.
Sedici anni dopo la sua inaugurazione, un altro evento segnò una nuova
svolta nella storia della Valle de los Caídos. Alla morte di Franco nel 1975,
infatti, anche il suo corpo fu interrato all’interno della basilica, accanto a
Primo de Rivera, in una tomba il più anonima possibile, soverchiata da
una lastra di marmo bianco con inciso soltanto nome e cognome del fu
Caudillo (che divenne così l’unico sepolto nella valle a non essere morto
nella guerra civile). Il signicato del sito monumentale si modicò nuo-
vamente: non più memoriale della vittoria franchista e dei suoi martiri,
come previsto inizialmen-
te, e non solo ambiguo
sacrario di tutti i caduti
nella guerra civile, come
stabilito in corso d’opera,
ma anche sepolcro dell’ex
dittatore (g.6).
Perciò, all’avvio della fase
di transizione, la valle di-
veniva apparentemente
l’emblema di una politica Fig. 6. La tomba di Franco all’interno della Basilica della
Santa Croce (fonte: https://es.wikipedia.org/wiki/Val-
le_de_los_Caídos).
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dell’oblio (el pacto del olvido), consistente nel mettere una pietra sul pas-
sato (anche in senso letterale) per farne la base su cui fondare la demo-
crazia. Una politica che secondo una certa interpretazione favorì un
processo di transizione sostanzialmente armonioso e consensuale verso
il nuovo sistema politico-istituzionale [Pérez-Díaz 2003], ma che in
realtà nascondeva tutta una serie di contraddizioni, di fratture, di con-
itti ereditati dal passato e rapidamente riaorati [Ranzato 2006]. Ne
forniscono una testimonianza proprio l’uso pubblico e le conseguenti
polemiche che hanno accompagnato la Valle de los Caídos negli ultimi
quarant’anni, no ai giorni nostri [Hepworth 2014]. Dalla sepoltura di
Franco in poi, infatti, oltre che meta di pellegrinaggi religiosi o di meri
ussi turistici, essa rappresenta il principale luogo di culto e di ritrovo
per i nostalgici del franchismo - in modo del tutto simile a quanto
accade in Italia con la tomba di Mussolini a Predappio. In particolare
attorno al 20 novembre di ogni anno (anniversario della morte sia di
Primo de Rivera che di Franco), centinaia di reduci, di (neo)falangisti,
di vecchi e nuovi sostenitori del regime franchista fanno visita al sepol-
cro dell’ex dittatore organizzando deprimenti manifestazioni di stam-
po fascista (g.7), mentre gruppi di giovani militanti antifascisti danno
vita a proteste e contro-manifestazioni (g.8), a dimostrazione fra l’al-
tro di come si tratti di un
conitto di memorie
identitarie che attraversa
i conni generazionali
[Aróstegui 2007].
Al contempo, e in ma-
niera crescente a parti-
re dal 2000 quando si è
aperto un ciclo di esuma-
zioni delle fosse comuni
risalenti alla guerra civile,
si sono accese una serie di Fig. 7. Commemorazione falangista lungo la scalinata che
conduce alla Basilica della Santa Croce, nell’anniversario
della morte di Primo de Rivera e Franco.
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controversie riguardanti
sia alcuni aspetti morali
come la richiesta di giu-
stizia e il riconoscimento
di migliaia di desapareci-
dos repubblicani, sia il de-
stino stesso della Valle de
los Caídos come memo-
riale delle vittime [Fer-
randiz 2011]. Cionono-
stante, ancora nel 2017,
essa continua a costituire
l’unico sito istituzionale
dedicato alla memoria pubblica della guerra civile spagnola e della suc-
cessiva dittatura, malgrado l’ambiguità del suo signicato storico - e
malgrado, aspetto altrettanto sorprendente, l’eccezionale proliferazione
di esposizioni museali di ogni tipo che la Spagna ha conosciuto negli
ultimi decenni [Di Giacomo 2016]. In altri termini, la rappresentazione
pubblica del traumatico passato della Spagna contemporanea è ancora
imperniata su un complesso monumentale che proviene dallo stesso
passato traumatico.
La sopravvivenza di questo sito - con l’identico contenuto simbolico
straticatosi dai primi anni Quaranta alla metà degli anni Settanta -
nella Spagna d’inizio XXI secolo dimostra non tanto il raggiungimento
di una consapevole coesistenza pacica, o l’avvenuta metabolizzazio-
ne del passato dittatoriale, quanto invece la dicoltà di promuovere
una politica della memoria compiutamente democratica, attraverso il
ripudio dell’esperienza franchista, l’abbattimento di tutti i suoi idoli e
la costruzione di una nuova iconograa, di un nuovo paesaggio della
memoria, di un nuovo patrimonio monumentale di educazione civica.
Nemmeno la Ley de Memoria Histórica, voluta dal governo di José Za-
patero ed approvata nell’ottobre 2007, nora è riuscita nell’impresa di
Fig. 8. Manifestazione antifascista nei boschi attorno alla
Valle de los Caídos.
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cancellare tutti i retaggi simbolici del franchismo, sebbene molte statue
del dittatore siano state eettivamente rimosse. Ad esempio, nella to-
ponomastica spagnola esistono ancora vari riferimenti a Franco (come
nel caso di Guadiana del Caudillo, piccolo municipio dell’Extremadura
dove poche settimane fa è fallito l’ennesimo tentativo di una parte della
comunità locale di modicare il nome del luogo)13, tanto che nel 2016
è stata instaurata un’apposita commissione con l’incarico di modicare
il nome delle strade di Madrid14.
Eppure, larga parte dell’opinione pubblica spagnola chiede la chiusura
della Valle de los Caídos o la sua trasformazione in un vero memoriale
sui crimini del franchismo. E in questa direzione sembra muoversi nal-
mente anche il parlamento spagnolo, che nel maggio 2017 ha approvato
a larga maggioranza (ma con l’astensione del Partido Popular) la pro-
posta di esumare la salma dell’ex dittatore per trasferirla altrove15. Che
sia soltanto, come teme l’attuale Ministro dell’istruzione e della cultura
Íñigo Méndez de Vigo, un modo per «riaprire vecchie ferite, vecchie
storie»?16 Oppure che sia il segno che la democrazia spagnola è pronta
a «voltar pagina» e a «liquidare tutti i conti pendenti con la dittatura»?17
13Cfr. Oppes A., Due prosciutti per il caudillo, «la Repubblica», 5 maggio 2017. Il
titolo fa riferimento ai due prosciutti coi quali il sindaco di Guadiana del Caudillo
(Antonio Pozo, esponente del Partido Popular) avrebbe ricompensato i legali che
hanno impedito la modica del nome proposta dall’opposizione socialista.
14Si tratta della Comisión de Memoria Histórica composta da sei illustri intellettuali, tra
i quali due storici: José Álvarez Junco e Octavio Ruiz-Manjón Cabeza. Cfr. Peio H. Ri-
año, Así son los seis expertos que cambiarán el callejero franquista de Madrid, «El Español»,
5 maggio 2016: http://www.elespanol.com/cultura/20160505/122488110_0.html.
15Garea F., El Congreso aprueba sacar los restos de Franco del Valle de los Caídos,
«El País», 11 maggio 2017: http://politica.elpais.com/politica/2017/05/11/actuali-
dad/1494486625_806861.html.
16Mateo J.J., El Gobierno cree que “no es una buena idea” sacar los restos de Franco
del Valle de los Caídos, «El País», 12 maggio 2017: http://politica.elpais.com/politi-
ca/2017/05/12/actualidad/1494584854_473268.html.
17Pasar página. La democracia debe liquidar todas las cuentas pendientes con la dic-
tadura, «El País», 27 maggio 2017: http://elpais.com/elpais/2017/05/27/opi-
MATTEO PASETTI
Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il Museu do Aljube
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L’Aljube: da prigione a museo
Nel frattempo, a esito di un percorso tutt’altro che semplice, un esempio
virtuoso di rappresentazione del passato dittatoriale è arrivato dal Porto-
gallo, grazie all’apertura nel 2015 del Museu do Aljube - Resistência e Li-
berdade (signicativamente indicato come un modello anche da alcuni
intellettuali spagnoli nell’attuale discussione sulla Valle de los Caídos)18.
Il museo prende il nome dall’antico edicio in cui ha sede, chiamato
Aljube e collocato nel cuore di Lisbona, nel punto in cui Rua de Augu-
sto Rosa costeggia la cattedrale e il quartiere di Alfama si incunea tra la
collina del Castello di San Giorgio e il ume Tago (g.9).
L’edicio ha una lunga storia. Un primo insediamento risale almeno al
I secolo a.C., all’epoca della dominazione romana, come hanno svelato
alcuni reperti archeologici emersi dalla più recente ristrutturazione e
conservati al piano interrato dell’attuale museo. Più volte ricostruito,
nel corso dei secoli suc-
cessivi acquisì n dal pe-
riodo della dominazione
araba una funzione pre-
minente, conservata no
a pochi decenni fa: quel-
la di prigione. È il nome
stesso di Aljube a rivelar-
lo, poiché la parola deri-
va dall’arabo al-jubb, che
signica cisterna, pozzo
senz’acqua, o, appunto,
prigione. Entrato nel vo-
nion/1495899300_481528.html.
18Si veda per esempio Muñoz Molina A., Lugares del acuerdo, «El País», 23 mag-
gio 2017: http://cultura.elpais.com/cultura/2017/05/23/babelia/1495549885_617266.
html.
Fig. 9. L’edicio del Museu do Aljube, in Rua de Augusto
Rosa, Lisbona (fonte: https://pt.wikipedia.org/wiki/Cade-
ia_do_Aljube).
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Comunicare storia
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cabolario portoghese, il termine si è così aermato come sinonimo di
prisão o cadeia, con particolare riferimento alle carceri ecclesiastiche,
dato che per lungo tempo l’edicio è stato adibito a tale uso. Nel XIX
secolo divenne un carcere femminile. Poi, a partire dal 1928, sotto la
dittatura militare che funzionò da preludio al regime salazarista, l’Alju-
be fu destinato ai prigionieri politici: qui venivano portati per essere
interrogati, torturati, condannati, e quindi trasferiti nei luoghi di de-
tenzione o nei campi di concentramento, per la maggior parte ubicati
nelle lontane colonie d’oltremare. In tal modo, l’edicio ha fatto parte
della “topograa del terrore” dell’Estado Novo no all’estate del 1965. In
quell’anno, infatti, una sequenza di proteste nazionali e internazionali
contro i trattamenti riservati ai detenuti indussero il governo di Salazar
a chiudere l’Aljube, ma prospettando in realtà l’apertura di un nuovo
centro di incarcerazione preventiva in una zona meno centrale di Li-
sbona [Museu do Aljube - Resistência e Liberdade 2015, 12-17].
Da quel momento, l’ex prigione rimase a lungo quasi in disuso. Uno
stato di semi-abbandono che proseguì dopo la rivoluzione del 25 aprile
1974, con sorte analoga a quella di altri edici del quartier generale
estadonovista a Lisbona, tra i quali la sede centrale della polizia politica
salazarista - ovvero la famigerata PIDE (Policia International e de Defesa
do Estado) - in Rua António Maria Cardoso. Menziono in particolare
quest’ultimo palazzo perché ha avuto un ruolo nel recente recupero
dell’Aljube. Nell’ottobre 2005, infatti, la decisione dell’Assemblea mu-
nicipale di Lisbona di trasformare in condominio di lusso l’edicio che
aveva ospitato la PIDE - e dal quale erano transitati, a volte trovandovi
la morte, migliaia di sospettati di reati politici prima di essere trasferiti
all’Aljube - ha suscitato le proteste di cittadini indignati per l’evidente
oltraggio alla memoria delle vittime che tale progetto comportava19. Da
19  Cfr. Fernanda Ribeiro, Câmara aprovou condomínio na antiga sede da PIDE, «Públi-
co», 6 febbraio 2005: https://www.publico.pt/local-lisboa/jornal/camara-aprovou-
condominio-na-antiga-sede-da-pide-4556; Edifício sinistro transformado em condomínio
de luxo: Indignação pelo futuro da antiga sede da PIDE, «Pagina Vermelha», 8 ottobre
MATTEO PASETTI
Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il Museu do Aljube
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quelle proteste è nato il movimento civico Não Apaguem a Memória!
(“Non cancellate la memoria!”), che ha per obiettivo primario il recu-
pero e la conservazione dei luoghi legati alla storia della dittatura sala-
zarista e della resistenza portoghese20.
Una delle prime iniziative del movimento ha riguardato appunto l’ex
prigione di Aljube, con il lancio nel 2006 di una petizione per chieder-
ne la conversione in memoriale. In questa rivendicazione, ai membri di
Não Apaguem a Memória! si sono via via uniti altri soggetti: gruppi di
ispirazione politica come l’União de Resistenses Antifascistas Portugueses;
enti culturali come la Fundação Mário Soares; centri accademici come
l’Instituto de História Contemporânea dell’Universidade Nova di Lisbona.
Nel 2008, alla petizione ha fatto seguito una risoluzione parlamenta-
re, approvata a larga maggioranza e sottoscritta da alcuni nomi illustri
come lo stesso Mário Soares e l’allora presidente della Commissione
europea José Manuel Barroso, a favore di un programma di politica
della memoria dedicato soprattutto ad avvicinare le giovani genera-
zioni alla storia della lotta contro la dittatura. La svolta decisiva porta
la data simbolica del 25 aprile 2009, quando il Ministro della giustizia
Alberto Costa e il sindaco di Lisbona António Costa hanno rmato un
protocollo, in base al quale l’edicio di Rua de Augusto Rosa è stato
ceduto alla Câmara Municipal della capitale e quest’ultima si è impe-
gnata a realizzarvi un museo pubblico della resistenza e della libertà.
Due anni dopo, nel centenario della Repubblica portoghese, l’Aljube ha
ospitato un’esposizione temporanea intitolata A Voz das Vítimas, diretta
dallo storico Fernando Rosas in collaborazione con la rete di istituzioni
formatasi attorno al movimento Não Apaguem a Memória!. La mostra
ha fatto da preludio alla realizzazione del museo permanente: dopo la
2005: http://paginavermelha.org/noticias/sededapide.htm. Si veda anche il comunica-
to Não deixamos que nos apaguem a memória!, diuso durante la manifestazione del 5
ottobre 2005: http://paginavermelha.org/noticias/sededapide-comunicado.htm.
20Si vedano statuto, programma e storia del movimento in http://maismemoria.
org/mm/.
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nomina della Comissão Instaladora nel 2013 e i lavori di restauro del vec-
chio edicio, il Museu do Aljube - Resistência e Liberdade ha nalmente
aperto i battenti il 25 aprile 201521.
L’allestimento occupa quasi per intero tre piani dell’edicio, oren-
do una narrazione dell’e-
sperienza salazarista dalle
origini all’epilogo del
1974. Nelle prime sale,
la nascita della dittatura è
collocata nel contesto dei
fascismi europei (g.10),
rendendo esplicita n
dall’inizio del percorso
museale un’interpreta-
zione storiograca che
include l’Estado Novo
nella famiglia dei regimi
fascisti e prende le distanze dai tentativi di ridurlo a una più modera-
ta esperienza autoritaria22. Proseguendo di sala in sala, con una tecni-
ca espositiva che assembla testi, immagini, graci, mappe, documenti
d’archivio, materiali audiovisivi e ricostruzioni ambientali ttizie (per
esempio, la stanza di una tipograa clandestina o la cella di una prigio-
ne), l’esposizione si focalizza soprattutto sulla dimensione violenta del
regime, mettendone in mostra vari aspetti: la propaganda (g.11) e la
censura (g.12), la polizia (g.13) e i tribunali politici (g.14), il sistema
21  Oltre alla consultazione del sito [www.museudoaljube.pt] e del catalogo uciali
[Museu do Aljube - Resistência e Liberdade 2015], devo gran parte di queste infor-
mazioni alla cortesia del direttore del museo, Luís Farinha, che ringrazio per avermi
concesso una visita guidata e un’intervista in data 16 novembre 2016.
22  Tale impostazione rispecchia probabilmente l’interpretazione storiograca di
Fernando Rosas, membro della Comissão Instaladora che ha soprinteso alla progetta-
zione del museo: tra gli storici portoghesi, Rosas è infatti uno dei più convinti soste-
nitori dell’equiparazione tra salazarismo e fascismo (si veda per esempio Rosas 2012).
Fig. 10. Mussolini e il fascismo italiano (dall’esposizione
permanente del Museu do Aljube).
MATTEO PASETTI
Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il Museu do Aljube
19
carcerario (g.15) e le pratiche di tortura (g.16), i campi di concen-
tramento nell’oltremare (g.17) e la guerra coloniale (g.18), no allo
sviluppo del movimento di liberazione (g.19) e alla “rivoluzione dei
garofani” (g.20)23.
Come museo storico, l’Aljube corrisponde dunque alla tipologia preva-
lente negli ultimi decenni, che privilegia il discorso narrativo alla colle-
zione di oggetti e pone al centro dell’attenzione i traumi prodotti dalle
persecuzioni politiche [Porciani 2017]. Nato da un’istanza di memoria
collettiva sollevata dalla società civile, cioè da una domanda partita dal
basso e che solo strada facendo ha trovato udienza presso la classe poli-
tica (con modalità che ricordano precedenti esperienze europee, prima
fra tutte quella di Berlino), esso svolge una chiara funzione di docu-
mentazione dei crimini del regime salazarista e di commemorazione
delle vittime. In tal modo, il signicato stesso del luogo è stato rovescia-
to: da strumento di repressione politica a strumento di narrazione pub-
blica del periodo più traumatico nella storia contemporanea del paese
lusitano. E un’analoga trasformazione è in corso anche per altri siti che
componevano la “topograa del terrore” salazarista, come l’ex prigione
di Fortaleza de Peniche e l’ex-campo di concentramento di Tarrafal24.
A dierenza della Spagna - e potremmo aggiungere, almeno per ora,
anche dell’Italia - il Portogallo si sta dotando così di una rappresenta-
zione museale del suo passato dittatoriale, rompendo con una tradizio-
nale politica culturale che ha quasi sempre puntato sulla valorizzazione
del patrimonio artistico piuttosto che sulla musealizzazione della storia
23  Per un’ulteriore descrizione del percorso espositivo, in un’analisi comparativa tra
il Museu do Aljube e il Memorial da Resistência di São Paulo, cfr. Nascimento Araujo
2017, 80-86.
24  Cfr. http://www.jn.pt/nacional/interior/fortaleza-de-peniche-vai-ter-museu-so-
bre-luta-pela-liberdade-6249080.html; http://www.cmt.cv/index.php/component/
content/article/79-slideshow/315-ex-campo-de-concentracao-resistencia-e-futuro.
D’altra parte, altri luoghi emblematici del passato salazarista sono stati destinati ormai
a uso privato: cfr. http://www.sabado.pt/portugal/detalhe/a-vida-nova-dos-predios-
emblematicos-do-estado-novo.
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Comunicare storia
20
nazionale [Porciani 2010, 124]25. Il senso di questa svolta è racchiuso
nella scritta che conclude il percorso espositivo del Museu do Aljube:
«senza memoria non c’è futuro» (g.21).
25  Com’è stato recentemente notato [Gori 2017], nemmeno l’Estado Novo era riu-
scito a realizzare i propri progetti museali di rappresentazione dell’identità nazionale.
Fig. 11. Propaganda salazarista: “Dio, Patria e
Famiglia” (dall’esposizione permanente del Museu
do Aljube).
Fig. 12. Stampa censurata (dall’esposizione perma-
nente del Museu do Aljube).
Fig. 13. Foto della scala che
conduceva alla sede della PIDE,
in Rua António Maria Cardoso
(dal catalogo Museu do Aljube
- Resistência e Liberdade
2015).
MATTEO PASETTI
Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il Museu do Aljube
21
Fig. 14. I fascicoli dei tribunali politici (dall’esposi-
zione permanente del Museu do Aljube).
Fig. 15. Il sistema carcerario (dall’esposizio-
ne permanente del Museu do Aljube).
Fig. 16. Gli eetti della tortura (dal
catalogo Museu do Aljube - Resistência
e Liberdade 2015).
Fig. 17. Carceri e campi di concentramento nelle colonie
(dal catalogo Museu do Aljube - Resistência e Liberda-
de 2015).
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Fig. 20. La “rivoluzione dei garofani” nelle strade di
Lisbona (dall’esposizione permanente del Museu do
Aljube).
Fig. 21. «Sem memória não há futuro»
(dall’esposizione permanente del Museu
do Aljube).
Fig. 19. In memoria dei caduti nella
lotta di liberazione (dall’esposizione
permanente del Museu do Aljube).
Fig. 18. I numeri della guerra coloniale
(dall’esposizione permanente del Museu
do Aljube).
MATTEO PASETTI
Memoriali iberici post-dittatoriali: la Valle de los Caídos e il Museu do Aljube
23
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La Pirámide del Escudo se alza junto a la carretera de Burgos a Santander (N-623). Relacionada con los sacrarios militares en homenaje a los caídos italianos de la Primera Guerra Mundial construidos en época de Mussolini, el jerarca fascista está aún presente en el monumento burgalés, donde fueron enterrados los restos de cientos de combatientes trasalpinos caídos en la campaña del Norte del verano de 1937. El monumento, dedicado al general Antonio Sagardía y su 62 división de Olasagasti y Olano, instalado a la vera de la misma N-623, traza una proa de nave (o un águila) de resonancias futuristas. En Alcocero, muy cerca del puerto de la Brújula, se elevó otro monumento en homenaje a Emilio Mola, jefe del ejército del Norte, fallecido allí en accidente aéreo en junio de 1937.
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Between Sagres and Lisbon. Museum projects and National Identity in the Portuguese Estado Novo The Portuguese national identity is closely linked to the deeds of the Age of Discovery. During the long period of the Estado Novo (1933-1974) the regime extensively resorted to the myth of descobridores to legitimize itself, build consensus and self-represent. One of the most interesting examples in this regard is the monument and the museum dedicated to Henry the Navigator on the Sagres promontory. The regime launched three contests - in 1933, 1936 and 1954 - but all were resolved in stalemate. This article aims to analyze the different solutions presented in the three contests, taking into consideration the museum as a socio-political institution that, through collections and exhibitions, conveyed myths and value and tried to build a shared national identity. Furthermore the long-term approach allowed for the investigation of difficulties in representing the National past in relation to political and social vicissitudes, both nationally and internationally, and the consequent change in the museum setting over a period of almost thirty years.
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A chamada terceira onda de democratizações conduziu a maioria dos países lusófonos à transição e consolidação de regimes democráticos, ainda que a qualidade das suas democracias seja muito variável. O ciclo de demo- cratizações abriu-se com a revolução do 25 de Abril de 1974 em Portugal, ter- minando com a independência e democratização do pequeno Estado de Ti- mor-Leste, em 2002. Ditaduras, guerras civis, e ocupações militares marcaram estes processos e deixaram muitos legados aos regimes democráticos. Este li- vro aborda diferentes aspectos dos legados autoritários, das democratizações, da justiça de transição e das políticas do passado nos países lusófonos.
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From April 1939, the architectural and town-planning labour of francoist New Regime became a political activity subjected to New State's requirements. Through an organic conception well theorized, professionals sympathetic to dictatorship planned to build the body of a Nation supposedly redeemed. The challenge was to create a material continent where the eternal values of the Spanish Soul could embody; to construct a body appropriate to Spanish grandeur that acquired special magnificence through Madrid, the imperial capital of the New Spain. This article analyzes the politization of both, architecture and urbanism, as well as the implications the imperial capital of Madrid had.
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RESUMEN El ciclo de exhumaciones de fosas comunes de la Guerra Civil (1936-1939) y la postguerra que se originó en el año 2000, que muy especialmente en la localización, excavación o dignificación de las fosas generadas por la represión de retaguardia del ejército sublevado primero y del régimen franquista más adelante, han desembocado necesariamente en una nueva mirada sobre uno de los monumentos más rocambolescos del nacionalcatolicismo español, el Valle de los Caídos, monumento inaugurado por Francisco Franco en 1959 y que, a partir de 1975, iba a convertirse en su mausoleo. Entre 1959 y 1983, más de 30.000 cuerpos fueron trasladados allí y depositados en sus criptas desde distintos puntos de España. En este artículo se analizan los debates de los últimos años sobre la naturaleza y posible destino de este controvertido monumento siguiendo algunos avatares de la historia de vida de Fausto Canales, un ingeniero jubilado cuyo padre fue ejecutado en agosto de 1936 junto con otros seis vecinos del municipio de Pajares de Adaja en Aldeaseca (Ávila) por un grupo de falangistas. Tras intentar la exhumación de la fosa común en la que supuestamente reposaban los siete cuerpos, descubrió que todos ellos habían sido exhumados en 1959, 23 años después del fusilamiento, para ser trasladados al Valle, sin conocimiento alguno por parte de sus familias. El caso de Aldeaseca ha sido crucial en sacar a la luz pública el hecho de que un número indeterminado de cadáveres de republicanos, y no sólo de partidarios de Franco, habían sido trasladados al Valle en un número todavía desconocido. Palabras clave: España, Guerra Civil, antropología de la violencia, antropología de la memoria, patrimonio y memoria, monumentos, fosas comunes, exhumaciones, derechos humanos, desapariciones forzadas, víctimas.
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El Valle de los Caídos es, en la actualidad, un tema que sigue suscitando interés, ya que, aparte de su carga simbólica y su capacidad de debate, aún hoy son desconocidos algunos detalles de su construcción, desde el número exacto de presos que participaron en los trabajos, hasta el número de accidentes que se produjeron. Con este trabajo de investigación hemos intentado esclarecer algunos de esos puntos que aún permanecen oscuros aportando nuevos datos y testimonios.
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In recent years the agenda of how to ‘deal with the past’ has become a central dimension of the quality of contemporary democracies. Many years after the process of authoritarian breakdown, consolidated democracies revisit the past either symbolically or to punish the elites associated with the previous authoritarian regimes. New factors, like international environment, conditionality, party cleavages, memory cycles and commemorations or politics of apologies, do sometimes bring the past back into the political arena. This book addresses such themes by dealing with two dimensions of authoritarian legacies in Southern European democracies: repressive institutions and human rights abuses. The thrust of this book is that we should view transitional justice as part of a broader ‘politics of the past’: an ongoing process in which elites and society under democratic rule revise the meaning of the past in terms of what they hope to achieve in the present.
Article
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El Valle de los Caídos, ideado e impulsado por Franco, acoge en su interior decenas de miles de restos de hombres (y algunas mujeres) provenientes de toda la geografía del Estado. Restos exhumados de fosas y llegados de forma individual o colectiva al gran e imperecedero monumento franquista, acompañando en el reposo eterno al dictador. En el presente artículo se expone la metodología que se siguió a finales de los años 50 para localizar los lugares de enterramiento, las fosas comunes, de dónde se exhumaron los restos óseos y cómo se trasladaron hasta el Valle de los Caídos, centrándose especialmente en los traslados que se efectuaron en una primera fase desde la provincia de Madrid. Muchos de ellos eran soldados a los que se denominaban "Héroes"; otros, la minoría, eran represaliados en la retaguardia republicana, denominados como "Mártires". A veces el traslado fue solicitado por las familias; otras muchas realizado sin su conocimiento, las criptas de Cuelgamuros se fueron llenando de cajas individuales y colectivas no sólo de personas afines al régimen, sino de muchos otros restos de soldados que habían luchado en el ejército republicano.
Article
This article focuses on the Valley of the Fallen in Spain as both a site of memory and dismemory. The monument at Cuelgamuros was constructed as a burial site for the Francoist fallen and the commemoration of their victory between 1940 and 1958 with the help of forced labour, consisting of thousands of Republican prisoners. Not only did many of these prisoners suffer serious injuries or death, but, in addition, thousands of Republican remains were exhumed from mass graves throughout the country, transferred and anonymously interred at the Valley in 1959 over and above the authorized burial of Francoist bodies. The destruction of the mass graves in the process, as well as the transfer of the bodies, was instrumental in disguising committed atrocities, and must be viewed as an attempted ‘mnemocide’ of the Republicans. The interment of dictator Francisco Franco's remains in 1975 at the basilica of the Valley certainly highlights the contested nature of this memory site. In this discussion, it will be argued that the Valley of the Fallen represents a site with blurred distinctions between a mass grave, a monument and an unacknowledged site of suffering for Republican prisoners, whose memories and stories continue to be silenced and unacknowledged at the site. The article will focus on the ‘dissonant heritage’ of the Valley, which has become a focal point of controversies and debates in recent years. It will further be argued that the unacknowledged ‘heritage of violence’ of the Valley has transformed the site into a contested lieu de mémoire, and that debates about and clashes at the Valley of the Fallen reflect conflicts rooted in the past dictatorship and still existing in contemporary Spain.
Article
The Budapest House of Terror is one of the most notorious examples of abusing spectacular new media audiovisual technology to exhibit a politically and ideologically biased historical narrative. However, as the article argues, the institution is not only an eloquent example of how the careless use of ‘public history’ is able to manipulate the ‘consumption’ of history. As the article argues, the House of Terror represents another important agenda: many new ‘public history’ museums call themselves as memory museums. Such claims often contain an epistemological distinction between ‘object-based history’ and ‘collective-mentality-based memory.’ As the case of the House of Terror demonstrates, it is however a dangerous strategy: the idea of an ‘alternative epistemology’ based on ‘collective memory’ is basically a denial of any rational way of obtaining knowledge about the past.