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Francesca Scrinzi, contributo al libro Attraverso la Lega. La costruzione del consenso sul
territorio e le trasformazioni della società italiana, a cura di Anna Curcio e Lorenza Perini,
Bologna, Il Mulino, 2014, pagine 163-184.
Rapporti di genere e militanza nella Lega nord.
Delle donne forti in un partito virile
(versione precedente a quella pubblicata)
Questo capitolo1 analizza le strategie discorsive e i percorsi delle donne militanti nella Lega
nord, in una prospettiva di genere. Per farlo, adotta un approccio teorico – l’interazionismo
simbolico - che è stato adottato dalla sociologia politica negli anni ‘80 e ‘902 del secolo scorso
[Blee 2007; Sawicki 2009]. Questo approccio si focalizza sulle dinamiche interne ai movimenti
sociali e alle organizzazioni politiche, e particolarmente sui processi di attribuzione di senso, sulle
esperienze e le strategie degli attori sociali al loro interno. Alcuni autori [Goodwin 2006] hanno
sottolineato la speciale rilevanza della prospettiva « interna » nello studio dei partiti della destra
populista radicale3: il successo di questi partiti sarebbe legato a fattori quali l’ideologia, la
leadership e l’organizzazione interna. Inoltre, in questi partiti la militanza costituisce un elemento
chiave: come altri partiti di questa famiglia politica, la Lega nord si appoggia ampiamente sul
lavoro della base militante e fa affidamento sui suoi militanti per fare opera di proselitismo e per le
campagne elettorali. Se, a partire dagli anni ’90, all’interno delle scienze politiche e sociali si è
sviluppato un intenso dibattito su questi partiti [Mudde 2007], la letteratura è caratterizzata da un
approccio macro-sociologico e quantitativo ed ha privilegiato il ruolo dei fattori strutturali e del
contesto economico, sociale e culturale in cui le organizzazioni politiche si inscrivono; gli studi
empirici e qualitativi su queste organizzazioni politiche sono rari [Albertazzi 2013; Blee 2007;
1 Il capitolo si fonda su una parte dei dati raccolti nel corso di tre studi etnografici e documentari riguardanti i rapporti
di genere nel partito Lega Nord (British Academy small grant, ‘Gendering the study of anti-immigration movements in
Europe: women and men activists in the Northern League party in Italy’, 2010; Adam Smith Research Foundation
Seedcorn grant, ‘Women’s associations and representations of gender in the Northern League party: a study of
documentary sources’, 2010; ERC – European Research Council, Starting Grant, ‘Gendering activism in populist
radical right parties. A comparative study of women’s and men’s participation in the Northern League (Italy) and the
National Front (France)’,
http://www.gla.ac.uk/schools/socialpolitical/research/sociology/projects/genderingactivisminpopulistradicalrightparties/
in corso). In particolare, l’analisi ha preso in esame 12 interviste a militanti donne attive in Lombardia, Piemonte e
Liguria, volatini, documenti di partito, scritti dei leaders del partitio, periodici pubblicati dal partito e il quotidiano La
Padania.
2 Rispettivamente nella sociologia di lingua inglese e in quella francofona.
3 Secondo Cas Mudde, questi sono accomunati da un’ideologia nativista, populista e autoritaria [Mudde 2007].
2
Dematteo 2011; Klandermans e Mayer 2006]. I sociologi che hanno usato il metodo etnografico per
studiare il militantismo si sono infatti interessati soprattutto ai movimenti sociali progressisti e di
sinistra. L’impiego del metodo etnografico nello studio delle destre populiste radicali ha permesso
di esplorare l’interazione tra queste organizzazioni politiche, con le loro strategie e ideologie e le
pratiche (livello meso), e le esperienze dei loro militanti (livello micro). Questi studi hanno
mostrato che possono esistere delle divergenze tra il discorso ufficiale e l’immagine pubblica che le
organizzazioni della destra populista radicale promuovono, e le motivazioni che stanno alla base del
lavoro politico dei militanti4; e tra la rappresentazione monolitica che queste organizzazioni tendono
a dare di sè, e la diversità sociale che caratterizza i militanti, i loro percorsi e le loro strategie
[Lafont 2001].
L’apporto della sociologia di genere allo studio delle destre populiste radicali
Un’evoluzione corrispondente al livello degli approcci utilizzati - dal macro al micro - si può
osservare relativamente al manifestarsi di un interesse per i rapporti di genere nella sociologia dei
movimenti sociali, a partire dagli anni ‘90. Nell'ambito della sociologia politica c’è stata per molto
tempo la tendenza a spiegare la minore partecipazione politica femminile con i fattori esterni ai
movimenti sociali, per esempio le responsabilità domestiche che ricadono sulle spalle delle donne.
Un certo numero di studiose si è sforzato di ampliare la prospettiva, introducendo una prospettiva
« interna » [Dunezat 2009; Kergoat, Imbert, Le Doaré, Senotier 1992; Taylor 1999] e mostrando
come i rapporti di genere attraversano i movimenti sociali, articolandosi con i rapporti di classe, con
l’etnicità5 e con i rapporti tra le generazioni. Questi studi mostrano che i rapporti di genere,
all’articolazione con gli altri rapporti sociali, vengono costituiti, riprodotti ma anche trasformati
attraverso le pratiche e i discorsi dei militanti.
La prospettiva di genere è di particolare importanza nello studio delle destre populiste radicali
in Europa. I pochi dati disponibili indicano che le donne costituiscono una minoranza dei militanti
di questi partiti6; e che costituiscono una minoranza tra i loro elettori7. Allo stesso tempo, i modelli
dominanti di femminilità occupano un posto centrale nell’ideologia delle destre populiste radicali;
4 Si vedano gli studi contenuti in [Blee 2007].
5 Gli studiosi usano la nozione di « etnicità » per indicare i processi di costruzione sociale della differenza culturale; la
loro natura è storica, relazionale e dinamica, e non fissa e immutabile. In particolare, la nozione di etnicità si riferisce
alle strategie degli attori sociali, che – in una certa misura - possono manipolare le assegnazioni « etniche » a loro
vantaggio. Si veda [Poutignat e Streiff-Fénart, 1995].
6 Un’indagine sui tesserati alla Lega nord condotta nel 2011 indica che il 75% dei militanti sono uomini [Passarelli e
Tuorto 2012].
7 Inoltre, le donne sono una minoranza dei membri che occupano posizioni chiave nel partito e dei rappresentanti eletti a
livello nazionale; è importante sottolineare però che questo dato caratterizza la gran parte dei partiti politici. In tutti i
partiti, da destra a sinistra, le donne sono sotto-rappresentate rispetto alla loro presenza nella società. Se i livelli di
rappresentanza femminile nei partiti della destra populista radicale sono decisamente minori rispetto ai partiti
dell’estrema sinistra, essi sono assimilabili a quelli presenti nei partiti di destra, se non più elevati [Mudde 2007].
3
le loro politiche tendono a promuovere il ruolo delle donne come madri e la famiglia « naturale »,
intesa come fondamento dell’ordine sociale e della nazione. Secondo alcune studiose [Bacchetta e
Power 2002] questi partiti, e più in generale i movimenti nazionalisti, si fondano in maniera cruciale
sulla costruzione essenzialista dell’alterità, per sostenere gerarchie sociali variemente definite in
base al genere, alla differenza culturale, alla classe o alla religione: per esempio, nell’ideologia
« anti-immigrazione », la naturalizzazione della differenza di genere è strettamente legata a quella
della differenza culturale. Altri studi hanno messo in evidenza che uomini e donne possono essere
attratti da queste organizzazioni perché si identificano con i modelli di genere tradizionali che da
esse vengono celebrati [Kimmel 2007]. In tutto il mondo le donne sono attivamente impegnate nelle
organizzazioni di destra, nazionaliste e « anti-immigrazione » e attraverso la loro militanza possono
ottenere nuovi saperi, autonomia e potere. Eppure pochissimi studi hanno analizzato il ruolo svolto
da queste militanti, che nella maggior parte degli studi viene sminuito: la loro presenza tende a
essere ridotta al loro legame con un congiunto uomo – marito o padre – che è membro
dell’organizzazione [Blee e Creasap 2010]. Inoltre, mentre le studiose femministe hanno contribuito
grandemente alla comprensione dei modi in cui le donne vengono mobilitate in quanto simboli e
riproduttrici della nazione [Lutz, Phoenix e Yuval-Davis 1995], esse hanno trascurato il ruolo delle
donne come parte attiva e creativa di questi movimenti. La prospettiva di genere assume poi un
interesse speciale alla luce dei cambiamenti intervenuti di recente nelle destre populiste radicali in
Europa: questi partiti rinnovano il loro discorso, appropriandosi di idee e slogan tradizionalmente di
sinistra; la presenza di nuove leaders donne contribuisce a transformarne l’immagine, facendo sì che
essi appaiano meno radicali e più accettabili; in alcuni paesi, come in Francia, il numero di donne
tra gli elettori è aumentato [Scrinzi under review]. I rapporti di genere all’interno di queste
organizzazioni si trasformano, riflettendo i cambiamenti della società: le nuove generazioni sono
più sensibili all’argomento della parità tra i sessi; le giovani donne danno per scontate alcune
conquiste del movimento femminista e il diritto ad avere una carriera professionale. La Lega stessa
è stata interessata da una progressiva femminilizzazione della base militante, degli eletti e del
partito rispetto alle sue origini, legata in buona parte all’allargamento del consenso e del numero di
rappresentanti eletti nelle istituzioni. Per quanto riguarda l’elettorato leghista, anch’esso è stato
interessato da un processo di femminilizzazione, partire dagli anni ’90 [Barisione e Mayer 2013].
Questo capitolo analizza dapprima le dimensioni di genere dell’ideologia leghista, mostrando
che le cornici ideologiche e le strutture di significato fornite dal partito ai suoi militanti non sono
neutre bensì profondamente sessuate; e mostra come il reclutamento e la socializzazione politica in
questo partito seguono percorsi e modalità differenti a seconda del sesso dei militanti. La seconda
parte del capitolo analizza i modi in cui le militanti leghiste si appropriano del discorso (sessuato)
4
del partito per attribuire un senso alla loro militanza; e come le loro strategie discorsive si
inscrivono nelle traiettorie sociali di queste donne, modellate dalle ineguaglianze strutturali che
esistono tra i sessi e dalle opportunità di che offre l’organizzazione politica di cui fanno parte. Il
capitolo si propone di esplorare le seguenti questioni: in quale modo le donne leghiste danno un
senso al loro impegno in un’organizzazione che propugna modelli di femminilità tradizionali?
Come gestiscono le contraddizioni tra l’ideologia del partito e i loro percorsi biografici? In che
modi fanno propri i modelli di femminilità esaltati dal partito? Queste domande sono
particolarmente interessanti considerata la natura della Lega, un’organizzazione disciplinata e
caratterizzata da un’efficace comunicazione interna.
La Padania: una nazione virile
La Lega nord offre un esempio del ruolo centrale svolto dal genere nell’organizzazione
simbolica della destre populiste radicali. La costruzione della nazione Padania, quale è proposta
dalla stampa di partito e dai discorsi dei leaders8, si fonda su una serie di metafore sessuate e
riguardanti tre sfere di attività, alla frontiera tra sfera pubblica e privata: famiglia, lavoro e guerra.
La rappresentazione della nazione si fonda innazitutto sulla naturalizzazione della divisione
sessuale del lavoro al suo interno e sull’assimilazione della nazione alla famiglia, tramite una serie
di metafore domestiche: alle donne viene assegnato il ruolo della riproduzione biologica e sociale
della nazione; lo sviluppo demografico padano viene esaltato in funzione « anti-immigrazione »,
tramite il tema della prolificità delle donne migranti, percepita come una minaccia per la Padania
[Avanza 2008]. Nella sua autobiografia Bossi descrive il movimento Lega nord come una famiglia,
un gruppo coeso di uomini e donne che si amano e amano la loro terra; la Lega è descritta come il
loro figlio, « il prodotto dell’amore » [Vimercati, Bossi 1992, 92]. Inoltre, la mascolinità padana
viene associata con la potenza sessuale e la normalità eterosessuale: sia i militanti sia le biografie
ufficiali descrivono il carismatico leader storico del partito, Umberto Bossi, come un rispettabile
capofamiglia e un buon padre, ma allo stesso tempo come un donnaiolo. Negli scritti di Bossi e
nella retorica di partito i conflitti politici tendono a essere espressi in termini militari e la virilità
padana viene associata alla forza, alla resistenza e alla combattività in politica. Bossi si descrive
come un guerriero che porta la sua famiglia con sè sul campo di battaglia; i membri della famiglia, e
per estensione i membri del movimento, devono essere pronto a sacrificarsi con lui. Le donne non
sono celebrate soltanto come madri e mogli, ma come guerriere che si battono per la nazione al
fianco dei loro uomini [Vimercati, Bossi 1992]. Infine, Huysseune [2004] suggerisce che la
8 Faccio riferimento a una serie di testate, scritti e documenti di partito ma anche a osservazioni etnografiche (raccolte
durante manifestazioni e raduni della Lega).
5
costruzione sessuata della Padania attribuisce ai suoi membri alcune qualità socialmente costruite
come prerogative maschili: la razionalità, un’etica del lavoro, la laboriosità, l’onestà e
l’individualismo.
Ogni abitante della Padania, indipendentemente dal genere e dall’etnicità può diventare, se
non un patriarca, almeno un manager o un imprenditore, un leader naturale della comunità
produttiva [Huysseune 2004, 605, traduzione mia].
In questo senso il discorso leghista adotta uno dei procedimenti tipici del discorso nazionalista
e colonialista che nell’800 stabiliva gerarchie tra le civiltà moderne e progredite, e quelle
premoderne o « selvagge », associando alle prime la modernità e l’energia, e alle seconde
l’irrazionalità e la passività, qualità associate con il femminile. Da questo punto di vista l’alter ego
del lavoratore e dell’imprenditore padani sono il meridionale o migrante fannullone o il burocrate
romano, altrettante figure di parassiti. Bossi stesso identifica l’etica professionale e la dedizione al
lavoro come uno dei tratti culturali che distinguono i Padani, uomini e donne, e radicata in una
mistura di cattolicesimo e calvinismo che caratterizzerebbe le popolazioni dell’Italia settentrionale
[Vimercati, Bossi 1992]. Tanto la famiglia quanto l’azienda sono considerate come le cellule di
base del corpo nazionale. Non solo la famiglia garantisce la continuità dell’« identità etnica
padana », ma promuove anche lo sviluppo economico della nazione: questo è sostenuto dalla
cultura e dalla morale che sarebbero tipiche del popolo padano, la cui trasmissione è assegnata alle
donne nella sfera privata [Huysseune 2004].
Se le donne, in quanto appartenenti alla nazione, possono far parte a pieno titolo del « popolo
dei produttori », contribuendo alla ricchezza della Padani, esse sono tenute però anche al loro ruolo
« naturale »: la maternità. La Lega ha da sempre avuto una posizione ambivalente sul tema del
lavoro femminile: da una parte esalta la maternità come missione centrale e naturale delle donne;
dall’altra non condanna il loro desiderio di lavorare, che è anzi in una certa misura esplicitamente
sostenuto. Nella sua autobiografia Bossi scrive che oltre a svolgere un lavoro remunerato le donne
sono tenute a occuparsi dei figli, perchè la madre non può essere sostituita dal padre [Vimercati,
Bossi 1992]. La stessa tensione anima le politiche della Lega, che comprendono alcune misure a
sostegno delle pari opportunità sul lavoro e della conciliazione famiglia/lavoro: in tel senso questo
partito è in linea di continuità con le posizioni della Democrazia Cristiana, che consideva che le
donne dovessero contribuire al mantenimento della famiglia, oltre ad assumere un ruolo principale
nella cura della famiglia [Guadagnini 1993]. Così, il leader attuale del partito Roberto Maroni,
all’epoca in cui era ministro del welfare, ha promosso un piano per la creazione di asili nido
6
aziendali; la Lega ha un suo nido aziendale presso la sede di via Bellerio a Milano; allo stesso
tempo il Sin.Pa, Sindacato Padano, auspica il lavoro a tempo parziale per tutte le donne, per
permettere loro di dedicarsi alla famiglia. Il tema della conciliazione famiglia/lavoro ha un’enorme
portata in un paese come l’Italia, in cui persistono gravi disparità nella divisione del lavoro
domestico tra i sessi e che è caratterizzato da una elevata disoccupazione donne con figli piccoli, da
una crescente popolazione anziana, e da uno stato sociale familialista, che assegna ampiamente alle
donne il ruolo di fornitrici non remunerate di servizi di cura [Hausmann, Tyson, Zahidi 2012].
Mentre esaltano i modelli maschili e femminili tradizionali, i leaders e la stampa di partito
tendono dunque ad attribuire al popolo padano nel suo complesso una superiorità maschile: la
Padania è concepita come una nazione virile. Tale rappresentazione enfatizza qualità socialmente
costruite come prerogativa naturale degli uomini, forza, durezza, coraggio, razionalità, laboriosità e
abilità negli affari, che in una certa misura sono attribuite anche alle donne padane. Le divisioni
sociali e le gerarchie interne, relative al genere e alla classe, vengono in questo modo lasciate sullo
sfondo, dal momento che la Padania viene rappresentata come una comunità etnicamente
omogenea. A questo si deve aggiungere che la superiorità della Padania è motivata anche sulla base
dell’argomento che in questa nazione le donne godono di un trattamento uguale agli uomini ed
hanno raggiunto l’emancipazione. Questo elemento dell’ideologia padana, già rilevato da alcuni
autori [Avanza 2008; Huysseune 2000], assume una rilevanza speciale alla luce degli sviluppi
recenti dell’ideologia delle destre populiste radicali in Europa. Come altri partiti di questa famiglia
politica, in Francia, Scandinavia, Gran Bretagna, Olanda, la Lega usa il tema dei diritti delle donne
per sostenere la sua agenda « anti immigrazione » e per allargare la sua base elettorale. Negli ultimi
anni le violenze contro le donne nelle famiglie degli immigrati come anche la questione del burqa
hanno ricevuto una grande visibilità sul quotidiano La Padania. Così, in questo discorso i modelli
tradizionali di femminilità coesistono paradossalmente con il tema dell’uguaglianza di genere.
L’immigrazione, particolarmente quella proveniente dai paesi a religione musulmana, è associata
con la violenza sessuale e con un atteggiamento conservatore in materia di rapporti tra i sessi, ed è
rappresentata come una minaccia non solo per l’integrità fisica delle donne ma anche per i loro
diritti. In questo senso la retorica delle destre populiste radicali sul tema dei diritti delle donne si
fonda su un meccanismo di « razzizzazione del sessimo », ovvero di attribuzione del sessismo
all’Altro razzizzato [Van Walsum e Spijkerboer 2007]. Il processo di razzizzazione si fonda sulla
rappresentazione essenzialista della differenza culturale, rappresentando i migranti e i loro figli
come estranei indesiderabili: si suppone che i migranti siano radicalmente diversi dalle popolazioni
nazionali e quindi non assimilabili [Miles 1993]. Questo processo è altamente sessuato: i migranti
vengono descritti come uomini violentemente misogini e portatori di una concezione patriarcale; le
7
migranti come vulnerabili e oppresse; mentre le ineguaglianze di genere che strutturano la società di
immigrazione vengono rese invisibili.
Se i modelli di mascolinità e femminilità costituiscono una risorsa simbolica centrale nella
costruzione della nazione e dell’alterità ‘etnica’ (migranti, Roma, Italia) alla quale viene
contrapposta la Padania, le modalità con cui uomini e donne sono socializzati e orientati al lavoro
politico nel partito sono anch’esse sessuate. Esistono due organizzazioni femminili nel partito: le
Donne Padane (DP) e il Gruppo Politico Femminile (GPF). DP è una delle « associazioni padane »,
create dal partito: esse si propongono di promuovere l’« identità padana » nella musica, negli sport,
nella poesia, nell’ambiente, eccetera. Alcune di queste associazioni, le cui attività rappresentano
un’estensione del lavoro femminile di cura alla sfera pubblica, come per esempio quelle che si
occupano di protezione dell’infanzia o di opere umanitarie, hanno vocazione a reclutare tra le donne
più che tra gli uomini. DP recluta unicamente donne ed è stata fondata nel 1998 da Bossi, per
attrarre un elettorato femminile: si concentra sulla difesa del folclore e della famiglia padani e si
dedica all’organizzazione di attività caritative, dibattiti e eventi sociali e culturali.
Quest’associazione evoca l’associazionismo cattolico in cui si radicava il consenso femminile per la
Democrazia Cristiana, di cui la Lega è stata l’erede sul piano elettorale. Il GPF è stato fondato nel
2006 e riunisce alcune donne che ricoprono ruoli nel partito o cariche istituzionali a livello
nazionale. Il GPF ha creato uno Sportello Famiglia un servizio che fornisce al pubblico
informazioni sull’assistenza legale in caso di divorzio, consulenza psicologica, assistenza per
pratiche amministrative e burocratiche; e ha fondato il Sindacato delle Famiglie del Nord, la cui
missione è la difesa delle « famiglie padane ». Il GPF si occupa anche di lavoro femminile e di
conciliazione famiglia/lavoro, con la proposta di estendere l’orario di apertura degli uffici pubblici,
di promuovere il lavoro ripartito, il tele-lavoro e i permessi per quelle lavoratrici che devono
assentarsi per impegni famigliari. Tra le iniziative del GPF si contano una petizione in favore di
pene più severe per i crimini di violenza sessuale e alcune proposte di legge riguardanti
l’incremento della natalità, la regolamentazione della prostituzione, la castrazione chimica dei
pedofili e una proposta di legge per rendere illegale il burqa. L’enfasi sui temi legati alla condizione
femminile e alla violenza contro le donne si unisce all’associazione immigrazione/criminalità che
impregna il discorso leghista. Il GPF sembra essere strettamente legato alla carriera politica di un
gruppo di donne, tra cui alcune parlamentari.
Dal punto di vista dei loro obiettivi e delle loro attività, queste due organizzazioni femminili
si conformano alla tradizionale divisione sessuale del lavoro politico e all’ideologia del partito, che
conside le donne principalmente come madri e tollera il lavoro femminile. Le carriere politiche
individuali delle donne all’interno del partito sono tollerate; come è emerso da uno studio [Avanza
8
2008], pur incarnando modelli femminili poco « ortodossi » nell’immaginario leghista, alcune
donne ottengono delle posizioni importanti nel partito. La Lega tende invece a scoraggiare l’azione
politica collettiva da parte delle donne, che viene ritenuta una minaccia per la coesione del partito e
della nazione [Huysseune 2000]. In questo senso il GPF costituisce una novità, perchè a differenza
di DP, ha una natura dichiaratamente politica. Allo stesso tempo, esso è composto da un numero
ristretto di donne, di cui nessuna è stata rieletta nel 2013, nel contesto della sconfitta elettorale della
Lega. Inoltre, mentre DP gode di una buona visibilità all’interno del movimento, il GPF è quasi
sconosciuto alla base militante. L’associazione DP sembra aver avuto un successo notevole rispetto
ad altre associazioni padane9, ma di fatto rappresenta solo una parte delle militanti leghiste, non
essendo riuscita a coinvolgere le militanti delle nuove generazioni10. Le giovani leghiste non sono
molto attive in quest’associazione ma piuttosto nel Movimento Giovani Padani e nelle sezioni di
partito.
Madri di famiglia e individui di sesso femminile
In che modi le militanti gestiscono la tensione tra i modelli tradizionali di femminilità e
l’immagine maschile e ‘guerriera’ del popolo padano, nell’attribuire un senso al loro essere donne,
madri, lavoratrici, attiviste? Le militanti che ho intervistato si descrivono come delle donne forti -
donne dal carattere maschile; assumono la loro scelta di impegnarsi nella Lega come una scelta
parzialmente eterodossa rispetto a quello che è comunemente considerato normale per una donna.
Parlano di sé come donne dotate di qualità socialmente costruite come appannaggio del sesso
maschile.
Ho cominciato queste battaglie... sono combattiva, quando mi metto in testa una cosa mi
metto pancia a terra e quella cosa la raggiungo, io dico: meglio un giorno da leone che cento da
pecore.
Questa immagine di ‘dure’ può essere intesa anche come una reazione alla stigmatizzazione,
percepita o reale, che costituisce una caratteristica distintiva dei militanti delle destre populiste
radicali [Klandermans e Mayer 2006].
C’erano pochissime donne ai tempi, è perchè alle ragazze interessa meno la politica, poi
specialmente un partito rivoluzionario come la Lega, le mie amiche erano di Comunione e
9 Il partito non fornisce dati sul numero dei membri di queste associazioni.
10 Le militanti di DP che ho incontrato avevano tutte più di 50 anni.
9
Liberazione oppure di sinistra, perchè le ragazze tendono ad andare verso questi partiti più
tradizionali [...] Quando facevamo i banchetti la gente ci insultava.
Mentre tutte le intervistate fanno propria l’auto-rappresentazione virilista del partito, esse
giustificano diversamente questa loro « natura mascolina ». Mentre alcune intervistate affermano
l’esistenza di qualità femminili innate che predispongono le donne a fare politica, altre sostengono
di non avere abilità politiche che siano specifiche del genere femminile.
Le donne appartenenti al primo gruppo hanno tra i 40 e i 70 anni, sono sposate con figli, e
sono perlopiù attive in DP e in altre associazioni padane che si occupano di tematiche
« femminili ». Spesso queste donne si sono dedicate alla politica dopo che i figli sono cresciuti, o
nel tempo che rimane disponibile dopo aver svolto il lavoro domestico: occuparsi dei bambini, ma
anche preparare il pranzo per il marito. Esse non si descrivono semplicemente come donne forti:
sostengono che le donne hanno generalmente un carattere più forte degli uomini e che possono
impegnarsi in politica con risultati migliori. A loro avviso le responsabilità domestiche rendono
infatti le donne capaci di fornire alla politica un « plusvalore » in termini di doti intellettuali e
organizzative: pensano che le donne siano più razionali degli uomini e che sappiano gestire
situazioni di stress e di conflitto e raggiungere dei compromessi necessari. Tali qualità vengono
considerate doti femminili innate e sono associate al ruolo di madre, anch’esso visto come una
naturale vocazione per le donne.
Se la donna ha voglia ed è capace, ha un corredo migliore degli uomini, è più decisionista, ha
più capacità organizzativa, forse ci deriva dal fatto che siamo nate per organizzare la famiglia.
La rappresentazione di sé come donne forti, pilastro delle famiglia, evoca il modo di vedere
delle militanti dell’estrema destra italiana [Peretti e Mapelli 2012], che prendono come modello di
riferimento il ruolo svolto dalle donne nella gestione domestica propria delle famiglie tradizionali
del passato; esse criticano sia l’accettazione del ruolo subordinato assegnato alle donne dalla
borghesia nelle società industrializzate, sia il percorso di emancipazione intrapreso sulla scorta del
femminismo dalle generazioni più giovani. Inoltre, questa esaltazione dei modelli femminili delle
società rurali è coerente con le narrazioni dei militanti delle destre populiste radicali, che tendono a
dichiararsi insoddisfatti della situazione attuale della società e a rimpiangere un passato idealizzato
[Klandermans e Mayer 2006].
10
La donna ce la può fare sempre!, sì, la donna è forte, sennò il Signore non le avrebbe dato la
maternità, abbiamo dei punti in più, l’unica cosa è che bisogna organizzarsi.... Quando la donna
cede, la famiglia di sgretola perché e lei la colonna portante delle famiglia..... Quando la donna non
imita l’uomo porta un valore aggiunto, ma quando cerca di imitarlo come succede oggi ne prende
gli aspetti peggiori, nel fumo, nel bere, nel dire parolacce, nel farsi gli amanti, poi diventa peggio
dell’uomo, ma se fa le cose che la sua natura le dice allora va per la strada giusta, perché non è mai
così orgogliosa e presuntuosa come l’uomo, per cultura perché ha alle spalle una storia di
sopportazioni e di pazienza, ma anche di testardaggine, volontà, poi ha capacità di sintesi, mentre
l’uomo si disperde in discorsi.
Le intervistate usano dunque il concetto di genere per costruire un’immagine positiva di se
stesse come militanti, per opposizione agli uomini. La nozione di genere viene anche usata per
tracciare una distinzione tra se stesse e i membri « indegni » del partito. Per legittimare la propria
militanza, esse riprendono infatti a loro vantaggio non solo la retorica della maternità propugnata
dalla Lega, ma anche i suoi argomenti populistici: secondo la distinzione di Albertazzi e McDonnell
[2008, 3], questi sono fondati sulla distinzione tra « un popolo virtuoso e compatto » e le élites
« descritte come coloro che privano, o cercano di privare, il popolo sovrano dei suoi diritti, dei suoi
valori, del benessere, dell’identità e della parola ». Le intervistate contrappongono il proprio modo
« femminile » di fare politica a quello di chi si serve del partito per i suoi interessi personali. Le
militanti donne avrebbero infatti, secondo le intervistate, una moralità superiore rispetto agli
uomini: sarebbero disinteressate e più devote alla causa. Le donne avrebbero più a cuore il bene
della collettività mentre gli uomini tenderebbero a essere superficiali e sarebbero più spesso guidati
dal desiderio di ottenere il potere. Tale « femminilità » del fare politica corrisponde nel loro modo
di pensare alla parte onesta e genuina del partito. Queste militanti si descrivono come donne forti,
tenaci, decisioniste, ma anche oneste, coerenti, concrete e altruiste. Il repertorio che esse utilizzano
per valorizzare il proprio contributo al movimento riflette la cultura politica della base militante e
l’immagine della Lega che è portata avanti dal partito stesso: un soggetto politico che, a differenza
degli altri partiti, è vicino al popolo e radicato sul territorio; che si propone di risolvere dei problemi
concreti e non di conquistare il potere; i cui membri, impegnati, disinteressati e laboriosi, non si
sono dedicati alla politica per ottenere una poltrona ma per passione; considerano l’azione politica
come servizio prestato alla collettività; e non intendono la politica come una carriera.
Noi guardiamo al futuro, loro guardano al momento presente, gli interessa il risultato
immediato, noi guardiamo sempre un po’ più in là, sono due concetti diversi di fare politica, noi lo
11
vediamo più come servizio alla società, tante volte loro si lasciano convincere a vederla come una
questione di realizzazione personale. In realtà nella Lega [...] ho sempre visto più spesso il discorso
del servizio che quello della realizzazione personale, ma va a periodi, in questo periodo si vede più
il tentativo di emergere, in altri momenti invece la politica come servizio.
Questi argomenti sono usati dalle militanti nel contesto dei rapporti ambivalenti e talvolta tesi
tra la Lega e il suo principale alleato, il Popolo della Libertà (PDL); e nel contesto della crisi del
partito attuale. Uno studio recente [Albertazzi 2013] mostra che i militanti leghisti propongono
paragoni negativi con l’« alleato di plastica » (PDL) : quest’ultimo viene percepito come
un’organizzazione « artificiale » creata da Silvio Berlusconi, a differenza della Lega, che ha una
base popolare ed è nata come espressione spontanea della collera dei Padani contro le politiche che
li penalizzano. I valori della dedizione alla causa e dell’integrità morale vengono contrapposti
all’opportunismo degli ex-alleati ma anche di quei leghisti che hanno aderito al movimento durante
gli anni dell’esperienza di governo: diverse intervistate, entrate in contatto con il movimento negli
anni ’90, considerano queste nuove leve come i responsabili dei recenti scandali e del declino
attuale. Le esperienze di governo avrebbero indotto la Lega ad abbandonare il proprio obiettivo
originale, il secessionismo; inoltre alcune attiviste giudicano negativamente quest’esperienza in
quanto sarebbe contraria all’« identità etnica » del movimento che è nato per contrapporsi a Roma,
la sede del governo centrale e delle istituzioni, simbolo del nemico politico.Viene fatta una
distinzione tra i militanti « della vecchia guardia » e quelli che hanno aderito più di recente: le
intervistate dicono che alcuni dei nuovi iscritti sono mossi da egoismo, sono troppo ambiziosi e
intraprendono una carriera politica a loro esclusivo beneficio – qualità negative a cui esse
contrappongono la militanza « al femminile ». Tramite questa strategia discorsiva, queste donne
valorizzano il proprio lavoro politico e attribuiscono un senso al loro investimento in attività di
militanza « femminile » che rimangono marginali nel partito e che, nei loro percorsi biografici,
vengono in secondo piano rispetto alle responsabilità domestiche e famigliari.
Il secondo gruppo di militanti è composto da donne mediamente più giovani di quelle che
sostengono l’esistenza di innate qualità « femminili » che predispongono alla politica: la loro età
varia dai 35 ai 50 anni; esse sono single o conviventi, ma non sono sposate, e non hanno figli.
Inoltre, a differenza delle militanti del primo gruppo, queste donne sono attive nelle sezioni del
partito11; la maggior parte di loro hanno iniziato la militanza attorno ai 20 anni. Queste donne si
definiscono persone come gli uomini, nè meglio nè peggio. Sottolineano che vogliono essere
trattate come individui a cui è dovuto un trattamento uguale in una società meritocratica. Alcune di
11 Tranne una che fa parte di DP.
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loro dichiarano di non volersi sposare e di non volere dei figli, anche perchè questo non sarebbe
compatibile con il tipo di impegno che intendono consacrare alla politica. Essendo loro preclusa la
possibilità di identificarsi come madri di famiglia e ‘riproduttrici’ della nazione, l’ideologia del
partito non offre loro nessun ruolo specifico in quanto donne. In questo senso riflettono
l’atteggiamento tipico di alcune figure di leghiste che hanno ricoperto posizioni di spicco: la
presidente della Camera dei deputati Irene Pivetti, che parlava di sé al maschile, costituisce un
esempio estremo di questa tendenza a considerare il genere come ininfluente dal punto di vista del
loro lavoro politico.
Io parto dal presupposto che siamo degli individui, della caratterizzazione sessuale in un
movimento mi interessa poco, mi piace di più l’idea di un movimento dove va avanti chi se lo
merita.
Tanto tra le donne del primo gruppo che quelle del secondo ci sono esempi di percorsi che
hanno portato a un aumento di autonomia e saperi; e, in alcuni casi, una mobilità sociale e una
professionalizzazione politica; se diverse sono state candidate come « riempilista » in osservanza
delle regole sull’alternanza di genere nelle liste elettorali, alcune sono state elette ed occupano o
hanno occupato cariche instituzionali a livello locale o nazionale; alcune, dopo alcuni anni di
militanza, hanno ottenuto un impiego nel partito. Per molte il lavoro sembra essere un investimento
secondario rispetto alla famiglia o alla militanza; non ci sono casalinghe tra loro, ma diverse
lavorano o hanno lavorato nell’attività di famiglia svolgendo un ruolo secondario rispetto al marito
o ai genitori; altre sono passate da un impiego all’altro nel settore terziario; altre sono impiegate. Il
loro profilo è in linea con quello che presenta la base militante della Lega secondo un’indagine
recente [Passarelli e Tuorto 2012], che mostra come i militanti sono spesso lavoratori autonomi,
spesso diplomati ma raramente laureati.
Sia le donne che ritengono che la « natura femminile » costituisce un vantaggio in politica sia
quelle che pensano che non siano necessarie forme di organizzazione delle donne all’interno del
movimento identificano una serie di ostacoli alla partecipazione politica delle donne. Sia le donne
« madri di famiglia » che le donne « individui di sesso femminile » raccontano episodi di ordinario
sessismo, sul posto di lavoro o nel partito; lamentano che le donne abbiano poco tempo da dedicare
alla politica a causa delle responsabilità domestiche e ritengono che questa sia la ragione per cui ci
sono poche donne tra i politici; infine, esse criticano la scarsità dei servizi che permettono la
conciliazione del lavoro di cura con il lavoro professionale per le donne in Italia. Pur rifiutando
l’etichetta di « femministe », le militanti della Lega rivendicano per le donne che considerano
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appartenenti alla loro comunità, la « nazione padana », l’uguaglianza dei diritti con gli uomini.
Nessuna di loro però mette in discussione la divisione sessuale del lavoro, che viene vista come un
dato di natura: uomini e donne sarebbero naturalmente complementari.
Conclusione
Questo capitolo ha esplorato la dimensione di genere nel partito Lega nord, a vari livelli.
Innanzitutto, le cornici ideologiche e le strutture di significato fornite dall’organizzazione ai suoi
militanti non sono neutre bensì profondamente sessuate. I processi di costruzione dell’appartenenza
al movimento politico e alla nazione fanno riferimento ai modelli dominanti di femminilità e
mascolinità; se la maternità è identificata come la missione femminile per eccellenza e per natura,
accanto alla figura tradizionale della madre la Lega tende a promuovere un modello di femminilità
forte e virile che riflette la tendenza ad assimilare il conflitto politico alla guerra e la
stigmatizzazione – reale o percepita - che è tipica dei partiti della destra populista radicale. In
secondo luogo, l’organizzazione interna del partito fa sì che donne e uomini siano socializzati e
orientati all’attività politica secondo modalità e percorsi diversi. Infine, il capitolo mostra che, in
questo contesto, le intervistate il cui percorso politico e biografico si inscrive in un modello di
genere tradizionale usano l’argomento della differenza femminile per valorizzare il proprio apporto
al movimento, elaborando argomenti alternativi a quelli celebrati dal partito. Le militanti la cui
traiettoria politica si è sviluppata aldifuori degli spazi politici assegnati alle donne e che adottano
stili di vita eterodossi rispetto ai modelli femminili celebrati dal partito, tendono a dichiarare che la
differenza di genere è ininfluente nella vita politica. Queste strategie discorsive riflettono il diverso
investimento delle militanti nel movimento; i diversi benefici che ne traggono, tanto dal punto di
vista emotivo che materiale; e i diversi percorsi che esse elaborano tra partecipazione politica,
responsabilità domestiche e lavoro remunerato. I dati etnografici rivelano la varietà sociale che
caratterizza la militanza leghista e la diversità delle motivazioni e delle esperienze delle donne
all’interno del movimento.
Il capitolo lascia aperte una serie di questioni. Se queste donne trasformano le loro vite
tramite il lavoro politico, traendo vantaggio dalle opportunità di mobilità sociale e di apprendimento
offerte dalla militanza e riuscendo in alcuni casi a raggiungere posizioni di potere, in che modi esse
contribuiscono a dar forma all’organizzazione di cui fanno parte? In che modi le militanti ed elette
leghiste transformano la politica della Lega? Il nuovo leader del partito, impegnato in un’opera di
riorganizzazione e di « modernizzazione » del partito, pone una certa enfasi sul ruolo politico delle
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donne12. Il « nuovo corso » inaugurato da Maroni potrebbe aprire nuovi spazi che promuovano una
maggiore visibilità delle attività politiche cosiddette « femminili » nel partito, o delle carriere
politiche per le donne? Oppure le donne saranno penalizzate nell’attuale fase di declino del partito?
12 Metà della giunta regionale sotto Maroni governatore della Lombardia è composta da donne; sotto la leadership di
Maroni, una giovane donna è stata nominata per dirigere il quotidiano La Padania.
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