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Per un naturalismo pluralistico e (realmente) non antiscientifico

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Abstract

Nel presente articolo sosterrò che sebbene il naturalismo liberalizzato abbia buoni argomenti a favore del pluralismo ontolo- gico antiriduzionistico, esso non riesce tuttavia a mantenersi su un livello pienamente naturalistico. Il motivo di ciò risiederebbe in un’a- desione non completa al programma del pragmatismo, rispetto al quale il movimento di De Caro mantiene un background metafisico problematico. Fornirò un esempio di simili problematiche prenden- do in esame il tema del libero arbitrio e l’argomento dell’abduzione, le cui implicazioni sembrano delineare un agente incompatibile con le leggi naturali. Infine, sosterrò che il pragmatismo di John Dewey, grazie al suo stretto legame con l’esperienza e al rifiuto della metafisi- ca come studio di proprietà essenziali, rappresenta forse la migliore teorizzazione per un naturalismo pluralistico e non antiscientifico.
Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 7:1 (2016)
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Patrocinata dal 2011 dalla
Società Italiana di Filosofia Analitica
ISSN 2037-4445 CC
http://www.rifanalitica.it
Per un naturalismo pluralistico e
(realmente) non antiscientifico
Giuseppe Turchi
Abstract. Nel presente articolo sosterrò che sebbene il naturalismo
liberalizzato abbia buoni argomenti a favore del pluralismo ontolo-
gico antiriduzionistico, esso non riesce tuttavia a mantenersi su un
livello pienamente naturalistico. Il motivo di ciò risiederebbe in un’a-
desione non completa al programma del pragmatismo, rispetto al
quale il movimento di De Caro mantiene un background metafisico
problematico. Fornirò un esempio di simili problematiche prenden-
do in esame il tema del libero arbitrio e l’argomento dell’abduzione,
le cui implicazioni sembrano delineare un agente incompatibile con
le leggi naturali. Infine, sosterrò che il pragmatismo di John Dewey,
grazie al suo stretto legame con l’esperienza e al rifiuto della metafisi-
ca come studio di proprietà essenziali, rappresenta forse la migliore
teorizzazione per un naturalismo pluralistico e non antiscientifico.
Keywords. Naturalismo Liberalizzato, Pragmatismo, Metafisica, Li-
bero Arbitrio, Fisicalismo, Pluralismo Ontologico.
Copyright.CC
BY:
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C
2016 Giuseppe Turchi. Pubblicato in Italia. Alcuni diritti
riservati. Autore. Giuseppe Turchi, gppturchi@gmail.com.
Ricevuto. 2 marzo 2016. Accettato. 22 aprile 2016.
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Giuseppe Turchi Per un naturalismo pluralistico
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Secondo De Caro, il naturalismo contemporaneo si distingue per due tesi: una
tesi costitutiva per cui la filosofia non può far ricorso a entità, proprietà, eventi o
spiegazioni soprannaturali; e una tesi antifondazionale, per cui la filosofia non
è prioritaria rispetto alle scienze naturali e non può permettersi di giudicare le
loro teorie. Da queste due tesi, i naturalisti radicali derivano altrettanti corollari:
1) le scienze naturali offrono l’unica concezione vera di "natura" e 2) la ricerca
filosofica deve porsi in continuità con la scienza (De Caro, 2010). Ne segue che se
un filosofo accetta la tesi antifondazionale, accetta l’idea che la filosofia può par-
lare del mondo, a patto che svolga la sua indagine procedendo a posteriori come
la scienza (Quine, 1968). Ma come opera, nei fatti, un naturalista scientifico? È
davvero desiderabile che il suo metodo diventi lo standard della filosofia?
Bisogna innanzitutto notare che se l’unica concezione vera di "natura" è quel-
la delle scienze naturali, cose come valori e numeri possono mettere in difficoltà
il naturalista, in quanto sono entità immateriali esterne al dominio di fisica, chi-
mica e biologia. Uno scientista, tuttavia, non può ammettere che vi siano parti
del reale che la scienza non è in grado di trattare, poiché la scienza naturale, per
definizione, studia la totalità degli esseri viventi e delle cose inanimate. Quan-
do difficoltà di questo tipo si presentano, il naturalista scientifico adotta una
particolare procedura: riduzione, e se la riduzione non riesce, eliminazione. In
genere, si ritiene che la corrente più radicale in questo senso sia il fisicalismo, i
cui presupposti possono essere riassunti come segue: a) l’universo è un insieme
di particelle le quali si organizzano secondo leggi e raggiungono gradi di com-
plessità crescenti; b) a ogni grado di complessità corrisponde una scienza che,
in linea di principio, è riducibile al livello inferiore; c) le scienze naturali nel loro
complesso offrono una descrizione esaustiva di tutti i fenomeni. Il nodo centrale
di questa corrente è che, se ne si accettano gli assunti, diventa impossibile pen-
sare che in natura esistano entità sui generis (p.e. norme, valori, agenti liberi),
cioè svincolate dalle leggi causali e dotate di caratteristiche peculiari. Da un lato
questo impedisce ogni deriva soprannaturalistica, ma dall’altro apre all’indesi-
derata possibilità che certi fenomeni risultino inintelligibili qualora la riduzione
si rivelasse impraticabile. Di fatto, il rapido progresso conosciuto dalle scien-
ze negli ultimi anni ha grandemente favorito un atteggiamento di riduzionismo
radicale. Grazie alle continue scoperte e a strumenti d’indagine sempre più so-
fisticati, l’umanità ha ampliato la base di spiegazioni scientifiche a cui pensa
di poter ridurre tutto lo scibile. Tuttavia, molti autori hanno fatto notare che il
riduzionismo e l’eliminativismo hanno dei limiti consistenti e che una spiega-
zione scientifica del mondo non può essere esaustiva, ma sempre e solo parziale
(Laudisa, 2014).
A fronte di uno scientismo sempre più diffuso, in tempi recenti ha preso pie-
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de una formulazione liberalizzata di naturalismo che si propone di ’riportare
in natura’ quelle entità che paiono sfuggire ai vincoli degli scienziati. Ciò che i
naturalisti liberali rifiutano è l’idea che l’unica ontologia ammissibile sia quella
delle scienze dure, per questo offrono una concezione più ampia di "natura" e
accettano forme di pluralismo sia metodologico che ontologico. Nella formula-
zione di De Caro, il naturalismo liberalizzato:
1. Condivide la tesi antifondazionale.
2. Rifiuta il ricorso a entità soprannaturali.
3. Rifiuta la tesi per cui la filosofia deve adottare il metodo e l’ontologia del-
le scienze naturali, imponendo però alla filosofia di non contraddire le
migliori teorie scientifiche.
Rispetto ai colleghi radicali, i naturalisti liberali pensano che le scienze uma-
ne siano ancora i migliori strumenti per spiegare i fenomeni dell’agentività, della
moralità e della normatività, ma sono anche convinti che non esista nessuna re-
lazione conflittuale tra natura e cultura: una buona filosofia è in grado di azzera-
re la dicotomia senza ricorrere a divinità, spiriti e principi vitali. Io sosterrò che il
pluralismo ontologico del naturalismo liberalizzato mantiene delle implicazioni
metafisiche tali per cui non è in grado di soddisfare appieno le condizioni 2 e 3.
Nonostante ciò, ritengo che gli argomenti contro il fisicalismo siano convincenti
e che il pluralismo ontologico sia un’imposizione dell’esperienza.
2
Tra i maggiori critici del fisicalismo troviamo oggi Stroud e Dupré, due autori
presenti in quello che può essere visto come il manifesto programmatico del na-
turalismo liberalizzato: La mente e la natura (De Caro e Macarthur, 2005). Qui
entrambi gli studiosi denunciano il carattere contraddittorio e ideologico della
dottrina fisicalista, la quale non solo non riuscirebbe a giustificare molti feno-
meni, ma nemmeno se stessa! A sostegno di ciò, Stroud offre una dimostrazione
per assurdo che procede come segue:
a Il fisicalismo sostiene che esistono solo fatti fisici nel mondo.
b Ciò che non è fisico non è naturale.
c Non possiamo fare appello a entità che esulano dal naturale, siano esse
stati psicologici, numeri o valori di verità.
d Gli scienziati acquisiscono conoscenza dagli esperimenti, formulano teo-
rie in un linguaggio logico-matematico e offrono dimostrazioni.
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Conclusione: un fisicalista pretende che ciò che dice sia vero nonostante
non dovrebbero esistere per lui né gli stati psicologici né uno spazio nor-
mativo; inoltre svolge le sue ricerche con l’ausilio di mezzi non naturali
come i numeri e le regole logiche. Dunque il fisicalismo non ha i mezzi per
giustificare la pratica scientifica (Stroud, 2005, pp. 11-12,17).
Dupré, che muove da una conclusione simile, si concentra invece e soprat-
tutto sulle fallacie del riduzionismo, evidenziando che se il naturalismo contem-
poraneo si contraddistingue per l’antisoprannaturalismo, cioè per la «negazione
dell’esistenza di entità che stanno al di là del corso normale della natura», allora
il fisicalismo viola questo impegno. Infatti l’adesione al monismo materialisti-
co implica che tutti gli oggetti e le proprietà dell’universo siano costituiti dalle
particelle elementari, ma le proprietà di queste ultime non possono giustifica-
re l’esistenza di eventi mentali, enti logico-matematici e valori: in questi campi
il riduzionismo ha fallito, quindi proseguire sulla via del fisicalismo comporta
l’attribuzione di poteri magici alla materia (Dupré, 2005, pp. 21-24)1.
Ma allora come dobbiamo collocare le entità irriducibili? C’è un modo per
considerarle ancora naturali? Dupré risponde innanzitutto che cose come atteg-
giamenti proposizionali, valori e numeri, per quanto irriducibili e immateriali,
condizionano a livello pratico tanto la vita di tutti i giorni quanto la ricerca scien-
tifica, quindi l’uomo è costretto ad ammetterle nel suo inventario ontologico. In
secondo luogo, l’esperienza dimostra che anche le scienze naturali trattano vari
tipi di oggetti e vi si approcciano con metodi differenti. D’altronde, il pluralismo
ontologico e metodologico risulta un percorso obbligato perché il livello orga-
nizzativo dell’oggetto di studio determina gli schemi di classificazione per tale
oggetto: i modelli scientifici sono strumenti su misura per la porzione di reale in
esame. E tale natura ’strumentale’ implica che non è necessario che gli schemi
dei livelli organizzativi più alti (es. biologia cellulare) debbano essere correlati a
quelli dei livelli più bassi (es. fisica quantistica), (Dupré, 2005, p. 33).
A questo punto ci si potrebbe chiedere se con il rifiuto del monismo Dupré
non abbia esasperato quel dualismo che si esplicita nella distinzione sellarsia-
na tra ’spazio logico delle ragioni’ e ’spazio logico della natura’ (Sellars, 1956,
p. 54). Revitalizzare una dicotomia del genere infatti consentirebbe, come so-
stiene McDowell, di interpretare la conoscenza come un fenomeno sopranna-
turale (McDowell, 1995, 2005, p. 82), quindi uno studioso che volesse ancora
dirsi naturalista dovrebbe offrire degli argomenti per non ricadere nell’insana-
bile contrapposizione tra razionalità e natura. La necessità pratica delle varie
discipline è l’argomento offerto da Stroud e Dupré, e con loro McDowell pun-
tualizza che «la moderna rivoluzione scientifica ha fatto chiarezza a proposito
del regno della legge, [ma] il risultato di quest’opera non coincide con la chia-
rezza a proposito della natura» (McDowell, 2004, p. 85). L’apparato culturale, per
1Dupré rifiuta la tesi della sopravvenienza del mentale sul fisico.
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esempio, è il prodotto acquisito dall’uomo in virtù della sua razionalità: l’espres-
sione di una seconda natura che si muove nello spazio logico delle ragioni senza
per questo confliggere con il regno della legge. L’uno non nega l’altro, ma vi coe-
siste nell’intrinseca varietà del reale, una varietà che consente a fisica e filosofia
di mantenere autorità sui propri campi d’indagine senza bisogno di degenerare
in conflitti interdisciplinari.
3
In generale, il naturalismo liberalizzato desidera contraddistinguersi per un at-
teggiamento di larghe vedute per cui «dobbiamo accettare come vero tutto ciò
che dobbiamo accettare affinché si possa dare un senso a tutto quello che sia
parte del mondo» (Stroud, 2005, pp. 19-20). Quello che mi chiedo però è quanto
questa mossa possa dirsi naturalistica e lo stesso Stroud non sembra preoccu-
parsi molto di questo termine. Per lui essere naturalisti non è altro che un’e-
tichetta alla moda per ostentare il rifiuto di divinità, anime, fluidi vitali e geni
maligni. Nannini, che su questa posizione è molto critico, non esita invece a di-
re che il principio appena citato sia insoddisfacente: «se anche tutto ciò che è
oggetto delle scienze umane e sociali, della storia e persino dell’arte è natura,
incluso ad esempio il libero arbitrio, le norme e i valori, allora tutto è natura!»
(Nannini, 2007, p. 90). Inoltre vi è il sospetto che il naturalismo liberalizzato si
rapporti in modo ambiguo con le scienze naturali, proponendo un accordo o
una neutralità formali, per poi svincolarsi qualora l’accordo richieda un prezzo
troppo alto. Per esempio, sempre Nannini fa notare che se il naturalista liberale
rifiuta il fisicalismo e ammette una retroazione causale del mentale sul fisico,
allora difficilmente accetterà il principio di chiusura causale, e ciò equivarrebbe
a rifiutare la termodinamica2, cioè una delle teorie scientifiche oggi più conso-
lidate. Inoltre, il naturalismo liberalizzato accetta il realismo scientifico (esiste
solo ciò che è oggetto di una conoscenza empirica metodologicamente seria)
ma in una forma che può portare al relativismo, giacché il pluralismo epistemo-
logico imporrebbe l’esistenza di «tanti ’mondi reali’ quanti sono i livelli d’analisi
empiricamente fondati» (Nannini, 2007, p. 88). Calisi ritiene invece che inclu-
dere nella natura i concetti eliminati dagli scientisti non sia che una manipola-
zione ad hoc, utile solo per «occupare un posto sotto l’ombrello protettivo del
naturalismo» (Calisi, 2008).
Per meglio mostrare la fondatezza di queste critiche, prenderò a esempio la
proposta di De Caro in difesa del libero arbitrio, dove a mio avviso emerge con
chiarezza la difficoltà del naturalismo liberalizzato a mantenersi inoffensivo ri-
2L’idea è che una mente capace di agire causalmente sul fisico immetterebbe nell’universo più
energia rispetto all’inizio, violando il principio di conservazione. Questa critica è comunque oggetto
di dibattito.
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spetto alle scienze naturali. Tenterò inoltre di spiegare come mai questa dottrina
si relazioni in modo ambiguo con le scienze.
4
Secondo la definizione quineana, "metafisica" non è sinonimo di "ontologia":
dove la prima studia cos’è quello che c’è, la seconda si limita a studiare ciò che
c’è (Quine, 1968, pp. 3-19). Il nucleo programmatico del naturalismo scientifico
odierno è quello di riportare tutta l’ontologia sotto il dominio delle scienze na-
turali, ma a un certo punto la mossa sconfina nella metafisica: se tutto quello
che c’è sono particelle o agglomerati delle stesse, e se le particelle compongono
ogni cosa, allora esse rappresentano la realtà ultima ed essenziale dell’universo.
Una realtà totalmente indipendente da ogni possibile soggetto di esperienza, il
fondamento e vincolo dell’esistente.
Ora, se si tiene ferma questa concezione e la si applica al problema del libero
arbitrio, si può capire perché unondata di scetticismo eliminativistico è esplosa
negli ultimi anni. La maggioranza degli studiosi, infatti, cerca una proprietà me-
tafisica, il libero arbitrio, che tuttavia non pare compatibile con una metafisica
delle particelle, sia essa il determinismo o l’indeterminismo (Pereboom, 2001).
Nel caso del libertarismo radicale ed evento-causale, l’agente come controllore
delle proprie azioni ha un potere alquanto ambiguo e si perde nella causalità
tra eventi. Nell’agent-causation, invece, si delinea un nucleo sostanziale dota-
to di libero arbitrio, ma le pesanti implicazioni metafisiche rendono incapace
tale sostanza di integrarsi con le leggi dell’universo empirico, degenerando nel
soprannaturalismo. Ne risulta che se si vuole mantenere una visione naturalisti-
ca coerente con le scienze naturali e l’assunzione metafisica che sottende loro,
bisogna accettare che l’esperienza di agency sia illusoria (Pereboom, 2013, 2014).
In genere il naturalismo liberalizzato si connota per la tendenza libertaria
ma soffre nel ricercare una compatibilità che nei fatti non può darsi: se la pari
dignità ontologica di scienze naturali e scienze umane diventa una pari digni-
tà metafisica, le uniche soluzioni perseguibili per non rendere antiscientifica la
filosofia restano un parallelismo (entrambe le metafisiche sono accettate come
naturalistiche ma viaggiano su binari indipendenti) o una conciliazione forza-
ta che punta tutto sul futuro progresso tecnologico. Nel primo caso ci si ritrova
di fronte a più mondi dei quali non è chiaro come interagiscano; nel secondo
si lascia aperto uno spiraglio dal quale attendere la rivoluzionaria scoperta che
permetta di rendere conto della libertà in termini scientifici (un sostituto, pos-
sibilmente più affidabile, dell’indeterminismo quantistico). In entrambi i casi,
la strategia è antinaturalistica poiché la filosofia si pone in una posizione privi-
legiata nel bandire a priori l’eliminativismo e nell’assumere in modo assiomati-
co l’esperienza dell’agentività come caposaldo incrollabile. Eppure, nello stesso
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tempo, la filosofia non può permettersi di postulare qualcosa che contraddica
le migliori teorie scientifiche.
La mia idea è che il naturalismo liberalizzato incorre soprattutto nel primo
tipo di problemi, ovvero nel porre in parallelo tanti livelli metafisici altrimenti
incompatibili tra loro. E questo, io temo, avviene nonostante autori come De
Caro si siano molto impegnati per ritagliare uno spazio concettuale tra antina-
turalismo e naturalismo radicale (De Caro e Voltolini, 2010), (De Caro, 2015).
Nei loro articoli infatti si cerca di spiegare come la tendenza antiriduzionistica
non implichi necessariamente un ricorso al soprannaturalismo, poiché oggetti
come il libero arbitrio o la causalità mentale possono essere compatibili con le
migliori teorie scientifiche. Detto in altri termini, la spiegazione, p.e. del potere
causale della mente, non deve per forza ricorrere a una sostanza cartesiana per
essere accettabile. E tale spiegazione dovrebbe essere accettata perché fa rife-
rimento a un’entità che è «implicit in our other sound and successful epistemic
practices» (De Caro, 2015, p. 11). Il problema è: come caratterizziamo queste en-
tità affinché non confliggano con le migliori teorie scientifiche? La mente non è
più una sostanza, ma cosa diventa? Un utile fictum? No, perché il naturalismo
liberalizzato preso in esame è una posizione realista. Allora una funzione? Ma
se è una funzione di un organismo biologico, certi suoi prodotti non sembrano
sconfinare oltre il ’regno della legge’?
Consideriamo per esempio una libera scelta e la dimostrazione a favore del
libero arbitrio che De Caro promuove nel suo argomento dell’abduzione, che
muove da tre premesse (De Caro, 2004, pp. 131-147):
1) Tesi di von Wright: i vocaboli della prospettiva agentiva rimandando al-
l’idea di libertà (possibilità di scelte alternative e autodeterminazione del
volere).
2) Tesi di Davidson: le scienze umane incorporano ineliminabilmente i con-
cetti agenziali.
3) Abduzione: le scienze umane offrono attualmente le migliori spiegazioni
per l’agire umano, quindi è razionale accettarle.
Conclusione: è razionale accettare le scienze umane, e quindi l’idea di li-
bero arbitrio.
La Tesi di von Wright ci costringe, se l’argomento è valido, ad accettare anche
le implicazioni ontologiche dei concetti agenziali, e quindi che vi sia qualche ti-
po di causazione diverso da quello delle scienze naturali – De Caro inscrive que-
sto argomento nella tradizione dell’agent-causation. Il tipo peculiare di causa-
lità qui richiamata comporta la messa in questione del monismo fisicalista, del
determinismo e del principio di chiusura causale del mondo fisico. Quest’ulti-
mo resta, a mio avviso, il punto più problematico e ambiguo della proposta: co-
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me è possibile dare una veste scientificamente accettabile, o perlomeno neutra,
all’agente come causa? Un conto infatti è rifiutare il fisicalismo come spiega-
zione esaustiva del reale, altra cosa è postulare un tipo di causazione capace di
intervenire sui processi biochimici. Da dove viene questa causazione? Emerge
forse dal fisico? Ma se il fisico è vincolato da certe leggi, come può l’agente sgan-
ciarsi da esse? Oppure dobbiamo pensare, come Nagel, (2015), che il cosmo ab-
bia una non meglio precisata proprietà mentale elementare che accompagna le
proprietà fisiche? E mentre attendiamo che questa proprietà venga scientifica-
mente riconosciuta, possiamo filosofare senza prestare troppa preoccupazione
al principio di chiusura causale? Quale che sia la risposta, l’agente come causa
sembra contraddire l’attuale livello di conoscenza scientifica, pertanto è difficile
per una filosofia libertaria evitare il contrasto con la scienza.
Di gran lunga più convincente è invece la premessa dell’Abduzione, ovvero
l’inferenza alla miglior spiegazione il cui risultato non è definitivo. De Caro sot-
tolinea che questa strategia è molto comune nella pratica scientifica – la teoria
dell’evoluzione è essa stessa un’inferenza alla miglior spiegazione – perché offre
continuamente nuovo materiale da sottoporre a verifica. La conseguenza però è
che la credenza nella libertà non può fungere da punto archimedeo, perché l’ab-
duzione lascia aperta la possibilità che i naturalisti scientifici riescano in futuro
a ridurre i vocaboli dell’agentività e offrire una spiegazione neurofisica dei fe-
nomeni umani. L’argomento, insomma, non dimostra l’esistenza della libertà3.
Dimostra che credere alla libertà è razionale alla luce del fatto che a) le scienze
naturali non riescono a offrire le migliori spiegazioni per l’agentività umana e
b) alcuni paradigmi della scienza stessa sono dubbi o non del tutto compresi.
Fintanto che questa conclusione regge, il determinismo è falso e la libertà non
può essere considerata un’illusione.
Labduzione risulta una buona mossa per due motivi. Primo, non si addentra
nei cavilli metafisici, almeno non direttamente. Secondo, è uno strumento effi-
cace per acquisire conoscenza e gestire le questioni pratiche. Il fatto che si tratti
di una teoria tipica del pragmatismo mi offre l’occasione per esporre la tesi che
muove questo articolo, e cioè che un naturalismo pluralistico non antiscientifico
sia davvero possibile: quello di John Dewey.
5
La mia idea è la seguente: se il naturalismo liberalizzato di De Caro presenta del-
le ambiguità al suo interno – ambiguità che gli negherebbero l’etichetta di "natu-
ralismo" – ciò è dovuto a un’adesione non del tutto completa al programma del
pragmatismo. Entrambe le correnti infatti professano un pluralismo ontologico
3È De Caro stesso a mettere in luce pregi e limiti dell’abduzione.
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antiriduzionistico, ma solo Dewey riesce a giustificarlo con un’argomentazione
positiva e, allo stesso tempo, pienamente naturalistica.
In Esperienza e Natura troviamo quello che il filosofo americano chiama «uma-
nismo naturalistico» (Dewey, 1925, p. 19), ovvero una posizione che intendeva
sopperire alle fallacie che le filosofie dell’epoca – idealismo ed empirismo – com-
mettevano nel delineare il rapporto tra soggetti di conoscenza e mondo. Tali fal-
lacie sarebbero nello specifico tre: la netta separazione tra soggetto e oggetto; il
conferimento di maggiore dignità ontologica agli oggetti della conoscenza piut-
tosto che a quelli della pratica; il non riconoscere che il nostro studio del reale
opera delle selezioni, cioè si concentra su alcuni tipi di oggetti in relazione a uno
scopo pratico anziché mirare alla pura conoscenza contemplativa (Dewey, 1925,
p. 42).
A influenzare il pensiero deweyano sono soprattutto la teoria dell’evoluzio-
ne e le categorie a cui essa fa riferimento: mutamento, transazione, instabilità,
contingenza, adattamento (Alcaro, 1997). Tali categorie rimandano al fatto em-
pirico del continuo rinnovamento che ogni forma di vita deve operare per far
fronte alle sfide poste dall’ambiente: le facoltà superiori dell’uomo e i suoi siste-
mi concettuali altro non sono che strumenti per aumentare le proprie possibilità
di adattamento. Ne segue il rifiuto di quelle filosofie che pensano alla raziona-
lità come alla facoltà capace di svelare la realtà ultima dietro il fenomeno, o che
configurano il soggetto di conoscenza come un mero specchio del mondo ester-
no: tutto ciò che l’uomo conosce, sente e produce è in funzione dell’interazione
ambientale, e di nient’altro. Non meraviglia allora che anche la metafisica tradi-
zionale (quella di stampo aristotelico-tomista e i suoi derivati contemporanei)
sia sottoposta a una pesante critica, per cui Dewey oppone una visione dinami-
ca e olistica del mondo a una rigida tassonomia di proprietà essenziali (Alcaro,
1997, pp. 294-295).
Così facendo, il filosofo può definire come naturale ciò che rientra in questo
quadro dominato dalla mutevolezza e dall’instabilità, i cui confini sono dettati
dall’orizzonte di un’esperienza che comprende sia il livello grezzo della corpo-
reità (il cosiddetto ’pre-riflessivo’) che il livello più raffinato della riflessività, il
quale sviluppa gli oggetti del primo e ne crea di nuovi (Alcaro, 1997, p. 24). Tale
esperienza, a entrambi i livelli, si configura come un processo (inter)attivo an-
ziché contemplativo, dove l’uomo compie delle scelte, si addentra nell’ignoto,
cerca di continuo una miglior comprensione di ciò che lo circonda per trasfor-
mare se stesso e il mondo. Per questo motivo gli oggetti di percezioni, emozioni,
esperienza estetica, ricerca scientifica, relazioni sociali sono da considerarsi rea-
li e naturali: tali oggetti sono qualcosa con cui noi abbiamo a che fare e che ci
pongono dei problemi. Solo i cosiddetti ’uninteractionables, ovvero gli oggetti
che attualmente non possono rientrare in una pratica operativa, non sono da
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considerare oggetti né della conoscenza, né della natura4.
Loriginalità dell’epistemologia deweyana allora sta nel suo carattere pretta-
mente sperimentale che riporta la cognizione nella dimensione attiva della vita
e azzera le dicotomie mente/corpo, soggetto/oggetto, essenza/fenomeno, natu-
ra/cultura. Non a caso Dewey manifesta una chiara concezione fallibilista della
scienza naturale e le assegna un ruolo puramente strumentale. Egli è infatti con-
vinto che la «premessa che deve essere abbandonata è che la scienza è compren-
sione della realtà nella sua forma finale e autosufficiente» (Alcaro, 1997, p. 111), e
ricorda al fisicalismo che gli oggetti della fisica sussistono «per cambiare dei ter-
mini casuali in realizzazioni e conclusioni in una serie ordinata, con lo sviluppo
del significato incluso in essi» (Alcaro, 1997, p. 114). Detto in altri termini, i risul-
tati delle scienze naturali, anche i più accreditati, non sono immuni da revisio-
ne, ma possono essere sempre messi in discussione a favore di un incremento
di significato (una cosa simile la si ritrova in Quine, 1951).
Che dire allora del riduzionismo? E della minaccia del determinismo? Alla
prima domanda si può rispondere che il riduzionismo sarebbe un buono stru-
mento qualora portasse a una migliore comprensione dei fenomeni – ma attual-
mente non sembra essere così. Di sicuro non è uno strumento che l’esperienza
ci impone poiché, per riprendere una frase di Dupré, i «tentativi di comprendere
certi fenomeni a un particolare livello di organizzazione determina gli schemi di
classificazione a quel livello. Non è necessario che tali schemi di classificazione
vengano correlati in alcun modo gestibile – e tipicamente non lo saranno – con
gli schemi di classificazione dei livelli più bassi» (Dupré, 2005, p. 33). Si tratta
cioè di gestire una pluralità di prospettive tale per cui richiedere la riduzione a
un unico livello sarebbe come pretendere che gli esperimenti con l’LHC abbia-
no di per sé una qualche rilevanza nel ridefinire la psicologia dello sviluppo5.
Per quanto riguarda il determinismo, invece, esso cessa di far paura quando lo
si concepisce come uno strumento al servizio dell’inferenza. La ricerca di una
stabilità e di previsioni attendibili è infatti ciò che ci permette di aver presa su
una natura mutevole, ma non implica l’estensione del vincolo deterministico a
4Tali posso essere le entità che la fisica postula senza poterle manipolare, oppure le entità sopran-
naturali di vario genere come angeli, spiriti, divinità, eccetera. Tali entità non possono essere oggetto
di conoscenza e si distinguono dai cosiddetti ’unobservable interactionables, ovvero gli oggetti in-
visibili con cui riusciamo a interagire solo con la mediazione di strumenti sofisticati (per esempio
gli atomi). Punto fondamentale è che non è possibile stabilire a priori ciò con cui potremo o non
potremo interagire. Nel momento in cui l’uomo è in grado di relazionarsi con quello che era rite-
nuto un uninteractionable, esso diventa subito un interactionable che allarga i confini del mondo
conosciuto. La terminologia è presa da Määttänen, (2015, p. 85).
5Con questo paradosso è forse più semplice comprendere come la differenza tra oggetti e tra i ri-
spettivi strumenti d’indagine, p.e. il bosone di Higgs e la mente del bambino, siano incommensura-
bilmente diversi. La connessione fondamentale però si mantiene nella strumentalità di entrambe le
discipline, e nulla vieta che, con la mediazione di nuovi strumenti, esse possano avere una reciproca
influenza.
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tutti i fenomeni. Attualmente, a livello empirico ed epistemologico, il determi-
nismo non è un buono strumento da applicare al fenomeno dell’agentività: non
ci aiuta a comprenderlo, né a interpretarlo, né a manipolarlo.
Questa visione olistica della vita offre, a mio avviso, la possibilità di pensare
un pluralismo ontologico e un naturalismo liberi da un buon numero di incoe-
renze (Frega, 2009). Nel pragmatismo infatti non c’è bisogno di rendere compa-
tibile la metafisica dell’agente con quella delle particelle, perché il corno metafi-
sico del problema decade: non è missione imposta (né suggerita) dall’esperien-
za quella di ricercare la proprietà essenziale del libero arbitrio. Non è missione
prescritta dall’esperienza quella di trovare la realtà ultima dietro il fenomeno,
né di passare dalle regolarità esperite in natura al determinismo universale. At-
traverso il pragmatismo, insomma, è davvero possibile avere una filosofia anti-
riduzionistica ma non antiscientifica, ed è su questo sfondo che, secondo me,
il naturalismo liberalizzato potrebbe conseguire i propri obiettivi mantenendo
una maggiore coerenza interna.
6
Proprio per evitare le derive metafisiche il pragmatismo contemporaneo affron-
ta il problema del libero arbitrio offrendo un modello di agency che non descrive
la libertà in quanto tale, ma il funzionamento (Solymosi, 2011; Shook, 2015)6di
ciò che potremmo chiamare libertà.
Tale modello è dato dalla sola esperienza e, io credo, è rintracciabile in quasi
tutte le teorie del libero arbitrio, dove si delinea un agente:
a) che ha a disposizione delle possibilità alternative almeno a livello episte-
mico, giacché il futuro gli è ignoto e, in quanto forma di vita, necessita di
prevedere le conseguenze delle sue azioni.
b) che ha delle capacità fisiche e riflessive/razionali tali da renderlo reatti-
vo alle pressioni dell’ambiente naturale e sociale (capacità di cambiare i
piani).
c) che ha un carattere, delle inclinazioni e delle ragioni i quali, unitamente
alle opportunità del contesto, spiegano il suo agire.
d) che ha efficacia causale sul mondo, sebbene gli effetti possano essere pre-
vedibili ma mai del tutto certi.
Questa descrizione dell’agente tende a essere sottoscritta non solo dai liber-
tari, ma anche dai compatibilisti e persino da alcuni eliminativisti. Innanzitutto,
6Alcuni autori del neuropragmatismo contemporaneo ritengono che il problema della libertà va-
da riformulato. La domanda non sarebbe più "gli uomini sono davvero liberi?" ma "come funziona
la libertà umana?". Questi autor i si confrontanocon i fenomeni e cercano di offrirne una spiegazione
che non sconfini nei territori impervi della metafisica.
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la condizione di incertezza del futuro è uno dei fondamenti dell’epistemologia
deweyana e spiega il carattere sperimentale dell’agire, i cui esiti sono appunto
prevedibili a vario grado ma mai certi. Il riferimento a capacità eopportunità in-
vece ben delinea la struttura interattiva e naturale dell’agente, il quale deve avere
1) i prerequisiti adatti per svolgere certe funzioni (p.e. un cervello sano) e 2) una
situazione adatta all’esecuzione delle suddette funzioni. Infine carattere, incli-
nazioni e ragioni possono essere considerati tutti come strumenti concettuali,
attualmente i migliori, per spiegare il fenomeno dell’agentività senza pretendere
che alle sue spalle aleggi un motore immobile alla Chisholm, (1964).
Rispetto alle forme di libertarismo metafisico, questa proposta ha il vantag-
gio di gestire senza contraddizioni tutto quello che serve per delineare una con-
cezione di responsabilità morale e per esaminare le fonti sociali della normati-
vità morale (Frega, 2012). Inoltre, tale modello è sufficiente per orientare il fun-
zionamento e lo sviluppo delle istituzioni giuridiche. Il vantaggio di questa po-
sizione, insomma, è che mira direttamente all’obiettivo pratico, che è poi il vero
motore del free-will problem. Certo, rinunciare alla domanda "siamo davvero
liberi?" potrebbe sembrare una mossa di comodo che strizza l’occhio al com-
patibilismo, o perfino allo scetticismo. Però, a differenza del compatibilismo
(Magni, 2005), il pragmatismo non cerca di elaborare artifici concettuali come
l’analisi condizionale del verbo "potere" per rendere conto delle possibilità alter-
native, e non pretende che la suddetta analisi possa garantire delle possibilità al-
ternative in un contesto deterministico. O ancora, si potrà far notare che il prag-
matismo lascia aperta la possibilità che il nostro senso di agency sia un’illusione,
come vuole lo scetticismo ontologico; ma a differenza dello scetticismo non ac-
cetta i riduzionismi ingiustificati dei fisicalisti: fintanto che le scienze umane
offriranno la miglior spiegazione del fenomeno dell’agentività, non ci sarà biso-
gno di preoccuparsi della possibilità che la nostra libertà sia illusoria. Vicever-
sa, l’uomo dovrà affrontare le problematiche che eventualmente incorreranno
e valutare se e come modificare il proprio sistema.
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Article
This book argues that the widely accepted world view of materialist naturalism is untenable. The mind-body problem cannot be confined to the relation between animal minds and animal bodies. If materialism cannot accommodate consciousness and other mind-related aspects of reality, then we must abandon a purely materialist understanding of nature in general, extending to biology, evolutionary theory, and cosmology. Since minds are features of biological systems that have developed through evolution, the standard materialist version of evolutionary biology is fundamentally incomplete. And the cosmological history that led to the origin of life and the coming into existence of the conditions for evolution cannot be a merely materialist history. An adequate conception of nature would have to explain the appearance in the universe of materially irreducible conscious minds, as such. No such explanation is available, and the physical sciences, including molecular biology, cannot be expected to provide one. The book explores these problems through a general treatment of the obstacles to reductionism, with more specific application to the phenomena of consciousness, cognition, and value. The conclusion is that physics cannot be the theory of everything.
Article
Modern empiricism has been conditioned in large part by two dogmas. One is a belief in some fundamental cleavage between truths which are analytic, or grounded in meanings independently of matters of fact, and truths which aresynthetic, or grounded in fact. The other dogma is reductionism: the belief that each meaningful statement is equivalent to some logical construct upon terms which refer to immediate experience. Both dogmas, I shall argue, are ill-founded. One effect of abandoning them is, as we shall see, a blurring of the supposed boundary between speculative metaphysics and natural science. Another effect is a shift toward pragmatism.
Article
Most people assume that, even though some degenerative or criminal behavior may be caused by influences beyond our control, ordinary human actions are not similarly generated, but rather are freely chosen, and we can be praiseworthy or blameworthy for them. A less popular and more radical claim is that factors beyond our control produce all of the actions we perform. It is this hard determinist stance that Derk Pereboom articulates in Living Without Free Will. Pereboom argues that our best scientific theories have the consequence that factors beyond our control produce all of the actions we perform, and that because of this, we are not morally responsible for any of them. He seeks to defend the view that morality, meaning and value remain intact even if we are not morally responsible, and furthermore, that adopting this perspective would provide significant benefit for our lives.
Article
Pragmatism has resurged explicitly in neopragmatism and implicitly in neurophilosophy. Neopragmatists have focused primarily on ideals, like human freedom, but at the expense of science. Neurophilosophers have focused primarily on scientific facts, but with an eye toward dismissing aspects of our self-conception like free will as illusory. In both cases, these resurgences are impoverished as each neglects what Dewey referred to as the method of intelligence. Neurophilosophical pragmatism - neuropragmatism - aims to overcome the deficiencies of neopragmatism and neurophilosophy by carrying forth the project of reconstruction by taking both the methods and results of experimental inquiry as the means for attaining ends-in-view such as human freedom. Editions Rodopi
Article
• The title of this volume, Experience and nature, is intended to signify that the philosophy here presented may be termed either empirical naturalism or naturalistic empiricism, or, taking "experience" in its usual signification, naturalistic humanism. I believe that the method of empirical naturalism presented in this volume provides the way, and the only way by which one can freely accept the standpoint and conclusions of modern science: the way by which we can be genuinely naturalistic and yet maintain cherished values, provided they are critically clarified and reinforced. The naturalistic method, when it is consistently followed, destroys many things once cherished; but it destroys them by revealing their inconsistency with the nature of things—a flaw that always attended them and deprived them of efficacy for aught save emotional consolation. But its main purport is not destructive; empirical naturalism is rather a winnowing fan. Only chaff goes, though perhaps the chaff had once been treasured. An empirical method which remains true to nature does not "save"; it is not an insurance device nor a mechanical antiseptic. But it inspires the mind with courage and vitality to create new ideals and values in the face of the perplexities of a new world. (PsycINFO Database Record (c) 2012 APA, all rights reserved) • The title of this volume, Experience and nature, is intended to signify that the philosophy here presented may be termed either empirical naturalism or naturalistic empiricism, or, taking "experience" in its usual signification, naturalistic humanism. I believe that the method of empirical naturalism presented in this volume provides the way, and the only way by which one can freely accept the standpoint and conclusions of modern science: the way by which we can be genuinely naturalistic and yet maintain cherished values, provided they are critically clarified and reinforced. The naturalistic method, when it is consistently followed, destroys many things once cherished; but it destroys them by revealing their inconsistency with the nature of things—a flaw that always attended them and deprived them of efficacy for aught save emotional consolation. But its main purport is not destructive; empirical naturalism is rather a winnowing fan. Only chaff goes, though perhaps the chaff had once been treasured. An empirical method which remains true to nature does not "save"; it is not an insurance device nor a mechanical antiseptic. But it inspires the mind with courage and vitality to create new ideals and values in the face of the perplexities of a new world. (PsycINFO Database Record (c) 2012 APA, all rights reserved)
John Dewey. Scienza, prassi, democrazia
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