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Anuac, Volume III, Numero 1, giugno 2014 - ISSN 2239-625X 132
Maria Teresa Milicia, 2014, Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso, Roma,
Salerno Editrice, pp. 165.
Il 27 novembre 2009 viene riaperto a Torino il Museo storico di Antropologia
criminale “Cesare Lombroso”. L‟istallazione è parte di un più ampio progetto museale (“Il
Museo dell‟uomo”) che nel 2001 viene finanziato dal Ministero dei Beni Culturali,
dall‟Università, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino e ospitato nei locali del
Palazzo degli Istituti Anatomici al Valentino. All‟alba dell‟inaugurazione un moto di protesta
dilaga però nei social network: movimenti neomeridionalisti chiedono la chiusura del museo,
“accusato di apologia del razzismo antimeridionale” (p. 7), e la restituzione dei resti umani in
esso custoditi, appartenuti a presunti briganti o martiri della resistenza duosiciliana.
Maria Teresa Milicia, padovana di adozione ma antropologa calabrese e „nativa‟ –
come preferisce definirsi in gergo antropologico per posizionarsi immediatamente all‟interno
del dibattito mediatico contemporaneo – porta avanti in Lombroso e il brigante una certosina
indagine sul principale oggetto della contesa fra le presunte fazioni: il cranio di Giuseppe
Villella, per lungo tempo totem dell‟antropologia criminale lombrosiana, e ora totem politico
del „fuoco del Sud‟. Scopo della sua ricerca (i cui risultati, anticipati nell‟introduzione,
cadono forse nella stessa retorica anti-meridionalista che si cerca di combattere) è quello di
scoprire l‟identità di Villella e il suo presunto brigantaggio, così come di indagare il razzismo
antimeridionale ideato, a detta dei contestatori, da Lombroso. La ricerca è sostanzialmente un
lavoro di scavo e contestualizzazione storica che parte dal presente per addentrarsi nel
panorama culturale e scientifico dell‟Italia di fine Ottocento.
L‟antropologa comincia dall‟installazione museale. Il Museo “Cesare Lombroso” –
ricorda – è inteso dai suoi curatori come una “rievocazione del museo storico, concepito
all‟interno di un moderno percorso ostensivo che presenterà criticamente il personaggio e le
sue idee, inquadrandoli nel loro contesto storico e socio-culturale” (cit. a p. 17). Punto focale
è proprio la sala che vede esposto il cranio di Villella, mostrato come simbolo di una scienza
positiva che definisce e protegge la normalità dalle sue potenziali devianze grazie alla
scoperta di un‟anomalia fisica (la fossetta cerebellare), base della teoria dell‟atavismo
lombrosiana. Allo stesso tempo, questa supposta prova scientifica che sembrava aver risolto
“la natura dell‟uomo delinquente” è chiaramente mostrata come fallace, tanto che “l‟errore di
Lombroso acquista valore paradigmatico, assolvendo la funzione pedagogica di spiegare
come progredisce la conoscenza scientifica” (p. 19).
Ma se il metalinguaggio museografico sembra chiaro, scarse e confuse sono le notizie
riportate sul conto del proprietario del cranio – perché effettivamente imprecise. Qualche riga
ricorda età, luogo di nascita, pena conferita e data del decesso. Milicia cerca maggiori
informazioni sul web, nella ricca bibliografia sull‟antropologo criminale, nel paese natale di
Villella (Motta Santa Lucia, in provincia di Cosenza). Ma la trama piuttosto che dipanarsi si
infittisce. Resta una sola cosa da fare: tornare alle fonti. Così, attraverso un accurato e
meticoloso spoglio degli scritti scientifici e divulgativi lasciati da Lombroso, la studiosa
riesce ad individuare le incongruenze interne al processo di costruzione di senso e autorità
operato dal medico per supportare la sua scoperta e ottiene – quasi per sottrazione – pochi,
ma affidabili dati che la portano dopo una febbrile ricerca d‟archivio ad ottenere una
plausibile identificazione. Il martire delle Regno delle Due Sicilie altro non era che un povero
pecoraro accusato di furto.
A questo punto, l‟antropologa si sofferma a meglio contestualizzare il quadro
scientifico e socio-culturale del tempo, mostrando chiaramente non solo la pertinenza, ma
anche l‟accettabilità in prospettiva storica dell‟introduzione della nozione di atavismo negli
studi sulla criminalità. Lo sforzo le permette di individuare il punto debole e,
paradossalmente, quello che maggiormente consegnò al successo la teoria lombrosiana: la
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trasformazione in ontologia dell‟analogia uomo delinquente-animale. Il criminale e il pazzo
erano l‟anello mancante fra l‟uomo e la scimmia, che “riproducendo il tipo fisico più
primitivo di umanità, di conseguenza presenta[va]no il corredo morale di crudeltà e abnormi
comportamenti delle razze inferiori, così ben documentato da missionari e viaggiatori d‟ogni
sorta” (pp. 84-85).
All‟interno di questa cornice, la studiosa ricostruisce infine il dibattito tardo
ottocentesco che ha tramandato l‟immagine di Lombroso razzista antimeridionale,
puntualizzando cautamente le significazioni delle diverse ideologie razziste in un contesto
influenzato dal lamarkismo e così lontano dal nostro presente. Quando fra il 1898 e il 1901 la
scienza positiva scese in campo per affrontare la „questione meridionale‟, avverse fazioni si
schierarono per contendersi l‟importanza dei fattori razziali o sociali nella spiegazione e
soluzione della piaga della criminalità. Lombroso, Alfredo Niceforo e Napoleone Colajanni
nel turbinio mediatico del tempo diedero vita ad una nebulosa di termini e definizioni (quali
„razza maledetta‟ e „zona delinquente‟) che la comunità interpretante ha trasmesso stravolta
dal suo contesto originario, ritessendo “la teoria dell‟atavismo del criminale nato […], di
citazione in citazione, in una trama impenetrabile, che ha offuscato l‟indagine critica del
rapporto di Lombroso con la Calabria” (p. 134).
Il pregio del volume di Maria Teresa Milicia è quello di fare luce sull‟infondatezza di
molte delle notizie che circolano sul web (e non solo) a proposito di Giuseppe Villella e del
rapporto di Cesare Lombroso e dell‟antropologia criminale con il razzismo antimeridionale –
indiretto e al limite dell‟invenzione della tradizione. A questo punto sarebbe interessante
approfondire anche il dibattito contemporaneo sul movimento “No Lombroso”: perché
nell‟Italia del Sud non è tanto il passato che è tornato oggi a trafiggere come una lama (per
parafrasare il sottotitolo della collana „Aculei‟ della Salerno Editrice), quanto il presente che
taglia a brandelli il passato pur di farsi sentire.
Quando nel 1985 la collezione lombrosiana uscì dalla “fase claustrale” grazie alla
mostra “La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‟Ottocento”
svoltasi presso la Mole Antonelliana, nessuno ebbe da ridire. Ora si attende con trepidazione
la sentenza prevista per il 2 dicembre 2014 della Corte di Appello di Catanzaro sul ricorso
presentato dall‟Università di Torino contro la restituzione del cranio di Villella al suo paese
natale. Cosa è cambiato, come e perché? Aspettiamo con ansia il secondo capitolo della saga:
dalla ricostruzione e contestualizzazione della storia del cranio conteso all‟analisi della carne
e del sangue che vivificano oggigiorno i corpi e le convinzioni di alcuni nostri connazionali.
Fabiana Dimpflmeier
Università La Sapienza di Roma
fabiana.dimpflmeier@uniroma1.it